Language of document : ECLI:EU:C:2009:481

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 16 luglio 2009 1(1)

Causa C‑325/08

Olympique Lyonnais

contro

Olivier Bernard e Newcastle United

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Cour de Cassation (Francia)]

«Libera circolazione dei lavoratori – Disposizione nazionale in forza della quale un calciatore è tenuto a indennizzare la società che lo ha formato se, al termine della formazione, conclude un contratto come giocatore professionista con una società in un altro Stato membro – Ostacolo alla libertà di circolazione – Giustificazione dovuta all’esigenza di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani giocatori professionisti»





1.        Per quelli che seguono «il bel gioco», si tratta di una passione – persino una religione (2). Folle di devoti tifosi attraversano tutto il territorio dell’Unione per sostenere la loro squadra ad ogni partita, e l’attesa prestazione di potenziali nuove reclute (sottoscrizioni di possibili trasferimenti e talenti del vivaio) è una questione di cruciale importanza. Per i ragazzi più dotati, l’essere individuati da uno scopritore di talenti e ottenere un tirocinio (ossia, un contratto di formazione) con una buona società è una chiave magica che apre la porta di una carriera da professionista. Prima o poi, tuttavia, il sogno della gloria come calciatore è necessariamente associato alla cruda realtà di guadagnare il massimo reddito ottenibile in un periodo di tempo limitato come giocatore professionista presso una società che sia disposta ad offrire la migliore busta paga. Allo stesso tempo, le società sono comprensibilmente riluttanti a vedere le «loro» migliori giovani promesse, nella cui formazione hanno fortemente investito, catturate da altre società. Quando la società di formazione è piccola e relativamente povera e la società cacciatrice è grande ed enormemente più ricca, tali manovre rappresentano una vera minaccia per la sopravvivenza (sia economica sia sportiva) della società più piccola.

2.        I fatti alla base della presente domanda pregiudiziale possono essere esposti brevemente. Ad un giovane calciatore veniva offerto un contratto come professionista dalla società francese che lo aveva formato per tre anni. Egli rifiutava, ma accettava un’altra offerta di giocare come professionista per una società inglese. All’epoca, le disposizioni in materia di calcio professionistico in Francia lo rendevano passibile di condanna al risarcimento dei danni nei confronti della società francese. La suddetta società citava sia lui sia la società inglese davanti ai giudici francesi chiedendone la condanna al pagamento di una somma pari alla retribuzione che egli avrebbe percepito in un anno se avesse sottoscritto il contratto con la società francese.

3.        In tale quadro, la Cour de Cassation (Corte di Cassazione francese) chiede se le descritte disposizioni siano in contrasto con il principio della libera circolazione dei lavoratori di cui all’art. 39 CE e se, in tal caso, possano essere giustificate dalla necessità di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti.

 Disposizioni rilevanti

 Diritto comunitario

4.        L’art. 39 CE garantisce la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica, tale libertà implica in particolare il diritto a) di rispondere ad offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro.

 Disposizioni nazionali

5.        All’epoca dei fatti (3), l’art. L. 120‑2 del Code du travail (Codice del lavoro francese) disponeva: «Nessuno può limitare i diritti personali o le libertà individuali o collettive mediante restrizioni che non sono giustificate dalla natura del compito da svolgere e proporzionate allo scopo perseguito».

6.        L’art. L. 122‑3‑8 del medesimo codice disponeva che un contratto di lavoro a tempo determinato poteva essere risolto prima della scadenza solo con l’accordo delle parti o in caso di grave violazione o di forza maggiore. Se il datore di lavoro risolveva il contratto anticipatamente in altre circostanze, il lavoratore aveva diritto ad un risarcimento pari almeno al salario che avrebbe percepito se il contratto fosse arrivato a scadenza. Se il lavoratore risolveva il contratto, il datore di lavoro aveva diritto ad un risarcimento dei danni corrispondente alle perdite sopportate.

7.        A quell’epoca, il Code du Sport (Codice dello Sport) non conteneva disposizioni relative alla formazione di atleti professionisti, sebbene ora l’art. L. 211‑5 preveda che i contratti di formazione professionale possono richiedere che un tirocinante, al termine della formazione, concluda un contratto di lavoro con la società di formazione per un periodo non superiore ai tre anni.

