Language of document : ECLI:EU:C:2016:980

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

21 dicembre 2016 (1)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Contratti stipulati con i consumatori – Mutui ipotecari – Clausole abusive – Articolo 4, paragrafo 2 – Articolo 6, paragrafo 1 – Dichiarazione di nullità – Giudice nazionale che limita nel tempo gli effetti della dichiarazione di nullità di una clausola abusiva»

Nelle cause riunite C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Juzgado de lo Mercantil n° 1 de Granada (Tribunale commerciale n. 1 di Granada, Spagna) (C‑154/15), con decisione del 25 marzo 2015, pervenuta in cancelleria il 1o aprile 2015, nonché dall’Audiencia Provincial de Alicante (Corte d’appello di Alicante, Spagna) (C‑307/15 e C‑308/15), con decisioni del 15 giugno 2015, pervenute in cancelleria il 1o luglio 2015, nei procedimenti

Francisco Gutiérrez Naranjo

contro

Cajasur Banco SAU (C‑154/15),

Ana María Palacios Martínez

contro

Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (BBVA) (C‑307/15),

Banco Popular Español SA

contro

Emilio Irles López,

Teresa Torres Andreu (C‑308/15),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta e M. Ilešič, presidenti di sezione, J. Malenovský, E. Levits (relatore), J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, C.G. Fernlund, C. Vajda, S. Rodin, F. Biltgen e K. Jürimäe, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 26 aprile 2016,

considerate le osservazioni presentate:

–        per F. Gutiérrez Naranjo, da A. Navarro Vidal, A. Martínez Muriel, D. Pineda Cuadrado e L. Pineda Salido, abogados;

–        per A.M. Palacios Martínez, da F.J. Zambudio Nicolas, abogado e R. López Coloma, procuradora;

–        per il Banco Popular Español SA, da C. Fernández Vicién, I. Moreno-Tapia Rivas e J. Capell, abogados;

–        per la Cajasur Banco SAU, da J. Remón Peñalver e D. Sarmiento Ramirez-Escudero, abogados;

–        per il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (BBVA), da J. Rodríguez Cárcamo e A. Rodríguez Conde, abogados;

–        per E. Irles López e T. Torres Andreu, da Y. Sánchez Orts, procuradora e F. García Cerrillo abogado;

–        per il governo spagnolo, da A. Gavela Llopis e M. Sampol Pucurull, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, da S. Šindelková, M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per il governo del Regno Unito, da S. Simmons e L. Christie, in qualità di agenti, assistiti da S. Ford, barrister, nonché de K. Smith e B. Kennelly, QC;

–        per la Commissione europea, da D. Roussanov, N. Ruiz García e J. Baquero Cruz, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 luglio 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione, segnatamente, degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2        Tali domande sono state presentate nel contesto di controversie che vedono contrapposte persone che hanno sottoscritto mutui ipotecari a taluni istituti di credito, in merito al diritto alla restituzione di somme versate sulla base di clausole contrattuali di cui è stato giudizialmente accertato il carattere abusivo.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Il decimo considerando della direttiva 93/13 prevede quanto segue:

«(…) si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive (…)».

4        Il dodicesimo considerando precisa quanto segue:

«(…) occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva».

5        Ai sensi del ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13:

«(…) le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».

6        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

7        Secondo l’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, di detta direttiva:

«Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto».

8        L’articolo 4 della direttiva di cui trattasi così dispone:

«1.      Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.      La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

9        L’articolo 5 della stessa direttiva precisa:

«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile (…)».

10      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 così dispone:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

11      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della menzionata direttiva:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

 Diritto spagnolo

 La normativa

12      A norma dell’articolo 1303 del Código Civil (codice civile):

«Dichiarata la nullità di un’obbligazione, i contraenti devono reciprocamente restituirsi ciò che ha costituito l’oggetto del contratto, con i relativi frutti, nonché il prezzo, inclusi gli interessi, fatti salvi gli articoli seguenti».

