Language of document : ECLI:EU:C:2012:95

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 16 febbraio 2012(1)

Causa C‑100/11 P

Helena Rubinstein SNC

e

L’Oréal SA

contro

UAMI

«Impugnazione – Marchio comunitario – Marchio che gode di rinomanza ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 – Condizioni per la tutela – Procedimento di nullità – Regola 38 del regolamento n. 2868/95 – Obbligo di produrre i documenti a fondamento della domanda di nullità nella lingua di procedura – Decisioni delle commissioni di ricorso dell’UAMI – Controllo giurisdizionale (articolo 63 del regolamento n. 40/94) – Obbligo di motivazione (articolo 73 del regolamento n. 40/94)»





1.        Il presente giudizio ha ad oggetto l’impugnazione promossa da Helena Rubinstein SNC e L’Oréal SA (in prosieguo: «Helena Rubinstein» e «L’Oréal» e, collettivamente: le «ricorrenti») avverso la sentenza con cui il Tribunale ha respinto i ricorsi promossi da queste ultime contro le decisioni della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) che hanno dichiarato la nullità dei marchi comunitari di loro proprietà BOTOLIST e BOTOCYL.

I –    Gli antecedenti della controversia, il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

2.        I fatti e il procedimento dinanzi all’UAMI, come descritti nella sentenza impugnata, sono riportati in forma succinta qui di seguito.

3.        Rispettivamente il 6 maggio 2002 e il 9 luglio 2002 Helena Rubinstein e L’Oréal, hanno depositato presso l’UAMI una richiesta di registrazione di marchio comunitario in virtù del regolamento n. 40/94 e successive modifiche (2). Esse chiedevano la registrazione dei segni verbali BOTOLIST (Helena Rubinstein) e BOTOCYL (L’Oréal) per prodotti rientranti nella classe 3 ai sensi dell’accordo di Nizza (3), tra cui, in particolare, prodotti a uso cosmetico quali creme, latti, lozioni, gel e polveri per il viso, il corpo e le mani. I marchi comunitari BOTOLIST e BOTOCYL sono stati registrati rispettivamente il 19 novembre 2003 e il 14 ottobre 2003. Il 2 febbraio 2005 Allergan, Inc. (in prosieguo: «Allergan») ha introdotto dinanzi all’UAMI, per ciascuno dei suddetti marchi, una domanda di nullità fondata su diversi marchi anteriori, figurativi e verbali, comunitari e nazionali, aventi ad oggetto il segno BOTOX e registrati tra il 12 aprile 1991 e il 7 agosto 2003, segnatamente per prodotti della classe 5 dell’accordo di Nizza, tra cui, per quanto qui rileva, prodotti farmaceutici per il trattamento delle rughe. Le domande si fondavano sull’articolo 52, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94 in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 8, paragrafi 4 e 5, di tale regolamento. Con decisioni datate 28 marzo 2007 (BOTOLIST) e 4 aprile 2007 (BOTOCYL) la divisione d’annullamento dell’UAMI ha respinto le domande di nullità. Il 1° giugno 2007 Allergan ha impugnato tali decisioni in forza degli articoli 57‑62 del regolamento n. 40/94. Con decisioni del 28 maggio 2008 (BOTOLIST) e del 5 giugno 2008 (BOTOCYL) la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha accolto i ricorsi di Allergan nella parte in cui si fondavano sull’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 (in prosieguo: le «decisioni contestate»).

4.        Helena Rubinstein e L’Oréal hanno impugnato le suddette decisioni dinanzi al Tribunale, chiedendone l’annullamento. A sostegno dei loro ricorsi, esse invocavano due motivi, relativi, il primo, a una violazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 e il secondo a una violazione dell’articolo 73 del medesimo regolamento. L’UAMI ha depositato una memoria di risposta in entrambi i procedimenti, chiedendo il rigetto dei ricorsi e la condanna delle ricorrenti alle spese. Allergan non si è costituita in giudizio.

5.        Il Tribunale ha proceduto alla riunione dei procedimenti e, con sentenza datata 16 dicembre 2010 (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), ha respinto entrambi i ricorsi e ha condannato le ricorrenti alle spese (4). La sentenza impugnata è stata notificata, oltre che alle ricorrenti e all’UAMI, anche ad Allergan.

II – Procedimento dinanzi alla Corte

6.        Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 2 marzo 2011, Helena Rubinstein e L’Oréal hanno impugnato la predetta sentenza. L’impugnazione è stata notificata all’UAMI e ad Allergan che, nelle rispettive memorie di risposta, ne hanno chiesto il rigetto congiuntamente alla condanna delle ricorrenti alle spese. I rappresentanti delle ricorrenti e di Allergan nonché l’agente dell’UAMI sono stati sentiti all’udienza dell’11 gennaio 2012.

III – Sull’impugnazione

7.        A sostegno della loro impugnazione le ricorrenti invocano quattro motivi. Con il primo motivo esse contestano una violazione dell’articolo 52, paragrafo 1, del regolamento n. 40/94 in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 5, del medesimo regolamento. Con il secondo motivo d’impugnazione esse contestano una violazione dell’articolo 115 del regolamento n. 40/94 e della regola 38, paragrafo 2, del regolamento n. 2868/95. Il terzo motivo è relativo ad una violazione dell’articolo 63 del regolamento n. 40/94. Infine, con il quarto motivo d’impugnazione, le ricorrenti invocano una violazione dell’articolo 73 del regolamento n. 40/94.

A –     Sul primo motivo d’impugnazione, relativo a una violazione del combinato disposto degli articoli 8, paragrafo 5, e 52 del regolamento n. 40/94

8.        L’articolo 52 del regolamento n. 40/94, intitolato «Cause di nullità relativa», prevede, al paragrafo 1, lettera a), che «su domanda presentata all’Ufficio (…) il marchio comunitario è dichiarato nullo (…) allorché esiste un marchio anteriore ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, e ricorrono le condizioni di cui (…) al paragrafo 5 di tale articolo (…)». L’articolo 8, del regolamento n. 40/94, intitolato «Impedimenti relativi alla registrazione» dispone, al paragrafo 5, che, in seguito a opposizione del titolare di un marchio anteriore, «la registrazione del marchio depositato è (…) esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore [e] se ne viene richiesta la registrazione per prodotti o servizi non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio comunitario anteriore, quest’ultimo sia [un] marchio che gode di notorietà nella Comunità o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio richiesto possa trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi».

9.        Con il loro primo motivo d’impugnazione le ricorrenti contestano la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha accertato la notorietà dei marchi anteriori e ha concluso che l’uso, senza giusto motivo, dei marchi delle ricorrenti trae un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi anteriori o arreca pregiudizio agli stessi. Il motivo si articola in quattro censure.

