Language of document : ECLI:EU:C:2009:620

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 6 ottobre 2009 1(1)

Causa C‑343/08

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica ceca


«Inadempimento – Trasposizione della direttiva 2003/41/CE sugli enti pensionistici aziendali o professionali – Mancata trasposizione delle disposizioni della direttiva che impone obblighi allo Stato di stabilimento degli enti pensionistici aziendali o professionali – Competenza degli Stati membri di organizzare liberamente i loro sistemi pensionistici»





1.        La presente procedura per inadempimento ha per oggetto la trasposizione della direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (2) da parte della Repubblica ceca.

2.        La direttiva 2003/41 mira a facilitare l’esercizio, da parte degli enti pensionistici aziendali o professionali, delle attività da essi svolte in Stati membri diversi da quello in cui sono stabiliti. Essa prevede a tal fine disposizioni prudenziali rigorose per proteggere i beneficiari delle pensioni dovute da detti enti. La direttiva 2003/41 non intende tuttavia mettere in discussione la competenza degli Stati membri di organizzare liberamente i loro sistemi pensionistici.

3.        La Repubblica ceca, per conformarsi alle prescrizioni di tale direttiva, ha adottato disposizioni che autorizzano gli enti pensionistici aziendali o professionali con sede in altri Stati membri a fornire le loro prestazioni sul suo territorio, e che consentono alle imprese con sede in detto territorio di ricorrere a tali prestazioni. Viceversa, essa non ha dato attuazione alle disposizioni di detta direttiva che contemplano obblighi per lo Stato di origine di tali enti con la motivazione che sul suo territorio non vi sono enti pensionistici aziendali o professionali e che tale trasposizione metterebbe in discussione l’organizzazione del suo sistema pensionistico.

4.        La Commissione delle Comunità europee ritiene che l’argomento della Repubblica ceca non sia fondato e chiede alla Corte di dichiarare che tale Stato membro è così venuto meno agli obblighi ad esso incombenti, avendo omesso di trasporre alcune disposizioni della direttiva 2003/41.

5.        Sono del parere che il ricorso della Commissione sia fondato. Nelle presenti conclusioni sosterrò che le disposizioni della direttiva 2003/41 che impongono obblighi agli Stati membri in quanto Stati di origine degli enti pensionistici aziendali o professionali non disciplinano il ruolo e le funzioni di tali enti nel sistema di detti Stati. Ne dedurrò che la trasposizione completa di tale direttiva non pregiudica l’organizzazione, da parte della Repubblica ceca, del suo sistema pensionistico. Ricordo poi che, secondo la giurisprudenza, l’inesistenza in uno Stato membro di un’attività presa in considerazione da una direttiva non esonera questo Stato dal trasporre la stessa e sosterrò che tale giurisprudenza è applicabile nella presente causa.

I –    La direttiva 2003/41

6.        Gli enti pensionistici aziendali o professionali rientrano, per quanto riguarda l’organizzazione dei sistemi pensionistici da parte degli Stati membri, nel cosiddetto «secondo pilastro» (3).

7.        La direttiva 2003/41 mira a consentire a detti enti di prestare i loro servizi in altri Stati membri (4). Ai sensi del sesto ‘considerando’ della direttiva, essa rappresenta un primo passo nella direzione di un mercato interno degli schemi pensionistici aziendali e professionali. A tal fine, essa prevede disposizioni prudenziali rigorose per quanto concerne le attività e le condizioni di funzionamento degli enti pensionistici aziendali o professionali al fine di garantire un elevato livello di protezione ai futuri pensionati che potranno beneficiare delle pensioni erogate da detti enti (5).

8.        Tuttavia, come indicato al suo nono ‘considerando’, la direttiva 2003/41 non mette in discussione l’organizzazione da parte degli Stati membri dei rispettivi sistemi pensionistici né, per quanto concerne in particolare il secondo pilastro, la definizione da parte dei singoli Stati, del ruolo e delle funzioni degli enti che offrono prestazioni pensionistiche aziendali o professionali (6).

9.        Le disposizioni della direttiva 2003/41 rilevanti nel caso di specie vertono sull’ambito di applicazione della medesima, sulle condizioni di esercizio delle attività degli enti pensionistici aziendali o professionali nonché sul regime speciale delle loro attività transfrontaliere.

1.      Il campo di applicazione della direttiva 2003/41

10.      Gli artt. 2, 3 e 6 della direttiva 2003/41 definiscono in termini tassativi gli enti che rientrano nel campo di applicazione di tale direttiva e quelli che ne sono esclusi.

11.      Risulta quindi da tali disposizioni che essa si applica agli enti pensionistici che, a prescindere dalla loro forma giuridica e dalla loro denominazione, operano secondo il principio di capitalizzazione(7), al di fuori dei regimi di sicurezza sociale del primo pilastro e hanno lo scopo di erogare prestazioni pensionistiche in relazione ad un’attività lavorativa sulla base di un contratto o di un accordo collettivo.