8.        L’assunzione di calciatori professionisti è stata ulteriormente regolata in Francia dalla Charte du Football Professionnel (Carta dei calciatori professionisti), che ha valore di contratto collettivo per il settore. Il Titolo III, Capo IV, della Carta (nella versione del 1997‑1998) concerneva una categoria conosciuta come «joueurs espoir» – promesse del calcio di età compresa tra i 16 ed i 22 anni che sperano di intraprendere una carriera da professionisti, assunti come tirocinanti da una società professionista, con un contratto a tempo determinato. L’art. 23 del suddetto capo (4) disponeva, tra l’altro:

«(…)

Alla normale scadenza del contratto, la società può esigere dalla controparte la stipula di un contratto come calciatore professionista.

(…)

1.      Qualora la società non usufruisca di tale facoltà, il calciatore potrà definire la propria situazione come segue:

(a)      sottoscrivendo un contratto come calciatore professionista con una società di sua scelta, senza che sia dovuta alcuna indennità alla società di provenienza;

(…)

2.      Se rifiuta di stipulare un contratto come giocatore professionista, il calciatore non potrà, per un periodo di tre anni, sottoscrivere alcun contratto a qualunque titolo con un’altra società della [lega nazionale francese del calcio] senza il consenso scritto della società in cui è stato “joueur espoir” (…)

(…)»

9.        All’epoca dei fatti, tale Carta – che si applicava e continua ad applicarsi solo in Francia – non regolava l’indennità tra società nei casi in cui un calciatore fosse stato formato da una società e poi avesse firmato un contratto con un’altra società, mentre ora invece essa disciplina tale fattispecie. Secondo il rappresentante del Governo francese all’udienza, le regole attualmente in vigore in Francia sono sostanzialmente coincidenti con le attuali regole della FIFA esposte di seguito.

 Disposizioni internazionali

10.      Per quanto riguarda i trasferimenti tra società di calcio in paesi diversi, il Regolamento della FIFA relativo allo statuto e ai trasferimenti dei calciatori (in prosieguo: il «Regolamento») ora contiene disposizioni sull’indennità di formazione qualora un calciatore firmi il suo primo contratto da professionista o venga trasferito prima della fine della stagione in cui cade il suo 23° compleanno. Il citato Regolamento è stato elaborato in collaborazione con la Commissione, sulla scia della sentenza della Corte nella causa Bosman (5).

11.      In base all’art. 20 del Regolamento della FIFA e all’allegato n. 4 del medesimo, l’indennità di formazione è corrisposta alla società o alle società di formazione del calciatore quando egli sottoscrive il suo primo contratto da professionista e, successivamente, ogni volta che viene trasferito come professionista fino al termine della stagione in cui cade il suo 23° compleanno.

12.      Al primo tesseramento come professionista, la società con la quale è iscritto corrisponde un’indennità di formazione ad ogni società che abbia contribuito alla sua formazione, in proporzione al periodo trascorso presso ciascuna società. Per i trasferimenti successivi, l’indennità di formazione è dovuta alla società di provenienza solo per il periodo durante il quale egli è stato effettivamente formato da quella società.

13.      Le società sono suddivise in categorie in base all’investimento finanziario nella formazione dei giocatori. I costi di formazione per ciascuna categoria corrispondono alla spesa necessaria per formare un calciatore per un anno, moltiplicato per un «fattore giocatore» medio – il rapporto di giocatori che è necessario formare per avere un calciatore professionista.

14.      Il calcolo tiene conto dei costi che la nuova società avrebbe dovuto sostenere se avesse formato essa stessa il calciatore. In generale, la prima volta che un calciatore viene tesserato come professionista, l’indennità è calcolata tenendo conto dei costi di formazione sopportati dalla nuova società moltiplicati per il numero di anni di formazione. Per i trasferimenti successivi, il calcolo è basato sui costi di formazione a carico della nuova società moltiplicati per il numero di anni di formazione presso la società di provenienza.

15.      Tuttavia, per i giocatori che si muovono all’interno dell’Unione europea o dello Spazio Economico Europeo, se il calciatore si sposta da una società di categoria inferiore ad una di categoria superiore, il calcolo è basato sulla media dei costi di formazione delle due società; se si sposta da una categoria superiore ad una inferiore, il calcolo è basato sui costi di formazione della società della categoria inferiore.

16.      C’è anche un «meccanismo di solidarietà» disciplinato dall’art. 21 e dall’allegato n. 5. Se un professionista viene trasferito prima della scadenza del suo contratto, ogni società che ha contribuito alla sua istruzione e formazione nel periodo compreso tra il suo 12° e 23° compleanno riceve una percentuale dell’indennità pagata alla sua società di provenienza. Essa ammonta complessivamente ad un massimo del 5% dell’indennità totale, distribuita nelle diverse stagioni e tra le società interessate.

17.      Allo stesso modo della situazione in Francia, all’epoca dei fatti non esistevano regole internazionali di questo tenore.

