Language of document : ECLI:EU:C:2005:437

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ANTONIO TIZZANO

presentate il 7 luglio 2005 (1)

Causa C-411/03

SEVIC Systems Aktiengesellschaft

contro

Amtsgericht Neuwied

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Landgericht Koblenz (Germania)]

«Libertà di stabilimento – Fusione transfrontaliera – Rifiuto di registrazione – Compatibilità»





I –    Introduzione

1.        La presente causa riguarda una questione pregiudiziale sottoposta alle Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Landgericht Koblenz (Germania) sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 48 CE.

2.        In buona sostanza, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare se una normativa nazionale che nega l’iscrizione nel registro tedesco delle imprese di fusioni tra società tedesche e società di altri Stati membri sia in contrasto con i principi sulla libertà di stabilimento.

II – Quadro giuridico

Il diritto comunitario rilevante

3.        La controversia principale verte essenzialmente sulle norme del Trattato relative alla libertà di stabilimento. In proposito, viene innanzitutto in rilievo l’art. 43 CE, che, com’è noto, sancisce il diritto di stabilimento dei cittadini comunitari sia a titolo principale (secondo comma), sia a titolo secondario (primo comma). In particolare, esso prevede che:

«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».

4.        Va poi richiamato l’art. 48 CE, che dispone come segue:

«Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro».

5.        L’articolo 46, n. 1, CE prevede tuttavia che:

«Le prescrizioni del presente capo e le misure adottate in virtù di quest’ultimo lasciano impregiudicata l’applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedono un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica».

6.        Ai fini della presente causa, è opportuno altresì far menzione delle disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei capitali, ed in particolare dell’art. 56, n. 1, CE, che dispone quanto segue:

«Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

7.        Occorre infine ricordare che da diversi anni la Commissione si adopera per far istituire, in materia di fusione transfrontaliera, uno strumento giuridico comunitario atto a rispondere alle necessità di cooperazione e di raggruppamento tra società di Stati membri diversi.

8.        Al momento, tuttavia, la proposta di direttiva sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali (2), pur essendo ad uno stadio molto avanzato (3), non è stata ancora adottata in via definitiva dal Parlamento e dal Consiglio.

Il diritto nazionale

9.        In Germania le operazioni di fusione sono disciplinate dall’Umwandlungsgesetz (legge nazionale sulla trasformazione di società, in prosieguo: l’ «UmwG») (4).

10.      L’art. 1, n. 1 di tale legge, nel disciplinare le operazioni di trasformazione, menziona soltanto la fusione di società con sede in Germania disponendo come segue:

«I soggetti di diritto aventi sede nel territorio nazionale possono subire una trasformazione

1. per fusione

(…)».

11.      L’art. 2 della stessa legge descrive poi le diverse ipotesi di fusione con scioglimento della società e senza liquidazione, tra cui, per quanto qui interessa, quella per incorporazione che si attua mediante trasmissione del patrimonio di uno o più soggetti di diritto ad un altro soggetto di diritto esistente.

12.      Infine le altre disposizioni dell’UmwG che riguardano specificamente le fusioni per incorporazione richiedono una serie di condizioni tra cui, per quanto qui rileva, l’iscrizione dell’operazione nel registro delle imprese del luogo in cui ha sede la società incorporante (art. 19).

III – Fatti e procedura

13.      La SEVIC Systems Aktiengesellschaft (in prosieguo: «Sevic»), con sede in Neuwied (Germania), e la Security Vision Concept S.A. (in prosieguo: «SVC»), con sede in Lussemburgo (Lussemburgo), hanno stipulato nel 2002 un contratto di fusione in cui hanno convenuto lo scioglimento senza liquidazione di SVC ed il trasferimento universale del patrimonio di quest’ultima a Sevic.

14.      L’Amtsgericht Neuwied (Tribunale di primo grado di Neuwied) ha respinto la domanda di iscrizione della fusione nel registro delle imprese tedesco motivando tale rifiuto sulla base dell’art. 1, n. 1, dell’UmwG, che consente le operazioni di fusione esclusivamente tra società aventi sede in Germania. Nel caso di specie invece la fusione riguarda una società tedesca ed una società di diritto lussemburghese.