12.      Ne sono esclusi, in particolare, gli enti che gestiscono sistemi di sicurezza sociale disciplinati dai regolamenti comunitari di coordinamento, gli istituti finanziari già disciplinati da misure di diritto comunitario (assicurazione, organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, imprese di servizi d’investimento), nonché gli enti pensionistici aziendali o professionali che agiscono sulla base del principio della ripartizione.

13.      La direttiva 2003/41 prevede inoltre disposizioni a carattere facoltativo.

14.      Ai sensi dell’art. 4 di tale direttiva, gli Stati membri di origine (8) hanno quindi facoltà di applicare le disposizioni della medesima direttiva alle compagnie di assicurazione per quanto riguarda le loro attività nel settore delle pensioni aziendali e professionali. Del pari, conformemente all’art. 5 della direttiva 2003/41, gli Stati membri possono decidere di non applicare la stessa, in tutto o in parte, agli enti pensionistici aventi sede nel loro territorio che gestiscono schemi pensionistici che contano congiuntamente meno di cento aderenti, nonché agli enti che gestiscono schemi pensionistici aziendali e professionali stabiliti per legge e garantiti da una pubblica autorità.

2.      Le condizioni di esercizio delle attività degli enti pensionistici aziendali o professionali

15.      Secondo la direttiva 2003/41, gli Stati membri sono tenuti ad imporre una serie di obblighi agli enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel loro territorio.

16.      Ogni Stato membro deve quindi obbligare detti enti a limitare le loro attività all’esercizio di schemi pensionistici (art. 7), nonché ad essere giuridicamente separati dalle imprese promotrici (9) (art. 8). Esso deve anche provvedere, ai sensi dell’art. 9, affinché tutti gli enti aventi sede nel suo territorio siano registrati in un registro nazionale, siano gestiti da persone in possesso dei requisiti di onorabilità e siano assoggettati a regole adeguate.

17.      Ciascuno Stato membro deve inoltre assicurarsi che tutti gli enti pensionistici aventi sede nel suo territorio presentino conti annuali (art. 10) e forniscano le informazioni elencate all’art. 11 della direttiva 2003/41 agli aderenti e ai beneficiari. Esso deve anche istituire un’autorità competente dotata di poteri sufficienti per controllare effettivamente l’attività di detti enti (art. 13).

18.      Infine, ciascuno Stato membro deve provvedere affinché tutti gli enti con sede nel suo territorio dichiarino con cadenza regolare i principi che presiedono la loro politica di investimenti finanziari (art. 12), dispongano di riserve sufficienti per far fronte ai loro impegni (artt. 15‑17) ed investano conformemente al principio della “persona prudente” (art. 18).

3.      Il regime particolare delle attività transfrontaliere

19.      Secondo l’art. 20, n. 1, della direttiva 2003/41, gli Stati membri devono consentire alle imprese aventi sede nel loro territorio di promuovere enti pensionistici aziendali o professionali autorizzati in altri Stati membri. Essi devono inoltre consentire a detti enti pensionistici autorizzati nel loro territorio di accettare come promotori imprese aventi sede nel territorio di altri Stati membri.

20.      Un ente pensionistico che intenda fornire servizi transfrontalieri, deve ottenere l’autorizzazione preventiva del suo Stato membro di origine (art. 9, n. 5).

21.      A tal fine, ai sensi dell’art. 20, n. 3, della direttiva 2003/41, esso deve indicare all’autorità competente di tale Stato il nome dello Stato membro o degli Stati membri nel quale o nei quali esso ha deciso di fornire le sue prestazioni, il nome dell’impresa promotrice nonché le caratteristiche principali dello schema pensionistico che deve essere gestito. Conformemente all’art. 20, n. 4, di tale direttiva, l’autorità competente dello Stato membro di origine deve, sempreché non ritenga che l’ente pensionistico in questione non sia in grado di fornire la prestazione prevista, informarne entro tre mesi l’autorità competente dello Stato membro ospitante.

22.      L’art. 20, nn. 5-10, della direttiva 2003/41 prevede le modalità del dialogo tra le autorità competenti degli Stati membri interessati e i loro rispettivi poteri al fine di assicurare, in particolare, che la prestazione di servizi sia effettuata nel rispetto del diritto della previdenza e della sicurezza sociale e del diritto del lavoro dello Stato membro ospitante.

23.      Ai sensi dell’art. 22, n. 1, della direttiva 2003/41, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare le disposizioni necessarie per conformarsi ad essa entro il 23 settembre 2005 ed informarne la Commissione. Ai sensi dei nn. 3 e 4 del medesimo articolo, gli Stati membri avrebbero potuto posporre fino al 23 settembre 2010 l’applicazione degli artt. 17, nn. 1 e 2, e 18, n. 1, lett. f), alle condizioni previste da detti paragrafi.

II – Fase precontenziosa del procedimento

24.      L’11 luglio 2006, la Repubblica ceca ha comunicato alla Commissione di aver trasposto la direttiva 2003/41 nel suo ordinamento giuridico interno con la legge n. 340/2006, relativa alle attività degli enti pensionistici aziendali o professionali degli Stati membri dell’Unione europea sul territorio della Repubblica ceca.

