Language of document : ECLI:EU:C:2007:249

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

26 aprile 2007 (*)

«Proprietà industriale e commerciale – Diritto di marchio – Prodotti farmaceutici – Importazione parallela – Riconfezionamento del prodotto munito del marchio»

Nel procedimento C-348/04,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) con decisione 17 giugno 2004, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2004, nel procedimento

Boehringer Ingelheim KG,

Boehringer Ingelheim Pharma GmbH & Co. KG

contro

Swingward Ltd

e

Boehringer Ingelheim KG,

Boehringer Ingelheim Pharma GmbH & Co. KG

contro

Dowelhurst Ltd,

e

Glaxo Group Ltd

contro

Swingward Ltd,

e

Glaxo Group Ltd,

The Wellcome Foundation Ltd

contro

Dowelhurst Ltd,

e

SmithKline Beecham plc,

Beecham Group plc,

SmithKline & French Laboratories Ltd

contro

Dowelhurst Ltd,

e

Eli Lilly and Co.

contro

Dowelhurst Ltd,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dai sigg. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, J. Klučka, J. Makarczyk, G. Arestis e L. Bay Larsen (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra K. Sztranc-Sławiczek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26 gennaio 2006,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Boehringer Ingelheim KG e la Boehringer Ingelheim Pharma GmbH & Co. KG, dal sig. R. Subiotto, solicitor, nonché dai sigg. E. Gonzalez Diaz e I. McGrath, legal advisers;

–        per la Eli Lilly and Co., dai sigg. S. Thorley e G. Hobbs, QC, nonché dal sig. G. Pritchard, barrister;

–        per la Glaxo Group Ltd, The Wellcome Foundation Ltd, la SmithKline Beecham plc, la Beecham Group plc e la SmithKline & French Laboratories Ltd, dai sigg. M. Silverleaf, QC, e R. Hacon, barrister;

–        per la Swingward Ltd e la Dowelhurst Ltd, dai sigg. N. Green e R. Arnold, QC, su incarico della sig.ra C. Tunstall, solicitor;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. N. Rasmussen e M. Shotter, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 aprile 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di decisione pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 7, n. 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1998, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall’accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3, in prosieguo: la «direttiva 89/104»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di talune controversie tra la Boehringer Ingelheim KG, la Boehringer Ingelheim Pharma GmbH & Co. KG, la Glaxo Group Ltd, The Wellcome Foundation Ltd, la SmithKline Beecham plc, la Beecham Group plc, la SmithKline and French Laboratories Ltd e la Eli Lilly and Co. (in prosieguo, congiuntamente, la «Boehringer Ingelheim e a.»), che sono fabbricanti di prodotti farmaceutici, da una parte, e la Swingward Ltd (in prosieguo: la «Swingward») e la Dowelhurst Ltd (in prosieguo: la «Dowelhurst»), dall’altra, importatori paralleli e rivenditori di tali prodotti, controversie aventi ad oggetto medicinali prodotti dalla Boehringer Ingelheim e a. che sono stati importati parallelamente e commercializzati nel Regno Unito dalla Swingward e dalla Dowelhurst, dopo essere stati reinscatolati e rietichettati.

 Diritto comunitario

3        Ai sensi dell’art. 28 CE, sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente. Tuttavia, ai sensi dell’art. 30 CE, i divieti e le restrizioni all’importazione tra gli Stati membri giustificati da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono autorizzati purché non costituiscano né un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio intracomunitario.

4        L’art. 7 della direttiva 89/104, dal titolo «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», così dispone:

«1.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.      Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

5        In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, in combinato disposto con l’allegato XVII, punto 4, di quest’ultimo, l’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 è stato modificato ai fini di detto Accordo, cosicché l’espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «sul territorio di una parte contraente».

 Le cause principali, il procedimento di rinvio pregiudiziale nella causa C‑143/00 e le questioni proposte dal giudice del rinvio nella presente causa

6        I medicinali di cui alle cause principali sono stati commercializzati con diversi marchi dalla Boehringer Ingelheim e a. nella Comunità, dove sono stati acquistati dalla Swingward e dalla Dowelhurst e importati nel Regno Unito. Al fine di commercializzarli sul territorio di tale Stato membro, queste ultime società hanno apportato talune modifiche al confezionamento di tali medicinali, nonché ai fogli informativi ad essi allegati.

7        Le modifiche effettuate variano da un caso all’altro. In alcuni casi, sulla confezione originale è stata apposta un’etichetta contenente talune importanti informazioni, quali il nome dell’importatore parallelo e il suo numero di licenza di importazione parallela. Sulla confezione stessa sono rimaste in tal caso visibili indicazioni redatte in lingue diverse dall’inglese e il marchio non è stato coperto. In altri casi, il prodotto è stato riconfezionato in scatole ideate dall’importatore parallelo, sulle quali è stato riprodotto il marchio del produttore. In altri casi ancora, il prodotto è stato riconfezionato in scatole ideate dall’importatore parallelo e recanti non il marchio del produttore, bensì il nome generico del prodotto. In tal caso, il recipiente contenuto nella scatola recava il marchio originale, ma vi era stata apposta un’etichetta autoadesiva allo scopo di indicare la denominazione generica del prodotto, nonché l’identità del produttore e del detentore della licenza di importazione parallela.

8        La Boehringer Ingelheim e a. si sono opposte a tali modifiche ed hanno pertanto introdotto dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), una serie di ricorsi per contraffazione del marchio.

9        Ritenendo che la soluzione delle controversie nelle cause principali dipendesse da un’interpretazione del diritto comunitario, tale giudice ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il titolare di un marchio possa far valere i propri diritti derivanti dal marchio per bloccare o ostacolare l’importazione dei propri prodotti da uno Stato membro in un altro, ovvero per opporsi al loro smercio o alla loro promozione successivi quando l’importazione, lo smercio o la promozione non nuocciono, o almeno non nuocciono in modo sostanziale, all’oggetto specifico dei suoi diritti.

2)      Se la soluzione della questione sub 1) sia diversa qualora il titolare adduca come motivazione il fatto che l’importatore o il successivo distributore commerciale utilizzi il marchio del titolare in maniera tale che, pur non pregiudicandone l’oggetto specifico, non sia necessaria.

