Language of document : ECLI:EU:C:2013:768

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

26 novembre 2013 (*)

«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Settore dei sacchi industriali di plastica – Imputabilità alla società controllante dell’infrazione commessa dalla controllata – Durata eccessiva del procedimento dinanzi al Tribunale – Principio di tutela giurisdizionale effettiva»

Nella causa C‑40/12 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 27 gennaio 2012,

Gascogne Sack Deutschland GmbH, già Sachsa Verpackung GmbH, con sede in Wieda (Germania), rappresentata da F. Puel e L. François-Martin, avocats,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da F. Castillo de la Torre e N. von Lingen, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da V. Skouris, presidente, K. Lenaerts, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, L. Bay Larsen, M. Safjan, presidenti di sezione, J. Malenovský, E. Levits, A. Ó Caoimh, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, D. Šváby e M. Berger (relatore), giudici,

avvocato generale: E. Sharpston

cancelliere: V. Tourrès, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 febbraio 2013,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 maggio 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la presente impugnazione, la Gascogne Sack Deutschland GmbH, già Sachsa Verpackung GmbH (in prosieguo, in entrambi i casi, la «ricorrente»), chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 16 novembre 2011, Sachsa Verpackung/Commissione (T‑79/06, in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto al parziale annullamento e alla riforma della decisione C(2005) 4634 def. della Commissione, del 30 novembre 2005, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo [81 CE] (Caso COMP/F/38.354 – Sacchi industriali) (in prosieguo: la «decisione controversa»), o, in subordine, la riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata irrogata con tale decisione.

 Contesto normativo

2        Il regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), che ha sostituito il regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), prevede al suo articolo 23, paragrafi 2 e 3, che ha sostituito l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17, quanto segue:

«2. La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo [81 CE] o [82 CE] (…)

(…)

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

(…)

3. Per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

3        Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo [65, paragrafo 5, CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»), applicabili alla data dell’adozione della decisione controversa, specificano al loro punto 1 che «[l]’importo di base [dell’ammenda] è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17».

4        Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, il punto 1, parte A, primo comma, di detti orientamenti prevede che, per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante.

5        A termini del secondo comma dello stesso punto degli orientamenti del 1998, le infrazioni sono classificate in tre categorie, vale a dire le infrazioni poco gravi, le infrazioni gravi e le infrazioni molto gravi. Queste ultime sono, in particolare, restrizioni orizzontali, quali «cartelli di prezzi» e ripartizione dei mercati.

 Fatti e decisione controversa

6        La ricorrente è una società di diritto tedesco. Nel 1994 il 90% delle sue quote sociali veniva acquistato dalla Gascogne Deutschland GmbH, una controllata al 100% della Groupe Gascogne SA (in prosieguo: la «Groupe Gascogne»), società di diritto francese. Il rimanente 10% delle sue quote sociali veniva direttamente acquistato dalla Groupe Gascogne. Nel 2008 essa cambiava denominazione e diveniva la Gascogne Sack Deutschland GmbH.

7        Nel 2001 la società British Polythene Industries plc informava la Commissione dell’esistenza di un’intesa nel settore dei sacchi industriali.

8        La Commissione effettuava accertamenti nel giugno del 2002 e, nel luglio del 2002, la ricorrente si diceva desiderosa di cooperare. La Commissione avviava il procedimento amministrativo il 29 aprile 2004 e adottava una comunicazione degli addebiti nei confronti di diverse società, tra le quali, in particolare, la ricorrente.

9        Il 30 novembre 2005 la Commissione adottava la decisione controversa. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera k), di detta decisione, la ricorrente e la Groupe Gascogne hanno violato l’articolo 81 CE partecipando, dal 9 febbraio 1988 al 26 giugno 2002 per la prima e dal 1º gennaio 1994 al 26 giugno 2002 per la seconda, ad un complesso di accordi e di pratiche concordate nel settore dei sacchi industriali di plastica in Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo e nei Paesi Bassi, consistenti nella fissazione di prezzi e di modalità comuni per il calcolo degli stessi, nella ripartizione dei mercati e assegnazione di quote di vendita, nell’attribuzione di clienti, affari e ordinazioni, nella presentazione di offerte concordate a certe gare d’appalto e nello scambio di informazioni individualizzate.

10      Per questo motivo, la Commissione ha inflitto alla ricorrente, all’articolo 2, primo comma, lettera i), della decisione controversa, un’ammenda di EUR 13,20 milioni, precisando che, su tale importo, la Groupe Gascogne era responsabile congiuntamente e solidalmente per l’importo di EUR 9,90 milioni.

 Sentenza impugnata

11      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 23 febbraio 2006, la ricorrente presentava ricorso contro la decisione controversa chiedendo, in sostanza, che il Tribunale annullasse detta decisione nella parte in cui la riguardava o, in subordine, che riducesse l’importo dell’ammenda che le era stata inflitta.

12      A sostegno del suo ricorso la ricorrente invocava otto motivi. I primi tre motivi, sollevati in via principale, erano intesi all’annullamento della decisione controversa ed erano attinenti, in primo luogo, ad un errore manifesto di valutazione quanto al grado di coinvolgimento della ricorrente nell’intesa, in secondo luogo, a un difetto di motivazione della decisione controversa quanto alla partecipazione della ricorrente al sottogruppo «Germania» e, in terzo luogo, alla violazione, da una parte, dell’articolo 81 CE, in quanto la Commissione avrebbe erroneamente imputato talune pratiche della ricorrente alla società controllante di quest’ultima, vale a dire la Groupe Gascogne, e, dall’altra, dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

13      Gli altri cinque motivi, dedotti in subordine, erano diretti alla riduzione dell’importo dell’ammenda. Il quarto motivo era attinente a un errore di valutazione quanto alla gravità dell’infrazione; il quinto motivo a un errore di valutazione quanto alla durata dell’infrazione; il sesto motivo, presentato in ulteriore subordine, a un errore di valutazione consistente nella mancata considerazione di circostanze attenuanti; il settimo motivo a un errore di valutazione quanto alla cooperazione della ricorrente al procedimento amministrativo e l’ottavo motivo, dedotto in estremo subordine, alla violazione del principio di proporzionalità.