25.      Con lettera 18 ottobre 2006, la Commissione ha inviato a tale Stato membro una lettera di diffida in cui essa constatava che gli artt. 1‑5, 8, 9, 13 e 15‑21 non erano stati trasposti ovvero erano stati trasposti solo in parte.

26.      La Repubblica ceca ha risposto con lettera 18 dicembre 2006, in cui ha affermato, in sostanza, che il proprio sistema di previdenza sociale non era dotato né di un secondo pilastro, né di enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel suo territorio. Essa non era pertanto tenuta a trasporre gli articoli della direttiva 2003/41 che presuppongono la sussistenza di tali enti.

27.      La Commissione, con lettera 23 marzo 2007, ha inviato alla Repubblica ceca un parere motivato, nel quale le ha contestato il fatto di non aver trasposto integralmente la direttiva 2003/41, e, in particolare, gli artt.  8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2 e 4.

28.      La Repubblica ceca ha risposto con lettera 24 luglio 2007, nella quale ha ribadito la sua posizione e ha contestato la mancata trasposizione ad essa imputata.

III – Conclusioni e argomenti delle parti

29.      Con atto in data 18 luglio 2007, la Commissione ha proposto il presente ricorso per inadempimento, con cui chiede che la Corte voglia:

«1)      dichiarare che, non avendo trasposto integralmente nel suo ordinamento giuridico interno la direttiva [2003/41], e in particolare non avendo trasposto l’art. 8, l’art. 9 in tutta la sua portata, gli artt. 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva, la Repubblica ceca è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva e in particolare del suo art. 22, n 1;

2)      condannare la Repubblica ceca alle spese».

30.      La Repubblica ceca ha chiesto di respingere il ricorso e di condannare la Commissione alle spese.

31.      La Commissione rileva che la limitatezza dei poteri della Comunità nel settore delle pensioni non autorizza in alcun modo la Repubblica ceca a trasporre soltanto alcune disposizioni della direttiva 2003/41. L’inesistenza, in un determinato Stato membro, di una particolare attività presa in considerazione da una direttiva non può, infatti, esonerare questo Stato dall’obbligo che ad esso incombe di adottare provvedimenti legislativi o regolamentari che assicurino un’adeguata trasposizione dell’insieme delle disposizioni di tale direttiva. La mancata trasposizione di una direttiva sarebbe ammissibile soltanto quando la trasposizione risultasse priva di oggetto per ragioni geografiche (10).

32.      La Commissione ritiene che la parziale mancata trasposizione della direttiva 2003/41 pregiudichi gravemente l’efficacia della stessa. In tal modo, infatti, la Repubblica ceca impedirebbe l’istituzione di enti pensionistici aziendali o professionali nel suo territorio. Orbene, l’obiettivo della creazione di un mercato interno dei sistemi pensionistici aziendali o professionali risulterebbe in gran parte compromesso se ogni Stato membro potesse decidere di non rispettare l’obbligo di creare le condizioni necessarie allo svolgimento delle attività degli enti pensionistici aziendali o professionali nel suo territorio.

33.      La Commissione precisa, al riguardo, che la direttiva 2003/41 non impone agli Stati membri di modificare l’organizzazione del loro sistema pensionistico. Essa li obbligherebbe soltanto a fissare norme relative all’accesso alle attività degli enti pensionistici aziendali o professionali nonché all’esercizio delle stesse, in modo da creare il quadro giuridico necessario alle suddette attività.

34.      La Commissione sottolinea peraltro che gli enti pensionistici aziendali o professionali, definiti all’art. 6, lett. a), della direttiva 2003/41, non possono essere confusi con il secondo pilastro del sistema pensionistico. Non si può infatti escludere che taluni enti che svolgono attività nel territorio ceco e aventi la loro sede o i loro principali uffici amministrativi in tale territorio corrispondano alla definizione di cui al citato art. 6, lett. a).

35.      La Commissione segnala inoltre che, in base alle informazioni di cui essa dispone, il diritto ceco non vieta la creazione di enti pensionistici aziendali o professionali.

36.      Infine la Commissione ritiene che, in ogni caso, alla luce della giurisprudenza, il fatto che nella Repubblica ceca, attualmente, non vi siano enti pensionistici rientranti nella sfera di applicazione della direttiva 2003/41, non esonera detto Stato membro dall’obbligo di trasporre integralmente tale direttiva. Sarebbe di scarso rilievo, al riguardo, il fatto che il diritto primario attribuisca agli Stati membri la facoltà di definire i principi fondamentali del sistema pensionistico di cui trattasi. Infatti, l’obbligo degli Stati suddetti di trasporre una direttiva prescinderebbe dal fondamento di competenza sulla base del quale essa è stata adottata, nonché dal settore in cui la medesima rientra. Tale obbligo discenderebbe infatti dagli artt. 10 CE e 249, terzo comma, CE, nonché dai termini della detta direttiva.