1.       Sulla prima censura

a)       Argomenti delle parti e sentenza impugnata

10.      Nel quadro della loro prima censura le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto basando la propria analisi su due marchi anteriori registrati nel Regno Unito che non sarebbero stati presi in considerazione dalla commissione di ricorso. Quest’ultima, secondo le ricorrenti, si sarebbe fondata unicamente sul marchio comunitario, verbale e figurativo, n. 2015832, registrato il 12 febbraio 2002 (in prosieguo: il «marchio anteriore comunitario» o il «marchio comunitario BOTOX»). L’UAMI interpreta la censura come invocazione di uno snaturamento dei fatti, che non emergerebbe, tuttavia, dalla documentazione agli atti. Esso rileva altresì che le ricorrenti non hanno indicato in che modo la scelta dei marchi anteriori da prendere in considerazione inciderebbe sulla soluzione della controversia. Secondo Allergan la censura è infondata poiché emerge dalle decisioni contestate che la commissione di ricorso si è basata sull’insieme dei diritti anteriori invocati a sostegno delle domande di nullità.

11.      La censura è rivolta ai punti 38‑40 della sentenza impugnata. Al punto 38 il Tribunale rileva, a titolo preliminare, che le domande di nullità introdotte dinanzi all’UAMI sono fondate su più marchi, comunitari e nazionali, figurativi e verbali, contenenti il segno BOTOX, registrati, per la quasi totalità, anteriormente al deposito delle domande di registrazione dei marchi BOTOLIST e BOTOCYL. Esso precisa che l’insieme di tali marchi, e non il solo marchio anteriore comunitario, costituiscono i diritti anteriori invocati dalla richiedente in nullità. Al punto 39 il Tribunale osserva che la commissione di ricorso ha preso «implicitamente, ma necessariamente» le distanze dall’approccio seguito dalla divisione di annullamento, che aveva fondato le sue decisioni sul solo marchio anteriore comunitario. Secondo il Tribunale, l’orientamento della commissione di ricorso è illustrato dal fatto che, nelle decisioni contestate, essa non si è riferita all’elemento figurativo del marchio anteriore comunitario. Al punto 40 della sentenza impugnata il Tribunale ha indicato che si sarebbe limitato a prendere in considerazione, tra i diversi diritti anteriori invocati, due marchi registrati nel Regno Unito (5) e ha giustificato la propria scelta con la constatazione che la maggior parte degli elementi di prova prodotti da Allergan concernevano il territorio di detto Stato membro.

b)       Analisi

12.      Osservo, a titolo preliminare, che la definizione dei diritti anteriori da prendere in considerazione per valutare la sussistenza, nel caso di specie, della condizione della notorietà posta dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 non è priva di incidenza sull’esito di tale esame. In effetti, il marchio comunitario BOTOX, che le ricorrenti affermano essere l’unico diritto anteriore preso in conto dalla commissione di ricorso, è stato registrato solo alcuni mesi prima del deposito delle domande di registrazione dei marchi BOTOCYL e BOTOLIST (6). La prova che detto marchio aveva acquisito notorietà al tempo di tale deposito risulta quindi meno agevole di quanto non lo sia per i marchi nazionali considerati dal Tribunale (7).

13.      Ciò premesso, osservo che gli argomenti avanzati dalle ricorrenti nel quadro della censura in esame si limitano ad affermazioni apodittiche, prive di un qualsivoglia elemento che consenta di avvalorare la tesi, da esse sostenuta, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe, come la divisione d’annullamento, fondato la propria analisi unicamente sul marchio anteriore comunitario. Peraltro, tale tesi sembra contraddetta, o quanto meno non confortata, dal testo delle decisioni contestate, in cui la commissione di ricorso si riferisce genericamente al «marchio BOTOX» per indicare l’insieme dei diritti fatti valere da Allergan. Ciò emerge, a mio avviso, in modo sufficientemente chiaro dal punto 3 delle decisioni contestate, in cui, dopo aver elencato i marchi comunitari e nazionali invocati da Allergan, la commissione di ricorso espone gli argomenti avanzati da quest’ultima riferendosi al «marchio BOTOX» come comprensivo di registrazioni nazionali, comunitarie e internazionali (8). Nel prosieguo delle decisioni la commissione di ricorso si riferisce costantemente al «marchio BOTOX», sia quando riporta gli argomenti di Allergan, sia quando svolge il proprio ragionamento (v., ad es., il punto 34 della decisione Helena Rubinstein e il punto 35 della decisione L’Oréal). Inoltre, al punto 23 delle suddette decisioni la commissione di ricorso afferma che «la marque contestée (…) est à comparer avec la marque BOTOX, enregistrée sous différentes versions (verbale, figurative, accompagnée de la légende ‘Botulinum Toxin’)». Orbene, una tale affermazione contrasta con quanto sostenuto dalle ricorrenti – vale a dire che la commissione di ricorso, come la divisione di annullamento, ha preso in considerazione il solo marchio comunitario n. 2015832 – poiché quest’ultimo è un marchio al contempo verbale e figurativo e non è accompagnato da alcuna legenda. In tale punto delle decisioni contestate, la commissione di ricorso si riferisce chiaramente all’insieme dei diritti fatti valere da Allergan e non al solo marchio indicato dalle ricorrenti. Infine, come rilevato sia dall’UAMI che da Allergan, depone a sfavore della tesi delle ricorrenti la circostanza che, nel valutare la somiglianza dei marchi in confronto, il Tribunale non abbia in alcun modo preso in considerazione l’elemento figurativo del marchio comunitario.

14.      Sulla base delle considerazioni esposte ritengo che la prima censura del primo motivo d’impugnazione debba essere respinta.

2.       Sulla seconda censura: la notorietà dei marchi anteriori

15.      Con la seconda censura le ricorrenti sostengono che il Tribunale abbia commesso diversi errori di diritto nel concludere che la prova della notorietà dei marchi anteriori era stata apportata. Tali critiche – di cui, con argomentazioni largamente convergenti, l’UAMI e Allergan contestano la ricevibilità o la fondatezza – sono di seguito distintamente esaminate.

a)       Sul pubblico rilevante

16.      In primo luogo, le ricorrenti rilevano che, sebbene sia pacifico tra le parti che il pubblico rilevante è costituito dagli attuali o potenziali utilizzatori della terapia BOTOX e dai professionisti della salute, il Tribunale non ha valutato la notorietà dei marchi anteriori distintamente per queste due categorie.

17.      Al riguardo occorre anzitutto precisare che, in base a quanto constatato dal Tribunale al punto 26 della sentenza impugnata, le parti concordano nel ritenere che il pubblico rilevante sia, nelle specie, composto dal grande pubblico (e dunque non solo, come avanzato dalle ricorrenti, dagli attuali o potenziali utilizzatori dei trattamenti con BOTOX) e dai professionisti della salute. Ciò premesso, la critica mossa dalle ricorrenti non mi sembra poter essere accolta, principalmente per l’ovvia considerazione, condivisa dall’UAMI e da Allergan, che, rientrando la categoria dei professionisti della salute in quella più generale del grande pubblico, una distinta valutazione della notorietà dei marchi anteriori per l’una e per l’altra categoria non appariva necessaria. In ogni caso, contrariamente a quanto fanno valere le ricorrenti, il Tribunale ha mantenuto una tale distinzione, laddove, nel passare in rassegna le prove sottoposte da Allergan a sostegno della sua domanda in nullità, esso ha esaminato separatamente quelle dirette a dimostrare la notorietà dei marchi anteriori presso il grande pubblico (copertura mediatica da parte della stampa generalista) e quelle dirette invece a dimostrare tale notorietà in ambienti medici specialistici (attività promozionale attraverso pubblicazione di articoli in riviste specializzate).

b)       Sul territorio rilevante

18.      In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere che la sentenza impugnata, come le decisioni contestate, non contiene alcuna constatazione circa il territorio rispetto al quale è stata valutata la notorietà dei marchi BOTOX.

