Language of document : ECLI:EU:C:2010:757

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate il 9 dicembre 2010 (1)

Causa C‑324/09

L’Oréal SA

Lancôme parfums et beauté & Cie

Laboratoire Garnier & Cie

L’Oréal (UK) Limited

contro

eBay International AG

eBay Europe SARL

eBay (UK) Limited

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito)]

«Società dell’informazione – Motore di ricerca – Pubblicità a partire da parole chiave – Gestore di un mercato online – Parole chiave corrispondenti a marchi – Direttiva 89/104/CEE (“direttiva sui marchi”) – Artt. 5 e 7 – Regolamento (CE) n. 40/94 (“regolamento sul marchio comunitario”) – Artt. 9 e 13 – Responsabilità del gestore di un mercato online per le informazioni ivi contenute – Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”) – Art. 14 – Obbligo degli Stati membri di assicurare che i titolari di diritti possano presentare domanda di provvedimenti inibitori contro fornitori intermediari di servizi utilizzati da terzi per violare tali diritti – Direttiva 2004/48/CE (“direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale”) – Art. 11 – Libertà di espressione – Libertà di iniziativa economica – Direttiva 76/768 (“direttiva sui prodotti cosmetici”)»





I –     Introduzione

1.        La controversia principale oppone, da un lato, la L’Oréal SA e le sue controllate (in prosieguo: la «L’Oréal») e, dall’altro, tre controllate della eBay Inc. (in prosieguo: la «eBay») ed alcune persone fisiche. La causa verte sull’offerta in vendita di prodotti da parte di tali persone sul mercato online della eBay. Si asserisce che le offerte in vendita ledano i diritti di proprietà intellettuale di cui la L’Oréal è titolare.

2.        La eBay, convenuta nel procedimento principale, gestisce un popolare e sofisticato mercato online su Internet. Essa ha elaborato un sistema che agevola notevolmente la vendita e l’acquisto su Internet da parte dei singoli, attraverso un potente motore di ricerca, un sistema di pagamento sicuro ed un’ampia copertura geografica. Essa ha inoltre predisposto meccanismi per l’osservanza delle regole volti a contrastare la vendita di prodotti contraffatti. Per attirare nuovi clienti sul suo sito Internet, la eBay ha inoltre acquistato parole chiave, quali marchi molto noti, presso servizi a pagamento di posizionamento su Internet (come il sistema AdWords di Google). L’utilizzo di una parola chiave selezionata nel motore di ricerca determina la visualizzazione di un annuncio e di un link sponsorizzato che conduce direttamente al mercato online della eBay.

3.        La L’Oréal, ricorrente nel procedimento principale, è una società multinazionale che offre un’ampia gamma di prodotti tutelati da diritti di marchio, ivi compresi marchi molto noti di fama mondiale. La sua principale preoccupazione nella specie riguarda la vendita di vari prodotti L’Oréal contraffatti sul mercato online della eBay. Secondo la L’Oréal, la situazione è aggravata dal fatto che alcuni dei prodotti non sono destinati alla vendita nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»), e tuttavia giungono in tale ambito attraverso le vendite effettuate su eBay. Alcuni dei prodotti cosmetici vengono venduti senza imballaggio originale. Secondo la L’Oréal, la eBay, acquistando le parole chiave, attira clienti sul suo mercato online per l’acquisto di prodotti di marca L’Oréal in violazione dei suoi diritti di marchio. Per opporsi efficacemente ai singoli venditori, la L’Oréal chiede provvedimenti giurisdizionali contro la eBay al fine di veder meglio tutelati i propri marchi.

4.        Per la Corte, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale solleva una questione giuridica di attualità relativa all’applicazione della tutela dei marchi nel nuovo contesto del commercio elettronico e dei servizi della società dell’informazione su Internet. La Corte è chiamata a trovare il giusto equilibrio fra la protezione, da un lato, dei legittimi interessi del titolare del marchio e, dall’altro, di quelli delle imprese e dei singoli che sfruttano le nuove opportunità commerciali offerte da Internet e dal commercio elettronico. Alcune delle questioni possono essere risolte sulla base alla giurisprudenza esistente, mentre altre richiedono un’ulteriore interpretazione di vari atti normativi dell’Unione.

5.        La principale difficoltà risiede per la Corte nella duplice ponderazione che essa è chiamata ad operare. Non solo la Corte viene invitata dal giudice nazionale a fornire l’interpretazione esatta delle disposizioni di diritto dell’Unione in tale difficile contesto, ma essa dovrebbe garantire, al contempo, che l’interpretazione fornita degli atti in questione resti applicabile anche in situazioni che presentano parametri diversi. I marchi in questione sono notoriamente conosciuti e i prodotti sono prodotti di lusso, tuttavia le disposizioni di diritto dell’Unione applicabili valgono per tutti i marchi e per tutti i tipi di prodotti. Un mercato online è globale e presenta molte caratteristiche specifiche. Oltre a tenere conto delle particolarità della causa pendente dinanzi al giudice nazionale, le risposte dovrebbero essere basate, al contempo, su una visione complessiva del modo in cui tale sistema dovrebbe funzionare in generale. A mio parere, il caso in esame risulta più complesso, sotto vari aspetti, rispetto a quello oggetto della sentenza Google France e Google (2).

6.        Nella specie si chiede alla Corte di fornire, tra l’altro, un’interpretazione in merito: i) alla situazione giuridica nell’ambito del diritto dell’Unione sui marchi, quale risulta dalla direttiva 89/104 (in prosieguo: la «direttiva sui marchi») (3), del gestore di un mercato online che a) acquista parole chiave identiche a marchi presso un servizio di posizionamento a pagamento su Internet, cosicché i risultati del motore di ricerca fanno apparire un link che conduce al sito Internet del gestore del mercato, e b) memorizza sul proprio sito Internet per conto dei suoi clienti offerte in vendita di prodotti di marca contraffatti, disimballati o che non provengono dal SEE; ii) alla definizione dell’ambito di applicazione della deroga in materia di responsabilità dei prestatori di servizi dell’informazione, quale prevista all’art. 14 della direttiva 2000/31 (in prosieguo: la «direttiva sul commercio elettronico») (4); iii) la definizione della portata del diritto di ottenere un provvedimento inibitorio contro un intermediario i cui servizi vengono utilizzati da un terzo ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2004/48 (in prosieguo: la «direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale») (5), e iv) a talune disposizioni della direttiva 76/768 (in prosieguo: la «direttiva sui prodotti cosmetici») (6).

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione europea (7)


 La direttiva 76/768

7.        L’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 sui prodotti cosmetici impone agli Stati membri di adottare adeguate misure affinché i prodotti cosmetici possano essere immessi sul mercato soltanto se il recipiente o l’imballaggio rechino le indicazioni specificate in detta disposizione, in caratteri indelebili, facilmente leggibili e visibili. Tali informazioni includono, tra l’altro, a) il nome e l’indirizzo o la sede sociale del fabbricante o del responsabile dell’immissione sul mercato del prodotto cosmetico stabilito all’interno della Comunità; b) il contenuto nominale al momento della confezione; c) il termine minimo di conservazione; d) le precauzioni particolari per l’impiego; e) il numero di partita di fabbricazione o il riferimento che permetta di identificarla; f) la funzione del prodotto, salvo che risulti dalla presentazione dello stesso, e g) l’elenco degli ingredienti.

 La direttiva 89/104 (8)

8.        L’art. 5 della direttiva 89/104 sui marchi, dal titolo «Diritti conferiti dal marchio di impresa», così recita:

«1.      Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(…)

3.      Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

(…)

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)      di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)».

9.        L’art. 6, n. 1, della direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», prevede quanto segue:

«1.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

(…)

b)      di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

c)      del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

10.      L’art. 7 della direttiva 89/104, intitolato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», così dispone:

«1.       Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio [nello Spazio economico europeo (SEE)] con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.       Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

 La direttiva 2000/31

11.      Il nono ‘considerando’ della direttiva 2000/31 sul commercio elettronico così recita:

«La libera circolazione dei servizi della società dell’informazione può in numerosi casi riflettere specificamente nel diritto comunitario un principio più generale, e cioè la libertà di espressione prevista all’articolo 10, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che è stata ratificata da tutti gli Stati membri. Per questo motivo, le direttive che si riferiscono alla prestazione di servizi della società dell’informazione devono assicurare che questa attività possa essere svolta liberamente alla luce di tale articolo, sottoposta soltanto alle restrizioni di cui al paragrafo 2 di tale articolo e all’articolo 46, paragrafo 1, del trattato. La presente direttiva non è volta ad incidere sui principi e sulle norme fondamentali nazionali in materia di libertà di espressione».

12.      I ‘considerando’ 42, 43 e 45‑48 della direttiva 2000/31 enunciano quanto segue:

«(42) Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate.

(43)      Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. A tal fine è, tra l’altro, necessario che egli non modifichi l’informazione che trasmette. Tale requisito non pregiudica le manipolazioni di carattere tecnico effettuate nel corso della trasmissione in quanto esse non alterano l’integrità dell’informazione contenuta nella trasmissione.

(…)

(45)      Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. Siffatte azioni inibitorie possono, in particolare, essere ordinanze di organi giurisdizionali o autorità amministrative che obbligano a porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima.

(46)      Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite. La rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime devono essere effettuate nel rispetto del principio della libertà di espressione e delle procedure all’uopo previste a livello nazionale. La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di stabilire obblighi specifici da soddisfare sollecitamente prima della rimozione delle informazioni o della disabilitazione dell’accesso alle medesime.

(47)      Gli Stati membri non possono imporre ai prestatori un obbligo di sorveglianza di carattere generale. Tale disposizione non riguarda gli obblighi di sorveglianza in casi specifici e, in particolare, lascia impregiudicate le ordinanze emesse dalle autorità nazionali secondo le rispettive legislazioni.

(48)      La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite».

13.      L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell’informazione» mediante riferimento all’art. 1, punto 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (9), come «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».

14.      Il capo II della direttiva 2000/31 include una sezione 4, dal titolo «Responsabilità dei prestatori intermediari», che contiene gli artt. 12‑15 (10).

15.      L’art. 14 della direttiva 2000/31, dal titolo «Hosting», così recita:

«1.      Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a)      non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o

b)      non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

2.      Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.

3.      Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca una violazione o vi ponga fine nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime».

16.      L’art. 15 della direttiva 2000/31, intitolato «Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza», dispone quanto segue:

«1.      Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

2.      Gli Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della società dell’informazione siano tenuti ad informare senza indugio la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati».

 La direttiva 2004/48

17.      Il ventitreesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/48 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale enuncia quanto segue:

«Fatti salvi eventuali altre misure, procedure e mezzi di ricorso disponibili, i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di richiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare il diritto di proprietà industriale del titolare. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento inibitorio dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri. Per quanto riguarda le violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi, la direttiva [del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10)] prevede già un ampio livello di armonizzazione. Pertanto l’articolo 8, paragrafo 3 della direttiva 2001/29/CE non dovrebbe essere pregiudicato dalla presente direttiva».

18.      L’art. 3 della direttiva 2004/48, dal titolo «Obbligo generale», così recita:

«1.      Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati.

2.      Le misure, le procedure e i mezzi ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».

19.      Il capo II della direttiva 2004/48, intitolato «Misure, procedure e mezzi di ricorso», contiene una sezione 4, dal titolo «Misure provvisorie e cautelari», costituito dall’art. 9, che reca il medesimo titolo. Inoltre, lo stesso capo contiene anche una sezione 5, intitolata «Misure adottate a seguito di decisione sul merito», costituita dagli artt. 10, 11 e 12, intitolati rispettivamente «Misure correttive», «Ingiunzioni» e «Misure alternative».

20.      L’art. 11 della direttiva 2004/48 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità giudiziarie possano emettere nei confronti dell’autore della violazione un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione. Se previsto dalla legislazione nazionale, il mancato rispetto di un’ingiunzione è oggetto, ove opportuno, del pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, al fine di assicurarne l’esecuzione. Gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell’articolo 8, paragrafo 3 della direttiva 2001/29/CE (11)».

III – La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali

 La L’Oréal

21.      La L’Oréal produce e commercializza profumi, cosmetici e prodotti per la cura dei capelli. Nel Regno Unito essa è titolare di vari marchi nazionali. È inoltre titolare di marchi comunitari. Uno di tali marchi comunitari è un marchio figurativo che include le parole «Amor Amor». Gli altri marchi in discussione nel procedimento principale sono marchi denominativi o marchi denominativi appena stilizzati. È pacifico che ognuno dei marchi controversi è molto noto nel Regno Unito (12).

22.      La L’Oréal gestisce un sistema chiuso di distribuzione selettiva. La distribuzione viene quindi controllata attraverso contratti di distribuzione che impediscono ai distributori autorizzati di fornire prodotti a distributori non autorizzati.

 La eBay

23.      La eBay gestisce un mercato online sul quale vengono presentati annunci relativi a prodotti offerti in vendita da persone che hanno creato un account venditore su eBay. Gli acquirenti formulano offerte per i prodotti elencati da tali persone. Secondo le informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, il sito www.ebay.co.uk contiene mediamente 16 milioni di annunci.

24.      I venditori e gli acquirenti devono registrarsi come utenti creando un ID utente (13) e accettare le condizioni d’uso della eBay. La vendita di oggetti contraffatti e la violazione di marchi costituiscono infrazioni alle condizioni d’uso. Queste ultime impongono anche l’osservanza delle regole della eBay. Tutti i venditori operanti nel Regno Unito devono accettare pagamenti mediante PayPal, vale a dire un sistema di pagamento sicuro gestito dalla PayPal (Europe) Sarl & Cie, attualmente una controllata della eBay Inc., organismo finanziario di diritto lussemburghese. La eBay riscuote una percentuale del valore delle operazioni effettuate sul suo mercato online.

25.      Gli oggetti vengono offerti su eBay per un certo periodo di tempo (generalmente di 1, 3, 5, 7 o 10 giorni), durante il quale gli utenti presentano le proprie offerte per gli oggetti indicati negli annunci. Le offerte vengono accettate se sono superiori a quelle precedenti e alla scadenza del periodo di vendita l’oggetto viene venduto al miglior offerente. Inoltre, con una tecnica denominata «proxy bidding» (offerta automatica per procura), i potenziali acquirenti possono stabilire il prezzo più elevato che sono disposti a pagare e affidare in tal modo al sito della eBay il compito di incrementare automaticamente le offerte fino al raggiungimento del limite così fissato.

26.      La eBay consente inoltre la vendita degli oggetti senza asta e quindi ad un prezzo fisso (il sistema c.d. dell’«acquisto immediato»). Inoltre, i venditori possono creare «negozi online» sul sito, che presentano tutti gli oggetti che il venditore ha da vendere in un determinato momento e funzionano come negozi virtuali sul sito della eBay. La eBay riconosce lo status di «PowerSeller» ai venditori di maggior successo qualora essi conseguano e mantengano prestazioni di vendita eccellenti rispettando al contempo le regole e le condizioni della eBay. Esistono cinque livelli di PowerSeller, dal bronzo al titanio, in funzione dei volumi di vendita del venditore.

27.      La eBay fornisce un’assistenza dettagliata ai venditori ai fini della categorizzazione e della descrizione degli oggetti da loro offerti in vendita, della creazione dei loro negozi on‑line, nonché della promozione e dell’incremento delle vendite. La eBay organizza quindi la vendita, lo svolgimento delle aste (comprese le offerte per procura), fornisce un servizio di sorveglianza inteso ad informare i membri dell’esistenza di oggetti di loro interesse e promuove e pubblicizza i prodotti attraverso siti Internet di terzi.

28.      È pacifico tra la L’Oréal e la eBay che quest’ultima non agisce in qualità di rappresentante dei venditori e non è, in alcun modo, in possesso dei prodotti.

29.      È altresì pacifico tra la L’Oréal e la eBay che quest’ultima utilizza un gran numero di filtri software per individuare gli annunci che potrebbero contravvenire alle sue regole. Se uno dei filtri software segnala che un annuncio contravviene potenzialmente ad una regola, questo viene esaminato da un rappresentante del servizio clienti della eBay. Ogni mese vengono rimosse decine di migliaia di inserzioni a seguito del filtraggio o di reclami.