13      L’articolo 82, paragrafo 1, del texto refundido della Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios y otras leyes complementarias (testo recante rifusione della legge generale per la tutela dei consumatori e degli utenti e di altre leggi complementari), approvato con il Real Decreto Legislativo 1/2007 (regio decreto legislativo n. 1/2007), del 16 novembre 2007 (BOE n. 287, del 30 novembre 2007), nella versione applicabile alle controversie nei procedimenti principali (in prosieguo: la «LGDCU»), così recita:

«Per clausole abusive si intendono tutte quelle clausole che non sono state oggetto di negoziato individuale e tutte quelle pratiche che non risultano da un accordo espresso e che, in spregio al requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore e dell’utente, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

14      L’articolo 83 della LGDCU così dispone:

«Le clausole abusive saranno nulle di diritto e saranno considerate come non apposte. A tal fine, il giudice, dopo aver sentito le parti, dichiarerà la nullità delle clausole abusive inserite nel contratto, il quale, tuttavia, resterà vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza tali clausole».

15      L’articolo 5, paragrafo 5, della Ley 7/1998 sobre Condiciones Generales de la Contratación (legge 7/1998, relativa alle condizioni contrattuali generali), del 13 aprile 1998 (BOE n. 89, del 14 aprile 1998), nella versione applicabile alle controversie principali (in prosieguo: la «LCGC»), stabilisce quanto segue:

«La redazione delle clausole generali deve osservare i criteri di trasparenza, chiarezza, precisione e semplicità».

16      L’articolo 7 della LCGC è formulato come segue:

«Le condizioni generali seguenti devono essere considerate come non inserite nel contratto:

a)      quelle di cui il consumatore non ha realmente avuto occasione di venire integralmente a conoscenza prima della stipulazione del contratto e che non sono state sottoscritte, se necessario, ai sensi dell’articolo 5;

b)      le condizioni illeggibili, ambigue, oscure e incomprensibili, salvo, nel caso di queste ultime, qualora l’aderente le abbia espressamente accettate per iscritto e quando esse rispettino la specifica disciplina relativa alla trasparenza delle clausole contrattuali in tale settore».

17      Ai sensi dell’articolo 8 della LCGC:

«1.      Sono nulle ex lege le condizioni generali pregiudizievoli per l’aderente e in contrasto con le disposizioni della presente legge o di qualsiasi altra norma imperativa o di divieto, a meno che queste ultime non sanzionino diversamente la loro violazione.

2.      In particolare, sono nulle le condizioni generali abusive nei contratti stipulati con un consumatore (…)».

 La giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna)

–       La sentenza n. 241/2013 del 9 maggio 2013

18      Il Tribunal Supremo (Corte suprema), adito mediante un’azione collettiva inibitoria intentata da un’associazione di consumatori nei confronti di svariati istituti di credito, nella sentenza n. 241/2013 del 9 maggio 2013 (in prosieguo: la «sentenza del 9 maggio 2013»), dopo aver appurato il carattere abusivo delle clausole che prevedono un tasso minimo sotto il quale il tasso di interesse variabile non poteva scendere (in prosieguo: le «clausole di tasso minimo»), contenute nelle condizioni generali di contratto dei mutui ipotecari stipulati con consumatori, ha dichiarato la nullità di tali clausole.

19      Detto giudice ha ritenuto che le suddette clausole, relative alla definizione dell’oggetto principale dei contratti in parola, fossero grammaticalmente intellegibili per i consumatori e che, pertanto, esse integrassero il requisito di redazione chiara e comprensibile postulato dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Quindi, a parere di tale giudice, esse non andavano considerate come aventi carattere abusivo, conformemente alla giurisprudenza elaborata dalla Corte nella sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2010:309).

20      Tuttavia, fondandosi in particolare sui principi sanciti dalla Corte nella sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180), il suddetto giudice ha dichiarato che l’obbligo di trasparenza figurante all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere inteso nel senso che implica l’osservanza non solo di un aspetto formale, bensì anche di un aspetto sostanziale, avente la stessa portata del requisito contemplato all’articolo 5 di tale direttiva, e legato alla sufficienza delle informazioni fornite ai consumatori, all’atto della stipula del contratto, in merito alle conseguenze giuridiche ed economiche prodotte nei loro confronti dall’inserzione delle clausole relative, segnatamente, all’oggetto principale del contratto.