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

18.      Nel 1997, Olivier Bernard firmava un contratto come «joueur espoir» con la società di calcio francese Olympique Lyonnais, con decorrenza dal 1° luglio dello stesso anno, per tre stagioni. Prima della scadenza del contratto, l’Olympique Lyonnais gli offriva un contratto da professionista per un anno a partire dal 1° luglio 2000. Il signor Bernard (apparentemente insoddisfatto per il compenso proposto) non accettava l’offerta ed invece, nell’agosto 2000, sottoscriveva un contratto come professionista con la società inglese Newcastle United (6).

19.      Venuta a conoscenza di tale contratto, l’Olympique Lyonnais citava il signor Bernard davanti al Conseil de Prud’hommes (Tribunale del lavoro) di Lione, chiedendo che venisse condannato in solido con la Newcastle United al risarcimento dei danni. L’importo richiesto era pari ad EUR 53 357,16 – equivalente, secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, alla retribuzione che il signor Bernard avrebbe percepito in un anno se avesse sottoscritto il contratto offertogli dall’Olympique Lyonnais.

20.      Il Conseil de Prud’hommes ha ritenuto che il signor Bernard avesse risolto il contratto unilateralmente e, in forza dell’art. L. 122‑3‑8 dell’Employment Code, condannava lui e la Newcastle United a pagare in solido all’Olympique Lyonnais una somma pari a EUR 22 867,35. La sentenza non recava alcuna motivazione relativamente alla differenza tra l’importo richiesto e quello accordato.

21.      I convenuti proponevano appello dinnanzi alla Cour d’appel (Corte d’appello) di Lione, che ha dichiarato l’art. 23 della Carta del calcio illegittimo. Ha ritenuto che la restrizione da essa imposta fosse incompatibile con il principio fondamentale della libertà di esercitare un’attività professionale e con l’art. L. 120‑2 dell’Employment Code. In particolare, non c’era nessuna disposizione che specificasse l’ammontare dell’indennità che doveva essere corrisposta per la formazione nel caso di risoluzione anticipata del contratto. Esigere che un calciatore continui a lavorare per la società che lo ha formato costituisce una restrizione alla libertà di contrarre sproporzionata rispetto alla protezione dei legittimi interessi della società, a prescindere dai costi di formazione.

22.      Benché la Newcastle United avesse formulato una richiesta in tal senso, nessuno dei suddetti giudici reputava necessario rinviare la questione per la pronuncia pregiudiziale. La Cour d’appel, tuttavia, pur basando la propria decisione sul diritto francese, riteneva che il requisito imposto dall’art. 23 della Carta del calcio fosse contrario anche al principio di cui all’art. 39 CE.

23.      L’Olympique Lyonnais ha ora presentato ricorso alla Cour de Cassation. Il suddetto giudice evidenzia come il ricorso dell’Olympique Lyonnais si fondi sul mancato adempimento da parte del sig. Bernard dell’obbligo di sottoscrivere un contratto con la società che lo ha formato e non sul divieto di sottoscrivere un contratto con un’altra società della lega francese. L’obbligo in questione non proibisce ad un calciatore di firmare un contratto con una società estera, ma è probabile che lo dissuada dal farlo in quanto può incorrere in una responsabilità per danni. D’altro canto, tale responsabilità potrebbe essere giustificata dal legittimo interesse della società a tenere un giovane calciatore che ha appena formato.

24.      La Cour de cassation richiama la sentenza nella causa Bosman, in base alla quale l’art. 39 CE «osta all’applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del contratto che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società di un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un’indennità di trasferimento, di formazione o di promozione», e ritiene che il caso in oggetto dia origine ad una seria difficoltà nell’interpretazione di tale articolo.

25.      Pertanto, essa richiede una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1.      Se il principio della libera circolazione dei lavoratori sancito dall’[art. 39 CE] osti ad una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un “joueur espoir” che, al termine del proprio periodo di formazione, sottoscriva un contratto come calciatore professionista con una società di un altro Stato membro dell’Unione europea si rende passibile di condanna ad un risarcimento danni.

2.      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la necessità di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti costituisca un obiettivo legittimo o una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare una siffatta restrizione».

26.      Osservazioni scritte sono state presentate dall’Olympique Lyonnais e dalla Newcastle United, dai governi francese, italiano, dei Paesi Bassi e del Regno Unito, nonché dalla Commissione. All’udienza del 5 maggio 2009, l’Olympique Lyonnais, il governo francese e la Commissione hanno presentato argomentazioni orali.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

 Implicazioni delle questioni

27.      Mi sembra importante ricordare che l’attività sportiva ricade nell’ambito di applicazione del diritto comunitario solo e proprio perchè e in quanto rientri nella sfera delle attività economiche ed individuali e delle libertà delle quali tale diritto si occupa. Ciò è indubbiamente una delle premesse fondamentali alla base della sentenza nella causa Bosman (7).

