CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 12 maggio 2011 (1)
Cause riunite C‑483/09 e C‑1/10
Magatte Gueye
e
Valentín Salmerón Sánchez
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Audiencia Provincial de Tarragona (Spagna)]
«Decisione quadro 2001/220/GAI – Posizione della vittima nel procedimento penale – Protezione della vittima – Commisurazione della pena – Obbligo di irrogazione, a titolo di pena accessoria, della misura di allontanamento dell’autore del reato dalla vittima – Rilevanza della volontà della vittima – Mediazione nell’ambito del procedimento penale»
I – Introduzione
1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla questione se la decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (2), osti ad una normativa nazionale, in base alla quale, nei casi di violenza domestica, all’autore del reato venga irrogata obbligatoriamente e senza eccezioni la pena accessoria del divieto di comunicare con la vittima, anche nel caso in cui la vittima intenda riprendere i contatti con l’autore del reato stesso.
II – Contesto normativo
A – Diritto dell’Unione
2. L’art. 2, n. 1, della decisione quadro 2001/220, rubricato «Rispetto e riconoscimento», dispone quanto segue:
«Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale».
3. L’art. 3, intitolato «Audizione e produzione di prove», prescrive, al n. 1:
«Ciascuno Stato membro garantisce la possibilità per la vittima di essere sentita durante il procedimento e di fornire elementi di prova».
4. L’art. 8 della decisione quadro 2001/220 riguarda il «diritto alla protezione». A termini del n. 1 di tale articolo:
«Ciascuno Stato membro garantisce un livello adeguato di protezione alle vittime di reati ed eventualmente ai loro familiari o alle persone assimilabili, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la tutela dell’intimità della vita privata, qualora le autorità competenti ritengano che esista una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella sfera della vita privata».
5. Infine, l’art. 10, n. 1, della decisione quadro 2001/220 si occupa della mediazione nell’ambito del procedimento penale:
«Ciascuno Stato membro provvede a promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti penali per i reati che esso ritiene idonei per questo tipo di misura».
B – Normativa nazionale
6. Il giudice del rinvio rileva che la normativa spagnola relativa ai reati intrafamiliari è divenuta, negli ultimi anni, considerevolmente più rigorosa. Ciò sarebbe motivato, dal punto di vista della politica di repressione criminale, dal fatto che reati di tal genere costituirebbero un male sociale, espressione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra uomini e donne.
7. Secondo quanto affermato dal giudice del rinvio, i giudici, in tutti i casi di violenza intrafamiliare, conformemente all’art. 57, n. 2, in combinato disposto con l’art. 48, n. 2, del codice penale spagnolo (Código Penal; in prosieguo: il «CP»), devono vietare all’autore del reato, a titolo di pena accessoria diretta a tutelare la vittima, di avvicinarsi a quest’ultima oppure di comunicare con essa. Detta misura coercitiva di allontanamento viene disposta per un periodo superiore da uno a cinque anni alla pena detentiva inflitta all’autore del reato oppure per un periodo compreso tra sei mesi e cinque anni se la pena irrogata è di natura diversa. Il giudice del rinvio afferma che ciò vale anche nei casi meno gravi di violenza intrafamiliare, quali schiaffi, graffi, spinte o «lievi minacce verbali senza esibizione di armi».
8. Il giudice del rinvio sottolinea che il codice penale impone al giudice di irrogare detta pena accessoria in ogni caso, senza lasciargli alcun margine – salvo per quanto riguarda la durata – per valutare le circostanze del caso di specie, come ad esempio gli interessi familiari in gioco, la volontà della vittima o la sua decisione di riprendere la convivenza.
9. L’art. 468, n. 2, del CP punisce, da parte sua, la violazione di tale misura di allontanamento quale reato di inosservanza della pena. In base ad una decisione del Tribunal Supremo (Corte di cassazione spagnola), anche il consenso della vittima alla ripresa della convivenza non esclude il reato di inosservanza di pena. Secondo il giudice del rinvio, sussiste addirittura la possibilità teorica che, in determinati casi di ripresa consensuale della convivenza con l’autore del reato, si possa legittimamente considerare la vittima di un reato intrafamiliare quale istigatrice o complice di detto reato di inosservanza della pena.
10. Secondo quanto indicato dal giudice del rinvio, la violazione della misura di allontanamento disposta a titolo di pena accessoria comporta, inoltre, sulla base dell’art. 84, n. 3, del CP, la revoca della sospensione condizionale dell’esecuzione della pena, anche se la ripresa dei contatti sia avvenuta con il consenso della vittima.
11. Infine, il giudice del rinvio rileva che l’art. 87, lett. b), quinto comma, della Ley Orgánica del Poder Judicial (legge organica sul potere giudiziario) vieta la mediazione nei casi di delitti o contravvenzioni (anche semplici ingiurie) commessi in ambito familiare.
III – Fatti e procedimento principale
12. Lo Juzgado de lo Penal n.° 23 de Barcelona (Tribunale penale n. 23 di Barcellona) condannava il sig. Gueye per il reato di maltrattamenti in famiglia, non meglio precisato nella domanda di pronuncia pregiudiziale, perpetrato a danno della compagna con la quale il sig. Gueye aveva intrattenuto una relazione di coppia nei quattro anni precedenti. Il giudice irrogava pertanto, inter alia, una pena accessoria consistente nel divieto per l’autore del reato, per un periodo di 17 mesi, di avvicinarsi alla vittima a meno di mille metri oppure di comunicare con la medesima.
