Language of document : ECLI:EU:C:2017:990

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

20 dicembre 2017 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 7, paragrafo 1 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Marchi paralleli – Cessione dei marchi per una parte del territorio dello Spazio economico europeo (SEE) – Strategia commerciale che rafforza deliberatamente l’immagine di un marchio globale e unico in seguito alla cessione – Titolari indipendenti ma che intrattengono intensi rapporti commerciali ed economici»

Nella causa C‑291/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de lo Mercantil n. 8 de Barcelona (tribunale di commercio n. 8 di Barcellona, Spagna), con decisione del 17 maggio 2016, pervenuta in cancelleria il 23 maggio 2016, nel procedimento

Schweppes SA

contro

Red Paralela SL,

Red Paralela BCN SL, già Carbóniques Montaner SL,

con l’intervento di:

Orangina Schweppes Holding BV,

Schweppes International Ltd,

Exclusivas Ramírez SL,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da M. Ilešič (relatore), presidente di sezione, A. Rosas, C. Toader, A. Prechal ed E. Jarašiūnas, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 31 maggio 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Schweppes SA, da I. López Chocarro, procurador e D. Gómez Sánchez, abogado;

–        per Red Paralela SL e Red Paralela BCN SL, da D. Pellisé Urquiza e J.C. Quero Navarro, abogados;

–        per Orangina Schweppes Holding BV, da Á. Joaniquet Tamburini, procurador e B. González Navarro, abogado;

–        per Schweppes International Ltd, da Á. Quemada Cuatrecasas, procurador e J.M. Otero Lastres, abogado;

–        per il governo ellenico, da G. Alexaki, in qualità di agente;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.L. Noort e M.K. Bulterman, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da É. Gippini Fournier, T. Scharf, F. Castillo de la Torre e J. Samnadda, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25 e rettifica GU 2009, L 11, pag. 86), nonché dell’articolo 36 TFUE.

2        Detta domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone la Schweppes SA, società spagnola, alla Red Paralela SL e alla Red Paralela BCN SL, già Carbóniques Montaner SL (in prosieguo, congiuntamente: la «Red Paralela»), relativamente all’importazione in Spagna, da parte di queste ultime, di bottiglie di acqua tonica contrassegnate dal marchio Schweppes provenienti dal Regno Unito.

 Contesto normativo

3        L’articolo 7 della direttiva 2008/95, intitolato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», stabilisce:

«1.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.      Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

4        La direttiva 2008/95 è stata abrogata con effetto dal 15 gennaio 2019 dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), entrata in vigore il 12 gennaio 2016, il cui articolo 15 corrisponde, in sostanza, all’articolo 7 della direttiva 2008/95.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

5        Il segno «Schweppes» gode di notorietà a livello mondiale, in particolare, per la bevanda «acqua tonica», disponibile in numerose varianti. Tale segno non è oggetto di un’unica registrazione come marchio dell’Unione europea, ma è registrato da molto tempo come marchio nazionale, denominativo e figurativo, in ciascuno degli Stati membri dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo (SEE). I suddetti marchi nazionali sono sostanzialmente identici.

6        Inizialmente, tutti i marchi Schweppes registrati nel SEE (in prosieguo: i «marchi paralleli») erano detenuti dalla Cadbury Schweppes.

7        Nel corso dell’anno 1999, la Cadbury Schweppes ha ceduto alla Coca-Cola /Atlantic Industries (in prosieguo: la «Coca-Cola») una parte di tali marchi paralleli, tra cui quelli registrati nel Regno Unito. La Cadbury Schweppes ha mantenuto la titolarità dell’altra parte di tali marchi paralleli, tra i quali quelli registrati in Spagna.

8        La mappa sottostante indica, in colore scuro, gli Stati membri del SEE e delle zone limitrofe nei quali la Coca-Cola è titolare dei marchi Schweppes:

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9        Al termine di numerose acquisizioni e ristrutturazioni, i marchi paralleli di proprietà della Cadbury Schweppes sono, attualmente, di titolarità della Schweppes International Ltd, società del Regno Unito.