14      Con lettera del 20 ottobre 2010 la ricorrente chiedeva la riapertura della fase scritta del procedimento in esito all’emergere di un nuovo elemento di diritto nel corso del procedimento, vale a dire l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e, più in particolare, dell’articolo 6 TUE, che ha elevato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») al rango di diritto primario.

15      All’udienza, che si è svolta il 2 febbraio 2011, la ricorrente faceva valere, oltre ai motivi invocati nel ricorso, la violazione della presunzione di innocenza sancita dagli articoli 48 della Carta e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). A tale proposito, ai punti 92 e 93 della sentenza impugnata, il Tribunale dichiarava quanto segue:

«92      (…) la censura della ricorrente che deduce una violazione del principio della presunzione d’innocenza, sancito dall’articolo 48 della Carta, si aggiunge agli argomenti esposti nel contesto dei motivi del ricorso e non presenta un nesso abbastanza stretto con gli argomenti inizialmente addotti che permetta di considerarla il frutto di una normale evoluzione del dibattito nell’ambito di un procedimento dinanzi alla Corte. Deve pertanto ritenersi che tale argomento costituisca una nuova censura.

93      Occorre pertanto determinare se l’entrata in vigore, il 1º dicembre 2009, del Trattato sull’Unione europea, in particolare del suo articolo 6, che conferisce alla Carta il medesimo valore giuridico dei Trattati, costituisca un fatto nuovo tale da giustificare l’introduzione di nuove censure. Al riguardo, occorre osservare che, alla data di adozione della decisione [controversa], il principio di presunzione di innocenza faceva parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione ed era garantito da tale ordinamento, come principio generale del diritto dell’Unione, nei procedimenti relativi alle violazioni delle regole di concorrenza (…)».

16      Il Tribunale ne deduceva che la ricorrente non poteva invocare le modifiche apportate nell’ordinamento giuridico dell’Unione dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona per sostenere all’udienza che il principio di presunzione di innocenza era stato violato.

17      Quanto ai tre motivi di annullamento invocati nel ricorso, il Tribunale li respingeva in quanto infondati. Per quanto riguarda, in particolare, il primo capo del terzo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 81 CE, per il fatto che la Commissione avrebbe erroneamente imputato talune pratiche della ricorrente alla sua società controllante, vale a dire la Groupe Gascogne, il Tribunale ricordava innanzitutto, al punto 87 della sentenza impugnata, la giurisprudenza della Corte dalla quale emerge che, quando una società controllante detiene il 100% del capitale della sua controllata che ha commesso una violazione delle regole di concorrenza, sussiste la presunzione semplice in forza della quale detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante nei confronti della sua controllata. Il Tribunale statuiva quindi, al punto 88 di tale sentenza, che era pacifico che «la Groupe Gascogne [deteneva] la totalità del capitale della ricorrente, sicché la Commissione poteva presumere che la società controllante esercitava un’influenza determinante sulla controllata». Il Tribunale aggiungeva che la Commissione aveva inoltre precisato che «la Groupe Gascogne riceveva a cadenza mensile informazioni da parte della ricorrente, che quest’ultima era funzionalmente integrata nel settore “Pacchetti flessibili” del gruppo e che alcuni dirigenti del gruppo facevano parte del “Beirat”, il consiglio di vigilanza e di gestione della ricorrente». Dopo aver richiamato, al punto 89 della stessa sentenza, gli argomenti invocati da quest’ultima per confutare tali elementi, il Tribunale concludeva, al punto 90 della sentenza impugnata, che «[t]uttavia è giocoforza rilevare che questi elementi non sono idonei a confutare la presunzione secondo cui la Groupe Gascogne esercitava un’influenza determinante sulla ricorrente».

18      Per quanto riguarda il secondo capo del terzo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione non avrebbe rispettato il massimale del 10% del fatturato dell’impresa interessata nel calcolo della quota dell’ammenda inflitta per l’infrazione commessa tra il 9 febbraio 1988 e il 31 dicembre 1993, il Tribunale ai punti 108 e 109 della sentenza impugnata statuiva quanto segue:

«108 (…) nel caso in cui si proceda a una distinzione tra un primo periodo, per il quale la controllata è considerata unica responsabile per l’infrazione, e un secondo periodo, per il quale la controllante è considerata responsabile dell’infrazione in solido con la sua controllata, l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 non impone alla Commissione di verificare se la quota dell’ammenda per il cui pagamento la società controllante non è considerata responsabile in solido ecceda il 10% del fatturato della sola controllata. Il massimale previsto da tale disposizione mira unicamente a prevenire l’irrogazione di un’ammenda eccessiva rispetto alla dimensione complessiva che il soggetto economico possiede alla data di adozione della decisione. Il fatturato della società unica responsabile dell’infrazione, come registrato nel momento in cui l’infrazione viene commessa o l’ammenda viene inflitta, ha un’importanza limitata a questo riguardo.

109      La circostanza che la Commissione, nell’ambito della sua precedente prassi decisionale, abbia compiuto una diversa applicazione di tale disposizione, che è risultata vantaggiosa per la società in questione, è irrilevante sotto questo profilo. Come osserva la Commissione, è sufficiente rilevare, al riguardo, che essa non è vincolata dalla sua precedente prassi decisionale, in quanto quest’ultima non costituisce, in ogni caso, un contesto normativo ai fini del calcolo dell’importo delle ammende (…)».