19.      Anche questa critica è priva di fondamento in fatto. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il Tribunale ha precisato, ai punti 40 e 41 della sentenza impugnata, che le condizioni enunciate dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 sarebbero state esaminate alla luce della percezione dei consumatori del Regno Unito, trattandosi del territorio per il quale Allergan aveva prodotto il maggior numero di prove.

c)       Sulle prove della notorietà

20.      In terzo luogo, le ricorrenti contestano al Tribunale una serie di errori commessi nella valutazione degli elementi di prova prodotti al fine di stabilire la notorietà dei marchi anteriori. Prima di passare all’esame delle singole contestazioni, è utile rilevare che, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato distintamente i suddetti elementi di prova al fine di rispondere ai diversi argomenti con i quali le ricorrenti ne contestavano la ricevibilità, la rilevanza o la forza probatoria. Tuttavia, come correttamente evidenziato dall’UAMI e da Allergan, si evince chiaramente dai motivi della sentenza impugnata che le conclusioni cui il Tribunale giunge circa la notorietà dei marchi anteriori si fondano su una valutazione d’insieme di tali elementi, di sorta che, anche ove la Corte dovesse ritenere fondati alcuni degli argomenti avanzati dalle ricorrenti circa l’uno o l’altro di questi elementi, ciò non inficerebbe necessariamente le suddette conclusioni, dovendosi ancora determinare il peso, nella valutazione globale condotta dal Tribunale, dell’elemento di prova da scartare. Orbene, un tale esercizio non figura nell’impugnazione.



21.      Ciò premesso, occorre ancora osservare, in via preliminare, che buona parte delle contestazioni avanzate dalle ricorrenti mirano, nella sostanza, a promuovere un nuovo esame degli elementi di prova, riesame che, salvo il caso di snaturamento degli stessi, non compete alla Corte nel quadro di un procedimento d’impugnazione (9). Sono per tale ragione, a mio avviso, irricevibili gli argomenti che le ricorrenti avanzano al fine di contestare la forza probatoria dei dati relativi al volume delle vendite nel Regno Unito dei prodotti coperti dai marchi anteriori (punti 46 e 47 della sentenza impugnata), da un lato, e degli articoli pubblicati su riviste scientifiche (punti 48 e 49 della sentenza impugnata), dall’altro.

22.      Per quanto concerne la prova esaminata dal Tribunale ai punti 50‑54 della sentenza impugnata, costituita da alcuni articoli pubblicati sulle riviste Newsweek e The International Herald Tribune, le ricorrenti sostengono che essa avrebbe dovuto essere accompagnata, a pena di un suo snaturamento, da ulteriori elementi quali, in particolare, la «sfera di distribuzione» di tali riviste. Del pari, le ricorrenti invocano uno snaturamento della prova per quanto concerne uno studio di mercato realizzato in settembre e ottobre 2004 nel Regno Unito e prodotto da Allergan in allegato ai ricorsi dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI. Più precisamente, le ricorrenti contestano la rilevanza di tale studio in assenza di elementi, che spettava ad Allergan apportare, circa la capacità dei dati in esso contenuti a fornire indicazioni sulla situazione esistente alla data di deposito delle domande di registrazione dei marchi contestati. Infine, le ricorrenti invocano una distorsione dei fatti per contestare la rilevanza della prova costituita dall’introduzione della voce BOTOX in diversi dizionari pubblicati nel Regno Unito, esaminata ai punti 55 e 56 della sentenza impugnata.

23.      Riguardo all’insieme delle contestazioni esposte al paragrafo precedente, ricordo che, in base a una giurisprudenza consolidata, uno snaturamento deve risultare manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione dei fatti né delle prove (10). Nella specie, lungi dal soddisfare il rigido standard della prova imposto per stabilire l’esistenza di uno snaturamento degli elementi di prova o una distorsione dei fatti da parte del Tribunale, le argomentazioni avanzate dalle ricorrenti nell’atto d’impugnazione si limitano ad affermazioni generiche e non circostanziate, tali da consentire di dubitare della loro stessa ricevibilità per difetto dei requisiti di chiarezza e precisione che devono accompagnare l’esposizione dei motivi d’impugnazione.


24.      Le ricorrenti contestano infine la rilevanza della decisione del 26 aprile 2005 dello United Kingdom Intellectual Property Office, resa nel quadro di un procedimento promosso da Allergan al fine di ottenere l’annullamento della registrazione del marchio BOTOMASK per dei cosmetici nel Regno Unito. Esse ritengono che non possa assurgere a elemento di prova nella controversia che le oppone ad Allergan una decisione adottata in un differente procedimento, promosso tra parti diverse. Basandosi su di essa, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto.

25.      Tale contestazione mi sembra dover essere respinta in quanto infondata. In effetti, se, per giurisprudenza costante, il Tribunale non è vincolato dal contenuto delle decisioni di organi giurisdizionali o amministrativi nazionali, ciò non toglie che, ove tali decisioni siano prodotte dalle parti, le constatazioni in esse contenute possano, se rilevanti, entrare in linea di conto, nella valutazione dei fatti svolta dal Tribunale, quale elemento di prova oggetto di libero apprezzamento da parte di quest’ultimo. La circostanza che si tratti di decisioni rese nel quadro di controversie aventi delle parti e un oggetto diversi da quella pendente dinanzi al Tribunale è in proposito irrilevante. Osservo, peraltro, che le ricorrenti non hanno avanzato alcun argomento diretto a contestare la correttezza delle constatazioni contenute nella decisione del United Kingdom Intellectual Property Office in questione, né dinanzi all’UAMI, né dinanzi al Tribunale, come emerge dal punto 58 della sentenza impugnata. Le ricorrenti non contestano neanche, nella presente istanza, la correttezza della lettura che il Tribunale ha fatto del contenuto della suddetta decisione.

d)       Conclusione sulla seconda censura

26.      In base a quanto precede, ritengo che la seconda censura del primo motivo d’impugnazione debba essere integralmente respinta.

3.       Sulla terza censura: l’esistenza di un nesso tra i marchi anteriori e i marchi delle ricorrenti

27.      Con la terza censura del primo motivo d’impugnazione, le ricorrenti contestano la conclusione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il pubblico rilevante stabilisce un nesso tra i marchi anteriori BOTOX e i marchi BOTOLIST e BOTOCYL di cui sono titolari. Tale nesso non potrebbe, in particolare, fondarsi sull’elemento comune «BOT» o «BOTO», dal momento che si tratta di un elemento descrittivo che rinvia alla tossina del botulino. Esse rivendicano il diritto di includere nel loro marchio tale elemento, genericamente utilizzato per indicare la tossina in questione, senza per questo vedersi accusate di voler collegare i loro marchi ai marchi di Allergan.