21      Orbene, secondo il Tribunal Supremo (Corte suprema), nella causa da cui è scaturita la sentenza del 9 maggio 2013, il requisito della trasparenza sostanziale non era adempiuto, in quanto gli istituti di credito coinvolti non avevano fornito siffatte informazioni ai consumatori in occasione della stipulazione dei contratti di mutuo contenenti clausole «di tasso minimo». Di conseguenza, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha proceduto all’analisi del carattere eventualmente abusivo delle citate clausole, alla luce dei criteri generali della buona fede, dell’equilibrio e della trasparenza, enunciati all’articolo 3, paragrafo 1, all’articolo 4, paragrafo 1, e all’articolo 5 della direttiva 93/13, e ha dichiarato la nullità di dette clausole per mancanza di trasparenza dovuta ad una informazione insufficiente nei confronti dei mutuatari quanto alle concrete conseguenze dell’applicazione pratica di dette clausole.

22      Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha nondimeno ritenuto che i contratti di mutuo ipotecario in discussione potessero sussistere e ha inoltre limitato la retroattività degli effetti della dichiarazione di nullità delle clausole «di tasso minimo».

23      Sotto questo profilo, infatti, il Tribunal Supremo (Corte suprema), dopo aver rammentato che, in virtù della giurisprudenza della Corte applicata alla dichiarazione di nullità di clausole abusive, le clausole in parola dovevano essere considerate come se non producessero alcun effetto, ha rilevato che, nonostante la regola generale dell’effetto retroattivo di una dichiarazione di nullità, tale effetto non poteva essere immune dai principi generali del diritto e, soprattutto, dal principio della certezza del diritto.

24      Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha statuito che le clausole «di tasso minimo» erano di per sé legittime; che rispondevano a ragioni oggettive; che non erano né insolite né stravaganti; che la loro inserzione era stata tollerata da lungo tempo nel mercato dei mutui immobiliari; che la loro nullità era fondata su una mancanza di trasparenza derivante da un’insufficienza di informazione ai mutuatari; che gli istituti di credito avevano rispettato i dettami della normativa sull’informazione; che la determinazione di un tasso di interesse minimo rispondeva all’esigenza di mantenere un rendimento minimo dei mutui ipotecari interessati onde permettere agli istituti di credito di coprire i costi di produzione sostenuti e di continuare a concedere finanziamenti; che le clausole «di tasso minimo» erano calcolate in modo tale da non comportare cambiamenti significativi rispetto alle quote iniziali da pagare, quote prese in considerazione dai mutuatari nel momento in cui decidevano la propria strategia economica; che la normativa spagnola consentiva la surroga del creditore e che la retroattività della dichiarazione di nullità delle clausole in oggetto avrebbe generato gravi sconvolgimenti economici.

25      Pertanto, alla luce di queste considerazioni, il Tribunal Supremo (Corte suprema), in ossequio al principio della certezza del diritto, ha limitato gli effetti della sua sentenza facendoli decorrere dalla sua data di pubblicazione, statuendo che la dichiarazione della nullità delle clausole «di tasso minimo» in oggetto non avrebbe inciso né sulle fattispecie decise in via definitiva con sentenze passate in giudicato né sui pagamenti già eseguiti prima del 9 maggio 2013, cosicché unicamente le quote indebitamente versate sulla base di tale clausole successivamente a detta data dovessero essere restituite.

–       La sentenza n. 139/2015 del 25 marzo 2015

26      Con la sua sentenza n. 139/2015, del 25 marzo 2015 (in prosieguo: la «sentenza del 25 marzo 2015»), il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha confermato la limitazione nel tempo degli effetti retroattivi della dichiarazione di nullità di una clausola «di tasso minimo» nel contesto di un’azione individuale di un consumatore che reclamava la restituzione di somme indebitamente versate in forza di tale clausola. Procedendo in tal modo, detto giudice ha esteso alle azioni individuali inibitorie e risarcitorie la soluzione accolta in precedenza per le azioni inibitorie collettive con la sentenza del 9 maggio 2013. Pertanto, nella causa da cui è originata la sentenza del 25 marzo 2015, l’obbligo di restituzione è stato limitato alle sole somme indebitamente versate dopo la pronuncia della sentenza del 9 maggio 2013.