19      Il Tribunale respingeva parimenti gli altri cinque motivi, dedotti in subordine, diretti alla riduzione dell’importo dell’ammenda. Per quanto riguarda, in particolare, il primo capo del quarto motivo, attinente alla circostanza che la Commissione avrebbe preso in considerazione, ai fini del calcolo dell’ammenda, l’incidenza concreta dell’infrazione sul mercato, ove questa non era misurabile, il Tribunale statuiva, al punto 117 della sentenza impugnata, che «come risulta dal tenore degli orientamenti [del 1998], l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato viene preso in considerazione, per valutare la gravità dell’infrazione, solo quando è misurabile». Al punto 118 di tale sentenza, il Tribunale, sulla base di detto rilievo, respingeva l’argomento della ricorrente secondo il quale esso avrebbe dovuto ridurre l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione quando l’impatto dell’infrazione sul mercato non era misurabile. In tale contesto, esso operava una distinzione tra la causa in oggetto e quella sfociata nella sua sentenza del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione (T‑279/02, Racc. pag. II‑897), invocata dalla ricorrente. A tal fine, rilevava, al punto 119 della sentenza medesima, che, «nel presente caso, la Commissione non sostiene di poter misurare l’impatto dell’infrazione sul mercato né la ricorrente ha presentato argomenti o ha prodotto elementi diretti a dimostrare che l’intesa non aveva in realtà prodotto alcun effetto e che, di conseguenza, non aveva avuto alcun impatto sul mercato».

20      In esito al suo esame dell’insieme dei motivi dedotti dalla ricorrente a sostegno del suo ricorso, il Tribunale respingeva quest’ultimo nella sua interezza.

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

21      La ricorrente chiede che la Corte voglia:

–        in via principale, annullare la sentenza impugnata e rinviare la causa dinanzi al Tribunale perché statuisca in ordine alle conseguenze finanziarie verificatesi in capo alla ricorrente in ragione del superamento, da parte del Tribunale, di una durata ragionevole del giudizio;

–        in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta dalla Commissione per tener conto di tali conseguenze finanziarie;

–        condannare la Commissione alle spese.

22      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione e

–        condannare la ricorrente alle spese.

23      Con lettera dell’11 settembre 2012 la ricorrente, sul fondamento dell’articolo 42, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura della Corte, nella versione applicabile in tale data, ha chiesto la riapertura della fase scritta del procedimento in esito al sopravvenire di un nuovo elemento, vale a dire la situazione finanziaria di grave disavanzo in cui si trova.

24      Ai sensi degli articoli 24 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e 61 del suo regolamento di procedura, la Corte ha invitato le parti, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea nonché gli Stati membri a rispondere a quesiti relativi ai criteri che consentono di valutare il carattere ragionevole della durata del procedimento dinanzi al Tribunale nonché alle misure idonee a porre rimedio alle conseguenze di una sua durata eccessiva.

 Sull’impugnazione

 Sul primo motivo

 Argomenti delle parti

25      Con il primo motivo la ricorrente fa valere che, non traendo le conseguenze dall’entrata in vigore, il 1º dicembre 2009, del Trattato di Lisbona e, segnatamente, dell’articolo 6 TUE, che conferisce alla Carta il medesimo valore giuridico dei trattati, il Tribunale è incorso in un errore di diritto. Esso non avrebbe riconosciuto la presenza di un elemento nuovo ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del suo regolamento di procedura e il fatto che tale circostanza autorizzava la ricorrente a far valere in corso di giudizio un motivo nuovo, relativo alla presunzione di innocenza garantita dall’articolo 48 della Carta. Secondo la ricorrente, infatti, la presunzione che consente di imputare alla società controllante che detiene il 100% del capitale di una controllata il comportamento anticoncorrenziale di quest’ultima costituisce una presunzione di colpevolezza incompatibile con la Carta.

26      La Commissione replica che questo motivo è troppo generico, in quanto non chiarisce la ragione per cui l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona costituirebbe un elemento di diritto nuovo, e che pertanto esso è infondato.

 Giudizio della Corte

27      In limine, occorre rilevare che, nell’impugnazione, la ricorrente non fa valere di aver fatto un qualsivoglia riferimento alla Carta nel suo atto introduttivo del giudizio.

28      Quanto alla questione se l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avrebbe dovuto essere considerata, come sostiene la ricorrente, come un elemento che sarebbe emerso durante il procedimento dinanzi al Tribunale e che, a tale titolo, avrebbe giustificato, conformemente all’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, la produzione di motivi nuovi, occorre ricordare che la Corte ha già avuto modo di statuire che tale entrata in vigore, che comporta l’inclusione della Carta nel diritto primario dell’Unione, non può essere considerata come un elemento di diritto nuovo ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 2, primo comma, del suo regolamento di procedura. In tale contesto, la Corte ha sottolineato che, anche precedentemente all’entrata in vigore di detto Trattato, essa aveva già più volte affermato che il diritto ad un equo processo, quale discende, segnatamente, dall’articolo 6 della CEDU, costituisce un diritto fondamentale che l’Unione europea rispetta quale principio generale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, UE (v., segnatamente, sentenza del 3 maggio 2012, Legris Industries/Commissione, C‑289/11 P, punto 36).

29      Tale interpretazione data dalla Corte per l’applicazione del suo regolamento di procedura vale mutatis mutandis per l’applicazione delle corrispondenti disposizioni del regolamento di procedura del Tribunale.

30      In ogni caso, la giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha confermato che la presunzione secondo la quale una società controllante che detenga totalmente o quasi totalmente il capitale della sua controllata esercita effettivamente un’influenza determinante su quest’ultima non è incompatibile con il principio di presunzione di innocenza (v., in tal senso, sentenze del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a., C‑628/10 P e C‑14/11 P, punti 46, 47, 108 e 113, nonché del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, punti da 108 a 111 e la giurisprudenza ivi citata).

31      Di conseguenza, il primo motivo dedotto dalla ricorrente a sostegno della sua impugnazione dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo

32      Il secondo motivo di ricorso si articola in due capi. Il primo attiene alla violazione da parte del Tribunale del suo obbligo di motivare la sentenza quanto al rigetto degli argomenti invocati dalla ricorrente per dimostrare la propria autonomia commerciale. Il secondo capo è relativo a un errore di diritto in cui il Tribunale sarebbe incorso omettendo di sanzionare un difetto di motivazione della decisione controversa quanto al calcolo del massimale dell’ammenda inflitta.