15.      Contro tale decisione, Sevic ha quindi presentato un ricorso in appello al Landgericht Koblenz il quale, nutrendo dubbi sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 48 CE, ha deciso di sospendere il procedimento dinanzi ad esso pendente e di sottoporre alla Corte il seguente quesito pregiudiziale al fine di sapere:

«Se gli artt. 43 CE e 48 CE debbano essere interpretati nel senso che è in contrasto con la libertà di stabilimento delle società il fatto che ad una società estera europea si neghi l’iscrizione della fusione da questa prevista con una società tedesca nel registro tedesco delle imprese ai sensi degli artt. 16 e segg. dell’Umwandlungsgesetz (legge sulle trasformazioni delle società; in prosieguo: "UmwG"), in quanto l’art. 1, n. 1, primo comma, UmwG prevede la trasformazione solo a favore di soggetti di diritto aventi sede in Germania».

16.      Nel procedimento così instauratosi hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente nel giudizio principale, il governo tedesco, quello olandese e la Commissione.

17.      All’udienza del 10 maggio 2005 sono intervenuti Sevic, il governo tedesco e la Commissione.

IV – Analisi giuridica

A –    L’applicabilità alla fattispecie delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento

18.      Osservo preliminarmente che la normativa nazionale in questione, pur limitandosi a disciplinare le fusioni tra società aventi sede in Germania, incide direttamente sulla possibilità di realizzare fusioni internazionali. Come dimostrato dal caso di specie e confermato dal governo tedesco in udienza, è infatti in base all’art. 1, n. 1, dell’UmwG – e proprio per il fatto che tale disposizione contempla unicamente le fusioni «interne» – che in Germania viene di regola (5) negata l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di fusione tra una società di diritto tedesco ed una società di un altro Stato membro, con il risultato che l’operazione non può produrre effetti.

19.      Ciò premesso, osservo che le parti dissentono anzitutto sulla possibilità stessa di qualificare le operazioni di cui qui si discute come esercizio della libertà di stabilimento. Prima ancora quindi di chiedersi se la pertinente disciplina tedesca sia o meno conforme agli artt. 43 e 48 CE, come richiesto dal giudice del rinvio, conviene accertare se, in relazione a fattispecie del tipo in esame, quella disciplina ricada nell’ambito di applicazione di tali disposizioni.

20.      Il governo tedesco e quello olandese rispondono negativamente sul punto, perché a loro avviso l’operazione di fusione di cui trattasi non darebbe luogo ad uno «stabilimento» ai sensi del Trattato.

21.      Tale nozione, spiega il governo tedesco, si riferisce all’esercizio da parte di una persona fisica o giuridica di un’attività economica in un altro Stato membro attraverso una presenza stabile derivante, per quanto riguarda le società, dall’insediamento o trasferimento in detto Stato di un centro di attività principale (art. 43, secondo comma) oppure dalla costituzione nello stesso di un centro secondario di attività (art. 43, primo comma).

22.      Nella specie però, prosegue quel governo, la società lussemburghese (SVC) viene assorbita, in virtù della fusione, nella società tedesca incorporante (Sevic) e perde quindi la propria personalità giuridica. Ma poiché, per definizione, una società estinta non può «stabilirsi», né a titolo principale né a titolo secondario, in un altro Stato membro, se ne deve dedurre, secondo il governo tedesco, che vengono qui meno gli stessi presupposti per l’applicazione degli artt. 43 e 48 del Trattato.

23.      Per parte sua, il governo olandese, muovendo da un analogo ragionamento, aggiunge che l’estinzione di una società incide direttamente sulla costituzione ed il funzionamento di questa, cioè su aspetti che, come è stato riconosciuto dalla Corte nella nota sentenza Daily Mail (6), allo stato esulano dalla sfera di applicazione del diritto comunitario e sono esclusivamente disciplinati, al pari della cittadinanza per le persone fisiche, dagli ordinamenti nazionali. Gli artt. 43 CE e 48 CE non potrebbero pertanto essere interpretati nel senso che attribuiscono alle società il diritto di estinguersi prendendo parte a fusioni transfrontaliere.

24.      Per parte mia, dico subito che non condivido tale approccio.

25.      Ciò anzitutto perché mi sembra che esso proceda secondo una logica rovesciata, nel senso che assume una conseguenza della fusione, vale a dire l’estinzione della società incorporata, come causa dell’impossibilità per tale società (quando non è ancora estinta!) di procedere all’operazione e quindi come giustificazione di quel divieto di registrazione che per l’appunto preclude tale operazione.

26.      Vero è invece che, per tutta la fase che precede la fusione e fino alla registrazione della stessa, entrambe le società esistono ed operano come persone giuridiche pienamente capaci di negoziare e stipulare l’atto di fusione. Solo con il perfezionamento della fusione, e segnatamente con la registrazione di tale atto, uno dei due soggetti viene ad estinzione (7); ma fino ad allora non è così, tant’è vero che, in caso di mancato perfezionamento dell’operazione, la società che avrebbe dovuto essere incorporata continuerà ad esistere in quanto autonoma persona giuridica.