37.      La Repubblica ceca sostiene di non essere tenuta a trasporre nel proprio ordinamento giuridico le disposizioni della direttiva 2003/41 su cui verte il presente ricorso, poiché, in tal modo, essa sarebbe obbligata ad introdurre un sistema pensionistico aziendale o professionale rientrante nel secondo pilastro, modificando così i principi fondamentali del proprio regime di sicurezza sociale, la cui organizzazione rientra pienamente nel potere degli Stati membri.

38.      La Repubblica ceca osserva, a tale proposito, che il suo sistema pensionistico non contempla un secondo pilastro. Esso sarebbe infatti fondato esclusivamente, da una parte, su un regime legale obbligatorio previsto per tutti gli assicurati dalla legge sull’assicurazione pensioni, che rientra nel primo pilastro e, dall’altra, sull’assicurazione pensione complementare, che rientra nel terzo pilastro. A norma dell’attuale regime giuridico nazionale, un ente pensionistico aziendale o professionale non potrebbe stabilirsi nel territorio ceco per esercitarvi tale attività, poiché esso violerebbe le disposizioni normative che disciplinano l’esercizio di un’attività professionale sul mercato finanziario e potrebbe pertanto essere chiamato a rispondere in sede amministrativa o penale. Mancherebbero, inoltre, la volontà politica e il potenziale economico sufficienti per introdurre un regime pensionistico aziendale o professionale.

39.      Secondo la Repubblica ceca, dal momento che l’art. 137, n. 4, primo trattino, CE, che costituisce una delle basi giuridiche implicite della direttiva 2003/41, lascia agli Stati membri il potere di definire la struttura fondamentale del loro regime di sicurezza sociale, non si può pretendere una trasposizione di detta direttiva, in quanto ciò pregiudicherebbe l’esercizio effettivo del diritto garantito dal diritto primario. Orbene, la trasposizione delle disposizioni cui si riferisce il presente ricorso, costitutive di obblighi per gli Stati membri nel cui territorio hanno sede enti pensionistici aziendali o professionali, implicherebbe inevitabilmente la creazione del quadro normativo necessario per il funzionamento di tali imprese nel territorio della Repubblica ceca e, pertanto, l’istituzione di un secondo pilastro nel detto Stato membro, circostanza che pregiudicherebbe gravemente l’equilibrio finanziario globale del suo regime pensionistico nazionale.

40.      A titolo di esempio, la Repubblica ceca rinvia all’art. 9, n. 1, lett. a), della direttiva 2003/41, che prevede l’obbligo di registrare l’ente in un registro nazionale, ovvero di autorizzarlo. La creazione di un registro adeguato o l’istituzione di un appropriato sistema di autorizzazioni esigerebbe necessariamente l’adozione di norme corrispondenti. L’adozione isolata di una siffatta normativa, senza che sia istituito un sistema articolato in materia di pensioni aziendali o professionali, vale a dire senza definire, ad esempio, i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, non sarebbe possibile.

41.      La Repubblica ceca precisa che è consapevole del fatto che, in linea generale, gli enti pensionistici aziendali o professionali non possano essere confusi con il sistema del secondo pilastro. Tali enti, tuttavia, costituirebbero un elemento essenziale dei sistemi pensionistici e l’adozione di un quadro normativo finalizzato alla loro costituzione comporterebbe necessariamente modifiche del sistema pensionistico nazionale stesso.

42.      La Repubblica ceca sottolinea, peraltro, che la trasposizione operata mediante la legge n. 340/2006 realizza l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/41. Tale legge recepirebbe, infatti, tutte le disposizioni concernenti la fornitura transfrontaliera di servizi nel settore delle pensioni aziendali o professionali da parte di società stabilite in altri Stati membri, consentendo in tal modo alle imprese situate nel suo territorio di contribuire ai sistemi pensionistici proposti da tali società e, al contempo, permettendo a questi ultimi di proporre servizi adeguati nella Repubblica ceca.

43.      In risposta al quesito della Corte, con il quale quest’ultima la invitava a precisare il modo in cui tale autorizzazione a fare ricorso alle prestazioni di enti pensionistici aziendali o professionali stabiliti in altri Stati membri potesse conciliarsi con l’assenza di un secondo pilastro, la Repubblica ceca ha risposto che tale fornitura di servizi non equivaleva all’istituzione di un secondo pilastro in quanto detti enti esercitavano le loro attività sotto la responsabilità del proprio Stato d’origine, e che essa poteva non tenerne conto nella valutazione della soddisfazione delle esigenze dei suoi cittadini.

44.      Infine, la Repubblica ceca ritiene che, poiché il suo ordinamento giuridico interno non consente l’esistenza di un secondo pilastro, la situazione in questione nella presente causa non può essere assimilata a quella indicata nella giurisprudenza richiamata dalla Commissione, relativa all’inesistenza di una particolare attività in un determinato Stato membro. Nel caso di specie, pertanto, l’attuazione della normativa comunitaria sarebbe esclusa non tanto in ragione di un ostacolo fattuale, dovuto a circostanze che possono cambiare in qualsiasi momento, quanto piuttosto ad un impedimento di natura giuridica, collegato alla competenza degli Stati membri di organizzare la struttura fondamentale del loro regime di sicurezza sociale.