28.      Perciò, se i principi e le regole del diritto comunitario si applicano a situazioni come quella di cui al caso di specie, allora, di conseguenza, la decisione della Corte in questo caso ha, potenzialmente, implicazioni maggiori per i lavoratori e i datori di lavoro in tutti i settori interessati da tali principi e regole.

29.      Pertanto ha ragione il governo dei Paesi Bassi a sottolineare che il presente caso si ripercuote sulla questione generale di un datore di lavoro che voglia investire nella formazione di un dipendente, ma non sia disposto a vedere tale dipendente portare immediatamente via le preziose abilità acquisite per metterle al servizio di un datore di lavoro concorrente. Tale questione concerne il diritto comunitario in quanto, come ogni restrizione posta alla libertà di un lavoratore di cercare o accettare un altro impiego, potrebbe restringere la sua libertà di circolazione all’interno della Comunità.

30.      Le caratteristiche peculiari dello sport in generale, e del calcio in particolare, non mi sembrano di estrema importanza per valutare se si sia in presenza di una restrizione vietata alla libertà di circolazione. Tuttavia, esse devono essere considerate attentamente quando si esaminano le possibili giustificazioni per una tale restrizione – proprio come le specifiche caratteristiche di qualsiasi altro settore dovrebbero essere tenute a mente quando si esamina la giustificazione alle restrizioni applicabili in tale settore.

31.      Detto ciò, tuttavia, non ritengo che la Corte abbia ascoltato sufficienti argomenti per trattare adeguatamente della questione più ampia. Il governo dei Paesi Bassi, che ha sollevato la questione più generale nelle sue osservazioni scritte, non era presente all’udienza, e nessuna delle parti presenti si è soffermata sulla questione, pur essendo stata sollecitata dalla Corte. In tali circostanze, propongo di non considerare nel dettaglio le implicazioni più ampie del caso, e suggerisco che la Corte circoscriva la propria decisione allo specifico contesto del procedimento principale.

 Ambito della disposizione contestata

32.      Come pongono in evidenza sia la Newcastle United sia il governo del Regno Unito, l’art. 23 della Carta del calcio non contiene un obbligo specifico di corrispondere un’indennità a carico di un giocatore che stipuli un contratto con una società di un altro Stato membro al termine della sua formazione con una società francese.

33.      Tuttavia, le questioni rimesse alla Corte riguardano la compatibilità con il diritto comunitario non di una qualsivoglia disposizione specifica, ma di una norma «in forza della quale un “joueur espoir” che al termine del proprio periodo di formazione sottoscriva un contratto come giocatore professionista con una società di un altro Stato membro dell’Unione europea può essere condannato al risarcimento dei danni». Questo è il significato che il Conseil de Prud’hommes ha attribuito all’art. 23 della Carta del calcio e all’art. L. 122‑3‑8 del Codice del Lavoro, e né la Cour d’appel né la Cour de Cassation hanno affermato che esso aveva errato nel dare tale interpretazione – ma semplicemente che il significato in questione è, o può essere, incompatibile con una norma di diritto di rango superiore.

34.      Di conseguenza, l’interesse di questa Corte deve appuntarsi sull’effetto descritto, qualsiasi sia la disposizione che lo contiene.

 Questione n. 1: compatibilità con l’art. 39 CE

35.      Alla prima questione può rispondersi brevemente e semplicemente: una norma che produce l’effetto descritto è, in linea di principio, vietata dall’art. 39 CE. Le ragioni che portano a tale conclusione sono state esposte, più o meno dettagliatamente, nella maggior parte delle osservazioni presentate alla Corte.

36.      Lo sport è soggetto al diritto comunitario in quanto possa essere considerato un’attività economica ai sensi dell’art. 2 CE. L’assunzione retribuita di un calciatore professionista o semiprofessionista costituisce una tale attività economica (8).

37.      L’art. 39 CE si applica non solo agli atti delle autorità pubbliche, ma anche alle normative di altra natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato, incluse le norme della federazione del gioco del calcio (9). Tutte le disposizioni richiamate nel caso presente ricadono in una o in un’altra delle suddette categorie.

38.      La situazione di un giocatore francese, residente in Francia, che conclude un contratto di lavoro con una società di calcio di un altro Stato membro, non è una situazione interamente interna che esula dall’ambito di applicazione del diritto comunitario. Costituisce accettazione di un’offerta di lavoro effettivamente fatta, alla quale si applica specificamente l’art. 39 del Trattato CE.