 Sul primo capo del secondo motivo

–       Argomenti delle parti

33      La ricorrente rileva che, al punto 89 della sentenza impugnata, il Tribunale si riferisce a diversi elementi che essa aveva invocato per acclarare che la Groupe Gascogne non esercitava un controllo effettivo sulla sua politica commerciale. Orbene, al punto 90 di detta sentenza, il Tribunale si sarebbe limitato a respingere tali elementi in modo lapidario, facendo uso della formula stereotipata «[t]uttavia è giocoforza rilevare», senza verificare ciascuno di essi né indicare le ragioni per le quali essi non erano sufficientemente probanti. Così facendo il Tribunale avrebbe violato l’obbligo di motivazione ad esso incombente in forza di una consolidata giurisprudenza.

34      La Commissione replica che l’obbligo del Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che implica che esso sia tenuto a rispondere in modo dettagliato a ciascun argomento fatto valere da una parte, in particolare nel caso in cui tale argomento non presenti un carattere sufficientemente chiaro e preciso, il che si sarebbe verificato riguardo alle considerazioni sollevate dalla ricorrente dinanzi al Tribunale.

–       Giudizio della Corte

35      Secondo costante giurisprudenza della Corte, l’obbligo di motivare le sentenze, che incombe al Tribunale ai sensi degli articoli 36 e 53, primo comma, dello Statuto della Corte, non impone a tale giudice di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia. La motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni sulle quali si fonda la sentenza impugnata ed alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo nell’ambito di un’impugnazione (v., segnatamente, sentenza Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a., cit., punto 64).

36      Nella specie, il Tribunale ha ripreso, ai punti da 78 a 82 della sentenza impugnata, l’argomentazione svolta dalla ricorrente secondo la quale spetterebbe alla Commissione, per poter imputare le pratiche di una controllata alla sua controllante, dimostrare l’esistenza di una determinazione effettiva, da parte di quest’ultima, del comportamento della controllata sul mercato, ciò che nella specie detta istituzione non avrebbe fatto.

37      In risposta a tale argomentazione, il Tribunale ha anzitutto ricordato, al punto 87 della sentenza impugnata, la costante giurisprudenza della Corte dalla quale emerge che, quando una società controllante detiene il 100% del capitale della sua controllata che ha commesso una violazione delle regole di concorrenza, sussiste la presunzione semplice in forza della quale detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante nei confronti della sua controllata.

38      Il Tribunale ha quindi rilevato che la ricorrente era controllata al 100% dalla Groupe Gascogne, il che era sufficiente per giustificare l’applicazione della summenzionata presunzione. Esso ha parimenti indicato taluni indizi supplementari attestati dalla Commissione in tale contesto.

39      Dopo aver elencato, al punto 89 della sentenza impugnata, gli argomenti concreti invocati dalla ricorrente per dimostrare la propria autonomia, il Tribunale ha espressamente affermato, al punto 90 della stessa sentenza, che essi non erano idonei a confutare la presunzione secondo cui la Groupe Gascogne esercitava un’influenza determinante sulla ricorrente. Al riguardo, il Tribunale ha rilevato che quest’ultima si limitava a semplici affermazioni e non produceva alcun elemento di prova a sostegno di esse.

40      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle conclusioni, se è pur vero che il Tribunale non ha fatto espressamente riferimento all’obbligo incombente alla ricorrente di confutare la presunzione ricordata al punto 87 della sentenza impugnata, il nesso logico seguito nei punti da 88 a 90 della sentenza stessa riproduce in termini chiari e non equivoci le fasi del ragionamento seguito dal Tribunale per respingere gli elementi prodotti dalla ricorrente.

41      In questo contesto, la motivazione seguita dal Tribunale ai punti da 87 a 90 della sentenza impugnata è sufficiente per consentire alla ricorrente di conoscere le ragioni sulle quali si fonda tale sentenza ed alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo nell’ambito di un’impugnazione.

42      Il primo capo del secondo motivo deve pertanto essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo capo del secondo motivo

–       Argomenti delle parti

43      La ricorrente ricorda che, dinanzi al Tribunale, essa aveva contestato l’importo di EUR 3,3 milioni che solo essa deve liquidare a titolo di ammenda e che corrisponde al periodo compreso tra il 9 febbraio 1988 e il 31 dicembre 1993, durante il quale essa non era detenuta dalla Groupe Gascogne, facendo valere che tale importo eccede il massimale del 10% del fatturato realizzato dall’impresa interessata nel corso del precedente esercizio sociale, quale previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. La ricorrente si fondava, al riguardo, sulla decisione C(2003) 4570 def. della Commissione, del 10 dicembre 2003, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-2/37.857 –– Perossidi organici), una sintesi della quale è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30 aprile 2005 (GU L 110, pag. 44; in prosieguo: la «decisione “perossidi organici”»), dalla quale risulterebbe che, quando la Commissione opera una distinzione tra il periodo per il quale soltanto una società è responsabile delle sue pratiche e quello per il quale la società controllante che ne ha acquisito il controllo diventa responsabile delle pratiche della sua controllata, il massimale del 10% del fatturato realizzato nel corso dell’ultimo esercizio sociale deve essere valutato separatamente per le due società.

44      Nella sua impugnazione la ricorrente sostiene che, essendosi limitato a statuire, al punto 109 della sentenza impugnata, che la Commissione non è vincolata dalla sua precedente prassi decisionale, il Tribunale è incorso in un errore di diritto. Quest’ultimo, infatti, avrebbe dovuto sanzionare la Commissione per aver modificato la sua pratica senza aver motivato in termini circostanziati e non equivoci un tale cambiamento di approccio. La ricorrente si fonda al riguardo sulla sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, Racc. pag. I‑8947, punto 167).

45      Secondo la Commissione, il semplice fatto che, in una precedente decisione, essa abbia potuto seguire un altro approccio non si risolve «nell’istaurazione di una pratica consueta». La situazione in cui è sorta la presente controversia sarebbe del tutto diversa da quella sfociata nella sentenza invocata dalla ricorrente, nella quale la Corte si sarebbe fondata su circostanze eccezionali (sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit., punti 165 e 167).

–       Giudizio della Corte

46      In limine, occorre ricordare che l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296, secondo comma, TFUE costituisce una forma sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, che attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso (v., in particolare, sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit., punto 146 e la giurisprudenza ivi citata).