IV – Valutazione

45.      In via preliminare, rilevo che la Commissione, nel suo ricorso, addebita alla Repubblica ceca di non aver dato piena attuazione alla direttiva 2003/41 e, in particolare, agli articoli da essa elencati.

46.      Sono del parere che il presente ricorso sia ricevibile e debba essere esaminato solo in relazione alle disposizioni della direttiva 2003/41 espressamente menzionate nel ricorso. Risulta infatti dall’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte e dalla giurisprudenza (11) che le conclusioni dell’atto introduttivo del ricorso devono essere formulate in modo chiaro e preciso al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura.

47.      La Repubblica ceca ammette espressamente di non aver trasposto gli artt.  8, 9, 13, 15-18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41. Orbene, le misure imposte da tali disposizioni sono enunciate in termini tassativi, quali «ciascuno Stato membro assicura che (…)» (12), «[l]o Stato membro di origine provvede affinché (…)» (13), o ancora «[l]e autorità competenti impongono/[l]o Stato membro di origine impone/[g]li Stati membri esigono che (…)» (14).

48.      La direttiva 2003/41, inoltre, non prevede alcuna deroga all’obbligo di trasporre gli articoli controversi, se non quelle, molto limitate e a carattere temporaneo, di cui al suo art. 22, nn. 3 e 4 (15).

49.      L’addebito mosso dalla Commissione alla Repubblica ceca di non aver dato piena attuazione alle disposizioni degli artt.  8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2-4, della direttiva 2003/41 è pertanto pienamente fondato.

50.      Punto centrale della presente controversia è la questione se la Repubblica ceca potesse legittimamente astenersi dal procedere a tale trasposizione. La particolarità del caso di specie consiste nel fatto che, secondo questo Stato membro, la trasposizione delle suddette disposizioni della direttiva 2003/41, che impongono obblighi agli Stati membri in quanto Stato d’origine, lo obbligherebbe a modificare il suo sistema pensionistico, pregiudicando in tal modo la sua competenza in questo settore.

51.      Secondo la Repubblica ceca, infatti, la trasposizione delle disposizioni controverse implicherebbe inevitabilmente l’istituzione di un quadro giuridico necessario al funzionamento di tali enti nel suo territorio con la conseguente creazione di un secondo pilastro, circostanza che pregiudicherebbe gravemente l’equilibrio finanziario globale del suo regime pensionistico nazionale.

52.      Come la Commissione, ritengo che questo argomento non possa essere accolto, per i seguenti motivi.

53.      Certo, è pacifico che gli Stati membri mantengono il potere di organizzare liberamente i loro regimi pensionistici nazionali. La Comunità, che, ai sensi dell’art. 5 CE, dispone unicamente di competenze di attribuzione, non è stata autorizzata a regolare né ad armonizzare la materia. L’art. 137 CE, che definisce le competenze della medesima in materia di politica sociale, esclude qualsiasi potere di armonizzazione nel settore della sicurezza sociale, in cui rientrano le pensioni di vecchiaia. Inoltre, secondo l’art. 137, n. 4, CE, le disposizioni adottate dalla Comunità sulla base di tale articolo non devono compromettere la facoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale e non devono incidere sull’equilibrio finanziario dello stesso.

54.      Ne consegue che gli Stati membri possono liberamente definire il ruolo di ciascuno dei tre pilastri nel loro sistema pensionistico e, per quanto concerne il secondo pilastro, essi possono stabilire il ruolo e le funzioni degli enti pensionistici aziendali o professionali, come espressamente ricordato al nono ‘considerando’ della direttiva 2003/41. In tal senso detti Stati possono definire la misura e le condizioni in cui le imprese aventi sede nel loro territorio possono aderire ad un ente pensionistico professionale o aziendale al fine di assicurare una pensione ai propri dipendenti.

55.      Detti Stati, nell’esercizio di tale competenza riservata, devono, naturalmente, rispettare gli obblighi da essi assunti nell’ambito del Trattato CE, per cui, se il regime pensionistico di uno Stato membro limita la libertà di circolazione, quest’ultimo dev’essere in grado di dimostrare che tale limitazione è giustificata da un motivo legittimo e proporzionata allo scopo perseguito.

56.      A tal riguardo occorre rilevare che la necessità, per uno Stato membro, di preservare l’equilibrio finanziario del proprio regime pensionistico, costituisce un motivo legittimo per limitare una libertà di circolazione, come risulta esplicitamente dall’art. 137, n. 4, CE e dalla giurisprudenza (16). Inoltre, la Corte ha ammesso che gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità nell’organizzazione dei loro sistemi pensionistici, allorché questa organizzazione si fonda su complesse valutazioni di dati finanziari (17).

57.      Sembra pertanto possibile, a mio avviso, che uno Stato membro possa, senza violare il diritto comunitario, fondare il suo sistema pensionistico esclusivamente sul primo e sul terzo pilastro, e decidere quindi che gli enti pensionistici aziendali o professionali non possano svolgere alcun ruolo all’interno di tale sistema. Rilevo che la Commissione non ha messo in discussione la conformità del sistema pensionistico ceco con il diritto comunitario per il fatto che la Repubblica ceca ha deciso di fondare lo stesso esclusivamente sul primo e sul terzo pilastro.