3)      Qualora un importatore di prodotti del titolare o un operatore commerciale che distribuisca tali prodotti importati debba dimostrare che il suo uso del marchio del titolare è “necessario”, se tale condizione sia soddisfatta se egli dimostra che l’uso del marchio è ragionevolmente richiesto per consentirgli di accedere a) solo a parte del mercato di tali prodotti, o b) all’intero mercato dei medesimi, ovvero se si richieda che l’uso del marchio fosse indispensabile per consentire la messa in commercio dei prodotti e, se nessuna delle precedenti soluzioni è valida, quale sia il significato del termine “necessario”.

4)      Qualora il titolare del marchio sia legittimato, prima facie, a far valere i propri diritti derivanti dal marchio nazionale contro qualsiasi uso del proprio marchio su prodotti o in relazione a prodotti per i quali tale uso non è necessario, se l’esercizio di tale diritto allo scopo di ostacolare o escludere importazioni parallele dei propri prodotti che non minacciano l’oggetto specifico o la funzione essenziale del marchio costituisca un comportamento abusivo e una restrizione dissimulata al commercio ai sensi dell’art. 30, seconda frase, CE.

5)      Se un importatore o un operatore che distribuisca prodotti importati, qualora intenda utilizzare il marchio del titolare sui prodotti o in relazione ai prodotti in questione, e tale uso non sia effettivamente né potenzialmente pregiudizievole per l’oggetto specifico del marchio, debba comunque previamente informare il titolare del marchio della sua intenzione di fare uso di questo.

6)      In caso di soluzione affermativa della precedente questione, se ciò significhi che l’omissione di detto preavviso da parte dell’importatore o del distributore commerciale ha l’effetto di legittimare il titolare a limitare od impedire l’importazione o l’ulteriore commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, anche qualora tale importazione o ulteriore commercializzazione non pregiudichi l’oggetto specifico del marchio.

7)      Nel caso in cui un importatore o un operatore che distribuisca prodotti importati debba informare preventivamente il titolare del marchio in relazione ad usi del medesimo che non ne pregiudicano l’oggetto specifico,

a)      se tale presupposto valga per tutti i casi del genere di uso del marchio, ivi compresi la pubblicità, la rietichettatura e il riconfezionamento, ovvero, se valga solo per alcuni usi, per quali,

b)      se l’importatore o il distributore commerciale sia tenuto ad avvertire il titolare o se sia sufficiente che quest’ultimo riceva tale preavviso,

c)      quale debba essere la portata del preavviso.

8)      Se un organo giurisdizionale nazionale di uno Stato membro sia legittimato, su istanza del titolare dei diritti di marchio, ad emettere provvedimenti ingiuntivi, a condannare ad un risarcimento danni o alla consegna di prodotti e ad emanare altri provvedimenti in relazione a prodotti importati, al loro confezionamento o alla loro pubblicità, qualora l’emissione di siffatti provvedimenti a) blocchi o ostacoli la libera circolazione di merci messe in commercio all’interno della Comunità dal titolare o con il suo consenso, b) non abbia però lo scopo di evitare un pregiudizio allo specifico oggetto dei diritti e non contribuisca ad evitare siffatto pregiudizio».

10      Detta domanda di decisione pregiudiziale ha dato origine alla sentenza 23 aprile 2002, causa C-143/00, Boehringer Ingelheim e a. (Racc. pag. I-3759), nella quale la Corte ha così statuito:

«1)      L’art. 7, n. 2, della prima direttiva (…) 89/104 (…) dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio può far valere il suo diritto di marchio al fine di impedire ad un importatore parallelo di procedere a riconfezionamenti di medicinali, a meno che l’esercizio di questo diritto non contribuisca a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri.

2)      Un riconfezionamento di medicinali mediante sostituzione delle confezioni è oggettivamente necessario ai sensi della giurisprudenza della Corte se, senza quest’ultimo, l’accesso effettivo al mercato di cui trattasi o ad una parte rilevante di esso deve considerarsi ostacolato a seguito di una forte resistenza di parte di una percentuale significativa di consumatori nei confronti dei medicinali rietichettati.

3)      L’importatore parallelo, in ogni caso, per avere il diritto di riconfezionare medicinali muniti di marchio, deve rispettare la condizione di preavviso. Se l’importatore parallelo non rispetta questa condizione, il titolare del marchio può opporsi alla commercializzazione del medicinale riconfezionato. Spetta all’importatore parallelo informare egli stesso il titolare del marchio del riconfezionamento progettato. In caso di contestazione, spetta al giudice nazionale valutare, prendendo in considerazione tutte le circostanze pertinenti, se il titolare abbia avuto a disposizione un termine ragionevole per reagire al progettato riconfezionamento».

11      La High Court of Justice ha dato applicazione alla citata sentenza Boehringer Ingelheim e a., pronunciandosi in favore delle ricorrenti nella causa principale.

12      Tuttavia, avverso le decisioni del citato giudice nazionale è stato interposto appello dinanzi al giudice del rinvio e, con sentenza 5 marzo 2004, quest’ultimo ha effettuato taluni rilievi divergenti da quelli espressi dalla High Court of Justice.