28.      Nella misura in cui mirano a ottenere dalla Corte una pronuncia sul carattere pretesamente descrittivo del marchio BOTOX o di sue componenti, gli argomenti fatti valere dalle ricorrenti sono comunque irricevibili in quanto implicano una valutazione dei fatti da parte della Corte. Solleva invece una questione di diritto l’argomento secondo cui le ricorrenti sarebbero legittimate a utilizzare nei propri marchi un elemento comune a un diverso marchio ove tale elemento abbia carattere descrittivo. Tuttavia, tale argomento si basa sull’allegazione che l’elemento BOT o l’elemento BOTO, comune ai marchi delle ricorrenti e ai marchi anteriori, riveste effettivamente carattere descrittivo, allegazione che non solo non trova riscontro nella sentenza impugnata(11), ma che è stata espressamente contraddetta nelle decisioni contestate(12) e sulla quale, come si è appena osservato, non compete alla Corte ritornare.

29.      In base a quanto precede, anche la terza censura del primo motivo d’impugnazione va, a mio avviso, respinta.

4.       Sulla quarta censura: il pregiudizio arrecato ai marchi anteriori

30.      Nel quadro del loro primo motivo d’impugnazione, le ricorrenti contestano infine i motivi esposti ai punti 87 e 88 della sentenza impugnata circa gli «effetti dell’uso» dei marchi contestati. Prima di esporre il contenuto di tali critiche, conviene riprendere brevemente i principi su cui si fonda, allo stato attuale della giurisprudenza, la tutela dei marchi che godono di rinomanza, in particolare in caso di cosiddetto «parassitismo», essendo questo l’aspetto che rileva nella specie.

31.      Tali principi, per quanto qui interessa, sono stati fissati dalla Corte in tre pronunce pregiudiziali, oggetto delle cause Intel, L’Oréal e Interflora (13), rese nel contesto dell’interpretazione degli articoli 4, paragrafo 4, lettera a), e 5, paragrafo 2, della direttiva 89/104, i quali contengono, come noto, disposizioni analoghe all’articolo 8, paragrafo 5 del regolamento n. 40/94. Come si vedrà meglio in seguito, le circostanze del presente giudizio non richiedono di inoltrarsi in un esame dettagliato di tali pronunce né di entrare nel merito delle scelte operate dalla Corte, scelte che non hanno mancato di sollevare critiche, in particolare da parte della dottrina d’oltremanica, in quanto ritenute eccessivamente favorevoli ai titolari dei marchi di rinomanza (14). Basti qui ricordare, su un piano generale, che, in tali sentenze, la Corte ha precisato che la condizione specifica della tutela accordata dalle predette disposizioni della direttiva 89/104 ai marchi che godono di rinomanza «è costituita da un uso ingiustificato del marchio posteriore che trae o potrebbe trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore oppure che reca o potrebbe recare loro pregiudizio» (15). Il danno che ne deriva per il marchio anteriore è, secondo la Corte, «la conseguenza di un certo grado di somiglianza tra [quest’ultimo] e [il marchio] posteriore, a causa del quale il pubblico interessato associa l’un marchio all’altro, vale a dire stabilisce un nesso tra loro, pur non confondendoli» (16). L’esistenza di un siffatto nesso nella mente del pubblico interessato è una condizione necessaria, ma, di per sé, non sufficiente per concludere che ricorrano le condizioni per la tutela accordata ai marchi che godono di rinomanza (17). Occorre, inoltre, che il titolare del marchio anteriore fornisca la prova che l’uso del segno o del marchio posteriore «trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi». A tal fine, esso è tenuto a dimostrare non l’esistenza di una violazione effettiva e attuale ma piuttosto «l’esistenza di elementi che permettano di concludere per un rischio serio che la violazione [si produca] in futuro» (18). Ove tale prova sia apportata, spetta al titolare del segno o del marchio posteriore dimostrare di avere un giusto motivo per l’uso dello stesso (19).

32.      Per quanto concerne più specificamente la nozione di «vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio» (detto anche «parassitismo» o «free-riding»), la Corte ha precisato, nella sentenza L’Oréal, che tale nozione non si ricollega al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto «al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile». Secondo la Corte, essa comprende, in particolare, «il caso in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussiste un palese sfruttamento parassitario nel tentativo di infilarsi nella scia del marchio notorio». Ne discende che «il vantaggio tratto da un terzo dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio può rivelarsi indebito, anche quando l’uso del segno identico o simile non arreca pregiudizio né al carattere distintivo né alla notorietà del marchio o, più in generale, al titolare di quest’ultimo» (20). La Corte ha poi chiarito, già a partire dalla sentenza Intel, che, al fine di determinare se l’uso del segno tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore, occorre effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, fra i quali compaiono, in particolare, l’intensità della notorietà e il grado del carattere distintivo del marchio, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati (21). Relativamente all’intensità della notorietà e del grado di distintività del marchio, essa ha precisato che più il carattere distintivo e la notorietà del marchio di cui si tratta sono rilevanti, più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione (22) e che più l’evocazione del marchio ad opera del segno è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o arrechi loro pregiudizio (23). Nell’ambito di tale valutazione complessiva può parimenti essere presa in considerazione, se del caso, l’esistenza di un rischio di diluizione o di annacquamento del marchio (24). La Corte ha infine precisato che quando da una tale valutazione d’insieme risulta che «un terzo tenta, con l’uso di un segno simile ad un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, così come di sfruttare, senza qualsivoglia corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola» (25). Nella sentenza Interflora, la Corte ha confermato i principi suesposti (26). Essa ha, in particolare, sottolineato che il vantaggio appena descritto deve considerarsi come ottenuto indebitamente quando manca un «giusto motivo» ai sensi delle disposizioni pertinenti della direttiva 89/104 (27). Con riferimento alla fattispecie sottoposta al suo esame dal giudice di rinvio, avente ad oggetto un annuncio pubblicitario accessibile su Internet a partire da una parola chiave corrispondente a un marchio notorio, la Corte ha ritenuto che qualora, senza offrire in vendita una semplice imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di tale marchio (28), senza provocare una diluizione o una corrosione e senza nemmeno arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio, l’inserzione proponga un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio, essa concreta un uso dello stesso che rientra, in linea di principio, in una concorrenza sana e leale nell’ambito dei prodotti o dei servizi considerati ed è quindi «motivato» ai sensi delle predette disposizioni (29).