39.      Una norma può essere considerata come un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori se impedisce o dissuade un cittadino di uno Stato membro dall’esercitare il proprio diritto alla libera circolazione in un altro Stato membro, persino qualora si applichi a prescindere dalla nazionalità dei lavoratori interessati (10), a meno che il potenziale impedimento all’esercizio della libertà di circolazione sia troppo aleatorio e indiretto (11).

40.      Le norme che impongono il pagamento di un’indennità di trasferimento, di formazione o di sviluppo tra società all’atto del trasferimento di un calciatore professionista costituiscono, in linea di principio, un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. È probabile che limitino la libera circolazione dei calciatori che intendono proseguire la propria attività in un altro Stato membro persino quando si applicano anche ai trasferimenti tra società dello stesso Stato membro (12). Le norme in base alle quali un calciatore professionista non può proseguire la sua attività con una nuova società in un altro Stato membro a meno che non corrisponda alla società di provenienza un’indennità di trasferimento costituiscono un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori (13).

41.      Se una norma che impone al nuovo datore di lavoro di pagare una somma di denaro al precedente datore di lavoro è perciò in linea di principio un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, ciò deve essere ugualmente o a maggior ragione vero se è il lavoratore stesso ad essere responsabile a qualsiasi titolo. Egli deve o convincere il nuovo datore di lavoro a versare l’indennità da lui dovuta o deve farvi fronte con le proprie risorse che, con ogni probabilità, saranno inferiori a quelle di cui dispone un datore di lavoro. Né il potenziale impedimento all’esercizio della libera circolazione è in alcun modo aleatorio o indiretto. L’obbligo di versare una somma di denaro è un elemento prioritario e rilevante per qualsiasi lavoratore che contempli di rifiutare un’offerta di lavoro per accettarne un’altra (14).

42.      Tale analisi, a mio parere, non è inficiata dalle osservazioni dell’Olympique Lyonnais secondo le quali una situazione del tipo di cui si discute non sarebbe interessata dall’art. 39 CE, in quanto tale articolo riguarderebbe la discriminazione per ragioni di nazionalità e non le restrizioni alla libertà di contrarre nel quadro di obbligazioni reciproche a titolo oneroso, e/o in quanto la controversia di fatto ricadrebbe nell’ambito del diritto della concorrenza, come caso di (presunta) concorrenza sleale.

43.      Per quanto riguarda il primo punto, dalla giurisprudenza della Corte è evidente che l’art. 39 CE riguarda le restrizioni alla libertà di contrarre se sono tali da impedire o dissuadere un cittadino di uno Stato membro dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione in un altro Stato membro, almeno quando derivino da atti di autorità pubbliche o da normative volte a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato. Per quanto concerne il secondo punto, sebbene la controversia tra l’Olympique Lyonnais e la Newcastle United possa ben riguardare questioni di diritto della concorrenza, tali questioni non sono state sollevate dal giudice del rinvio, così che gli Stati membri e la Commissione non hanno avuto la possibilità di presentare osservazioni in merito. Peraltro, anche qualora la controversia sollevasse questioni di diritto della concorrenza, ciò non osterebbe di per sé all’applicazione delle disposizioni del Trattato in materia di libertà di circolazione (15).

 Questione n. 2: possibile giustificazione

44.      Le misure nazionali che possono ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio di libertà fondamentali garantite dal Trattato possono nondimeno sfuggire al divieto se perseguono uno scopo legittimo compatibile con il Trattato. Perché sia così, tuttavia, esse devono soddisfare quattro ulteriori condizioni: devono essere applicate in modo non discriminatorio; devono essere giustificate da primarie ragioni di pubblico interesse; devono essere idonee ad assicurare il raggiungimento dell’obiettivo che perseguono; non devono andare oltre ciò che è necessario per il raggiungimento di tale obiettivo (16).

45.      Si può difficilmente contestare che l’ingaggio e la formazione di un giovane calciatore professionista sia uno scopo legittimo compatibile con il Trattato. Non solo tutti coloro che hanno presentato osservazioni concordano sul punto, ma la stessa Corte lo ha affermato (17). Né, nel caso presente, c’è qualche indizio nel senso che le norme di cui si discute siano applicate in modo discriminatorio.