27.      La normativa nazionale controversa colpisce quindi soggetti di diritto nel pieno possesso della loro capacità giuridica, ai quali proprio quella normativa, e solo essa, preclude la possibilità di beneficiare della libertà di stabilimento. E’ dunque solo confondendo cause ed effetti che si può pretendere di giustificare l’inapplicabilità delle norme del Trattato alle operazioni di fusioni transfrontaliere in nome di una presunta assenza di personalità giuridica della società incorporata.

28.      Ma a rimuovere ogni dubbio sul fatto che la disposizione in esame rientri nell’ambito di applicazione degli artt. 43 CE e 48 CE, come interpretati dalla consolidata giurisprudenza comunitaria, è, a mio avviso, l’oggetto stesso di tale disposizione.

29.      Com’è noto, al fine di garantire il pieno godimento del diritto di stabilimento, inteso come possibilità di «partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di [un’altro] Stato membro» (8), la Corte ha assoggettato alla disciplina degli artt. 43 CE e 48 CE non soltanto le norme e pratiche nazionali riguardanti direttamente e specificamente l’esercizio dell’attività economica considerata, ma altresì tutte «quelle relative alle varie facoltà generali utili all’esercizio di dette attività» (9).

30.      Rientrano pertanto nell’ambito di applicazione del diritto di stabilimento tutte quelle misure che permettono o anche solo facilitano l’accesso ad un altro Stato membro e/o lo svolgimento di attività economiche in tale Stato, consentendo ai soggetti interessati di poter partecipare effettivamente ed alle stesse condizioni degli operatori nazionali alla vita economica del Paese (10).

31.      Nell’enunciare tali principi, la Corte si è quasi sempre espressamente riferita al Programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento adottato dal Consiglio il 18 dicembre 1961, il quale prevede che costituiscono restrizioni da abolire le «disposizioni e pratiche che, soltanto nei confronti dei cittadini stranieri, escludono, limitano o subordinano a condizioni la facoltà di esercitare i diritti normalmente connessi con un’attività non salariata» (11). Il Programma fornisce, a titolo meramente esemplificativo, un elenco di tali «facoltà» tra cui, per quanto qui interessa, la facoltà di «concludere contratti» e «di acquistare, godere e alienare diritti e beni mobili o immobili».

32.      Per dirla in sintesi, insomma, il diritto di stabilimento non attiene solo al diritto di trasferirsi in uno Stato membro diverso al fine di svolgervi la propria attività, ma riguarda tutti gli aspetti che risultano in qualche modo complementari e funzionali allo svolgimento di detta attività e quindi al pieno esercizio della libertà sancita dal Trattato.

33.      Orbene, mi sembra evidente che questo sia il caso anche della normativa nazionale in esame. Essa interessa, infatti, aspetti non complementari ma addirittura essenziali per l’attività di un operatore economico, dato che gli preclude la conclusione di specifici negozi giuridici (le fusioni) ed in particolare operazioni di acquisizione/alienazione o di costituzione di nuove società .

34.      Vi è però ancora un altro aspetto che, per concentrarsi unicamente sull’estinzione della società incorporata, i governi intervenienti hanno finito col perdere di vista e che può invece, a mio parere, rilevare direttamente ai fini della presente analisi.

35.      Mi riferisco segnatamente al fatto che l’operazione di fusione in esame può essere analizzata non solo come un’ipotesi di stabilimento primario, ma anche di stabilimento secondario. Ciò perché l’assorbimento di una società stabilita in altro Stato membro (nella specie, quella lussemburghese) non esclude che la società incorporante (qui, quella tedesca) possa trovarsi, proprio in conseguenza della fusione, ad operare stabilmente nello Stato membro in cui aveva sede la società incorporata, e quindi in uno Stato membro diverso dal proprio, costituendo in questo una sede, ancorché secondaria.

36.      Ed infatti, nella fattispecie, com’è stato confermato durante l’udienza, in virtù del contratto di fusione la società incorporante (Sevic) avrebbe mantenuto in Lussemburgo beni, personale e mezzi di produzione della società incorporata (SVC), disponendo così di un centro di attività «secondario» all’estero.

37.      In tal caso, allora, si configurerebbe una particolare modalità di esercizio della libertà di stabilimento, ugualmente prevista dall’art. 43 CE: vale a dire lo stabilimento «secondario» in uno Stato membro da parte di una società con sede in altro Stato membro, grazie alla facoltà, prevista appunto da quella disposizione, «di creare e di conservare […] più di un centro di attività nel territorio della Comunità» (12).