30.      La eBay gestisce inoltre un programma denominato «VeRO» («Verified Rights Owner», programma di assistenza per la tutela della proprietà intellettuale), un sistema di notifica e di rimozione diretto a fornire assistenza ai titolari di diritti di proprietà intellettuale ai fini della rimozione dal sito della eBay degli annunci costituenti violazione. Per partecipare al programma VeRO i titolari di diritti devono compilare ed inviare un modulo in relazione agli annunci che ritengono lesivi dei propri diritti. Essi devono individuare ogni annuncio contestato indicandone il numero di oggetto e specificare, in ciascun caso, il motivo per il quale contestano l’annuncio attraverso un «codice motivo». Esistono sedici codici motivo, che individuano tipi diversi di violazione. Quando viene rimosso un annuncio, la eBay rimborsa tutte le spese sostenute dal venditore. Secondo le informazioni contenute nella decisione di rinvio, partecipano al programma VeRO oltre 18 000 titolari di diritti di proprietà intellettuale. La L’Oréal ha rifiutato di parteciparvi in quanto non lo considera soddisfacente.

31.      Quando la eBay Europe riceve una notifica proveniente dal VeRO, essa viene esaminata da un rappresentante del servizio clienti. Se quest’ultimo ritiene che l’annuncio contestato leda i diritti del reclamante, lo rimuove senza ulteriori verifiche. Se necessario, detto rappresentante consulta uno specialista della sua équipe. Qualora lo specialista lo ritenga necessario, viene consultato un consulente legale interno alla eBay. Nel 2007 circa il 90% degli annunci notificati dal programma VeRO è stato rimosso entro un periodo compreso tra sei e dodici ore e circa il 98% è stato rimosso entro ventiquattr’ore.

32.      Dinanzi al giudice del rinvio la eBay ha insistito sul fatto che le risulta difficile pronunciarsi sulle presunte violazioni lamentate dai titolari di diritti. Essa parte dal presupposto che tali reclami siano fondati, a meno che appaiano manifestamente infondati.

33.      Inoltre, la eBay applica ai venditori che contravvengono alle sue regole una varietà di sanzioni, quali la rimozione dell’annuncio, la sospensione temporanea del venditore e la sospensione permanente. A livello mondiale, la eBay sospende circa due milioni di utenti ogni anno, di cui circa 50 000 in base al programma VeRO. Agli utenti che vendono più di 500 marchi classificati dalla eBay come «marchi ad alto rischio» viene applicato un livello più elevato di controllo.

 La controversia

34.      Il 22 maggio 2007 la L’Oréal inviava una lettera alla eBay Europe per esprimerle formalmente la propria preoccupazione in ordine alla vendita diffusa di prodotti costituenti violazione sui siti europei della eBay e le chiedeva di adottare provvedimenti per rispondere a tale preoccupazione. Non essendo soddisfatta della risposta della eBay Europe, la L’Oréal promuoveva varie azioni giurisdizionali, compresa l’azione dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (in prosieguo: la «High Court»). Il giudice del rinvio afferma che le asserite violazioni hanno avuto luogo tra novembre 2006 e aprile 2008 e che le attività della eBay sono state modificate nel corso del periodo oggetto del presente procedimento.

35.      In concreto, l’obiettivo del ricorso proposto dalla L’Oréal dinanzi alla High Court consiste nell’ottenere una decisione con cui si dichiari che taluni singoli hanno violato uno o più dei suoi marchi in qualità di utenti del mercato Internet della eBay, utilizzando segni identici ai marchi per prodotti identici a quelli per i quali i marchi sono stati registrati.

36.      Nel suo ricorso la L’Oréal ha sostenuto che la eBay era responsabile in solido per tali violazioni. Essa ha inoltre affermato che la eBay era responsabile in via principale per l’uso dei marchi link, in relazione ai prodotti costituenti violazione, sul sito della eBay e nei link sponsorizzati che figurano su motori di ricerca appartenenti a terzi (14). Tale link sponsorizzato, accompagnato da un breve messaggio pubblicitario, costituisce un annuncio (in prosieguo: un «annuncio») (15). Per quanto riguarda i suddetti link sponsorizzati, è pacifico che la eBay ha acquistato parole chiave costituite dai link associati a marchi al fine di attivare, su motori di ricerca quali Google, MSN e Yahoo, collegamenti al proprio sito.

37.      Così, il 27 marzo 2007, se un utente di Internet inseriva le parole «shu uemura» come termini di ricerca nel motore di ricerca Google, nella rubrica dei link sponsorizzati appariva il seguente annuncio della eBay:

«Shu Uemura

Great deals on Shu uemura (Buoni affari su Shu uemura)

Shop on eBay and Save! (Acquistate su eBay e risparmiate!)

www.ebay.co.uk».

38.      La selezione di tale link promozionale conduceva ad una pagina del sito della eBay che visualizzava una ricerca per «shu uemura» in «tutte le categorie» con il risultato «96 oggetti trovati per shu uemura».

39.      La L’Oréal ha sostenuto che la maggior parte di tali oggetti erano prodotti costituenti violazione (16) con provenienza dichiarata «da Hong Kong» o (in un caso) «dagli Stati Uniti».

40.      La principale contestazione mossa alla eBay riguarda quindi il fatto che essa, attraverso l’utilizzo dei marchi della L’Oréal, indirizza i propri utenti verso prodotti costituenti violazione. Inoltre, in ragione della sua stretta partecipazione alle attività preliminari alla vendita, che conducono alla presentazione di annunci e alla promozione di prodotti sui suoi siti, nonché alle procedure di vendita e successive alla vendita, la eBay sarebbe strettamente implicata in violazioni commesse da singoli venditori.

41.      Inoltre, la L’Oréal ha sostenuto che, quand’anche la eBay stessa non fosse responsabile di una violazione dei diritti di marchio, dovrebbe comunque essere destinataria di un provvedimento inibitorio ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2004/48.

42.      Al momento attuale non è più pendente alcuna azione esercitata dalla L’Oréal contro singoli venditori: la controversia nazionale riguarda soltanto la L’Oréal e la eBay (17).

43.      Con sentenza 22 maggio 2009, la High Court ha deciso di sospendere il procedimento e di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte (in prosieguo: la «sentenza 22 maggio 2009»). L’ordinanza contenente la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata adottata dalla High Court il 16 luglio 2009 (in prosieguo: l’«ordinanza 16 luglio 2009»).

44.      Secondo la High Court, la eBay potrebbe fare di più per ridurre al minimo la vendita di prodotti contraffatti sul suo sito (18). Detto giudice sottolinea, tuttavia, che il fatto che per la eBay sia possibile fare di più non significa necessariamente che essa sia giuridicamente tenuta a farlo.

 Le questioni pregiudiziali

45.      Le questioni sollevate dalla High Court con l’ordinanza 16 luglio 2009 sono le seguenti:

«1)      Nel caso in cui tester di profumi e cosmetici (vale a dire campioni utilizzati per presentare i prodotti ai consumatori negli esercizi al dettaglio) e flaconi per ricariche (vale a dire contenitori dai quali possono essere prelevati piccoli quantitativi di prodotto da distribuire alla clientela come campioni gratuiti), che non sono destinati alla vendita al pubblico (e sono spesso contrassegnati con la dicitura “vietata la vendita” o “non vendibile separatamente”), vengano forniti gratuitamente ai distributori autorizzati dal titolare del marchio, se tali prodotti siano “immessi in commercio” ai sensi dell’art. 7, n. 1, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 1, del [regolamento n. 40/94].

2)      Nel caso in cui i profumi e cosmetici siano stati estratti dalle confezioni (o comunque disimballati) senza il consenso del titolare del marchio, se ciò costituisca un “motivo legittimo” perché il titolare del marchio si opponga all’ulteriore commercializzazione di prodotti privati dell’imballaggio in forza dell’art. 7, n. 2, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 2, del [regolamento n. 40/94].

3)      Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza:

a)      il fatto che, una volta estratti dalle confezioni (o disimballati), i prodotti non rechino le informazioni prescritte dall’art. 6, n. 1, della [direttiva 76/768], e in particolare non rechino l’elenco degli ingredienti né una data di scadenza.

b)      il fatto che, in assenza di tali informazioni, l’offerta in vendita o la vendita dei prodotti privati dell’imballaggio costituisca un reato ai sensi della legge dello Stato membro della Comunità in cui essi vengono offerti in vendita o venduti da terzi.

4)      Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza il fatto che l’ulteriore commercializzazione rechi pregiudizio, o sia atta a recare pregiudizio, all’immagine dei prodotti e quindi alla reputazione del marchio. In caso di risposta affermativa, se tale effetto debba essere presunto, oppure debba essere dimostrato dal titolare del marchio.

5)      Nel caso in cui un operatore economico che gestisce un mercato online acquisti l’uso di un segno identico a un marchio registrato quale parola chiave dal gestore di un motore di ricerca, di modo che il segno venga presentato agli utenti dal motore di ricerca in un link sponsorizzato che conduce al sito Internet del gestore del mercato online, se la visualizzazione del segno sul link sponsorizzato costituisca un “uso” del segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94].

6)      Nel caso in cui la selezione del link sponsorizzato menzionato nella quinta questione rinvii l’utente direttamente ad annunci pubblicitari o ad offerte in vendita di prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato con il segno, immessi sul sito da terzi, alcuni dei quali commettono una violazione del marchio e altri no, a seconda della situazione dei rispettivi prodotti, se ciò costituisca uso di un segno da parte del gestore del mercato online “per” prodotti costituenti violazione ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94].

7)      Nel caso in cui i prodotti pubblicizzati e offerti in vendita sul sito Internet di cui alla sesta questione includano prodotti che non sono stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, se, affinché tale uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94] – ed esuli da quello dell’art. 7, n. 1, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 1, del [regolamento n. 40/954] – sia sufficiente che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato, oppure il titolare del marchio debba dimostrare che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita comporta necessariamente l’immissione in commercio dei prodotti in questione nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.

8)      Ai fini della soluzione delle questioni dalla quinta alla settima, se faccia differenza il fatto che l’uso contestato dal titolare del marchio consiste nella visualizzazione del segno sul sito Internet del gestore dello stesso mercato online, anziché in un link sponsorizzato.

9)      Nel caso in cui sia sufficiente che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato affinché tale uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94] – ed esuli da quello dell’art. 7, n. 1, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 1, del [regolamento n. 40/94] –

a)      se detto uso consista nella o includa la “memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio” ai sensi dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31];

b)      nel caso in cui l’uso non consista esclusivamente in attività rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31], ma includa tali attività, se il gestore del mercato online sia esente da responsabilità nei limiti in cui l’uso consiste nelle suddette attività e, in tal caso, se possano essere concessi il risarcimento dei danni o altri risarcimenti economici in relazione a tale uso laddove il gestore non sia esente da responsabilità;

c)      nel caso in cui il gestore del mercato online sia a conoscenza del fatto che sul suo sito Internet sono stati pubblicizzati, offerti in vendita o venduti prodotti in violazione di marchi registrati, e presumibilmente le violazioni di tali marchi registrati continuino a verificarsi attraverso la pubblicità, l’offerta in vendita e la vendita degli stessi prodotti o di prodotti simili da parte degli stessi o di altri utenti del sito Internet, se ciò significhi che egli ne è “al corrente” o “effettivamente al corrente” ai sensi dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31].

10)      Nel caso in cui i servizi di un intermediario quale un gestore di un sito Internet siano stati utilizzati da terzi per violare un marchio registrato, se l’art. 11 della [direttiva 2004/48/CE] imponga agli Stati membri di garantire che il titolare del marchio possa ottenere un’ingiunzione nei confronti dell’intermediario al fine di impedire ulteriori violazioni di detto marchio, e non solo la prosecuzione di detto specifico atto di contraffazione, e in tal caso quale sia la portata dell’ingiunzione che può essere richiesta».

IV – Osservazioni preliminari

A –    Questioni politiche in gioco

46.      Ricordo che la recente giurisprudenza della Corte (19) ha rafforzato la tutela dei marchi, soprattutto di quelli che godono di notorietà, e ha preso in considerazione non solo la funzione essenziale del marchio, consistente nell’indicare l’origine commerciale dei prodotti e dei servizi, ma anche le altre funzioni del marchio, quali le funzioni di qualità, di investimento e di pubblicità (20). Queste altre funzioni sono pertinenti nella vita commerciale contemporanea, in cui i marchi acquistano spesso un valore economico autonomo in quanto marche utilizzate per comunicare messaggi più ampi rispetto alla semplice provenienza dei prodotti o dei servizi. A mio parere, tali sviluppi sono stati presi in considerazione per consentire al diritto dei marchi dell’Unione europea di servire un fine utile.

47.      Tuttavia, non si deve dimenticare che, sebbene, a differenza del diritto d’autore o di un brevetto (21), un marchio offra solo una tutela relativa, tuttavia tale tutela viene concessa per un periodo di tempo illimitato, fintantoché viene utilizzato il marchio e viene rinnovata la registrazione. La tutela concessa in base al marchio si applica solo all’uso di un segno come marchio d’impresa nel commercio e riguarda solo gli usi rilevanti per le varie funzioni dei marchi. Oltre a ciò, di regola la protezione è limitata a prodotti identici o simili, salvo che il marchio goda di notorietà. Inoltre, la protezione è soggetta a restrizioni di ordine giuridico, si esaurisce quando il titolare ha realizzato il valore economico inerente al marchio in relazione ai prodotti ed è territorialmente limitata.

48.      Le menzionate limitazioni e restrizioni sono necessarie per mantenere la libertà commerciale e la libera concorrenza (22), che presuppongono che i segni distintivi e le espressioni linguistiche siano disponibili per le imprese al fine di identificare prodotti e servizi, che il titolare di un marchio non possa impedire il legittimo uso commerciale e non commerciale del segno protetto e che la libertà di espressione non sia indebitamente limitata (23).

49.      Non si deve dimenticare che gli annunci caricati dagli utenti sul mercato della eBay sono comunicazioni tutelate in base ai diritti fondamentali alla libertà di espressione e di informazione di cui all’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (24).

50.      I mercati elettronici come eBay hanno creato opportunità senza precedenti, tanto per le imprese che per i privati, di commerciare direttamente tra loro con minori rischi per quanto riguarda la consegna e il pagamento. Il procedimento principale e analoghe controversie dinanzi a giudici di altri Stati membri e di paesi terzi dimostrano che è possibile abusare (25) di tali opportunità e che queste ultime possono dare luogo a violazioni del diritto d’autore o dei marchi (26). Pertanto, appare legittimo garantire che i titolari di diritti di proprietà intellettuale dispongano di una tutela giuridica effettiva anche in questi nuovi ambienti. Tuttavia, detta tutela non può ledere i diritti degli utenti e dei prestatori di tali servizi.

51.      Nell’ambito della tutela dei diritti di marchio, si deve ricordare che i marchi non sono protetti nel contesto delle operazioni non commerciali. Inoltre, il titolare di un marchio non può opporsi alle transazioni e alle prassi che non abbiano effetti negativi sulle funzioni dei marchi, quali l’uso meramente descrittivo di un marchio o il suo uso in una legittima pubblicità comparativa.

52.      Lo stesso vale per le attività esercitate nel contesto dell’uso legittimo definito all’art. 6 della direttiva 89/104 o avente ad oggetto prodotti in relazione ai quali la tutela dei diritti di marchio si è esaurita ai sensi dell’art. 7 della menzionata direttiva. Un uso legittimo di questo tipo può anche riguardare prodotti cosmetici di lusso come quelli commercializzati dalla L’Oréal. Ad esempio, si può immaginare che un marito desideri vendere un flacone mai aperto di una costosa crema di bellezza acquistata per la moglie a Natale, dopo avere appreso che quest’ultima è allergica ad alcuni ingredienti. Un operatore può avere acquistato uno stock di profumi tutelati da diritti di marchio nell’ambito del fallimento di un negoziante che era membro della rete di distribuzione selettiva del titolare del marchio e volerli rivendere utilizzando i servizi di un mercato online (27). Pertanto, possono esistere legittime transazioni ed offerte di prodotti cosmetici di seconda mano, anche se esse saranno più rare che non nel contesto dei prodotti durevoli per la casa, dei veicoli, delle imbarcazioni o degli articoli di design. In ogni caso, le risposte da dare alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale devono essere tali da non limitare gli usi leciti di un segno in relazione ad una qualsiasi categoria di prodotti, ai quali il titolare di un marchio non può legittimamente opporsi.