13      In questo contesto, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«Prodotti reinscatolati

1)      Qualora un importatore parallelo commercializzi in uno Stato membro un prodotto farmaceutico importato da un altro Stato membro nella sua confezione originale, ma con un altro cartoncino stampato nella lingua dello Stato membro di importazione (prodotto “reinscatolato”):

a)      se sull’importatore incomba l’onere della prova che la nuova confezione soddisfa tutti i requisiti posti dalla sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93, Bristol-Myers Squibb [e a.], [Racc. pag. I-3457], ovvero se l’onere della prova che tali requisiti non sono stati soddisfatti incomba sul titolare del marchio, ovvero se l’onere della prova dipenda da altre circostanze e, in tal caso, da quali;

b)      se il primo requisito posto nella sentenza Bristol-Myers Squibb/Paranova, come interpretato nelle sentenze 12 ottobre 1999, causa C-379/97, Upjohn (…) [Racc. pag.I‑6927] e 23 aprile 2002, [Boehringer Ingelheim e a., cit.], vale a dire l’obbligo di provare che è stato necessario riconfezionare il prodotto per non ostacolare l’effettivo accesso al mercato, faccia riferimento al mero riconfezionamento (come ritenuto dalla Corte [dell’Associazione europea di libero scambio] nella causa E-3/02, Paranova/Merck), oppure alle modalità e alle caratteristiche stilistiche del riconfezionamento effettuato dall’importatore parallelo, e in tal caso in che senso;

c)      se il quarto requisito posto nella [citata] sentenza [Bristol-Myers Squibb e a.], vale a dire che la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da nuocere alla reputazione del marchio o del suo titolare, sia violato solo nel caso di riconfezionamento difettoso, di scarsa qualità o grossolano, ovvero si estenda a qualsiasi elemento che possa nuocere alla reputazione del marchio;

d)      in caso di soluzione del quesito sub 1, lett. c), nel senso che il quarto requisito è violato da qualsiasi elemento che possa nuocere alla reputazione del marchio e se (i) il marchio non è riportato sul nuovo cartoncino esterno (“smarchiatura”) ovvero (ii) l’importatore parallelo appone al nuovo cartoncino esterno il suo logo o marchio, o adotta una propria e particolare modalità di presentazione del prodotto oppure una presentazione utilizzata per più prodotti differenti (“co-marchiatura”), se tali forme di riconfezionamento debbano essere considerate tali da nuocere alla reputazione del marchio, o se debbano essere considerate circostanze di fatto di competenza del giudice nazionale;

e)      in caso di soluzione del quesito sub 1, lett. d), nel senso che si tratta di circostanze di fatto, su chi gravi l’onere della prova.

Prodotti rietichettati

2)      Qualora un importatore parallelo commercializzi in uno Stato membro un prodotto farmaceutico importato da un altro Stato membro nella sua confezione interna ed esterna originale al quale lo stesso importatore parallelo ha applicato un’etichetta esterna stampata nella lingua dello Stato membro di importazione (prodotto “rietichettato”);

a)      se trovino applicazione tutti i cinque requisiti posti nella citata sentenza [Bristol-Myers Squibb e a.];

b)      in caso di soluzione affermativa del quesito sub 2, lett. a), se l’importatore abbia l’onere di provare che la confezione rietichettata soddisfa tutti i requisiti posti nella citata sentenza Bristol-Myers Squibb [e a.], ovvero se il titolare del marchio abbia l’onere di provare che tali requisiti non sono soddisfatti, ovvero se l’onere della prova dipenda da altre circostanze;

c)      in caso di soluzione affermativa del quesito sub 2, lett. a), se il primo requisito posto nella sentenza Bristol-Myers Squibb [e a.], citata, come interpretato nelle citate sentenze Upjohn (…) e [Boehringer Ingelheim e a.], vale a dire l’obbligo di provare che è stato necessario riconfezionare il prodotto per non ostacolare l’effettivo accesso al mercato, faccia riferimento alla mera rietichettatura, oppure alle modalità e alle caratteristiche stilistiche della rietichettatura effettuata dall’importatore parallelo;

d)      in caso di soluzione affermativa del quesito sub 2, lett. a), se il quarto requisito posto nella citata sentenza [Bristol-Myers Squibb e a.], vale a dire che la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da nuocere alla reputazione del marchio o del suo titolare, sia violato solo nel caso di riconfezionamento difettoso, di scarsa qualità o grossolano, ovvero si estenda a qualsiasi elemento che possa nuocere alla reputazione del marchio;

e)      in caso di soluzione affermativa del quesito sub 2, lett. a), e di soluzione del quesito sub 2, lett. d), nel senso che il quarto requisito è violato da qualsiasi elemento che possa nuocere alla reputazione del marchio, se nuoccia alla reputazione di un marchio il fatto che (i) l’etichetta aggiuntiva è posta in modo da occultare in tutto o in parte uno dei marchi del titolare o (ii) omette di attestare l’appartenenza del marchio di cui trattasi al titolare, ovvero (iii) il nome dell’importatore parallelo è stampato con lettere maiuscole.

Preavviso

3)      Se, per il solo fatto che un importatore parallelo non abbia fornito il preavviso in merito ad un prodotto riconfezionato, come stabilito dal quinto requisito posto nella citata sentenza Bristol-Myers Squibb [e a.], ed ha quindi violato il diritto di marchio del titolare,

a)      qualsiasi atto successivo di importazione di tale prodotto costituisca una violazione, o se l’importatore agisca in violazione solo fino al momento in cui il titolare viene a conoscenza del prodotto ed è scaduto il termine per il preavviso;

b)      il titolare abbia il diritto di chiedere un risarcimento economico (ad esempio risarcimento per i danni derivanti dalla violazione, o trasferimento del lucro realizzato in seguito alla violazione) per effetto delle violazioni dell’importatore come se si trattasse di prodotti contraffatti;

c)      il riconoscimento al titolare di un risarcimento economico per tali violazioni dell’importatore sia soggetto al principio di proporzionalità.

d)      In caso di soluzione negativa, su quali basi debba essere concesso l’indennizzo, dato che i prodotti di cui trattasi sono stati immessi sul mercato [dello Spazio economico europeo] dal titolare o con il suo consenso».

 Osservazioni preliminari

14      Si deve ricordare che l’oggetto specifico del marchio è quello di assicurare la garanzia di provenienza del prodotto munito di tale marchio e che un riconfezionamento di tale prodotto operato da un terzo senza l’autorizzazione del titolare può creare rischi reali per questa garanzia di provenienza (v. sentenza Boehringer Ingelheim e a., cit., punto 29).

15      Secondo la giurisprudenza della Corte, è il riconfezionamento dei medicinali muniti del marchio in quanto tale che pregiudica l’oggetto specifico del marchio, senza che occorra valutare in questo contesto quali siano gli effetti concreti del riconfezionamento operato dall’importatore parallelo (v. sentenza Boehringer Ingelheim e a., cit., punto 30).