13. Il sig. Gueye riprendeva la convivenza con la vittima pochi giorni dopo la condanna; ciò accadeva per desiderio della vittima. A seguito di detta violazione della misura di allontanamento, lo Juzgado de lo Penal n.º 1 de Tarragona (Tribunale penale n. 1 di Tarragona) lo condannava in forza dell’art. 468, n. 2, del CP. Il sig. Gueye appellava la sentenza dinanzi alla quarta Sezione della Audiencia Provincial de Tarragona, attuale giudice del rinvio.
14. La Audiencia Provincial de Tarragona deve altresì pronunciarsi, in sede di impugnazione, sulla condanna del sig. Salmerón Sánchez per il reato di inosservanza della pena ai sensi dell’art. 468, n. 2, del CP. Gli viene contestato di non aver osservato la pena accessoria inflitta con la sentenza 6 novembre 2006 dello Juzgado de Instrucción n.º 7 de Violencia Sobre la Mujer, de El Vendrell, consistente nel divieto, per un periodo di 16 mesi, di avvicinarsi alla vittima a meno di cinquecento metri ovvero di comunicare con la medesima.
15. La condanna alla pena accessoria da parte dello Juzgado de Instrucción n.º 7 de Violencia Sobre la Mujer, de El Vendrell, era fondata sul reato di maltrattamenti in famiglia, non meglio precisato nella domanda di pronuncia pregiudiziale, perpetrato a danno della convivente con la quale il secondo imputato aveva intrattenuto una relazione di coppia nei sei anni precedenti.
16. In base a quanto affermato dal giudice, in entrambi i casi gli imputati, nonostante la misura di allontanamento, erano tornati a convivere con le vittime già pochi giorni dopo la condanna. Nel corso dell’audizione da parte del giudice del rinvio, ognuna delle vittime dichiarava di aver ripreso volontariamente la relazione con gli autori del reato senza esservi stata costretta né indotta da necessità economiche; l’iniziativa in tal senso sarebbe partita fondamentalmente dalle medesime. Esse si considerano pertanto indirettamente come vittime delle disposizioni penali spagnole tanto più che, fino all’arresto degli imputati per inosservanza della pena, la convivenza si sarebbe svolta senza problemi.
17. Il giudice d’appello nutre dubbi sulla compatibilità delle disposizioni spagnole con la decisione quadro. Sebbene possa essere necessario, ai fini della protezione delle vittime, irrogare una misura di allontanamento anche contro la volontà di queste ultime, al giudice non sembra, tuttavia, adeguato che la normativa spagnola, anche in casi di reati lievi, non lasci alcun margine per la valutazione del singolo caso e per la presa in considerazione della volontà delle vittime ed imponga senza eccezioni l’adozione di un obbligo di allontanamento di almeno sei mesi.
IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
18. In tale contesto, la Audiencia Provincial de Tarragona, giudice d’appello, ha sottoposto alla Corte nel procedimento riguardante il sig. Gueye con ordinanza 15 settembre 2009, nonché in quello relativo al sig. Salmerón Sánchez con ordinanza 18 dicembre 2009, le seguenti questioni pregiudiziali – identiche nei rispettivi procedimenti:
«1) Se il diritto della vittima di essere compresa, menzionato all’ottavo ‘considerando’ della decisione quadro 2001/220/GAI, debba essere interpretato quale obbligo positivo per le autorità nazionali competenti a perseguire e sanzionare i comportamenti violenti di consentire che la vittima esprima le propri[e] valutazioni, riflessioni ed opinioni in merito agli effetti diretti sulla sua vita che potrebbero derivare dall’irrogazione di pene all’aggressore con cui essa intrattenga una relazione familiare o uno stretto legame affettivo.
2) Se l’art. 2 della decisione quadro 2001/220/GAI debba essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati di riconoscere i diritti e gli interessi giuridicamente protetti della vittima imponga di tenere conto del suo parere quando le conseguenze penali del procedimento possano compromettere gravemente e direttamente l’esercizio del suo diritto al libero sviluppo della personalità e della vita privata e familiare.
3) Se l’art. 2 della decisione quadro 2001/220/GAI debba essere interpretato nel senso che le autorità nazionali non possano ignorare la libera volontà della vittima qualora essa si opponga all’imposizione o al mantenimento di una misura di allontanamento, l’aggressore sia un familiare, non venga constatata una situazione oggettiva di rischio di reiterazione del reato e sia accertato un livello di competenza personale, sociale, culturale ed emotiva tale da escludere la sottomissione all’aggressore, oppure se detta misura debba invece essere adottata in ogni caso, tenuto conto della specifica tipologia dei reati in questione.
4) Se l’art. 8 della decisione quadro 2001/220/GAI, laddove dispone che gli Stati garantiscono un livello adeguato di protezione alle vittime di reati, debba essere interpretato nel senso che esso consenta l’imposizione generalizzata e tassativa di provvedimenti di allontanamento o del divieto di comunicazione a titolo di pene accessorie in tutte le fattispecie di reati intrafamiliari, in ragione della specifica tipologia di tali reati, ovvero se la menzionata disposizione imponga, invece, di procedere caso per caso ad una ponderazione che consenta di individuare il livello adeguato di tutela, tenuto conto dei vari interessi in gioco.
5) Se l’art. 10 della decisione quadro 2001/220/GAI debba essere interpretato nel senso che esso consenta l’esclusione generalizzata della mediazione nei procedimenti penali relativi a reati intrafamiliari in ragione della specifica tipologia di tali reati, o se invece la mediazione debba essere consentita anche in questo tipo di procedimenti, procedendo caso per caso alla ponderazione dei vari interessi in gioco».