53.      È inoltre importante rilevare che l’obiettivo della direttiva 2000/31 è promuovere la fornitura di servizi della società dell’informazione e il commercio elettronico, come chiaramente enunciato nel suo preambolo. Le limitazioni in materia di responsabilità di cui agli artt. 12, 13 e 14 di detta direttiva sono intese a consentire la prestazione di servizi della società dell’informazione senza il rischio di incorrere in una responsabilità giuridica, che il prestatore di servizi non è in grado di prevenire senza compromettere la fattibilità economica e tecnica del modello commerciale. Pertanto, nel ponderare i diritti dei titolari di marchio con gli obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione quale la eBay, è necessario stabilire cosa ci si può legittimamente attendere che i prestatori di servizi facciano per impedire le violazioni da parte di terzi.

B –    Responsabilità in via principale e responsabilità indiretta nelle violazioni dei diritti di marchio

54.      Uno dei problemi sollevati dal caso in esame è se la eBay possa essere considerata responsabile in via principale delle violazioni dei diritti di marchio della L’Oréal in ragione del fatto che i prodotti costituenti violazione vengono venduti attraverso il mercato online della eBay. Tale responsabilità principale può consistere nella responsabilità della eBay per le sue stesse violazioni o coincidere con la responsabilità dei venditori per le violazioni di cui essi devono rispondere. Nel secondo caso, la medesima situazione di fatto può dare luogo a due infrazioni connesse ma indipendenti l’una dall’altra (28). Si pone quindi la questione se la eBay abbia violato essa stessa i diritti di marchio della L’Oréal. Tale responsabilità dipende dall’interpretazione e dall’applicazione delle disposizioni armonizzate di diritto dell’Unione sui marchi, più precisamente degli artt. 5, 6 e 7 della direttiva 89/104 e delle corrispondenti disposizioni del regolamento n. 40/94.

55.      Il caso in esame riguarda ciò che chiamerò «responsabilità indiretta». Tale espressione designa l’eventuale responsabilità di un prestatore di servizi della società dell’informazione per violazioni commesse dagli utenti del servizio (29). Come giustamente osservato dalla High Court, questo tipo di responsabilità per le violazioni di diritti di marchio commesse da terzi non è stata armonizzata nell’ambito del diritto dei marchi dell’Unione europea, bensì costituisce una questione di diritto nazionale. Non esistono disposizioni di diritto dell’Unione che impongano alle imprese di impedire ai terzi di commettere violazioni dei diritti di marchio o di astenersi da atti o prassi che possano contribuire a tali violazioni o agevolarle (30). Tuttavia, gli artt. 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31 prevedono un’armonizzazione parziale di questo tipo di responsabilità o, più precisamente, delle condizioni di un’assenza di responsabilità. Inoltre, il diritto dell’Unione richiede che possano essere adottati provvedimenti inibitori nei confronti degli intermediari i cui servizi vengano utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale.

56.      Ne consegue che questioni come quelle relative al concorso nella violazione di diritti di marchio o alla violazione di tali diritti risultante da fatto altrui, esaminate dalla dottrina statunitense, rimangono al di fuori dell’ambito del presente procedimento pregiudiziale. Lo stesso vale per analoghi istituti di altri ordinamenti giuridici quali la responsabilità congiunta per atto illecito (joint tortfeasorship) di common law o la c.d. responsabilità indiretta (Störerhaftung) di diritto tedesco (31).

57.      Nella dottrina e nella giurisprudenza statunitensi la situazione dei mercati elettronici viene spesso analizzata ricorrendo ad un’analogia con i principi che disciplinano i mercati delle pulci o i mercatini autogestiti dell’usato (32). Sebbene tali analogie possano avere una portata indicativa, nel contesto del diritto dell’Unione il metodo più efficace consiste nell’interpretazione utile delle disposizioni pertinenti e nell’applicazione di principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

58.      Può essere importante osservare che nelle cause nazionali concernenti la responsabilità della eBay o di mercati elettronici dello stesso tipo non si è avuta, per quanto mi consta, alcuna decisione in cui il gestore del mercato sia stato dichiarato responsabile in via principale della violazione di diritti di marchio detenuti da un terzo. Secondo alcuni commentatori, sembrerebbe esservi una giurisprudenza relativa alla responsabilità indiretta, elaborata da alcuni giudici francesi e statunitensi, che riconosce la responsabilità del mercato online, mentre altri giudici francesi e statunitensi, nonché belgi e tedeschi, hanno negato l’esistenza di tale responsabilità. Tuttavia, nella giurisprudenza tedesca i mercati elettronici sono stati oggetto di provvedimenti inibitori diretti a prevenire ulteriori violazioni dei diritti di marchio da parte di terzi sulla base della teoria detta della «Störerhaftung», anche se i giudici hanno rifiutato di imputare ai mercati una responsabilità civile (33).

C –    La tutela dell’identità del marchio e le parole chiave nei servizi di posizionamento su Internet

59.      La High Court riassume i problemi sottesi alle questioni preliminari in quattro gruppi: le questioni relative alla natura di prodotti costituenti violazione dei prodotti venduti dalle parti convenute; l’esistenza di una responsabilità congiunta (34) o di una responsabilità in via principale della eBay; l’esistenza di un mezzo di difesa per la eBay ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2000/31 e l’esistenza di un ricorso che la L’Oréal potrebbe proporre in forza dell’art. 11 della direttiva 2004/48. I prodotti costituenti violazione possono essere suddivisi in quattro gruppi: i prodotti contraffatti, i prodotti che non provengono dal SEE, i tester e i flaconi per ricariche e i prodotti disimballati.

60.      La domanda di pronuncia pregiudiziale si fonda sul presupposto che la disposizione di diritto del’Unione sui marchi applicabile sia l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. Tale disposizione disciplina la c.d. protezione dell’identità o dell’uso di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato. Secondo la giurisprudenza della Corte, detta protezione presuppone un’identità assoluta tra il segno e il marchio, identità che è esclusa anche nel caso in cui vi siano tra essi differenze minime o insignificanti (35).

61.      Una parola chiave di un motore di ricerca è costituita da una serie di segni, nella maggior parte dei casi lettere. Una parola chiave spesso non implica il riconoscimento di lettere maiuscole e minuscole, ma è anche possibile inserire una specificazione in tal senso. Dalle questioni pregiudiziali emerge che alcuni dei marchi interessati sono marchi denominativi lievemente stilizzati e che uno di essi è un marchio figurativo comprendente le parole AMOR AMOR in lettere maiuscole manoscritte (36).

62.      L’applicazione rigorosa della sentenza LTJ Diffusion escluderebbe l’identità tra il marchio e la parola chiave e comporterebbe l’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, relativo ai marchi simili. Ciò implicherebbe l’applicazione del criterio relativo all’esistenza di un «rischio di confusione» previsto da detta disposizione. In quanto tale, il rischio di confusione risulta evidente tra, da un lato, i marchi denominativi lievemente stilizzati o i marchi figurativi dominati dall’elemento verbale e, dall’altro, le parole chiave. Pertanto, non considero né utile né necessario estendere la discussione al di là delle questioni relative alla tutela dell’identità.

63.      Dal testo della direttiva 89/104 e dalla giurisprudenza pertinente emergono sei condizioni. Il titolare di un marchio registrato può far valere l’art. 5, n. 1, lett. a), della detta direttiva solo se sono soddisfatte le seguenti condizioni (37): 1) deve sussistere un uso del segno da parte di un terzo; 2) l’uso deve avere luogo nel commercio (38); 3) l’uso deve avere luogo senza il consenso del titolare del marchio; 4) il segno deve essere identico al marchio; 5) l’uso deve riguardare prodotti o servizi identici a quelli per i quali è stato registrato il marchio e 6) deve pregiudicare o essere atto a pregiudicare una o più funzioni del marchio (39).

V –    Tester e flaconi per ricariche

64.      Esaminerò ora le questioni pregiudiziali.

65.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se i tester di profumi e cosmetici e i flaconi per ricariche, non destinati alla vendita al pubblico e forniti gratuitamente ai distributori autorizzati dal titolare del marchio, siano prodotti «immessi in commercio» ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 e dell’art. 13, n. 1, del regolamento n. 40/94.

66.      La Corte ha recentemente esaminato una questione analoga nella sentenza Coty Prestige Lancaster Group (40), in cui ha dichiarato che in circostanze nelle quali «la consegna di “tester di profumo” a intermediari contrattualmente vincolati al titolare del marchio affinché i clienti di questi ultimi ne possano provare il contenuto avviene senza trasferimento di proprietà e con divieto di vendita, il titolare del marchio può in qualsiasi momento ritirare tale merce e la presentazione di quest’ultima si distingue chiaramente da quella dei flaconi di profumo normalmente messi a disposizione di detti intermediari da parte del titolare del marchio, il fatto che detti tester siano flaconi di profumo recanti le menzioni “campione” e “vendita vietata” osta a che sia implicitamente riconosciuto il consenso del titolare del marchio alla loro immissione in commercio, in assenza di ogni contrario elemento probatorio, la cui valutazione compete al giudice del rinvio» (41).

67.      La High Court indica, nella sua prima questione pregiudiziale, che i tester e flaconi per ricariche non sono destinati alla vendita e sono spesso contrassegnati con la dicitura «non in vendita» o «non vendibile separatamente». Tali prodotti vengono forniti gratuitamente ai distributori autorizzati dal titolare del marchio. A mio avviso la formulazione della questione pregiudiziale lascia intendere, praticamente, che sussistano gli elementi che la Corte ha considerato decisivi nella sentenza Coty Prestige Lancaster Group per escludere il consenso implicito del titolare del marchio all’immissione in commercio dei tester e dei flaconi per ricariche. Si può quindi affermare che, in tali circostanze, i prodotti non vengono immessi in commercio.

VI – Gli effetti della rimozione dell’imballaggio dei prodotti cosmetici contrassegnati da un marchio

68.      La questione della vendita di prodotti di marca senza imballaggio originale nel contesto dell’art. 7 della direttiva 89/104, per quanto mi consta, non è ancora stata direttamente esaminata dalla Corte. Tuttavia, ritengo che le risposte alla seconda, alla terza e alla quarta questione concernenti tali problemi possano essere desunte dalla giurisprudenza esistente.

69.      Nella sentenza Boehringer Ingelheim la Corte ha interpretato l’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico quando l’importatore parallelo abbia realizzato una nuova confezione del prodotto, riapponendovi il marchio, oppure abbia applicato un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto, salvo che ricorrano cinque requisiti, tra i quali vi è quello secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare. Infatti, un prodotto farmaceutico riconfezionato potrebbe presentarsi in modo inadeguato e pertanto nuocere alla reputazione del marchio, segnatamente nel caso in cui la confezione o l’etichetta, pur non essendo difettose, né di cattiva qualità, né grossolane, siano tali da compromettere il valore del marchio, danneggiando l’immagine di serietà e di qualità collegata a un tale prodotto, nonché la fiducia che quest’ultimo può ispirare al pubblico interessato (42).

70.      Quando lo stato dei prodotti recanti il marchio viene modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio, il titolare del marchio ha un motivo legittimo per opporsi all’ulteriore commercializzazione del prodotto ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104. La valutazione se lo stato originario del prodotto sia stato alterato è incentrata, di regola, sullo stato del prodotto contenuto nella confezione (43).

71.      Tuttavia, a mio parere, non si può escludere che, nel caso di prodotti quali i cosmetici di lusso, l’imballaggio esterno del prodotto possa talora essere considerato quale parte dello stato del prodotto, in ragione del suo specifico design che comprende l’uso del marchio. In tal caso, il titolare del marchio può opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti disimballati (44).

72.      Va aggiunto che non condivido l’analisi della Commissione secondo cui la rimozione, senza il consenso del titolare del marchio, della scatola o di altri imballaggi esterni di prodotti quali profumi e cosmetici costituirebbe sempre, per il titolare del marchio, un motivo legittimo per opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104.

73.      In primo luogo, si deve ricordare che, a norma dell’art. 7 della direttiva 89/104, l’esaurimento è la regola principale. Di conseguenza, la possibilità per il titolare del marchio di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei suoi prodotti dopo che egli abbia già realizzato il valore economico inerente al marchio in relazione a tali prodotti deve essere interpretata restrittivamente.

74.      In secondo luogo, non si può escludere che l’imballaggio esterno, anche dei prodotti cosmetici, sia tale che la sua rimozione non pregiudichi né le funzioni del marchio consistenti nell’indicare l’origine e la qualità dei prodotti, né la sua reputazione. Tale ipotesi può ricorrere, ad esempio, nel caso dei prodotti cosmetici meno costosi.

75.      Pertanto, l’esistenza di motivi legittimi perché il titolare del marchio si opponga alla successiva rimozione dell’imballaggio deve essere valutata caso per caso. A tal riguardo, la High Court ha prospettato due casi, vale a dire quello dei prodotti disimballati, privi delle informazioni richieste dalla direttiva 76/768 sui prodotti cosmetici, e quello in cui l’assenza di tali informazioni costituisca un reato nello Stato membro in cui i prodotti vengono offerti in vendita o venduti (45).

76.      A mio parere, il requisito della conformità alla direttiva sui prodotti cosmetici, o, di fatto, a qualsiasi altra misura dell’Unione europea in materia di sicurezza dei prodotti o di tutela dei consumatori, è inerente alla tutela della reputazione di un marchio. Il danno alla reputazione di un prodotto cosmetico può essere causato, ad esempio, da gravi reazioni allergiche sviluppate da un gruppo di consumatori in caso di assenza dell’elenco degli ingredienti. Tuttavia, la questione se la vendita di prodotti cosmetici disimballati integri o meno un reato ai sensi del diritto nazionale è irrilevante sotto questo aspetto. Ciò che può danneggiare la reputazione del marchio è l’assenza delle pertinenti informazioni ai consumatori richieste dalle norme europee armonizzate, e non le conseguenze previste in tali circostanze per gli operatori dalla legislazione nazionale degli Stati membri.

77.      Pertanto, anche se il diritto dei marchi non tutela di per sé gli obiettivi della direttiva 76/768 in quanto tali, l’ulteriore commercializzazione di prodotti tutelati da un marchio non conformi a detta direttiva può, in quanto tale, come giustamente osservato dall’avvocato generale Stix‑Hackl (46), danneggiare gravemente la reputazione del marchio e quindi costituire per il titolare un valido motivo di opposizione.

78.      Infine, nel contesto della quarta questione, la High Court chiede se l’effetto dell’ulteriore commercializzazione di cosmetici disimballati, che reca o è atta a recare pregiudizio all’immagine dei prodotti e, pertanto, alla reputazione del marchio, possa essere presunto oppure debba essere dimostrato dal titolare del marchio.

79.      Ritengo che per risolvere tale questione occorra formulare un’osservazione incidentale. Non è necessario ricordare che, poiché la tutela dei diritti di marchio riguarda solo l’uso di segni nel commercio, gli atti compiuti da privati che vendono o acquistano prodotti tutelati da un marchio rimangono al di fuori dall’ambito di applicazione del diritto dei marchi (47).

80.      L’imballaggio originale può rivestire un’importanza fondamentale per la tutela delle funzioni di indicazione d’origine e di qualità di un marchio utilizzato per prodotti cosmetici. Ricordo che, nel contesto del’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 si tratta della tutela dell’identità o della tutela «assoluta» del titolare contro l’uso non autorizzato dello stesso segno per prodotti identici (senza che occorra dimostrare il rischio di confusione tra i prodotti) (48). Anche se, di regola, spetta al titolare del marchio dimostrare l’esistenza degli elementi che si asserisce essere costitutivi di una violazione dei diritti di marchio da parte di un terzo, ritengo che, nel caso dell’uso del marchio identico per prodotti identici senza il consenso del titolare, incomba all’utilizzatore dimostrare la legittimità del proprio uso del segno, compresa l’innocuità dell’uso per la reputazione del marchio.