38.      Né può indurre a una diversa conclusione il fatto che nella fattispecie lo stabilimento secondario si concreterebbe in un’entità priva di autonoma personalità giuridica. L’art. 43, n. 1, CE prevede infatti la possibilità di esercitare il diritto di stabilimento attraverso entità sia dotate di personalità giuridica (filiali) che sprovviste di tale autonomia (agenzie e succursali).

39.      D’altra parte si evince dalla giurisprudenza comunitaria che il riferimento in detta disposizione ad «agenzie, succursali o filiali» deve ritenersi un’indicazione meramente esemplificativa, e non esaustiva, delle forme di stabilimento cui può ricorrere la società operante in altro Stato membro. La Corte ha così ammesso l’applicazione delle norme sullo stabilimento in casi in cui, ad esempio, la presenza di una società in un altro paese della Comunità non assume «la forma di una succursale o di un’agenzia, ma si manifesta tramite un semplice ufficio, gestito da personale dipendente dall’impresa, o tramite una persona indipendente, ma incaricata di agire in permanenza per conto dell’impresa alla stessa stregua di un’agenzia» (13).

40.      Dato quanto precede, non mi pare neppure fondata l’obiezione del governo tedesco secondo cui l’esercizio del diritto di stabilimento richiederebbe necessariamente la creazione di un insediamento nuovo o supplementare all’estero e non potrebbe pertanto manifestarsi con l’assorbimento di una società preesistente, come avviene nella causa principale.

41.      Come la Corte ha infatti avuto modo di precisare, in piena coerenza con l’indirizzo giurisprudenziale più sopra ricordato, il diritto sancito dall’art. 43 CE comporta la facoltà «di scegliere la forma giuridica adeguata per lo svolgimento di attività in un altro Stato membro» (14). Esso può quindi essere esercitato attraverso molteplici modalità, perfino con l’acquisizione di quote di una società già esistente e stabilita in un altro Stato membro a condizione che tale partecipazione conferisca all’acquirente «una sicura influenza sulle decisioni della società e consent[a] di indirizzarne le attività» (15), criterio per definizione sempre soddisfatto nei casi, come quello che ci occupa, di incorporazione di un’altra società.

42.      Alla luce delle considerazioni suesposte, ritengo pertanto che una normativa nazionale come quella oggetto della causa principale, rientri pienamente nell’ambito di applicazione degli artt. 43 CE e 48 CE.

B –    Valutazione della legislazione nazionale in causa

43.      Ciò chiarito, e passando ora al merito del quesito, occorre chiedersi se la misura nazionale in causa, per il fatto di negare in ogni caso l’iscrizione nel registro tedesco delle imprese di fusioni tra società aventi sede in Germania e società di altri Stati membri, costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.

44.      Apro tale analisi ricordando che, sulla base dell’ampia definizione della libertà di stabilimento che, come si è visto (supra, punti 24-27), emerge dalla giurisprudenza comunitaria, devono considerarsi restrizioni a tale libertà «tutte le misure che [ne] vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio» (16). Possono quindi rientrare in tale divieto anche misure nazionali semplicemente atte a «dissuadere» un operatore dal valersi del diritto di stabilimento (17).

45.      Non solo, ma emerge sempre da quella giurisprudenza che l’art. 43 CE non si limita a vietare che uno Stato membro impedisca o restringa lo stabilimento di operatori stranieri nel proprio territorio, ma si oppone anche a che esso ostacoli lo stabilimento di operatori nazionali in un altro Stato membro (18). In altre parole, sono vietate sia le restrizioni «all’entrata» sia quelle «all’uscita» dal territorio nazionale.

46.      Applicando tali principi al caso di specie, mi sembra indiscutibile che una normativa come quella su cui verte il giudizio a quo sia idonea perlomeno a dissuadere l’esercizio della libertà di stabilimento da parte di operatori sia nazionali che stranieri.

47.      Lo strumento della fusione costituisce, in effetti, una tecnica particolarmente efficace di trasformazione societaria in quanto consente, nel quadro di un’unica operazione, di esercitare una data attività in forme nuove e senza soluzione di continuità, riducendo pertanto notevolmente le complicazioni, i tempi ed i costi associati a forme alternative di raggruppamento societario, quali quelle che comportano, ad esempio, lo scioglimento di società con liquidazione del patrimonio e successiva costituzione di una nuova società, il trasferimento di singoli elementi di patrimonio, lo scambio di titoli di proprietà ecc.