19. Con ordinanza del presidente 24 settembre 2010, la Corte ha deciso di riunire le due cause ai fini della trattazione e della decisione.
20. In entrambi i procedimenti pendenti dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte i governi italiano, olandese, austriaco, polacco, svedese e spagnolo, nonché la Commissione europea; il governo tedesco le ha presentate nella causa C‑483/09. All’udienza del 3° marzo 2011 sono intervenuti i governi tedesco e spagnolo, nonché il governo del Regno Unito e la Commissione.
V – Valutazione giuridica
A – Legittimazione al rinvio e ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
21. Non sussistono dubbi circa la legittimazione al rinvio della Audiencia Provincial de Tarragona. La decisione quadro 2001/220, oggetto di interpretazione nel caso in esame, è stata emanata sulla base degli artt. 31 e 34, n. 2, secondo cpv., lett. b), UE. Ai sensi dell’art. 35 UE, una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa ad un atto giuridico emanato su tale fondamento di diritto presupporrebbe che lo Stato membro interessato abbia riconosciuto la competenza della Corte. Detta restrizione alla legittimazione al rinvio resta per un periodo transitorio anche dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona (3). La Spagna ha reso una dichiarazione conforme ai sensi dell’art. 35, n. 3, lett. a), UE (4), in base alla quale ogni giudice spagnolo, avverso le cui decisioni non possa più proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, è legittimato al rinvio.
22. La Commissione ha affermato, senza essere contestata, che nel diritto spagnolo non sussiste alcun altro strumento di ricorso giurisdizionale contro la statuizione di una Audiencia provincial che decide, quale giudice dell’impugnazione, sulla sentenza di uno Juzgado de lo Penal. La Audiencia provincial costituisce, dunque, nel caso in esame, una giurisdizione di ultimo grado ai sensi dell’art. 35, n. 3, lett. a), UE ed è quindi legittimata al rinvio.
23. I governi della Spagna e dell’Italia ritengono irricevibili le domande di pronuncia pregiudiziale, in quanto le questioni sollevate non sarebbero pertinenti.
24. Secondo consolidata giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali, spetta esclusivamente al giudice nazionale, che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, quando le questioni pregiudiziali sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (5) e sussiste così una presunzione di pertinenza (6) che inerisce alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali.
25. Solo in determinati casi eccezionali una domanda va considerata irricevibile, vale a dire, in particolare, qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione richiesta delle disposizioni di diritto dell’Unione menzionate in tali questioni abbia natura ipotetica (7). A tal riguardo, non risultano convincenti le argomentazioni contrarie dei due governi.
26. Il governo spagnolo sostiene che le questioni sollevate sono di natura ipotetica, in quanto l’oggetto della causa principale sarebbe costituito non già dal provvedimento coercitivo di allontanamento in sé considerato, ma piuttosto dalla sanzione contro la violazione del divieto ivi insito, vale a dire il reato di inosservanza della pena. Le questioni poste dal giudice del rinvio riguarderebbero peraltro solo il provvedimento di allontanamento e non l’inosservanza del divieto de quo.
27. La questione se, tuttavia, il giudice del rinvio, nel pronunciarsi sull’inosservanza della pena, debba, possa ovvero intenda prendere in considerazione l’ammissibilità dell’irrogazione della misura di allontanamento ad essa sottesa rientra nella sua competenza. Il giudice può, pertanto, liberamente sollevare una questione relativa all’interpretazione della decisione quadro in relazione ad una siffatta misura.
28. Il governo italiano ritiene la domanda irricevibile, in quanto – ove si ammettesse che la normativa nazionale sia in contrasto con la decisione quadro – non sarebbe possibile un’interpretazione della stessa conforme alla detta decisione. Essa potrebbe essere effettuata eventualmente contra legem. Il giudice del rinvio affermerebbe, infatti, che, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 57, n. 2, del CP, debba essere obbligatoriamente irrogata una misura di allontanamento come pena accessoria.
29. La Corte ha più volte affermato che l’obbligo di interpretazione conforme del giudice nazionale non può fungere da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (8). Non mi sembra però ancora del tutto chiarito se dallo stesso diritto dell’Unione risulti un divieto di interpretazione contra legem (9) oppure se il diritto dell’Unione semplicemente non osti ad un divieto di un’interpretazione contra legem basato sul diritto interno (10). Ad ogni modo, nell’ipotesi in cui la normativa nazionale ammettesse una siffatta interpretazione ed essa non determinasse uno svantaggio per il singolo, ad esempio come nel caso di specie, determinando non l’imposizione o l’aggravamento di una pena, bensì, al contrario, il venir meno di essa, non si vede perché il diritto dell’Unione debba ostarvi.
30. Nell’ambito del presente procedimento, non occorre peraltro esaminare tale questione esaustivamente, dato che, nel caso di specie, nell’accertamento della ricevibilità non risulta comunque evidente che il giudice del rinvio – ammesso che la decisione quadro osti alla normativa nazionale – possa giungere ad un risultato conforme alla decisione quadro solo tramite un’interpretazione contra legem. In ogni caso, i giudici nazionali devono prendere in considerazione, nell’interpretazione conforme alla decisione quadro, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in qual misura quest’ultimo possa ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla decisione quadro (11).
31. Lo stesso governo spagnolo ha esposto, nelle sue osservazioni, che è ben controverso nella giurisprudenza spagnola in qual misura la normativa spagnola non consenta di prendere in considerazione la volontà della vittima. Detto governo ha pertanto sottolineato che non dovrebbe essere riconosciuto «carattere vincolante» alle affermazioni del Tribunal Supremo in merito alla punibilità dell’inosservanza della misura di allontanamento, da cui risulta l’irrilevanza della contraria volontà della vittima nell’ambito del sanzionamento della violazione della misura de qua. Alla luce di tali considerazioni, non è evidente che un’interpretazione conforme alla decisione quadro sia impossibile e che, pertanto, una risposta della Corte non rivesta alcuna rilevanza per la causa principale.