81.      Pertanto, sono del parere che si possa presumere che l’ulteriore commercializzazione rechi o sia atta a recare pregiudizio all’immagine dei prodotti e quindi alla reputazione del marchio in tutti i casi in cui l’offerta o le operazioni di vendita relative a prodotti cosmetici privati del loro imballaggio originale abbiano luogo nel commercio secondo la definizione della giurisprudenza della Corte. Ne consegue che il titolare del marchio non è tenuto a dimostrare tale effetto, ma che grava sul venditore l’onere di dimostrare il contrario (49).

82.      Mi riesce difficile immaginare che la vendita su un mercato online di prodotti cosmetici in quantità superiori a uno o due articoli non sia effettuata allo scopo di conseguire un vantaggio economico e nel contesto di un’attività commerciale, ancorché su scala ridotta.

VII – Servizio a pagamento di posizionamento su Internet e gestione di un mercato online

A –    Introduzione

83.      A differenza delle prime quattro questioni, che riguardano «pure» questioni di diritto dei marchi, le questioni dalla quinta alla decima richiedono un’estensione dell’analisi del marchio al fine di tenere conto di vari aspetti dei servizi della società dell’informazione.

84.      Sembra opportuno esaminare congiuntamente la quinta, la sesta e l’ottava questione. Esse riguardano tutte l’acquisto, presso un prestatore di servizi di posizionamento a pagamento su Internet, di marchi di terzi in quanto parole chiave da parte del gestore di un mercato online, nonché la questione se tale operazione equivalga ad un uso del segno.

85.      La High Court chiede, sostanzialmente, se taluni aspetti del modello commerciale della eBay comportino o implichino che quest’ultima possa essere considerata responsabile in via principale di una violazione dei diritti di marchio in relazione a prodotti commercializzati nel suo sistema, qualora l’uso di un marchio appartenente ad un terzo nel contesto delle corrispondenti transazioni presupponga il consenso del titolare del marchio.

86.      In tale contesto può essere utile ricordare la sentenza Google France e Google. In detta sentenza la Corte ha dichiarato che il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno identico ad un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci pubblicitari non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 (50).

87.      Tuttavia, nella medesima sentenza, la Corte ha anche dichiarato che l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità ‑ a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo, oppure da un terzo (51).

88.      Al pari della Google, la eBay è un prestatore di servizi della società dell’informazione. A differenza della Google, essa non fornisce un servizio di posizionamento su Internet a pagamento, bensì un mercato online. Il funzionamento di quest’ultimo è basato su annunci che gli utenti del sistema hanno caricato sullo stesso al fine di vendere prodotti ad altri utenti. Il sistema della eBay include anche un motore di ricerca e le ricerche vengono orientate esclusivamente verso annunci memorizzati sul suo sistema (52). La eBay non interviene direttamente nelle transazioni, ma ne trae un vantaggio economico.

89.      Al pari degli altri inserzionisti che utilizzano sistemi pubblicitari con parole chiave offerti da prestatori di servizi di posizionamento su Internet (quale AdWords di Google), la eBay seleziona parole chiave che portano ad annunci e a link sponsorizzati nel suo sistema. Tali parole chiave possono includere segni identici a marchi di terzi. Lo scopo di tali annunci e link sponsorizzati è, ovviamente, pubblicizzare i servizi forniti dalla eBay e più precisamente il suo mercato online, creando nella mente dei consumatori l’associazione che tali prodotti di marca possono essere acquistati attraverso detto mercato. Tuttavia, a differenza degli inserzionisti cui ci si riferiva nella causa Google France e Google, non è la stessa eBay ad offrire in vendita i prodotti.

90.      Per rispondere alla quinta, alla sesta e all’ottava questione sollevate dal giudice nazionale occorre analizzare le sei condizioni descritte supra, al paragrafo 63.

B –    Le condizioni per far valere i diritti conferiti da un marchio nel caso di un servizio a pagamento di posizionamento su Internet


 Le condizioni elencate all’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104

91.      Per quanto riguarda le prime cinque delle sei condizioni menzionate supra, al paragrafo 63, la situazione è la seguente. Per quanto riguarda la prima condizione, tutte le parti, ad eccezione della eBay, sembrano concordare sul fatto che la visualizzazione nei link sponsorizzati dei segni pertinenti identici a marchi, acquistati come parole chiave, equivale ad un uso del segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. Tenuto conto della sentenza Google France e Google, ritengo che non vi sia alcun dubbio sul fatto che la eBay utilizza segni identici a marchi allorché seleziona ed acquista tali marchi in quanto parole chiave presso un prestatore di servizi a pagamento di posizionamento su Internet affinché vengano visualizzati nei link sponsorizzati quando un utente di Internet digita il segno nell’apposito spazio sul sito web del motore di ricerca.

92.      Quanto alla seconda, alla terza e alla quarta condizione (53), mi sembra che esse non formino oggetto di controversia nel presente procedimento pregiudiziale.

93.      Occorre svolgere alcune osservazioni supplementari in merito alla quinta condizione, secondo cui l’uso deve riguardare prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato.

94.      Anzitutto, si deve osservare che la eBay utilizza parole chiave che conducono a suoi link sponsorizzati in relazione al suo mercato online. In altre parole, l’obiettivo della eBay è fare pubblicità ai propri servizi. È innegabile che tale servizio non sia identico ai prodotti tutelati dai marchi della L’Oréal. La questione se ciò costituisca l’unico aspetto pertinente in relazione al diritto dei marchi, in cui vengono utilizzati i segni selezionati come parole chiave, è oggetto di controversia.

95.      A parere della L’Oréal, attraverso la selezione come parole chiave di segni che sono identici ai marchi, la eBay fa essa stessa pubblicità a prodotti venduti sul suo sito. Dal fatto che la selezione del link sponsorizzato conduca l’utente direttamente a pubblicità o ad offerte di vendita relative a prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato risulta che il gestore del mercato online utilizza il segno «per» dei prodotti. I governi francese, polacco e portoghese sostengono tesi più o meno simili.

96.      La eBay sostiene tuttavia che non vi sia alcun motivo per applicare la tutela offerta dall’art. 5 della direttiva 89/104, dato che sussiste l’esaurimento del diritto ai sensi dell’art. 7 della medesima direttiva. Essa rileva a tal riguardo che, nel commercio tanto elettronico quanto tradizionale, gli intermediari utilizzano marchi nelle pubblicità per informare il pubblico del fatto che essi assicurano la distribuzione di prodotti contrassegnati dal marchio. Non vi è alcun motivo per vietare tale prassi, tanto più che gli intermediari su Internet dispongono di ancor meno meccanismi di controllo rispetto agli intermediari che operano nell’ambito del commercio non elettronico. Sarebbe per loro impossibile, sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello pratico, applicare meccanismi di controllo volti a garantire che ogni oggetto offerto in vendita sia incontestabile.

97.      Il governo del Regno Unito sostiene che l’uso come parola chiave, da parte del gestore di un motore di ricerca di un segno identico ad un marchio registrato non costituisce necessariamente un uso «per prodotti o servizi». Infatti, se il segno è molto distante dalle offerte di fornire prodotti in concreto, è improbabile che il consumatore medio stabilisca un nesso tra l’uso del segno, da parte del gestore del mercato online, in un link sponsorizzato e le offerte successive di fornire prodotti recanti tale segno. In ogni caso, l’uso non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 quando il consumatore medio percepisce l’uso del segno fatto dal gestore del mercato come un semplice link verso offerte, provenienti da terzi non legati a detto gestore, di fornire prodotti che non provengono dal gestore del mercato.

98.      Anche la Commissione sostiene che non sussista un «uso» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 relativamente a prodotti offerti in vendita da terzi sul sito Internet del gestore del mercato online, anche se il gestore del mercato «utilizza» il segno ai sensi di tale disposizione laddove lo abbia acquistato in quanto parola chiave che conduce ai suoi link sponsorizzati.

99.      Ritengo che la quinta condizione si riferisca all’uso del segno ai fini dell’identificazione di prodotti o servizi o della distinzione (54) tra prodotti e servizi (aventi origini commerciali diverse). Come indicato dalla High Court, l’uso di un segno per prodotti o servizi significa un uso allo scopo di distinguere i prodotti e i servizi in questione, vale a dire come marchio in quanto tale.

100. Ciò significa che un marchio viene utilizzato in relazione a prodotti sia nel caso in cui venga utilizzato dal titolare del marchio per distinguere i suoi prodotti da quelli di un terzo, sia qualora venga utilizzato da un terzo per distinguere i suoi prodotti da quelli del titolare del marchio. Inoltre, un terzo può utilizzare il marchio per distinguere i prodotti del titolare dal marchio da altri prodotti che possono essere o meno suoi prodotti. Se tale analisi è corretta, anche un soggetto che agisca come intermediario o come gestore di un mercato online, utilizza il segno «per prodotti» se utilizza un segno identico ad un marchio al fine di distinguere i prodotti che sono disponibili con l’uso dei suoi servizi da quelli che non lo sono.

101. Ricordo che nella sentenza Google France e Google (55) la Corte ha concluso che, nella maggior parte dei casi, inserendo il nome di un marchio quale parola da ricercare, l’utente di Internet si prefigge di trovare informazioni od offerte sui prodotti o sui servizi contrassegnati da tale marchio. Pertanto, quando link promozionali verso siti che offrono prodotti o servizi di concorrenti del titolare di detto marchio sono mostrati, sopra o a lato dei risultati naturali della ricerca, l’utente di Internet può percepire che detti link promozionali offrano un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio. In tale situazione sussiste un uso di detto segno per i prodotti o i servizi di detto concorrente.

102. A mio parere, tale analisi è applicabile anche in situazioni nelle quali i link sponsorizzati pertinenti non sono quelli di concorrenti diretti del titolare del marchio che offrono prodotti alternativi, bensì quelli di mercati elettronici che offrono per gli stessi prodotti oggetto del marchio una fonte alternativa rispetto alla rete di distribuzione del titolare.

103. Pertanto, sebbene condivida il parere del governo del Regno Unito e della Commissione secondo cui l’uso di un marchio da parte di un mercato online è intrinsecamente diverso dall’uso che ne fa un venditore di prodotti, non posso concordare sul fatto che il gestore di un mercato non utilizzi il marchio in relazione a prodotti in commercio sul mercato allorché utilizza un segno identico ad un marchio nella propria pubblicità.

104. Tale conclusione non è contraddetta dal fatto che possono esistere situazioni nelle quali non è concretamente disponibile sul mercato alcun prodotto oggetto del marchio, nonostante la pubblicità fatta dal gestore del mercato attraverso l’uso di tale marchio.

 Le condizioni elaborate dalla giurisprudenza: un uso idoneo ad avere effetti lesivi per determinate funzioni del marchio

105. In base all’analisi sopra svolta, risulta necessario esaminare se l’uso, da parte della eBay, quali parole chiave di segni identici a marchi in un servizio a pagamento di posizionamento su Internet pregiudichi o possa pregiudicare alcune delle funzioni di tali marchi. Si tratta della sesta condizione menzionata supra, al paragrafo 63.

106. Nella sentenza Google France e Google la Corte ha ribadito che la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato al consumatore o all’utente finale, consentendogli di distinguere i prodotti o servizi da quelli di diversa provenienza (56).

107. La Corte ha aggiunto che sussiste pregiudizio per la funzione di indicazione di origine quando l’annuncio del terzo, visualizzato a seguito della selezione di una parola identica ad un marchio, non consente o consente soltanto difficilmente all’«utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento» di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o, al contrario, da un terzo (57).

108. Ritengo che «l’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento» sia in grado di comprendere la differenza tra un mercato online, un venditore diretto di prodotti o servizi e la fonte commerciale da cui provengono i prodotti o i servizi. Ed è così in quanto ogni adulto che vive in un’economia di mercato sa che esistono varie attività economiche intermedie, come quelle dei distributori, degli intermediari, delle case d’asta, dei mercati delle pulci e degli agenti immobiliari. Pertanto, un errore circa l’origine dei prodotti o dei servizi non può essere presunto solo perché un link conduce all’annuncio del gestore di un mercato online, se l’annuncio stesso non è fuorviante circa la natura del gestore.

109. La questione se la natura delle attività di taluni mercati elettronici quale eBay sia in generale talmente nota da rendere improbabile un pregiudizio alla funzione di origine, anche qualora la natura del gestore del mercato non venga spiegata nell’annuncio, è una questione di fatto il cui esame compete al giudice nazionale.

110. Inoltre, nel caso dei prodotti disimballati o dei prodotti non provenienti dal SEE, la funzione di origine non può essere compromessa. Si tratta di prodotti L’Oréal autentici, a prescindere dalla questione se la loro offerta in vendita leda o meno i diritti di marchio della L’Oréal. Per quanto riguarda i prodotti contraffatti, la valutazione è diversa.

111. La funzione di origine viene compromessa quando i prodotti commercializzati sul mercato sono contraffatti. Tale pregiudizio, tuttavia, non deriva dall’uso del segno come parola chiave, da parte del gestore del mercato, nell’ambito del servizio di posizionamento su Internet in quanto tale. Un pregiudizio sussisterebbe anche se il mercato venisse visualizzato unicamente negli elenchi naturali del motore di ricerca e non anche nei link sponsorizzati, o se il gestore del mercato non utilizzasse il marchio nella sua pubblicità. La causa del pregiudizio arrecato alla funzione di origine consiste nell’annuncio visualizzato sulla pagina web del gestore del mercato online. Come spiegherò più avanti, l’uso di segni identici a marchi in tali annunci non costituisce un uso da parte del gestore del mercato in relazione ai prodotti in questione, bensì un uso da parte degli utenti del mercato.

112. Quanto alla questione del pregiudizio alla funzione pubblicitaria, ritengo, sulla base di un argomento analogo a quello che nella sentenza Google France e Google ha indotto ad escludere tale pregiudizio in relazione ai link sponsorizzati dei sistemi di posizionamento su Internet (58), che tale effetto sia escluso nel contesto dei mercati elettronici che utilizzano la pubblicità mediante parole chiave.

113. Come ho già rilevato, la commercializzazione di prodotti contraffati con il marchio di cui la L’Oréal è titolare deve pregiudicare la funzione di origine. Quanto alle funzioni di qualità e di investimento, mi sembra ovvio che gli annunci individuali degli utenti di eBay, che contengono marchi di terzi e vengono visualizzati sul sito Internet della eBay, possano pregiudicare tali funzioni. Il commercio di prodotti contraffatti e il commercio di prodotti privati dell’imballaggio possono compromettere la reputazione di marchi molto noti che contraddistinguono prodotti cosmetici di lusso e, pertanto, gli investimenti realizzati dal titolare del marchio per creare l’immagine del suo marchio. Di conseguenza, risulta compromessa anche la garanzia implicita di qualità intrinseca al marchio e da questo comunicata.

114. Tuttavia, gli artt. 6 e 7 della direttiva 89/104 consentono un uso relativamente ampio dei marchi senza il consenso del titolare, ivi compresa la loro menzione nella pubblicità. Tale questione è stata recentemente oggetto di chiarimenti nella sentenza Portakabin, in relazione alle vendite di prodotti di seconda mano (59).

115. Se una persona può utilizzare il marchio di un terzo o farvi riferimento, questi stessi atti, compiuti da un operatore che gestisce un mercato per tali utenti, non possono essere illeciti (60). A mio parere è indubbio che, ad esempio, un centro commerciale possa utilizzare nel suo marketing marchi di prodotti o servizi offerti da imprese che operano nei suoi locali.

116. Se tale uso fosse considerato pertinente in relazione ad alcune delle funzioni del marchio, esso dovrebbe in ogni caso essere considerato autorizzato in quanto designa il tipo di prodotto ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, o in quanto necessario ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. c), per la gestione di un servizio di mercato online in cui questo tipo di prodotti viene commercializzato, senza che il gestore sia tenuto a verificare, per ognuno degli oggetti, che il diritto di marchio si sia esaurito ai sensi dell’art. 7. Di conseguenza, siffatto uso non può essere vietato dal titolare del marchio.