16      Ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, l’opposizione del titolare del marchio al riconfezionamento, in quanto deroga alla libera circolazione delle merci, non può essere ammessa ove l’esercizio di tale diritto da parte del titolare costituisca una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri ai sensi dell’art. 30, seconda frase, CE (v., in tal senso, sentenza Boehringer Ingelheim e a., cit., punti 18 e 31).

17      Costituisce una siffatta restrizione dissimulata ai sensi di tale ultima disposizione l’esercizio, da parte del titolare di un marchio, del suo diritto di opporsi al riconfezionamento se tale esercizio contribuisce a isolare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri e se, d’altro canto, il riconfezionamento avviene in modo tale che i legittimi interessi del titolare vengano rispettati, il che implica in particolare che il riconfezionamento non alteri lo stato originario del medicinale o non sia tale da nuocere alla reputazione del marchio (v. sentenza Boehringer Ingelheim e a., cit., punto 32).

18      Orbene, contribuisce ad un isolamento artificioso dei mercati tra gli Stati membri l’opposizione del titolare di un marchio al riconfezionamento dei medicinali qualora quest’ultimo sia necessario perché il prodotto importato parallelamente possa essere commercializzato nello Stato importatore (sentenza Boehringer Ingelheim e a., cit., punto 33).

19      Emerge quindi da una giurisprudenza consolidata che la modifica – che qualsiasi riconfezionamento di un medicinale munito di marchio implica –, creando per la sua stessa natura il rischio di un’alterazione dello stato originario del medicinale, può essere vietata dal titolare del marchio, a meno che il riconfezionamento non sia necessario per permettere la commercializzazione dei prodotti importati parallelamente e i legittimi interessi del titolare non siano per il resto salvaguardati (sentenze Bristol-Myers Squibb e a., cit., punto 57, e Boehringer Ingelheim e a., cit., punto 34).

20      Occorre inoltre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’importatore parallelo che riconfeziona un medicinale munito di marchio deve previamente informare il titolare del marchio della messa in vendita del medicinale riconfezionato. Egli è tenuto, inoltre, su richiesta del titolare del marchio, a fornire un campione di tale prodotto riconfezionato prima di metterlo in commercio. Quest’ultima condizione permette al titolare di accertare che il riconfezionamento non è stato effettuato in modo da alterare direttamente o indirettamente lo stato originario del prodotto e che la presentazione del prodotto a seguito del riconfezionamento non è atta a nuocere alla reputazione del marchio. Essa consente altresì al titolare del marchio di tutelarsi meglio contro le attività dei contraffattori (citate sentenze Bristol-Myers Squibb e a., punto 78, e Boehringer Ingelheim e a., punto 61).

21      Così, al punto 79 della citata sentenza Bristol-Myers Squibb e a., la Corte ha così statuito:

«(…) l’art. 7, n. 2, della direttiva [89/104] dev’essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico, qualora l’importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio, a meno che

–        sia provato che l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati nazionali nell’ambito della Comunità. Ciò si verifica, in particolare, qualora il titolare abbia messo in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico identico in confezioni diverse e il riconfezionamento effettuato dall’importatore, da un lato, sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell’importazione e, dall’altro, avvenga secondo modalità tali che lo stato originario del prodotto non può risultarne alterato (…)

–        sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione (…)

–        siano indicati chiaramente sulla nuova confezione l’autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante (…)

–        la presentazione del prodotto riconfezionato non sia atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare; così, la confezione non dev’essere difettosa, di cattiva qualità o grossolana, e

–        l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato».

 Sulla seconda questione, lett. a), relativa alla nozione di «riconfezionamento»

22      Va innanzi tutto esaminata la seconda questione, lett. a).

23      Al punto 6 della sentenza Boehringer Ingelheim e a., citata, la Corte ha precisato che il confezionamento di ciascuno dei medicinali oggetto delle cause principali, nonché i fogli informativi ivi acclusi, hanno subìto talune modifiche ai fini della loro importazione nel Regno Unito.

24      Al punto 7 della citata sentenza si rileva che le modifiche effettuate sul confezionamento dei differenti medicinali interessati variano da un caso all’altro. In alcuni casi è stata apposta sulla confezione d’origine un’etichetta contenente talune informazioni importanti, quali il nome dell’importatore parallelo e il suo numero di licenza di importazione parallela. Su tale confezione rimangono allora visibili diciture in lingue diverse dall’inglese ed il marchio non è coperto. In altri casi, il prodotto è stato riconfezionato in scatole ideate dall’importatore parallelo sulle quali è riprodotto il marchio. In altri casi ancora, il prodotto è stato riconfezionato in scatole ideate dall’importatore parallelo che non recano il marchio. In sua vece, sulla scatola è stato indicato il nome generico del prodotto. Il contenitore che si trova all’interno della scatola reca il marchio originale, ma su di esso è stata apposta un’etichetta autoadesiva per indicare la denominazione generica del prodotto nonché il nome del produttore e quello del titolare della licenza di importazione parallela. In tutti questi casi di riconfezionamento, le scatole contengono un foglio informativo destinato ai pazienti, redatto in lingua inglese e recante il marchio.

25      Si deve del pari rilevare che nella settima questione pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice nella causa che ha dato origine alla sentenza Boehringer Ingelheim e a., citata, si chiedeva espressamente di precisare se la condizione del preavviso, richiamata al punto 20 di questa sentenza, trovi applicazione con riferimento a tutti gli usi del marchio, ivi compresa la rietichettatura del prodotto, ovvero se trovi applicazione solo per alcuni di tali usi.

26      Al punto 55 della citata sentenza Boehringer Ingelheim e a., la Corte ha precisato che, con le questioni pregiudiziali quinta, sesta e settima, il giudice del rinvio chiede precisazioni per quanto riguarda la condizione secondo cui l’importatore parallelo deve previamente avvisare il titolare del marchio della messa in vendita del prodotto riconfezionato.

27      Al punto 68 di tale sentenza si rileva che l’importatore parallelo, in ogni caso, per poter legittimamente riconfezionare medicinali muniti di marchio, deve rispettare la condizione di preavviso.