47      Nella specie, la ricorrente ha contestato dinanzi al Tribunale la fondatezza del metodo utilizzato dalla Commissione nella decisione controversa per calcolare l’importo dell’ammenda di cui essa soltanto doveva assicurare il pagamento. Per fondare la propria argomentazione, essa si è riferita alla decisione «perossidi organici», senza mettere in discussione l’adeguatezza della motivazione della decisione controversa su tale punto.

48      Ai punti 107 e 108 della sentenza impugnata il Tribunale ha esaminato, alla luce dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la fondatezza del metodo utilizzato dalla Commissione e ha respinto l’argomentazione della ricorrente nel merito.

49      È solo a titolo complementare che il Tribunale ha indicato, al punto 109 della sentenza impugnata, che la circostanza che la Commissione, nella sua precedente pratica decisionale, abbia compiuto una diversa applicazione di detto articolo 23, paragrafo 2, che si è rivelata vantaggiosa nei confronti della società in questione, non influiva quanto all’interpretazione da dare, a suo avviso, a detta disposizione.

50      Orbene, il secondo capo del secondo motivo non contiene alcuna censura dell’analisi giuridica svolta dal Tribunale ai punti 107 e 108 della sentenza impugnata, ma riguarda l’errore di diritto in cui detto giudice sarebbe incorso al punto 109 di detta sentenza non avendo sanzionato l’insufficienza della motivazione della decisione controversa sotto il profilo della divergenza che essa presenta rispetto alla decisione «perossidi organici».

51      Detto capo introduce in tal modo un motivo nuovo, che consiste nella contestazione dell’adeguatezza della motivazione della decisione controversa quanto al metodo di calcolo utilizzato dalla Commissione per determinare il massimale ex lege del 10%.

52      Ne consegue che detto argomento deve essere dichiarato irricevibile, dal momento che, in sede di impugnazione, la competenza della Corte è limitata, in linea di principio, alla valutazione della soluzione di diritto che è stata fornita a fronte dei motivi discussi dinanzi al giudice di merito.

53      La ricorrente non può peraltro sostenere, come ha fatto all’udienza, che il secondo capo del secondo motivo è relativo ad un errore di diritto nel quale il Tribunale sarebbe incorso nell’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

54      Infatti, nell’impugnazione, tale capo del motivo attiene espressamente a un «difetto di motivazione». Peraltro, nella sua argomentazione, la ricorrente si riferisce solo al punto 109 della sentenza impugnata, che si limita a ricordare che la Commissione non è vincolata dalla sua precedente pratica decisionale e che non contiene alcuna interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

55      Tenuto conto di quanto precede, il secondo capo del secondo motivo non può essere accolto. Pertanto, questo motivo deve essere respinto nella sua totalità.

 Sul terzo motivo

 Argomenti delle parti

56      Con il primo capo del terzo motivo, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha omesso di rilevare la violazione commessa, a suo avviso, dalla Commissione riguardo al suo obbligo di motivare la decisione controversa quanto all’impatto concreto dell’infrazione sul mercato.

57      La ricorrente riconosce che, secondo gli orientamenti del 1998, quali interpretati dalla Corte, la Commissione non è tenuta a dimostrare un impatto concreto sul mercato quando l’infrazione è qualificata, come nella specie, molto grave e ricorda che la considerazione di un siffatto elemento supplementare consente tuttavia alla Commissione di aumentare l’importo di base dell’ammenda.

58      Orbene, la motivazione della decisione controversa sarebbe equivoca sotto tale profilo. Dedicandosi all’analisi dell’impatto dell’infrazione, mentre non era tenuta a farlo, la Commissione avrebbe ingenerato il dubbio se tale criterio fosse stato preso in considerazione o meno per aumentare l’importo di base dell’ammenda. Inoltre, la confusione sarebbe stata aggravata dalla circostanza che la Commissione ha considerato, da una parte, che l’impatto sul mercato non era misurabile e, dall’altra, che tale impatto poteva necessariamente essere dedotto dall’attuazione di accordi collusivi. In tal modo si sarebbe impedito alla ricorrente di preparare utilmente la propria difesa. Il Tribunale, senza aver controllato la motivazione della decisione controversa, avrebbe fornito, dal canto suo, una motivazione illogica e inadeguata.

59      Con il secondo capo del terzo motivo la ricorrente censura il Tribunale per non aver sanzionato l’errore di diritto in cui era incorsa la Commissione nel dedurre l’esistenza di un impatto concreto sul mercato unicamente dall’attuazione di accordi collusivi, senza fornire, come esige la giurisprudenza, indizi concreti, credibili e sufficienti.

60      Secondo la Commissione, questo motivo è irricevibile in entrambi i suoi capi, dal momento che non è stato sollevato in primo grado. Dinanzi al Tribunale, infatti, la ricorrente avrebbe solo fatto valere che, dal momento che la sua partecipazione all’infrazione era stata limitata, il suo impatto, del pari, sarebbe stato ridotto.

 Giudizio della Corte

61      Per valutare la ricevibilità del terzo motivo di impugnazione, occorre ricordare l’argomentazione sollevata dalla ricorrente in primo grado quanto alla questione dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato.

62      Tale questione è stata affrontata dinanzi al Tribunale nel contesto del quarto motivo, invocato ai fini della riduzione dell’ammenda e attinente all’asserito errore di valutazione della Commissione quanto alla gravità dell’infrazione. Come risulta dai punti da 113 a 115 della sentenza impugnata, la ricorrente ha contestato alla Commissione, in primo luogo, di aver considerato, in violazione degli orientamenti del 1998, che per stabilire la gravità dell’infrazione non era necessario che fosse possibile misurarne l’impatto. In secondo luogo, essa ha rilevato che la Commissione aveva tuttavia tentato di dimostrare gli effetti concreti dell’intesa indicando un certo numero di pratiche nelle quali essa sosteneva di non essere stata coinvolta, il che, a suo avviso, doveva essere tenuto in considerazione nella valutazione della gravità dell’infrazione che le veniva imputata. In terzo luogo, la ricorrente ha fatto valere che la stessa Commissione aveva riconosciuto che non era possibile misurare con precisione l’impatto concreto dell’infrazione, il che, a suo avviso, giustificava una riduzione dell’ammenda.