117. In linea di principio, ritengo che gli eventuali problemi relativi al comportamento di singoli attori del mercato non possano essere imputati al gestore dello stesso, a meno che sussistano motivi che danno luogo ad una responsabilità indiretta ai sensi del diritto nazionale. Una società che gestisce un centro commerciale non può essere responsabile del fatto che una drogheria vende mele avariate nei suoi locali. Né tale società dovrebbe essere considerata automaticamente responsabile di una violazione dei diritti di marchio commessa nel centro commerciale qualora, ad esempio, un membro di una rete selettiva di distribuzione continuasse a vendere prodotti di marca anche dopo che il titolare del marchio abbia risolto il contratto di distribuzione con effetto immediato. Analogamente, il gestore di un mercato può presumere che gli attori sul mercato che utilizzano i suoi servizi agiscano legalmente e si conformino ai termini e alle condizioni contrattuali che hanno sottoscritto per quanto riguarda l’utilizzo del mercato, e ciò fino a quando detto gestore sia specificamente informato del contrario.

118. Di conseguenza, se la qualità di gestore di un mercato è comunicata in maniera sufficientemente chiara nell’annuncio che compare con i risultati di un motore di ricerca su Internet, la circostanza che taluni utenti del mercato possano violare un diritto di marchio non è atta di per sé a compromettere le funzioni di qualità, di comunicazione e di investimento del marchio.

C –    Le condizioni che consentono di invocare i diritti conferiti da un marchio sul sito Internet di un gestore del mercato online

119. A fini di chiarezza devo comunque aggiungere che se l’uso contestato dal titolare del marchio consiste nel far comparire il segno sul sito Internet del gestore stesso di un mercato online, anziché in un link sponsorizzato di un motore di ricerca, si tratta dell’uso di un marchio per prodotti non da parte del gestore del mercato, bensì da parte degli utenti di questo. L’attività del gestore consiste nel memorizzare e visualizzare annunci che gli utenti caricano sul suo sistema e nel gestire un sistema inteso a facilitare la conclusione di transazioni. Detto gestore non fa uso del marchio più di quanto lo faccia un giornale che pubblica annunci classificati che menzionano marchi, in cui l’identità del venditore non viene divulgata, ma deve essere richiesta al giornale. Di conseguenza, anche se l’annuncio relativo a prodotti tutelati da diritti di marchio, pubblicato da utenti di un mercato online, può compromettere la funzione di origine, di qualità o di investimento del marchio, tali effetti non possono essere imputati al gestore del mercato, a meno che siano applicabili norme e principi di diritto nazionale in materia di responsabilità indiretta per violazione di diritti di marchio.

120. Si deve aggiungere che l’attività della eBay, che consiste in funzioni di ricerca e di visualizzazione applicabili agli annunci, è tecnicamente analoga a quelle dei motori di ricerca su Internet quale Google (senza l’«accessorio» del servizio di posizionamento a pagamento), anche se il modello commerciale è diverso. Nei server della eBay le ricerche hanno ad oggetto gli annunci caricati dagli utenti del mercato, mentre nel caso dei motori di ricerca su Internet esse hanno ad oggetto le pagine Internet che questi ultimi hanno memorizzato sui propri server. Di conseguenza, per quanto attiene a tali funzioni, l’uso e la visualizzazione di marchi di terzi non costituiscono un uso di un segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 per i motivi esposti nella sentenza Google France e Google. Anche il gestore del mercato autorizza i suoi clienti ad utilizzare segni identici a marchi senza utilizzare egli stesso tali segni (61).

VIII – I prodotti non immessi in commercio nel SEE

121. La settima questione riguarda i prodotti pubblicizzati ed offerti in vendita sul sito Internet menzionato nella sesta questione che non siano stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso. Il giudice del rinvio chiede se una pubblicità o un’offerta in vendita destinata a consumatori situati nel territorio coperto dal marchio determini l’applicabilità delle disposizioni pertinenti.

122. La L’Oréal, i governi del Regno Unito, polacco e portoghese, nonché la Commissione, hanno tutti sostenuto che, se i prodotti offerti in vendita sul mercato online non sono ancora stati immessi in commercio all’interno del SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, il fatto di mostrare che la pubblicità è destinata a consumatori situati sul territorio coperto dal marchio è comunque sufficiente a rendere applicabile il diritto esclusivo conferito dal marchio nazionale o comunitario.

123. Secondo la eBay, può sussistere uso di un marchio nell’Unione europea solo se e dal momento in cui i prodotti in questione vengono immessi in commercio nella stessa. Pertanto, non è sufficiente che la pubblicità o l’offerta in vendita sia destinata a consumatori situati nel territorio coperto dal marchio.

124. Ritengo che sia corretta la risposta suggerita dalle altre parti, diverse dalla eBay.

125. Anzitutto, alla luce della teoria degli effetti, applicata in particolare nel settore del diritto europeo della concorrenza (62), si può affermare che un comportamento osservato all’esterno del territorio dell’Unione, ma che produce direttamente effetti giuridicamente pertinenti con riguardo a materie oggetto della normativa dell’Unione, non può sfuggire all’applicazione delle regole dell’Unione semplicemente perché gli atti che producono tali effetti vengono compiuti al di fuori del territorio dell’Unione.

126. Nel contesto della fornitura di servizi Internet è necessario modulare la teoria degli effetti. In caso contrario, poiché le comunicazioni su Internet sono in via di principio accessibili ovunque, il commercio elettronico e la fornitura di servizi sarebbero soggetti a molteplici legislazioni e a diritti di proprietà intellettuale aventi validità variabile sul piano territoriale, il che esporrebbe tali attività a rischi giuridici ingestibili e conferirebbe una protezione irragionevolmente estesa a diritti di proprietà intellettuale confliggenti.

127. D’altro canto, se non solo l’effetto oggettivo, ma anche l’intenzione soggettiva degli interessati è in grado di produrre tali effetti nell’Unione europea, va effettuata una valutazione diversa. In caso contrario, le attività che si rivolgono ai mercati dell’Unione europea potrebbero essere sottratte all’applicazione del diritto dell’Unione per quanto riguarda, ad esempio, la tutela dei consumatori, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, la concorrenza sleale e la sicurezza dei prodotti, semplicemente situando l’attività o il sito della società responsabile dell’attività in un paese terzo. Di conseguenza, la protezione dei diritti di marchio non può essere limitata alle situazioni in cui i prodotti in questione vengano immessi in commercio nell’Unione europea.

128. Come si può stabilire se un mercato online sia «diretto» agli acquirenti di determinati paesi, nella specie quelli situati nell’Unione europea? Si tratta di una questione complessa che la Corte sta attualmente esaminando in due cause pendenti (63).

129. Ritengo che ciò costituisca una questione di fatto la cui soluzione compete al giudice nazionale. A tal riguardo si possono trarre alcune indicazioni dalla raccomandazione comune dell’OMPI del 2001 relativa alla tutela dei marchi e degli altri diritti di proprietà intellettuale relativi a segni su Internet (64). Secondo l’art. 2 della raccomandazione comune, l’utilizzo di un segno su Internet è equiparato a quello effettuato in uno Stato membro ai fini delle disposizioni di detta raccomandazione solo se tale utilizzo ha un effetto commerciale in tale Stato membro alle condizioni indicate nell’art. 3. Secondo quest’ultimo articolo, per stabilire se l’uso di un segno su Internet abbia un effetto commerciale in uno Stato membro, l’autorità competente prende in considerazione tutti gli elementi pertinenti. Tali elementi possono includere, senza essere limitati ad essi, cinque criteri principali, suddivisi in elementi più specifici definiti nella disposizione.

IX – La deroga per un prestatore di servizi di hosting

130. La nona questione riguarda il problema degli eventuali limiti entro i quali la eBay può beneficiare della limitazione in materia di responsabilità prevista in relazione all’«hosting» dall’art. 14 della direttiva 2000/31 sul commercio elettronico. Tale questione, di per sé, è inedita per la Corte, ma le questioni relative alla responsabilità indiretta sono state affrontate e risolte, come ho già rilevato, da alcuni giudici degli Stati membri e di altre giurisdizioni (65). È necessario ricordare alcune caratteristiche generali della direttiva 2000/31, al fine di ricollocare l’interpretazione dell’art. 14 nel suo specifico contesto (66).

131. Secondo il suo art. 1, la direttiva 2000/31 mira a contribuire al buon funzionamento del mercato interno garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri e ravvicinando, nella misura necessaria alla realizzazione del suddetto obiettivo, talune norme nazionali sui servizi della società dell’informazione che interessano il mercato interno, lo stabilimento dei prestatori, le comunicazioni commerciali, i contratti per via elettronica, la responsabilità degli intermediari, i codici di condotta, la composizione extragiudiziaria delle controversie, i ricorsi giurisdizionali e la cooperazione tra Stati membri.

132. L’ambito di applicazione della direttiva 2000/31 è molto ampio. Le regole enunciate nella direttiva riguardano una moltitudine di settori del diritto, tuttavia detta direttiva disciplina solo alcune questioni specifiche inerenti a tali settori: l’armonizzazione da essa prevista è al contempo orizzontale e specifica (67).

 Applicabilità dell’esenzione al gestore di un mercato online

133. La prima parte della nona questione verte sull’applicabilità dell’esenzione al gestore di un mercato online.

134. Tenuto conto della definizione di cui all’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31, in combinato disposto con l’art. 1, punto 2, della direttiva 98/34 e con il diciottesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31, i servizi del gestore di un mercato online destinati a facilitare i rapporti tra venditori e acquirenti di qualsiasi tipo di prodotti, come quelli prestati dalla eBay, possono essere considerati servizi della società dell’informazione e, pertanto, possono rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/31.

135. Le disposizioni relative alla responsabilità dei prestatori di servizi intermedi sono contenute nella sezione 4 del capo II («Principi») della direttiva. Detta sezione è costituita da quattro articoli: gli artt. 12 [«Semplice trasporto» («mere conduit»)], 13 («Memorizzazione temporanea detta “caching”»), 14 («Hosting») e 15 («Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza»).

136. Si potrebbe opinare che le disposizioni in materia di responsabilità di cui agli artt. 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31 debbano essere considerate come eccezioni alla responsabilità e, pertanto, essere oggetto di un’interpretazione restrittiva. Ritengo che ciò non sia necessariamente vero, dato che in molti Stati membri la responsabilità di un prestatore di servizi nelle situazioni indicate in tali articoli sarebbe esclusa in ragione dell’assenza di colpa soggettiva. Di conseguenza, tali disposizioni vanno qualificate come riaffermazioni o chiarificazioni del diritto esistente, piuttosto che come eccezioni allo stesso (68).

137. Mentre la sentenza Google France and Google riguardava la responsabilità di un prestatore di servizi di posizionamento a pagamento su Internet, il caso in esame verte sulla responsabilità del gestore di un mercato online.

138. Nella sentenza Google France e Google la Corte ha interpretato l’art. 14 della direttiva 2000/31 alla luce del preambolo della direttiva. Secondo la Corte, dal quarantaduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 risulta che le deroghe alla responsabilità previste da tale direttiva riguardano esclusivamente i casi in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione sia di ordine «meramente tecnico, automatico e passivo», con la conseguenza che detto prestatore «non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate». Pertanto, per verificare se la responsabilità del prestatore del servizio di posizionamento possa essere limitata ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2000/31, occorre esaminare se il ruolo svolto da detto prestatore sia neutro, in quanto il suo comportamento è meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza (69).

139. Questa interpretazione mi crea qualche difficoltà.

140. Quando ha collegato alla «neutralità» i criteri della deroga in materia di responsabilità del prestatore di servizi di hosting, la Corte ha fatto riferimento al quarantaduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31. Condivido i dubbi espressi dalla eBay riguardo alla questione se tale ‘considerando’ attenga realmente all’hosting menzionato all’art. 14.

141. Sebbene il quarantaduesimo ‘considerando’ della direttiva parli di «deroghe» al plurale, sembrerebbe che esso si riferisca alle deroghe che figurano nel quarantatreesimo ‘considerando’. Le deroghe ivi menzionate riguardano espressamente il «semplice trasporto» e il «caching». Letto così, il quarantaduesimo ‘considerando’ diventa più chiaro: esso menziona il «processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione» (il corsivo è mio). Ritengo che ciò si riferisca precisamente al «semplice trasporto» e al «caching» menzionati agli artt. 12 e 13 della direttiva 2000/31.

142. Ritengo che sia semmai il quarantaseiesimo ‘considerando’ quello che riguarda i prestatori di servizi di hosting menzionati all’art. 14 della direttiva 2000/31, dato che tale ‘considerando’ fa espressamente riferimento alla memorizzazione di informazioni. Di conseguenza, la limitazione della responsabilità di un prestatore di servizi di hosting non dovrebbe essere assoggettata a condizioni né circoscritta facendo riferimento al quarantaduesimo ‘considerando’. Sembra che se, nel caso di specie, si confermasse che le condizioni enunciate nella sentenza Google France e Google in relazione alla responsabilità del prestatore di servizi di hosting sono applicabili anche ai mercati elettronici, elemento essenziale nello sviluppo dei servizi di commercio elettronico della società dell’informazione, gli obiettivi della direttiva 2000/31 sarebbero gravemente minacciati e rimessi in discussione.

143. Come giustamente osservato dalla Commissione in relazione all’uso, sul sito Internet del gestore di un mercato online, di un segno identico ad un marchio protetto, tale sito Internet presenta un certo contenuto, vale a dire il testo delle offerte fornite dai venditori, che sono i destinatari del servizio, e memorizzate su loro richiesta. Laddove gli annunci vengano caricati dagli utenti senza che il gestore del mercato online effettui ispezioni o controlli preliminari che implicano un’interazione tra persone fisiche che rappresentano il gestore e l’utente (70), siamo in presenza di una memorizzazione di informazioni fornite dal destinatario del servizio. In tali circostanze, il gestore di un mercato online non è effettivamente al corrente dell’attività o dell’informazione illecite. E neppure sarebbe al corrente di fatti o circostanze che rendano manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione. Di conseguenza, non sussisterebbero le condizioni della deroga in materia di responsabilità per l’hosting, quali definite all’art. 14 della direttiva 2000/31.

144. Tuttavia, per quanto riguarda un servizio di posizionamento a pagamento su Internet e l’uso di un segno identico ad un marchio protetto nei link sponsorizzati del gestore di un mercato online, l’informazione non viene memorizzata da tale gestore, che agisce in tal caso come un inserzionista, ma piuttosto dal prestatore del servizio di posizionamento su Internet che gestisce il motore di ricerca. Pertanto, le condizioni dell’hosting, quali definite all’art. 14 della direttiva 2000/31, non sono soddisfatte a tal riguardo con riferimento al gestore del mercato online.

145. La sentenza Google France e Google sembra suggerire che il prestatore di servizi di hosting menzionati all’art. 14 della direttiva 2000/31 dovrebbe rimanere neutrale riguardo ai dati costituenti l’oggetto di tali servizi. È stato sostenuto dinanzi alla Corte che la eBay non è neutrale, in quanto fornisce istruzioni ai suoi clienti ai fini della redazione degli annunci e controlla il contenuto degli stessi.

146. Come ho spiegato, la «neutralità» non sembra essere, in base alla direttiva, il criterio corretto per tale questione. Infatti, considererei surreale una situazione in cui allorché la eBay interviene e fornisce indicazioni circa il contenuto degli annunci sul suo sistema con vari mezzi tecnici, per tale ragione sarebbe privata della protezione prevista dall’art. 14 in relazione alla memorizzazione di informazioni caricate dagli utenti (71).

147. Inoltre, come osservazione generale in ordine alle tre eccezioni di cui agli artt. 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31, devo aggiungere un commento che può apparire scontato. Questi tre articoli sono intesi ad introdurre deroghe per determinati tipi di attività esercitate da un prestatore di servizi. A mio avviso, non si può ritenere che essi mirino ad esentare una categoria di prestatori di servizi in quanto tale.