 Controversie principali e questioni pregiudiziali

 Causa C154/15

27      Il sig. Francisco Gutiérrez Naranjo ha stipulato con il Cajasur Banco SAU un mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo».

28      Sul fondamento della direttiva 93/13 nonché della giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema), il sig. Gutiérrez Naranjo ha adito il Juzgado de lo Mercantil n° 1 de Granada (Tribunale commerciale n. 1 di Granada, Spagna) con un’azione intesa a far dichiarare nulla tale clausola «di tasso minimo» e a disporre la restituzione delle somme indebitamente versate in forza di essa.

29      Il giudice del rinvio si chiede se la circostanza di limitare gli effetti della dichiarazione di nullità per carattere abusivo di una clausola contrattuale al solo periodo successivo a tale dichiarazione sia compatibile con l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

30      In tale contesto, il Juzgado de lo Mercantil n° 1 de Granada (Tribunale commerciale n. 1 di Granada) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’interpretazione della non vincolatività ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 sia compatibile, in tali casi, con un’interpretazione tale per cui la dichiarazione di nullità della suddetta clausola estende cionondimeno i suoi effetti fino alla pronuncia di tale dichiarazione e, pertanto, con l’interpretazione secondo la quale, sebbene sia dichiarata la sua nullità, si riterrà che gli effetti da essa prodotti quando era in vigore non siano annullati o resi inefficaci.

2)      Se la cessazione dell’uso che potrebbe essere determinata [di] una data clausola (ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1 e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13) nell’ambito di un’azione individuale promossa da un consumatore quando si dichiari la sua nullità, sia compatibile con una limitazione degli effetti di tale nullità e se un giudice possa moderare la restituzione delle somme versate dal consumatore – cui è obbligato il professionista – ai sensi di tale clausola, successivamente dichiarata nulla ex tunc, per mancanza di informazione e/o di trasparenza».

 Causa C307/15

31      Il 28 luglio 2006 la sig.ra Ana María Palacios Martínez ha stipulato con il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (BBVA) un contratto di mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo».

32      Il 6 marzo 2014 la mutuataria ha proposto un ricorso dinanzi al Juzgado de lo Mercantil n° 1 de Alicante (Tribunale commerciale n. 1 di Alicante, Spagna) inteso a far dichiarare la nullità di tale clausola «di tasso minimo» a causa del suo carattere abusivo e a ottenere la restituzione delle somme indebitamente percepite dall’istituto di credito.

33      In primo grado tale giudice, facendo riferimento alla soluzione elaborata dal Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua sentenza del 9 maggio 2013, ha dichiarato che il ricorso proposto era divenuto privo di oggetto, fatta salva la restituzione alla ricorrente delle somme riscosse dall’istituto di credito in virtù di detta clausola a partire dalla data di pronuncia di tale sentenza.

34      L’Audiencia Provincial de Alicante (Corte d’appello di Alicante, Spagna), investita della causa in appello, esprime dubbi in merito alla compatibilità della soluzione accolta in primo grado con l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

35      A suo avviso, l’irretroattività della dichiarazione di nullità di una clausola abusiva potrebbe essere in contrasto sia con gli obiettivi di tale direttiva, sia con il divieto di moderazione giudiziale degli effetti di una clausola abusiva. Inoltre, detto giudice dubita che le condizioni richieste dalla Corte affinché gli effetti della dichiarazione di nullità di una clausola abusiva possano essere limitati nel tempo ricorrano nella causa sfociata nella sentenza del 9 maggio 2013.

36      In questo contesto, l’Audiencia Provincial de Alicante (Corte d’appello d’Alicante) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia compatibile con il principio di non vincolatività [delle clausole abusive], sancito dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, la circostanza che gli effetti restitutori derivanti dalla dichiarazione di nullità di una clausola “di tasso minimo” inserita in un contratto di mutuo in quanto tale clausola sarebbe abusiva non retroagiscano alla data di stipula del contratto, bensì [retroagiscano] a una data posteriore.