46.      Come ha rilevato la Corte nella sentenza Bosman (18), è impossibile prevedere con certezza il futuro sportivo di giovani calciatori. Solo un numero limitato arriva a giocare da professionista, così che non può esservi alcuna garanzia che un tirocinante si dimostrerà, di fatto, un bene prezioso sia per la società di formazione sia per qualsiasi altra società. Norme come quella di cui qui si discute sono perciò forse non decisive al fine di incentivare le società ad ingaggiare e formare giovani calciatori. Nondimeno, le suddette norme assicurano che le società non siano disincentivate nell’ingaggio e nella formazione dalla prospettiva di vedere il proprio investimento nella formazione utilizzato a beneficio di qualche altra società, senza alcuna indennità per loro. La tesi secondo cui norme aventi tale effetto sarebbero giustificate dal pubblico interesse sembra plausibile.

47.      D’altro lato, in Europa, il calcio professionistico non è solo un’attività economica, ma anche una questione di considerevole importanza a livello sociale. Dal momento che è generalmente percepito come collegato e condividente molte delle virtù dello sport a livello amatoriale, c’è un vasto consenso pubblico sul fatto che la formazione e l’ingaggio di giovani calciatori debba essere incoraggiato più che scoraggiato. Più specificamente, il Consiglio europeo di Nizza nel 2000 ha riconosciuto che «la Comunità deve tenere conto (…) delle funzioni sociali, educative e culturali dello sport, che ne costituiscono la specificità, al fine di rispettare e di promuovere l’etica e la solidarietà necessarie a preservarne il ruolo sociale» (19). Inoltre, sia il Libro Bianco della Commissione sullo sport (20), che la risoluzione del Parlamento su di esso (21), pongono considerevole enfasi sull’importanza della formazione.

48.      Per altro verso, più in generale, come evidenziato dal governo dei Paesi Bassi, la strategia di Lisbona adottata dal Consiglio europeo del marzo 2000 e le varie decisioni e linee guida adottate da allora in vista della sua attuazione, nei campi dell’educazione, della formazione e dell’apprendimento continuo, danno primaria importanza alla formazione professionale in tutti i settori. Se i datori di lavoro sono sicuri di poter beneficiare per un ragionevole periodo di tempo dei servizi dei dipendenti che provvedono a formare, ciò è un incentivo alla formazione, il che è anche nell’interesse degli stessi lavoratori.

49.      Tuttavia, è molto più difficile accettare che la norma di cui si discute nel presente procedimento sia idonea ad assicurare il raggiungimento del suddetto obiettivo e non vada oltre ciò che è necessario allo scopo.

50.      Tutti quelli che hanno presentato osservazioni – inclusa l’Olympique Lyonnais – convengono sul fatto che solo una misura che indennizzi le società in modo proporzionato rispetto ai costi di formazione effettivi è appropriata e proporzionata a tale fine. Di conseguenza, un’indennità basata sulla futura retribuzione del giocatore o sul (mancato) futuro profitto della società non sarebbe accettabile.

51.      Quella appena esposta mi sembra essere un’analisi corretta. Degli ultimi due criteri, il primo potrebbe essere suscettibile di manipolazioni ad opera della società, mentre il secondo sarebbe troppo incerto. Nessuno dei due sembrerebbe avere particolare rilevanza rispetto alla questione essenziale dell’incentivare (o almeno di non scoraggiare) l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori. L’indennità collegata agli effettivi costi di formazione sembra assai più rilevante. Tuttavia, è stata espressa una serie di ulteriori avvertimenti.

52.      In primo luogo, giacché solo una minoranza dei calciatori tirocinanti risulterà avere in seguito un valore di mercato nel calcio professionistico, mentre per individuare suddetta minoranza dovrà essere formato un numero di giocatori significativamente maggiore, l’investimento nella formazione risulterebbe scoraggiato se, nel determinare l’indennità più appropriata, fosse preso in considerazione unicamente il costo di formazione del singolo calciatore. È perciò opportuno che una società che ingaggia un calciatore formato da un’altra società, paghi un’indennità che rappresenti una rilevante percentuale dei costi totali di formazione sopportati da quest’ultima.

53.      In secondo luogo, può succedere che la formazione di un particolare calciatore venga effettuata da più società, così che qualsiasi indennità dovuta dovrebbe, tramite alcuni opportuni meccanismi, essere suddivisa in proporzione tra le società coinvolte.

54.      Entrambe queste preoccupazioni appaiono rilevanti al fine di determinare se uno specifico progetto di indennità sia adeguato e proporzionato allo scopo di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti.

55.      Sono meno convinta della terza preoccupazione che è stata espressa, ossia che l’onere di corrispondere l’indennità dovrebbe gravare unicamente sul nuovo datore di lavoro e non sull’ex tirocinante.