32. Le domande di pronuncia pregiudiziale sono dunque ricevibili.
B – Sull’interpretazione della decisione quadro 2001/220
33. Con le sue domande, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la decisione quadro osti ad una normativa nazionale che, in caso di reati intrafamiliari, imponga tassativamente il divieto di comunicazione tra l’autore del reato e la vittima senza prevedere la possibilità di prescinderne eccezionalmente a seguito della ponderazione delle circostanze del caso concreto e, in particolare, del desiderio della vittima di riprendere la relazione con l’autore del reato.
1. Osservazioni preliminari
34. Una normativa che preveda obbligatoriamente, in tutti i casi di violenza domestica – anche di minacce verbali, come il giudice del rinvio sottolinea – una misura di allontanamento a titolo di pena accessoria di durata superiore di almeno un anno a quella della pena detentiva e che, nei casi in cui non sia stata inflitta una pena detentiva, deve durare almeno sei mesi (12), appare molto severa.
35. Il giudice del rinvio esprime chiaramente le sue perplessità circa la proporzionalità di una siffatta misura di allontanamento in situazioni in cui la vittima intenda, autonomamente e senza pressioni, riprendere la convivenza con l’autore del reato. Il giudice si chiede se non possano configurarsi situazioni eccezionali nelle quali l’imposizione di una siffatta sanzione possa, di per sé, ledere gli interessi e i diritti della vittima per la protezione dei quali la misura è, appunto, concepita. La vittima può, a tal riguardo, invocare il suo diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare. All’udienza il governo tedesco ha preso ad esempio la situazione di una coppia che gestiva un’impresa in comune. In tal caso, una misura di allontanamento potrebbe determinare la cessazione dell’impresa e, conseguentemente, addirittura distruggere le risorse economiche della vittima.
36. Il governo spagnolo ha invece sottolineato che le disposizioni severe sarebbero necessarie per contrastare efficacemente il fenomeno della violenza domestica. Va altresì osservato che sussiste a carico del legislatore un obbligo di protezione nei confronti delle vittime. Tali obblighi di protezione sono stati recentemente riaffermati anche dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (13). Proprio nei casi di violenza domestica una misura di allontanamento può costituire uno strumento ragionevole che consente alla vittima di riorganizzare la propria vita, libera da pressioni dirette. Il giudice del rinvio fa riferimento al fatto che le vittime di cui alle cause principali avrebbero formulato in piena autonomia il desiderio di riprendere la convivenza con l’autore del reato. Tuttavia, nei casi di violenza domestica, non è sempre agevole accertare se non sia stata esercitata sulla vittima alcuna pressione, potendo essa manifestarsi il più delle volte non in pubblico.
37. Risulta evidente che una misura di allontanamento obbligatoria si colloca al crocevia tra la necessità di un contrasto effettivo dello Stato contro la violenza domestica, da un lato, e il rispetto della vita privata e familiare, nonché dell’autonomia privata, dall’altro. I problemi appena accennati in questa sede rendono necessaria una difficile ponderazione dei diversi beni.
38. Per anticipare la conclusione della mia analisi: a mio avviso, tale difficile ponderazione non rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae della decisione quadro 2001/220, ma costituisce piuttosto una questione di diritto costituzionale interno (14) e relativa alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (15).
39. Come esporrò in prosieguo, la decisione quadro ha ad oggetto soltanto la posizione della vittima nel procedimento penale – per quanto possa essere intesa in senso lato. Essa non fissa alcun principio di diritto penale sostanziale, in particolare con riferimento alla natura e alla misura delle pene. La questione dell’adeguatezza di una misura di allontanamento obbligatoria, come previsto dall’ordinamento penale spagnolo, non rientra, pertanto, nel suo ambito di applicazione ratione materiae.
40. In prosieguo esporrò, anzitutto, l’obiettivo generale della decisione quadro 2001/220 per poi analizzare congiuntamente, rispettivamente, le prime due questioni, nonché la terza e la quarta questione. Procederò, infine, alla soluzione della quinta questione.
2. L’obiettivo normativo generale della decisione quadro 2001/220
41. Con la decisione quadro 2001/220 si è inteso elaborare norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità (16). Il suo obiettivo generale consiste nel salvaguardare gli interessi di dette vittime nelle diverse fasi del procedimento penale e nel garantire un livello elevato di protezione, analogo in tutta l’Unione, indipendentemente dallo Stato membro in cui esse si trovino (17). Ciascuno Stato membro deve assicurare che la vittima di un reato benefici anche di misure di assistenza tali da attenuare gli effetti del reato (18).
42. Ai termini dell’ottavo ‘considerando’ della decisione quadro, è necessario ravvicinare le norme e le prassi relative alla posizione e ai principali diritti della vittima, con particolare attenzione al diritto a un trattamento della vittima che ne salvaguardi la dignità, al diritto di informare e di essere informata, al diritto di comprendere ed essere compresa, al diritto di essere protetta nelle varie fasi del processo e al diritto di far valere lo svantaggio di risiedere in uno Stato membro diverso da quello in cui il reato è stato commesso. In altre parole, la vittima di un reato non deve essere solo un mero oggetto del procedimento. Piuttosto, – come sottolinea il quinto ‘considerando’ – è «importante prendere in considerazione e trattare le esigenze della vittima in maniera globale e coordinata, evitando soluzioni frammentarie o incoerenti che possano arrecarle pregiudizi ulteriori».
