Language of document : ECLI:EU:C:2017:618

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 26 luglio 2017 (1)

Cause C643/15 e C647/15

Repubblica slovacca e Ungheria

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento – Decisione (UE) 2015/1601 – Misure temporanee in materia di protezione internazionale in favore della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica – Situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel territorio di taluni Stati membri – Ricollocazione di tali cittadini nel territorio degli altri Stati membri – Quote di ricollocazione – Articolo 80 TFUE – Principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri – Articolo 78, paragrafo 3, TFUE – Base giuridica – Nozione di “atto legislativo” – Articolo 289, paragrafo 3, TFUE – Obbligatorietà per il Consiglio dell’Unione europea di conclusioni adottate dal Consiglio europeo – Articolo 15, paragrafo 1, TUE e articolo 68 TFUE – Violazione delle forme sostanziali – Modifica della proposta della Commissione europea – Requisiti di una nuova consultazione del Parlamento europeo e di un voto unanime in seno al Consiglio – Articolo 293 TFUE – Principi di certezza del diritto e di proporzionalità»






1.        Con i loro ricorsi, la Repubblica slovacca (C‑643/15) e l’Ungheria (C‑647/15) chiedono l’annullamento della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia(2).

2.        Tale decisione è stata adottata dal Consiglio dell’Unione europea sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che prevede che, «[q]ualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione [europea], può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo».

3.        Detta decisione è intervenuta nel contesto della crisi migratoria che ha colpito l’Unione europea a partire dal 2014 e che si è aggravata durante il 2015, in particolare nel corso dei mesi di luglio e agosto di tale anno, nonché della disastrosa situazione umanitaria alla quale tale crisi ha dato luogo, segnatamente negli Stati membri in prima linea, come la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica, che si sono trovati di fronte ad un afflusso massiccio di migranti provenienti da paesi terzi quali la Repubblica araba siriana, la Repubblica islamica d’Afghanistan, la Repubblica dell’Iraq e lo Stato d’Eritrea.

4.        Per fare fronte a tale crisi migratoria e alla pressione da essa esercitata sui sistemi di asilo della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica, la decisione impugnata prevede la ricollocazione, a partire da questi due Stati membri e su un periodo di due anni, di 120 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale verso gli altri Stati membri. Tale decisione è corredata di due allegati che, in una prima fase, ripartiscono 66 000 persone che devono essere ricollocate a partire dall’Italia (contingente di 15 600) e dalla Grecia (contingente di 50 400) sulla base di quote obbligatorie fissate per ciascuno degli altri Stati membri (3).

5.        L’articolo 2, lettera e), della decisione impugnata, definisce la ricollocazione come «il trasferimento del richiedente dal territorio dello Stato membro che i criteri di cui al capo III del regolamento (UE) n. 604/2013[(4)] designano come competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, verso il territorio dello Stato membro di ricollocazione». Quest’ultimo è, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della decisione impugnata, «lo Stato membro che, ai sensi del regolamento [Dublino III], diventa competente per l’esame della domanda di protezione internazionale di un richiedente a seguito della ricollocazione di quest’ultimo nel suo territorio».

6.        Il meccanismo di ricollocazione temporanea previsto dalla decisione impugnata si aggiunge ad altre misure che erano già state adottate a livello dell’Unione per far fronte alla crisi migratoria, fra cui il programma europeo di «reinsediamento» (5) di 22 504 persone bisognose di protezione internazionale, concordato il 20 luglio 2015 sotto forma di «risoluzione» fra gli Stati membri e gli Stati associati al sistema di Dublino, e la decisione (UE) 2015/1523, adottata dal Consiglio il 14 settembre 2015 (6), la quale prevede la ricollocazione dalla Grecia e dall’Italia e su un periodo di due anni di 40 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale verso gli altri Stati membri sulla base di una ripartizione fissata per consenso (7).

7.        Occorre parimenti indicare che, il 9 settembre 2015, la Commissione ha presentato non solo la proposta di quella che diverrà la decisione impugnata (8), ma anche una proposta di regolamento di modifica del regolamento Dublino III (9). Tale proposta prevede un meccanismo di ricollocazione «permanente», vale a dire un meccanismo di ricollocazione che, contrariamente a quello previsto dalla decisione 2015/1523 e dalla decisione impugnata, non è limitato nel tempo. Quest’ultima proposta tuttavia ad oggi non è stata adottata.

8.        Per quanto riguarda la genesi della decisione impugnata, menzionerò i seguenti elementi.

9.        La proposta iniziale della Commissione prevedeva la ricollocazione di 120 000 richiedenti protezione internazionale, a partire dall’Italia (15 600 persone), dalla Grecia (50 400 persone) e dall’Ungheria (54 000 persone) verso gli altri Stati membri. Fra gli allegati che accompagnavano tale proposta, figuravano, negli allegati da I a III, tre tabelle che ripartivano tali richiedenti a partire da ciascuno di questi tre Stati fra gli altri Stati membri, ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord, dell’Irlanda, e del Regno di Danimarca, sotto forma di quote fisse per ciascuno di detti Stati membri.

10.      Il 13 settembre 2015 la Commissione ha trasmesso tale proposta ai parlamenti nazionali.

11.      Il 14 settembre 2015 il Consiglio ha trasmesso questa stessa proposta al Parlamento a fini di consultazione.

12.      Il 17 settembre 2015 il Parlamento ha adottato una risoluzione legislativa che approvava detta proposta, vista, segnatamente, «l’eccezionale situazione di urgenza e la necessità di affrontarla senza ulteriore indugio», chiedendo al contempo al Consiglio di consultarlo nuovamente qualora intendesse modificare sostanzialmente la proposta della Commissione.

13.      Nel corso delle diverse riunioni tenutesi in seno al Consiglio fra il 17 e il 22 settembre 2015, la proposta iniziale della Commissione è stata modificata in taluni punti.

14.      In particolare, in occasione di tali riunioni, l’Ungheria ha fatto sapere che respingeva l’idea di essere qualificata come «Stato membro in prima linea» e che non desiderava figurare fra gli Stati membri beneficiari della ricollocazione allo stesso titolo della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica. Pertanto, nel testo finale della proposta, qualsiasi menzione dell’Ungheria quale Stato membro beneficiario, anche nel titolo della proposta, è stata soppressa. Inoltre, l’allegato III della proposta iniziale, concernente la ripartizione di 54 000 richiedenti che avrebbero dovuto essere ricollocati dall’Ungheria, è stato soppresso. L’Ungheria è stata invece inclusa negli allegati I e II quale Stato membro di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia, e in tali allegati le sono pertanto state assegnate delle quote.

15.      Il 22 settembre 2015 la proposta della Commissione così modificata è stata adottata dal Consiglio a maggioranza qualificata. La Repubblica ceca, l’Ungheria, la Romania e la Repubblica slovacca hanno votato contro l’adozione di tale proposta. La Repubblica di Finlandia si è astenuta.

16.      La decisione impugnata costituisce un’espressione della solidarietà che il Trattato prevede fra gli Stati membri.

17.      I presenti ricorsi offrono l’occasione per ricordare che la solidarietà è uno dei valori principali dell’Unione e si trova anzi alle basi di quest’ultima. Si pone la questione di come sia possibile approfondire la solidarietà fra i popoli dell’Europa e concepire un’unione sempre più stretta fra tali popoli, come auspica il preambolo del Trattato UE, senza una solidarietà fra gli Stati membri quando uno di essi si trovi a fronteggiare una situazione di emergenza. In un caso del genere, viene toccata la quintessenza di quello che costituisce al contempo la ragion d’essere e la finalità del progetto europeo.

18.      Occorre anzitutto porre l’accento sull’importanza della solidarietà quale valore di base ed esistenziale dell’Unione.

19.      Già affermata nel Trattato di Roma (10), l’esigenza di solidarietà è ancora al centro del processo di integrazione perseguito dal Trattato di Lisbona. Benché sorprendentemente assente dall’elenco, figurante all’articolo 2, prima frase, TUE, dei valori sui quali l’Unione si fonda (11), la solidarietà è menzionata, per contro, nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (12) quale parte dei «valori indivisibili e universali» sui quali l’Unione è fondata. Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, precisa che l’Unione promuove non solo «la solidarietà tra le generazioni», ma anche «la solidarietà tra gli Stati membri». La solidarietà continua dunque a far parte di un insieme di valori e principi che costituisce «la base della costruzione europea» (13).

20.      In maniera più specifica, la solidarietà è al contempo un pilastro e un principio guida delle politiche dell’Unione relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione, i quali costituiscono l’oggetto del titolo V, capo 2, del Trattato UE, dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (14).

21.      Lo testimonia l’articolo 67, paragrafo 2, TFUE, ai sensi del quale l’Unione «sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi». Inoltre, l’articolo 80 TFUE dispone che «le politiche dell’Unione di cui [a tale] capo e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati in virtù [di detto] capo contengono misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio»(15).

22.      A fronte della disparità di fatto esistente fra gli Stati membri data la loro situazione geografica e la loro vulnerabilità nei confronti di flussi migratori massicci, l’adozione di misure sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, e la loro applicazione effettiva sono ancor più imperative. In tale ottica, misure come quelle previste nella decisione impugnata consentono di conferire un contenuto concreto al principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri sancito all’articolo 80 TFUE.

23.      La singolarità della decisione impugnata consiste nell’istituire un meccanismo di ricollocazione sulla base di quote destinate agli Stati membri, le quali hanno un carattere obbligatorio. Con tale decisione, la solidarietà fra gli Stati membri ha un contenuto concreto e un carattere vincolante. Tale caratteristica essenziale e innovativa di detta decisione spiega la natura politicamente sensibile delle presenti cause, dal momento che essa ha cristallizzato l’opposizione da parte di Stati membri sostenitori di una solidarietà assunta liberamente e fondata unicamente su impegni volontari.

24.      Tale opposizione, assieme al fatto che la decisione impugnata è applicata in modo molto parziale, argomento sul quale tornerò in seguito (16), può indurre a pensare che, dietro a ciò che si è convenuto di chiamare la «crisi migratoria del 2015», si nasconda un’altra crisi, ossia quella del progetto di integrazione europea, il quale poggia in ampia misura su un’esigenza di solidarietà fra gli Stati che hanno deciso di partecipare a tale progetto (17).

25.      Dall’altro, è altrettanto possibile ritenere che, adottando una risposta decisa a tale crisi migratoria, l’Unione abbia dimostrato di disporre degli strumenti necessari e di essere in grado di metterli in atto. Resta da verificare, come invitano a fare i presenti ricorsi, che, adottando misure come quelle contenute nella decisione impugnata, l’Unione abbia rispettato il quadro giuridico imposto dai Trattati.

I.      Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

26.      Nella causa C‑643/15, la Repubblica slovacca chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata e di condannare il Consiglio alle spese.

27.      Nella causa C‑647/15, l’Ungheria chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata oppure, in subordine, per l’ipotesi in cui essa non accolga il primo capo delle sue conclusioni, di annullare tale decisione nei limiti in cui si riferisce all’Ungheria, e di condannare il Consiglio alle spese.

28.      Nelle cause C‑643/15 e C‑647/15, il Consiglio chiede alla Corte di dichiarare il ricorso infondato e di condannare, rispettivamente, la Repubblica slovacca e l’Ungheria alle spese sostenute nella causa che le riguarda.

29.      Con decisione del presidente della Corte del 29 aprile 2016, il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato del Lussemburgo, il Regno di Svezia e la Commissione sono state ammesse ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio nelle cause C‑643/15 e C‑647/15.

30.      Con questa stessa decisione del presidente della Corte, la Repubblica di Polonia è stata ammessa ad intervenire, nella causa C‑643/15, a sostegno delle conclusioni della Repubblica slovacca e, nella causa C‑647/15, a sostegno delle conclusioni dell’Ungheria.

II.    Sui ricorsi

31.      A sostegno delle sue conclusioni, la Repubblica slovacca deduce sei motivi, relativi, rispettivamente, il primo, alla violazione dell’articolo 68 TFUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché del principio dell’equilibrio istituzionale; il secondo, alla violazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, degli articoli 3 e 4 del protocollo (n. 1) sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea e degli articoli 6 e 7 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegati ai Trattati (18), nonché dei principi di certezza del diritto, della democrazia rappresentativa e dell’equilibrio istituzionale; il terzo, alla violazione delle forme sostanziali che regolano la procedura legislativa, nonché dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE e dei principi della democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione (in subordine); il quarto, alla violazione delle forme sostanziali prescritte all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE e all’articolo 293 TFUE, nonché dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo13, paragrafo 2, TUE e dei principi della democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione (parzialmente in subordine); il quinto, alla violazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE in quanto non ricorrono i presupposti per la sua applicabilità (in subordine), e, il sesto, alla violazione del principio di proporzionalità.

32.      A sostegno delle sue conclusioni, l’Ungheria solleva dieci motivi.

33.      I primi due motivi attengono alla violazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, nella parte in cui tale disposizione non fornisce al Consiglio una base giuridica adeguata per adottare misure che derogano in modo vincolante alle disposizioni di un atto legislativo, che sono applicabili per un periodo di 24 mesi, ovvero di 36 in taluni casi, e i cui effetti si prolungano al di là di tale periodo, il che sarebbe contrario alla nozione di «misure temporanee».

34.      I motivi dal terzo al sesto attengono alla violazione di forme sostanziali, in quanto, in primo luogo, al momento dell’adozione della decisione impugnata, il Consiglio ha violato le disposizioni di cui all’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, discostandosi dalla proposta della Commissione senza unanimità (terzo motivo); in secondo luogo, la decisione impugnata contiene una deroga alle disposizioni di un atto legislativo ed è essa stessa un atto legislativo dal punto di vista del suo contenuto, cosicché, anche nell’ipotesi in cui fosse stato possibile adottarla sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in sede di tale adozione si sarebbe dovuto rispettare il diritto dei parlamenti nazionali di fornire un parere sugli atti legislativi, previsto dal protocollo (n. 1) e dal protocollo (n. 2) (quarto motivo); in terzo luogo, il Consiglio ha modificato in misura sostanziale il testo della proposta dopo la consultazione del Parlamento ma non ha nuovamente consultato quest’ultimo al riguardo (quinto motivo), e, in quarto luogo, in sede di adozione della decisione impugnata da parte del Consiglio, la proposta di decisione non era disponibile nelle versioni linguistiche corrispondenti alle lingue ufficiali dell’Unione (sesto motivo).

35.      Il settimo motivo attiene alla violazione dell’articolo 68 TFUE, e delle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 (19).

36.      L’ottavo motivo attiene alla violazione dei principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa in quanto, sotto vari profili, il modo in cui le disposizioni della decisione impugnata devono essere applicate non è chiaro, e neanche lo è il modo in cui esse si combinano con le disposizioni del regolamento Dublino III.

37.      Il nono motivo attiene alla violazione dei principi di necessità e di proporzionalità, in quanto, poiché l’Ungheria non figura più fra gli Stati membri beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione, non sarebbe giustificato che la decisione impugnata preveda la ricollocazione di 120 000 richiedenti protezione internazionale.

38.      Il decimo motivo, dedotto in subordine, attiene alla violazione del principio di proporzionalità e dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE per quanto riguarda l’Ungheria, poiché la decisione impugnata le assegna una quota obbligatoria quale Stato membro di ricollocazione, sebbene sia assodato che si tratti di uno Stato membro nel cui territorio è penetrato un gran numero di migranti in situazione irregolare che hanno presentato domande di protezione internazionale.

III. Valutazione

A.      Osservazioni preliminari

39.      Dato che la base giuridica di un atto determina la procedura da seguire per l’adozione del medesimo (20), occorre esaminare, in primo luogo, i motivi relativi all’inidoneità dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE quale base giuridica per l’adozione della decisione impugnata. In secondo luogo, esaminerò i motivi relativi alle violazioni di forme sostanziali che si asserisce siano state commesse in occasione dell’adozione di tale decisione e, in terzo luogo, i motivi attinenti al merito.

40.      Inoltre, all’interno di questi tre capi, verranno anzitutto esaminati i motivi della Repubblica slovacca e dell’Ungheria coincidenti in tutto o in parte e, successivamente, se necessario, i motivi propri di ciascuna della ricorrenti.

B.      Sui motivi relativi all’inidoneità dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE quale base giuridica per l’adozione della decisione impugnata

41.      La Repubblica slovacca (secondo e quinto motivo) e l’Ungheria (primo e secondo motivo) contestano che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, possa costituire una base giuridica idonea per l’adozione della decisione impugnata.

42.      Esiste tuttavia una differenza fra le posizioni sostenute da questi due Stati membri. Infatti, mentre l’Ungheria riconosce che la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica si trovavano in una «situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, al momento dell’adozione della decisione impugnata, ma contesta al contempo il fatto che la decisione impugnata fosse la misura idonea per rispondere a tale situazione, la Repubblica slovacca sostiene che una siffatta situazione di emergenza, ai sensi di tale disposizione, non esisteva (seconda parte del quinto motivo).

43.      Per contestare la scelta della base giuridica della decisione impugnata, questi due Stati membri sostengono, in primo luogo, che la decisione impugnata, anche se è stata adottata seguendo una procedura non legislativa e costituisce pertanto un atto non legislativo, dovrebbe cionondimeno essere qualificata come atto legislativo a causa del suo contenuto, in quanto essa modificherebbe atti legislativi. Orbene, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non consentirebbe di adottare atti legislativi.

44.      In secondo luogo, la Repubblica slovacca e l’Ungheria contestano il carattere temporaneo della decisione impugnata.

45.      In terzo luogo, la Repubblica slovacca, contrariamente all’Ungheria, sostiene che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non forniva una base giuridica idonea per l’adozione della decisione impugnata, in quanto il requisito dell’esistenza di una «situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi» non era soddisfatto.

1.      Sul secondo motivo della Repubblica slovacca e sul primo motivo dell’Ungheria, relativi al carattere legislativo della decisione impugnata

46.      La Repubblica slovacca e l’Ungheria fanno valere che la decisione impugnata, anche se è stata adottata secondo la procedura non legislativa e pertanto, formalmente, non costituisce un atto legislativo, deve cionondimeno essere qualificata come atto legislativo per il suo contenuto e per i suoi effetti, dal momento che essa modifica, peraltro in maniera fondamentale, diversi atti legislativi del diritto dell’Unione. Orbene, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non fornirebbe una base giuridica per l’adozione di misure legislative, in quanto non contiene alcuna indicazione secondo che le misure prese sul suo fondamento debbano essere adottate nell’ambito di una procedura legislativa.

47.      La decisione impugnata, come confermerebbe espressamente il considerando 23, derogherebbe a diversi atti legislativi del diritto dell’Unione. Anche se la decisione impugnata qualifica tali modifiche come mere deroghe, la distinzione fra una deroga e una modifica sarebbe artificiosa, dal momento che, nella prassi, gli effetti di una deroga e di una modifica sarebbero identici in entrambi i casi, in quanto è esclusa l’applicazione di una disposizione normativa, cosicché, di fatto, ne viene pregiudicata l’effettività.

48.      Più precisamente, la Repubblica slovacca sostiene che il Consiglio ha violato l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, perché la decisione impugnata deroga a disposizioni contenute in atti legislativi, e che modifiche del genere possono essere operate soltanto mediante un atto legislativo. Orbene, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che non menziona né la procedura legislativa ordinaria né la procedura legislativa speciale, non consentirebbe di adottare atti legislativi. Di conseguenza, la forma della decisione impugnata non corrisponderebbe al suo contenuto.

49.      Adottando la decisione impugnata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, il Consiglio avrebbe pertanto non solo violato tale disposizione, ma avrebbe parimenti arrecato pregiudizio ai diritti dei parlamenti nazionali e del Parlamento. Tanto i primi quanto i secondi avrebbero dovuto partecipare, in forza del diritto primario, alle modifiche degli atti legislativi ai quali il Consiglio ha derogato con la decisione impugnata. Infatti, la Repubblica slovacca rileva che tali atti sono stati adottati secondo la procedura legislativa ordinaria.

50.      La Repubblica slovacca ritiene pertanto che il Consiglio, adottando la decisione impugnata, abbia violato non solo l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, ma anche l’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, l’articolo 13, paragrafo 2, TUE, gli articoli 3 e 4 del protocollo (n. 1) e gli articoli 6 e 7 del protocollo (n. 2), nonché i principi di certezza del diritto, di democrazia rappresentativa e di equilibrio istituzionale.

51.      L’Ungheria concorda con la Repubblica slovacca per quanto riguarda il principio che un atto giuridico adottato sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, il quale, in forza di una lettura a contrario dell’articolo 289, paragrafi 2 e 3, TFUE, non costituisce un atto legislativo, non può modificare in maniera vincolante, neppure temporanea, atti legislativi in vigore adottati nell’ambito di procedure legislative ordinarie o speciali, come il regolamento Dublino III. Per il suo contenuto, la decisione impugnata sarebbe senza alcun dubbio un atto legislativo. Tale decisione, dato che deroga alle disposizioni del regolamento Dublino III, non potrebbe essere adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, il quale, conferendo al Consiglio il potere di adottare atti solo nell’ambito di una procedura non legislativa, l’autorizzerebbe esclusivamente ad adottare atti non legislativi.

52.      Secondo l’Ungheria, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, potrebbe tutt’al più servire da base giuridica per l’adozione di misure complementari ad atti legislativi adottati sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, ma conformi ad essi, oppure di misure che ne agevolano l’attuazione alla luce della situazione di emergenza (21).