10      Tale ultima società ha concesso alla Schweppes una licenza esclusiva sui marchi paralleli spagnoli oggetto del procedimento principale.

11      La Schweppes e la Schweppes International sono entrambe controllate dalla Orangina Schweppes Holding BV, società dei Paesi Bassi, controllante del gruppo Orangina Schweppes.

12      Il 29 maggio 2014, la Schweppes ha proposto un’azione per contraffazione dei marchi paralleli spagnoli nei confronti della Red Paralela, poiché le convenute nel procedimento principale avevano importato e distribuito in Spagna bottiglie di acqua tonica recanti il marchio Schweppes provenienti dal Regno Unito. La Schweppes ritiene, infatti, che tale commercializzazione in Spagna sarebbe illecita, in quanto dette bottiglie di acqua tonica sono state prodotte e immesse in commercio non dalla stessa o con il suo consenso, bensì dalla Coca-Cola, la quale, secondo la Schweppes, non avrebbe alcun rapporto economico o giuridico con il gruppo Orangina Schweppes. In tale contesto, la Schweppes sostiene che, tenuto conto dell’identità dei segni e dei prodotti per cui è causa, il consumatore non sia in grado di distinguere l’origine commerciale di tali bottiglie.

13      In sua difesa, la Red Paralela invoca l’esaurimento del diritto di marchio che risulterebbe, per quanto riguarda i prodotti «Schweppes» provenienti da Stati membri dell’Unione nei quali la Coca-Cola è titolare di tali marchi paralleli, da un consenso tacito. La Red Paralela ritiene, inoltre, che sussistono incontestabilmente collegamenti giuridici ed economici tra la Coca-Cola e la Schweppes International nello sfruttamento comune del segno «Schweppes» come marchio universale.

14      Secondo gli accertamenti effettuati dal giudice del rinvio, i fatti che rilevano ai fini della presente causa sono i seguenti:

–        la Schweppes International, pur essendo titolare dei marchi paralleli solo in una parte degli Stati membri del SEE, ha favorito un’immagine globale del marchio Schweppes;

–        la Coca-Cola, titolare dei marchi paralleli registrati negli altri Stati membri del SEE, ha contribuito al mantenimento di tale immagine di marchio globale;

–        detta immagine globale ingenera confusione nel pubblico spagnolo di riferimento riguardo all’origine commerciale dei prodotti «Schweppes»;

–        la Schweppes International è responsabile del sito Internet europeo specificamente dedicato al marchio Schweppes (www.schweppes.eu), che contiene non solo informazioni generali sui prodotti di tale marca, ma anche collegamenti verso vari siti locali e, in particolare, verso il sito britannico gestito dalla Coca-Cola;

–        la Schweppes International, che non detiene alcun diritto sul marchio Schweppes nel Regno Unito (dove il marchio è detenuto dalla Coca-Cola), rivendica sul suo sito Internet l’origine britannica del marchio;

–        la Schweppes e la Schweppes International utilizzano l’immagine dei prodotti «Schweppes» di origine britannica nella loro pubblicità;

–        la Schweppes International, nel Regno Unito, promuove e pubblicizza presso i clienti i prodotti «Schweppes» sulle reti sociali;

–        la presentazione dei prodotti «Schweppes» commercializzati dalla Schweppes International è molto simile – e, in alcuni Stati membri, come in Danimarca e nei Paesi Bassi, perfino identica – a quella dei prodotti «Schweppes» di origine britannica;

–        la Schweppes International, che ha sede nel Regno Unito, e la Coca-Cola coesistono pacificamente nel territorio del Regno Unito;

–        in seguito alla cessione, avvenuta nel corso del 1999, di una parte dei marchi paralleli alla Coca-Cola, le due titolari dei marchi paralleli nel SEE hanno chiesto, nei loro rispettivi territori, la registrazione di nuovi marchi Schweppes identici o simili per i medesimi prodotti (quale, a titolo di esempio, il marchio SCHWEPPES ZERO);

–        sebbene la Schweppes International sia la titolare dei marchi paralleli nei Paesi Bassi, lo sfruttamento del marchio in tale paese (vale a dire l’elaborazione, l’imbottigliamento e l’immissione in commercio del prodotto) viene effettuato dalla Coca-Cola in qualità di licenziataria;