58.      Tuttavia, detta competenza riservata agli Stati membri non può giustificare la posizione della Repubblica ceca, poiché le controverse disposizioni della direttiva 2003/41 non definiscono il ruolo e le funzioni degli enti pensionistici aziendali o professionali all’interno dei sistemi pensionistici nazionali. Esse non sono dirette ad armonizzare l’estensione e le condizioni alle quali le imprese aventi sede nel territorio degli Stati membri possono aderire a tali enti.

59.      Queste disposizioni mirano a consentire agli enti aventi sede nel territorio di uno Stato membro di fornire le loro prestazioni negli altri Stati membri. Esse impongono, quindi, a tutti gli Stati membri di assoggettare gli enti pensionistici aziendali o professionali a talune disposizioni prudenziali rigorose intese a garantire un elevato livello di sicurezza per i futuri pensionati destinatari delle loro prestazioni.

60.      Dette disposizioni contemplano, come si è visto, una separazione giuridica tra gli enti pensionistici aziendali o professionali e le imprese che ad essi aderiscono, affinché, in caso di fallimento di queste ultime, l’attivo degli enti pensionistici sia salvaguardato (art. 8); condizioni per l’esercizio dell’attività destinate a garantire la serietà degli enti pensionistici aziendali o professionali (iscrizione in un registro nazionale o autorizzazione, gestione da parte di persone in possesso dei requisiti di onorabilità, regole adeguate, riserve tecniche certificate da uno specialista, informazione per gli aderenti) (art. 9), e un elenco di informazioni da fornire alle autorità competenti (art. 13). Esse prevedono, inoltre, la presentazione e la gestione di fondi sufficienti a coprire i loro impegni finanziari (artt. 15-18).

61.      L’art. 20, nn. 2-4, della direttiva 2003/41 prevede, infine, la procedura che un ente pensionistico aziendale o professionale deve seguire quando vuole fornire prestazioni in un altro Stato membro, nonché il ruolo delle autorità competenti dello Stato membro nel cui territorio l’ente ha sede.

62.      Siffatte norme, a mio avviso, non sono tali da mettere in discussione il ruolo e le funzioni degli enti pensionistici aziendali o professionali nel sistema pensionistico di ciascuno Stato membro.

63.      A riprova di quanto sopra, si evidenzia il fatto che tutte queste norme sono enunciate in termini tassativi mentre altre disposizioni della direttiva 2003/41, quali i suoi artt. 4 e 5, hanno un carattere espressamente facoltativo, nonché il fatto che l’art. 22 di detta direttiva non prevede alcuna deroga all’obbligo di trasporre tali norme, salvo quelle ben definite e di carattere temporaneo, menzionate ai nn.  3 e 4 di detto articolo.

64.      Si è visto, d’altra parte, che il legislatore comunitario si è premurato di ricordare, al nono ‘considerando’ della direttiva 2003/41, che essa non poteva pregiudicare la competenza riservata degli Stati membri di organizzare i loro sistemi pensionistici e, in particolare, di definire l’ambito del secondo pilastro. La formulazione in termini tassativi degli articoli in questione, alla luce di tale richiamo, conferma che il legislatore, ossia, in particolare, gli Stati membri medesimi, ha ritenuto che la trasposizione di detti articoli non potesse pregiudicare tale competenza.

65.      La trasposizione da parte della Repubblica ceca delle disposizioni in questione della direttiva 2003/41 non comporta dunque per tale Stato membro alcun obbligo di modificare il ruolo e le funzioni degli enti pensionistici aziendali o professionali nel suo regime pensionistico né di creare un secondo pilastro, contrariamente a quanto sostiene il suddetto Stato membro. Questa trasposizione potrebbe, ciononostante, obbligarlo a modificare le norme con cui lo stesso ha inteso limitare tale ruolo e tali funzioni.

66.      La Repubblica ceca ha infatti osservato che, in forza della sua normativa, un ente pensionistico aziendale o professionale non può stabilirsi nel territorio ceco ed esercitarvi le proprie attività, salvo essere perseguito penalmente ovvero in via amministrativa. Viceversa, secondo tale Stato membro, le imprese aventi sede nel suo territorio hanno il diritto di aderire ad enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede in altri Stati membri. Detto Stato membro ha quindi inteso limitare il ruolo degli enti pensionistici aziendali o professionali vietandone l’istituzione nel suo territorio e non, invece, disciplinando il diritto delle imprese nazionali ad aderire a tali enti.

67.      La trasposizione del quadro normativo previsto dalla direttiva 2003/41 dovrebbe pertanto indurre la Repubblica ceca a modificare la sua legislazione, laddove essa vieta l’insediamento di tali enti nel suo territorio. Tuttavia, tale adattamento necessario all’attuazione di detta direttiva non pregiudica, a mio avviso, la competenza riservata della Repubblica ceca, poiché questa competenza, come ho già indicato, consiste nella definizione del ruolo e delle funzioni di detti enti nel suo regime pensionistico. In altri termini, la competenza riservata alla Repubblica ceca di definire il ruolo e le funzioni degli enti di pensionamento aziendali o professionali nel suo sistema nazionale dev’essere esercitata conformemente al diritto comunitario e, in particolare, alle prescrizioni della direttiva 2003/41.