3. Prima e seconda questione pregiudiziale
43. Con le sue due prime questioni, il giudice del rinvio chiede se, da un lato, l’ottavo ‘considerando’ della decisione quadro imponga agli Stati membri di sentire la vittima in merito agli effetti di una pena irrogata contro l’autore del reato con il quale essa intrattenga una relazione familiare e, dall’altro, se dall’art. 2 della decisione quadro derivi che i giudici debbano prendere in considerazione detta deposizione.
44. In riferimento alla prima questione va preliminarmente precisato che dal ‘considerando’ di una decisione quadro non può dedursi alcun obbligo giuridico per gli Stati membri (19). I ‘considerando’ possono essere impiegati solo ai fini dell’interpretazione delle sue disposizioni.
45. Il diritto della vittima ad essere sentita è previsto dall’art. 3 della decisione quadro. Esso stabilisce che ciascuno Stato membro garantisce la possibilità per la vittima di essere sentita durante il procedimento e di fornire elementi di prova. Dato che l’art. 3 disciplina specificamente il diritto della vittima di essere sentita, ai fini della soluzione della seconda questione tale articolo deve essere esaminato prioritariamente rispetto all’art. 2, n. 1. L’ottavo ‘considerando’ può dunque assumere rilevanza tutt’al più nella concretizzazione dell’art. 3.
a) Art. 3 della decisione quadro
46. Come la Corte ha già avuto modo di affermare, in relazione al diritto delle vittime, sancito dall’art. 3, di fornire elementi di prova, agli Stati membri spetta un ampio potere discrezionale quanto alle modalità di attuazione di detto obbligo (20). Il nono ‘considerando’ della decisione quadro sottolinea pertanto altresì che gli Stati membri non sono obbligati a garantire alle vittime un trattamento equivalente a quello delle parti del procedimento. Essi restano, pertanto, liberi di stabilire in quale forma garantire alle vittime il diritto di essere sentite.
47. Al fine di tutelare adeguatamente gli interessi della vittima e non confinarla ad un ruolo meramente passivo non è peraltro consentita – come correttamente rilevano i governi polacco e tedesco – un’interpretazione restrittiva del diritto di essere sentiti. Il diritto della vittima ad essere ascoltata in giudizio deve includere, oltre alla possibilità di descrivere lo svolgimento dei fatti, anche il diritto di esprimere le proprie valutazioni e aspettative personali relative al procedimento. In ogni caso, nell’ipotesi in cui la vittima intrattenga una stretta relazione personale con l’autore del reato e, conseguentemente, l’imposizione di una pena abbia un effetto indiretto nella vita privata e familiare della stessa vittima, l’obbligo di audizione comprende parimenti l’opinione della vittima in merito all’irrogazione della pena.
48. Affinché tale diritto di essere sentiti non sia svuotato del suo effetto utile (21), deve sussistere la possibilità che il parere della vittima incida nella commisurazione della pena. La Corte, nell’interpretare l’art. 3, ha fatto ricorso a quanto prescritto dall’art. 2, n. 1 (22), a tenore del quale ciascuno Stato membro prevede, nel proprio sistema giudiziario penale, un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Al fine di realizzare detto diritto, il giudice deve tener conto delle deposizioni della vittima, consentendo, in tal modo, che esse possano confluire nella decisione del giudice. Infatti, la vittima non avrebbe alcun ruolo effettivo nel procedimento se non fosse necessario prendere in considerazione la sua deposizione.
49. Dal diritto di essere sentiti non può però derivare – come giustamente notato, inter alia, dal governo austriaco – che l’irrogazione della pena venga collocata nelle mani della vittima. La questione della commisurazione della pena richiede piuttosto una ponderazione complessa, nella quale devono essere presi in considerazione aspetti del tutto diversi, tali che essa non può basarsi soltanto sul desiderio della vittima. Pertanto, il giudice competente non è vincolato alla valutazione della vittima. Come ulteriore argomento contrario alla presa in considerazione obbligatoria della volontà della vittima, il governo svedese ha esposto giustamente che, in tal caso, si correrebbe il rischio che la vittima venga indotta dall’autore del reato a perorare dinanzi al giudice l’imposizione di una pena mite.
50. Come esporrò nell’ambito della soluzione della terza e della quarta questione, l’effettività di detto diritto di essere sentiti non è tuttavia in contrasto con il minimo di pena previsto dalla normativa nazionale. La possibilità, prevista dall’art. 3 della decisione quadro, di prendere in considerazione l’opinione della vittima deve inquadrarsi solo all’interno della pena edittale prevista dalla normativa nazionale.
b) Conclusione interlocutoria
51. A titolo di conclusione interlocutoria va pertanto tenuto fermo che l’art. 3, n. 1, obbliga gli Stati membri a consentire alla vittima di esprimere il suo punto di vista in merito all’irrogazione di una pena nei confronti dell’autore del reato con cui la vittima intrattenga una relazione familiare o affettiva profonda. Deve essere altresì consentito che il giudice prenda in considerazione l’opinione della vittima nell’emanazione della sentenza. Ciò vale, tuttavia, solo nell’ambito della pena edittale prevista dalla normativa nazionale. Va però precisato che ciò non significa che il giudice sia tenuto a rispettare la volontà della vittima. Esso non è vincolato, nella commisurazione della pena, al punto di vista espresso dalla vittima a tal proposito.