28      Emerge da quanto precede che la Corte, nell’ambito della citata sentenza Boehringer Ingelheim e a., ha incluso nella nozione di riconfezionamento la rietichettatura, che rappresentava sicuramente una delle forme controverse di modifica del confezionamento dei medicinali in questione richiamate dal giudice del rinvio.

29      Si deve rilevare in proposito che la rietichettatura dei medicinali recanti il marchio e il riconfezionamento degli stessi incidono sull’oggetto specifico del marchio, a prescindere dalla valutazione, in tale contesto, di quali siano gli effetti concreti dell’operazione effettuata dall’importatore parallelo.

30      Infatti, la modifica implicata da ogni riconfezionamento o rietichettatura di un medicinale munito di un marchio genera per sua stessa natura rischi concreti ai fini della garanzia di provenienza che il marchio mira a tutelare. Una siffatta modifica può quindi essere vietata dal titolare del marchio, a meno che il riconfezionamento o la rietichettatura siano necessari per permettere la commercializzazione dei prodotti importati parallelamente e i legittimi interessi del titolare siano per il resto salvaguardati.

31      Ne discende che i cinque requisiti enunciati nella citata sentenza Bristol-Myers Squibb e a., con riferimento all’interpretazione dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, requisiti che, se soddisfatti, impediscono al titolare del marchio di opporsi legittimamente all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico riconfezionato dall’importatore, trovano applicazione anche quando il riconfezionamento consiste nell’apposizione di un’etichetta sulla confezione originale.

32      Si deve pertanto risolvere la seconda questione, lett. a), nel senso che l’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico importato da un altro Stato membro nella sua confezione interna ed esterna originale, dotato di un’etichetta esterna aggiuntiva apposta dall’importatore, a meno che:

–        sia provato che l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare dello stesso per opporsi alla commercializzazione del prodotto rietichettato con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri;

–        sia provato che la rietichettatura non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione;

–        sulla confezione siano chiaramente indicati l’autore della rietichettatura del prodotto e il nome del fabbricante dello stesso;

–        la presentazione del prodotto rietichettato non sia tale da nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare; in tal senso, l’etichetta non deve essere difettosa, di cattiva qualità o grossolana, e

–        l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto rietichettato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto stesso.

 Sulla prima questione, lett. b), e sulla seconda questione, lett. c), relative all’applicazione del requisito della necessità del riconfezionamento alle modalità e allo stile di quest’ultimo

33      Come emerge da quanto detto a proposito della seconda questione, lett. a), il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico quando l’importatore parallelo abbia riconfezionato il prodotto apponendovi nuovamente il marchio, ovvero abbia apposto un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto, a meno che non risultino soddisfatti cinque requisiti, tra cui quello relativo alla prova che l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare dello stesso per opporsi alla commercializzazione dei prodotti così riconfezionati contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri.

34      Secondo la Boehringer Ingelheim e a., il requisito secondo cui il riconfezionamento è necessario per commercializzare il prodotto nello Stato membro di importazione si applica altresì alle modalità e allo stile con i quali il riconfezionamento viene effettuato dall’importatore parallelo. Al contrario, la Swingward e la Dowelhurst, come anche la Commissione delle Comunità europee, sostengono che tale requisito abbia esclusivamente ad oggetto il riconfezionamento di per sé e non la modalità o lo stile con i quali è realizzato.

35      Come ricordato al punto 19 di questa sentenza, la modifica che qualsiasi riconfezionamento di un medicinale munito di marchio implica può essere vietata dal titolare dello stesso, a meno che il riconfezionamento non sia necessario per permettere la commercializzazione dei prodotti importati parallelamente e i legittimi interessi del titolare non siano per il resto salvaguardati.

36      Tale requisito di necessità è soddisfatto se talune regolamentazioni o prassi nello Stato membro di importazione impediscono la commercializzazione dei prodotti citati sul mercato di tale Stato nello stesso confezionamento in cui essi sono commercializzati nello Stato membro di esportazione (v., in tal senso, sentenza Upjohn, cit., punti 37‑39 e 43).

37      Per contro, un tale requisito di necessità non è soddisfatto se il riconfezionamento del prodotto si spiega esclusivamente col desiderio da parte dell’importatore parallelo di conseguire un vantaggio commerciale (v. sentenza Upjohn, cit., punto 44).

38      Così, il citato requisito di necessità riguarda esclusivamente il fatto di procedere al riconfezionamento del prodotto – come anche la scelta tra una nuova confezione e una nuova etichettatura – per permettere la commercializzazione di tale prodotto sul mercato dello Stato di importazione, e non la modalità o lo stile secondo i quali tale riconfezionamento viene effettuato (v. altresì sentenza della Corte AELS 8 luglio 2003, causa E‑3/02, Paranova/Merck, EFTA Court Report 2004, pag. 1, punti 41‑45).

39      La prima questione, lett. b), e la seconda questione, lett. c), devono quindi essere risolte nel senso che il requisito secondo cui il riconfezionamento del prodotto farmaceutico – mediante una nuova confezione dello stesso e la riapposizione del marchio, ovvero mediante l’apposizione di un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto dev’essere necessario alla sua ulteriore commercializzazione nello Stato membro di importazione, essendo uno dei requisiti che, se soddisfatti, impediscono al titolare del marchio, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, di opporsi alla commercializzazione di cui sopra, riguarda esclusivamente il riconfezionamento di per sé e non la modalità o lo stile con i quali tale riconfezionamento viene effettuato.

 Sulla prima questione, lett. c), e sulla seconda questione, lett. d), relative al requisito secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da nuocere alla reputazione del marchio

40      Emerge dai punti 21 e 32 della presente sentenza che l’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico quando l’importatore parallelo abbia realizzato una nuova confezione del prodotto, riapponendovi il marchio, oppure abbia applicato un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto, salvo che ricorrano cinque requisiti, tra i quali vi è quello secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare. In tal senso, la confezione o l’etichetta non devono essere difettose, di cattiva qualità o grossolane.