148. Infatti, è difficile immaginare come la direttiva 2000/31 possa imporre tre tipi diversi di attività che sarebbero oggetto di deroghe solo se ognuna di esse fosse esercitata in un compartimento stagno. Se una società effettua la memorizzazione e un’altra fornisce servizi di hosting, sicuramente sono entrambe esentate. Orbene, tale separazione può risultare estremamente rara. Ritengo che se una società esercita entrambi i tipi di attività, cosa che non appare affatto eccezionale nel mondo reale, le deroghe debbano essere applicate anche a tale singola entità. Tale conclusione dovrebbe valere anche nel caso in cui una o più attività oggetto di deroga vengano abbinate alle attività di un fornitore di contenuti su Internet (72). Sarebbe impossibile riservare le deroghe a determinati tipi di imprese, specialmente in un settore caratterizzato da cambiamenti costanti e quasi imprevedibili. Già la proposta della Commissione relativa alla direttiva 2000/31 partiva da questa prospettiva orientata al futuro in un settore che è in costante evoluzione.

149. Ritengo che non sia possibile definire i parametri di un modello commerciale perfettamente adeguato alla deroga concernente i servizi di hosting. Peraltro, quand’anche ciò fosse possibile, una definizione formulata oggi probabilmente non durerebbe a lungo. Occorre piuttosto concentrarsi su un tipo di attività e indicare chiaramente che, mentre talune attività di un prestatore di servizi formano oggetto di deroghe in materia di responsabilità, poiché vengono ritenute necessarie per conseguire gli obiettivi della direttiva, tutte le altre non lo sono e rimangono nell’ambito dei «normali» regimi di responsabilità vigenti negli Stati membri, quali le responsabilità civile e penale.

150. Pertanto, se si ammette che determinate attività di un prestatore di servizi formano oggetto di deroga, ciò significa per converso che le attività che non rientrano in una deroga possono essere fonte di responsabilità ai sensi del diritto nazionale.

151. Così, per la eBay, l’hosting delle informazioni fornite da un cliente può certamente beneficiare di una deroga se sussistono le condizioni di cui all’art. 14 della direttiva 2000/31. Tuttavia, la deroga relativa ai servizi di hosting non esonera la eBay da ogni eventuale responsabilità per essa derivante nell’ambito di un servizio di posizionamento a pagamento su Internet.

 Oggetto delle attività rientranti nella deroga

152. Con il secondo capo della nona questione il giudice del rinvio chiede se, in una situazione nella quale le attività del gestore di un mercato online includono non solo attività menzionate all’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, ma anche attività che vanno al di là di queste ultime, il gestore continui a beneficiare della deroga relativa alle attività rientranti nell’ambito di tale disposizione (mentre detto gestore non beneficia di alcuna deroga per le attività che non vi rientrano), e quale sia la situazione delle attività «che vanno al di là», in particolare per quanto riguarda la concessione del risarcimento dei danni o di altre compensazioni economiche in relazione alle attività cui non è applicabile alcuna deroga.

153. Dall’argomento sopra esposto risulta che il gestore continua a beneficiare della deroga relativa alle attività rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31. Tuttavia, egli non fruisce della deroga per le attività che ne sono escluse. Tale situazione deve essere valutata sulla base delle disposizioni e dei principi pertinenti di diritto nazionale, in particolare per quanto riguarda la concessione del risarcimento dei danni o di altre compensazioni economiche per le attività cui non è applicabile alcuna deroga.

 Obblighi del gestore del mercato per quanto riguarda le future violazioni

154. Il terzo capo della nona questione riguarda le situazioni in cui siano già state compiute attività illecite sul mercato. Il giudice del rinvio chiede quali siano in tale situazione gli obblighi del gestore del mercato in relazione a future violazioni.

155. Occorre rammentare che l’art. 14, n. 1, lett. b), della direttiva 2000/31 rispecchia il principio della «notifica e rimozione». Ne consegue che il prestatore di servizi di hosting deve agire sollecitamente per rimuovere le informazioni illecite o disabilitare l’accesso alle medesime quando viene effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita o è al corrente di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione.

156. Nell’ambito dell’applicazione del principio della «notifica e rimozione» occorre tenere conto del quarantaseiesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31. Secondo tale ‘considerando’, la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime devono essere effettuate nel rispetto del principio della libertà di espressione e delle procedure all’uopo previste a livello nazionale. Inoltre, la direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di stabilire obblighi specifici da soddisfare sollecitamente prima della rimozione delle informazioni o della disabilitazione dell’accesso alle medesime.

157. Ricordo che gli annunci caricati dagli utenti di un mercato online sono comunicazioni commerciali e in quanto tali sono tutelate dal diritto fondamentale alla libertà di espressione e di informazione sancito dall’art. 11, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenze da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

158. Naturalmente, la libertà di espressione e di informazione non comporta l’autorizzazione a violare diritti di proprietà intellettuale. Questi ultimi sono parimenti tutelati dalla Carta, al suo art. 17, n. 2. Tuttavia, detta libertà implica che la tutela dei diritti dei titolari di marchi nel contesto del commercio elettronico non possa assumere forme atte a ledere i diritti di utenti innocenti di un mercato online o a privare il presunto autore di una violazione delle dovute possibilità di opposizione e di difesa (73). A mio parere, il quarantaseiesimo ‘considerando’ e l’art. 14, n. 3, della direttiva 2000/31 si riferiscono espressamente a procedure stabilite a livello nazionale e autorizzano gli Stati membri a definire specifiche condizioni che devono essere soddisfatte sollecitamente prima della rimozione delle informazioni o della disabilitazione dell’accesso alle medesime.

159. In Finlandia, ad esempio, la normativa nazionale che recepisce la direttiva 2000/31 prevede, per motivi costituzionali (74), che il fornitore di servizi di hosting è tenuto a rimuovere le informazioni memorizzate nel suo sistema soltanto se gli è stato ordinato di farlo da un provvedimento giurisdizionale, nell’ipotesi di una violazione di diritti di marchio, o previa notifica del titolare dei diritti, in caso di asserita violazione del diritto d’autore o di un diritto connesso. In quest’ultimo caso, l’utente può opporsi alla rimozione entro 14 giorni (75).

160. È stato affermato che l’effettiva conoscenza o l’essere effettivamente al corrente ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2000/31 trova origine nella comunicazione di un provvedimento giurisdizionale o di una notifica (76).

161. Per quanto concerne l’interpretazione dell’art. 14, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/31, ritengo che la condizione relativa al fatto di essere «effettivamente al corrente» presenti due aspetti.

162. In primo luogo, è evidente che il prestatore del servizio deve avere effettiva conoscenza del carattere illecito dell’attività o dell’informazione, e non un mero sospetto o una semplice supposizione. Mi sembra inoltre che, giuridicamente, il fatto di «essere al corrente» possa riguardare solo il passato e/o il presente, ma non il futuro. Di conseguenza, nel caso di un’asserita violazione di diritti di marchio commessa su un mercato online, l’oggetto della conoscenza deve essere un’attività conclusa o in corso, oppure un fatto o una circostanza esistenti.

163. In secondo luogo, la condizione relativa alla conoscenza effettiva sembra escludere la conoscenza presunta. Non è sufficiente che il prestatore di servizi avrebbe dovuto essere al corrente dell’attività illecita, o che abbia buone ragioni per sospettarne l’esistenza. Tale condizione è inoltre conforme all’art. 15, n. 1, della direttiva 2000/31, che vieta agli Stati membri di imporre ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano o di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

164. Di conseguenza, il fatto di essere effettivamente al corrente significa la cognizione di informazioni, attività o fatti, passati o presenti, che il prestatore ha a seguito di una notifica esterna o di una propria ricerca, effettuata volontariamente.

165. A prima vista, ciò sembra escludere che un prestatore di servizi possa essere effettivamente al corrente di future violazioni che potrebbero essere commesse. Temo che la situazione non sia così semplice.

166. Do per scontato che non sussiste conoscenza effettiva del fatto che B viola il marchio X in quanto A viola o ha violato il marchio X. Né può esservi conoscenza effettiva del fatto che A viola il marchio Y in quanto è stato accertato che A ha violato il marchio X, anche se il marchio appartiene al medesimo titolare.

167. Tuttavia, se si è scoperto che A ha violato il marchio X inserendo un’offerta sul mercato online a settembre, non escluderei che si possa ritenere che il gestore del mercato sia effettivamente al corrente di attività, fatti o circostanze nel caso in cui A pubblichi una nuova offerta relativa a prodotti identici o simili, recanti il marchio X ad ottobre. In tali circostanze, sarebbe più naturale parlare di una stessa violazione continuata, più che di due violazioni separate (77). Ricordo che l’art. 14, n. 1, lett. a), menziona le «attività» come uno degli oggetti della conoscenza effettiva. Un’attività in corso riguarda il passato, il presente e il futuro.

168. Pertanto, per quanto riguarda lo stesso utente e gli stessi marchi, il gestore di un mercato online è «effettivamente al corrente» se la medesima attività prosegue sotto forma di annunci successivi e può anche vedersi richiedere di impedire l’accesso alle informazioni che l’utente pubblicherà in futuro. In altri termini, la deroga in materia di responsabilità non si applica nelle situazioni in cui sia stato notificato al gestore del mercato online un uso illegittimo di un marchio, e lo stesso utente prosegua o reiteri la medesima violazione.

X –    Ingiunzioni nei confronti degli intermediari

169. La decima questione riguarda la possibilità per il titolare di un marchio di ottenere un’ingiunzione ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2004/48 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, non solo contro i terzi che violano i diritti di marchio, ma anche contro l’intermediario i cui servizi siano stati utilizzati per violare il marchio registrato. Il giudice del rinvio chiede, in particolare, se tale articolo imponga che sia prevista un’ingiunzione, in virtù del diritto dell’Unione, al fine di impedire future violazioni e, in caso di risposta affermativa, quale sia la portata dell’ingiunzione che può essere richiesta (78). Per la prima volta la Corte è chiamata ad interpretare l’art. 11 della direttiva 2004/48.

170. Tutte le parti concordano sul fatto che le ingiunzioni contro gli intermediari sono previste dalla direttiva 2004/48. Tuttavia, mentre la eBay sostiene che un’ingiunzione pronunciata contro un prestatore di servizi di hosting può riguardare solo un contenuto individuale specifico e chiaramente individuabile, le altre parti ritengono che un’ingiunzione possa includere misure dirette ad impedire ulteriori violazioni.

171. La sfida principale, nell’interpretazione della direttiva 2004/48, consiste nell’evitare un’applicazione troppo aggressiva o troppo lassista dei diritti di proprietà intellettuale. Tale compito è stato paragonato al viaggio di Ulisse tra i due mostri Scilla e Cariddi (79). Pur se la direttiva può essere interpretata nel senso che essa mira ad applicare una concezione forte del rispetto o, invece, una concezione debole, sembrerebbe necessario tenere in debita considerazione l’art. 3 della direttiva 2004/48 in qualsiasi interpretazione della stessa. Da tale articolo risulta che detta direttiva sancisce un obbligo generale per gli Stati membri di prevedere le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e di adottare provvedimenti adeguati contro i responsabili di contraffazioni e pirateria. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso devono essere sufficientemente dissuasivi, ma anche evitare di creare ostacoli al commercio legittimo, e offrire tutele contro il loro abuso.

172. Le disposizioni essenziali della direttiva 2004/48 sono contenute nel suo capo II (dal titolo «Misure, procedure e mezzi di ricorso»). Due sezioni di detto capo sembrano degne di nota. Pur se le sezioni 4 («Misure provvisorie e cautelari») e 5 («Misure adottate a seguito di decisione sul merito») menzionano entrambe le misure che devono essere rese disponibili contro l’autore della violazione e l’intermediario, è la sezione 5 che presenta un interesse particolare nel caso di specie. Essa è composta dagli artt. 10 («Misure correttive»), 11 («Ingiunzioni») e 12 («Misure alternative»).

173. Le prime due frasi dell’art. 11 riguardano le ingiunzioni che devono essere rese disponibili contro l’autore di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale. La terza frase prescrive che le ingiunzioni siano rese disponibili anche contro gli intermediari i cui servizi vengono utilizzati da un terzo per violare un diritto di proprietà intellettuale. La portata delle ingiunzioni contro un intermediario non viene definita, ma, poiché tale aspetto si aggiunge in quanto elemento supplementare alle prime due frasi, ritengo che queste ultime debbano essere utilizzate per interpretare la terza frase.

174. Occorre rammentare che l’art. 11, prima frase, della direttiva 2004/48 dispone che, «in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale», le autorità giudiziarie degli Stati membri possano emettere nei confronti dell’autore della violazione «un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione». L’interpretazione letterale di tale testo suggerirebbe una constatazione concreta della violazione ed un provvedimento che impedisca la reiterazione in futuro di una specifica violazione da parte del suo autore.

175. Quanto alla natura delle ingiunzioni che devono essere previste nei confronti dell’autore di una violazione, sembra che il diritto dell’Unione esiga che con tale ingiunzione si possa far cessare una violazione accertata giudizialmente. È anche possibile prevenire ulteriori violazioni, anche se il testo della direttiva diventa più prudente. Dati il riferimento alla «prosecuzione» della violazione, il testo più prudente riguardo alle violazioni «ulteriori» ed il principio di proporzionalità, interpreterei le prime due frasi nel senso che il diritto dell’Unione non arriva ad esigere che si possa ottenere un’ingiunzione contro l’autore di una violazione al fine di impedire che possano essere commesse in futuro ulteriori violazioni (80).

176. Quanto all’intermediario, dato il testo della direttiva 2004/48, un’interpretazione possibile è che, in conformità del diritto dell’Unione, la portata dell’ingiunzione disponibile contro l’intermediario non debba essere diversa da quella dell’ingiunzione prevista contro l’autore della violazione.

177. Non sono convinto, tuttavia, che questa sia un’interpretazione ragionevole.

178. Mi sembra che, ai fini dell’applicazione della prima frase dell’art. 11 della direttiva 2004/48, occorra identificare l’autore della violazione, al quale si vieta poi di proseguire l’azione illecita. Tuttavia, «l’autore della violazione» non viene menzionato nella terza frase, che fa riferimento unicamente a «terzi» che utilizzino i servizi di un intermediario per violare un diritto di proprietà intellettuale.

179. La scelta di questa formulazione è fondata su una buona ragione: possono esistere situazioni, in particolare nell’ambiente di Internet, in cui la violazione appare manifesta, ma non ne viene individuato l’autore. Si sa che un terzo sta utilizzando i servizi di un intermediario per violare un diritto di proprietà intellettuale, ma la reale identità di tale soggetto rimane ignota. In tali casi, la tutela giuridica del titolare di diritti può richiedere che sia possibile ottenere un’ingiunzione contro l’intermediario, la cui identità è nota e può quindi essere citato in giudizio, e che è in grado di impedire la prosecuzione della violazione.

180. Quanto alla portata o al contenuto dell’ingiunzione che deve essere pronunciata contro un intermediario, sembra che il diritto dell’Unione non imponga alcun requisito particolare oltre all’effettività, al carattere dissuasivo e alla proporzionalità richiesti dall’art. 3, n. 2, della direttiva 2004/48.

181. Il requisito della proporzionalità escluderebbe, a mio parere, un’ingiunzione contro l’intermediario diretta ad impedire qualsiasi ulteriore violazione di un marchio. Tuttavia, nella direttiva 2004/48 non rilevo alcun elemento che vieti ingiunzioni contro l’intermediario che impongano non solo di impedire la continuazione di uno specifico atto di violazione, ma anche di impedire la reiterazione di una violazione identica o simile in futuro, se tali ingiunzioni sono disponibili ai sensi del diritto nazionale. Naturalmente, ciò che è fondamentale è che l’intermediario possa sapere con certezza ciò che gli viene richiesto e che l’ingiunzione non imponga alcun obbligo impossibile, sproporzionato o illecito, quale un obbligo generale di sorveglianza.