53.      L’Ungheria precisa che, ammesso che la Corte decida che sia possibile adottare sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, un atto che deroga ad un atto legislativo adottato sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, una siffatta deroga non può spingersi fino ad incidere sulla sostanza di un atto legislativo del genere oppure a svuotare di significato le sue disposizioni fondamentali. Orbene, ciò avverrebbe nel caso della decisione impugnata, nella misura in cui essa modifica, segnatamente, l’elemento più essenziale di tale regolamento, ossia la designazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. In tal senso, la decisione impugnata introdurrebbe una deroga alle disposizioni di tale regolamento di portata inaccettabile nell’ambito di un atto non legislativo. Ciò costituirebbe un’elusione della procedura legislativa ordinaria prevista all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

54.      Infine, nella replica e nella risposta alle memorie di intervento, l’Ungheria sostiene, riferendosi per analogia ai paragrafi da 151 a 161 delle conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Consiglio/Fronte Polisario (22), che il requisito della consultazione del Parlamento quale previsto all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, può essere considerato una «partecipazione» del Parlamento, ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, cosicché si applicherebbe la procedura legislativa speciale e la decisione impugnata dovrebbe dunque essere qualificata come atto legislativo.

55.      Tuttavia, anche in tale ipotesi, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non autorizzerebbe il Consiglio a derogare ad una disposizione essenziale di un atto legislativo adottato sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

56.      Questi diversi argomenti non mi convincono. Ritengo che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, abbia potuto fungere da base giuridica ad un atto non legislativo, come la decisione impugnata, che deroga in via temporanea e in un ambito ben delimitato a talune disposizioni di atti legislativi.

57.      Inizierò rispondendo all’argomento sollevato dall’Ungheria nella replica (23), ossia che la decisione impugnata potrebbe essere considerata un atto legislativo nonostante l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non dica che i provvedimenti presi sulla base di tale disposizione sono adottati in esito a una procedura legislativa speciale. L’Ungheria si fonda, a tal riguardo, sul dato di fatto che, in conformità a quanto richiesto dall’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, la decisione impugnata è stata effettivamente adottata dal Consiglio «con la partecipazione del Parlamento».

58.      Mi sembra indispensabile rispondere senza ambiguità a tale questione di diritto, in quanto l’adozione di un atto legislativo richiede il soddisfacimento di taluni requisiti che non si applicano all’adozione di un atto non legislativo. Penso, in particolare, alla partecipazione dei parlamenti nazionali prevista agli articoli 3 e 4 del protocollo (n. 1) e agli articoli 6 e 7 del protocollo (n. 2), nonché al criterio in base al quale il Consiglio si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota su un progetto di atto legislativo, criterio che discende dall’articolo 16, paragrafo 8, TUE, e dall’articolo 15, paragrafo 2, TFUE.

59.      La tipologia degli strumenti normativi dell’Unione risultante dal Trattato di Lisbona ha istituito, per la prima volta, una differenziazione fra gli atti legislativi e gli atti non legislativi a partire da considerazioni anzitutto sistematiche e procedurali (24).

60.      L’articolo 289, paragrafo 3, TFUE, definisce la categoria degli «atti legislativi» nel senso che essa copre «[g]li atti giuridici adottati mediante procedura legislativa». La «procedura legislativa» consiste in una «procedura legislativa ordinaria» oppure in una «procedura legislativa speciale». Ai termini dell’articolo 289, paragrafo 1, TFUE, è l’adozione congiunta di un atto giuridico da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione a caratterizzare la procedura legislativa ordinaria.

61.      Ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, una procedura legislativa speciale è una procedura che, «[n]ei casi specifici previsti dai trattati», consiste nell’«adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo» (25). La procedura legislativa speciale è dunque caratterizzata dal fatto che essa associa, a gradi diversi, il Consiglio e il Parlamento all’adozione di un atto dell’Unione.

62.      Nella maggior parte dei casi in cui è prevista una procedura legislativa speciale, un atto di tale tipo deve essere adottato dal Consiglio che delibera all’unanimità, previa approvazione del Parlamento (26) oppure, più comunemente, previa consultazione di quest’ultimo (27). In alcuni casi, è il Parlamento che deve adottare l’atto con l’approvazione del Consiglio (28).

63.      Risulta da tali disposizioni che gli autori del Trattato hanno adottato un approccio meramente formale (29), in forza del quale gli atti legislativi sono qualificati come tali se vengono adottati secondo la procedura legislativa ordinaria o secondo una procedura legislativa speciale.

64.      È pertanto irrilevante tentare di qualificare la decisione impugnata come atto legislativo alla luce del suo contenuto, come suggerito dalle ricorrenti.

65.      La linea argomentativa elaborata dall’Ungheria solleva la questione se sia necessario che una disposizione del Trattato indichi espressamente che essa consente l’adozione di un atto secondo una procedura legislativa speciale per poter considerare che un atto di tale tipo costituisca un atto legislativo.

66.      A mio avviso, è indispensabile fornire una risposta affermativa così da assicurare un sufficiente grado di certezza e di certezza del diritto alla classificazione degli atti dell’Unione operata dagli autori del Trattato.

67.      A tal riguardo, si deve osservare che il Trattato contiene numerose disposizioni che prevedono l’adozione di atti dell’Unione con la menzione espressa che tale adozione viene effettuata al termine di una «procedura legislativa speciale», e ciò sebbene le modalità di tale procedura possano divergere quanto alla natura e al grado di coinvolgimento del Consiglio e del Parlamento. L’effetto utile di una siffatta menzione è quello di precisare che, qualunque siano le modalità, la procedura interessata è a tutti gli effetti una «procedura legislativa», e sfocerà pertanto nell’adozione di un atto legislativo. La necessità di detta menzione discende anche dai termini stessi dell’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, secondo il quale una procedura legislativa speciale si applica unicamente «[n]ei casi specifici previsti dai trattati».

68.      Per contro, procedure il cui svolgimento è simile a quello delle procedure legislative speciali, ma che non sono espressamente qualificate come tali dal Trattato, devono essere considerate procedure non legislative, che sfoceranno pertanto nell’adozione di atti non legislativi (30).

69.      Certamente, si può ritenere che una distinzione fra gli atti legislativi e gli atti non legislativi, c prenda le mosse da un siffatto «nominalismo giuridico» (31), ponga problemi di coerenza (32), e che gli autori del Trattato non abbiano portato a termine lo sforzo di categorizzazione dell’atto legislativo dell’Unione (33).

70.      Si può però altrettanto ritenere – ed è questa la soluzione che incontra il mio favore – che gli autori del Trattato, adottando un approccio esclusivamente formale dell’atto legislativo, abbiano al contrario consentito di individuare in maniera certa le basi giuridiche che autorizzano le istituzioni dell’Unione ad adottare atti legislativi. L’incompletezza ovvero, secondo alcuni, l’apparente incoerenza della classificazione operata dagli autori del Trattato deve pertanto essere intesa come la conseguenza della volontà di questi ultimi di accordare a taluni atti la qualità di atto legislativo e di negarla ad altri.

71.      Una simile analisi del testo delle disposizioni del Trattato al fine di qualificare o meno un atto dell’Unione come atto legislativo è peraltro coerente con quanto dichiarato dalla Corte, vale a dire che «non sono le procedure a definire il fondamento normativo di un atto, ma è il fondamento normativo di un atto che determina le procedure da seguire per la sua adozione» (34).

72.      Proprio così, l’interpretazione che sostengo porta a negare alla decisione impugnata la qualità di atto legislativo.

73.      Infatti, occorre rilevare che il testo dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, sebbene preveda l’adozione di misure da parte del Consiglio che delibera previa consultazione del Parlamento, non menziona espressamente il fatto che siffatte misure sono adottate nell’ambito di una procedura legislativa speciale. Adottate nell’ambito di una procedura non legislativa, dette misure, procedendo ad una lettura a contrario dell’articolo 289, paragrafo 3, TFUE, rivestono carattere non legislativo. Il contrasto è, a tal riguardo, netto rispetto all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, il quale indica espressamente che l’adozione di misure sulla base di tale articolo avviene mediante l’attuazione di una procedura legislativa, nella specie la procedura legislativa ordinaria.

74.      Fatta tale precisazione, occorre adesso rispondere alla preoccupazione che si trova al centro della linea argomentativa elaborata dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria, vale a dire se e in che misura l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, autorizzi il Consiglio ad adottare un atto non legislativo che deroga a disposizioni contenute in atti legislativi dell’Unione.

75.      Ritengo, al pari del Consiglio e degli intervenienti che lo sostengono, che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, autorizzi l’adozione di misure che, per rispondere ad una situazione di emergenza individuata in maniera chiara, deroghino temporaneamente e su punti precisi ad atti legislativi in materia di asilo.

76.      Tale disposizione del Trattato è specificamente intesa a consentire all’Unione di reagire in maniera rapida ed efficace ad una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi. Alla luce del fatto che l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, copre i diversi aspetti del sistema europeo comune di asilo, e che le misure adottate sul suo fondamento costituiscono atti legislativi, è inevitabile che le misure temporanee adottate, in relazione a questo stesso sistema, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, conducano a derogare in via temporanea a talune disposizioni di questi atti legislativi. La nozione di «misure temporanee», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non può pertanto essere intesa, contrariamente a quanto suggerito dalle ricorrenti, nel senso che essa si limita a misure complementari, a carattere operativo o finanziario, salvo restringere in maniera eccessiva l’ambito di applicazione di tale base giuridica e, pertanto, il suo effetto utile. La nozione di «misure temporanee» deve pertanto essere interpretata, a mio avviso, in maniera ampia, nel senso che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, autorizza il Consiglio ad adottare tutte le misure che reputa necessarie per far fronte ad una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.

77.      Affinché delle misure possano essere considerate correttamente fondate sull’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, è necessario che esse non siano destinate a disapplicare, sostituire o modificare in maniera definitiva disposizioni contenute in atti legislativi adottati sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

78.      Non è certamente questo il caso della decisione impugnata, la quale si limita, in conformità alla sua natura di misura temporanea destinata a rispondere ad una situazione di emergenza ben precisa, a prevedere deroghe temporanee, in un ambito rigorosamente definito, a diverse disposizioni di atti legislativi dell’Unione. Siffatte deroghe non possono pertanto essere intese, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, nel senso che esse modificano tali atti in modo permanente e generale.

79.      Preciso, a tal riguardo, che le deroghe apportate dalla decisione impugnata si applicano soltanto per un periodo di due anni e riguardano soltanto un numero limitato di 120 000 cittadini di determinati paesi terzi che hanno presentato una domanda di protezione internazionale in Italia o in Grecia, che possiedono una cittadinanza menzionata all’articolo 3, paragrafo 2, della decisione impugnata, che verranno ricollocati a partire da uno di questi due Stati membri, e che sono arrivati o arriveranno in detti Stati membri fra il 24 marzo 2015 e il 26 settembre 2017.

80.      Come indicato dal Consiglio, dopo la data limite di applicazione della decisione impugnata, ossia il 26 settembre 2017, gli effetti delle deroghe cesseranno automaticamente e le norme generali torneranno ad applicarsi senza necessità di un qualsivoglia intervento da parte del legislatore dell’Unione.

81.      Come osservato in precedenza, tali deroghe mirate e temporanee non possono essere assimilate ad una modifica duratura delle norme sostanziali contenute in atti legislativi dell’Unione in materia di asilo, la quale potrebbe essere operata unicamente sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

82.      Di conseguenza, ai miei occhi, tramite l’adozione della decisione impugnata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non è stata aggirata la procedura legislativa ordinaria prevista all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

83.      Occorre a tal riguardo chiarire il rapporto che intercorre fra queste due disposizioni del Trattato.

84.      Letto in combinato con l’articolo 80 TFUE, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, costituisce una base giuridica specifica per le misure temporanee che concretizzano il principio di solidarietà in situazioni di emergenza caratterizzate da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.

85.      La procedura prevista all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, è caratterizzata dall’emergenza di agire a fronte di una situazione di crisi. È questo che giustifica il suo mancato allineamento alla procedura legislativa ordinaria.

86.      Come indicato dal Consiglio, le misure previste all’articolo 78, paragrafi 2 e 3, TFUE, poggiano ciascuna su una base giuridica autonoma nel Trattato e si ascrivono a situazioni e obiettivi diversi, senza che sia necessario definire una gerarchia fra di esse.

87.      Occorre insistere sul carattere complementare delle basi giuridiche costituite dall’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE (35), e dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. La loro utilizzazione concomitante o in sequenza consente in particolare all’Unione di agire in modo efficace in caso di una crisi migratoria. Tale complementarità è illustrata dalla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 settembre 2015, che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e modifica il regolamento Dublino III.

88.      Nella sua proposta, la Commissione illustra in maniera chiara le interazioni fra le misure figuranti in tale proposta, da un lato, e i programmi di ricollocazione di emergenza basati sull’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, dall’altro.

89.      Come spiegato dalla Commissione, «[l]a proposta che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi va distinta dalle proposte adottate dalla Commissione sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, del TFUE a beneficio di alcuni Stati membri che affrontano un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi sui loro territori» (36). La Commissione prosegue precisando che, «[m]entre le misure proposte dalla Commissione sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, del TFUE sono temporanee, la proposta che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi introduce un metodo per determinare, per un periodo temporaneo in situazione di crisi, lo Stato membro competente per l’esame delle domande di protezione internazionale presentate in uno Stato membro che affronta quella situazione di crisi, allo scopo di garantire una distribuzione più equa dei richiedenti tra gli Stati membri e quindi agevolare il funzionamento del sistema Dublino anche in momenti di crisi»(37).

90.      Si tratta quindi, in quest’ultimo caso, e a differenza di quanto previsto dalla decisione impugnata, di uno strumento permanente che introduce un metodo per determinare lo Stato membro competente per l’esame delle domande di protezione internazionale presentate in uno Stato membro che affronta una situazione di crisi. Tale strumento permanente è di applicazione generale, nel senso che la sua applicazione non interessa in maniera mirata determinati Stati membri che si trovano adesso in una situazione di crisi, ma può andare a beneficio di ogni Stato membro che si dovesse trovare in una situazione del genere.

91.      Le condizioni per attivare il meccanismo di ricollocazione sono previste nella proposta di regolamento. Come indicato dalla Commissione in tale proposta, occorre che lo Stato membro beneficiario «si trovi in una situazione di crisi che ostacola l’applicazione del regolamento Dublino [III] a causa dell’estrema pressione esercitata da un afflusso massiccio e sproporzionato di cittadini di paesi terzi o apolidi, che ne sottopone il sistema di asilo a considerevoli sollecitazioni»(38).

92.      La complementarità fra le misure adottate sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE, e quelle adottate in forza dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE è inoltre spiegata nei seguenti termini dalla Commissione: «[l]’istituzione di un meccanismo di ricollocazione di crisi non pregiudica la possibilità che il Consiglio adotti, su proposta della Commissione, misure temporanee a beneficio di uno Stato membro che deve affrontare una situazione di emergenza ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, (…) TFUE. L’adozione di misure di emergenza sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, (…) TFUE rimarrà valida in situazioni eccezionali in cui è necessaria una risposta di emergenza, che comprenda eventualmente un sostegno più ampio in materia di migrazione, qualora non sussistano le condizioni per il ricorso al meccanismo di ricollocazione di crisi» (39).

93.      Quanto alla base giuridica adottata, la Commissione fa presente, nella sua proposta, che essa «modifica il regolamento [Dublino III] e dovrebbe pertanto essere adottata sulla stessa base giuridica, cioè l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), (…) TFUE, secondo la procedura legislativa ordinaria» (40). La proposta di regolamento modifica, infatti, il regolamento Dublino III, aggiungendovi una sezione VII intitolata «Meccanismo di ricollocazione di crisi». Poiché emenda tale regolamento, detta proposta è correttamente fondata sull’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE, ed è dunque soggetta alla procedura legislativa ordinaria.

94.      Inoltre, la Commissione precisa che «[i]l meccanismo di ricollocazione di crisi previsto dalla proposta comporta deroghe permanenti, da attivare in specifiche situazioni di crisi a beneficio di specifici Stati membri, specialmente al principio di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento [Dublino III] secondo cui una domanda di protezione internazionale dev’essere esaminata dallo Stato membro individuato come competente in base ai criteri enunciati al capo III. Al posto di questo principio la proposta stabilisce, in circostanze di crisi ben precisate, il ricorso obbligatorio a una chiave di distribuzione per determinare la competenza per l’esame delle domande» (41).

95.      La decisione impugnata e la proposta di regolamento hanno in comune il fatto di dare all’Unione gli strumenti per poter rispondere a situazioni di crisi migratorie. Tuttavia, mentre la prima, quale misura adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, presenta un carattere temporaneo ed interessa in maniera mirata gli Stati membri che si trovano in una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, la seconda istituisce un meccanismo di ricollocazione dalla durata indeterminata, il quale non è limitato ad un numero predeterminato di cittadini di paesi terzi e non individua a priori uno o più Stati membri quali beneficiari di tale meccanismo.

96.      Discende da tali elementi che, mentre l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, costituisce la base giuridica che consente all’Unione di rispondere in maniera provvisoria e in una situazione di emergenza ad un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE, consente di dotare l’Unione di un quadro destinato a rispondere in maniera permanente e in modo generale ad un problema strutturale, ossia l’inidoneità dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III in caso di pressione migratoria improvvisa sugli Stati membri in prima linea.

97.      Risulta dalle considerazioni che precedono che, a mio avviso, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, può fungere da fondamento per misure temporanee, come quelle contenute nella decisione impugnata, le quali sono destinate a rispondere ad una situazione di emergenza, anche se comportano deroghe a disposizioni specifiche di atti legislativi dell’Unione, sempreché tali deroghe siano rigorosamente disciplinate sotto il profilo sostanziale e temporale.

98.      Il secondo motivo della Repubblica slovacca e il primo motivo dell’Ungheria devono pertanto essere respinti in quanto infondati.

2.      Sulla prima parte del quinto motivo della Repubblica slovacca e sul secondo motivo dell’Ungheria, relativi all’assenza di carattere temporaneo della decisione impugnata

99.      La Repubblica slovacca e l’Ungheria sostengono che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non fornisce una base giuridica idonea per l’adozione della decisione impugnata, dal momento che essa non riveste natura temporanea, contrariamente a quanto richiesto da tale disposizione.

100. Ai termini dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della decisione impugnata, essa è applicabile dal 25 settembre 2015 al 26 settembre 2017, ossia per un periodo di 24 mesi. Inoltre, l’articolo 13, paragrafo 3, di tale decisione prevede che essa si applichi alle persone che arrivano nel territorio della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica in tale periodo e ai richiedenti protezione internazionale giunti nel territorio di tali Stati membri a decorrere dal 24 marzo 2015.

101. Risulta da tali disposizioni che l’ambito di applicazione ratione temporis della decisione impugnata è delimitato in maniera precisa. Essa prevede senza alcuna ambiguità un meccanismo di emergenza a tempo determinato, cosicché la sua natura temporanea non può, a mio avviso, essere contestata.

102. Poiché l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non menziona più una durata massima di sei mesi, contrariamente a quanto avveniva nel caso dell’articolo 64, paragrafo 2, del Trattato CE, occorre dedurne che le misure temporanee che vengono adottate su tale fondamento possono avere una durata più lunga.

103. Contrariamente a quanto sostengono la Repubblica slovacca e l’Ungheria, la circostanza che la decisione impugnata, attraverso i legami duraturi idonei ad unire i richiedenti protezione internazionale e gli Stati membri di ricollocazione, possa far sentire i propri effetti oltre il periodo menzionato in tale decisione, è, a mio avviso, irrilevante. Effetti del genere più o meno a lungo termine sono infatti inerenti alla protezione internazionale che può essere ottenuta nello Stato membro di ricollocazione. Se si aderisse alla tesi sostenuta dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria, non potrebbe essere attuato nessun meccanismo di ricollocazione sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.

104. Inoltre, poiché l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non fissa un termine preciso ma si limita a prevedere l’adozione di misure temporanee, ritengo che il Consiglio potesse istituire, senza violare tale disposizione e senza eccedere il potere discrezionale conferitogli da quest’ultima, un meccanismo temporaneo di ricollocazione di una durata di applicazione di 24 mesi. Occorre al riguardo rilevare che la Commissione nella sua proposta di decisione, si è data la pena di precisare che «affinché le misure adottate abbiano un reale impatto pratico e forniscano un autentico sostegno alla [Repubblica italiana] [e] alla Repubblica ellenica (…) per far fronte all’afflusso di migranti» (42), la durata delle misure temporanee non dovrebbe essere troppo breve. Inoltre, la scelta di una durata di applicazione di 24 mesi è giustificata anche alla luce del termine prevedibile necessario per preparare l’attuazione in tutti gli Stati membri della procedura di ricollocazione, per di più se si tiene conto, come giustamente sottolineato dalla Repubblica ellenica in udienza, del carattere inedito di tale procedura.

105. Inoltre, l’argomento dedotto dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria, secondo il quale la durata e gli effetti di una misura adottata sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non potrebbero eccedere la durata necessaria per l’adozione di un atto legislativo fondato sull’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, non trova alcun riscontro nel testo di queste due disposizioni. Ancora, poiché è impossibile determinare in anticipo la durata necessaria all’adozione di un atto legislativo che istituisce un meccanismo permanente di ricollocazione sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, la tesi sostenuta dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria mi sembra impossibile da mettere in pratica. Tale incertezza è ben evidenziata dal fatto che la proposta di regolamento che istituisce un meccanismo di ricollocazione permanente, sebbene sia stata presentata il 9 settembre 2015, ossia lo stesso giorno della proposta sfociata nella decisione impugnata, non è stata ancora adottata, e che non si può essere certi che verrà adottata prima del 26 settembre 2017, data di scadenza della decisione impugnata, o ad una data successiva.