63      Risulta così che l’argomentazione che la ricorrente, nel primo capo del terzo motivo della sua impugnazione, trae dall’asserito difetto di motivazione della decisione controversa è nuova, dal momento che essa non ha attestato, in primo grado, le difficoltà relative alla comprensione di tale decisione né alla presentazione della sua difesa.

64      Per i motivi ricordati supra, al punto 52, detto capo del motivo deve pertanto essere respinto in quanto irricevibile.

65      Quanto al secondo capo del terzo motivo, relativo all’omessa rilevazione, da parte del Tribunale di un preteso errore di diritto commesso dalla Commissione nella valutazione dell’esistenza di un impatto sul mercato, è sufficiente constatare che, alla luce dell’argomentazione svolta dalla ricorrente in primo grado, quale ricordata supra, al punto 62, esso deve parimenti essere considerato nuovo. A tale titolo, per gli stessi motivi esposti supra, al punto 52, esso è irricevibile.

66      Dato che nessuno dei due capi del terzo motivo, invocato a sostegno dell’impugnazione, può essere accolto, tale motivo deve essere respinto.

 Sul quarto motivo

 Argomenti delle parti

67      Con questo motivo, la ricorrente sostiene che il suo diritto fondamentale alla decisione della causa entro un termine ragionevole, sancito dall’articolo 6 della CEDU, è stato violato nella specie.

68      La ricorrente ricorda che il procedimento seguito dinanzi al Tribunale è iniziato il 23 febbraio 2006 e si è concluso il 16 novembre 2011 e sottolinea che, tra la chiusura della fase scritta del procedimento e la prima informazione che ha ricevuto quanto allo stato degli atti, è trascorso un lungo periodo di inerzia del Tribunale.

69      A suo avviso, né la complessità né il volume del fascicolo né il numero di imprese o il numero di lingue processuali in questione potevano giustificare la completa assenza di trattazione della causa da parte del Tribunale durante detto periodo.

70      La ricorrente fa valere che, quando ha proposto dinanzi al Tribunale il suo ricorso avverso la decisione controversa, ha scelto di non versare immediatamente l’ammenda inflitta e ha dovuto, per contro, accettare di versare gli interessi sull’importo dell’ammenda nonché di costituire una garanzia bancaria. L’eccessiva durata del procedimento avrebbe prodotto, quale conseguenza, un aumento delle spese relative a tali operazioni.

71      La ricorrente chiede quindi alla Corte di annullare la sentenza impugnata o, in subordine, di ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta per tener conto di tali conseguenze finanziarie, prendendo in considerazione l’onere finanziario che ha dovuto sostenere in ragione della violazione del suo diritto al rispetto di un termine ragionevole.

72      In limine, la Commissione fa valere che tale motivo è irricevibile in quanto non è stato sollevato all’udienza dinanzi al Tribunale.

73      Nel merito, la Commissione ritiene che, nell’ipotesi di un superamento di una durata ragionevole nel contesto di un ricorso giurisdizionale avverso una decisione che infligge un’ammenda a un’impresa per violazione delle regole relative alla concorrenza, il rimedio adeguato non dovrebbe consistere nella riduzione dell’ammenda inflitta, bensì in un ricorso per risarcimento danni. In subordine, la Commissione rileva che, se la Corte dovesse statuire che si è verificata una violazione del principio della durata ragionevole e che il relativo rimedio consiste in una riduzione dell’ammenda, tale riduzione dovrebbe essere simbolica.

 Giudizio della Corte

–       Sulla ricevibilità

74      Come risulta dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte e dalla giurisprudenza di quest’ultima, la Corte è competente, nell’ambito di un’impugnazione, a controllare se il Tribunale sia incorso in vizi procedurali lesivi per gli interessi della parte ricorrente (v., segnatamente, sentenza del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, C‑385/07 P, Racc. pag. I‑6155, punto 176).

75      Quanto all’irregolarità invocata nel contesto del presente motivo, occorre ricordare che, indipendentemente dal fatto che la ricorrente si riferisca all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, l’articolo 47, secondo comma, della Carta, che corrisponde a detta disposizione della CEDU, prevede che «[o]gni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge». Come la Corte ha più volte dichiarato, tale articolo è afferente al principio di tutela giurisdizionale effettiva (v., segnatamente, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 179 e la giurisprudenza ivi citata).

76      In questo senso, un tale diritto si applica nell’ambito di un ricorso giurisdizionale avverso una decisione della Commissione (v., segnatamente, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 178 e la giurisprudenza ivi citata).

77      Ancorché focalizzi le sue critiche principalmente sul periodo di inerzia procedurale del Tribunale, che è durato dalla fine della fase scritta del procedimento all’inizio della fase orale, la ricorrente non ha invocato la violazione di tale diritto all’udienza dinanzi a detto giudice.

78      Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, una siffatta omissione non può comportare l’irricevibilità del quarto motivo, in quanto dedotto per la prima volta nell’ambito dell’impugnazione. Infatti, se una parte deve poter sollevare una irregolarità processuale ove ritenga che sia dimostrata la violazione delle norme applicabili, essa non può essere tenuta a farlo in una fase in cui tutti gli effetti di detta violazione non sono ancora conosciuti. Per quanto riguarda, in particolare, il superamento da parte del Tribunale di una durata ragionevole del procedimento, la parte ricorrente che ritiene che tale superamento dinanzi al Tribunale leda i suoi interessi non è tenuta a far valere immediatamente questa lesione. Eventualmente, può attendere l’esito del procedimento per conoscerne la durata complessiva e disporre in tal modo di tutti gli elementi necessari per identificare la lesione che ritiene di aver subito.

79      Il quarto motivo invocato dalla ricorrente a sostegno della sua impugnazione è dunque ricevibile.

–       Nel merito

80      In limine, occorre ricordare che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto irregolarità procedurale costitutiva della violazione di un diritto fondamentale, il superamento di una durata ragionevole del procedimento deve consentire alla parte interessata un ricorso effettivo che le offra un adeguato risarcimento (v. Corte eur. D.U., sentenza Kudla c. Polonia del 26 ottobre 2000, Recueil des arrȇts et décisions 2000 XI, § 156 e 157).