41      Si deve rilevare che, come sostenuto dalla Boehringer Ingelheim e a. nonché dalla Commissione, il requisito secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da poter nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare non può essere limitato ai soli casi di confezionamento difettoso, di cattiva qualità o grossolano.

42      La Corte infatti, nello stabilire, al punto 76 della citata sentenza Bristol-Myers Squibb e a., che una confezione difettosa, di cattiva qualità o grossolana potrebbe nuocere alla reputazione del marchio, si è limitata a segnalare talune ipotesi nelle quali un’inadeguata presentazione del prodotto riconfezionato può nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare.

43      Così, un prodotto farmaceutico riconfezionato potrebbe presentarsi in modo inadeguato e pertanto nuocere alla reputazione del marchio, segnatamente nel caso in cui la confezione o l’etichetta, pur non essendo difettose, né di cattiva qualità, né grossolane, siano tali da compromettere il valore del marchio, danneggiando l’immagine di serietà e di qualità collegata a un tale prodotto, nonché la fiducia che quest’ultimo può ispirare al pubblico interessato (v., in tal senso, sentenze Bristol-Myers Squibb e a., cit., punto 76, e 4 novembre 1997, causa C-337/95, Parfums Christian Dior, Racc. pag. I-6013, punto 45).

44      La prima questione, lett. c), e la seconda questione, lett. d), devono pertanto essere risolte nel senso che il requisito secondo cui, quando l’importatore parallelo abbia realizzato una nuova confezione del prodotto, riapponendovi il marchio, oppure abbia applicato un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto, la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare, quale requisito necessario affinché quest’ultimo non possa legittimamente opporsi, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico, non può essere circoscritto ai soli casi di riconfezionamento difettoso, di cattiva qualità o grossolano.

 Sulla prima questione, lett. d), e la seconda questione lett. e), relative alle circostanze che possono nuocere alla reputazione del marchio

45      Come correttamente sostenuto dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, il fatto che l’importatore parallelo non apponga il marchio sulla nuova confezione esterna («smarchiatura»), ovvero vi apponga il proprio logo o marchio, o adotti una propria e particolare modalità di presentazione del prodotto oppure una presentazione utilizzata per più prodotti differenti («co-marchiatura»), come anche il fatto che egli applichi un’etichetta aggiuntiva in modo da occultare in tutto o in parte il marchio del titolare, o che ometta di precisare sull’etichetta aggiuntiva che il marchio di cui trattasi appartiene a quest’ultimo, o ancora che stampi il nome dell’importatore parallelo in lettere maiuscole, può, in linea di principio, nuocere alla reputazione del marchio.

46      Tuttavia, al pari dell’accertare se una pubblicità sia tale da poter dare l’impressione che esista un legame commerciale fra il rivenditore e il titolare del marchio e, pertanto, possa costituire motivo legittimo ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 (v. sentenza 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW, Racc. pag. I-905, punti 51 e 55), l’accertare se le circostanze richiamate al punto precedente di questa sentenza siano tali da nuocere alla reputazione del marchio rappresenta una questione di fatto che spetta al giudice nazionale valutare con riferimento alle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie.

47      La prima questione, lett. d), e la seconda questione, lett. e), devono essere pertanto risolte nel senso che l’accertare se il fatto che l’importatore parallelo:

–        non apponga il marchio sulla nuova confezione esterna del prodotto («smarchiatura»), o

–        apponga su tale confezione il proprio logo o stile, o adotti una propria modalità particolare di presentazione del prodotto oppure una presentazione utilizzata per più prodotti differenti («co-marchiatura»), o

–        applichi un’etichetta aggiuntiva sulla confezione stessa in modo tale da coprire interamente o parzialmente il marchio del titolare, o

–        non precisi sull’etichetta aggiuntiva che il marchio in questione appartiene al titolare, o ancora

–        stampi il nome dell’importatore parallelo in lettere maiuscole,

possa o meno nuocere alla reputazione del marchio rappresenta una questione di fatto che spetta al giudice nazionale valutare con riferimento alle specifiche circostanze di ciascuna fattispecie.

 Sulla prima questione, lett. a) ed e), nonché sulla seconda questione, lett. b), relative all’onere della prova

48      Come affermato ai punti 2 e 8 di questa sentenza, le controversie nella causa principale oppongono taluni fabbricanti di prodotti farmaceutici ad importatori paralleli e a rivenditori di prodotti farmaceutici, contro i quali i primi hanno presentato ricorsi per contraffazione del marchio in quanto taluni medicinali prodotti dai fabbricanti medesimi erano stati importati parallelamente e commercializzati nel Regno Unito da detti importatori dopo essere stati reinscatolati o rietichettati.

49      Come ricordato al punto 15 della presente sentenza, è il riconfezionamento dei medicinali muniti del marchio in quanto tale che pregiudica l’oggetto specifico del marchio, senza che occorra valutare in questo contesto quali siano gli effetti concreti del riconfezionamento operato dall’importatore parallelo.

50      Dai punti 31‑33 di questa sentenza emerge che, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico quando l’importatore parallelo l’abbia riconfezionato inserendolo in una nuova scatola e apponendovi nuovamente il marchio, ovvero abbia applicato un’etichetta sulla confezione originale, a meno che non risultino soddisfatti i requisiti di cui al punto 32 della presente sentenza.

51      Orbene, se la questione dell’onere della prova relativamente alla sussistenza di tali requisiti, che, se soddisfatti, impediscono al titolare del marchio di opporsi legittimamente all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico riconfezionato, dipendesse dall’ordinamento nazionale degli Stati membri, potrebbe derivarne, per i titolari di marchi, una tutela variabile in funzione della legge di volta in volta applicabile. L’obiettivo di una «medesima tutela negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri», sancito dal nono ‘considerando’ della direttiva 89/104 e giudicato «fondamentale» da quest’ultimo, non sarebbe raggiunto (v., in tal senso, sentenza 18 ottobre 2005, causa C-405/03, Class International, Racc. pag. I-8735, punto 73).