106. Gli altri argomenti sollevati dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria non sono idonei a modificare la mia valutazione. In tal senso, il fatto che la decisione impugnata possa subire adattamenti in funzione delle circostanze non contrasta con il suo carattere temporaneo, e neppure la possibilità di proroga per un periodo massimo di dodici mesi previsto all’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata (43).

107. Risulta dalle considerazioni che precedono che la prima parte del quinto motivo della Repubblica slovacca e il secondo motivo dell’Ungheria devono essere respinti in quanto infondati.

3.      Sulla seconda parte del quinto motivo della Repubblica slovacca, relativo al fatto che la decisione impugnata non soddisfa i requisiti di applicazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE

108. La Repubblica slovacca contesta sotto tre profili il fatto che la decisione impugnata rispetti il requisito di applicazione di cui all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, secondo il quale lo Stato membro beneficiario delle misure temporanee deve trovarsi in «una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi».

109. In primo luogo, secondo la Repubblica slovacca, l’afflusso di cittadini di paesi terzi in Italia e in Grecia al momento dell’adozione della decisione impugnata o immediatamente prima della sua adozione era ragionevolmente prevedibile e non può dunque essere qualificato come «improvviso». Infatti, i dati statistici per gli anni 2013-2014 e per i primi mesi del 2015 indicherebbero che il numero di cittadini di paesi terzi diretto verso l’Italia e la Grecia era aumentato in modo continuato e che, a partire dal periodo 2013-2014, tale aumento è stato considerevole. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia, i dati attuali per il 2015 indicherebbero piuttosto una diminuzione annuale del numero di migranti.

110. Tale argomento non può, a mio avviso, essere accolto.

111. Inizierò col rilevare, da un punto di vista generale, riferendomi all’«annual brief 2015» della Frontex, che, nel 2015, il numero di ingressi irregolari di cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne dell’Unione ha superato 1,8 milioni, mentre tale numero era pari a 285 532 nel 2014, ovvero un aumento del 546%. In quanto punti di ingresso principali di tali cittadini nell’Unione, la Grecia e l’Italia sono state esposte ad una pressione migratoria particolarmente intensa.

112. L’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, offre una base giuridica specifica per rispondere alle situazioni di emergenza in materia migratoria alle quali si trovano di fronte uno o più Stati membri, prevedendo l’adozione di misure temporanee che, come rilevato dalla Commissione nella sua proposta di decisione, sono «di natura eccezionale», nel senso che «possono essere attivate solo quando i problemi causati ai sistemi di asilo dello o degli Stati membri dall’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi raggiungono una certa soglia di urgenza e gravità» (44).

113. Al pari del Consiglio e degli intervenienti che hanno presentato osservazioni a suo sostegno, rilevo che il massiccio aumento dell’afflusso di cittadini di paesi terzi nel corso del 2015, e, in particolare, nel corso dei mesi di luglio e agosto di tale anno, costituisce un fatto oggettivo che si riflette nei dati della Frontex menzionati al considerando 13 della decisione impugnata. Tali dati attestano, per quanto riguarda l’Italia, 42 356 attraversamenti irregolari delle frontiere nel luglio e nell’agosto del 2015, ossia un aumento del 20% rispetto al maggio e al giugno del 2015. Per quanto riguarda la Grecia, tale cifra ha raggiunto 137 000 nei mesi di luglio e agosto del 2015, ossia un aumento del 250%.

114. Come risulta dal considerando 13 della decisione impugnata, il Consiglio ha preso in considerazione il fatto che una percentuale significativa di tali migranti poteva vedersi accordare, tenuto conto della loro nazionalità, una protezione internazionale.

115. Inoltre, discende dal considerando 14 della decisione impugnata che, secondo i dati di Eurostat e dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), tra il gennaio e il luglio del 2015 è stato registrato un forte incremento del numero delle persone che hanno chiesto protezione internazionale in Italia e in Grecia, il che conferma appieno quanto affermato in ordine alla crescita esponenziale della pressione esercitata sui sistemi di asilo della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica.

116. Aggiungo che si evince dal considerando 16 della decisione impugnata che il Consiglio ha preso in considerazione anche il fatto che la situazione di emergenza riguardante la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica molto probabilmente continuerà, a causa dell’instabilità e dei conflitti esistenti nel vicinato diretto di questi due Stati membri. L’aver messo in risalto una pressione costante sui sistemi di asilo della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica, fattore corresponsabile del loro continuo indebolimento, rendeva ancor più necessario che l’Unione adottasse una risposta immediata, sotto forma di misure temporanee ex articolo 78, paragrafo 3, TFUE, al verificarsi di una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso e massiccio di cittadini di paesi terzi nel territorio di tali Stati membri (45).

117. Che l’afflusso di cittadini di paesi terzi sia improvviso si evince anche da dati oggettivi, i quali mettono in evidenza un fenomeno di aumento rapido del numero di arrivi di cittadini di paesi terzi in Italia e in Grecia nell’arco di un breve lasso di tempo. L’incapacità di questi due Stati membri di affrontare tale fenomeno attesta l’esistenza di una situazione di emergenza alla quale la decisione impugnata mira a porre rimedio.

118. A prescindere da se tale afflusso di cittadini di paesi terzi sia stato prevedibile o meno, ciò che rileva per giustificare il ricorso all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, è che un siffatto afflusso, per la sua rapidità e per la sua estensione, ha reso indispensabile una reazione immediata da parte dell’Unione attraverso l’adozione di misure temporanee al fine di alleviare la forte pressione sui sistemi di asilo italiano e greco, come indicato dal considerando 26 della decisione impugnata.

119. Poco rileva, parimenti, che la tendenza all’aumento del numero di cittadini di paesi terzi arrivati irregolarmente in Italia e in Grecia sia comparsa prima del 2015. Come osservato in precedenza, ciò che rileva è la constatazione di un incremento improvviso di tale numero, come si evince dai summenzionati dati oggettivi, la cui esattezza non è contestata dalle ricorrenti.

120. In secondo luogo, la Repubblica slovacca sostiene che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, implica che lo Stato membro si trovi in una situazione di emergenza che è appunto dovuta ad un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il che si evincerebbe dall’impiego del termine «caratterizzata». Orbene, la Repubblica slovacca osserva che, perlomeno nel caso della Repubblica ellenica, tale nesso di causalità non sembra esistere. Sarebbe infatti certo che il sistema di asilo e di migrazione greco (e anche italiano) affronti da tempo seri problemi che non presentano un nesso di causalità diretto con il fenomeno migratorio tipico del periodo nel corso del quale la decisione impugnata è stata adottata.

121. Tale argomento dev’essere, a mio avviso, respinto.

122. È vero che, come osservato dal Consiglio, le varie versioni linguistiche dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, divergono, perché, in quindici versioni, viene utilizzata la parola «caratterizzata», mentre in nove versioni figura la parola «causata». Tuttavia, in entrambi i casi, viene espressa la condizione secondo la quale deve sussistere un rapporto stretto fra la situazione di emergenza che esige l’adozione di misure temporanee e l’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi. Orbene, come si evince dai punti 13 e 26 della decisione impugnata, è effettivamente l’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel corso del 2015, e in particolare nei mesi di luglio e agosto del 2015, che ha contribuito a far gravare sui sistemi di asilo italiano e greco una pressione insostenibile, tipica di una situazione di emergenza.

123. Poco importa, a tal riguardo, che i sistemi di asilo italiano e greco siano già stati indeboliti in precedenza. Come rilevato giustamente dal Consiglio, è probabile che la forte pressione conosciuta dai sistemi di asilo italiano e greco sarebbe stata in grado di perturbare gravemente qualsiasi sistema di asilo, anche un sistema che non è caratterizzato da debolezze strutturali.

124. In terzo luogo, secondo la Repubblica slovacca, la decisione impugnata non potrebbe essere adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in quanto sarebbe intesa a risolvere non una situazione di emergenza esistente o imminente che interessa la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica, bensì, perlomeno in parte, situazioni ipotetiche future in relazione alle quali non sarebbe stato possibile affermare con sufficiente probabilità, al momento dell’adozione della decisione impugnata, che si sarebbero verificate.

125. La Repubblica slovacca ritiene che il periodo di applicazione di due ovvero tre anni della decisione impugnata sarebbe troppo lungo per poter affermare che, nel corso di tutto tale periodo, le misure adottate risponderanno alla situazione di emergenza, attuale o imminente, che interessa la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica. Pertanto, nel corso di tale periodo, la situazione di emergenza può non esistere più in questi Stati membri. Infatti, il meccanismo di ricollocazione della riserva di 54 000 persone supplementari previsto all’articolo 4, paragrafo 3, della decisione impugnata, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della medesima, sarebbe inteso a rispondere a situazioni del tutto ipotetiche in altri Stati membri

126. La Repubblica di Polonia supporta tale punto di vista affermando che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, ha ad oggetto una situazione di crisi preesistente ed attuale che esige l’adozione di misure correttive immediate e non, come farebbe la decisione impugnata, situazioni di crisi che possono verificarsi in futuro ma la cui sopravvenienza, natura e portata sono incerte o difficili da prevedere.

127. Contrariamente alla Repubblica slovacca e alla Repubblica di Polonia, ritengo che il fatto che la decisione impugnata si riferisca ad eventi o a situazioni future non costituisca affatto un’incompatibilità con l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.

128. Infatti, ricordo che risulta dai punti 13 e 26 della decisione impugnata che l’adozione di quest’ultima è anzitutto motivata dalla necessità di rispondere ad una situazione di emergenza che si è manifestata in particolare durante il luglio e l’agosto del 2015 in Italia e in Grecia. La circostanza che la decisione impugnata contenga diverse disposizioni che consentono di adeguarla all’evoluzione di tale situazione non deve far dimenticare che tale decisione è destinata a risolvere un problema nato prima della sua adozione.

129. In ogni caso, ritengo che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non osti a che la decisione impugnata contenga diverse disposizioni che consentono di adeguarla all’evoluzione dei flussi migratori. Tale disposizione conferisce al Consiglio un ampio potere discrezionale nella scelta delle misure che devono essere prese al fine di rispondere in maniera adeguata ad una situazione di emergenza caratterizzata dall’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi. Poiché una siffatta situazione di emergenza può continuare, evolversi ed interessare altri Stati membri, il Consiglio era legittimato a prendere in considerazione la possibilità di adeguare la sua azione e, in particolare, le caratteristiche e le modalità di applicazione del meccanismo temporaneo di ricollocazione.

130. Infatti, la necessità di rispondere ad una situazione di emergenza tramite misure temporanee, espressione della base giuridica costituita all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non esclude né l’adeguamento di una misura come la decisione impugnata all’evoluzione della situazione né l’adozione, da parte del Consiglio, di atti di esecuzione. Rispondere all’emergenza non esclude il carattere evolutivo e adeguato della risposta, a condizione che quest’ultima conservi il suo carattere provvisorio.

131. Da questo punto di vista, sono pertanto perfettamente compatibili con l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, disposizioni come l’articolo 1, paragrafo 2, secondo comma, e l’articolo 4, paragrafo 3, della decisione impugnata, i quali prevedono la possibilità per la Commissione di presentare proposte al Consiglio qualora essa ritenga che un adattamento del meccanismo di ricollocazione sia giustificato per il fatto che la situazione si evolve sul terreno o che uno Stato membro si trova di fronte ad una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi a causa di un significativo riorientamento dei flussi migratori.

132. Il Consiglio, senza che ciò incida sulla legittimità della decisione impugnata, ha parimenti potuto riprodurre all’articolo 9, prima frase, della stessa, le condizioni per poter adottare misure temporanee, distinte dalla decisione impugnata, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, e le conseguenze che possono risultarne quanto all’applicazione della decisione impugnata.

133. Infine, come rilevato giustamente dal Consiglio, il fatto di prevedere, nella decisione impugnata, l’adozione di atti di esecuzione (46) e di far dipendere la loro adozione da eventi o situazioni future non può inficiare di illegittimità la decisione impugnata. Infatti, come si evince dal considerando 28 della decisione impugnata, l’esercizio, da parte del Consiglio, di siffatte competenze di esecuzione, è necessario per consentire un adattamento celere del meccanismo temporaneo di ricollocazione alla rapida evoluzione delle situazioni.

134. La seconda parte del quinto motivo della Repubblica slovacca non è pertanto fondata.

135. Risulta dalle considerazioni che precedono che i motivi dedotti dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria, relativi all’inidoneità dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE quale base giuridica per l’adozione della decisione impugnata, devono essere respinti tutti in quanto infondati.

C.      Sui motivi attinenti alla regolarità della procedura di adozione della decisione impugnata e relativi alla violazione di forme sostanziali

1.      Sul primo motivo della Repubblica slovacca e sul settimo motivo dell’Ungheria, relativi alla violazione dell’articolo 68 TFUE

136. La Repubblica slovacca e l’Ungheria sostengono che, dal momento che la decisione impugnata eccede gli orientamenti definiti dal Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 25 e del 26 giugno 2015, secondo cui la distribuzione delle persone ricollocate doveva essere decisa «per consenso» e «rispecchiando le situazioni specifiche degli Stati membri» (47), il Consiglio è venuto meno all’articolo 68 TFUE e ha violato le forme sostanziali.

137. Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, TUE, «[i]l Consiglio europeo dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative».

138. In forza dell’articolo 68 TFUE, «[i]l Consiglio europeo definisce gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

139. Rilevo che anche se le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 contengono effettivamente una disposizione che prevede che gli Stati membri dovrebbero decidere «per consenso» in ordine alla distribuzione di persone in evidente bisogno di protezione internazionale, e ciò «rispecchiando le situazioni specifiche degli Stati membri» (48), tale disposizione si riferisce alla ricollocazione temporanea ed eccezionale su due anni, dall’Italia e dalla Grecia, di 40 000 persone. Orbene, tale misura di ricollocazione di 40 000 persone è stata oggetto della decisione 2015/1523, la quale risponde dunque esattamente all’orientamento formulato dal Consiglio europeo.

140. Secondo la Repubblica slovacca e l’Ungheria, una nuova misura di ricollocazione di emergenza come quella prevista dalla decisione impugnata non avrebbe potuto essere proposta, né a fortiori adottata, senza che il Consiglio europeo prendesse previamente una posizione in tal senso.

141.  La Repubblica slovacca considera in tal senso che, adottando la decisione impugnata senza che il mandato risultante dalle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 fosse stato modificato o ampliato, il Consiglio ha interferito con le funzioni e le competenze del Consiglio europeo. Esso avrebbe pertanto violato l’articolo 68 TFUE, nonché l’articolo 13, paragrafo 2, TUE e il principio dell’equilibrio istituzionale. Inoltre, secondo l’Ungheria, l’articolo 15 TUE dovrebbe essere interpretato nel senso che le conclusioni del Consiglio europeo si impongono alle istituzioni dell’Unione.

142. Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, «[c]iascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste». Tale disposizione traduce il principio dell’equilibrio istituzionale che caratterizza la struttura istituzionale dell’Unione, il quale implica che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni (49).

143. A mio avviso, né la Commissione né il Consiglio hanno ecceduto le competenze conferite loro all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, rispettivamente proponendo e poi adottando la decisione impugnata.

144. In particolare, le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 non possono avere come effetto quello di vietare alla Commissione di proporre, e successivamente al Consiglio di adottare, uno strumento provvisorio e vincolante di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale che completi la decisione 2015/1523.

145. Ricordo, a tal riguardo, che le misure temporanee che possono essere adottate dal Consiglio sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, lo sono su proposta della Commissione. Tale potere di iniziativa, riconosciuto in via generale alla Commissione all’articolo 17, paragrafo 2, TUE, potrebbe essere rimesso in discussione qualora si ammettesse che esso sia subordinato alla previa adozione di conclusioni da parte del Consiglio europeo. A maggior ragione se una disposizione del Trattato, come l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, conferisce alla Commissione il potere di proporre una risposta immediata dell’Unione ad una situazione di emergenza. In virtù del suo potere di iniziativa, la Commissione, la quale, in conformità all’articolo 17, paragrafo 1, TUE, «promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine», deve poter determinare l’oggetto, la finalità e il contenuto della sua proposta (50).

146. Come indicato, in sostanza, dalla Repubblica italiana e dal Granducato del Lussemburgo, la decisione impugnata risponde ad una nuova situazione di emergenza intervenuta nei mesi di luglio e agosto del 2015. L’adozione di un meccanismo temporaneo di ricollocazione di 120 000 richiedenti protezione internazionale sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, non aveva bisogno di essere individuata in modo preciso e in anticipo nelle conclusioni del Consiglio europeo. A parte il fatto che un requisito del genere non risulta dal testo di tale disposizione, esso avrebbe come effetto quello di annientare la reattività di cui le istituzioni dell’Unione devono dare prova allorché gli Stati membri affrontano una situazione di emergenza.

147. Inoltre, è necessario non far produrre alle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 effetti che eccedono l’adozione della misura che è esattamente intesa a darvi seguito, ossia la decisione 2015/1523, la quale verte sulla ricollocazione volontaria di 40 000 persone.

148. In ogni caso, quand’anche si ritenesse che la decisione 2015/1523 non abbia fino in fondo soddisfatto gli auspici contenuti nelle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015, non rinvengo nell’impostazione scelta dalla Commissione e dal Consiglio, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, ai fini dell’adozione della decisione impugnata, nessuna contrarietà di principio agli orientamenti definiti dal Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 25 e del 26 giugno 2015.

149. Infatti, il Consiglio europeo dichiara, al punto 2 di tali conclusioni, che occorre portare avanti i lavori fondandosi sull’«agenda europea sulla migrazione della Commissione». Orbene, tale agenda prevede l’attivazione del meccanismo di emergenza previsto all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. Inoltre, il Consiglio europeo richiama, al punto 3 di dette conclusioni, lo spiegamento di «maggiori sforzi (…) per contenere meglio i crescenti flussi migratori illegali», in particolare sviluppando l’aspetto relativo alla ricollocazione. La Commissione e il Consiglio hanno dunque seguito la linea di azione auspicata dal Consiglio europeo proponendo e poi adottando la decisione impugnata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.

150. Infine, nella misura in cui il merito della contestazione formulata dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria riguarda il fatto che la decisione impugnata è stata adottata a maggioranza qualificata, occorre rilevare che, dal momento che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, consente al Consiglio di adottare misure a maggioranza qualificata, è escluso, in assenza di disposizioni in senso contrario nel Trattato, che il Consiglio europeo modifichi tale regola di voto imponendo al Consiglio una regola di voto all’unanimità. Infatti, si evince dalla giurisprudenza della Corte che, siccome le norme relative alla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione trovano la loro fonte nei Trattati e non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni, solamente i Trattati possono, in casi specifici, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da essi prevista (51).

151. Risulta dalle considerazioni che precedono che il primo motivo della Repubblica slovacca e il settimo motivo dell’Ungheria devono essere respinti in quanto infondati.

2.      Sulla terza parte del terzo motivo e sulla prima parte del quarto motivo della Repubblica slovacca, nonché sul quinto motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione di forme sostanziali, in quanto il Consiglio non ha rispettato l’obbligo di consultazione del Parlamento previsto all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE

152. La Repubblica slovacca e l’Ungheria fanno valere che, dal momento che il Consiglio ha apportato modifiche sostanziali alla proposta iniziale della Commissione e ha adottato la decisione impugnata senza consultare nuovamente il Parlamento, esso ha commesso una violazione delle forme sostanziali richieste all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, la quale deve comportare l’annullamento della decisione impugnata. La Repubblica slovacca ritiene che, procedendo in tal modo, il Consiglio abbia parimenti violato l’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, l’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché i principi della democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione.

153. A tal riguardo, la Repubblica slovacca e l’Ungheria menzionano le seguenti modifiche sostanziali.

154. Questi due Stati membri rilevano che, nella decisione impugnata, l’Ungheria non figura più fra gli Stati membri beneficiari del meccanismo di ricollocazione, bensì fra gli Stati membri di ricollocazione, il che ha comportato la soppressione dell’allegato III della proposta iniziale e l’inclusione dell’Ungheria negli allegati I e II della decisione impugnata.

155. La modifica fondamentale riguarderebbe il fatto che, anche se il numero totale di 120 000 persone è stato mantenuto, il numero di 54 000 persone compreso in tale numero totale, il quale avrebbe dovuto inizialmente riguardare persone che dovevano essere ricollocate a partire dall’Ungheria, è stato trasformato in una «riserva» che non era stata prevista nella proposta iniziale della Commissione. Di conseguenza, la struttura e diversi elementi essenziali di tale proposta sarebbero stati profondamente modificati, come il titolo e il suo ambito di applicazione ratione personae, l’elenco degli Stati membri beneficiari e di ricollocazione, nonché il numero di persone da ricollocare in ciascuno degli Stati membri. Ciò avrebbe dato luogo a modifiche incorporate negli articoli 1 e 3, nonché nell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della decisione impugnata.

156. La Repubblica slovacca menziona altre modifiche della proposta iniziale della Commissione. Tale Stato membro indica in tal senso che, contrariamente a quanto avveniva in tale proposta, la decisione impugnata prevede, al suo articolo 4, paragrafo 3, che altri Stati membri possano beneficiare del meccanismo di ricollocazione se soddisfano i requisiti previsti da tale disposizione. Inoltre, l’articolo 13, paragrafo 3, della decisione impugnata, prevedrebbe che essa si applichi retroattivamente ai richiedenti arrivati a partire dal 24 marzo 2015, ossia un periodo di sei mesi che precede l’adozione di tale decisione, mentre, nella sua proposta iniziale, la Commissione aveva limitato tale retroattività ad un mese.