81      Se è vero che la ricorrente chiede l’annullamento della sentenza impugnata e, in subordine, la riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta, occorre rilevare che la Corte ha già statuito che, in mancanza di indizi secondo i quali la durata eccessiva del procedimento dinanzi al Tribunale avrebbe avuto un’incidenza sulla soluzione della controversia, il mancato rispetto di una durata ragionevole del procedimento non può comportare l’annullamento della sentenza impugnata (v., in tal senso, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punti 190 e 196, nonché la giurisprudenza ivi citata).

82      Tale giurisprudenza si fonda, in particolare, sulla considerazione secondo cui, se il mancato rispetto di una durata ragionevole del procedimento non ha avuto un’incidenza sulla soluzione della controversia, l’annullamento della sentenza impugnata non porrebbe rimedio alla violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva commessa dal Tribunale (sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 193).

83      Nella specie, la ricorrente non ha fornito alla Corte alcun indizio in base al quale il mancato rispetto, da parte del Tribunale, di una durata ragionevole del procedimento avrebbe potuto avere un’incidenza sulla soluzione della controversia che quest’ultimo era chiamato a decidere.

84      Inoltre, tenuto conto della necessità di far rispettare le regole di concorrenza del diritto dell’Unione, la Corte, per il solo motivo del mancato rispetto di una durata ragionevole del procedimento, non può consentire alla parte ricorrente di rimettere in discussione la fondatezza o l’importo di un’ammenda quando tutti i suoi motivi rivolti contro le constatazioni effettuate dal Tribunale in merito all’importo di tale ammenda e ai comportamenti che essa sanziona sono stati respinti (v., in tal senso, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 194).

85      Ne consegue che, contrariamente a quanto domanda la ricorrente, il quarto motivo non può portare, di per sé, all’annullamento della sentenza impugnata nella sua interezza.

86      Quanto alla richiesta della ricorrente di ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta in modo tale da tener conto delle conseguenze finanziarie derivate nei suoi confronti dall’eccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale, occorre ricordare che, in un primo momento, la Corte, di fronte ad una questione simile, ha accolto una siffatta domanda per ragioni di economia processuale e al fine di garantire un rimedio immediato ed effettivo a tale vizio procedurale ed ha, quindi, effettuato la riduzione dell’importo dell’ammenda (sentenza del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 48).

87      Successivamente la Corte, nel contesto di una causa relativa ad una decisione della Commissione che accertava l’esistenza di un abuso di posizione dominante, senza peraltro infliggere un’ammenda, ha dichiarato che il mancato rispetto da parte del Tribunale di una durata ragionevole del procedimento può dar luogo ad una domanda di risarcimento danni (sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 195).

88      Certo, la presente controversia riguarda una situazione analoga a quella sfociata nella summenzionata sentenza Baustahlgewebe/Commissione. Tuttavia, una domanda di risarcimento presentata contro l’Unione sulla base degli articoli 268 TFUE e 340, secondo comma, TFUE costituisce, in quanto può ricomprendere tutte le situazioni di superamento di un termine ragionevole nel contesto di un procedimento, un rimedio effettivo e di applicazione generale per far valere e sanzionare tale violazione.

89      La Corte, pertanto, statuisce che la violazione da parte di un giudice dell’Unione del suo obbligo, derivante dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, di decidere le controversie ad esso sottoposte entro un termine ragionevole deve essere sanzionata in un ricorso per risarcimento danni presentato dinanzi al Tribunale, ricorso che costituisce un rimedio effettivo.

90      Ne consegue che la domanda intesa ad ottenere il risarcimento del danno causato dalla violazione, da parte del Tribunale, del termine ragionevole del procedimento non può essere presentata direttamente alla Corte nel contesto di un’impugnazione, ma deve essere proposta dinanzi al Tribunale stesso.

91      Per quanto riguarda i criteri che consentono di valutare se il Tribunale ha rispettato il principio della durata ragionevole, occorre ricordare che la ragionevolezza della durata del procedimento deve essere valutata alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso di specie, quali la complessità della controversia e il comportamento delle parti (v., segnatamente, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 181 e la giurisprudenza ivi citata).

92      A tale riguardo la Corte ha precisato che l’elencazione dei criteri pertinenti non è esaustiva e la valutazione della ragionevolezza di detto termine non richiede un esame sistematico delle circostanze del caso di cui trattasi alla luce di ciascuno dei detti criteri quando la durata del procedimento appaia giustificata alla luce di uno solo di essi. Pertanto, la complessità del caso, o un comportamento dilatorio del ricorrente, può considerarsi valida giustificazione di una durata prima facie troppo lunga (v., segnatamente, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 182 e la giurisprudenza ivi citata).

93      Nell’esame di tali criteri occorre tener conto del fatto che, in caso di controversia sull’esistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza, il precetto fondamentale della certezza del diritto, sulla quale gli operatori economici debbono poter contare, nonché l’obiettivo di garantire che la concorrenza non sia falsata sul mercato interno presentano un rilevante interesse non solo per il ricorrente stesso e per i suoi concorrenti, bensì anche per i terzi, in ragione del vasto numero di persone interessate e degli interessi economici in gioco (v., segnatamente, sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, cit., punto 186 e la giurisprudenza citata).

94      Spetterà parimenti al Tribunale valutare tanto la materialità del danno invocato quanto il suo nesso causale con l’eccessiva durata del procedimento giurisdizionale controverso procedendo all’esame degli elementi di prova forniti a tal fine.

95      Al riguardo, occorre sottolineare che, nell’ipotesi di un ricorso per risarcimento danni fondato sulla violazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 47, secondo comma, della Carta per non aver rispettato i requisiti connessi con il rispetto del termine ragionevole, spetta al Tribunale, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, prendere in considerazione i principi generali applicabili negli ordinamenti giuridici degli Stati membri per decidere i ricorsi fondati su siffatte violazioni. In tale contesto, il Tribunale deve esaminare, in particolare, se sia possibile identificare, oltre all’esistenza di un danno materiale, quella di un danno immateriale che sarebbe stato subito dalla parte lesa a causa del superamento del termine e che dovrebbe, eventualmente, essere oggetto di adeguato risarcimento.