33.      Nei punti della sentenza impugnata che costituiscono oggetto di critica nel quadro della contestazione in esame, il Tribunale, dopo aver definito «lapidaria» la motivazione delle decisioni della commissione di ricorso sull’esistenza di un pregiudizio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 (punto 87), ha rilevato che tale questione «ha costituito oggetto di importanti sviluppi nel quadro della procedura amministrativa e dinanzi al Tribunale». Esso ha poi precisato che Allergan «ha indicato che il marchio BOTOLIST come il marchio BOTOCYL, registrati congiuntamente dal gruppo L’Oréal, intendono concretamente trarre vantaggio dal carattere distintivo e dalla notorietà del BOTOX nel campo del trattamento delle rughe, con l’effetto di affievolire il valore di tale marchio». Secondo il Tribunale, «tali rischi sono sufficientemente seri e non ipotetici per giustificare l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94». Esso ha poi ricordato che, durante l’udienza, le ricorrenti hanno riconosciuto che anche se i loro prodotti non contenevano la tossina botulinica, esse intendevano comunque trarre vantaggio dall’immagine associata a tale prodotto, racchiusa nel marchio BOTOX, marchio unico al riguardo (30) (punto 88).

34.      Il punto 80 della sentenza impugnata completa la motivazione esposta ai punti 87 e 88. In esso il Tribunale osserva, a titolo preliminare, che le ricorrenti non hanno avanzato alcun elemento al fine di dimostrare che l’uso dei marchi BOTOCYL e BOTOLIST risponde a un «giusto motivo» e che, essendo quest’ultimo un mezzo di difesa, spettava alle ricorrenti indicarne il contenuto. Osservo fin d’ora che nessuna critica è mossa dalle ricorrenti né contro la constatazione della mancata invocazione di un «giusto motivo», né contro l’affermazione, peraltro conforme alla giurisprudenza (31), che la prova di un siffatto motivo incombeva alle ricorrenti (32). Di conseguenza, la questione se ricorra nella specie un giusto motivo per l’uso dei marchi delle ricorrenti fuoriesce dall’oggetto del presente procedimento (33).

35.      Le critiche mosse dalle ricorrenti nel quadro della contestazione in esame costituiscono oggetto di un’esposizione estremamente succinta nell’impugnazione. Esse si limitano in sostanza ad allegare un’assenza di prove circa la loro pretesa intenzione di trarre vantaggio dal carattere distintivo e dalla notorietà del marchio BOTOX. Esse fanno altresì valere che il Tribunale ha mal interpretato le affermazioni dei loro difensori nel corso dell’udienza e che, se i loro marchi potevano eventualmente contenere un riferimento alla tossina botulinica, esse non intendevano essere associate al marchio BOTOX, né potevano aspirare a una tale associazione, trattandosi di un marchio registrato per prodotti farmaceutici disponibili solo dietro prescrizione medica.

36.      Si evince dall’insieme dei motivi della sentenza impugnata che l’esistenza di un intento parassitario è inferita da una serie di constatazioni che riguardano, da un lato, la scelta delle ricorrenti di utilizzare nei loro marchi un prefisso che riproduce la quasi totalità del marchio anteriore – scelta che, ad avviso del Tribunale e, prima di lui, della commissione di ricorso (34), non è giustificabile con il proposito di fare rinvio alla tossina botulinica, che, peraltro, non rientra nella composizione dei prodotti coperti dai marchi contestati (35) – e, dall’altro, le caratteristiche del marchio anteriore, vale a dire il suo forte carattere distintivo, dovuto anche alla sua unicità, e la sua estesa notorietà. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il Tribunale ha dunque concretamente proceduto, in linea con la giurisprudenza della Corte richiamata sopra, a una valutazione complessiva degli elementi rilevanti del caso di specie. In tali circostanze, l’argomento delle ricorrenti secondo cui l’accertamento dell’esistenza di un intento parassitario non è supportato da nessun elemento di prova è infondato. Quanto alle constatazioni sulle quali si basa un tale accertamento, data la loro natura fattuale (36), esse sono insindacabili da parte della Corte.

37.      Riferendosi alle sole decisioni della commissione di ricorso, le ricorrenti contestano la pertinenza del riferimento alla «specificità» e all’«unicità» del marchio BOTOX, che, a loro avviso, costituiscono elementi rilevanti nell’ipotesi di diluizione del marchio e non in quella di parassitismo. Ove la critica debba considerarsi estesa alla sentenza impugnata, in cui il Tribunale fa egualmente riferimento a tali elementi e al rischio di una «perdita di valore del marchio» (punto 88), essa va respinta. Come si è visto sopra, infatti, la Corte ha già avuto modo di precisare che il rischio di un pregiudizio al carattere distintivo o alla notorietà del marchio, pur non essendo una condizione necessaria affinché vi sia parassitismo, costituisce, qualora ricorra, un elemento da prendere in considerazione nell’accertamento dell’esistenza di un vantaggio indebito.

38.      Sulla base delle considerazioni esposte ritengo che anche la quarta censura del primo motivo d’impugnazione debba essere respinta.

5.       Conclusione sul primo motivo d’impugnazione

39.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, il primo motivo d’impugnazione deve, a mio avviso, essere integralmente respinto.

B –     Sul secondo motivo d’impugnazione, relativo a una violazione dell’articolo 115 del regolamento n. 40/94 in combinato disposto con la regola 38, paragrafo 2, del regolamento n. 2868/95 (37)

1.       Riferimenti normativi, argomenti delle parti e sentenza impugnata

40.      In base all’articolo 115, paragrafo 5, del regolamento n. 40/94 l’opposizione e la domanda di decadenza o di nullità sono presentate in una delle lingue dell’UAMI.

41.      La regola 38, paragrafo 2, del regolamento n. 2868/95 prevede che se le prove presentate a sostegno della domanda di decadenza o nullità non sono redatte nella lingua della procedura, il richiedente deve fornire la traduzione in tale lingua entro due mesi dal deposito. Le disposizioni relative a tali procedimenti non precisano le conseguenze dell’inottemperanza a tale obbligo. Per quanto riguarda i procedimenti di opposizione, invece, la regola 19, paragrafo 4, del regolamento n. 2868/95, come modificata dal regolamento n. 1041/2005 (38), dispone che «l’Ufficio non tiene conto delle osservazioni o dei documenti scritti, o di loro parti, che non siano stati presentati o non siano stati tradotti nella lingua della procedura entro il termine stabilito dall’Ufficio».

42.      Le ricorrenti ritengono che, confermando l’ammissibilità come prove di alcuni articoli pubblicati in inglese sulla stampa specializzata e generalista e non tradotti in francese, lingua della procedura, nonché fondandosi su tali documenti, il Tribunale abbia violato l’articolo 115 del regolamento n. 40/94 e la regola 38 del regolamento n. 2868/95. L’UAMI replica che, contrariamente a quanto previsto dalla regola 19 del regolamento n. 2868/95 per i procedimenti di opposizione, la regola 38, paragrafo 2, del medesimo regolamento non prevede nessuna sanzione nel caso in cui il richiedente la dichiarazione di decadenza o di nullità non depositi la traduzione nella lingua di procedura dei documenti presentati a titolo di prova. Secondo l’UAMI tali documenti sono pertanto ricevibili a meno che non ne venga richiesta, d’ufficio o su istanza di parte, la traduzione entro un termine stabilito e quest’ultima non sia presentata o non sia presentata in tempo utile. L’UAMI, sostenuto sul punto da Allergan, sottolinea inoltre che l’assenza delle traduzioni in parola non ha in alcun modo ostacolato l’esercizio da parte delle ricorrenti dei loro diritti della difesa né nel corso del procedimento amministrativo né dinanzi al Tribunale.