48.      Orbene, è giocoforza constatare che per effetto della normativa nazionale contestata, ed unicamente a causa di questa, Sevic perde, come tutte le società di diritto tedesco che si trovano in analoga situazione e per il solo fatto che intende incorporare una società che ha sede in un altro Stato membro, la possibilità di procedere ad una fusione alla quale avrebbe altrimenti potuto ricorrere. Essa perde cioè una possibilità di notevole ed evidente importanza in un mercato integrato come quello europeo, a meno che non voglia ricorrere a tecniche alternative che, come ho poc’anzi rilevato, non presentano le stesse caratteristiche e vantaggi.

49.      Tutto ciò costituisce palesemente un «ostacolo» suscettibile di incidere direttamente sulla decisione delle imprese tedesche di stabilirsi o estendere la propria presenza in altri Stati membri, e quindi di esercitare la libertà cui hanno diritto ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE.

50.      Ma la misura a qua produce un effetto restrittivo anche nei riguardi di società aventi sede in altri Stati membri. Essa preclude infatti totalmente a tali soggetti di ricorrere ad una modalità di accesso al mercato tedesco. In particolare, una società avente sede all’estero non potrebbe sviluppare le proprie attività in Germania unendosi ad una o più società tedesche mediante assorbimento di una società preesistente o costituzione di una nuova società. Per raggiungere tale risultato, molto probabilmente dovrebbe prima essere creata una nuova società in Germania, il che equivale, come la Corte ha avuto modo di precisare, «alla negazione stessa della libertà di stabilimento» (19).

51.      Alla luce delle considerazioni svolte, ritengo pertanto che la misura tedesca costituisca, nel senso di cui si è detto, una restrizione alla libertà di stabilimento e sia quindi contraria agli artt. 43 CE e 48 CE.

C –    La pretesa giustificazione della legislazione nazionale in causa

52.      Ciò malgrado, occorre ancora chiedersi se l’incompatibilità della normativa nazionale di cui si discute non possa venir meno in ragione di motivazioni di carattere generale che, come subito vedremo, potrebbero essere invocate a sua giustificazione.

53.      In effetti, il governo tedesco, sostenuto da quello olandese, fa valere che allo stato, in assenza di specifici provvedimenti comunitari di armonizzazione, non sarebbe possibile per quello Stato riconoscere le fusioni transfrontaliere, stanti le notevoli differenze ancora esistenti tra i diritti societari degli Stati membri e quindi il carattere particolarmente complesso di tali operazioni. Il divieto in esame sarebbe quindi motivato dalla necessità di assicurare un adeguato livello di certezza del diritto nelle transazioni commerciali, nonché di tutelare gli interessi dei lavoratori, creditori e soci di minoranza delle società tedesche.

54.      Anche dunque se la Corte dovesse decidere che la norma di cui all’art. 1, n. 1, primo comma, dell’UmwG costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento, tale restrizione sarebbe comunque legittima in quanto destinata a soddisfare esigenze che, secondo i due governi intervenienti, sono state riconosciute dalla giurisprudenza comunitaria come idonee a giustificare misure siffatte.

55.      Per parte mia, ricordo anzitutto che, sul piano delle eccezioni consentite alle libertà fondamentali, il diritto comunitario distingue nettamente tra misure discriminatorie e non discriminatorie. Le prime sono infatti ammesse solo se possono rientrare in una deroga espressamente prevista dal Trattato e cioè, per quanto riguarda il diritto di stabilimento, dall’art. 46 CE. Quelle che sono invece indistintamente applicabili a soggetti nazionali e di altri Stati membri possono essere consentite solo se giustificate da eventuali esigenze imperative ed anche in tal caso, comunque, a condizione che siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto a tal fine necessario (20).

56.      Ora, è giocoforza constatare che nel caso di specie siamo in presenza di una norma di natura discriminatoria. Come abbiamo visto, infatti, la disciplina in esame sancisce una chiara disparità di trattamento tra società in base alla loro sede, permettendo le fusioni se le società interessate sono stabilite in Germania e precludendole invece se una di esse è stabilita all’estero.

57.      In casi siffatti, l’unica deroga suscettibile di applicazione è pertanto quella prevista dall’art. 46 CE, in base alla quale misure discriminatorie possono essere giustificate soltanto da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Non solo, ma in quanto comporta una deroga ad un principio fondamentale del Trattato, tale disposizione deve essere interpretata in maniera restrittiva, ragione per cui la Corte ha in particolare subordinato la sua applicabilità all’esistenza di una «minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività» (21).

58.      Ora, mi sembra evidente che le eventuali difficoltà di coordinamento o i rischi di contrasto tra normative nazionali diverse in materia societaria, evocati per giunta in modo estremamente vago e generico dalle autorità tedesche ed olandesi, non possano costituire una «minaccia» di siffatta natura e dimensioni ad uno dei predetti «interessi fondamentali della collettività», e quindi rientrare nella sfera di applicazione dell’art. 46 CE.