4. Terza e quarta questione pregiudiziale
52. Con tali due questioni, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se la decisione quadro osti ad una misura di allontanamento che deve essere obbligatoriamente disposta senza ponderazione delle circostanze del caso concreto e anche contro la volontà della vittima in tutti i casi di violenza domestica.
53. In considerazione dell’interpretazione dell’art. 3 esposta supra, occorre, anzitutto, esaminare il diritto di essere sentiti.
a) Art. 3 della decisione quadro
54. Ricollegandosi al diritto delle vittime di essere sentite, esaminato nel contesto delle prime due questioni, si potrebbe sostenere che tale diritto sia effettivo solo nel caso in cui l’audizione della vittima possa, in determinati casi, far sì che non venga affatto irrogata alcuna misura di allontanamento. Secondo quanto affermato dal giudice del rinvio, in caso di condanna dell’autore del reato ad una pena detentiva la misura di allontanamento è applicata per la durata di almeno un anno successivo all’espiazione della pena e, negli altri casi, essa ha una durata minima di sei mesi. Su richiesta della Corte, il governo spagnolo ha inoltre precisato all’udienza che, in casi determinati, la durata minima della misura di allontanamento può essere ridotta anche ad un mese.
55. A proposito della durata minima di sei mesi della misura di allontanamento, il Regno Unito ha espresso dubbi, all’udienza, circa la conformità della normativa spagnola alla decisione quadro. Il diritto delle vittime di essere sentite in merito alla sanzione da irrogare risulterebbe priva di effetti per tale periodo semestrale. Infatti, a prescindere da quanto la vittima possa asserire, il giudice non potrebbe disporre una misura di allontanamento di durata inferiore a sei mesi. Ciò sarebbe in contrasto con il requisito di un diritto di audizione effettivo.
56. A mio avviso, al diritto di audizione non possono essere riconosciuti simili effetti sulla misura della pena prevista dalla normativa nazionale. Allorché una vittima esponga la propria opinione in merito alla misura di allontanamento da irrogare e tale dichiarazione possa essere presa in considerazione, in generale, all’interno della pena edittale prevista dalla normativa nazionale, risultano soddisfatti i requisiti di cui all’art. 3.
57. L’imposizione di requisiti più ampi andrebbe oltre il contenuto normativo in materia procedurale della decisione quadro. Infatti, l’obiettivo di detta decisione consiste nel riconoscere alla vittima di un reato determinate garanzie procedurali nel procedimento penale. La questione se e quali pene accessorie siano previste da uno Stato membro nel caso di delitti intrafamiliari non costituisce materia regolata dalla decisione quadro 2001/220. Quest’ultima non disciplina in modo generale ed esaustivo tutti gli aspetti della protezione delle vittime, ma specificamente quelli relativi alle garanzie procedurali nel procedimento penale. Il diritto della vittima di essere sentita ex art. 3 non può quindi essere interpretato in maniera così ampia da incidere, indirettamente, persino sulla misura della pena edittale prevista dalla normativa nazionale.
58. Inoltre, anche il Regno Unito è, in linea di massima, dell’avviso che il diritto penale sostanziale e, pertanto, il genere e la durata delle pene non ricadano nell’ambito di applicazione della decisione quadro.
b) Art. 8 della decisione quadro 2001/220
59. Dall’espressione utilizzata nell’art. 8, vale a dire «livello adeguato di protezione alle vittime», il governo tedesco deduce che la decisione quadro osti all’irrogazione obbligatoria e senza eccezioni di una misura di allontanamento. Dal requisito dell’adeguatezza della protezione delle vittime deriverebbe l’obbligo degli Stati membri di procedere ad una ponderazione caso per caso di una misura di allontanamento.
60. Tale interpretazione non mi risulta convincente. In primis, non era certamente una protezione delle vittime troppo ampia quella cui il legislatore dell’Unione mirava nel porre, all’art. 8, n. 1, il requisito di un’adeguata protezione alle vittime. Nel caso in esame la protezione conseguente alla misura di allontanamento spagnola potrebbe, tuttavia, risultare inadeguata solo laddove abbia luogo contro la volontà della vittima potendo, di conseguenza, essere eventualmente troppo ampia. Il requisito di un’adeguata protezione delle vittime è stato, piuttosto, inserito nell’art. 8 per il timore di un livello di protezione troppo basso.
61. A prescindere da tale considerazione, l’art. 8 come risulta dal suo contesto normativo ha ad oggetto la protezione delle vittime nell’ambito del procedimento, «qualora esista una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella sfera della vita privata». Come giustamente rilevato dal governo svedese, dette misure di protezione sono, dunque, volte a proteggere la vittima, nel corso del processo, da sopraffazioni o da pressioni da parte dell’autore del reato ovvero di una persona proveniente dal suo ambiente. L’art. 8, n. 1, non concerne la protezione delle vittime dalle conseguenze negative delle pene irrogate contro l’autore del reato.
62. Inoltre, a favore dell’interpretazione qui sostenuta depone il rapporto, cui fa riferimento il governo olandese nelle sue osservazioni, esistente con gli altri paragrafi dell’art. 8 della decisione 2001/220. Così, in base al n. 3, ciascuno Stato membro garantisce che si evitino, ove possibile, i contatti tra vittima e autore del reato negli edifici degli organi giurisdizionali tramite l’allestimento di luoghi di attesa separati. L’art. 8, n. 4, della decisione quadro 2001/220 persegue il medesimo scopo nell’impedire che la vittima debba trovarsi in udienza pubblica di fronte all’autore del reato e ivi rendere la deposizione. Questi sono tutti aspetti concernenti il procedimento penale.