56.      Questa non mi sembra un’affermazione che si possa sostenere incondizionatamente. In generale, le abilità e la competenza che fanno acquistare al singolo un valore sul mercato del lavoro possono essere acquisite a sue spese, a spese della collettività o a spese del datore del lavoro che lo ha formato in cambio dei suoi servizi. Se, in quest’ultimo caso, allo scadere del periodo di formazione, il «saldo» tra i costi di formazione e i servizi resi indica che il costo della formazione non è stato ancora pienamente indennizzato, allora non sembra irragionevole che al tirocinante si richieda di «provvedere al saldo», o fornendo ulteriori servizi come dipendente o (qualora non volesse farlo) pagando un’indennità per l’equivalente. Sebbene la necessità di pagare un’indennità di formazione possa dissuadere un lavoratore dall’accettare di sottoscrivere un contratto con un nuovo datore di lavoro, nello stesso come in un altro Stato membro, non sembra esservi una particolare ragione per la quale egli dovrebbe essere posto, a spese del datore di lavoro che lo ha formato, in una posizione migliore per accettare tale contratto rispetto ad un altro candidato che si è formato a proprie spese.

57.      Tali considerazioni, tuttavia, variano a seconda del modo in cui la formazione è generalmente organizzata in un particolare settore. Se, come sembra essere il caso, la formazione di calciatori professionisti è di norma a carico della società, allora una disciplina relativa alle indennità tra società, che non coinvolga gli stessi giocatori, sembra adeguata. Ed io vorrei sottolineare che, se dovesse essere lo stesso calciatore a sopportare il pagamento dell’indennità di formazione, l’importo dovrebbe essere calcolato unicamente sulla base del costo della sua formazione individuale, senza tenere conto dei costi totali di formazione. Se è necessario formare un numero n di giocatori per averne uno destinato ad avere successo professionalmente, allora il costo sopportato dalla società di formazione (ed il risparmio della nuova società) sarà pari al costo di formazione di quel numero n di calciatori. Sembra corretto e proporzionato che l’indennità tra società si basi su tale costo. Per il singolo calciatore, tuttavia, solo i costi individuali della sua formazione sembrano rilevanti.

58.      In sintesi, la necessità di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti può giustificare l’obbligo di pagare un’indennità di formazione qualora non si ottemperi all’obbligo di restare con la società di formazione per un periodo determinato (e non eccessivamente lungo) (22) dopo il completamento della formazione. Tuttavia, ciò vale solo se l’importo di cui si tratta è basato sui costi effettivi in cui è incorsa la società di formazione e/o risparmiati dalla nuova società nonché, nella misura in cui l’indennità debba essere pagata dallo stesso calciatore, limitata ai restanti costi della formazione individuale.

 Le norme francesi e della FIFA attualmente in vigore

59.      Molte delle parti che hanno presentato osservazioni hanno richiamato l’attenzione della Corte sulle norme attualmente contenute negli artt. 20 e 21, nonché negli allegati nn. 4 e 5 delle Regole FIFA sullo status e il trasferimento dei giocatori. Tali norme ora disciplinano situazioni come quella del signor Bernard, ma non erano in vigore all’epoca dei fatti di cui alla presente controversia. Tali norme sono state adottate nel 2001, con l’approvazione della Commissione, con l’obiettivo di conformarsi alla giurisprudenza della Corte, in particolare alla decisione nella sentenza Bosman. Il governo francese inoltre sottolinea che la Carta francese del calcio professionistico ha fatto lo stesso ed ora contiene norme simili per le situazioni interne.

60.      Il governo del Regno Unito mette in risalto in particolare come, in base alle attuali norme della FIFA, sia la società e non il calciatore a pagare l’indennità. L’indennità è calcolata tenendo conto dei costi di formazione per un calciatore ed è corretta in base al rapporto dei tirocinanti necessari per produrre un calciatore professionista. Varie tutele e limiti rendono l’indennità proporzionata al fine perseguito ed un meccanismo di solidarietà ripartisce l’indennità tra le diverse società che abbiano tutte contribuito alla formazione.

61.      Esplicitamente o implicitamente, le suddette parti hanno anche richiesto che la Corte dia il suo placet alle norme attualmente in vigore.

62.      Tuttavia, a mio parere una specifica approvazione non sarebbe corretta nel contesto del caso presente, che concerne una situazione alla quale le suddette norme non si applicavano. Detto ciò, alcune delle ragioni che ho esposto supra ed alcune delle ragioni che saranno utilizzate dalla Corte nella sua sentenza, possono ben essere rilevanti se e quando dovesse diventare necessario esaminare la compatibilità delle suddette norme con il diritto comunitario.