96      Spetta pertanto al Tribunale, competente ai sensi dell’articolo 256, paragrafo 1, TFUE, pronunciarsi su tali domande risarcitorie, decidendo in una composizione diversa da quella che si è trovata a decidere la controversia sfociata nel procedimento la cui durata è contestata e applicando i criteri definiti ai punti da 91 a 95 della presente sentenza.

97      Così stando le cose, è giocoforza rilevare che la durata del procedimento dinanzi al Tribunale, di quasi 5 anni e 9 mesi, non può trovare giustificazione in alcuna delle circostanze della fattispecie oggetto della presente controversia.

98      Risulta, in particolare, che il periodo compreso tra la fine della fase scritta del procedimento, con il deposito, nel febbraio 2007, della controreplica della Commissione, e l’apertura, nel dicembre 2010, della fase orale del procedimento è durato circa 3 anni e 10 mesi. La lunghezza di questo periodo non può spiegarsi con le circostanze del caso, che si tratti della complessità della controversia, del comportamento delle parti oppure del sopravvenire di incidenti procedurali.

99      Quanto alla complessità della controversia, emerge dall’esame del ricorso proposto dalla ricorrente, quale sintetizzato supra ai punti 12 e 13, che, pur richiedendo un esame approfondito, i motivi invocati non presentavano un livello di difficoltà particolarmente elevato. Se è pur vero che circa quindici destinatari della decisione controversa hanno proposto ricorso di annullamento avverso detta decisione dinanzi al Tribunale, tale circostanza non ha potuto impedire a detto giudice di compiere una sintesi del fascicolo e di preparare la fase orale del procedimento entro un lasso di tempo inferiore a 3 anni e 10 mesi.

100    Occorre sottolineare che, nel corso di detto lasso di tempo, il procedimento non è stato interrotto né ritardato dall’adozione da parte del Tribunale di qualsivoglia misura di organizzazione del procedimento.

101    Quanto al comportamento delle parti e al sopravvenire di incidenti procedurali, il fatto che la ricorrente abbia chiesto, nell’ottobre 2010, la riapertura della fase scritta del procedimento non può giustificare il periodo di 3 anni e 8 mesi, che era già trascorso dalla chiusura di detta fase. Peraltro, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 134 delle conclusioni, la circostanza che nel dicembre 2010 sia stata notificata alla ricorrente la fissazione di un’udienza durante il mese di febbraio 2011 indica che tale incidente aveva inciso solo in misura trascurabile sulla durata complessiva del procedimento, se non è addirittura rimasto privo di incidenza su di esso.

102    Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre dichiarare che il procedimento seguito dinanzi al Tribunale ha violato l’articolo 47, secondo comma, della Carta in quanto ha disatteso i requisiti connessi con il rispetto del termine ragionevole, il che costituisce una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (sentenza del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione, C‑352/98 P, Racc. pag. I‑5291, punto 42).

103    Risulta tuttavia dalle considerazioni esposte supra, ai punti da 81 a 90, che il quarto motivo deve essere respinto.

 Sulla situazione finanziaria della ricorrente

104    All’udienza, la ricorrente ha presentato alla Corte alcune informazioni in ordine alla sua situazione finanziaria attuale, da cui risulterebbe che essa non è in grado di liquidare l’ammenda inflitta nella decisione controversa. A suo avviso, gli argomenti relativi a tali evoluzioni sono ricevibili in quanto connessi al sopravvenire di un fatto nuovo ai sensi dell’articolo 127 del regolamento di procedura, da una parte, e in quanto costituiscono un ampliamento del quarto motivo attinente alla violazione del principio della durata ragionevole, dall’altra.

105    La Commissione fa valere che tali argomenti sono irricevibili in quanto nuovi e, in ogni caso, infondati in quanto non supportati da elementi di prova.

106    Al riguardo, occorre ricordare che le impugnazioni dinanzi alla Corte sono limitate ai motivi di diritto. Orbene, ai fini della valutazione della capacità della ricorrente di liquidare l’ammenda inflittale dalla Commissione, la Corte dovrebbe esaminare questioni di fatto su cui non ha competenza in sede di impugnazione.

107    Inoltre, alla Corte non spetta neppure, nell’ambito di un giudizio di impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la propria valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale estesa anche al merito, sull’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa per la violazione, da parte di detta impresa, delle norme del diritto dell’Unione (v., segnatamente, sentenza del 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, C‑328/05 P, Racc. pag. I‑3921, punto 98 e la giurisprudenza ivi citata). A ciò si aggiunge che, secondo costante giurisprudenza, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’importo di siffatta ammenda, a prendere in considerazione la situazione economica dell’impresa interessata, dal momento che il riconoscimento di un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno adattate alle condizioni del mercato (v., segnatamente, sentenza SGL Carbon/Commissione, cit., punto 100 e la giurisprudenza ivi citata).

108    Gli argomenti dedotti dalla ricorrente relativi alla sua situazione finanziaria devono pertanto essere respinti in quanto irricevibili e, in ogni caso, infondati.

109    Occorre tuttavia aggiungere che la ricorrente, ove ritenga che le sue difficoltà finanziarie presentino un nesso causale con la violazione da parte del Tribunale, del principio della durata ragionevole del procedimento, può ben farle valere nell’ambito di un ricorso proposto dinanzi al Tribunale ai sensi degli articoli 268 e 340, secondo comma, TFUE (v. punti da 94 a 96 della presente sentenza).

110    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che nessuno dei motivi dedotti dalla ricorrente a sostegno del suo ricorso può essere accolto e, di conseguenza, il ricorso va respinto in toto.

 Sulle spese

111    A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

112    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, che si applica al procedimento d’impugnazione a norma dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata a sostenere, oltre alle proprie spese, quelle sopportate dalla Commissione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Gascogne Sack Deutschland GmbH è condannata alle spese della presente impugnazione.

Firme


* Lingua processuale: il francese.