43.      Al punto 54 della sentenza impugnata, il Tribunale, rileva che «l’esistenza stessa» degli articoli in questione «costituisce un elemento pertinente al fine di stabilire la notorietà di prodotti commercializzati sotto il marchio BOTOX presso il grande pubblico, indipendentemente dal contenuto positivo o negativo di tali articoli». Esso prosegue affermando che «il valore probatorio di tali documenti non può dipendere in quanto tale dalla loro traduzione nella lingua di procedura (…)» e che «una tale traduzione (…) non può assurgere a condizione di ammissibilità di un documento esibito come prova».

2.       Analisi

44.      La tesi dell’UAMI – che peraltro non si inserisce nella linea di ragionamento del Tribunale, il quale non si pronuncia sulle conseguenze del mancato deposito di una traduzione ai sensi della regola 38 del regolamento n. 2868/95, ma si limita in sostanza ad affermare che, nella specie, una traduzione non era necessaria – non mi persuade. Essa propugna un’interpretazione di tale regola argomentata a contrario dalla regola 19 del medesimo regolamento, come modificata dal regolamento n. 1041/2005. Ora, conviene ricordare che tale ultimo regolamento ha modificato anche la regola 98 del regolamento n. 2868/95, intitolata «Traduzioni». In base al nuovo testo di tale regola, salvo disposizioni contrarie del regolamento n. 40/94 o del regolamento n. 2868/95, «un documento per il quale una traduzione deve essere presentata viene considerato come non ricevuto dall’Ufficio quando la traduzione è pervenuta all’Ufficio dopo la scadenza del termine previsto per la presentazione del documento originale o della traduzione». Pertanto, anche a supporre che ai fatti di causa sia applicabile la versione emendata del regolamento n. 2868/95, non è, a mio avviso, possibile, dedurre dall’assenza, nella regola 38, di una sanzione espressa in caso di mancato deposito della traduzione di un documento e dalla diversa disciplina prevista dalla regola 19 per i procedimenti di opposizione, che tale documento è comunque ammissibile, se non diversamente disposto dall’UAMI. A una tale interpretazione si oppone infatti la suddetta regola 98, prevista quale norma di chiusura per i casi di deposito tardivo di una traduzione e applicabile, a fortiori, nel caso di mancato deposito della stessa. Occorre peraltro ricordare che, prima della modifica da parte del regolamento n. 1041/2005, la regola 19 era redatta in termini sostanzialmente identici alla regola 38 ed era interpretata dal Tribunale nel senso che il mancato deposito della traduzione in lingua di procedura implicava l’inammissibilità del documento (39).

45.      Neanche il ragionamento seguito nella sentenza impugnata mi sembra tuttavia interamente condivisibile, quanto meno applicato alle circostanze del caso di specie. In effetti, pur non escludendo in radice l’ammissibilità di prove documentali i cui elementi verbali non necessitano di traduzione o di una traduzione integrale, qualora la loro forza probatoria prescinda effettivamente dal contenuto di tali elementi o questi ultimi siano di immediata comprensione, non mi sembra tuttavia questo il caso di articoli di giornale, intesi a dimostrare la divulgazione di informazioni circa le caratteristiche terapeutiche di un prodotto farmaceutico nonché l’esistenza di una diffusa conoscenza di tali informazioni presso un pubblico specializzato e/o presso il grande pubblico già a una data anteriore a quella di pubblicazione degli stessi (v. punti 51 e 52 della sentenza impugnata).

46.      Tuttavia, anche qualora si dovesse ritenere, sulla base dei motivi appena esposti, che il Tribunale ha commesso un errore nel confermare l’ammissibilità come prove degli articoli in questione, un tale errore, in quanto attiene alla valutazione delle prove (40), non sarebbe censurabile nel quadro del presente procedimento. E anche ove fosse qualificabile come errore «di diritto», esso non sarebbe di per sé sufficiente a giustificare l’annullamento della sentenza impugnata. In effetti, la regola secondo la quale le prove a sostegno delle pretese dell’opponente o del richiedente la nullità o la decadenza del marchio devono essere presentate nella lingua del procedimento o essere accompagnate da una traduzione in tale lingua si giustifica con la necessità di rispettare il principio del contraddittorio nonché la parità delle armi nei procedimenti inter partes (41). Orbene, nella specie, l’irregolarità commessa dalla commissione di ricorso, e non rilevata dal Tribunale, non ha impedito alle ricorrenti di difendersi utilmente dinanzi ad entrambe le istanze. Per loro stessa ammissione, infatti, esse hanno compreso il contenuto degli articoli in questione. Inoltre, come emerge dalle loro scritture dinanzi al Tribunale e alla Corte, esse hanno pienamente inteso il significato probatorio attribuito dalla commissione di ricorso, prima, e dal Tribunale, dopo, ai suddetti articoli.

47.      In tali circostanze, ritengo che il secondo motivo d’impugnazione debba essere respinto.

C –     Sul terzo motivo d’impugnazione relativo ad una violazione dell’articolo 63 del regolamento n. 40/94

48.      Con il terzo motivo d’impugnazione le ricorrenti contestano in sostanza al Tribunale di aver sostituito la propria valutazione a quella della commissione di ricorso, in violazione dell’articolo 63 del regolamento n. 40/94, che definisce i limiti del sindacato giurisdizionale della Corte sulle decisioni dell’UAMI.

49.      Il Tribunale si sarebbe anzitutto sostituito alla commissione di ricorso nel considerare quali diritti anteriori rilevanti le registrazioni britanniche del marchio BOTOX. Tale censura va respinta in quanto fondata sull’erronea premessa che, diversamente dal Tribunale, la commissione di ricorso abbia fondato la propria analisi unicamente su uno dei marchi comunitari di Allergan (42).

50.      Su un piano generale le ricorrenti contestano poi al Tribunale di aver intrapreso un’autonoma valutazione delle prove che si è sostituita a quella, deficitaria, della commissione di ricorso. Anche tale censura mi sembra da respingere. In effetti, se i motivi della sentenza impugnata fanno stato di un’analisi degli elementi di prova prodotti da Allergan dinanzi alle istanze dell’UAMI più dettagliata di quella che traspare dai motivi delle decisioni contestate, ciò è dovuto al fatto che, in prima istanza, le ricorrenti hanno contestato l’ammissibilità e/o il valore probatorio di ognuno di tali elementi. Le conclusioni cui giunge il Tribunale al termine di tale analisi, vale a dire che i documenti analizzati attestano una vasta copertura mediatica dei prodotti BOTOX, non divergono da quelle della commissione di ricorso. In tali circostanze, le ricorrenti non hanno provato la fondatezza delle loro asserzioni.