–        la Schweppes International non si oppone alla vendita online di prodotti «Schweppes» di origine britannica in numerosi Stati membri del SEE, nei quali essa è titolare dei marchi paralleli, come in Germania e in Francia; i prodotti «Schweppes» sono, del resto, venduti in tutto il territorio del SEE tramite siti Internet, senza distinzione d’origine;

–        la Coca-Cola non si è opposta, sulla base dei diritti di cui è titolare sui marchi paralleli, alla domanda di registrazione, da parte della Schweppes International, di un modello comunitario contenente l’elemento denominativo «Schweppes».

15      Il giudice del rinvio ritiene che le circostanze della causa nel procedimento principale si distinguono nettamente da quelle delle cause all’origine della giurisprudenza della Corte in tema di esaurimento del diritto di marchio e che tali circostanze potrebbero rendere necessaria una nuova riflessione sull’equilibrio tra la tutela del diritto in questione e la libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione.

16      Tanto premesso, lo Juzgado de lo Mercantil n. 8 de Barcelona (tribunale di commercio n. 8 di Barcellona, Spagna), ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia compatibile con l’articolo 36 TFUE, con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2008/95] e con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2015/2436] il fatto che il titolare di un marchio in uno o più Stati membri impedisca l’importazione parallela o la commercializzazione di prodotti recanti un marchio identico o praticamente identico, di proprietà di un terzo, provenienti da un altro Stato membro, nel caso in cui detto titolare abbia rafforzato un’immagine di marchio globale associato allo Stato membro di origine dei prodotti che intende vietare.

2)      Se sia compatibile con l’articolo 36 TFUE, con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2008/95] e con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2015/2436] la vendita di un prodotto, recante un marchio notorio, all’interno dell’Unione nel caso in cui i titolari del marchio registrato mantengano un’immagine globale di marchio nell’intero SEE tale da ingenerare confusione nel consumatore medio riguardo all’origine commerciale del prodotto.

3)      Se sia compatibile con l’articolo 36 TFUE, con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2008/95] e con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2015/2436] il fatto che il titolare di marchi nazionali identici o simili in vari Stati membri si opponga all’importazione in uno Stato membro, in cui è titolare del marchio, di prodotti designati con un marchio identico o simile al suo e provenienti da uno Stato membro in cui non è titolare, quando almeno in un altro Stato membro in cui è titolare del marchio abbia acconsentito, espressamente o tacitamente, all’importazione dei medesimi prodotti.

4)      Se sia compatibile con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2008/95], con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2015/2436] e con l’articolo 36 TFUE il fatto che il titolare A di un marchio X di uno Stato membro si opponga all’importazione di prodotti designati da detto marchio, nel caso in cui tali prodotti provengano da un altro Stato membro in cui è stato registrato un marchio identico a X (Y) da parte di un altro titolare B che lo commercializza e:

–        i due titolari A e B intrattengano intensi rapporti commerciali ed economici, sebbene non di stretta dipendenza per lo sfruttamento congiunto del marchio X;

–        i due titolari A e B perseguano una strategia di marchio coordinata rafforzando deliberatamente di fronte al pubblico l’apparenza o l’immagine di un marchio unico e globale; o

–        i due titolari A e B intrattengano intensi rapporti commerciali ed economici, sebbene non di stretta dipendenza per lo sfruttamento congiunto del marchio X, e perseguano inoltre una strategia di marchio coordinata rafforzando deliberatamente di fronte al pubblico l’apparenza o l’immagine di un marchio unico e globale».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

17      La Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding sostengono, in via principale, che il rinvio pregiudiziale è irricevibile.

18      A tale proposito, esse sostengono, in limine, che il rinvio pregiudiziale è privo di fondamento. Infatti, gli accertamenti fattuali, contenuti nella decisione di rinvio e riassunti al punto 14 della presente sentenza, sui quali si basa il suddetto rinvio, sarebbero inficiati da errori manifesti. Tale decisione di rinvio sarebbe, del resto, incompleta, giacché, in particolare, ometterebbe deliberatamente di rappresentare la posizione della Schweppes e della Schweppes International, volta a contestare tali accertamenti fattuali, in violazione dei loro diritti della difesa.