157. Analogamente, l’articolo 4, paragrafi 5 e 6, della decisione impugnata, conterrebbe modifiche sostanziali rispetto alla proposta iniziale della Commissione per quanto attiene al regime di sospensione temporanea della partecipazione di uno Stato membro al processo di ricollocazione. Infatti, la Repubblica slovacca fa valere che la decisione impugnata dispone che il potere di decidere una siffatta sospensione spetti al Consiglio, mentre la Commissione aveva proposto che tale potere fosse affidato ad essa. La decisione impugnata conterrebbe anche una limitazione della sospensione al 30% della quota di richiedenti attribuita allo Stato membro interessato, mentre la proposta iniziale della Commissione non conteneva una limitazione del genere. Inoltre, mentre la proposta iniziale della Commissione prevedeva l’obbligo per lo Stato membro dispensato di versare una compensazione finanziaria, tale obbligo non figurerebbe nel testo della decisione impugnata.

158. Infine, la Repubblica slovacca rileva che, mentre il considerando 25 della proposta iniziale della Commissione indicava la chiave di distribuzione secondo la quale era stato determinato il numero delle persone da ricollocare verso ciascuno Stato membro, la decisione impugnata non menziona una siffatta chiave, cosicché tale decisione non consente di venire a conoscenza dei criteri secondo i quali le quote sono state attribuite a ciascuno Stato membro.

159. Le ricorrenti addebitano al Consiglio di non avere consultato nuovamente il Parlamento dopo aver apportato tali fondamentali modifiche alla proposta iniziale della Commissione, e ciò sebbene, nella sua risoluzione del 17 settembre 2015, il Parlamento avesse chiesto al Consiglio di consultarlo nuovamente qualora quest’ultimo avesse avuto l’intenzione di modificare in maniera sostanziale la proposta della Commissione.

160. Anche se la presidenza dell’Unione ha informato regolarmente il Parlamento, e in particolare la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento (in prosieguo: la «commissione LIBE»), in merito all’evoluzione della pratica in seno al Consiglio, ciò non potrebbe sostituire una risoluzione formale del Parlamento adottata in seduta plenaria.

161. L’Ungheria si riferisce a due lettere inviate dal presidente della commissione per gli affari giuridici del Parlamento al presidente del Parlamento, nelle quali è segnatamente indicato che anche tale commissione sarebbe pervenuta alla conclusione che il Consiglio aveva modificato in maniera sostanziale la proposta iniziale della Commissione ritirando l’Ungheria dalla cerchia degli Stati membri beneficiari, e che il Parlamento avrebbe dunque dovuto essere nuovamente consultato. Tuttavia, detta commissione, per ragioni politiche, avrebbe raccomandato al Parlamento di non intervenire nelle presenti cause dinanzi alla Corte.

162. Il Consiglio ha contestato l’utilizzazione di queste due lettere nell’ambito dei presenti procedimenti e ha in particolare chiesto alla Corte di adottare una misura istruttoria per verificarne l’autenticità. A mio avviso, queste due lettere non devono essere prese in considerazione dalla Corte, alla quale spetta in ultimo luogo e indipendentemente da quanto espresso in tali lettere, decidere se il Consiglio abbia ottemperato al proprio obbligo di consultare il Parlamento in conformità a quanto previsto dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.

163. Secondo la Corte, «la regolare consultazione del Parlamento nei casi previsti dal Trattato costituisce una formalità sostanziale, la cui inosservanza implica la nullità dell’atto considerato» (52). Sottolineo parimenti che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, «l’obbligo di consultare il Parlamento (…) nei casi previsti dal Trattato, comporta l’obbligo di una nuova consultazione ogni volta che l’atto infine adottato, considerato complessivamente, sia diverso quanto alla sua sostanza da quello sul quale il Parlamento sia stato già consultato, eccetto i casi in cui gli emendamenti corrispondano essenzialmente al desiderio espresso dallo stesso Parlamento» (53).

164. Si deve pertanto verificare se le modifiche menzionate dalle ricorrenti riguardino la sostanza stessa del testo, considerato complessivamente.

165. A tal riguardo, è giocoforza constatare che la proposta iniziale della Commissione, al pari della proposta modificata, ha previsto, per far fronte ad una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, un meccanismo temporaneo di ricollocazione di 120 000 persone, il quale prevede in maniera vincolante la distribuzione di tali persone fra gli Stati membri per un periodo di tempo determinato. Il ritiro dell’Ungheria dagli Stati membri che traggono vantaggio da tale meccanismo costituisce effettivamente una modifica giuridica, ma non arreca pregiudizio alle caratteristiche fondamentali di detto meccanismo.

166. A seguito di tale ritiro, la proposta iniziale della Commissione è stata oggetto di diversi adeguamenti, segnatamente per quanto riguarda la riserva di 54 000 persone. Tuttavia, tali adattamenti non interessano la struttura fondamentale della decisione impugnata. Inoltre, le altre modifiche indicate dalla Repubblica slovacca non mi sembrano tali da incidere sul nocciolo della proposta iniziale, come evidenziato in precedenza.

167. Nel complesso, le varie modifiche apportate dalla Commissione alla sua proposta non hanno pertanto inciso, a mio avviso, sulla sostanza stessa della decisione impugnata considerata complessivamente, e non hanno pertanto imposto una nuova consultazione del Parlamento.

168. Aggiungo che è lecito interrogarsi sulla necessità di una nuova consultazione del Parlamento quando la modifica principale apportata dal Consiglio alla proposta iniziale della Commissione non risulta da una scelta liberamente effettuata dal medesimo ma si limita a prendere atto di una circostanza nuova indipendente dalla sua volontà e che, soprattutto, esso è tenuto a prendere in considerazione.

169. Nella specie, occorre sottolineare che il Consiglio non era in grado di obbligare l’Ungheria a restare beneficiaria del meccanismo temporaneo di ricollocazione, come era previsto nella proposta iniziale della Commissione. Il Consiglio non poteva pertanto che prendere atto della volontà espressa da tale Stato membro di non figurare fra gli Stati membri a vantaggio dei quali tale meccanismo doveva essere applicato.

170. Inoltre, salvo ritenere che si tratti di una consultazione meramente formale, la ragion d’essere della consultazione del Parlamento è quella di portare a eventuali modifiche, da parte del Consiglio, del testo presentato, le quali vadano nel senso auspicato dal Parlamento. Orbene, nella specie, il Consiglio non aveva altra scelta se non quella di prendere atto del ritiro dell’Ungheria, adeguando la sua decisione a tale circostanza indipendente dalla sua volontà.

171. In sintesi, ritengo che, al fine di stabilire se il Parlamento dovesse essere consultato nuovamente o meno, non possa essere considerato un elemento essenziale di una normativa un elemento sul quale il Consiglio non può intervenire. Non si tratta, nella specie, del risultato di un compromesso politico, bensì del rifiuto espresso da uno Stato membro di beneficiare di una misura temporanea adottata sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. Se il Consiglio può costringere gli Stati membri, sulla base di tale disposizione, in combinato disposto con l’articolo 80 TFUE, a dar prova di solidarietà e ad assumersi la loro parte di responsabilità al fine di far fronte ad una situazione di emergenza, esso non può, a mio avviso, obbligare uno Stato membro a beneficiare di tale solidarietà.

172. In ogni caso, anche ammesso che possa ritenersi che il testo alla fine adottato, considerato complessivamente, si discosti nella sua sostanza da quello sulla base del quale il Parlamento ha adottato la sua risoluzione legislativa del 17 settembre 2015, ritengo che, alla luce del contesto di emergenza in cui si inserisce l’adozione di una misura presa sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, come la decisione impugnata, il Parlamento sia stato debitamente consultato nel corso della procedura, sia in relazione alla versione iniziale della proposta della Commissione sia in relazione alle modifiche ad essa apportate.

173. Si evince dalle osservazioni sottoposte alla Corte, in particolare dal Consiglio e dal Granducato del Lussemburgo, che il Parlamento, in occasioni di molteplici contatti formali e informali, è stato informato dal Consiglio della quasi totalità delle modifiche apportate al testo iniziale, e che non vi si è opposto.

174. Più specificamente, il Consiglio afferma, senza essere smentito, di aver deciso, il 14 settembre 2015 alle 12, di consultare il Parlamento in merito alla proposta della Commissione. Lo stesso giorno, il segretario generale del Consiglio ha trasmesso all’attenzione del presidente del Parlamento una lettera di consultazione formale nella quale il Consiglio si è impegnato a tenere il Parlamento pienamente informato in merito all’evoluzione della pratica presso il Consiglio. Il 16 settembre 2015. Jean Asselborn, ministro lussemburghese per l’Immigrazione e l’Asilo, presidente del Consiglio, ha partecipato alla sessione plenaria straordinaria del Parlamento. In occasione dei suoi interventi, egli ha presentato i risultati della riunione del Consiglio «Giustizia e affari interni» del 14 settembre 2015. In tale occasione, egli ha annunciato che l’Ungheria aveva manifestato il suo rifiuto di essere considerata uno Stato membro in prima linea e di beneficiare del meccanismo di solidarietà, nonché il mantenimento, malgrado tale ritiro dell’Ungheria, del numero di 120 000 persone da ricollocare.

175. Come rilevato correttamente dal Granducato del Lussemburgo, il Parlamento è stato dunque messo in grado di tenere conto di tale circostanza ai fini dell’adozione della sua risoluzione legislativa il 17 settembre 2015. Esso ha potuto pertanto prendere atto, nella fase della sua consultazione formale, del ritiro dell’Ungheria dalla cerchia dei beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione di 120 000 persone. Se questa nuova circostanza gli fosse sembrata ostare all’adozione della decisione impugnata, il Parlamento sarebbe dunque stato messo nelle condizioni di esprimere la sua opinione a tal riguardo.

176. Il fatto che la risoluzione legislativa del Parlamento del 17 settembre 2015 non rifletta tale ritiro dell’Ungheria e che nessun’altra risoluzione formalizzi la consultazione del Parlamento sulle modifiche apportate alla proposta della Commissione a seguito di detto ritiro non è, a mio avviso, determinante.

177. Ritengo che le peculiari caratteristiche della base giuridica costituita all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, militino a favore di una relativa flessibilità quanto alla verifica se il Parlamento sia stato debitamente consultato ancora una volta a seguito del ritiro dell’Ungheria e delle modifiche del testo iniziale che costituiscono la conseguenza di tale ritiro.

178. Osservo, del resto, che tale contesto di emergenza è stato preso pienamente in considerazione dal Parlamento nell’ambito della sua consultazione. Infatti, la risoluzione legislativa del Parlamento del 17 settembre 2015 è stata adottata secondo la procedura d’urgenza prevista all’articolo 154 del regolamento di tale istituzione. Rilevo parimenti che il Parlamento ha messo in evidenza in questa stessa risoluzione «l’eccezionale situazione di urgenza e la necessità di affrontarla senza ulteriore indugio».

179. È vero che, in detta risoluzione, il Parlamento «chiede al Consiglio di consultarlo nuovamente qualora intenda modificare sostanzialmente il testo approvato dal Parlamento». Tuttavia, ritengo che, alla luce dell’eccezionalità della situazione di urgenza e dell’esigenza di celerità nell’adozione di una riposta alla crisi migratoria addotta dal Parlamento stesso, non occorra esigere lo svolgimento di una nuova consultazione in un contesto formale e procedurale ben delineato.

180. Il Consiglio apporta peraltro talune precisazioni sul modo in cui il Parlamento è stato regolarmente informato fra il 17 settembre 2015, data della sua risoluzione legislativa, e il 22 settembre 2015, data dell’adozione della decisione impugnata.

181. In tal senso, nell’ambito dei contatti informali annunciati nella lettera di consultazione, la presidenza del Consiglio ha preparato per il Parlamento una versione consolidata del testo della proposta, la quale comprendeva tutti i cambiamenti apportati dal Consiglio fino al 21 settembre 2015 alle 22. Tale testo è stato trasmesso al Parlamento il 22 settembre 2015 alle 9. Lo stesso giorno, la commissione LIBE, che, senza smentita, è la commissione parlamentare competente in materia di asilo, ha tenuto una riunione nel corso della quale la presidenza del Consiglio ha presentato il testo della proposta della Commissione modificata. A tal riguardo, la presidenza del Consiglio è stata in grado di integrare, nella sua presentazione, le ultime modifiche apportate al testo in occasione della riunione straordinaria del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) tenutasi la mattina stessa. Il Parlamento è stato informato anche dell’ordine del giorno della riunione del Consiglio prevista per le 14:30 dello stesso giorno, nonché delle intenzioni della presidenza e della prevedibile evoluzione della pratica in occasione di tale riunione del Consiglio. La commissione LIBE ha poi tenuto un dibattito sul testo così modificato, in previsione della riunione straordinaria del Consiglio.

182. Discende da tutto ciò che il Consiglio ha strettamente coinvolto il Parlamento nell’elaborazione della decisione impugnata. Alla luce del contesto di urgenza, riconosciuto e preso in considerazione dal Parlamento stesso, e della necessaria flessibilità che deve guidare lo svolgimento della procedura in un contesto del genere, occorre riconoscere che il Parlamento è stato debitamente consultato, in conformità a quanto previsto dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.

183. Propongo pertanto alla Corte di dichiarare infondati la terza parte del terzo motivo e la prima parte del quarto motivo della Repubblica slovacca, nonché il quinto motivo dell’Ungheria.

3.      Sulla seconda parte del quarto motivo della Repubblica slovacca e sul terzo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione delle forme sostanziali nella misura in cui il Consiglio non ha statuito all’unanimità, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE

184. La Repubblica slovacca e l’Ungheria sostengono che il Consiglio, adottando la decisione impugnata, ha violato la forma sostanziale prescritta all’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, allorché ha emendato la proposta della Commissione senza rispettare il requisito dell’unanimità imposto da tale disposizione. La Repubblica slovacca ritiene che, agendo in tal modo, il Consiglio abbia parimenti violato l’articolo 13, paragrafo 2, TUE e i principi dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione.

185. Secondo le ricorrenti, il requisito dell’unanimità previsto all’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, si applica ad ogni modifica della proposta della Commissione, incluse modifiche minori e indipendentemente dal sapere se la Commissione abbia accettato esplicitamente o implicitamente le modifiche apportate alla sua proposta in occasione delle discussioni in seno al Consiglio.

186. Le ricorrenti fanno parimenti valere che nulla indica che, nel corso della procedura di adozione della decisione impugnata, la Commissione abbia ritirato la sua proposta e abbia presentato una nuova proposta redatta in termini identici a quelli del testo divenuto in seguito la decisione impugnata. Al contrario, risulterebbe dal verbale della sessione del Consiglio del 22 settembre 2015 che la Commissione non ha né depositato una nuova proposta né fatto una dichiarazione preliminare in relazione al progetto modificato quale adottato alla fine dal Consiglio. Orbene, sarebbe necessario che la Commissione aderisse attivamente ed esplicitamente alle modifiche di cui trattasi per poter considerare che essa abbia modificato la sua proposta ai sensi dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE. Inoltre, il caso di specie sarebbe diverso da quello di cui alla sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (54).

187. Infine, le ricorrenti dissentono sul fatto che i due membri della Commissione presenti alle diversi riunioni tenutesi in seno al Consiglio fossero debitamente incaricati dal collegio dei commissari per approvare il testo alla fine adottato dal Consiglio.

188. Non condivido la posizione sostenuta dalle ricorrenti.

189. Come osservato in precedenza, il Trattato FUE conferisce alla Commissione un potere d’iniziativa legislativa. L’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, consente di garantire tale potere nella misura in cui prevede che, salvi i casi previsti dalle disposizioni del Trattato FUE ivi menzionate, il Consiglio, quando delibera, in virtù dei Trattati, su proposta della Commissione, possa emendare la proposta solo deliberando all’unanimità (55).

190. Inoltre, l’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, precisa che «[f]intantoché il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione di un atto dell’Unione».

191. Nel contesto della procedura sfociata nell’adozione della decisione impugnata, ritengo che non sia stato arrecato pregiudizio al potere di iniziativa della Commissione, che l’articolo 293 TFUE mira a preservare. Osservo peraltro che la Commissione afferma essa stessa, nell’ambito del presente procedimento, che le sue prerogative istituzionali sono state rispettate.

192. Si evince dalle spiegazioni fornite alla Corte dalla Commissione che quest’ultima si è fissata come obiettivo prioritario, in occasione della sua riunione del 16 settembre 2015, di far si che il Consiglio adottasse, in occasione della sessione del 22 settembre 2015, una decisione vincolante e applicabile senza indugio sulla ricollocazione di 120 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale. Al fine di conseguire tale obiettivo prioritario, a Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione, e Dimitris Avramopoulos, commissario responsabile per la Migrazione, gli Affari interni e la Cittadinanza, è stato concesso, stando alle indicazioni fornite dalla Commissione, il margine di manovra necessario per quanto attiene agli altri aspetti della proposta.

193. Come precisato dalla Commissione, l’articolo 13 del suo regolamento interno le consente di «incaricare uno od alcuni dei suoi membri, con il consenso del presidente, di adottare il testo definitivo di un atto o di una proposta da presentare alle altre istituzioni, il cui contenuto sostanziale sia stato già definito in riunione». Rilevo che le ricorrenti non producono alcun principio di prova idoneo a corroborare le loro affermazioni secondo le quali i due membri della Commissione non sarebbero stati debitamente autorizzati dal collegio dei commissari ad approvare, a nome della Commissione, le modifiche della proposta iniziale. Ciò detto e alla luce delle spiegazioni fornite dalla Commissione, occorre presumere, a mio avviso, che il primo vicepresidente della Commissione e il commissario responsabile in materia di asilo e immigrazione fossero debitamente autorizzati dal collegio dei commissari a partecipare pienamente, in nome della Commissione, al procedimento sfociato nell’adozione della decisione impugnata.

194. Il potere d’iniziativa della Commissione è stato preservato nell’ambito del procedimento che ha portato all’adozione della decisione impugnata, nei limiti in cui si deve ritenere che la Commissione, in conformità alla possibilità offerta all’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, abbia modificato la sua proposta.

195. Occorre sottolineare, a tal riguardo, che la Corte non attribuisce importanza alla forma che può assumere la proposta modificata. A suo avviso, «[s]iffatte proposte modificate fanno parte dell’iter legislativo [dell’Unione], caratterizzato da una certa flessibilità, necessaria per raggiungere una convergenza di vedute tra le istituzioni»(56).

196. La necessità di ammettere una certa flessibilità nel processo decisionale al fine di agevolare la ricerca di compromessi politici è ancor più sentita in un contesto di emergenza come quello che caratterizza l’attuazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.

197. Ne risulta che ciò che rileva, per sincerarsi che il potere d’iniziativa della Commissione sia stato rispettato, è verificare se essa abbia dato o meno il suo consenso alle modifiche apportate alla sua proposta. Come rilevato correttamente dal Consiglio, risulta dal combinato delle disposizioni di cui all’articolo 293, paragrafi 1 e 2, TFUE, che il requisito del voto unanime del Consiglio si applica unicamente in una situazione in cui la Commissione si opponga ad una modifica della sua proposta.

198. Orbene, si evince dal fascicolo che il primo vicepresidente della Commissione e il commissario responsabile in materia di asilo e immigrazione hanno partecipato in maniera attiva e continuata alla ricerca di un compromesso politico in seno al Consiglio. A tal fine, questi due membri della Commissione hanno accettato le modifiche apportate dal Consiglio alla proposta iniziale. Al momento di statuire, il Consiglio era dunque investito di una proposta della Commissione modificata in conformità al compromesso politico accettato da due membri della Commissione, debitamente incaricati a tal fine da quest’ultima, secondo quanto previsto all’articolo 293, paragrafo 2, TFUE (57).

199. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di respingere in quanto infondati la seconda parte del quarto motivo della Repubblica slovacca e il terzo motivo dell’Ungheria.

4.      Sulla seconda parte del terzo motivo della Repubblica slovacca e sul quarto motivo dell’Ungheria, relativi alla violazione di forme sostanziali, in quanto il diritto dei parlamenti nazionali di fornire un parere in conformità al protocollo (n. 1) e al protocollo (n. 2) non è stato rispettato

200. La Repubblica slovacca, in subordine, e l’Ungheria, fanno valere che, in occasione dell’adozione della decisione impugnata, il diritto dei parlamenti nazionali di emettere un parere su ogni progetto di atto legislativo quale previsto da protocollo (n. 1) e dal protocollo (n. 2), non è stato rispettato.

201. La decisione impugnata, dato che, secondo le ricorrenti, costituirebbe, per il suo contenuto, un atto legislativo, in quanto modificherebbe atti legislativi dell’Unione, avrebbe dovuto essere adottata con la procedura legislativa e quindi doveva essere rispettato il diritto dei parlamenti nazionali di emettere un parere sulla proposta di tale atto. La trasmissione del progetto ai parlamenti nazionali a mero titolo informativo, come effettuata il 13 settembre 2015, non era pertanto sufficiente. Comunque, poiché il progetto è stato adottato dal Consiglio, nella versione modificata, il 22 settembre 2015, il termine di otto settimane a disposizione dei parlamenti nazionali per emettere un parere ai sensi dell’articolo 4 del protocollo (n. 1) e dell’articolo 6 del protocollo (n. 2) non sarebbe stato rispettato.

202. Inoltre, l’eccezione in caso di urgenza quale prevista all’articolo 4 del protocollo (n. 1), la quale consente di abbreviare tale termine di otto settimane, non sarebbe applicabile, poiché nessun documento proveniente dal Consiglio farebbe riferimento alla necessità che, alla luce dell’urgenza della pratica, i parlamenti nazionali dovessero emettere il loro parere entro un termine più breve.