63. La garanzia di protezione di cui all’art. 8 della decisione quadro 2001/220 assolve anzitutto, in altre parole, ad un compito funzionale. Essa mira ad assicurare che la vittima possa esercitare gli altri diritti procedurali garantitile senza rischi, senza timori e, dunque, efficacemente. L’art. 8 si colloca, pertanto, in relazione con i diritti della vittima nel procedimento e non contempla, esaustivamente, tutti i possibili interessi della vittima.
64. Conseguentemente, dall’art. 8 della decisione quadro discende parimenti pertanto che tale disposizione osta alla previsione di una misura di allontanamento obbligatoria da parte del diritto penale nazionale.
c) Articolo 2 della decisione quadro 2001/220
65. Conformemente all’art. 2, n. 1, della decisione quadro 2001/220, gli Stati membri assicurano alle vittime un ruolo effettivo e appropriato nel loro sistema giudiziario penale e ne riconoscono i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale.
66. L’art. 2 non prevede alcuna garanzia concreta, ma è formulato in modo chiaramente aperto. La Corte, pertanto, ha fatto finora continuo riferimento ad esso ai fini dell’interpretazione delle garanzie concrete previste dai successivi articoli della decisione quadro (23). Detto articolo serve pertanto, piuttosto, a tratteggiare in maniera generale il programma della decisione quadro prima dell’enunciazione dei concreti obblighi degli Stati membri effettuata nei successivi articoli.
67. Tuttavia, dall’art. 2 non può dedursi alcun divieto di una misura di allontanamento da irrogare obbligatoriamente e senza eccezioni. La questione della proporzionalità di una misura di allontanamento da irrogare obbligatoriamente riguarda le pene previste dal diritto penale sostanziale. Il rinvio generale, contenuto nell’art. 2, al rispetto e al riconoscimento della vittima non è tale da determinare un obbligo a carico degli Stati membri di tutelare gli interessi delle vittime in tutto il diritto penale, anche quello sostanziale, ma si limita, piuttosto, all’ambito del diritto penale processuale.
68. Ciò si può evincere senz’altro dal titolo e dal contesto generale delle disposizioni della decisione quadro 2001/220. Tutte le norme successive all’art. 2 sono volte ad una più precisa configurazione e specificazione della posizione della vittima proprio in relazione al procedimento penale. Esse riguardano, infatti, inter alia, l’«audizione e produzione di prove», il diritto «di ottenere informazioni», le «garanzie in materia di comunicazioni» e le «spese sostenute dalla vittima in relazione al procedimento penale». In nessun luogo della decisione quadro si rinvengono esplicitamente, per contro, aspetti di protezione delle vittime inerenti al diritto penale sostanziale.
69. Nella decisione quadro non si rinvengono disposizioni né in merito al diritto penale sostanziale degli Stati membri in generale, né sulla connessa questione delle pene previste per l’autore del reato. Anche dalla definizione di vittima contenuta nell’art. 1 si può ricavare che la decisione quadro non è diretta a incidere sul diritto penale sostanziale, che viene però assunto come fondamento per la definizione dei diritti processuali della vittima. Quest’ultima è, infatti, solo la persona che ha subito un pregiudizio causato da un atto consistente nella violazione del diritto penale di uno Stato membro.
70. Un risultato contrario non consegue neanche dalla definizione della nozione di «procedimento», contenuta parimenti nell’art. 1, come utilizzata anche nell’art. 2, n. 1. Esso viene definito, in quella sede, come «procedimento inteso in senso lato», comprendente cioè, a prescindere dal procedimento penale in sé e per sé, tutti i contatti, tra la vittima in quanto tale e qualsiasi autorità, etc. anteriormente, durante o successivamente allo svolgimento del processo penale. Da detta nozione non si può dedurre che vi rientri anche la configurazione delle pene sostanziali. I ‘considerando’ sesto e decimo approfondiscono il significato delle misure e delle organizzazioni di assistenza alle vittime anteriormente e successivamente al processo penale.
71. È corretto concludere che la decisione quadro adotti un’interpretazione estensiva della nozione di procedimento solo qualora per procedimento penale, conformemente all’art. 1, si intenda il rispettivo procedimento ai sensi del diritto nazionale. Dato che gli ordinamenti nazionali possono differenziarsi con riguardo a ciò che fa parte del procedimento penale in senso proprio, risulta necessario, ai fini di una protezione delle vittime estesa a tutta l’Unione, includere anche aspetti che si collocano in relazione diretta con il procedimento penale ma che siano precedenti o successivi ad esso. La protezione della vittima può altresì richiedere che le misure di aiuto e assistenza non esauriscano improvvisamente i propri effetti con la pronuncia della sentenza, ma che si protraggano per un certo periodo.
72. Neanche un’interpretazione estensiva della nozione di procedimento trasforma, tuttavia, una sanzione penale contro l’autore del reato in un aspetto procedurale. La decisione quadro non disciplina, infatti, in modo generale ed esaustivo ogni aspetto della protezione delle vittime, ma solo quelli in relazione con le garanzie procedurali nel processo penale. La decisione quadro non mira, conseguentemente, a proteggere la vittima da effetti indiretti ed extraprocessuali della pena irrogata da un giudice contro l’autore del reato.
73. Qualora un’interpretazione della decisione quadro producesse indirettamente effetti sulle pene previste dalla normativa nazionale, si porrebbe inoltre la questione se l’Unione europea disponga, anzitutto, di una competenza normativa a tal riguardo.