19      Inoltre, la Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding asseriscono che le questioni pregiudiziali poste sono astratte e si fondano su affermazioni generali e ipotetiche. Pertanto, sarebbe impossibile per la Corte valutarne la necessità e la pertinenza.

20      Infine, la Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding sostengono che i dubbi del giudice del rinvio non si basano sull’interpretazione del diritto dell’Unione, ma unicamente sulla questione se alcune circostanze di fatto, che non sono ancora state trattate dalla giurisprudenza della Corte in materia di esaurimento del diritto conferito dal marchio, sono suscettibili di esservi ricomprese. Dal momento che tale giurisprudenza è perfettamente definita e costante, l’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione sollecitata dal giudice del rinvio non farebbe sorgere alcun dubbio, pertanto non sarebbe stato necessario adire la Corte.

21      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, nell’ambito del procedimento pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice nazionale è l’unico competente ad esaminare e valutare i fatti del procedimento principale. In tale contesto, la Corte è legittimata unicamente a pronunciarsi sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione riguardo alla situazione di fatto e di diritto descritta dal giudice del rinvio, al fine di fornire a quest’ultimo gli elementi utili alla soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente (sentenze del 28 luglio 2016, Kratzer, C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 27, e del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 35).

22      Pertanto, non spetta alla Corte rimettere in discussione gli accertamenti fattuali sui quali si fonda la domanda di pronuncia pregiudiziale.

23      Inoltre, la Corte, a più riprese, ha statuito che spetta esclusivamente al giudice nazionale, che è investito della controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenze del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 29, nonché del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 19).

24      Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile, quindi, soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della controversia principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenze del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 26, nonché del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 30).

25      Orbene, ciò non si verifica nel caso di specie. Emerge, infatti, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che le questioni presentate hanno un rapporto diretto con la controversia nel procedimento principale e sono rilevanti al fine di consentire al giudice del rinvio di risolvere la stessa. Tale domanda contiene, del resto, elementi sufficienti per determinare la portata delle summenzionate questioni e apportarvi una risposta utile.

26      Infine, occorre ricordare che i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno, senza che la circostanza per cui le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l’effetto di ostacolare una nuova pronuncia da parte della stessa (sentenze del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 32, nonché del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 21).

27      Risulta dalle considerazioni che precedono che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Nel merito

28      In via preliminare, occorre rilevare che le questioni pregiudiziali riguardano sia il diritto derivato dell’Unione, vale a dire l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436, che lo sostituisce, sia il diritto primario dell’Unione, vale a dire l’articolo 36 TFUE.

29      A tale riguardo, si deve constatare, da un lato, che, per quanto riguarda le due summenzionate disposizioni di diritto derivato, la controversia nel procedimento principale è disciplinata, tenuto conto della data dei fatti, dalla prima delle suddette disposizioni. Alla Corte, quindi, spetta pronunciarsi esclusivamente riguardo a tale disposizione nell’ambito della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

30      Dall’altro lato, occorre rammentare che l’articolo 7 della direttiva 2008/95, redatto in termini generali, disciplina in modo completo la materia dell’esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti immessi in commercio nell’Unione e che, qualora direttive dell’Unione prevedano l’armonizzazione delle misure necessarie per garantire la tutela degli interessi contemplati dall’articolo 36 TFUE, ogni misura nazionale relativa a tale materia dev’essere valutata con riguardo alle disposizioni di tale direttiva e non alla luce degli articoli da 34 a 36 TFUE. Tuttavia, la suddetta direttiva, come tutta la normativa di diritto derivato dell’Unione, deve essere interpretata alla luce delle norme del trattato FUE relative alla libera circolazione delle merci e, segnatamente, dell’articolo 36 TFUE (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punti da 25 a 27 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 20 marzo 1997, Phytheron International, C‑352/95, EU:C:1997:170, punti 17 e 18).