51.      Infine, più nello specifico, le ricorrenti contestano al Tribunale di essersi fondato su alcuni documenti – la dichiarazione di un dirigente di Allergan e uno studio di mercato realizzato nel 2004 – prodotti per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso, i quali, secondo le ricorrenti, non sarebbero stati presi in considerazione da quest’ultima dato il loro carattere tardivo. Il Tribunale avrebbe ecceduto i propri poteri di controllo concludendo che la commissione di ricorso aveva «implicitamente ma necessariamente» considerato ammissibili tali prove.

52.      In proposito osservo che, al punto 62 della sentenza impugnata, dopo aver ricordato che, in forza dell’articolo 74, paragrafo 2, del regolamento n. 40/94, l’UAMI gode di un ampio margine di discrezionalità nel decidere sull’ammissibilità di prove che non sono state prodotte in tempo utile, il Tribunale spiega che, poiché la commissione di ricorso non ha espressamente dichiarato inammissibili le prove costituite dai suddetti documenti, essa le ha necessariamente, anche se implicitamente, considerate ammissibili. La conclusione contestata dalle ricorrenti discende dunque dall’applicazione al caso concreto dell’interpretazione dell’articolo 74, paragrafo 2 del regolamento n. 40/94 accolta dal Tribunale nella sentenza impugnata. Orbene, dalle argomentazioni delle ricorrenti non è dato comprendere in che modo il Tribunale abbia potuto travalicare i limiti del controllo giurisdizionale sulle decisioni delle commissioni di ricorso dell’UAMI previsto dall’articolo 63 del regolamento n. 40/94, semplicemente procedendo a una tale operazione di interpretazione ed applicazione del diritto. La censura delle ricorrenti va dunque respinta.

53.      Per contro, ciò che solleva dubbi è la correttezza dell’interpretazione dell’articolo 74, paragrafo 2, cui perviene il Tribunale nella sentenza impugnata. Quest’ultimo sembra infatti leggere tale disposizione nel senso che essa impone alle istanze dell’UAMI di dichiarare espressamente la sola inammissibilità di una prova non presentata in tempo utile e non anche la sua ammissibilità. Orbene, una tale interpretazione contrasta con quella, senz’altro più rispettosa dei contrapposti interessi che vengono in rilievo nei procedimenti inter partes dinanzi all’UAMI, fatta propria dalla Corte. Quest’ultima, nella sentenza Kaul, pronunciata dalla grande camera, ha chiaramente indicato che l’UAMI è tenuto a motivare la propria decisione sia qualora decida di non tener conto di una siffatta prova sia nel caso in cui, inversamente, decida di prenderla in considerazione (43). Poiché, tuttavia, nella loro impugnazione, le ricorrenti non hanno invocato una violazione, per le ragioni esposte, dell’articolo 74, paragrafo 2, del regolamento n. 40/94, l’errore d’interpretazione commesso dal Tribunale non è censurabile nel quadro del presente procedimento.

54.      In base a quanto precede il terzo motivo d’impugnazione deve, a mio avviso, essere respinto.


D –     Sul quarto motivo d’impugnazione relativo ad una violazione dell’articolo 73 del regolamento n. 40/94

55.      Con il quarto motivo d’impugnazione le ricorrenti lamentano una violazione dell’articolo 73 del regolamento n. 40/94 in forza del quale le decisioni dell’UAMI sono motivate. Il Tribunale avrebbe erroneamente omesso di censurare l’assenza di motivazione delle decisioni contestate su due punti: la constatazione della notorietà dei marchi BOTOX e quella dell’esistenza di un pregiudizio a tali marchi per effetto dell’uso dei marchi delle ricorrenti.

56.      La portata dell’articolo 73 del regolamento n. 40/94 è definibile per rinvio alla giurisprudenza sull’obbligo di motivazione degli atti delle istituzioni dell’Unione. Lo stesso dicasi per i principi applicabili alla verifica del rispetto di tale obbligo. Così, la motivazione richiesta da tale disposizione deve palesare chiaramente ed inequivocabilmente il ragionamento dell’autore dell’atto. L’obbligo di motivazione imposto alle istanze dell’UAMI ha il duplice scopo di consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le giustificazioni alla base del provvedimento adottato al fine di tutelare i loro diritti e, dall’altro, al Tribunale di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione.

57.      Al punto 93 della sentenza impugnata il Tribunale afferma che i motivi delle decisioni contestate consentono di comprendere le ragioni per cui, secondo la commissione di ricorso, il marchio BOTOX gode di rinomanza. Gli argomenti delle ricorrenti non permettono, a mio avviso, di infirmare una tale affermazione. Emerge infatti da dette decisioni che la commissione di ricorso ha ritenuto che il marchio BOTOX godesse di notorietà in tutti gli Stati membri, che tale notorietà fosse la conseguenza non solo della commercializzazione dei prodotti BOTOX ma anche della pubblicità indiretta di tali prodotti realizzata attraverso i media, e, infine, che tale pubblicità avesse familiarizzato il grande pubblico con la tossina botulinica e il suo impiego per il trattamento delle rughe (punto 35 della decisione L’Oréal e punto 34 della decisione Helena Rubinstein). Una tale motivazione permette di ricostruire il percorso logico della commissione di ricorso e di individuare le ragioni che l’hanno indotta a constatare la notorietà del marchio anteriore. Contrariamente a quanto da esse affermato, la commissione di ricorso non era tenuta a dare conto dell’esame di ogni singolo elemento di prova prodotto da Allergan, in particolare considerato che emerge dai suddetti motivi che la commissione di ricorso ha ritenuto che gran parte di tali elementi contribuissero, nel loro complesso, ad attestare un medesimo fatto, vale a dire la copertura mediatica dei prodotti BOTOX.

58.      Al punto 94 della sentenza impugnata il Tribunale afferma, che nonostante la motivazione delle decisioni impugnate sugli effetti dell’uso dei marchi delle ricorrenti fosse «lapidaria», essa ha nondimeno consentito a queste ultime di disporre delle informazioni necessarie a contestare le conclusioni della commissione di ricorso sul punto. In proposito, le ricorrenti si limitano ad osservare che quella che il Tribunale chiama motivazione si riduce a due frasi e ad affermare, in modo apodittico, che essa non costituisce una «motivazione in senso giuridico». Contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, i punti 42 e 43 della decisione Helena Rubinstein e i punti 44 e 45 della decisione L’Oréal consentono di comprendere le ragioni che hanno condotto la commissione di ricorso, da un lato, a concludere per l’assenza di un giusto motivo per l’uso dei marchi delle ricorrenti e, dall’altro, a ritenere che queste ultime traevano un indebito vantaggio dal carattere distintivo del marchio BOTOX.

59.      In base a quanto precede ritengo che anche il quarto e ultimo motivo d’impugnazione debba essere respinto.

IV –  Conclusioni

60.      Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare le ricorrenti alle spese.


1 –      Lingua originale: l’italiano.


2 – Regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1). A partire dal 13 aprile 2009 il regolamento n. 40/94 è stato abrogato e sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1).


3 – Accordo di Nizza relativo alla classificazione dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi del 15 giugno 1957.