2)      Se il criterio di buona fede degli ambienti interessati che funge da fondamento della limitazione dell’efficacia retroattiva [dell’annullamento di] una clausola abusiva sia una nozione autonoma del diritto dell’Unione che debba essere interpretata in modo uniforme dall’insieme degli Stati membri.

3)      In caso di risposta affermativa, quali requisiti debbano essere soddisfatti per determinare l’esistenza della buona fede degli ambienti interessati.

4)      In ogni caso, se sia conforme alla buona fede degli ambienti interessati l’operato del professionista che, nell’elaborazione del contratto, ha determinato la mancanza di trasparenza all’origine dell’abusività della clausola.

5)      Se il rischio di gravi inconvenienti che funge da fondamento della limitazione dell’efficacia retroattiva [dell’annullamento di] una clausola abusiva sia una nozione autonoma del diritto dell’Unione che debba essere interpretata in modo uniforme dall’insieme degli Stati membri.

6)      In caso di risposta affermativa, quali criteri debbano essere presi in considerazione.

7)      Se il rischio di gravi inconvenienti debba essere valutato prendendo in considerazione solo il rischio che potrebbe verificarsi per il professionista o se si debba tenere conto anche del danno arrecato ai consumatori dalla mancata restituzione integrale degli importi versati in virtù della suddetta clausola “di tasso minimo”».

 Causa C308/15

37      Il 1o giugno 2001 il sig. Emilio Irles López e la sig.ra Teresa Torres Andreu hanno stipulato con il Banco Popular Español SA (in prosieguo: il «BPE») un contratto di mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo». Con atti modificativi del 2 maggio e del 14 giugno 2007, le parti hanno convenuto due aumenti della linea di credito contenenti ciascuno una clausola «di tasso minimo».

38      Ritenendo che le modalità del loro assenso prestato alle clausole «di tasso minimo» fossero state caratterizzate da una mancanza di trasparenza, i mutuatari hanno adito il Juzgado de lo Mercantil n° 3 de Alicante (Tribunale commerciale n. 3 di Alicante, Spagna), presentando un ricorso diretto alla dichiarazione di nullità di tali clausole e alla restituzione delle somme indebitamente versate in forza di queste.

39      Il ricorso è stato accolto in primo grado da tale giudice, che ha quindi condannato la BPE a restituire ai mutuatari le somme indebitamente versate in applicazione delle citate clausole a decorrere dalla stipula del contratto di mutuo e dei suoi atti modificativi.

40      La BPE ha interposto appello dinanzi all’Audiencia Provincial de Alicante (Corte d’appello di Alicante), fondandosi sulle sentenze del 9 maggio 2013 e del 25 marzo 2015.

41      Il giudice del rinvio esprime, da un canto, dubbi in merito alla compatibilità della limitazione degli effetti della dichiarazione di nullità di una clausola abusiva con l’articolo 6 della direttiva 93/13. D’altro canto, a detta di tale giudice, la circostanza che, con la sua sentenza del 25 marzo 2015, il Tribunal Supremo (Corte suprema) abbia esteso alle azioni individuali la soluzione elaborata nella sua sentenza del 9 maggio 2013 nell’ambito di un’azione collettiva potrebbe sortire l’effetto di limitare il diritto dei mutuatari, singolarmente considerati, ad una tutela giurisdizionale effettiva, dal momento che non sarebbero prese in considerazione le circostanze specifiche inerenti a ciascun caso concreto al fine di individuare il punto di partenza dell’obbligo di restituzione a carico dell’istituto di credito che abbia tratto vantaggio dagli effetti di una clausola abusiva.