203. Al pari del Consiglio, ritengo che la decisione impugnata, poiché, come dimostrato in precedenza, costituisce un atto non legislativo, non fosse soggetta ai requisiti sulla partecipazione dei parlamenti nazionali, connessi all’adozione di un atto legislativo, come previsti dal protocollo (n. 1) e dal protocollo (n. 2).

204. La seconda parte del terzo motivo della Repubblica slovacca e il quarto motivo dell’Ungheria devono pertanto essere respinti in quanto infondati.

5.      Sulla prima parte del terzo motivo della Repubblica slovacca, relativa alla violazione di forme sostanziali, in quanto il Consiglio non ha rispettato il requisito del carattere pubblico dei dibattiti e del voto in seno al medesimo

205. La Repubblica slovacca sostiene, in subordine, che se la Corte dovesse dichiarare che la decisione impugnata è stata adottata secondo una procedura legislativa e costituisce dunque un atto legislativo, ne conseguirebbe che il Consiglio ha violato una forma sostanziale adottando la decisione impugnata a porte chiuse, nell’esercizio delle sue attività non legislative, dato che l’articolo 16, paragrafo 8, TUE, e l’articolo 15, paragrafo 2, TFUE, prevedono che le riunioni del Consiglio siano pubbliche quando si tratta di deliberare e votare su un progetto di atto legislativo.

206. Al pari del Consiglio ritengo che la decisione impugnata, non essendo, come ho dimostrato in precedenza, un atto legislativo, non sia soggetta alle condizioni connesse all’adozione di un atto legislativo, fra cui il requisito del carattere pubblico delle delibere e del voto del Consiglio.

207. La prima parte del terzo motivo della Repubblica slovacca deve pertanto essere respinta in quanto infondata.

6.      Sul sesto motivo dell’Ungheria, relativo alla violazione di forme sostanziali in quanto, in sede di adozione della decisione impugnata, il Consiglio non ha rispettato le norme in materia di regime linguistico del diritto dell’Unione

208. L’Ungheria sostiene che il Consiglio ha violato una formalità sostanziale per aver adottato la decisione impugnata, sebbene il testo di quest’ultima, che è stato presentato al voto, non fosse disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’Unione.

209. Più specificamente, il Consiglio non avrebbe rispettato il regime delle lingue del diritto dell’Unione e, in particolare, l’articolo 14, paragrafo 1, del suo regolamento interno (58), in quanto i testi che riprendono le modifiche successivamente apportate alla proposta iniziale della Commissione, fra cui il testo della decisione impugnata come adottato alla fine dal Consiglio, sono stati distribuiti alle delegazioni degli Stati membri unicamente in lingua inglese.

210. La Repubblica slovacca ha sollevato questo stesso motivo nella fase della sua memoria di replica. A mio avviso, nell’ambito del ricorso introdotto da tale Stato membro, detto motivo deve essere considerato tardivo e dunque irricevibile.

211. L’articolo 14 del regolamento interno del Consiglio, intitolato «Deliberazioni e decisioni in base a documenti e progetti redatti nelle lingue previste dal regime linguistico in vigore», prevede quanto segue:

«1.      Salvo decisione contraria adottata dal Consiglio all’unanimità e motivata dall’urgenza, il Consiglio delibera e decide soltanto in base a documenti e progetti redatti nelle lingue previste dal regime linguistico in vigore.

2.      Ciascun membro del Consiglio può opporsi alla delibera qualora il testo delle eventuali modifiche non sia redatto nelle lingue fra quelle di cui al paragrafo 1, che egli designa».

212. Il Consiglio sostiene che tale disposizione del suo regolamento interno deve essere intesa nel senso che, mentre il paragrafo 1 esige che i documenti e i progetti che costituiscono la «base» delle deliberazioni del Consiglio, nella specie la proposta iniziale della Commissione, siano messi a disposizione degli Stati membri in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, il paragrafo 2 di detta disposizione prevede un regime semplificato per le modifiche, le quali non dovrebbero essere obbligatoriamente disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Sarebbe soltanto in caso di opposizione di uno Stato membro che la versione linguistica indicata da tale Stato membro dovrebbe essere parimenti sottoposta al Consiglio prima che quest’ultimo possa continuare a deliberare.

213. Ritengo che tale spiegazione fornita dal Consiglio sul modo in cui l’articolo 14 del suo regolamento interno deve essere inteso (59) sia convincente, in quanto costituisce un approccio equilibrato e flessibile che consente di assicurare l’efficienza dei lavori del Consiglio, particolarmente nel contesto di emergenza che caratterizza le misure temporanee adottate sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. Detta spiegazione è inoltre in sintonia con lo svolgimento del procedimento sfociato nell’adozione della decisione impugnata.

214. Nella specie, come precisato dal Consiglio, senza essere contraddetto, la Commissione ha messo la sua proposta di decisione a disposizione di tutte le delegazioni degli Stati membri in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Inoltre, il Consiglio fa presente, senza che ciò sia contestato dalle ricorrenti, che tutte le modifiche chieste oralmente da diversi Stati membri, riprese in documenti di lavoro redatti in lingua inglese e distribuiti alle delegazioni, sono state lette dal presidente del Consiglio ed interpretate simultaneamente in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Secondo il Consiglio, nessuno Stato membro ha sollevato obiezioni ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento interno del Consiglio.

215. Infine, comunque, come correttamente rilevato dal Consiglio, discende dalla giurisprudenza della Corte che, anche ammesso che il Consiglio, adottando la decisione impugnata, abbia violato l’articolo 14 del suo regolamento interno, un’irregolarità procedurale di questo genere può determinare l’annullamento dell’atto infine adottato soltanto nel caso in cui, in assenza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto dare luogo a un risultato diverso (60). Orbene, l’Ungheria non ha addotto alcun elemento idoneo a dimostrare che, se le modifiche della proposta iniziale della Commissione fossero state redatte in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, il procedimento avrebbe potuto dare luogo a un risultato diverso.

216. Di conseguenza, il sesto motivo dell’Ungheria deve essere respinto in quanto infondato.

217. Discende dunque dalle considerazioni dedicate all’esame dei motivi della Repubblica slovacca e dell’Ungheria, relativi alla regolarità del procedimento di adozione della decisione impugnata e vertenti sulla violazione di forme sostanziali, che essi devono essere tutti respinti in quanto infondati.

D.      Sui motivi attinenti al merito

1.      Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, nonché sul nono e sul decimo motivo dell’Ungheria, vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

218. Tanto la Repubblica slovacca quanto l’Ungheria sostengono, con argomentazioni che divergono su taluni punti, che la decisione impugnata viola il principio di proporzionalità.

219. Secondo una giurisprudenza costante, il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tali obiettivi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (61).

220. Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale del rispetto di tale principio, risulta dalla giurisprudenza della Corte che occorre riconoscere alle istituzioni dell’Unione un ampio potere discrezionale in settori che richiedono da parte loro scelte di natura politica e rispetto ai quali esse sono chiamate ad effettuare valutazioni complesse. In tali situazioni, solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in uno di tali settori, in relazione allo scopo che le istituzioni competenti intendono perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura (62).

221. È pacifico, a mio avviso, che tale giurisprudenza sia applicabile nella specie, in quanto la decisione impugnata è il riflesso di scelte politiche effettuate dal Consiglio per far fronte ad una situazione di emergenza e la risposta apportata da quest’ultimo al fenomeno dell’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel territorio dell’Unione è il frutto di valutazioni complesse alle quali la Corte non può sostituirsi.

222. Ricordo che l’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata consiste, in conformità al suo articolo 1, paragrafo 1, in combinato disposto con i suoi punti 12 e 26, nell’aiutare la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica ad affrontare meglio una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel loro territorio tramite l’adozione di misure temporanee in materia di protezione internazionale destinate ad alleviare la forte pressione sul sistema di asilo di questi due Stati membri.

223. Già la constatazione che la decisione impugnata è manifestamente inidonea a conseguire l’obiettivo da essa perseguito oppure che essa eccede i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tale obiettivo sarebbe idonea a comportare l’annullamento di tale decisione.

224. Occorre adesso esaminare il contenuto dei motivi sollevati dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria per contestare la proporzionalità della decisione impugnata.

a)      Sull’idoneità della decisione impugnata a realizzare l’obiettivo da essa perseguito

225. La Repubblica slovacca, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa valere che la decisione impugnata non è idonea a realizzare l’obiettivo da essa perseguito, perché la pressione esercitata sui sistemi di asilo italiano e greco sarebbe la conseguenza di debolezze strutturali gravi proprie di questi ultimi in termini di mancanza di capacità di accoglienza e di esame di domande di protezione internazionale. Il meccanismo temporaneo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata non sarebbe idoneo a porre rimedio a siffatte carenze strutturali.

226. Non condivido questa argomentazione.

227. Ritengo che la decisione impugnata, sottraendo l’esame di numerose domande di protezione internazionale alla competenza della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica, contribuisca in modo automatico ad alleviare la forte pressione esercitata sui sistemi di asilo di questi due Stati membri a seguito della crisi migratoria dell’estate del 2015. Il fatto che l’obiettivo principale della decisione impugnata non consista nel porre rimedio alle carenze strutturali di tali sistemi di asilo, non può far dimenticare tale assunto.

228. Del resto, occorre sottolineare che la decisione impugnata non si disinteressa del problema di migliorare il funzionamento dei sistemi di asilo della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica, anzi, tutt’altro.

229. Infatti, la decisione impugnata prevede, all’articolo 8, paragrafo 1, che, «[la Repubblica italiana] e la [Repubblica ellenica], considerati gli obblighi di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della decisione (…) 2015/1523, notificano al Consiglio e alla Commissione, entro il 26 ottobre 2015, una tabella di marcia aggiornata che tenga conto della necessità di garantire l’adeguata attuazione della presente decisione». In conformità a quanto indicato all’articolo 8, paragrafo 1, della decisione 2015/1523, tale tabella di marcia deve in particolare prevedere «misure adeguate nei settori dell’asilo, della prima accoglienza e del rimpatrio dirette a migliorare le capacità, la qualità e l’efficacia dei (…) sistemi [della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica] in questi settori». Il considerando 18 della decisione impugnata precisa, a tal riguardo, che la decisione 2015/1523 «introduce l’obbligo in capo all[a Repubblica italiana] e alla [Repubblica ellenica] di fornire soluzioni strutturali per ovviare alle pressioni eccezionali sui loro sistemi di asilo e migrazione, istituendo un quadro strategico solido che consenta di far fronte alla situazione di crisi e intensifichi il processo di riforma in corso in questi settori». La decisione impugnata, esigendo un’attualizzazione delle tabelle di marcia stabilite dalla Repubblica italiana e dalla Repubblica ellenica in applicazione della decisione 2015/1523, mantiene un rapporto di continuità con quest’ultima decisione. L’obiettivo perseguito nella specie consiste nell’obbligare questi due Stati membri ad adeguare i loro sistemi di asilo allo scopo di consentire ai medesimi di affrontare meglio, al termine del periodo di applicazione della decisione impugnata, il possibile aumento dell’afflusso di migranti nel loro territorio.

230. In applicazione della decisione impugnata, la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica hanno dunque l’obbligo, parallelamente alle ricollocazioni effettuate a partire dal loro territorio, di correggere le carenze strutturali dei lori sistemi di asilo. L’inadempimento di uno di questi due Stati membri a tale obbligo può comportare, secondo all’articolo 8, paragrafo 3, della decisione impugnata, la sospensione dell’applicazione di tale decisione nei confronti di tale Stato membro per un periodo massimo di tre mesi, prorogabile una volta sola.

231. Inoltre, occorre tenere presente che la decisione impugnata non costituisce la sola misura adottata dall’Unione al fine di alleviare i sistemi di asilo italiano e greco. Come sottolineato dal Granducato del Lussemburgo, tale decisione deve essere intesa come facente parte di un insieme di misure, delle quali una delle più importanti sul piano operativo è sicuramente la predisposizione di «hotspot» (63).

232. Infine, come indicato in precedenza, condivido la posizione del Consiglio secondo la quale è probabile che la forte pressione subita dai sistemi di asilo italiano e greco avrebbe potuto compromettere gravemente qualsiasi sistema di asilo, anche un sistema che non conosce debolezze strutturali. Mi sembra pertanto erroneo sostenere, come fatto dalla Repubblica slovacca, che la pressione esercitata sui sistemi di asilo della Repubblica italiana e della Repubblica ellenica sia unicamente la conseguenza delle debolezze strutturali di questi due sistemi.

233. Alla luce di tali elementi, ritengo che non risulti, tantomeno in maniera manifesta, che la ricollocazione di un numero significativo di persone in evidente bisogno di protezione internazionale, in modo da sgravare i sistemi di asilo italiano e greco dall’esame delle corrispondenti domande, costituisca una misura inidonea a contribuire in modo concreto ed efficace all’obiettivo di alleviare la forte pressione esercitata su questi due sistemi di asilo.

234. Secondo la Repubblica slovacca e l’Ungheria, l’inidoneità della decisione impugnata a conseguire l’obiettivo da essa perseguito sarebbe parimenti confermata dal numero esiguo di ricollocazioni effettuate ai sensi di tale decisione.

235. Orbene, come indicato correttamente dal Consiglio, la proporzionalità deve essere valutata alla luce degli elementi a disposizione di tale istituzione al momento dell’adozione della decisione impugnata.

236. Occorre richiamare, a tal riguardo, la giurisprudenza della Corte secondo la quale, nell’ambito di un ricorso per annullamento, la legittimità di un atto deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato e non può in particolare dipendere da considerazioni retrospettive riguardanti il suo grado di efficacia (64). La Corte ha parimenti precisato che quando il legislatore dell’Unione è chiamato a valutare gli effetti futuri di una normativa da adottare, sebbene questi effetti non possano essere previsti con certezza, la sua valutazione può essere oggetto di censura solo qualora appaia manifestamente erronea alla luce degli elementi di cui esso disponeva al momento dell’adozione della normativa stessa (65).

237. Come si evince da diversi punti della decisione impugnata, il Consiglio si è fondato su un’analisi dettagliata delle cause e degli effetti della situazione di crisi verificatasi durante dell’estate del 2015 sulla base delle cifre a sua disposizione al momento dell’adozione di tale decisione.

238. Come rilevato dal Consiglio, la debole efficacia delle misure previste dalla decisione impugnata (66) può spiegarsi con un insieme di elementi che esso non poteva prevedere al momento dell’adozione di tale decisione, in particolare la politica del «lasciar passare» praticata da diversi Stati membri, la quale ha dato luogo allo spostamento disordinato di un considerevole numero di migranti verso altri Stati membri, la lentezza delle procedure di ricollocazione, l’incertezza creata dai numerosi casi di rifiuto per ragioni di ordine pubblico invocate da taluni Stati membri di ricollocazione e la cooperazione insufficiente di taluni Stati membri nell’attuazione della decisione impugnata.

239. Su tale ultimo punto, aggiungo che l’argomento elaborato dalle ricorrenti non costituisce altro, in definitiva, che un tentativo di trarre vantaggio dalla mancata esecuzione da parte loro della decisione impugnata. Rilevo, infatti, che la Repubblica slovacca e l’Ungheria, non adempiendo ai loro obblighi di ricollocazione, hanno contribuito a che l’obiettivo di 120 000 ricollocazioni fissato nella decisione impugnata sia, ad oggi, lungi dall’essere realizzato.

240. È giocoforza constatare, a tal riguardo, che, stando alle cifre alla data del 10 aprile 2017 (67), l’Ungheria non ha ricollocato nessuna persona dall’Italia e dalla Grecia. La Repubblica slovacca, da parte sua, ha ricollocato unicamente 16 persone dalla Grecia e nessuna dall’Italia. Tali cifre corrispondono rispettivamente allo 0% e al 2% delle quote di ricollocazioni attribuite all’Ungheria e alla Repubblica slovacca dalla decisione impugnata. Rilevo, inoltre, che né la Repubblica slovacca né l’Ungheria hanno chiesto l’applicazione nei loro confronti del meccanismo di sospensione temporanea dei loro obblighi previsto all’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata.

241. Se è chiaro, a mio avviso, che l’idoneità della decisione impugnata a conseguire l’obiettivo da essa perseguito non possa essere contestata dalle ricorrenti basandosi sulla debolezza della sua applicazione o sulla sua inefficacia nella prassi, vi è per contro un dato a mio parere pacifico, ossia che tale decisione può riuscire a risolvere la situazione di emergenza che giustifica la sua adozione solo a condizione che tutti gli Stati membri, nello stesso spirito di solidarietà che costituisce la sua ragion d’essere, si impegnino ad attuarla.

242. Ricordo, a tal riguardo, che la disapplicazione della decisione impugnata integra anche una violazione dell’obbligo di solidarietà e di equa ripartizione degli oneri espresso all’articolo 80 TFUE. È pacifico, a mio avviso, che la Corte, investita di un ricorso per inadempimento a tal riguardo, sarebbe legittimata a ricordare agli Stati inadempienti i loro obblighi, e ciò in modo deciso, come ha potuto fare in passato (68).

b)      Sul carattere necessario della decisione impugnata alla luce dell’obiettivo che essa persegue

1)      Gli argomenti fatti valere dalla Repubblica slovacca

243. La Repubblica slovacca sostiene che l’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata poteva essere realizzato in maniera altrettanto efficace ricorrendo a misure adottabili nell’ambito di strumenti esistenti e che sarebbero meno restrittive per gli Stati membri per quanto riguarda la loro incidenza sul diritto sovrano di ciascuno Stato membro di decidere liberamente in ordine all’ammissione di cittadini di paesi terzi nel proprio territorio, nonché sul diritto degli Stati membri, enunciato all’articolo 5 del protocollo (n. 2), a che l’onere finanziario e amministrativo sia il meno gravoso possibile.

244. Per quanto riguarda, in primo luogo, possibili misure meno restrittive, la Repubblica slovacca menziona anzitutto la direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (69). Tale direttiva sarebbe destinata a rispondere alle stesse situazioni di afflusso massiccio di migranti della decisione impugnata, prevedendo una protezione temporanea, come indicherebbero i punti 8, 9 e 13, nonché l’articolo 1 di detta direttiva, ma essendo meno restrittiva di tale decisione sotto più profili. Inoltre, l’articolo 26 della direttiva 2001/55 prevedrebbe espressamente una procedura di ricollocazione delle persone che beneficiano di una protezione temporanea.

245. Tale direttiva sarebbe meno lesiva degli interessi degli Stati membri, perché prevedrebbe il rimpatrio delle persone di cui trattasi al momento della cessazione della protezione temporanea. Inoltre, l’articolo 25 di detta direttiva prevedrebbe, in uno spirito di solidarietà, che gli Stati membri indichino la loro capacità d’accoglienza in termini numerici o generali, e che statuiscano sul numero di persone da accogliere nel rispetto della loro sovranità.

246. La Repubblica di Polonia, che sostiene la Repubblica slovacca in tale linea argomentativa, precisa che la direttiva 2001/55 è fondata sul principio della volontarietà, cosicché il trasferimento viene effettuato unicamente con il consenso della persona ricollocata e con quello dello Stato membro di ricollocazione. Inoltre, lo status di protezione temporanea previsto da tale direttiva conferirebbe meno diritti dello status di protezione internazionale che la direttiva impugnata mira ad accordare, segnatamente per quanto riguarda il periodo di protezione, imponendo in tal modo nettamente meno oneri allo Stato membro di ricollocazione.

247. Ancora, la Repubblica slovacca sostiene che la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica avrebbero potuto attivare il meccanismo cosiddetto di «protezione civile dell’Unione» previsto all’articolo 8 bis del regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004, che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea(70), idoneo a fornire loro l’assistenza materiale necessaria. La Repubblica slovacca fa parimenti valere che la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica avrebbero potuto chiedere un’assistenza all’agenzia Frontex sotto forma di «interventi rapidi». La Repubblica slovacca precisa, a tal riguardo, che l’efficacia della protezione delle frontiere degli Stati membri in prima linea e le cui frontiere costituiscono le frontiere esterne dell’Unione è direttamente connessa allo stato dei sistemi di asilo e di migrazione degli Stati membri interessati.

248. Analogamente, in conformità all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f) e all’articolo 9, paragrafi 1 e 1 ter, del regolamento n. 2007/2004, al fine di alleviare l’onere che grava sui loro sistemi di asilo, la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica avrebbero potuto chiedere all’agenzia Frontex, secondo la Repubblica slovacca, di offrire loro l’assistenza necessaria per organizzare operazioni di rimpatrio.

249. Inoltre, la Repubblica slovacca fa valere che non era necessario adottare altre misure sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, alla luce della decisione 2015/1523, la quale lascia agli Stati membri il compito di decidere, in uno spirito di solidarietà, la misura in cui essi parteciperanno all’impegno comune, e che sarebbe dunque meno lesiva della loro sovranità. Inoltre, dal momento che la decisione impugnata è stata adottata solo otto giorni dopo la decisione 2015/1523, era impossibile, in un lasso di tempo talmente breve, concludere nel senso dell’insufficienza di quest’ultima decisione. Al momento dell’adozione della decisione impugnata, il Consiglio non avrebbe avuto alcuna ragione di ritenere che le capacità di accoglienza previste dalla decisione 2015/1523 sarebbero state rapidamente raggiunte e che sarebbe pertanto stato necessario prevedere capacità supplementari nell’ambito della decisione impugnata.