52      Alla luce di quanto precede, si deve rilevare che, in fattispecie come quelle di cui alle cause principali, una volta dimostrato che i medicinali importati parallelamente sono stati riconfezionati, spetta agli importatori paralleli dimostrare la sussistenza dei requisiti indicati al punto 32 della presente sentenza, che, se soddisfatti, impediscono ai titolari dei marchi di opporsi legittimamente all’ulteriore commercializzazione dei medicinali in questione (v., per analogia, sentenza Class International, cit., punto 74).

53      Quanto al requisito secondo cui deve dimostrarsi che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione, è tuttavia sufficiente che l’importatore parallelo fornisca elementi di prova tali da far ragionevolmente presumere che tale requisito è soddisfatto. Lo stesso vale, a fortiori, per il requisito secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da poter nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare. Qualora l’importatore fornisca un principio di prova in riferimento a quest’ultimo requisito, spetterà eventualmente al titolare del marchio, che si trova nella posizione più idonea a valutare se il riconfezionamento possa nuocere alla sua reputazione e a quella del marchio, dimostrare che queste ultime hanno subito un pregiudizio.

54      La prima questione, lett. a) ed e), e la seconda questione, lett. b), devono quindi essere risolte nel senso che, in fattispecie come quelle di cui alle cause principali, grava sugli importatori paralleli l’onere di dimostrare l’esistenza dei requisiti secondo cui:

–        l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare dello stesso per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri;

–        il riconfezionamento non è tale da alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione;

–        sono indicati chiaramente sulla nuova confezione l’autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante dello stesso;

–        la presentazione del prodotto riconfezionato non è atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare; in tal senso, il riconfezionamento non dev’essere difettoso, di cattiva qualità o grossolano;

–        l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, deve darne avviso al titolare del marchio e fornirgli, su sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato,

e che, se soddisfatti, impediscono al titolare del marchio di opporsi legittimamente all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico riconfezionato.

Quanto al requisito secondo cui deve dimostrarsi che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione, è sufficiente che l’importatore parallelo fornisca elementi di prova tali da far ragionevolmente presumere che tale requisito è soddisfatto. Lo stesso vale, a fortiori, per il requisito secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da poter nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare. Una volta che l’importatore fornisca un principio di prova in riferimento a quest’ultimo requisito, spetterà eventualmente al titolare del marchio, che si trova nella posizione più idonea a valutare se il riconfezionamento possa nuocere alla sua reputazione e a quella del marchio, dimostrare che queste ultime hanno subìto un pregiudizio.

 Sulla terza questione, relativa alle conseguenze del mancato preavviso

55      Secondo la giurisprudenza della Corte, l’importatore parallelo, in ogni caso, per poter legittimamente riconfezionare medicinali muniti di marchio, deve rispettare la condizione di preavviso. Se l’importatore parallelo non rispetta questa condizione, il titolare del marchio può opporsi alla commercializzazione del medicinale riconfezionato. Spetta all’importatore parallelo informare egli stesso il titolare del marchio del riconfezionamento progettato. Non è sufficiente che il titolare sia informato da altre fonti, quali l’autorità che accorda una licenza di importazione parallela all’importatore (sentenza Boehringer Ingelheim e a., cit., punti 63 e 64).

56      Ne deriva che, qualora un importatore parallelo abbia omesso di dare al titolare del marchio il preavviso relativo a un medicinale riconfezionato, egli viola i diritti del titolare stesso in occasione di ogni successiva importazione del medicinale in questione, fintanto che non gli abbia dato un tale preavviso.

57      Quanto all’accertare se il titolare del marchio, a seguito dell’infrazione commessa dall’importatore parallelo, abbia diritto al risarcimento a condizioni analoghe a quelle del caso di contraffazione, la Boehringer Ingelheim e a. sostengono che il mancato preavviso dev’essere sanzionato come se si trattasse di commercializzazione di prodotti contraffatti. Secondo la Swingward e la Dowelhurst, la mancanza del preavviso non può dar luogo a un risarcimento valutato come se i prodotti fossero stati oggetto di contraffazione. La Commissione rileva che la compensazione del mancato preavviso dev’essere determinata in base ai principi nazionali relativi alle modalità di risarcimento economico, in quanto siano compatibili con il diritto comunitario ed internazionale e, in particolare, in quanto siano conformi ai principi di equivalenza, di effetto utile e di proporzionalità.

58      Si deve ricordare, in proposito, che gli Stati membri sono tenuti, nell’ambito della libertà che viene loro lasciata dall’art. 249, terzo comma, CE, a scegliere le forme e i mezzi più idonei al fine di garantire l’efficacia pratica delle direttive, tenuto conto dell’oggetto di queste ultime (v. sentenze 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, Racc. pag. 497, punto 75; 12 settembre 1996, cause riunite C‑58/95, C‑75/95, C‑112/95, C-119/95, C‑123/95, C‑135/95, C‑140/95, C‑141/95, C-154/95 e C‑157/95, Gallotti e a., Racc. pag. I‑4345, punto 14, nonché 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I-6057, punto 93).

59      Pertanto, quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia della direttiva 89/104 (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto 94).

60      Deve ricordarsi che, come emerge segnatamente al punto 21 della presente sentenza, è sufficiente che uno dei requisiti enunciati al punto 79 della citata sentenza Bristol-Myers Squibb e a. non risulti soddisfatto, perché il titolare del marchio possa legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico che sia stato oggetto di riconfezionamento.

61      Ne discende che il diritto di opposizione di cui beneficia il titolare del marchio nei confronti di un importatore parallelo di prodotti farmaceutici i quali, benché non contraffatti, siano stati commercializzati in violazione dell’obbligo di preavviso al titolare stesso non può essere difforme da quello di cui gode quest’ultimo con riferimento ai prodotti contraffatti.

62      In entrambe le fattispecie, i prodotti non avrebbero dovuto essere commercializzati sul mercato in questione.

63      Inoltre, una misura nazionale in forza della quale, nel caso in cui un importatore parallelo abbia commercializzato prodotti non contraffatti senza dare il preavviso al titolare del marchio, quest’ultimo abbia diritto ad un risarcimento economico a condizioni analoghe a quanto previsto in caso di contraffazione non sembra, di per sé, contraria al principio di proporzionalità. Spetta, tuttavia, al giudice nazionale determinare, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’importo del risarcimento economico, caso per caso, tenendo conto, segnatamente, della portata del danno subìto dal titolare del marchio in ragione della violazione commessa dall’importatore parallelo.