 Conclusione

63.      Alla luce di tutto quanto precede, sono dell’avviso che la Corte debba risolvere le questioni sollevate dalla Cour de Cassation nel modo seguente:

1)      Una norma di diritto nazionale in forza della quale un calciatore tirocinante che al termine del proprio periodo di formazione sottoscriva un contratto come calciatore professionista con una società di un altro Stato membro può essere condannato al risarcimento dei danni è, in linea di principio, vietata dal principio di libera circolazione dei lavoratori di cui all’art. 39 del Trattato CE.

2)      Una tale norma può nondimeno essere giustificata dalla necessità di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti, a condizione che l’importo considerato sia basato sui costi effettivi sopportati dalla società di formazione e/o risparmiati dalla nuova società e, relativamente alla parte di indennità che dovesse essere pagata dallo stesso calciatore, limitata ai restanti costi della formazione individuale.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Come scrive Bill Shankly (forse in modo apocrifo) riflettendo sul rapporto tra i tifosi del Liverpool e dell’Everton, «alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Sono veramente infastidito da questo atteggiamento. Vi posso assicurare che è molto, molto più importante di così» (traduzione libera). Per altre versioni di ciò che può (o non può) essere stato detto, vedi http://www.shankly.com/Webs/billshankly/default.aspx?aid=2517.


3 – Un nuovo codice è entrato in vigore il 1° maggio 2008. La sostanza delle disposizioni in questione è rimasta la stessa, ma la numerazione e la presentazione sono cambiate.


4 – Sebbene dalla copia della Carta depositata dal Governo francese appaia che la disposizione interessata è l’art. 23 del Titolo III, Capo IV, della Carta, le parti ed i giudici nazionali si sono uniformemente riferiti ad esso come all’art. 23 della Carta. Per evitare contraddizioni, farò lo stesso e mi riferirò ad esso come all’ «Articolo 23 della Carta del calcio». La stessa disposizione è attualmente l’art. 456 della versione della Carta del 2008‑2009.


5 – Sentenza 15 dicembre 1995, causa C‑415/93 (Racc. pag. I‑4921).


6 – I fatti alla base della presente domanda di pronuncia pregiudiziale concernono, perciò, due ben note e ben finanziate società. Ad ogni modo, i principi in gioco si applicano a tutte le società di calcio professionistico, a prescindere da quanto sia ricca la società di destinazione o povera quella di formazione del calciatore.


7 – V., in particolare, i punti 73‑87 di tale sentenza e la giurisprudenza ivi citata; v. anche la sentenza 18 luglio 2006, causa C‑519/04 P, Meca-Medina e Majcen/Commissione (Racc. pag. I‑6991, punti 22 e segg.).


8 – V. sentenza Meca-Medina e Majcen/Commissione, punti 22 e 23, nonché la giurisprudenza ivi citata.


9 – V. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, (Racc. pag. 1405, punto 17); sentenza Bosman, punto 82; 13 aprile 2000, causa C‑176/96, Lethonen, (Racc. pag. I‑2681, punto 35).


10 – V. sentenze Bosman, punto 96; 27 gennaio 2000, causa C‑190/98, Graf (Racc. pag. I‑493, punti 18‑23); Lehtonen, (punti 47‑50).


11 – V. sentenza Graf, punti 23‑25.


12 – V. sentenza Bosman, punti 98 e 99.


13 – V. sentenza Bosman, punto 100.


14 – In antitesi alla situazione di cui alla causa Graf (v. in particolare i punti 13 e 24 di quella sentenza).


15 – V., per esempio, sentenza Meca-Medina e Majcen/Commissione, punto 28.


16 – V. sentenze 31 marzo 1993, causa C‑19/92, Kraus (Racc. pag. I‑1663, punto 32); 30 novembre 1995, causa C‑55/94, Gebhard (Racc. pag. 1‑4165, punto 37); sentenza Bosman, punto 104. La frase «raisons impérieuses d’intérêt général» usata dalla Corte sistematicamente in francese, è stata tradotta in inglese in una varietà di modi; «overriding reasons in the public interest» sembra essere la più recente nonché quella che ne riflette meglio il significato.


17 – V. sentenza Bosman, punto 106.


18 – Al punto 109.


19 – Allegato IV alle conclusioni della Presidenza alla riunione del Consiglio europeo di Nizza (7, 8 e 9 dicembre 2000).


20 – COM(2007) 391 def.


21 – Risoluzione non legislativa dell’8 maggio 2009 [documento P6_TA(2008)0198].


22 – Perciò, nel quadro di un’intera carriera da calciatore professionista che è necessariamente di durata limitata, un obbligo di passare (diciamo) i primi 10 anni dalla data della sottoscrizione del primo contratto da professionista con la società di formazione sarebbe chiaramente inaccettabile.