250. Infine, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, consentiva parimenti di adottare misure meno restrittive per conseguire l’obiettivo perseguito, in particolare la fornitura di un aiuto per facilitare il rimpatrio e la registrazione o di un sostegno finanziario, materiale, tecnico e personale ai regimi di asilo italiano e greco. Gli Stati membri potrebbero anche prendere, su base volontaria, iniziative bilaterali per fornire un simile sostegno.

251. In secondo luogo, la ricollocazione dei richiedenti quale prevista dalla decisione impugnata comporterebbe inevitabilmente un onere finanziario e amministrativo. Orbene, dal momento che non era necessario sostenere un siffatto onere, tale decisione costituirebbe una misura superflua e prematura, la quale sarebbe contraria al principio di proporzionalità e all’articolo 5 del protocollo (n. 2).

252. Rispondendo a tali argomenti, occorre sottolineare il contesto particolarmente delicato nel quale la decisione impugnata è stata presa, ossia la situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi durante il luglio e l’agosto del 2015. Le istituzioni dell’Unione erano tenute a reagire il più rapidamente possibile e in maniera efficace alla forte pressione esercitata sui sistemi di asilo italiano e greco.

253. Ritengo, al pari del Consiglio, che anche se le soluzioni alternative suggerite dalla Repubblica slovacca potrebbero, almeno alcune, contribuire alla realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata, tale constatazione, alla luce dell’ampio potere discrezionale che deve essere riconosciuto al Consiglio, non può bastare a dimostrare il carattere manifestamente sproporzionato di tale decisione e a rimetterne in discussione la legittimità. A mio avviso, il Consiglio, al momento dell’adozione della decisione impugnata, ha potuto giustamente ritenere che non esistessero misure alternative che consentivano di conseguire l’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata in modo altrettanto efficace, restringendo al contempo in misura minore la sovranità degli Stati membri o i loro interessi finanziari.

254. Ritengo, al pari della Repubblica federale di Germania, che il principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, espressamente sancito all’articolo 80 TFUE per quanto riguarda le politiche dell’Unione relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione, svolga un ruolo importante nell’ambito dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. Di conseguenza, mi sembra conforme a quest’ultima disposizione, in combinato disposto con l’articolo 80 TFUE, che una misura temporanea come la decisione impugnata proceda ad una ripartizione obbligatoria fra gli Stati membri degli oneri da essa previsti.

255. La Repubblica ellenica rileva, inoltre, che la necessità di adottare un programma di ricollocazione obbligatoria dei richiedenti protezione internazionale dalla Grecia e dall’Italia in forza di quote per Stato membro, si spiega con i flussi migratori inediti che hanno avuto luogo in questi due Stati membri nel 2015, soprattutto nel corso del luglio e dell’agosto del 2015. Le azioni che sono state progressivamente decise fino all’adozione della decisione impugnata si sarebbero rivelate insufficienti per alleviare in maniera sostanziale l’onere risultante in Grecia e in Italia dall’ammissione e dall’esame delle domande di protezione internazionale di un numero al tal punto elevato di migranti. Non dispongo di elementi convincenti idonei a confutare tale affermazione della Repubblica ellenica.

256. Ne consegue che, alla luce delle cifre relative alla crisi migratoria del 2015 menzionate nei punti della decisione impugnata e di tutte le misure suggerite dalla Repubblica slovacca per rispondere a tale crisi, non penso che si possa ritenere che il meccanismo temporaneo di ricollocazione attuato da tale decisione ecceda manifestamente quanto necessario per fornire una risposta efficace a tale crisi.

257. Per quanto riguarda, anzitutto, la misura alternativa costituita dall’attuazione della direttiva 2001/55, quest’ultima, come rilevato dalla Corte nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (71), costituisce un esempio della solidarietà fra gli Stati membri prevista dall’articolo 80 TFUE (72). Come si evince dal considerando 20 di tale direttiva, uno degli obiettivi della medesima è prevedere un sistema di solidarietà inteso a promuovere l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi in caso di afflusso massiccio.

258. Se l’applicazione di un siffatto meccanismo di solidarietà sembra dover essere riservato, al pari di quello previsto dalla decisione impugnata, a situazioni eccezionali di afflusso massiccio di sfollati (73), rilevo che i due meccanismi differiscono su un punto essenziale. Infatti, a differenza di quanto previsto dalla direttiva 2001/55, il meccanismo temporaneo di ricollocazione attuato dalla decisione impugnata procede ad una ripartizione numerica e obbligatoria dei richiedenti protezione internazionale fra gli Stati membri. Alla luce del contesto di emergenza in cui è stata adottata la decisione impugnata e dell’impossibilità di ottenere impegni numerici da parte degli Stati membri su una ripartizione fra gli stessi dei richiedenti protezione internazionale, il Consiglio ha fatto, a mio avviso, la scelta adeguata, privilegiando l’adozione di una risposta rapida e vincolante per affrontare la crisi migratoria alla quale l’Unione si trovava di fronte. Una scelta del genere non può comunque essere qualificata come manifestamente inadeguata.

259. A tal riguardo, l’affermazione che concretizza in gran parte l’opposizione manifestata da taluni Stati membri nei confronti della decisione impugnata, secondo cui l’obiettivo perseguito da tale decisione avrebbe dovuto essere realizzato unicamente tramite impegni volontari da parte degli Stati membri ad accogliere un determinato numero di richiedenti, non supera la prova dei fatti. La genesi della decisione impugnata dimostra, infatti, che è esattamente in quanto non è stato raggiunto un consenso fra tutti gli Stati membri su una ripartizione volontaria fra gli stessi dei richiedenti protezione internazionale che è stato deciso di privilegiare la strada di un meccanismo di ricollocazione obbligatoria, vale a dire sulla base di quote numeriche e vincolanti. Su tale punto, sono del parere che, sotto il profilo del principio di proporzionalità, non possa essere addebitato alle istituzioni dell’Unione, le quali sono state spesso accusate di impotenza e inerzia, di aver scelto di imporre agli Stati membri quote di richiedenti da ricollocare piuttosto che abbandonare semplicemente il progetto di un meccanismo di ricollocazione.

260. Ne concludo che l’adozione della decisione impugnata piuttosto che un’attuazione della direttiva 2001/55 risulta da una scelta politica effettuata dalle tre istituzioni che hanno partecipato al procedimento di adozione della decisione impugnata, e che nessuno degli argomenti sollevati dalla Repubblica slovacca è idoneo a dimostrare, a mio avviso, che occorrerebbe considerare tale scelta manifestamente erronea sotto il profilo del principio di proporzionalità.

261. Per quanto riguarda, poi, l’argomento secondo il quale l’adozione della decisione impugnata non era necessaria alla luce della previa adozione della decisione 2015/1523, osservo che la Commissione ha chiaramente indicato, nella sua proposta di decisione, che, dopo l’accordo raggiunto in seno al Consiglio il 20 luglio 2015 sul contenuto di quella che diverrà la decisione 2015/1523, sulla ricollocazione dalla Grecia e dall’Italia di 40 000 persone, «la situazione migratoria nel Mediterraneo centrale e orientale si è intensificata. Durante i mesi estivi i flussi di migranti e rifugiati sono raddoppiati, dando impulso all’attivazione di un nuovo meccanismo di ricollocazione di emergenza inteso ad allentare la pressione cui sono sottoposte [Repubblica italiana], [Repubblica ellenica], e Ungheria» (74).

262. Tale constatazione di un aggravamento della situazione migratoria che rende necessaria l’adozione di un meccanismo di ricollocazione supplementare è espressa al considerando 12 della decisione impugnata, che così recita: «Negli ultimi mesi la pressione migratoria alle frontiere esterne marittime e terrestri meridionali ha registrato una nuova impennata ed è proseguito lo spostamento dei flussi migratori dal Mediterraneo centrale al Mediterraneo orientale e verso la rotta dei Balcani occidentali, per effetto del numero crescente di migranti che arrivano e partono dalla Grecia. Vista la situazione, è opportuno autorizzare ulteriori misure temporanee per allentare la pressione sui sistemi d’asilo [della Repubblica italiana] e [della Repubblica ellenica]». Tale constatazione è supportata da cifre riprese nel considerando 13 della decisione impugnata.

263. Mentre il meccanismo di ricollocazione volontaria di 40 000 persone attuato dalla decisione 2015/1523 è inteso ad affrontare, come si evince dai dati statistici menzionati ai punti 10, 11 e 21 di tale decisione, l’afflusso di migranti rilevato nel 2014 e durante i primi mesi del 2015, il meccanismo di ricollocazione obbligatoria previsto dalla decisione impugnata mira, da parte sua, come si evince dai dati statistici ripresi ai punti 12, 13 e 26 della medesima, a rispondere alla pressione risultante dall’afflusso di migranti durante i mesi di luglio e agosto del 2015.

264. Tali elementi mi sembrano dimostrare in maniera sufficiente che il Consiglio non ha commesso un manifesto errore di valutazione nel ritenere che, a seguito dell’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel territorio dell’Unione nei mesi di luglio e agosto del 2015 e alla luce dei dati più recenti a sua disposizione, fosse necessaria una misura temporanea supplementare di ricollocazione di 120 000 persone.

265. Quanto all’argomento della Repubblica slovacca secondo il quale un rafforzamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione costituirebbe una misura alternativa alla decisione impugnata, è sufficiente sottolineare, a mio avviso, che una siffatta misura, certamente utile, non può sostituire un meccanismo di ricollocazione che ha come obiettivo principale quello di far fronte ad un afflusso di cittadini di paesi terzi che ha già avuto luogo. Tale misura intesa al rafforzamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione non è pertanto idonea, in quanto tale, a ridurre la pressione esercitata sui sistemi di asilo italiano e greco a seguito dell’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi verificatosi nell’estate del 2015. Detta misura deve pertanto essere considerata complementare e non sostituibile a quella prevista dalla decisione impugnata.

266. Lo stesso vale per la misura consistente in un sostegno finanziario, materiale, tecnico e personale ai sistemi di asilo italiano e greco.

267. Su tale punto, il Consiglio afferma, senza essere contraddetto, che l’Unione ha fornito un sostegno finanziario dall’inizio della crisi migratoria, anticipando la cifra di 9,2 miliardi di euro nel 2015 e nel 2016. La decisione impugnata prevede, poi, essa stessa, all’articolo 10, un sostegno finanziario per ciascuna persona ricollocata a norma di tale decisione.

268. Inoltre, le diverse relazioni di monitoraggio della Commissione indicano misure di sostegno operativo che coinvolgono agenzie come l’EASO nonché gli Stati membri (75). La decisione impugnata menziona d’altronde, al considerando 15, il fatto che «[f]inora sono state intraprese molte azioni per sostenere la Repubblica italiana] e la Repubblica ellenica] nell’ambito della politica di migrazione e di asilo, tra cui sostanziali aiuti di emergenza e il sostegno operativo dell’EASO».

269. Per quanto utili possano essere queste diverse misure di sostegno, le istituzioni dell’Unione potevano, a mio avviso, ritenere legittimamente che, senza che la loro utilità venisse rimessa in discussione, esse non fossero tuttavia sufficienti per rispondere alla situazione di emergenza che la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica hanno dovuto affrontare a partire dall’estate del 2015 (76).

270. Infine, per quanto attiene all’argomento relativo agli oneri amministrativi e finanziari eccessivi che la decisione impugnata farebbe gravare sugli Stati membri, la Repubblica slovacca non dimostra che le misure alternative da essa proposte comporterebbero meno costi rispetto ad un meccanismo temporaneo di ricollocazione.

271. Alla luce degli elementi che precedono, gli argomenti sollevati dalla Repubblica slovacca per contestare il carattere necessario della decisione impugnata devono pertanto, a mio avviso, essere tutti respinti.

272. Occorre adesso esaminare gli argomenti fatti valere dall’Ungheria per contestare il carattere necessario della decisione impugnata.

2)      Gli argomenti fatti valere dall’Ungheria

273. L’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Polonia in tale linea argomentativa, fa valere, in primo luogo, che, dal momento che, contrariamente a quanto previsto nella proposta iniziale della Commissione, essa non figura più fra gli Stati membri beneficiari del meccanismo di ricollocazione, non era giustificato che la decisione impugnata prevedesse la ricollocazione di 120 000 richiedenti e che, per questo motivo, tale decisione è contraria al principio di proporzionalità. Infatti, la fissazione di questo numero totale di 120 000 richiedenti eccederebbe quanto necessario a conseguire l’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata, perché include un numero di 54 000 richiedenti che, secondo la proposta iniziale della Commissione, dovevano essere ricollocati a partire dall’Ungheria. In tal senso, nulla spiegherebbe perché un numero totale talmente elevato di richiedenti che era stato fissato sulla base di un meccanismo di ricollocazione a vantaggio di tre Stati membri continuerebbe ad essere necessario sebbene il numero di Stati membri beneficiari sia stato ridotto da tre a due.

274. L’Ungheria aggiunge che la ripartizione dei 54 000 richiedenti dei quali era inizialmente prevista la ricollocazione a partire dall’Ungheria sarebbe divenuta ipotetica e incerta, in quanto la decisione impugnata prevede che essa costituirà l’oggetto di una decisione definitiva adottata alla luce di successive evoluzioni.

275. In risposta a tali argomenti, occorre rilevare che, come si evince dal considerando 26 della decisione impugnata, il Consiglio ha considerato, basandosi sul numero complessivo di cittadini di paesi terzi entrati in modo irregolare in Italia o in Grecia nel 2015 e sul numero di persone in evidente bisogno di protezione internazionale, che, malgrado la scelta fatta dall’Ungheria di non far parte degli Stati membri beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione, un totale di 120 000 richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale doveva essere ricollocato dall’Italia e dalla Grecia.

276. Questo stesso considerando indica che tale numero «corrisponde a circa il 43% del numero totale di cittadini di paesi terzi in evidente bisogno di protezione internazionale entrati irregolarmente in Italia e in Grecia nel luglio e agosto 2015». In udienza, il Consiglio ha precisato che la menzione di tale percentuale risultava da un errore tecnico e che occorreva sostituirla con quella del 78%.

277. Fissando un tale numero, il Consiglio doveva conciliare due esigenze, ossia, da un lato, che esso fosse sufficientemente elevato da fare realmente abbassare la pressione esercitata sui sistemi di asilo italiano e greco e, dall’altro, che non fosse fissato ad un livello tale da far gravare un onere eccessivamente elevato sugli Stati membri di ricollocazione.

278. Nella linea argomentativa elaborata dall’Ungheria, non ravviso elementi idonei a dimostrare che agendo in tal modo il Consiglio avrebbe ecceduto in modo manifesto il potere discrezionale che deve essergli riconosciuto. Al contrario, ritengo che, alla luce dei dati relativi al numero di ingressi irregolari di cui disponeva al momento di adottare la decisione impugnata e tenuto conto del fatto che esistevano, all’epoca, solidi motivi per pensare che la crisi migratoria si sarebbe prolungata al di là della data di adozione di tale decisione, il Consiglio abbia fissato il numero di richiedenti da ricollocare ad un livello ragionevole. Come già indicato in precedenza, il fatto che tale numero sia attualmente lontano dall’essere raggiunto, non può inficiare tale valutazione.

279. Quanto al numero di 54 000 richiedenti che dovevano essere inizialmente oggetto di una ricollocazione a partire dall’Ungheria, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della decisione impugnata, prevede che essi siano «ricollocati nel territorio di Stati membri proporzionalmente alle cifre di cui agli allegati I e II, conformemente al paragrafo 2 del presente articolo o mediante una modifica della presente decisione, come previsto all’articolo 1, paragrafo 2, e al paragrafo 3 del presente articolo».

280.  A tal riguardo, la Commissione spiega, nelle sue osservazioni scritte, che, a seguito del rifiuto di tale Stato membro di figurare fra gli Stati membri beneficiari della misura di ricollocazione, è stato deciso di introdurre, all’articolo 4, paragrafo 2, della decisione impugnata, una regola cosiddetta «per difetto», secondo la quale tali 54 000 richiedenti dovevano essere oggetto, dal 26 settembre 2016, di una ricollocazione dall’Italia e dalla Grecia verso gli altri Stati membri e, all’articolo 4, paragrafo 3, della decisione impugnata, una regola flessibile che consente di adeguare tale meccanismo di ricollocazione di dette 54 000 persone qualora ciò sia giustificato dall’evoluzione della situazione sul terreno o uno Stato membro si trovi di fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi a seguito di un brusco spostamento dei flussi migratori.

281. Ritengo che il Consiglio, prevedendo quindi una riserva di 54 000 richiedenti da ricollocare a condizioni disciplinate in maniera precisa dalla decisione impugnata, non solo non abbia agito in maniera sproporzionata, ma anche che abbia tenuto pienamente conto della necessità di adeguare il meccanismo temporaneo di ricollocazione all’evoluzione della situazione.

282. A tal riguardo, occorre ricordare che la Corte ha già posto l’accento sulla necessità che le istituzioni dell’Unione provvedano all’adeguamento della normativa ai nuovi dati (77). Orbene, tale necessità di adeguamento della sua normatia in caso di bisogno è stata appunto prevista dal Consiglio nella decisione impugnata, in particolare all’articolo 1, paragrafo 2, e all’articolo 4, paragrafo 3.

283. Prevedendo una riserva di 54 000 richiedenti che poteva essere utilizzata in un modo o in un altro a seconda delle circostanze, il Consiglio ha tenuto conto, fin dal momento dell’adozione della decisione impugnata, di tale obbligo di adeguamento, in modo particolarmente rilevante considerato il grado di incertezza che circonda l’evoluzione dei flussi migratori. Come precisato correttamente dal Consiglio, una soluzione flessibile del genere è giustificata dalla natura estremamente dinamica dei flussi migratori e consente di adeguare il contenuto della decisione impugnata alle circostanze, per ragioni di solidarietà, efficacia e proporzionalità. Non si può pertanto ritenere che, agendo in tal modo, il Consiglio abbia ecceduto quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata.

284. Rilevo, infine, che, in conformità a questa stessa esigenza di adeguamento, la riserva di 54 000 richiedenti è stata alla fine destinata al programma di reinsediamento negoziato fra l’Unione e la Repubblica di Turchia il 18 marzo 2016 (78).

285. In secondo luogo, l’Ungheria sostiene, in subordine, che, qualora la Corte non dovesse accogliere nessuno dei suoi motivi di annullamento, la decisione impugnata sarebbe cionondimeno illegittima per quanto riguarda specificamente l’Ungheria, dal momento che essa viola l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE e il principio di proporzionalità nei confronti di tale Stato membro.

286. Emerge dalle spiegazioni fornite dall’Ungheria a sostegno di questo decimo motivo che essa addebita al Consiglio di averla fatta figurare nella decisione impugnata fra gli Stati membri di ricollocazione sebbene fosse pacifico, a suo avviso, che essa era soggetta ad una pressione migratoria particolarmente forte sia nel corso del periodo precedente l’adozione della decisione impugnata sia al momento dell’adozione di tale decisione. In tali circostanze, detta decisione imporrebbe all’Ungheria un onere sproporzionato fissando nei suoi confronti un contingente obbligatorio di ricollocazioni come per gli altri Stati membri.

287. L’Ungheria sostiene che, se l’obiettivo dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, consiste nel fornire un aiuto agli Stati membri che si trovano in una situazione di emergenza alla luce della pressione migratoria, è allora contrario a tale obiettivo imporre un fardello supplementare ad uno Stato membro che si trova effettivamente in una situazione del genere.

288. In definitiva, l’Ungheria critica il fatto che il suo rifiuto di figurare fra gli Stati membri beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione abbia avuto come conseguenza automatica di collocarla fra gli Stati membri chiamati ad impegnarsi dalla decisione impugnata, vale a dire fra gli Stati membri di ricollocazione.

289. L’Ungheria spiega nei seguenti termini il suo rifiuto di figurare fra gli Stati membri beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione attuato dalla decisione impugnata. In primo luogo, essa respingerebbe l’idea di essere qualificata come «Stato membro in prima linea». L’Ungheria precisa, a tal riguardo, che la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica sono Stati membri che, per la loro situazione geografica, costituiscono il primo punto di ingresso dei richiedenti protezione internazionale nell’Unione, diversamente dall’Ungheria, il cui territorio, considerate le rotte migratorie e le realtà geografiche, può essere raggiunto da siffatti richiedenti solo passando necessariamente attraverso la Grecia. Qualificare l’Ungheria come «Stato membro in prima linea» avrebbe occultato tale realtà e suggerito che l’Ungheria poteva essere considerata lo Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo; ciò non sarebbe stato a suo avviso accettabile. In secondo luogo, l’Ungheria indica di aver sottolineato il proprio dissenso nei confronti di una ricollocazione dei richiedenti basata su contingenti, precisando che essa riteneva che non si trattasse di uno strumento che consentiva di rispondere in maniera adeguata alla crisi migratoria, soprattutto nella forma di contingenti obbligatori per Stato membro, il che sarebbe in contraddizione con le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015. L’Ungheria precisa che essa non poteva neanche accettare l’idea che dei richiedenti fossero ricollocati a partire dal suo territorio, in quanto ciò sarebbe stato contraddittorio rispetto alla posizione di principio da essa espressa. Tutto ciò non può tuttavia essere interpretato, secondo l’Ungheria, nel senso che essa non avrebbe dovuto affrontare direttamente gli effetti della crisi migratoria e che non si sarebbe trovata direttamente in una situazione di emergenza.