182. Una limitazione adeguata della portata delle ingiunzioni potrebbe consistere in un duplice requisito di identità. Vale a dire che il terzo autore della violazione dovrebbe essere la medesima persona (81) e i marchi violati dovrebbero essere gli stessi. In tal caso, si potrebbe pronunciare un’ingiunzione contro un intermediario al fine di impedire la continuazione o la reiterazione della violazione di un certo marchio da parte di un determinato utente. Il prestatore di servizi della società dell’informazione potrebbe conformarsi ad un’ingiunzione di questo tipo semplicemente chiudendo l’account cliente dell’utente in questione (82).

XI – Conclusione

183. Suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni sollevate dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division:

1)      La fornitura a titolo gratuito ai distributori autorizzati dal titolare del marchio di tester di profumi e cosmetici e di flaconi per ricariche non destinati alla vendita al pubblico non costituisce un’immissione in commercio dei prodotti in questione ai sensi dell’art. 7, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa e dell’art. 13, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario.

2), 3) e 4) Il titolare del marchio può opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti disimballati in forza dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 e dell’art. 13, n. 2, del regolamento n. 40/94 nel caso in cui l’imballaggio esterno di profumi e cosmetici sia stato rimosso senza il consenso del titolare del marchio, se, a seguito della rimozione dell’imballaggio esterno, i prodotti non presentano le informazioni richieste dall’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, o se la rimozione dell’imballaggio esterno può essere considerata, in quanto tale, come una modifica o un’alterazione dello stato dei prodotti, o se l’ulteriore commercializzazione reca o può recare pregiudizio all’immagine dei prodotti e, di conseguenza, alla reputazione del marchio. Nelle circostanze del procedimento principale, tale effetto deve essere presunto, a meno che l’offerta riguardi un solo oggetto o alcuni oggetti chiaramente proposti da un venditore al di fuori di un’attività commerciale.

5)      Qualora un operatore che gestisce un mercato online acquisti presso il gestore di un motore di ricerca l’uso, in quanto parola chiave, di un segno identico ad un marchio registrato, di modo che il segno venga presentato ad un utente dal motore di ricerca in un link sponsorizzato che conduce al sito Internet del gestore del mercato online, la visualizzazione del segno nel link sponsorizzato costituisce un «uso» del segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94.

6)      Qualora la selezione di un link sponsorizzato menzionato al precedente punto 5) conduca l’utente direttamente a pubblicità o ad offerte in vendita riguardanti prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato con il segno presentato sul sito Internet da altre parti, alcuni dei quali violano il marchio e altri no, a seconda dei diversi status dei rispettivi prodotti, tale circostanza costituisce un uso del segno da parte del gestore del mercato online «per» i prodotti costituenti violazione, ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, ma non ha effetti pregiudizievoli per le funzioni del marchio, a condizione che un consumatore medio ragionevole capisca, in base alle informazioni che figurano nel link sponsorizzato, che il gestore del mercato online memorizza sul suo sistema pubblicità od offerte in vendita provenienti da terzi.

7)      Qualora i prodotti offerti in vendita sul mercato online non siano ancora stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, ai fini dell’applicabilità del diritto esclusivo conferito dal marchio nazionale o comunitario è comunque sufficiente dimostrare che la pubblicità è destinata ai consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.

8)      Se l’uso contestato dal titolare del marchio consiste nella visualizzazione del segno sul sito Internet stesso del gestore del mercato online, anziché in un link sponsorizzato sul sito Internet del gestore di un motore di ricerca, il gestore del mercato online non usa il segno «per» i prodotti costituenti violazione ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94.

9) a) L’uso menzionato al precedente punto 5) non consiste nella «memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio» da parte del gestore di un mercato online, ai sensi dell’art. 14, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno – né include tale memorizzazione – mentre l’uso menzionato al precedente punto 6 può consistere in o includere tale memorizzazione.

9) b) Qualora l’uso non consista esclusivamente in attività rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, ma includa tali attività, il gestore del mercato online è esente da responsabilità nei limiti in cui l’uso consista nelle suddette attività, tuttavia possono essere concessi il risarcimento dei danni o altre compensazioni economiche in forza del diritto nazionale in relazione a tale uso nei limiti in cui esso non sia esente da responsabilità.

9) c) Il gestore del mercato online è «effettivamente al corrente» del fatto che l’attività o l’informazione è illecita, o è «al corrente» di fatti o di circostanze ai sensi dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, qualora abbia cognizione del fatto che sono stati pubblicizzati, offerti in vendita o venduti prodotti sul suo sito Internet in violazione di un marchio registrato e che il medesimo utente del sito Internet potrebbe proseguire la violazione di tale marchio per gli stessi prodotti o per prodotti simili.

10)      Nel caso in cui i servizi di un intermediario quale un gestore di un sito Internet siano stati utilizzati da un terzo per violare un marchio registrato, l’art. 11 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale impone agli Stati membri di garantire che il titolare del marchio possa ottenere un’ingiunzione effettiva, dissuasiva e proporzionata contro l’intermediario per impedire a detto terzo di proseguire o reiterare la violazione di cui trattasi. Le condizioni e le procedure relative a tali ingiunzioni sono definite dal diritto nazionale.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2  Sentenza 23 marzo 2010, cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08 (Racc. pag. I‑2417).


3 – Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata.


4 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (GU L 178, pag. 1), come modificata.


5 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU L 157, pag. 45 e rettifica nella GU L 195, pag. 16).


6 – Direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169), come modificata.


7 –      La domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene alcuna descrizione delle singole disposizioni della normativa del Regno Unito. Nella sentenza 22 maggio 2009 (in prosieguo: la «sentenza della High Court») la High Court ha dichiarato che il caso non sollevava alcuna questione particolare riguardo all’interpretazione della normativa nazionale. Pertanto, ritengo che non occorra riprodurre le pertinenti disposizioni della normativa del Regno Unito in materia di marchi o di commercio elettronico.


8 – Alcuni dei marchi della L’Oréal sono marchi comunitari. Poiché non sono state sollevate questioni che riguardino specificamente il regolamento n. 40/94, è sufficiente rilevare che gli artt. 9, 12 e 13 corrispondono agli artt. 5, 6 e 7 della direttiva 89/104. Le considerazioni svolte in prosieguo riguardo all’interpretazione della direttiva 89/104 valgono, mutatis mutandis, anche per il regolamento n. 40/94.


      Sono applicabili ratione temporis la direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94, ma non i testi codificati della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (Versione codificata) (GU L 299, pag. 25), e del regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1).


9 – GU L 204, pag. 37, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE (GU L 217, pag. 18).


10 – Gli artt. 12 e 13 della direttiva 2000/31 contengono le disposizioni che limitano la responsabilità del prestatore per quanto riguarda il «semplice trasporto» e la «memorizzazione temporanea» (caching).


11 –      L’art. 8, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, (GU L 167, pag. 10), così recita: «Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi».


      Il cinquantanovesimo ‘considerando’ di detta direttiva enuncia quanto segue: «In particolare in ambito digitale, i servizi degli intermediari possono essere sempre più utilizzati da terzi per attività illecite. In molti casi siffatti intermediari sono i più idonei a porre fine a dette attività illecite. Pertanto fatte salve le altre sanzioni e i mezzi di tutela a disposizione, i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di chiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere o altri materiali protetti. Questa possibilità dovrebbe essere disponibile anche ove gli atti svolti dall’intermediario siano soggetti a eccezione ai sensi dell’articolo 5. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento ingiuntivo dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri» (il corsivo è mio).


12 – Ricordo che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 non riguarda solo i marchi che godono di notorietà o i marchi unici, ma è applicabile a tutti i tipi di marchio. Pertanto, nell’interpretare l’art. 5, n. 1, lett. a), la Corte deve evitare di adottare soluzioni che potrebbero apparire giustificate nel contesto dei marchi unici rinomati, ma che creerebbero una sfera di tutela troppo ampia in altri casi.


13 – L’ID utente funge da identificativo unico nel sistema informatizzato della eBay. Esso può anche essere utilizzato come una sorta di pseudonimo, che permette all’utente di nascondere la propria identità fino al completamento di una transazione o in caso di mancato completamento. I venditori professionali devono fornire il loro nome e indirizzo prima di tale fase, mentre ciò non è richiesto ai privati. Un singolo può creare più account venditore utilizzando vari ID utente, ma la eBay può ricercare i diversi account gestiti dalla stessa persona.


14 – Secondo il giudice del rinvio, la eBay Europe ha acquistato parole chiave identiche ad alcuni marchi (in prosieguo: i «link associati a marchi»), le quali attivano link sponsorizzati figuranti su motori di ricerca di terzi, tra i quali Google, MSN e Yahoo. Tale situazione comporta che una ricerca effettuata, ad esempio, sul sito Google, utilizzando uno dei link associati a marchi, fa apparire un link sponsorizzato al sito della eBay. Se l’utente seleziona il link sponsorizzato, viene condotto ad una visualizzazione dei risultati della ricerca sul sito della eBay per prodotti mediante riferimento al link associato al marchio. La eBay Europe sceglie le parole chiave sulla base all’attività del sito che essa gestisce nel Regno Unito.


15 – Nella sentenza Google France e Google, la Corte ha descritto nei termini seguenti il servizio a pagamento di Google denominato «AdWords»: «Tale servizio consente a qualsiasi operatore economico di far apparire un link pubblicitario verso il suo sito mediante la selezione di una o più parole chiave, qualora tale o tali parole coincidano con quella o quelle contenute nella richiesta indirizzata da un utente di Internet al motore di ricerca. Tale link pubblicitario appare nella rubrica “link sponsorizzati”, visualizzata sia sul lato destro dello schermo, a destra dei risultati naturali, sia nella parte superiore dello schermo, al di sopra di tali risultati. (…) Detto link pubblicitario è accompagnato da un breve messaggio commerciale. Tale link e tale messaggio costituiscono, insieme, l’annuncio visualizzato nella succitata rubrica».


16 – Per comodità utilizzerò l’espressione «prodotti costituenti violazione», pur essendo pienamente consapevole che i prodotti non costituiscono in quanto tali l’oggetto di una violazione di marchio, né sono direttamente interessati da tale violazione, che è un atto consistente nell’uso illecito di un segno in circostanze che danno diritto al titolare del marchio di vietarne l’uso.


17 – Per quanto riguarda le sette persone fisiche convenute nel procedimento principale insieme alle tre controllate della eBay, la L’Oréal ha concluso una transazione con i convenuti dal quarto all’ottavo e ha ottenuto una sentenza contumaciale nei confronti del nono e del decimo convenuto. Pertanto, non risulta necessario includere i nomi di tali persone quali parti del presente procedimento pregiudiziale.


18 – La eBay potrebbe, ad esempio, filtrare gli annunci prima che vengano pubblicati sul sito, utilizzare filtri supplementari, chiedere ai venditori di divulgare i loro nomi e indirizzi allorché inseriscono gli annunci, imporre limitazioni aggiuntive ai volumi di prodotti ad alto rischio, adottare regole volte a contrastare determinati tipi di violazioni che attualmente non vengono presi in considerazione e, in particolare, la vendita di prodotti non provenienti dal SEE senza il consenso dei titolari dei marchi, e applicare le sanzioni in maniera più rigorosa.


19 – V., ad esempio, sentenze 8 luglio 2010, causa C‑558/08, Portakabin (Racc. pag. I‑6963); 25 marzo 2010, causa C‑278/08, BergSpechte (Racc. pag. I‑2517); ordinanza 26 marzo 2010, causa C‑91/09, Eis.de; sentenze 23 marzo 2010, cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google; 18 giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a. (Racc. pag. I‑5185); 12 giugno 2008, causa C‑533/06, O2 Holdings & O2 (UK) (Racc. pag. I‑4231); 11 settembre 2007, causa C‑17/06, Céline (Racc. pag. I‑7041); 25 gennaio 2007, causa C‑48/05, Adam Opel (Racc. pag. I‑1017), e 12 novembre 2002, causa C‑206/01, Arsenal Football Club (Racc. pag. I‑10273).


20 – Non vi è consenso terminologico o sostanziale sul modo in cui andrebbero interpretate le «funzioni» del marchio. Lo stesso vale per le relazioni concettuali esistenti tra le diverse funzioni, in particolare riguardo alla questione se alcune delle funzioni (o tutte) possano essere effettivamente considerate incluse nella funzione essenziale consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi. La Corte ha individuato, quali altre funzioni del marchio, quella di garantire la qualità dei prodotti o dei servizi in questione e quelle di comunicazione, investimento o pubblicità (v. sentenza L’Oréal e a., punto 58). In prosieguo utilizzerò le espressioni funzione di origine, funzione di qualità, funzione di comunicazione, funzione di pubblicità e funzione di investimento.


21 – V. Breitschaft, A., «Intel, Adidas & Co – is the jurisprudence of the European Court of Justice on dilution law in compliance with the underlying rationales and fit for the future?», European Intellectual Property Law Review 2009, 31(10), pagg. 497‑504, in particolare pag. 498. L’autore considera che il diritto dell’Unione europea è criticabile in quanto attribuisce ai titolari di marchi che godono di notorietà una sorta di monopolio sullo sfruttamento dei loro segni, sebbene originariamente il diritto dei marchi non fosse inteso a conferire un diritto esclusivo di proprietà intellettuale al pari del diritto dei brevetti o del diritto d’autore.


22 – Per un’analisi più approfondita di questi aspetti, v. conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Google France e Google, citata alla nota 19 (paragrafi 101‑112).


23 – Nei limiti in cui viene rafforzata la tutela giuridica dei marchi che godono di notorietà in quanto segni distintivi, diviene sempre più importante garantire che non venga indebitamente ostacolata la libertà di espressione riguardante la parodia, l’espressione artistica e la critica al consumismo, nonché la ridicolizzazione degli stili di vita legati al consumismo. Lo stesso vale per il dibattito sulla qualità dei prodotti e servizi. V., a tal riguardo, M. Senftleben, «The Trademark Tower of Babel – Dilution Concepts in International, US and EC Trademark Law», International review of intellectual property and competition law, Vol. 40 (2009), n. 1, pagg. 45–77, in particolare pagg. 62–64.


24 – V. conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa C‑71/02, Karner (Racc. 2004, pag. I‑3025, paragrafo 75), e Corte eur. D.U., sentenze Markt Intern/Germania del 20 novembre 1989, Serie A n. 165, §§ 25 e 26, e Casado Coca/Spagna del 24 febbraio 1994, Serie A n. 285, §§ 35 e 36.


25 – La sentenza della High Court fa riferimento ad acquisti di prova di prodotti della L’Oréal effettuati sul mercato elettronico della eBay. A titolo di esempio si può menzionare una serie di acquisti di prova dai quali risulta che il 70% dei prodotti non era destinato alla vendita nel SEE (in quanto si trattava di prodotti contraffatti, di prodotti non provenienti dal SEE o di prodotti del SEE non destinati alla vendita). Sono state rilevate percentuali analoghe in altri contesti. Per fare un confronto, nella controversia tra la eBay e la Tiffany Inc. è stato constatato che circa il 75% dei prodotti della Tiffany commercializzati sul mercato elettronico della eBay era contraffatto, v. sentenza della United States District Court, Southern District of New York, 14 luglio 2008, Tiffany (NJ) Inc. v. eBay Inc., n. 04 Civ.4607 RJS, 576 F.Supp.2d 463 (2008), pag. 20, confermata su impugnazione dal Second Circuit con decisione 1°aprile 2010, salvo per quanto riguarda il motivo concernente la pubblicità ingannevole, che è stato rinviato ai fini di ulteriore esame, v. sentenza Tiffany (NJ) Inc. v. eBay, Inc., 600 F.3d 93, 114 (2d Cir. 2010) (Tiffany II).


26 – Per quanto è a mia conoscenza, finora la questione della responsabilità di un mercato su Internet per violazioni di diritti di marchio è stata esaminata da giudici belgi, francesi, tedeschi, britannici e statunitensi.