59.      Ma anche ove si volesse ipotizzare che la normativa contestata non presenti carattere discriminatorio, il risultato non cambierebbe poiché non sarebbero comunque soddisfatte le condizioni imposte dalla giurisprudenza comunitaria di cui ho detto poc’anzi, per i casi di restrizioni indistintamente applicabili (supra, punto 55).

60.      Cominciamo dalla sussistenza di imperiosi motivi di interesse pubblico. Sotto questo profilo, si potrebbero forse comprendere, sia pure in via del tutto ipotetica, le ragioni dello Stato di origine della società incorporata per opporsi alla realizzazione della fusione in nome di imperiosi motivi d’interesse pubblico (22). Tale Stato vede in effetti estinguersi, in seguito alla sua incorporazione in una società di un altro Stato membro, una società che apparteneva al proprio ordinamento e sulla quale quindi non potrà più esercitare un controllo diretto.

61.      Un’opposizione da parte dello Stato cui appartiene la società incorporante appare invece più difficile da giustificare, dato che la fusione non incide sul collegamento di tale società con l’ordinamento giuridico di quello Stato. Nella fattispecie, infatti, Sevic manterrebbe la propria sede in Germania anche dopo la fusione progettata e il diritto tedesco continuerebbe ad applicarsi all’insieme delle attività di detta società.

62.      Ma, anche a voler dare un qualche rilievo a tali considerazioni, resta comunque dubbio che gli asseriti problemi di compatibilità o di coordinamento tra ordinamenti giuridici diversi possano meritare la qualifica di imperiosi motivi di interesse pubblico. Ciò specie se si considera che, per quanto risulta, le fusioni internazionali sono ammesse in più ordinamenti nazionali senza che questo, contrariamente a quanto sembrano sostenere i due governi intervenienti, crei difficoltà insormontabili (23).

63.      In ogni caso, se pure si volesse convenire sul punto con tali governi, quod non, resterebbe pur sempre da verificare se nel caso in esame ricorrano le altre condizioni più sopra indicate, vale a dire la necessarietà e la proporzionalità della misura in causa.

64.      Come si è visto, però, tale misura sancisce un divieto assoluto ed automatico, applicabile quindi in via generale e preventiva a tutti i casi di fusione transfrontaliera, indipendentemente dalla verifica degli eventuali pregiudizi o dei rischi alla stessa collegati.

65.      In quanto tale, mi pare del tutto evidente, specie alla luce della giurisprudenza della Corte (24), che essa vada ben oltre lo scopo di risolvere le eventuali difficoltà di cui si è detto, e debba quindi essere considerata non proporzionata rispetto al perseguimento di detto scopo. Questo in effetti potrebbe essere raggiunto attraverso misure meno restrittive, quali ad esempio la possibilità di rifiutare la registrazione caso per caso, e solo in presenza di manifesta e provata difficoltà di coordinamento tra gli ordinamenti giuridici coinvolti, suscettibile di provocare seri rischi per la certezza del diritto o per la tutela degli interessi dei lavoratori, creditori o soci di minoranza delle società interessate.

66.      Di certo, ripeto, non può considerarsi proporzionata una misura che contempli un così assoluto ed automatico divieto.

67.      Né infine potrebbe invocarsi a titolo di giustificazione di tale misura la circostanza, pur evocata dai governi intervenienti, che non sia stata ancora adottata la direttiva comunitaria sulle fusioni transfrontaliere di società di capitali. In assenza di armonizzazione comunitaria, infatti, non sarebbe possibile, secondo quei governi, procedere a siffatte operazioni.

68.      E’ noto infatti, ed è confermato anche dalla consolidata giurisprudenza della Corte, che l’esercizio della libertà di stabilimento non può essere condizionato all’adozione di direttive di armonizzazione (25). Ciò perché tali direttive non sono costitutive dei diritti sanciti dal Trattato, ma mirano unicamente ad agevolare l’esercizio degli stessi. Il che è del resto confermato, per quanto riguarda più specificamente il caso che ci occupa, dal primo ‘considerando’ della citata proposta di direttiva, secondo il quale quest’ultima è volta «a facilitare la realizzazione di fusioni transfrontaliere» (26). Si smentisce così per tabulas la tesi della necessità di una previa armonizzazione comunitaria.

69.      Mi pare, in definitiva, che nella specie non ricorrano le condizioni che ho più sopra indicato come essenziali per giustificare una misura nazionale incompatibile con il Trattato.