290. L’Ungheria fa valere che, rinunciando a che richiedenti protezione internazionale fossero ricollocati a partire dal suo territorio, essa, per utilizzare la sua espressione, si sarebbe accollata «la sua parte del fardello comune». Pertanto, l’Ungheria non violerebbe il principio di solidarietà. Essa continuerebbe a far parte degli Stati membri che sostengono la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica anche se, a causa della propria situazione, ossia il fatto di essersi trovata essa stessa in una situazione di emergenza, lo farebbe in modo diverso dagli altri Stati membri.

291. Si evince dal ricorso dell’Ungheria, dalla sua memoria di replica, nonché dalla sua memoria di risposta agli interventi, che questo decimo motivo da essa sollevato in subordine va a sostegno della domanda, formulata dall’Ungheria parimenti in subordine, intesa all’annullamento della decisione impugnata «nella parte che riguarda l’Ungheria».

292. Intendo tale domanda nel senso che essa mira ad ottenere un annullamento parziale della decisione impugnata. L’Ungheria tenta in tal senso di sottrarsi dalla cerchia degli Stati membri di ricollocazione reclamando l’annullamento della disposizione della decisione impugnata che determina il numero di migranti da ricollocare verso l’Ungheria.

293. Una siffatta domanda è, a mio avviso, irricevibile.

294. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento siano separabili dal resto dell’atto (79). La Corte ha ripetutamente dichiarato che tale requisito della separabilità non è soddisfatto quando l’annullamento parziale di un atto avrebbe l’effetto di modificare la sostanza dell’atto medesimo (80).

295. La domanda di annullamento parziale formulata in subordine dall’Ungheria ha in realtà ad oggetto due cifre che riguardano specificamente tale Stato membro e che figurano negli allegati della decisione impugnata. Orbene, la soppressione di tali cifre comporterebbe l’annullamento in toto di questi allegati, dal momento che le cifre per gli altri Stati membri dovrebbero essere ricalcolate affinché possa essere conservato il numero totale di 120 000 ricollocazioni. Verrebbe in tal modo violato un elemento essenziale della decisione impugnata, ossia la fissazione obbligatoria delle quote per Stato membro, la quale conferisce una portata concreta al principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità fra Stati membri sancito all’articolo 80 TFUE.

296.  Inoltre, come si evince segnatamente dai punti 2, 16, 26 e 30 della decisione impugnata, i quali richiamano quest’ultimo principio, l’idea di una ripartizione dei richiedenti protezione internazionale arrivati in Italia e in Grecia fra tutti gli altri Stati membri costituisce un elemento fondamentale della decisione impugnata. La limitazione dell’ambito di applicazione territoriale della decisione impugnata che risulterebbe da un annullamento parziale di tale decisione arrecherebbe pertanto pregiudizio a quello che ne costituisce il cuore stesso. Ne deduco che l’elemento del quale l’Ungheria chiede l’annullamento non è separabile dalla decisione impugnata nella misura in cui la sua soppressione modificherebbe oggettivamente la sostanza stessa della decisione impugnata.

297. Risulta da quanto precede che le disposizioni contestate, le quali corrispondono alle quote in provenienza dall’Italia e in provenienza dalla Grecia attribuite all’Ungheria figuranti agli allegati I e II della decisione impugnata, non sono separabili dal resto della decisione impugnata. Ne consegue che le domande intese all’annullamento parziale di tale decisione, presentate dall’Ungheria e alle quali si riferisce il decimo motivo da essa formulato, dovrebbero, a mio avviso, essere respinte in quanto irricevibili.

298. In ogni caso, qualora il decimo motivo sollevato dall’Ungheria dovesse essere inteso nel senso che esso mira più in generale ad ottenere l’annullamento in toto della decisione impugnata, in quanto la mancata considerazione della situazione particolare di tale Stato membro costituirebbe, in quanto tale, una violazione del principio di proporzionalità inficiante la totalità di tale decisione, un siffatto motivo dovrebbe, a mio avviso, essere respinto in quanto infondato.

299. Più precisamente, ritengo che, anche ammesso che l’Ungheria si sia trovata, come da essa sostenuto, in una situazione di emergenza caratterizzata da una pressione migratoria costante al momento dell’adozione della decisione impugnata (81), non ne risulta, a mio avviso, che l’imposizione nei suoi confronti di quote di richiedenti da ricollocare dall’Italia e dalla Grecia sia contraria al principio di proporzionalità.

300. Infatti, occorre ricordare, anzitutto, che il ritiro dell’Ungheria dagli Stati membri beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione trae unicamente origine dal rifiuto espresso da tale Stato membro al riguardo. Qualunque siano state le ragioni all’origine di tale rifiuto, sottolineo che le istituzioni dell’Unione non hanno potuto che prenderne atto.

301. Come rilevato, in sostanza, dal Granducato del Lussemburgo, dal momento che l’Ungheria aveva espressamente chiesto di non figurare fra gli Stati membri beneficiari del meccanismo temporaneo di ricollocazione, doveva ritenersi, in conformità al principio di solidarietà, che essa figurasse fra gli Stati membri di ricollocazione.

302. Discende inoltre dalla giurisprudenza che il semplice fatto che un atto dell’Unione possa incidere maggiormente su uno Stato membro che su altri non è tale da pregiudicare il principio di proporzionalità, allorché siano rispettate le condizioni sancite dalla Corte per verificare il rispetto di tale principio (82).

303. Rilevo, a tal riguardo, che la decisione impugnata ha un’incidenza in tutti gli Stati membri e presuppone che sia assicurato un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto dell’obiettivo da essa perseguito. Di conseguenza, la ricerca di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità (83). Ciò vale, a fortiori, se si tiene conto del principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri sancito all’articolo 80 TFUE, dal quale discende che gli oneri causati dalle misure temporanee adottate sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE a vantaggio di uno o più Stati membri che si trovano in una situazione migratoria di emergenza devono essere ripartiti fra tutti gli altri Stati membri.

304. Del resto, occorre sottolineare che la decisione impugnata è più sfumata dell’immagine che vuole darne l’Ungheria. Tale decisione non si riduce ad uno schema binario che contrappone, da un lato, gli Stati membri che beneficiano del meccanismo temporaneo di ricollocazione e, dall’altro, quelli che si vedono attribuire contingenti di persone da ricollocare.

305. Infatti, la decisione impugnata contiene meccanismi di adattamento che consentono di adeguarla all’evoluzione dei flussi migratori e, in tal modo, di tenere conto della situazione particolare, caratterizzata da una pressione migratoria variabile, alla quale taluni Stati membri potrebbero trovarsi di fronte.

306. In tal senso, ricordo che l’articolo 1, paragrafo 2, secondo comma, e l’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, della decisione impugnata, prevedono la possibilità per la Commissione di presentare proposte al Consiglio qualora ritenga che un adattamento del meccanismo di ricollocazione sia giustificato dall’evoluzione della situazione sul terreno o che uno Stato membro si trovi di fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi a seguito di un brusco spostamento dei flussi migratori. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, della decisione impugnata, uno Stato membro può notificare al Consiglio e alla Commissione, con le debite motivazioni, che si trova di fronte a un’analoga situazione di emergenza. La Commissione esamina allora i motivi dedotti e presenta, se del caso, proposte al Consiglio, come indicato all’articolo 1, paragrafo 2, della decisione impugnata.

307. Ancora, l’articolo 4, paragrafo 5, di tale decisione prevede una possibilità di sospensione temporanea della ricollocazione di richiedenti per gli Stati membri che procedono ad una notifica in tal senso al Consiglio e alla Commissione.

308. Inoltre, l’articolo 9 della decisione impugnata richiama la possibilità per il Consiglio di adottare misure temporanee ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, se sono soddisfatte le condizioni previste da tale disposizione, ed indica che siffatte misure possono comprendere, se del caso, la sospensione della partecipazione dello Stato membro che si trova ad affrontare un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi alla ricollocazione quale prevista dalla decisione impugnata.

309.  Rilevo che la Repubblica d’Austria e il Regno di Svezia hanno fatto ricorso a tali meccanismi di adattamento (84).

310. L’Ungheria non si è, invece, avvalsa di nessuno di tali meccanismi, il che contraddice la sua argomentazione intesa a contestare la sua posizione di Stato membro di ricollocazione a pieno titolo.

311. L’esistenza di meccanismi di adattamento nella decisione impugnata dimostra effettivamente che, contrariamente a quanto lascia intendere l’Ungheria, la situazione non è binaria. Prevedendo meccanismi del genere, dei quali hanno beneficiato la Repubblica d’Austria e il Regno di Svezia, il Consiglio è riuscito a conciliare il principio di solidarietà con la considerazione delle esigenze particolari che possono avere taluni Stati membri in funzione dell’evoluzione dei flussi migratori. Una siffatta conciliazione mi sembra peraltro essere perfettamente in sintonia con l’articolo 80 TFUE che, se si legge attentamente, prevede un’«equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri» (85).

312. L’esistenza di siffatti meccanismi di adattamento nella decisione impugnata non può pertanto che avvalorare la mia constatazione secondo la quale tale decisione, imponendo all’Ungheria quote di richiedenti da ricollocare dall’Italia e dalla Grecia, non ha violato il principio di proporzionalità.

313. Inoltre, rilevo che è pacifico che le quote menzionate in allegato alla decisione impugnata sono state fissate sulla base di una chiave di distribuzione illustrata al considerando 25 della proposta di decisione della Commissione. Al fine di assicurare l’equità della ripartizione della responsabilità, tale chiave di distribuzione tiene conto della popolazione complessiva, del prodotto interno lordo, della media delle domande di asilo per milione di abitanti nel periodo 2010-2014 e del tasso di disoccupazione. Su tale base, detta chiave di distribuzione contribuisce dunque al carattere proporzionato della decisione impugnata.

314. Alla luce dei suesposti elementi, gli argomenti sollevati dall’Ungheria per contestare il carattere necessario della decisione impugnata devono, a mio avviso, essere respinti in toto.

315. Per concludere, occorre rispondere all’argomento, formulato dalla Repubblica di Polonia a sostegno dei motivi intesi a far dichiarare la natura sproporzionata della decisione impugnata, secondo il quale quest’ultima arrecherebbe pregiudizio all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 72 TFUE. Tale Stato membro ricorda, al riguardo, che il principio di proporzionalità esige che gli inconvenienti causati dagli atti dell’Unione non siano sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti da questi ultimi (86). Orbene, la decisione impugnata non prevedrebbe meccanismi sufficienti a consentire agli Stati membri di controllare che i richiedenti non rappresentino un pericolo per la sicurezza.

316. Ritengo, tuttavia, che la decisione impugnata, prevedendo un meccanismo ordinato e controllato di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale, prenda pienamente in considerazione l’esigenza di protezione della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico degli Stati membri. Tale esigenza governa in tal senso la «stretta cooperazione amministrativa tra gli Stati membri» (87) attraverso la quale la decisione impugnata deve essere attuata. Rilevo, al riguardo, che il considerando 32 di tale decisione indica che «[d]urante tutta la procedura di ricollocazione fino all’effettivo trasferimento del richiedente, dovrebbero essere presi in considerazione la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. Nel pieno rispetto dei diritti fondamentali del richiedente (…), qualora uno Stato membro abbia fondati motivi per ritenere che il richiedente costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ne informa gli altri Stati membri». In questa stessa logica, la descrizione della procedura di ricollocazione di cui all’articolo 5 della decisione impugnata dimostra la preoccupazione che hanno avuto le istituzioni dell’Unione di tenere conto dell’esigenza di protezione della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico degli Stati membri. In tal senso, oltre al fatto che tale articolo prevede espressamente che i richiedenti protezione internazionale debbano essere identificati, registrati ed essere oggetto di un rilevamento delle impronte digitali ai fini della procedura di ricollocazione, l’articolo 5, paragrafo 7, della decisione impugnata dispone che «[g]li Stati membri conservano il diritto di rifiutare la ricollocazione del richiedente solo qualora sussistano fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ovvero in presenza di seri motivi per applicare le disposizioni in materia di esclusione stabilite agli articoli 12 e 17 della direttiva 2011/95/UE[(88)]».

317. Alla luce di tali elementi, occorre respingere, a mio avviso, tale argomento formulato dalla Repubblica di Polonia a sostegno dei motivi intesi a far dichiarare la natura sproporzionata della decisione impugnata.

318. Risulta dalle considerazioni che precedono che, poiché né l’Ungheria né la Repubblica slovacca e neanche la Repubblica di Polonia sono state in grado di dimostrare che la decisione impugnata è sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti, i corrispondenti motivi sollevati dalle ricorrenti devono essere respinti in quanto infondati.

2.      Sull’ottavo motivo dell’Ungheria, relativo ad una violazione dei principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa, nonché della convenzione di Ginevra

319. L’Ungheria sostiene, in primo luogo, che la decisione impugnata viola i principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa, perché, sotto vari profili, essa non indica chiaramente il modo in cui le disposizioni di tale decisione debbano essere applicate né il modo in cui si combinino con le disposizioni del regolamento Dublino III.

320. In tal senso, sebbene il considerando 35 della decisione impugnata esamini la questione delle garanzie giuridiche e procedurali concernenti le decisioni di ricollocazione, nessuna delle sue disposizioni normative disciplinerebbe tale materia o si riferirebbe alle disposizioni rilevanti del regolamento Dublino III. Ciò solleverebbe, tra l’altro, problemi dal punto di vista del diritto di ricorso dei richiedenti, in particolare di quelli che non verranno designati per essere ricollocati.

321. La decisione impugnata non determinerebbe neanche in maniera chiara i criteri di scelta per la ricollocazione dei richiedenti. Il modo in cui le autorità degli Stati membri beneficiari sono chiamate a decidere in merito al trasferimento dei richiedenti verso uno Stato membro di ricollocazione renderebbe estremamente difficile per gli stessi sapere a priori se essi faranno parte delle persone ricollocate e, in caso affermativo, in quale Stato membro saranno ricollocati. L’assenza di criteri oggettivi di designazione dei richiedenti da ricollocare violerebbe il principio della certezza del diritto e renderebbe la selezione arbitraria; ciò integrerebbe una violazione dei diritti fondamentali dei richiedenti.

322. In più, la decisione impugnata non definirebbe in modo adeguato lo status dei richiedenti nello Stato membro di ricollocazione e non garantirebbe che i richiedenti restino effettivamente in tale Stato membro il tempo necessario al disbrigo della loro domanda. Per quanto attiene ai movimenti cosiddetti «secondari», l’articolo 6, paragrafo 5, della decisione impugnata non consentirebbe, di per sé, di assicurare che tale decisione consegua i suoi obiettivi, ossia la ripartizione dei richiedenti fra gli Stati membri, se non è garantito che i richiedenti restino effettivamente negli Stati membri di ricollocazione.

323. In secondo luogo, il fatto che i richiedenti corrano eventualmente il rischio di essere ricollocati in uno Stato membro con il quale essi non intrattengono alcun rapporto particolare, solleverebbe la questione se detta decisione sia, a tal riguardo, compatibile con la convenzione di Ginevra.

324. Infatti, secondo l’interpretazione accolta nella guida pubblicata dall’HNHCR (89), il richiedente dovrebbe essere autorizzato a dimorare nel territorio dello Stato membro nel quale ha presentato la sua domanda fino a che le autorità di tale Stato membro non abbiano preso una decisione su tale domanda.

325. Tale diritto di restare in detto Stato membro sarebbe parimenti riconosciuto all’articolo 9 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (90).

326. Orbene, la decisione impugnata priverebbe i richiedenti del loro diritto di dimorare nel territorio dello Stato membro nel quale hanno presentato la loro domanda, e permetterebbe la loro ricollocazione verso un altro Stato membro, nonostante l’impossibilità di accertare l’esistenza di un rapporto significativo fra il richiedente e lo Stato membri di ricollocazione.

327. Se tale diritto dei richiedenti sembra essere compromesso dal regolamento Dublino III, nella misura in cui quest’ultimo prevede il trasferimento dei richiedenti dallo Stato membro nel quale essi hanno depositato la loro domanda verso lo Stato membro competente per l’esame della domanda, ciò verrebbe fatto tenendo conto della situazione personale dei richiedenti e perseguirebbe, in fin dei conti, i loro interessi.

328. Esaminerò, in primo luogo, la censura relativa alla violazione dei principi di certezza della diritto e di chiarezza normativa.

329. Al pari del Consiglio, ricordo che la decisione impugnata costituisce una misura di urgenza che si iscrive nell’acquis relativo al sistema europeo comune d’asilo e che deroga soltanto in taluni punti specifici e in modo temporaneo a tale acquis. Di conseguenza, tale decisione deve essere interpretata ed applicata tenendo conto dell’insieme delle disposizioni che costituiscono tale acquis, senza che sia necessario, né peraltro auspicabile, menzionare in detta decisione tutte le norme che disciplinano lo status, i diritti e gli obblighi delle persone ricollocate nel loro Stato membro di accoglienza. A tal riguardo, il Consiglio mi sembra aver spiegato in maniera sufficiente, in particolare nei punti 23, 24, 35, 36 e 40 della decisione impugnata, il modo in cui tale decisione deve combinarsi con le disposizioni di atti legislativi adottati dall’Unione in tale settore.

330. Per quanto riguarda, in particolare, il diritto ad un ricorso effettivo, discende in maniera chiara dai punti 23 e 35 della decisione impugnata che, qualora essa non preveda una deroga temporanea, le garanzie giuridiche e procedurali previste dal regolamento Dublino III restano applicabili ai richiedenti cui si riferisce tale decisione. Ciò avviene nel caso del diritto di ricorso previsto dall’articolo 27, paragrafo 1, di tale regolamento. In ogni caso, nell’ambito dell’attuazione della decisione impugnata, deve essere rispettato l’articolo 47 della Carta.

331. Quanto alla critica, sempre formulata nell’ottica del principio di certezza del diritto, secondo la quale la decisione impugnata non conterrebbe regole efficaci che assicurino che i richiedenti protezione internazionale resteranno nello Stato membro di ricollocazione il tempo necessario al disbrigo della loro domanda, rilevo che tale decisione dispone, al suo articolo 6, paragrafo 5, che «[i]l richiedente o beneficiario di protezione internazionale che entri nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato membro di ricollocazione senza che sussistano le condizioni di soggiorno in quest’altro Stato membro è tenuto a tornare immediatamente indietro» nello Stato membro di ricollocazione, il quale «riprende in carico l’interessato senza indugio». Inoltre, i punti da 38 a 41 di detta decisione elencano in modo sufficientemente chiaro e preciso le misure che gli Stati membri devono adottare per evitare i movimenti secondari delle persone ricollocate.

332. In secondo luogo, ritengo che l’Ungheria non abbia dimostrato in che modo il meccanismo temporaneo di ricollocazione predisposto dalla decisione impugnata, nella parte in cui prevede il trasferimento di un richiedente protezione internazionale prima dell’adozione di una decisione sulla sua domanda, sia contrario alla convenzione di Ginevra.

333. Occorre anzitutto sottolineare che, come rilevato dal Consiglio, né la convenzione di Ginevra né il diritto dell’Unione garantiscono ad un richiedente protezione internazionale il diritto di scegliere liberamente il proprio paese di accoglienza. In particolare, il regolamento Dublino III instaura un sistema di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, il quale poggia sulla redazione di un elenco di criteri oggettivi, nessuno dei quali è connesso alla preferenza del richiedente. Da questo punto di vista, la ricollocazione prevista dalla decisione impugnata non presenta alcuna differenza sostanziale rispetto al sistema istituito da tale regolamento.

334. Ritengo inoltre, al pari del Consiglio, che il passo del manuale dell’UNHCR, menzionato alla nota 89 delle presenti conclusioni, richiamato dall’Ungheria, deve essere inteso come espressione del principio di non respingimento, il quale vieta che un richiedente protezione interazionale venga espulso in un paese terzo fino al disbrigo della sua domanda. Orbene, il trasferimento nell’ambito di un’operazione di ricollocazione di un richiedente protezione internazionale da uno Stato membro verso un altro Stato membro non viola tale principio. Infatti, occorre porre l’accento sul fatto che l’obiettivo della ricollocazione consiste nell’agevolare l’accesso alle procedure di asilo e alle infrastrutture di accoglienza, al fine di offrire uno status appropriato alle persone che necessitano di protezione internazionale, come richiesto all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Orbene, l’Unione ha deciso di istituire il meccanismo temporaneo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata esattamente a causa dell’impossibilità di offrire, al momento della sua adozione, un siffatto status alle persone che ne facevano richiesta in Italia e in Grecia.

335. Di conseguenza, la decisione impugnata non si limita, come indicato in maniera tradizionale dal considerando 45 della medesima, a rispettare i diritti fondamentali e ad osservare i principi sanciti nella Carta. Tale decisione si spinge oltre, svolgendo un ruolo attivo in tale settore. Essa contribuisce, infatti, alla salvaguardia dei diritti fondamentali dei richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale, quali garantiti dalla Carta e, in particolare, all’articolo 18 di quest’ultima, dirigendoli in Stati membri, diversi dalla Repubblica italiana e dalla Repubblica ellenica, che saranno meglio in grado di esaminare le loro domande.

336. Aggiungo, inoltre, che, come rilevato dal Consiglio, ai fini del sistema europeo comune d’asilo, il territorio dell’insieme degli Stati membri deve essere assimilato ad una zona comune di applicazione uniforme dell’acquis dell’Unione in materia di asilo. Ne consegue che trasferimenti fra i territori degli Stati membri non possono essere assimilati ad un respingimento verso l’esterno del territorio dell’Unione.

337. Infine, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sembra emergere dalla linea argomentativa elaborata dall’Ungheria e al pari di quanto affermato dal Consiglio, la situazione particolare dei soggetti interessati dalla ricollocazione, inclusi eventuali legami familiari, viene presa in considerazione non solo in relazione all’applicazione dei criteri del regolamento Dublino III, ma anche ai sensi dell’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della decisione impugnata, in combinato disposto con il considerando 34 di quest’ultima.