64      Alla luce di quanto precede, la terza questione dev’essere risolta nel senso che un importatore parallelo, qualora abbia omesso di dare al titolare del marchio il preavviso relativo a un medicinale riconfezionato, viola i diritti del titolare stesso in occasione di ogni successiva importazione del prodotto stesso, fintanto che non gli abbia fornito il preavviso. La sanzione conseguente a tale violazione deve rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia della direttiva 89/104. Una misura nazionale che, a fronte di una siffatta violazione, attribuisca al titolare del marchio il diritto ad un risarcimento economico a condizioni analoghe a quelle previste in caso di contraffazione non sembra, di per sé, contraria al principio di proporzionalità. Spetta, tuttavia, al giudice nazionale determinare, caso per caso, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’entità del risarcimento economico, tenendo conto, segnatamente, della portata del danno subìto dal titolare del marchio in ragione della violazione commessa dall’importatore parallelo.

 Sulle spese

65      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      L’art. 7, n. 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1998, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, come modificata dall’accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, dev’essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico importato da un altro Stato membro nella sua confezione interna ed esterna originale, dotato di un’etichetta esterna aggiuntiva apposta dall’importatore, a meno che:

–        sia provato che l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare dello stesso per opporsi alla commercializzazione del prodotto rietichettato con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri;

–        sia provato che la rietichettatura non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione;

–        sulla confezione siano chiaramente indicati l’autore della rietichettatura del prodotto e il nome del fabbricante dello stesso;

–        la presentazione del prodotto rietichettato non sia tale da nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare; in tal senso, l’etichetta non dev’essere difettosa, di cattiva qualità o grossolana, e

–        l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto rietichettato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto stesso.

2)      Il requisito secondo cui il riconfezionamento del prodotto farmaceutico – mediante una nuova confezione dello stesso e la riapposizione del marchio, ovvero mediante l’apposizione di un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto – dev’essere necessario alla sua ulteriore commercializzazione nello Stato membro di importazione, essendo uno dei requisiti che, se soddisfatti, impediscono al titolare del marchio, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, come modificata dall’accordo sullo Spazio economico europeo, di opporsi alla commercializzazione di cui sopra, riguarda esclusivamente il riconfezionamento di per sé e non la modalità o lo stile con i quali tale riconfezionamento viene effettuato.

3)      Il requisito secondo cui, quando l’importatore parallelo abbia realizzato una nuova confezione del prodotto, riapponendovi il marchio, oppure abbia applicato un’etichetta sulla confezione contenente il prodotto, la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere tale da nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare, quale requisito necessario affinché quest’ultimo non possa legittimamente opporsi, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico, non può essere circoscritto ai soli casi di riconfezionamento difettoso, di cattiva qualità o grossolano.

4)      L’accertare se il fatto che l’importatore parallelo:

–        non apponga il marchio sulla nuova confezione esterna del prodotto («smarchiatura»), o

–        apponga su tale confezione il proprio logo o stile, o adotti una propria modalità particolare di presentazione del prodotto oppure una presentazione utilizzata per più prodotti differenti («co-marchiatura»), o

–        applichi un’etichetta aggiuntiva sulla confezione stessa in modo tale da coprire interamente o parzialmente il marchio del titolare, o

–        non precisi sull’etichetta aggiuntiva che il marchio in questione appartiene al titolare, o ancora

–        stampi il nome dell’importatore parallelo in lettere maiuscole,

possa o meno nuocere alla reputazione del marchio rappresenta una questione di fatto che spetta al giudice nazionale valutare con riferimento alle specifiche circostanze di ciascuna fattispecie.

5)      In fattispecie come quelle di cui alle cause principali, grava sugli importatori paralleli l’onere di dimostrare l’esistenza dei requisiti secondo cui

–        l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare dello stesso per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri;

–        il riconfezionamento non è tale da alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione;

–        sono indicati chiaramente sulla nuova confezione l’autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante dello stesso;

–        la presentazione del prodotto riconfezionato non è atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare; in tal senso, il riconfezionamento non dev’essere difettoso, di cattiva qualità o grossolano;

–        l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, deve informarne il titolare del marchio e fornirgli, su sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato,

e che, se soddisfatti, impediscono al titolare del marchio di opporsi legittimamente all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico riconfezionato.

Quanto al requisito secondo cui deve dimostrarsi che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione, è sufficiente, tuttavia, che l’importatore parallelo fornisca elementi di prova tali da far ragionevolmente presumere che tale requisito è soddisfatto. Lo stesso vale, a fortiori, per il requisito secondo cui la presentazione del prodotto riconfezionato non dev’essere atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare. Una volta che l’importatore fornisca un principio di prova in riferimento a quest’ultimo requisito, spetterà eventualmente al titolare del marchio, che si trova nella posizione più idonea a valutare se il riconfezionamento possa nuocere alla sua reputazione e a quella del marchio, dimostrare che queste ultime hanno subìto un pregiudizio.

6)      Un importatore parallelo, qualora abbia omesso di dare al titolare del marchio il preavviso relativo a un medicinale riconfezionato, viola i diritti del titolare stesso in occasione di ogni successiva importazione del prodotto stesso, fintanto che non abbia fornito il preavviso. La sanzione conseguente a tale violazione deve rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia della direttiva 89/104, come modificata dall’accordo sullo Spazio economico europeo. Una misura nazionale che, a fronte di una siffatta violazione, attribuisca al titolare del marchio il diritto ad un risarcimento economico a condizioni analoghe a quelle previste in caso di contraffazione non sembra, di per sé, contraria al principio di proporzionalità. Spetta tuttavia al giudice nazionale determinare caso per caso, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’entità del risarcimento economico, tenendo conto, segnatamente, della portata del danno subìto dal titolare del marchio in ragione della violazione commessa dall’importatore parallelo.

Firme


* Lingua processuale: l'inglese.