4 – Sentenza del 16 dicembre 2010, T-345/08 e T-357/08, Rubinstein/UAMI – Allergan (BOTOLIST), Racc. pag. II‑279.


5 – Registrazioni n. 2255853 e n. 2255854. Si tratta dei marchi nazionali più risalenti, tra quelli invocati da Allergan, ad essere stati registrati, tra l’altro, per preparazioni farmaceutiche da impiegare nel trattamento delle rughe.


6 – Poco meno di tre mesi per il marchio BOTOLIST e poco più di cinque per il marchio BOTOCYL.


7 – Registrati il 14 dicembre 2000.


8 – I passaggi pertinenti sono redatti come segue: «la demanderesse en nullité a expliqué que la marque BOTOX identifie un produit pharmaceutique vendu sous prescription, fabriqué à partir de la toxine botulique (…)» «Elle a indiqué que sa marque a été enregistrée aux États-Unis en 1991, qu’elle est utilisée dans l’Union européenne depuis 1992 et qu’elle est enregistrée dans la plupart des pays du monde (…)».


9 – V. sentenze del 6 aprile 2006, General Motors/Commissione, C‑551/03 P (Racc. pag. I‑3173, punto 52), del 22 maggio 2008, Evonik Degussa/Commissione, C‑266/06 P (Racc. pag. I‑81, punto 73) e del 18 marzo 2010, Trubowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione, C‑419/08 P (Racc. pag. I‑2259, punto 31).


10 – Citate sentenze General Motors, punto 54, Degussa, punto 74 e Trubowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione, punto 32.


11 – Dinanzi al Tribunale le ricorrenti hanno contestato l’analisi della commissione di ricorso per aver proceduto al raffronto dei marchi in questione prendendo in considerazione il prefisso BOTO e non la sillaba BOT che avrebbe carattere descrittivo, in quanto rinvierebbe in modo evidente e non equivoco al principio attivo del prodotto farmaceutico commercializzato sotto il marchio BOTOX (la tossina botulinica). Il Tribunale ha risposto a tale argomento ai punti 72 e 73 della sentenza impugnata respingendolo come infondato. Esso ha in particolare osservato che la sillaba BOT non ha nessun significato specifico e che le ricorrenti non hanno fornito nessuna giustificazione per preferirla, nell’analisi della similitudine dei marchi, al prefisso «BOTO» preso in considerazione dalla commissione di ricorso. Esso ha aggiunto che, anche ammesso che il marchio BOTOX fosse originariamente descrittivo, esso ha comunque acquisito carattere distintivo attraverso l’uso, quanto meno nel Regno Unito.


12 – V. punto 40 della decisione L’Oréal e punto 39 della decisione Helena Rubinstein.


13 – Sentenze del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07 (Racc. pag. I‑8823), del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07 (Racc. pag. I‑5185) e del 22 settembre 2011, Interflora Inc. e Interflora British Unit., C‑323/09, Racc. pag. I‑8625.


14 – V., ad es., D. Gangjee e R. Burrell, Because You’re Worth it: L’Oréal and the Prohibition onFree Riding, The Modern Law Review, Vol. 73 (2010), n. 2, pagg. 282‑304.


15 – Citata sentenza Intel, punto 26.


16 – Citata sentenza Intel, punto 30.


17 – Citata sentenza Intel, punti 31 e 32.


18 – Citata sentenza Intel, punti 37 e 38.


19 – Citata sentenza Intel, punto 39.


20 – Citata sentenza L’Oréal, punti 41 e 43. Si tratta dei motivi su cui convergono le critiche della dottrina cui si è accennato alla nota 14 supra.


21 – Citate sentenze Intel, punti 67‑69 e L’Oréal, punto 44.


22 – Citata sentenza L’Oréal, punto 44.


23 – Citata sentenza Intel, punti 67‑69.


24 – Citata sentenza L’Oréal, punto 45.


25 ‑ Citata sentenza L’Oréal, punto 49.


26 – V., in particolare, punti 74 e 89.


27 – Punto 89.


28 – Situazione che ricorreva nella causa oggetto della citata sentenza L’Oréal.


29 – Punto 91.


30 – Il Tribunale cita il punto 56 della citata sentenza Intel, in cui la Corte ha affermato che il carattere distintivo di un marchio è ancora più forte allorché tale marchio è unico, vale a dire, trattandosi di un marchio denominativo, «quando il termine di cui il marchio consta non è stato già utilizzato da alcuno per altro prodotto o servizio se non dal suo titolare per i prodotti o servizi da esso commercializzati».


31 – V. citata sentenza Intel, punto 39.


32 – In prima istanza le ricorrenti si erano limitate a far valere che il fascicolo esaminato dalla commissione di ricorso non conteneva alcuna prova del fatto che esse avessero agito senza un «giusto motivo» al momento del deposito della domanda di registrazione dei loro marchi (sentenza impugnata, punto 31). Come si è visto, tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che, ove sia fornita da parte del titolare del marchio anteriore la prova della notorietà di tale marchio e dell’esistenza di un indebito vantaggio conseguente all’uso del segno o del marchio posteriore, spetta al titolare di quest’ultimo far valere un giusto motivo per un tale uso.


33 – Nell’udienza svoltasi dinanzi alla Corte il rappresentante delle ricorrenti, interrogato sul punto, ha spiegato che le ricorrenti non erano tenute a fornire alcun giusto motivo per l’uso dei loro marchi, poiché esse negavano a monte che nella specie fosse stata apportata la prova della notorietà dei marchi anteriori.


34 – V. rispettivamente punti 43 e 44 delle decisioni contestate.


35 – Tale circostanza, menzionata al punto 88 della sentenza impugnata, non è contestata dalle ricorrenti.


36 – In tal senso si è pronunciata la Corte nella sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel, C‑48/05, (Racc. pag. I‑1017, punto 36).


37 – Regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario (GU L 303, pag. 1).


38 – Regolamento (CE) n. 1041/2005 della Commissione, del 29 giugno 2005 (GU L 172, pag. 4).


39 – V. sentenze del Tribunale del 13 giugno 2002, Chef Revival USA/UAMI – Massagué Marín (Chef), T‑232/00 (Racc. pag. II‑2749 punti 31, 33, 36, 41 e 44) e del 30 giugno 2004, GE Betz/UAMI – Atofina Chemicals (BIOMATE), T‑107/02 (Racc. pag. II‑1845, punto 72), relativa al mancato deposito della traduzione del certificato di registrazione.


40 –     Nella misura in cui tale errore consiste nell’aver considerato che il valore probatorio dei documenti di cui trattasi prescindeva da una loro traduzione nella lingua di procedura.


41 – In tal senso v. le sentenze del Tribunale Chef Revival, punto 42 e GE Betz Inc., punto 72, citate alla nota 39.


42 – In proposito v. l’esame della prima censura del primo motivo d’impugnazione, paragrafo 12 ss. supra.


43 – Sentenza del 13 marzo 2007, UAMI/Kaul, C‑29/05 P (Racc. pag. I‑2213, punto 43).