27 – Poiché gli accordi di distribuzione selettiva hanno natura contrattuale, essi non sono vincolanti per i terzi. Pertanto, la tutela attraverso i diritti di marchio si esaurisce anche nel caso in cui un distributore appartenente ad una rete di questo tipo venda prodotti tutelati ad un terzo in violazione dei termini del contratto di distribuzione concluso con il titolare del marchio. Nella sentenza 30 novembre 2004, causa C‑16/03, Peak Holding (Racc. pag. I‑11313, punto 56), la Corte ha concluso che il fatto che la rivendita nel SEE abbia avuto luogo in violazione di un divieto previsto da un contratto di vendita non osta all’esaurimento del marchio (v. punto 56).


28 – Ad esempio, qualora A fabbrichi prodotti sui quali apponga il marchio di un terzo senza il suo consenso e B li immetta in commercio.


29 – La High Court la definisce «responsabilità accessoria» ai sensi del diritto inglese. In alcuni ordinamenti giuridici si può anche parlare di violazioni indirette rispetto alle violazioni dirette commesse dal soggetto responsabile in via principale.


30 – Tuttavia, il regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa misure intese a vietare l’immissione in libera pratica, l’esportazione, la riesportazione e il vincolo ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative (GU L 341, pag. 8, come modificato), vieta, tra l’altro, l’immissione in libera pratica, l’esportazione e la riesportazione di merci contraffatte o usurpative.


31 – La nozione tedesca di Störerhaftung può essere descritta come la responsabilità di chi «disturba» («disturber») o «interferisce» («interferer»), o come responsabilità per turbativa. La Störerhaftung si ricollega ad una violazione di diritti, ma senza responsabilità civile. Essa può dare luogo ad un provvedimento inibitorio nei confronti del «disturbatore», anche qualora non venga concesso il risarcimento dei danni. V. Rühmkorf, A. «The Liability of online auction portals: Toward a Uniform Approach?», 14 n. 4 Journal of Internet Law, ottobre 2010, pag. 3.


32 – Per quanto riguarda la responsabilità derivante dal concorso nella violazione di marchio negli Stati Uniti, v. conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Google France e Google (nota 19).


33 – Per una panoramica della giurisprudenza recente v. Rühmkorf, op. cit., e Cheung, A.S.Y. e Pun, K.K.H., «Comparative study on the liability for trade mark infringement of online auction providers», European Intellectual Property Review 2009, 31(11), pagg. 559–567, e Bagnall, M., Fyfield, D., Rehag, C. e Adams, M., «Liability of Online Auctioneers: Auction Sites and Brand Owners Hammer It Out», INTA Bulletin Vol. 65, n. 1 (1° gennaio 2010), pagg. 5–7. V. anche «Report on Online auction sites and trademark infringement liability», del Trademarks and Unfair Competition Committee of the New York City Bar Association (comitato per i marchi e la concorrenza sleale dell’associazione forense della città di New York), disponibile su www.abcny.org.


34 – Tuttavia, ricordo che la High Court, nella sentenza 22 maggio 2009, ha escluso la responsabilità accessoria della eBay ai sensi del diritto inglese riferendosi alle cause di responsabilità invocate dalla L’Oréal, ossia la responsabilità congiunta per fatto illecito (joint tortfeasorship) per istigazione o partecipazione ad un disegno comune.


35 – V. sentenza 20 marzo 2003, causa C‑291/00, LTJ Diffusion (Racc. pag. I‑2799, punti 50‑54). A mio avviso, le differenze tra i marchi puramente denominativi e i marchi denominativi stilizzati o figurativi dominati dall’elemento verbale hanno sempre la loro importanza. Se così non fosse, non vi sarebbe motivo di registrare separatamente i marchi rientranti nelle ultime categorie.


36 – Secondo le direttive dell’UAMI (Parte C: Opposizione; parte 2, capitolo 1 – Identità; Versione finale: novembre 2007), sono marchi denominativi i marchi che consistono in lettere, numeri o altri segni riprodotti in caratteri tipografici standard usati dal rispettivo ufficio. Ciò implica che, rispetto a questi marchi, non viene rivendicato alcun elemento o aspetto figurativo. Inoltre, le differenze nell’uso di lettere minuscole o maiuscole sono irrilevanti (v. punto 3.2). Per quanto riguarda i marchi figurativi, le direttive rilevano che l’identità è esclusa se uno dei marchi i) consiste in caratteri tipografici distintivi quali, ad esempio, caratteri manoscritti, di modo che l’aspetto complessivo del marchio denominativo si muti in quello di un marchio figurativo, ii) consiste in un carattere tipografico standard su uno sfondo figurativo (colorato) o iii) consiste in caratteri tipografici standard rappresentati in lettere colorate, e l’altro marchio è un marchio denominativo (v. punto 3.3 e gli esempi ivi indicati).


37 – V. sentenze Arsenal Football Club, citata alla nota 19 (punto 51), 16 novembre 2004, causa C‑245/02, Anheuser‑Busch (Racc. pag. I‑10989, punto 59), Adam Opel, citata alla nota 19 (punti 18‑22), e Céline, citata alla nota 19 (punto 16).


38 – La Corte ha dichiarato che l’uso di un segno avviene effettivamente nel commercio se si colloca nel contesto di un’attività commerciale finalizzata ad un vantaggio economico e non nell’ambito privato. V. sentenza Arsenal Football Club (punto 40).


39 – La High Court ritiene che la sesta condizione sia superflua e fuorviante (v. sentenza 22 maggio 2009, punti 288 e 300‑306). Anche in dottrina si rinvengono osservazioni critiche, secondo cui la giurisprudenza recente della Corte è priva di coerenza o di difficile applicazione. Pur comprendendo, entro certi limiti, queste preoccupazioni, ritengo che non sia necessario addentrarsi in tale dibattito nelle circostanze molto specifiche del presente rinvio pregiudiziale, che riguarda un mercato elettronico.


40 – Sentenza 3 giugno 2010, causa C‑127/09 (Racc. pag. I‑4965).


41 – Sentenza Coty Prestige Lancaster Group, citata alla nota 40 (punto 48).


42 – V. sentenza 26 aprile 2007, causa C‑348/04, Boehringer Ingelheim e a. (Racc. pag. I‑3391, punti 43 e 44).


43 – Sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, Bristol‑Myers Squibb e a. (Racc. pag. I‑3457).


44 – V., per quanto riguarda la natura particolare di tali prodotti nel diritto dei marchi, sentenza 4 novembre 1997, causa C‑337/95, Parfums Christian Dior (Racc. pag. I‑6013, punti 42‑44).


45 – Secondo l’ordinanza di rinvio, tale ipotesi riguarda la circostanza che la eBay vieta la vendita di prodotti cosmetici disimballati ad acquirenti situati in Germania, ma non a quelli situati in altri Stati membri.


46 – V. conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nelle cause riunite da C‑414/99 a C‑416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss (Racc. 2001, pag. I‑8691, paragrafi 120 e 121).


47 – Tuttavia, la distinzione operata dalla eBay tra i venditori professionisti e gli altri non corrisponde necessariamente alla nozione di uso «nel commercio».


48 – V., ad esempio, sentenza LTJ Diffusion (punti 48‑50).


49 – A mio parere, l’utilizzatore potrebbe ottenere soddisfazione assolvendo l’onere della prova ad esso incombente dimostrando, ad esempio, che il marchio è relativamente ignoto e che gli imballaggi esterni non contengono alcuna informazione rilevante per i consumatori.


50 – Sentenza Google France e Google (secondo punto del dispositivo e punto 99).


51 – Sentenza Google France e Google (primo punto del dispositivo e punto 99).


52 – Va rilevato che i motori di ricerca su Internet non effettuano neppure le operazioni di ricerca nell’intera rete Internet, bensì nelle loro banche dati di pagine web memorizzate sui server dell’operatore in questione. Ciò spiega, in parte, perché la stessa parola chiave possa condurre e di regola conduce ad un diverso elenco «naturale» di link nei diversi motori di ricerca.


53 –      Secondo le quali tale uso deve avere luogo nel commercio, dev’essere fatto senza il consenso del titolare del marchio e deve trattarsi di un segno identico al marchio.


54 – La funzione di identificazione, ossia la funzione del marchio consistente nel distinguere fra prodotti e servizi, non viene normalmente separata dalla funzione di origine. Tuttavia, l’idoneità di un marchio a distinguere prodotti e servizi da altri prodotti o servizi può essere utilizzata anche per scopi diversi dall’indicazione di origine. Ad esempio, nel manuale di un telecomando universale, i marchi figurativi possono essere utilizzati per indicare i prodotti compatibili con tale apparecchio. V., nella dottrina scandinava relativa a tale materia, Pihlajarinne, T., Toisen tavaramerkin sallittu käyttö [Utilizzo consentito di marchi altrui], Lakimiesliiton kustannus, Helsinki, 2010, pagg. 47–48.


55 – Sentenza Google France e Google (punti 68 e 69).


56 – Sentenza Google France e Google (punto 82).


57 – Sentenza Google France e Google (punti 83 e 84).


58 – Sentenza Google France e Google (punti 91‑98). Per quanto riguarda la funzione di comunicazione, sembra che, in dottrina, gli elementi di tale funzione coincidano in larga misura con la funzione distintiva e di origine, con la funzione di pubblicità e con la funzione di investimento. Pertanto, nella specie non è necessario esaminarla separatamente.


59 – Sentenza Portakabin (punto 91).


60 – La Corte ha confermato nella sentenza Dior (punto 38) che, a seguito dell’esaurimento del marchio, il rivenditore può non solo mettere in vendita i prodotti, ma anche usare il marchio per promuovere l’ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi. V. anche sentenza 23 febbraio 1999, causa C‑63/97, BMW (Racc. pag. I‑905, punto 54).


61 – V. sentenza Google France e Google (punti 55 e 56). Tuttavia, la conclusione secondo cui un servizio di posizionamento a pagamento non costituisce un atto compiuto nel commercio (punti 57 e 58) non è applicabile alle attività dei gestori di mercati elettronici relative ai loro stessi siti Internet.


62 – V. sentenza 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione (Racc. pag. I‑1307, punti 12‑14).


63 – V. conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nelle cause riunite C‑585/08, Pammer, e C‑144/09, Hotel Alpenhof.


64 – http://www.wipo.int/about-ip/en/development_iplaw/pub845.htm


65 – V. supra, nota 33.


66 – Rilevo che, sebbene tale direttiva sia stata adottata circa dieci anni fa, esistono solo poche sentenze della Corte che ne interpretano le disposizioni.


67 – V. Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo ‑ Prima relazione in merito all’applicazione della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (Direttiva sul commercio elettronico) [COM(2003) 702 def.].


68 – V. Sorvari, K., Vastuu tekijänoikeuden loukkauksesta erityisesti tietoverkkoympäristössä [La responsabilità per violazione del diritto d’autore su Internet], WSOY, Helsinki, 2005, pagg. 513–526, in cui l’autore analizza l’attuazione della direttiva 2000/31 in Germania, Svezia e Finlandia.


69 – Sentenza Google France e Google (punti 113 e 114).


70 – Ciò ha costituito un fattore decisivo per i giudici tedeschi allorché hanno escluso la responsabilità penale e civile dei gestori di mercati elettronici in relazione ad annunci costituenti violazione e hanno stabilito che la loro responsabilità è limitata ad impedire future violazioni entro limiti ragionevoli, in funzione del loro modello commerciale, quali definiti nell’ingiunzione pronunciata del giudice. V. Rühmkorf, A., «eBay on the European Playing Field: A Comparative Case Analysis of L’Oréal v eBay», (2009) 6:3 SCRIPTed 685, pag. 694, http://www.law.ed.ac.uk/ahrc/script-ed/vol6-3/ruhmkorf.asp.


71 – Il quarantesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 enuncia che le disposizioni di detta direttiva sulla responsabilità non dovrebbero impedire ai vari interessati di sviluppare ed usare effettivamente sistemi tecnici di protezione e di identificazione, nonché strumenti tecnici di sorveglianza resi possibili dalla tecnologia digitale, entro i limiti fissati dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e dalla direttiva del parlamento europeo e del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/66/CE, sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni.


72 – Un operatore può, ad esempio, vendere ai propri clienti pacchetti comprendenti la fornitura dell’accesso ad Internet, una capacità di server per la pagina web del cliente e un indirizzo di posta elettronica (fornitura di servizi), nonché la «home page» stessa del fornitore con tutti i vari servizi accessibili dal portale dell’operatore quale pagina iniziale (fornitura di contenuti). V. Sorvari, K., op. cit., pag. 66. In questo esempio l’operatore offrirebbe, oltre al «semplice trasporto» («mere conduit») e alla «memorizzazione temporanea» («caching»), anche un servizio di hosting e la fornitura di contenuti.


73 – Per una valutazione degli effetti del programma VeRO della eBay in relazione al commercio legale, v. Pilutik, S., «eBay’s Secondary Trademark Liability Problem and its VeRO Program», pubblicato su http://www.cs.cmu.edu/~dst/Secrets/E-Meter/eBay-VERO-pilutik.html.


74 – Tale condizione è stata confermata dalla commissione per il diritto costituzionale del Parlamento finlandese, v. parere PeVL 60/2001 vp - HE 194/2001 vp.


75 – Rilevo che, nelle sue argomentazioni, la eBay sostiene che la procedura specifica di «notifica e rimozione» è stata prevista solo in Finlandia, in Francia e in Spagna.


76 – V. Sorvari, op. cit., pagg. 521‑523, e legge 5 giugno 2002, n. 458, sulla fornitura di servizi della società dell’informazione (Finlandia) («laki tietoyhteiskunnan palvelujen tarjoamisesta»), artt. 15, 16 e 20–25, disponibile in inglese all’indirizzo www.finlex.fi/en.


77 – È evidente che sussiste qui un nesso con la questione relativa al modo in cui la nozione di violazione viene interpretata nel diritto nazionale, anche se le nozioni utilizzate all’art. 14, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/31 devono avere un significato autonomo nel diritto dell’Unione europea a prescindere dal diritto nazionale penale e in materia di responsabilità per fatto illecito. Ad esempio, sussistono una o più violazioni nel caso in cui A venda senza l’autorizzazione del titolare del marchio i) prodotti identici a più clienti, ii) prodotti analoghi ma non identici contrassegnati dal medesimo marchio o iii) se l’attività di vendita si estende su un certo periodo di tempo e comporta transazioni separate?


78 – La High Court sostiene che tale disposizione non ha dato luogo ad una trasposizione specifica, in quanto il diritto esistente era considerato conforme a detta disposizione. Il giudice del rinvio dubita dell’esattezza di questa conclusione.


79 – V.  Norrgård, M., «The Role Conferred on the National Judge by Directive 2004/48/EC on the Enforcement of Intellectual Property Rights», ERA Forum 4/2005, pag. 503.


80 – V. ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo e venticinquesimo ‘considerando’ e art. 11 della direttiva 2004/48.


81 – L’esigenza che il terzo autore della violazione sia la stessa persona implicherebbe principalmente la stessa identità basata sull’identificazione dell’utente nel sistema dei prestatori di servizi, se esistente. Inoltre, al prestatore possono essere richieste misure ragionevoli per rivelare la reale identità di un utente che si nasconda dietro vari ID utente: ciò non costituirebbe un obbligo generale di sorveglianza vietato dall’art. 15, n. 1, della direttiva 2000/31, bensì un obbligo di controllo specifico, che è ammissibile.


82 – V. anche tre cause tedesche, abitualmente note come «Internet Auction I, II e III», BGH I ZR 304/01 dell’11 marzo 2004 [riprodotta in inglese in (2006) European Commercial Cases, I parte, 9]; BGH I ZR 35/04 del 19 aprile 2007 [riprodotta in inglese in (2007) European Trade Mark Reports, 11a parte, pag. 1] e BGH I ZR 73/05 del 30 aprile 2008. I giudici hanno ritenuto che i gestori di mercati elettronici soddisfacessero le condizioni per la concessione della deroga in materia di responsabilità di cui all’art. 14 della direttiva 2000/31. Tuttavia, essi hanno elaborato ampi criteri in relazione alle ingiunzioni contro i gestori, che, per quanto riguarda la loro portata, possono sollevare questioni di compatibilità con la direttiva 2000/31.