68.      Tale Stato membro, a mio avviso, deve anche creare le condizioni giuridiche previste dalle disposizioni in questione della direttiva 2003/41, se occorre revocando il divieto imposto agli enti pensionistici aziendali o professionali di stabilirsi nel suo territorio, senza per questo dover modificare il ruolo e le funzioni che esso intende far svolgere a tali enti nel suo regime pensionistico nazionale, né mettere in discussione il fatto che lo stesso si fondi sul primo e sul terzo pilastro. La Repubblica ceca potrebbe dunque prevedere in che modo e a quali condizioni le imprese nazionali possono aderire a tali enti.

69.      A tale riguardo, rilevo tuttavia che, nella risposta ai quesiti della Corte, la Repubblica ceca deduce che la possibilità, per le imprese aventi sede nel suo territorio, di aderire ad enti di pensionamento aziendali o professionali aventi sede in altri Stati membri non pregiudica l’equilibrio finanziario del suo regime pensionistico. Non mi è chiaro, nelle spiegazioni fornite dalla Repubblica ceca, perché si dovrebbe adottare necessariamente un ragionamento diverso nel caso in cui tali enti fossero stabiliti nel suo territorio.

70.      In questa fase dell’analisi, l’ultima questione da chiarire è unicamente se uno Stato membro sia tenuto a trasporre le disposizioni di cui trattasi della direttiva 2003/41 qualora, nello stato attuale dell’organizzazione del suo sistema pensionistico, gli enti pensionistici professionali o aziendali non rivestissero alcun ruolo in tale sistema ovvero soltanto un ruolo molto limitato. In altri termini, si tratta di sapere se uno Stato membro si trovi costretto a creare tali condizioni giuridiche, che rischiano di ridursi ad una scatola vuota in quanto detti enti pensionistici aziendali o professionali, non potendo effettivamente esercitare la loro attività in tale Stato ovvero in condizioni soddisfacenti, di fatto, non si stabiliranno nello Stato membro considerato.

71.      La soluzione di tale questione è facilmente desumibile, a mio avviso, dalla giurisprudenza.

72.      Si evince, infatti, da costante giurisprudenza che l’inesistenza in uno Stato membro di una particolare attività presa in considerazione da una direttiva, non esonera questo Stato dall’obbligo di trasporre tale direttiva.

73.      Così la Corte di giustizia, nella sentenza 15 marzo 1990, Commissione/Paesi Bassi (18), ha statuito che l’inesistenza, in uno Stato membro, di prassi incompatibili o vietate da una direttiva (si trattava di mezzi di caccia vietati dalla direttiva del Consiglio 79/409/CEE (19)) non può esonerare lo Stato membro interessato dall’obbligo di assicurare la trasposizione della direttiva stessa. Del pari, conformemente alla citata sentenza Commissione/Grecia (20), la circostanza che nessun macello fosse stato autorizzato in Grecia per la macellazione dei solipedi, non esonerava tale Stato membro dal menzionare tali animali nella sua normativa ai fini dell’applicazione del contributo riscosso a norma della direttiva del Consiglio 93/118/CE (21).

74.      Infine, nella sentenza 13 dicembre 2001, Commissione/Irlanda (22), nonché nella citata sentenza Commissione/Regno Unito, è stato statuito che l’inesistenza di treni a grande velocità in Irlanda e in Irlanda del Nord non esonerava l’Irlanda e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’obbligo di trasporre la direttiva del Consiglio 96/48/CE (23).

75.      L’inesistenza della situazione di cui alle dette direttive è stata dichiarata non pertinente, poiché, secondo la Corte, occorre non soltanto prevenire una modifica di tale situazione di fatto, ma soprattutto garantire in ogni circostanza l’applicazione effettiva di tali direttive (24). In altri termini, la Corte ha ritenuto che gli Stati membri dovessero adottare il quadro normativo che consentisse di assicurare l’applicazione della direttiva in questione, nel termine da essa stabilito, anche se, nei fatti, detto quadro normativo non doveva applicarsi immediatamente.

76.      Solo laddove tale situazione di fatto non possa evolvere per motivi geografici tale trasposizione non si impone  (25).

77.      Ne consegue che, non appena la situazione di fatto che rende la direttiva inoperante si evolve e detta direttiva può trovare effettivamente applicazione, essa deve essere trasposta affinché la sua efficacia e la sua effettiva attuazione non siano ritardate una volta venute meno le circostanze che la rendevano inoperante.

78.      Tale giurisprudenza, a mio avviso, è applicabile a fortiori in una situazione come quella della presente causa, in cui l’inoperatività di una direttiva non discende da una situazione meramente di fatto, che non dipende necessariamente dallo Stato membro interessato, bensì da un contesto giuridico che rientra nel potere decisionale di detto Stato.