42      Pertanto, l’Audiencia Provincial de Alicante (Corte d’appello di Alicante) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte, oltre alle stesse questioni poste nella causa C‑307/15, un’ottava questione, formulata come segue:

«8)      Se l’estensione automatica della medesima limitazione degli effetti restitutori derivanti dalla nullità di una clausola “di tasso minimo”, dichiarata nell’ambito di una causa promossa da un’associazione di consumatori contro [taluni] istituti finanziari, alle azioni individuali volte a far dichiarare la nullità di una clausola “di tasso minimo” in quanto abusiva, promosse da clienti consumatori che hanno contratto un mutuo ipotecario con istituti finanziari diversi, sia compatibile con il principio di non vincolatività per il consumatore sancito dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e con il diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

43      Con decisione del presidente della Corte del 10 luglio 2015, le cause C‑307/15 e C‑308/15 sono state riunite ai fini della fase scritta e orale, nonché della sentenza.

44      Con ordinanza del presidente della Corte emanata il 14 agosto 2015, le domande dell’Audiencia Provincial de Alicante (Corte d’appello di Alicante) volte a chiedere che le cause C‑307/15 e C‑308/15 fossero assoggettate al procedimento accelerato, ai sensi dell’articolo 23bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte, sono state respinte.

45      Con decisione del presidente della Corte del 21 ottobre 2015, la causa C‑154/15 è stata riunita alle cause C‑307/15 e C‑308/15 ai fini della fase orale del procedimento nonché della sentenza.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e la seconda questione nella causa C154/15 e sulla prima questione nelle cause C307/15 e C308/15

46      Con le due questioni nella causa C‑154/15 e con le prime questioni nelle cause C‑307/15 e C‑308/15, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale che limita nel tempo gli effetti restitutori legati alla dichiarazione giudiziale del carattere abusivo, nell’accezione dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, di una clausola contenuta in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista solo alle somme indebitamente versate in applicazione di tale clausola successivamente alla pronuncia della decisione che ha giudizialmente sancito tale carattere abusivo.

47      In via preliminare, occorre esaminare l’argomento addotto dal governo spagnolo, dalla Cajasur Banco e dal BPE, secondo cui la questione degli effetti prodotti dalla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola, come quelli provocati nel procedimento principale, non sarebbero riconducibili all’ambito di applicazione della direttiva 93/13, poiché, procedendo a tale dichiarazione, il Tribunal Supremo (Corte suprema) avrebbe garantito un livello di tutela dei consumatori più elevato rispetto a quello assicurato da tale direttiva.

48      A questo proposito, invero, dalle decisioni di rinvio si evince che il Tribunal Supremo (Corte suprema), nella sua sentenza del 9 maggio 2013, allo scopo di giustificare un controllo del carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo» in parola, relative all’oggetto principale dei contratti in esame, ha interpretato il requisito di trasparenza contemplato all’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, nel senso che esso non si limita all’osservanza della trasparenza formale delle clausole contrattuali, legata al carattere chiaro e comprensibile della loro formulazione, bensì come esteso al rispetto della loro trasparenza sostanziale, inerente al carattere sufficiente delle informazioni fornite al consumatore per quanto attiene la portata sia giuridica che economica del suo impegno contrattuale.

49      Tuttavia, come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi da 46 a 50 delle conclusioni, il controllo della trasparenza sostanziale delle clausole relative all’oggetto principale del contratto deriva da quello prescritto dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Tale disposizione, infatti, negli stessi termini figuranti all’articolo 5 della direttiva medesima, prevede che le clausole contrattuali debbano essere «formulate in modo chiaro e comprensibile».

50      Orbene, a questo riguardo, la Corte ha statuito che le informazioni, prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali ed alle conseguenze di detta conclusione, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza. È segnatamente in base a tali informazioni che quest’ultimo decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista (sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, punto 44).

51      Pertanto, l’esame del carattere abusivo, nell’accezione dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, di una clausola contrattuale vertente sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, nel caso in cui il consumatore, prima della stipula di tale contratto, non abbia disposto dell’informazione necessaria in merito alle condizioni contrattuali e alle conseguenze di siffatta stipula, rientra nel campo di applicazione di detta direttiva, in generale, e, in particolare, del suo articolo 6, paragrafo 1.