338. L’articolo 6, paragrafo 1, della decisione impugnata, dispone in tal senso che «[n]ell’attuare la presente decisione gli Stati membri considerano in primo luogo l’interesse superiore del minore». Inoltre, l’articolo 6, paragrafo 2, di questa stessa decisione impone agli Stati membri di provvedere «affinché i familiari che rientrano nell’ambito di applicazione della presente decisione siano ricollocati nel territorio dello stesso Stato membro».

339. Quanto al considerando 34 della decisione impugnata, esso ricorda che «[l]’integrazione dei richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale nella società di accoglienza è la pietra angolare di un sistema europeo comune di asilo efficace». È per tale motivo che nel medesimo considerando viene precisato, in particolare, che, «nel determinare lo Stato membro di ricollocazione si dovrebbe tenere conto, in particolare, delle qualifiche e delle caratteristiche specifiche dei richiedenti interessati, quali le loro competenze linguistiche e altre indicazioni individuali basate su dimostrati legami familiari, culturali o sociali che potrebbero facilitarne l’integrazione nello Stato membro di ricollocazione».

340. Discende dalle considerazioni che precedono che l’ottavo motivo dedotto dall’Ungheria deve essere respinto in quanto infondato.

341. Poiché nessuno dei motivi dedotti dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria può, a mio avviso, essere accolto, propongo alla Corte di respingere i ricorsi proposti da questi due Stati membri.

IV.    Sulle spese

342. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, la Repubblica slovacca e l’Ungheria, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese.

343. Inoltre, il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato del Lussemburgo, la Repubblica di Polonia, il Regno di Svezia e la Commissione, in quanto parti intervenienti, sopporteranno le proprie spese, in conformità all’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte di giustizia.

V.      Conclusione

344. Alle luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di decidere come segue:

1)      I ricorsi della Repubblica slovacca e dell’Ungheria sono respinti.

2)      La Repubblica slovacca e l’Ungheria sono condannate alle spese.

3)      Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato del Lussemburgo, la Repubblica di Polonia, il Regno di Svezia nonché la Commissione europea sopporteranno le proprie spese.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2015, L 248, pag. 80; in prosieguo: la «decisione impugnata».


3      Il restante contingente di 54 000 richiedenti, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della decisione impugnata (noto anche con il nome di «riserva»), che deve essere ricollocato in una seconda fase, a partire dal 26 settembre 2016, va automaticamente a vantaggio della Repubblica italiana o della Repubblica ellenica oppure di un altro Stato membro che si trovi in una situazione di emergenza ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE ed è ripartito secondo il meccanismo previsto all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della decisione impugnata. A seguito dell’inserimento del paragrafo 3 bis di tale articolo nella decisione impugnata da parte della decisione (UE) 2016/1754 del Consiglio del 29 settembre 2016, che modifica la decisione (UE) 2015/1601 (GU 2016, L 268, pag. 82), a tale riserva si applica il meccanismo cosiddetto «uno in cambio di uno» instaurato dalla dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016, che consente di imputare alla medesima le ammissioni volontarie sul territorio degli Stati membri di cittadini siriani provenienti dalla Turchia segnatamente sotto forma di reinsediamenti.


4      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).


5      L’articolo 2, lettera a), del regolamento n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che modifica la decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio (GU 2014, L 150, pag. 168), contiene una definizione della nozione di «reinsediamento». Si tratta essenzialmente del processo mediante il quale cittadini di paesi terzi, su richiesta dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) motivata dal bisogno di protezione internazionale dei medesimi, sono trasferiti da un paese terzo a uno Stato membro in cui sono autorizzati a soggiornare in virtù dello status di rifugiato, dello status di protezione sussidiaria oppure di qualsiasi altro status che offre, ai sensi del diritto nazionale o dell’Unione, diritti e vantaggi analoghi.


6      Decisione del Consiglio del 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2015, L 239, pag. 146).


7      In un primo tempo, è stato possibile trovare un consenso sulla ripartizione di tali persone fra gli Stati membri solo per 32 256 di esse, in quanto taluni Stati membri, come l’Ungheria, si sono rifiutati di impegnarsi e la Repubblica slovacca si è impegnata solo per 100 persone. V. risoluzione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 20 luglio 2015, sulla ricollocazione, dall’Italia e dalla Grecia, di 40 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale; allegato B.2 alla comparsa di risposta del Consiglio.


8      Proposta di decisione del Consiglio che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia, della Grecia e dell’Ungheria [COM(2015) 451 final].


9      Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e modifica il regolamento n. 604/2013 [COM(2015) 450 final)].


10      V. Labayle S., «Les valeurs de l’Union», Tesi per il dottorato in diritto pubblico, discussa il 12 dicembre 2016, che constata che «[l]’esigenza di solidarietà evocata ripetutamente nel corso del Trattato di Roma costituisce (...) una caratteristica centrale del Trattato. Essa si impone, leggendo il Trattato, fra gli orientamenti forti del progetto di integrazione europea e si rivolge già nel 1957 sia agli Stati membri sia ai singoli» (punto 282, pagg. 117 e 118).


11      Ibidem, punto 431, pag. 165.


12      In prosieguo: la «Carta».


13      V. Favreau, B., «La Charte des droits fondamentaux: pourquoi et comment?», La Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne après le traité de Lisbonne, Bruylant, Bruxelles, 2010, pagg. da 3 a 38, specialmente pag. 13. V., parimenti, Bieber, R. e Maiani, F., «Sans solidarité point d’Union européenne, Regards croisés sur les crises de l’Union économique et monétaire et du Système européen commun d’asile», Revue trimestrielle de droit européen, Dalloz, Parigi, 2012, pag. 295. Dopo aver rilevato che la nozione di «solidarietà» non è definita in nessun punto nei Trattati, tali autori osservano che «i trattati le attribuiscono una portata variabile in funzione del contesto – ora oggettivo o parametro per l’azione dell’Unione, ora valore di base, ora criterio degli obblighi che gli Stati membri hanno sottoscritto aderendo all’Unione. Il denominatore comune che lega le diverse espressioni della solidarietà nell’ambito dell’Unione consiste nel riconoscimento dell’esistenza di un “interesse comune”, separato e separabile dalla somma degli interessi individuali». Infine, per una raccolta di contributi relativi al principio di solidarietà, v. Boutayeb, C., La solidarité dans l’Union européenne – Éléments constitutionnels et matériels, Dalloz, Parigi, 2011.


14      V. in particolare, al riguardo, Searching for Solidarity in EU Asylum and Border Policies, a collection of short papers following the Odysseus Network’s First Annual Policy Conference, 26-27 febbraio 2016, Université libre de Bruxelles. V., parimenti, Küçük, E., «The principle of solidarity and fairness in sharing responsibility: more than window dressing?», European Law Journal, Sweet and Maxwell, Londra, 2016, pagg. da 448 a 469, nonché Bast, J., «Deepening supranational integration: interstate solidarity in EU migration law», European Public Law, n. 22, Issue 2, Wolters Kluwer Law and Business, Alphen aan den Rijn, 2016, pagg. da 289 a 304.


15      Sul piano internazionale, la solidarietà costituisce parimenti un valore fondamentale della politica d’asilo. Il quarto considerando del preambolo della convenzione sullo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra») dispone in tal senso che «dalla concessione del diritto d’asilo possono risultare oneri eccezionalmente gravi per determinati paesi e che una soluzione soddisfacente dei problemi di cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’importanza e il carattere internazionali non può essere conseguita senza solidarietà internazionale».


16      Mi limito a rilevare fin d’ora che, stando alle indicazioni fornite dal Consiglio all’udienza che si è tenuta il 10 maggio 2017 dinanzi alla Corte, il numero di ricollocazioni dall’Italia e dalla Grecia era di 18 129 alla data dell’8 maggio 2017.


17      V., a tal riguardo, Labayle, S., op. cit., che osserva, segnatamente a proposito delle divergenze emerse fra gli Stati membri in occasione della gestione di tale crisi migratoria, che, se occorre «evitare ogni spirito di drammatizzazione[, t]uttavia, il timore del rischio di disgregazione dell’opera pazientemente costruita per più di mezzo secolo non può essere del tutto ignorato. Minarne così poco a poco le fondamenta minaccia infatti tutto l’edificio e rafforza la necessità di una vigilanza assoluta sulla questione. L’inosservanza dei valori su cui si fonda l’Unione da parte dei suoi Stati membri introduce un potenziale fattore di disgregazione di elementi tuttavia indispensabili alla sua continuità e alla logica del suo funzionamento» (punto 1 182, pag. 477). V., parimenti, Chassin, C-A., «La crise des migrants: l’Europe à la croisée des chemins», Revue Europe, n. 3, LexisNexis, 2016, pagg. da 15 a 21, specialmente punto 43, pag. 21, che indica che «[l]a crisi dei migranti è (...) una crisi umana, ma anche una crisi morale, per l’Unione europea: al di là delle risposte a breve termine, essa sottolinea la fragilità della costruzione europea».


18      In prosieguo, rispettivamente, il «protocollo (n. 1)» e il «protocollo (n. 2)».


19      EUCO 22/15.


20      V., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2015, Parlamento/Consiglio (C‑363/14, EU:C:2015:579, punto 17).


21      L’Ungheria menziona, a titolo di esempio, la concessione di un aiuto finanziario e tecnico o la messa a disposizione di professionisti.


22      C‑104/16 P, EU:C:2016:677.


23      A differenza dell’Ungheria, la Repubblica slovacca afferma, nella replica, che il Consiglio e la Repubblica slovacca concordano sulla natura non legislativa della decisione impugnata (punto 29).


24      V. Ritleng, D., «Les catégories des actes de l’Union – Réflexions à partir de la catégorie de l’acte législatif», Les catégories juridiques du droit de l’Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 2016, pagg. da 155 a 174, specialmente pag. 159.


25      V. Ritleng, D., op. cit., che rileva che «l’atto legislativo è l’atto alla cui adozione sono associati, in maniera paritaria nell’ambito della procedura legislativa ordinaria o in maniera non paritaria nell’ambito di una procedura legislativa speciale, il Parlamento europeo e il Consiglio. Viene così sancito un criterio organico che caratterizza l’avvento di un potere legislativo formato dalla coppia Parlamento-Consiglio» (pag. 161).


26      V., in particolare, articolo 86, paragrafo 1, TFUE.


27      V., ad esempio, articolo 77, paragrafo 3, TFUE.


28      V., ad esempio, articolo 223, paragrafo 2, TFUE.


29      V. Craig, P., e De Búrca, G., EU Law – Text, Cases and Materials, 6a edizione, Oxford University Press, Oxford, 2015, pag. 114.


30      V., in particolare, in tal senso, Lenaerts, K., e Van Nuffel, P., European Union Law, 3a edizione, Sweet and Maxwell, Londra, 2011, pag. 677, paragrafi da 16 a 038.


31      Riprendo in questa sede l’espressione utilizzata da Ritleng, D., op. cit., pag. 170.


32      V. Craig, P., e De Búrca, G., op. cit., pag. 114.


33      V. Ritleng, D., op. cit., pag. 174.


34      V., in particolare, sentenza del 19 luglio 2012, Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punto 80).


35      Tale disposizione autorizza il Parlamento e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, ad adottare le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa «criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo o di protezione sussidiaria».


36      V. proposta di regolamento, pag. 3.


37      Idem.


38      V. detta proposta, pag. 4.


39      Idem.


40      Idem, il corsivo è mio.


41      Idem, il corsivo è mio.


42      V. tale proposta, pag. 4.


43      L’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata, prevede la possibilità di una proroga per un periodo massimo di dodici mesi nell’ambito specifico del meccanismo di sospensione parziale degli obblighi di ricollocazione previsto da tale disposizione. Tuttavia, tale meccanismo non può più essere azionato e la proroga non è prevista per il solo Stato membro (Repubblica d’Austria) che ne ha beneficiato fino all’11 marzo 2017. La decisione impugnata scadrà dunque definitivamente il 26 settembre 2017.


44      V. tale proposta, pag. 1.


45      V., nello stesso senso, la proposta di decisione, nella quale la Commissione precisa che «[a] causa della situazione geografica e dei conflitti in corso nella regione del vicinato diretto, Italia e Grecia saranno nell’immediato futuro più vulnerabili degli altri Stati membri e dovranno far fronte a flussi di migranti senza precedenti. Questi fattori esterni di aumento della pressione migratoria si aggiungono alle attuali carenze strutturali dei sistemi di asilo, mettendone ulteriormente in discussione la capacità di far fronte in maniera adeguata a situazioni di alta pressione» (pag. 3).


46      V. articolo 4, paragrafi 2, 4 e 6, nonché articolo 11, paragrafo 2, della decisione impugnata.


47      V. punto 4, lettera b), di tali conclusioni.


48      Idem.


49      V., in particolare, sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione (C‑409/13, EU:C:2015:217, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).


50      V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione (C‑409/13, EU:C:2015:217, punto 70). Tale giurisprudenza deve essere applicata, a mio avviso, anche agli atti non legislativi.


51      V., in particolare, sentenza del 10 settembre 2015, Parlamento/Consiglio (C‑363/14, EU:C:2015:579, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


52      V., in particolare, sentenza del 10 giugno 1997, Parlamento/Consiglio (C‑392/95, EU:C:1997:289, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).


53      V., in particolare, sentenza del 10 giugno 1997, Parlamento/Consiglio (C‑392/95, EU:C:1997:289, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).


54      C‑280/93, EU:C:1994:367.


55      V. sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione (C‑409/13, EU:C:2015:217, punti 71 e 72).


56      V., in particolare, sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


57      V., nello stesso senso, sentenza dell’11 settembre 2003, Austria/Consiglio (C‑445/00, EU:C:2003:445, punti 16 e 17, nonché punti da 44 a 47).


58      Decisione 2009/937/UE del Consiglio, del 1° dicembre 2009, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU 2009, L 325, pag. 35).


59      Occorre sottolineare che tale spiegazione fornita dal Consiglio nell’ambito del presente procedimento è coerente con il commento che tale istituzione fa del suo regolamento interno: «L’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento interno consente in particolare a ciascun membro del Consiglio di opporsi alla delibera qualora il testo delle eventuali modifiche non sia redatto in tutte le lingue ufficiali» (v. commento al regolamento interno del Consiglio, pag. 51).


60      V., in particolare, sentenza del 25 ottobre 2005, Germania e Danimarca/Commissione (C‑465/02 e C‑466/02, EU:C:2005:636, punto 37).


61      V., in particolare, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).


62      V., in particolare, in tal senso, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 79 e giurisprudenza ivi citata), nonché sentenza del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


63      Gli «hotspot» sono intesi in particolare ad aiutare gli Stati membri in prima linea, come la Repubblica Italiana e la Repubblica ellenica, ad ottemperare ai loro obblighi di controllo, identificazione, registrazione di testimonianze e rilevamento di impronte digitali dei migranti in arrivo.


64      V., in particolare, sentenza del 17 maggio 2001, IECC/Commissione (C‑449/98 P, EU:C:2001:275, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).


65      V., in particolare, sentenza del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).


66      Alla data del 10 aprile 2017, il numero di ricollocazioni dall’Italia e dalla Grecia era pari a 16 340. V. undicesima relazione della Commissione del 12 aprile 2017, sulla ricollocazione e il reinsediamento COM(2017) 212 final, allegato 3. Stando alle indicazioni fornite dal Consiglio all’udienza tenutasi il 10 maggio 2017 dinanzi alla Corte, il numero di ricollocazioni dall’Italia e dalla Grecia era di 18 129 alla data dell’8 maggio 2017.


67      V. undicesima relazione della Commissione sulla ricollocazione e il reinsediamento, allegato 3.


68      V., in particolare, sentenza del 7 febbraio 1973, Commissione/Italia (39/72, EU:C:1973:13), nella quale la Corte ha dichiarato che, «nel consentire agli Stati membri di trarre vantaggio dalla Comunità, il Trattato impone loro l’obbligo di osservarne le norme. Il fatto che uno Stato, in considerazione dei propri interessi nazionali, rompa unilateralmente l’equilibrio tra i vantaggi e gli oneri derivanti dalla sua appartenenza alla Comunità, lede l’uguaglianza degli Stati membri dinanzi al diritto [dell’Unione] e determina discriminazioni a carico dei loro cittadini (...); questo venir meno ai doveri di solidarietà accettati dagli Stati membri con la loro adesione alla Comunità scuote dalle fondamenta l’ordinamento giuridico [dell’Unione]» (punti 24 e 25). V., anche, sentenza del 7 febbraio 1979, Commissione/Regno Unito (128/78, EU:C:1979:32, punto 12).


69      GU 2001, L 212, pag. 12.


70      GU 2004, L 349, pag. 1.


71      C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865


72      Punto 93 di tale sentenza.


73      V., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 93).


74      V. tale proposta di decisione, pag. 2.


75      V., segnatamente, undicesima relazione della Commissione sulla ricollocazione e il reinsediamento, la quale è l’ultima di cui disponiamo alla data di redazione delle presenti conclusioni.


76      Nella sua proposta di decisione, la Commissione è partita dalla constatazione secondo la quale le diverse misure finanziarie e operative adottate fino ad allora dalla medesima per sostenere i sistemi di asilo d’Italia, Grecia e Ungheria non si erano dimostrate sufficienti a far fronte alla crisi attraversata da questi tre Stati membri. Essa ha pertanto ritenuto che, data l’urgenza e la gravità della situazione derivante dall’afflusso di cittadini di paesi terzi in detti Stati membri, la scelta di un intervento più pronunciato dell’Unione in reazione a tale fenomeno non andava oltre quanto necessario per conseguire l’obiettivo consistente nell’affrontare tale crisi in modo efficace (pag. 9).


77      V., in particolare, in tal senso, sentenza del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).


78      V. decisione 2016/1754 che ha introdotto, all’articolo 4, un paragrafo 3 bis nella decisione impugnata.


79      V., in particolare, sentenza del 30 marzo 2006, Spagna/Consiglio (C‑36/04, EU:C:2006:209, punto 9 e giurisprudenza ivi citata, nonché punto 12).


80      V., in particolare, sentenza del 30 marzo 2006, Spagna/Consiglio (C‑36/04, EU:C:2006:209, punto 13 e giurisprudenza ivi citata).


81      L’esistenza di una situazione di emergenza in Ungheria al momento dell’adozione della decisione impugnata è contestata dal Consiglio. A suo avviso, la situazione sarebbe cambiata nel corso dell’estate del 2015 in conseguenza delle misure unilaterali adottate dall’Ungheria, e segnatamente la costruzione di una barriera lungo la frontiera con la Repubblica di Serbia, terminata il 14 settembre 2015, e la politica di transito verso altri Stati membri, in particolare verso la Germania, praticata dall’Ungheria. Tali misure avrebbero messo fine all’arrivo di migranti nel territorio dell’Ungheria, mentre quelli che erano riusciti ad entrarvi avrebbero dovuto lasciarla rapidamente. Per illustrare il fatto che essa si trovava in una situazione di emergenza, l’Ungheria indica, da parte sua, segnatamente che, fra il 15 settembre e il 31 dicembre 2015, la polizia ungherese ha arrestato 190 461 migranti illegali, di cui 31 769 fra il 15 e il 22 settembre 2015. L’Ungheria indica che essa è stata soggetta ad un’«enorme pressione migratoria» caratterizzata dai seguenti elementi: fino al 15 settembre 2015, avrebbero avuto luogo 201 126 attraversamenti illegali di frontiera. Tale cifra sarebbe stata di 391 384 al 31 dicembre 2015. Nella seconda metà di settembre, il numero di attraversamenti illegali della frontiera croato‑ungherese sarebbe stato pari, in alcuni giorni, a 10 000. L’Ungheria aggiunge che, nel corso del 2015, 177 135 richieste di protezione internazionale sono state depositate presso l’autorità competente in materia di asilo di tale Stato membro.


82      V., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 103).


83      V., per analogia, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).


84      V., per quanto riguarda il Regno di Svezia, decisione (UE) 2016/946 del Consiglio, del 9 giugno 2016, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio della Svezia, conformemente all’articolo 9 della decisione (UE) 2015/1523 e all’articolo 9 della decisione (UE) 2015/1601 che istituiscono misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2016, L 157, pag. 23). L’articolo 2 di tale disposizione dispone che gli obblighi del Regno di Svezia in quanto Stato membro di ricollocazione ai sensi della decisione 2015/1523 e della decisione impugnata sono sospesi fino al 16 giugno 2017. Per quanto riguarda la Repubblica d’Austria, v. decisione di esecuzione (UE) 2016/408 del Consiglio, del 10 marzo 2016, relativa alla sospensione temporanea della ricollocazione del 30% dei richiedenti assegnati all’Austria a norma della decisione (UE) 2015/1601 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2016, L 74, pag. 36). L’articolo 1 di tale decisione prevede che la ricollocazione in Austria dei 1 065 richiedenti assegnati a questo Stato membro ai sensi della decisione impugnata è sospesa fino all’11 marzo 2017.


85      Il corsivo è mio.


86      V., in particolare, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).


87      V. considerando 31 della decisione impugnata.


88      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9). Fra i motivi di esclusione dello status di rifugiato o del beneficio della protezione sussidiaria figura l’esistenza di fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini; che abbia commesso un reato grave oppure che rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato membro in cui si trova.


89      Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato ai sensi della convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, Ginevra, 1992, punto 192, vii).


90      GU 2013, L 180, pag. 60.