70.      Ne deduco quindi che la normativa nazionale in causa non è giustificata né in base all’art. 46 CE, né in base alle esigenze imperative invocate dai governi intervenienti. Essa va pertanto considerata in contrasto con gli artt. 43 CE e 48 CE.

D –    Sulla libera circolazione dei capitali

71.      Rilevo infine che, nel corso dell’udienza, la Commissione ha osservato che la misura in questione potrebbe essere analizzata anche come una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’art. 56 CE. Ciò in quanto il rifiuto di registrazione delle fusioni transfrontaliere ostacolerebbe i movimenti di capitali inerenti a tali operazioni.

72.      Per parte mia, devo innanzi tutto osservare che il giudice del rinvio non ha chiesto alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 56 CE.

Ciò malgrado, ci si può chiedere se una risposta su questo punto non potrebbe comunque essere necessaria. Come ha infatti precisato la giurisprudenza comunitaria, «per fornire una soluzione utile al giudice che le ha sottoposto una questione pregiudiziale, la Corte può essere indotta a prendere in considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nel formulare la questione» (27).

73.      Nella specie peraltro non mi pare, in linea di principio, che l’interpretazione dell’art. 56 CE sia davvero necessaria per la soluzione della causa principale. In effetti, avendo già concluso che la misura di cui trattasi costituisce una restrizione non giustificata dell’art. 43 CE, una verifica della compatibilità della stessa sotto il profilo dell’art. 56 CE sarebbe a rigore superflua. E’ noto infatti che, quando abbia già riscontrato una restrizione della libertà di stabilimento, la Corte non ritiene, in linea di principio, necessario esaminare se un determinato provvedimento sia contrario anche alle norme del Trattato relative alla libera circolazione di capitali (28)..

74.      Nel caso di specie peraltro l’ulteriore verifica potrebbe rendersi necessaria ove la Corte dovesse accogliere la soluzione prospettata dai governi intervenienti e negare che sussista nella fattispecie una violazione delle disposizioni sulla libertà di stabilimento.

75.      Se così fosse, tuttavia, e si procedesse dunque alla valutazione della questione sotto il profilo della libertà di circolazione dei capitali, la mia conclusione sarebbe che, come sostenuto dalla Commissione, la misura nazionale controversa costituisce una illegittima restrizione a quella libertà.

76.      Osservo in primo luogo che, essendo «indissolubilmente legat[e] ad un movimento di capitali» (29), le operazioni di fusione rientrano chiaramente nell’ambito di applicazione dell’art. 56 CE. Secondo infatti il punto 1, «Investimenti diretti», della nomenclatura (30) contenuta nell’allegato 1 della direttiva del Consiglio 88/361/CEE, del 24 giugno 1988 per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato (31), rientrano fra questi investimenti l’«acquisto integrale di imprese già esistenti» (n. 1) e la «partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli» (n. 2). E’ quindi chiaro che le operazioni di fusione costituiscono «movimenti di capitali».

77.      In secondo luogo, per quanto riguarda la natura restrittiva della misura in causa, mi sembra che si possano qui agevolmente trasporre, mutatis mutandis, le considerazioni svolte a proposito della libertà di stabilimento (supra, punti 37-43). In effetti, la disciplina di cui trattasi produce perlomeno un effetto dissuasivo sui movimenti di capitali, vietando l’uso di uno strumento privilegiato per procedere ad operazioni di acquisizioni o creazioni di società all’estero.

78.      Infine, e per le medesime ragioni a suo tempo indicate (supra punti 48-59), ritengo che non sussistano nella specie le condizioni fissate dalla giurisprudenza perché una deroga all’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, quale quella in esame, possa essere giustificata.

V –    Conclusioni

79.      Alla luce delle considerazioni sopra esposte, propongo alla Corte di rispondere al quesito sottoposto dal Landgericht Koblenz nel senso che:

«Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano alla normativa di uno Stato membro come l’Umwandlungsgesetz, che non consente l’iscrizione nel registro nazionale delle imprese di fusioni tra società aventi sede in tale Stato e società di altri Stati membri».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – COM (2003) 703 def. Il principio alla base di tale proposta è che gli Stati membri riconoscano nel proprio ordinamento la possibilità di porre in essere le fusioni transfrontaliere.


3 – Il 10 maggio scorso, il Parlamento europeo ha infatti approvato in prima lettura la proposta di direttiva.


4 – BGBl. del 1994, 3210 (1995, 428), da ultimo modificato il 12.6.2003.


5 – Nella sua ordinanza il giudice del rinvio indica tuttavia che, di recente e benché si tratti di un orientamento giurisprudenziale minoritario, alcuni tribunali tedeschi hanno accettato la registrazione di fusioni di società aventi sede in Germania con società straniere.