52      Pertanto, e nei limiti in cui i giudici del rinvio fanno riferimento alla sentenza del 9 maggio 2013, che limita l’effetto restitutorio della dichiarazione del carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo», occorre esaminare se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che autorizza un giudice nazionale a disporre una siffatta limitazione.

53      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone che gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali.

54      Tale disposizione deve essere considerata come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico (v., in questo senso, sentenza del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito, C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 44).

55      Inoltre, si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 63).

56      Data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, che si trovano in una situazione d’inferiorità rispetto ai professionisti, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima, di fornire mezzi adeguati ed efficaci «per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori» (sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 78).

57      Per procedere in tal senso, il giudice nazionale deve semplicemente disapplicare la clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzato a rivedere il contenuto della medesima (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 65).

58      In questo contesto, da un lato, il giudice nazionale deve valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, così procedendo, ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari.

59      Infatti, la piena efficacia della tutela prevista dalla direttiva esige che il giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola possa trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, senza attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola (sentenza del 30 maggio 2013, Jőrös, C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 42).

60      Dall’altro lato, il giudice nazionale non può essere autorizzato a rivedere il contenuto delle clausole abusive, salvo contribuire ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive (v., in questo senso, sentenza del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank, C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 31 e giurisprudenza citata).

61      Dalle considerazioni che precedono emerge che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve essere considerata, in linea di principio, come se non fosse mai esistita, cosicché non può sortire effetti nei confronti del consumatore. Pertanto, l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola del genere, in linea di massima, deve produrre la conseguenza di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza di tale clausola.

62      Se ne evince che l’obbligo in capo al giudice nazionale di disapplicare una clausola contrattuale abusiva che prescriva il pagamento di somme che si rivelino indebite implica, in linea di principio, un corrispondente effetto restitutorio per quanto riguarda tali somme.

63      L’assenza di tale effetto restitutorio, infatti, potrebbe pregiudicare l’effetto deterrente che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della stessa, mira a collegare alla dichiarazione del carattere abusivo delle clausole contenute in contratti stipulati tra un consumatore e un professionista.

64      Invero, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone che gli Stati membri prevedano che le clausole abusive non vincolano il consumatore «alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali» (sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 57).

65      Cionondimeno, la circostanza che la tutela garantita dalla direttiva 93/13 ai consumatori sia regolata dal diritto nazionale non può modificare la portata, né, di riflesso, la sostanza, di tale tutela, rimettendo in questione il rafforzamento dell’efficacia di tale tutela tramite adozione di regole uniformi in merito alle clausole abusive, che è stato voluto dal legislatore dell’Unione europea, come emerge dal decimo considerando della direttiva 93/13.

66      Di conseguenza, per quanto spetti agli Stati membri, mediante le loro legislazioni nazionali, definire le modalità per dichiarare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto, nonché le modalità con cui si realizzano i concreti effetti giuridici di tale dichiarazione, quest’ultima deve tuttavia consentire di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato se tale clausola abusiva non fosse esistita, fondando, in particolare, un diritto alla restituzione dei benefici che il professionista ha indebitamente acquisito a discapito del consumatore avvalendosi di tale clausola abusiva.

67      Nel caso di specie, con la sentenza del 9 maggio 2013, cui si riferiscono i giudici del rinvio, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha statuito che la dichiarazione del carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo» in oggetto non incideva né sulle situazioni definitivamente decise con decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, né sui pagamenti effettuati prima della data di pronuncia di tale sentenza, e che, pertanto, gli effetti di tale dichiarazione, in particolare il diritto del consumatore alla restituzione, erano circoscritti, in forza del principio della certezza del diritto, alle somme indebitamente versate a decorrere da tale data.

68      A questo proposito, invero, la Corte ha già riconosciuto che la tutela del consumatore non riveste un carattere assoluto. In particolare, essa ha statuito che il diritto dell’Unione non obbliga un giudice nazionale a disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono, in particolare, autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualunque natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13 (v., in questo senso, sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 37). Ne consegue che il Tribunal Supremo (Corte suprema) poteva legittimamente statuire, nella sua sentenza del 9 maggio 2013, che quest’ultima non era idonea ad influire sulle situazioni risolte in via definitiva mediante decisioni giurisdizionali anteriori aventi forza di giudicato.