79.      Da una parte, infatti, in questa ultima ipotesi, anche tale contesto giuridico può evolvere. È quindi parimenti importante che la direttiva di cui trattasi possa dispiegare immediatamente tutti i suoi effetti, se lo Stato membro interessato decide di modificare detto contesto.

80.      D’altra parte, poiché la modifica del contesto normativo che rende la direttiva in questione inoperante rientra nei poteri di tale Stato membro, è importante evitare che detto Stato possa cercare di mantenere in vigore tale contesto al solo scopo di sottrarsi agli obblighi derivanti da detta direttiva.

81.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare fondato il ricorso proposto dalla Commissione nella parte in cui verte sugli artt.  8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41, e di condannare la Repubblica ceca alle spese.

V –    Conclusione

82.      In base alle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare il presente ricorso per inadempimento ricevibile e fondato nella parte in cui verte sugli artt. 8, 9, 13, 15-18 e 20, nn. 2-4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, e di condannare la Repubblica ceca alle spese.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (GU L 235, pag. 10).


3 – Il primo pilastro raggruppa i regimi a ripartizione obbligatori. Il terzo pilastro raggruppa i contratti individuali di assicurazione sulla vita.


4 – Sesto, ottavo e trentaseiesimo ‘considerando’.


5 – Settimo e ventesimo ‘considerando’.


6 – Il nono ‘considerando’ così recita:


«In base al principio di sussidiarietà gli Stati membri dovrebbero conservare tutte le loro competenze per quanto concerne l’organizzazione dei loro sistemi pensionistici, nonché la definizione del ruolo di ciascuno dei tre “pilastri” del sistema previdenziale nei singoli Stati membri. Nell’ambito del secondo pilastro, essi dovrebbero inoltre conservare tutte le loro competenze per quanto riguarda il ruolo e le funzioni dei vari enti che offrono prestazioni pensionistiche aziendali o professionali, quali i fondi pensione per settore di attività, i fondi pensione aziendali e le imprese di assicurazione sulla vita. La presente direttiva non intende mettere in discussione tale prerogativa».


7 – Il sistema di capitalizzazione è caratterizzato dal fatto che le pensioni sono prefinanziate e la loro erogazione è garantita da riserve. Esso si differenzia dal sistema per ripartizione, nel quale i contributi previdenziali vengono destinati immediatamente al pagamento delle prestazioni scadute.


8 – Lo Stato membro di origine è definito dall’art. 6, lett. i), della direttiva 2003/41 come lo Stato membro nel quale l’ente pensionistico aziendale e professionale ha la sua sede legale e i suoi principali uffici amministrativi o, se non ha una sede legale, ha i suoi principali uffici amministrativi.


9 – Ai sensi dell’art. 6, lett. c), della direttiva 2003/41, è considerata “impresa promotrice” un’impresa o un altro organismo composto da una o più persone giuridiche o fisiche, che versa contributi ad un ente pensionistico aziendale o professionale.


10 – La Commissione cita le sentenze 16 novembre 2000, causa C‑214/98, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑9601, punto 22), e 30 maggio 2002, causa C‑441/00, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4699, punti 15 e 17).


11 – V., in particolare, sentenza 21 febbraio 2008, causa C‑412/04, Commissione/Italia, (Racc. pag. I‑619, punti 103-105).


12 – Artt. 8, 9 e 13.


13 – Artt. 15 e 17.


14 – Artt. 14, 16 e 18.


15 – Ai sensi dell’art. 22, n. 3, della direttiva 2003/41, gli «Stati membri possono posporre fino al 23 settembre 2010 l’applicazione dell’articolo 17, paragrafi 1 e 2, agli enti aventi sede nel loro territorio che non detengono, alla data indicata nel paragrafo 1 del presente articolo, il livello minimo di fondi propri obbligatori a norma di detto articolo 17, paragrafi 1 e 2». Il n. 4 dello stesso articolo stabilisce che gli «Stati membri possono posporre fino al 23 settembre 2010 l’applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera f), agli enti aventi sede nel loro territorio».


16 – V., in particolare, sentenza 4 marzo 2004, causa C‑303/02, Haackert (Racc. pag. I‑2195, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).


17 – Sentenza 21 settembre 1999, causa C‑67/96, Albany (Racc. pag. I‑5751, punto 119).


18 – Causa C‑339/87 (Racc. pag. I‑851, punti 22, 25 e 32).


19 – Direttiva 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1).


20 – Punto 26.


21 – Direttiva 22 dicembre 1993, che modifica la direttiva 85/73/CEE relativa al finanziamento delle ispezioni e dei controlli sanitari delle carni fresche e delle carni di volatili da cortile (GU L 340, pag. 15).


22 – Causa C‑372/00, Racc. pag. I‑10303.


23 – Direttiva 23 luglio 1996, relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità (GU L 235, pag. 6).


24 – Citate sentenze Commissione/Paesi Bassi (punti 22 e 25) e Commissione/Grecia (punti 23 e 27).


25 – Sentenza Commissione/Regno Unito, cit. (punto 17).