74. Già in altra sede (24) ho avuto modo di sottolineare l’esistenza di dubbi quanto al fatto se le questioni di protezione delle vittime nel procedimento penale ricadano effettivamente nella sfera del fondamento normativo [art. 34, n. 2, secondo cpv., lett. b), UE] richiamato dalla decisione 2001/220. Ciò vale ancor più per gli aspetti, discussi nel caso in esame, delle pene sostanziali e della commisurazione della pena. Anche l’idea di un’interpretazione conforme al diritto primario depone, pertanto, in senso contrario ad un’interpretazione della decisione quadro tale da comprendere anche l’adeguatezza delle pene.
75. Infine, va esaminata ancora la Carta dei diritti fondamentali cui fa riferimento, in particolare, la Commissione. Ad avviso di quest’ultima, l’obbligo degli Stati membri, prescritto dall’art. 2, n. 1, della decisione quadro, di riconoscere i diritti delle vittime nel procedimento penale implica parimenti che detti Stati debbano garantire tutti i diritti enunciati dalla Carta dei diritti fondamentali. La Commissione individua, dunque, una violazione dell’art. 7 della Carta che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
76. A tal riguardo, va ricordato che, sebbene la decisione quadro debba essere interpretata in maniera tale che siano rispettati i diritti fondamentali (25), ciò può tuttavia valere solo nel contesto del suo ambito di applicazione ratione materiae. Già in premessa ho accennato alla possibilità che, nei fatti oggetto di esame, vengano incisi diritti fondamentali delle vittime. Nondimeno, tale considerazione non può però determinare l’attribuzione alla decisione quadro di un contenuto che essa non possiede.
77. Nel caso di specie non si pone, pertanto, neanche la questione relativa all’interpretazione dell’art. 51, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali che stabilisce l’ambito di applicazione della Carta medesima. In base ad esso la Carta si applica agli Stati membri «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione». Non è stato ancora del tutto chiarito se tale espressione debba essere interpretata restrittivamente oppure se comprenda tutti i casi in cui una normativa nazionale rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (26).
78. Dato che la decisione quadro verte soltanto sugli aspetti processuali penali della protezione delle vittime e non sulle pene da irrogare all’autore del reato, la fattispecie in esame non rientra nell’ambito di applicazione della decisione quadro e, pertanto, del diritto dell’Unione.
79. La Corte non è dunque competente a valutare se e in quale misura le norme di diritto penale spagnolo, censurate dal giudice del rinvio, concernenti l’imposizione di una misura di allontanamento in caso di reati di violenza domestica, siano compatibili con i diritti fondamentali, ad esempio con l’obbligo di rispetto della vita privata e familiare (27). L’accertamento dei diritti fondamentali degli interessati resta, piuttosto, un compito del giudice costituzionale nazionale ovvero della Corte europea dei diritti dell’uomo.
d) Conclusione interlocutoria
80. Le questioni pregiudiziali terza e quarta vanno dunque risolte nei termini seguenti: la decisione quadro 2001/220 non riguarda la questione dell’adeguatezza delle pene da irrogare. Essa non osta, pertanto, ad una normativa nazionale che preveda obbligatoriamente e senza eccezioni una misura di allontanamento a titolo di pena accessoria.
5. Quinta questione pregiudiziale
81. Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 10 della decisione quadro 2001/220 debba essere interpretato nel senso che esso obblighi gli Stati membri a prevedere la possibilità della mediazione anche in caso di reati intrafamiliari.
82. Sul punto va nuovamente sottolineato, anzitutto, che la decisione quadro è vincolante solo quanto al risultato, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Quanto alle modalità concrete di applicazione, deve essere lasciato agli Stati membri un ampio potere discrezionale (28).
83. In relazione alla possibilità della mediazione nell’ambito del procedimento penale, l’art. 10 della decisione quadro 2001/220 si limita ad imporre agli Stati membri il compito di provvedere a promuovere la mediazione per i reati che essi ritengano «idonei». Già tale ampio criterio di idoneità evidenzia che la scelta dei reati per i quali è possibile la mediazione spetta agli Stati membri (29).
84. Se è vero che la valutazione degli Stati membri può essere indubbiamente limitata dall’obbligo di utilizzare criteri oggettivi ai fini della determinazione dei tipi di reati de quibus (30), nulla indica però che ciò non sia avvenuto nella presente fattispecie. Infatti, alla possibilità di mediazione resta ancora un ambito di applicazione ratione materiae anche qualora venga esclusa la mediazione per i delitti intrafamiliari.
VI – Conclusione
85. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle domande di pronuncia pregiudiziale nel modo seguente:
1) L’art. 3 della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, obbliga gli Stati membri a consentire alla vittima di esprimere il suo punto di vista in merito all’irrogazione di una pena contro l’autore del reato con il quale la vittima intrattenga una stretta relazione personale e, conseguentemente, l’imposizione di una pena abbia un effetto indiretto nella vita privata e familiare della stessa vittima. Deve essere altresì consentito che il giudice prenda in considerazione l’opinione della vittima nell’emanazione della sentenza. Ciò vale, tuttavia, solo nell’ambito della pena edittale prevista dalla normativa nazionale e non significa neanche che il giudice sia vincolato alla volontà della vittima.
2) La decisione quadro 2001/220 non concerne la questione dell’adeguatezza delle pene da irrogare. Essa non osta, pertanto, ad una normativa nazionale che preveda obbligatoriamente e senza eccezioni una misura di allontanamento come pena accessoria.
3) L’art. 10 della decisione quadro 2001/220 conferisce agli Stati membri un ampio margine discrezionale nella determinazione dei reati per i quali prevedere una mediazione. La norma non obbliga gli Stati membri a prevedere una mediazione nel caso di reati intrafamiliari.