69      Parimenti, la Corte ha già dichiarato che è compatibile con il diritto dell’Unione la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto (sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 41).

70      Tuttavia, si deve distinguere l’applicazione di una modalità processuale, come un termine ragionevole di prescrizione, da una limitazione nel tempo degli effetti di un’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione (v., in questo senso, sentenza del 15 aprile 2010, Barth, C‑542/08, EU:C:2010:193, punto 30 e giurisprudenza citata). A questo proposito, occorre rammentare che spetta solo alla Corte, alla luce dell’esigenza fondamentale dell’applicazione uniforme e generale del diritto dell’Unione, decidere sulle limitazioni nel tempo da apportare all’interpretazione che essa fornisce di una norma (v., in questo senso, sentenza del 2 febbraio 1988, Barra e a., 309/85, EU:C:1988:42, punto 13).

71      Pertanto, le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, alle quali si riferisce l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, non possono pregiudicare la sostanza del diritto, spettante ai consumatori in forza di tale disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte ricordata ai punti da 54 a 61 di questa sentenza, a non essere vincolato da una clausola reputata abusiva.

72      Orbene, la limitazione nel tempo degli effetti giuridici discendenti dalla dichiarazione della nullità delle clausole «di tasso minimo» cui ha proceduto il Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua sentenza del 9 maggio 2013 si risolve nel privare, in modo generale, qualsiasi consumatore che abbia stipulato, prima di tale data, un contratto di mutuo ipotecario contenente una siffatta clausola, del diritto di ottenere la restituzione integrale delle somme che ha indebitamente versato all’istituto di credito sulla base di tale clausola nel periodo precedente al 9 maggio 2013.

73      Ne consegue che una giurisprudenza nazionale come quella risultante dalla sentenza del 9 maggio 2013, relativa alla limitazione nel tempo degli effetti giuridici discendenti dalla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, consente di garantire solamente una tutela limitata ai consumatori che abbiano sottoscritto un contratto di mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo» prima della data di pronuncia della decisione che ha accertato giudizialmente tale carattere abusivo. Questa tutela si rivela pertanto incompleta ed insufficiente e costituisce un mezzo che non è né adeguato né efficace per far cessare l’inserzione di questo genere di clausole, a dispetto di quanto dispone l’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva (v., in questo senso, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 60).

74      Ciò premesso, considerato che i giudici del rinvio sono vincolati, nel dirimere le controversie nei procedimenti principali, dall’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte, essi devono lasciare inapplicata, di propria iniziativa, la limitazione degli effetti nel tempo cui il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha proceduto nella sua sentenza del 9 maggio 2013, dato che essa non risulta compatibile con tale diritto (v., in questo senso, sentenze del 5 ottobre 2010, Elchinov, C‑173/09, EU:C:2010:581, punti da 29 a 32; del 19 aprile 2016, DI, C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 33 e 34; del 5 luglio 2016, Ognyanov, C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 36, e dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punti da 67 a 70).

75      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale che limiti nel tempo gli effetti restitutori legati alla dichiarazione del carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, di una clausola contenuta in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista, alle sole somme indebitamente versate in applicazione di una siffatta clausola successivamente alla pronuncia della decisione che ha accertato giudizialmente tale carattere abusivo.

 Sulle altre questioni pregiudiziali

76      Tenuto conto della risposta fornita alle prime due questioni nella causa C‑154/15 e alle prime questioni nelle cause C‑307/15 e C‑308/15, non occorre rispondere alle altre questioni pregiudiziali.

 Sulle spese

77      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale che limiti nel tempo gli effetti restitutori legati alla dichiarazione giudiziale del carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, di una clausola contenuta in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista, alle sole somme indebitamente versate in applicazione di una siffatta clausola successivamente alla pronuncia della decisione che ha accertato giudizialmente tale carattere abusivo.

Firme


1Lingua processuale: lo spagnolo.