6 – Sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail e General Trust (Racc. pag. 5483).


7 – È quanto, del resto, espressamente previsto dall’art. 20 dello stesso UmwG.


8 – Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 25).


9 – Sentenze 14 gennaio 1988, causa 63/86, Commissione/Italia (Racc. pag. 29, punto 14), e 30 maggio 1989, causa 305/87, Commissione/Grecia (Racc. pag. 1461, punto 21).


10 – V., in particolare, sentenze Commissione/Italia, cit. punti 14 e 16; Commissione/Grecia, cit. punto 19; 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle (Racc. pag. I-3099, punto 22); 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (Racc. pag. I‑2787, punto 22), e 5 novembre 2002, causa C‑208/00, Überseering (Racc. pag. I‑9919, punto 93).


11 – GU 1962, n. 2, pag. 36.


12 – Sentenza 12 luglio 1984, causa 107/83, Klopp (Racc. pag. 2971, punto 19).


13 – Sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania (Racc. pag. 3755, punto 21).


14 – Sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN (Racc. pag. I‑6161, punto 43).


15 – V., in particolare, sentenze Baars, cit., punti 21 e 22, e Überseering, cit., punto 77. Va tuttavia precisato che l’acquisizione di una partecipazione azionaria che non conferisce una siffatta influenza non è sottratta per questo motivo all’applicazione delle disposizioni del Trattato, rimanendo comunque assoggettata alla disciplina in materia di libera circolazione dei capitali.


16 – V., da ultimo, sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, Caixa Bank France (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).


17 – V., ad esempio, sentenze Daily Mail, cit., punto 16; 18 novembre 1999, causa C‑200/98, X e Y (Racc. pag. I-8261, punto 26), e 11 marzo 2004, causa C‑9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I-2409, punto 45).


18 – V., segnatamente, sentenze Baars, cit., punto 28, e Hughes de Lasteyrie du Saillant, cit., punto 42.


19 – Sentenza Überseering, cit., punto 81.


20 – V., segnatamente, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus (Racc. pag. I‑1663, punto 32); Gebhard, cit., punto 37; sentenza 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros (Racc. pag. I‑1459, punto 34), e Caixa Bank, cit., punto 17.


21 – V., ex multis, sentenza 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau (Racc. pag. 1999, punto 35), e 26 novembre 2002, C-100/01, Oteiza Olazabal (Racc. pag. I‑10981, punto 39).


22 – Nella fattispecie, risulta dal fascicolo che il Lussemburgo non ha sollevato alcun tipo di obiezione ed ha proceduto alla cancellazione di SVC dal registro nazionale delle imprese.


23 – Per quanto risulta, la conclusione di tali operazioni è ammessa, ad esempio, dai diritti spagnolo, portoghese, italiano, francese e belga, anche se secondo modalità diverse.


24 – Sul carattere sproporzionato di divieti assoluti e generali v., ad esempio, sentenze 30 aprile 1986, causa 96/85, Commissione/Francia (Racc. pag. 1475, punto 14); 16 giugno 1992, causa C‑351/90, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑3945, punto 19); 26 settembre 2000, causa C‑478/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑7587, punto 45), e 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia (Racc. pag. I-2229, punti 28 e 34).


25 – V., segnatamente, sentenze 28 aprile 1977, causa 71/76, Thieffry (Racc. pag. 765, punti 17 e 27); Kraus, cit., punto 30 e Überseering, cit., punto 55.


26 – Il corsivo è mio.


27 –      Sentenze 20 marzo 1986, causa 35/85, Tissier (Racc. pag. 1207, punto 9); 27 marzo 1990, causa C‑315/88, Bagli Pennacchiotti (Racc. pag. I-1323, punto 10); 18 novembre 1999, causa C‑107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121, punto 39).


28 – V., ad esempio, sentenze 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir (Racc. pag. I‑1897, punto 35); 18 novembre 1999, causa C-200/98, X e Y (Racc. pag. I-8261, punto 30); 13 aprile 2000, causa C‑251/98, Baars (Racc. I-2787, punto 42); 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. (Racc. pag. I-1727, punto 75) e 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I‑10829, punto 66).


29 – Sentenza 16 marzo 1999, causa C-222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I‑1661, punto 24).


30 – Nomenclatura alla quale la giurisprudenza comunitaria si è costantemente riferita per definire la nozione di movimenti di capitali. V., di recente, sentenze Trummer e Mayer, cit., punto 21 e 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I‑4071, punto 27).


31 – GU L 178, pag. 5.