31      Pertanto, con le sue quattro questioni, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, letto alla luce dell’articolo 36 TFUE, debba essere interpretato nel senso che osta a che il titolare di un marchio nazionale si opponga all’importazione di prodotti identici contrassegnati dal medesimo marchio provenienti da un altro Stato membro, in cui detto marchio, che inizialmente era di proprietà del medesimo titolare, è attualmente detenuto da un terzo che ne ha acquisito i diritti mediante cessione, laddove uno o più dei seguenti elementi siano presenti:

–        il titolare ha rafforzato un’immagine di marchio globale e associato allo Stato membro di origine dei prodotti la cui importazione intende vietare;

–        il titolare ed il terzo perseguono una strategia coordinata di marchio al fine di rafforzare deliberatamente, in tutto il SEE, l’apparenza o l’immagine di un marchio unico e globale;

–        l’immagine di marchio unico e globale in tal modo costituita ingenera confusione nel consumatore medio circa l’origine commerciale dei prodotti contrassegnati da tale marchio;

–        il titolare e il terzo intrattengono intensi rapporti commerciali ed economici, sebbene non di stretta dipendenza reciproca per lo sfruttamento congiunto del marchio;

–        il titolare ha espressamente o tacitamente acconsentito a che gli stessi prodotti di cui intende vietare l’importazione siano importati in uno o molteplici altri Stati membri nei quali detiene ancora il diritto di marchio.

32      La Red Paralela, i governi greco e dei Paesi bassi nonché la Commissione europea propongono, con sfumature diverse, di rispondere affermativamente a tale questione, mentre la Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding ritengono che essa richieda una risposta negativa.

33      In forza dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, il diritto conferito dal marchio non permette al suo titolare di vietare l’uso dello stesso per prodotti immessi in commercio nell’Unione con detto marchio dal titolare o con il suo consenso.

34      L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 è redatto in termini corrispondenti a quelli utilizzati dalla Corte nelle sentenze che, interpretando gli articoli 30 e 36 del Trattato CE (successivamente, articoli 28 e 30 CE, attualmente, articoli 34 e 36 TFUE), hanno riconosciuto nel diritto dell’Unione il principio dell’esaurimento del marchio. Infatti, detta disposizione riproduce la giurisprudenza della Corte secondo la quale il titolare di un diritto di marchio tutelato dalle norme di uno Stato membro non può invocare tali norme per opporsi all’importazione o allo smercio di un prodotto che è stato immesso in commercio in un altro Stato membro dallo stesso o con il suo consenso (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 31, nonché del 20 marzo 1997, Phytheron International, C‑352/95, EU:C:1997:170, punto 20).

35      Detta giurisprudenza concernente il principio dell’esaurimento del diritto del marchio, basato sull’articolo 36 TFUE, mira, al pari dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti del marchio, da un lato, e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato interno, dall’altro lato (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 40).

36      Quanto al diritto di marchio, la Corte, a più riprese, ha statuito che detto diritto costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il diritto dell’Unione intende stabilire e conservare. In un siffatto sistema, le imprese devono essere in grado di attirare la clientela con la qualità dei loro prodotti o dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all’esistenza di segni distintivi che consentano di riconoscere tali prodotti e servizi. Per svolgere questa funzione il marchio deve garantire che tutti i prodotti con esso contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di un’unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (sentenze del 17 ottobre 1990, HAG GF, C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 13, nonché dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

37      Conseguentemente, come la Corte ha più volte affermato, l’oggetto specifico del diritto di marchio consiste, segnatamente, nel garantire al titolare il diritto di utilizzare il marchio per la prima immissione in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo dai concorrenti che volessero abusare della posizione e della notorietà del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con lo stesso. Al fine di stabilire l’esatta estensione di tale diritto esclusivo riconosciuto al titolare del marchio, occorre tener conto della funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza possibile confusione detto prodotto da quelli aventi diversa origine (sentenze del 17 ottobre 1990, HAG GF, C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 14, nonché dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

38      Orbene, la funzione essenziale del marchio sarebbe compromessa se, nel caso di mancanza assoluta di assenso da parte del titolare, lo stesso non potesse opporsi all’importazione di un prodotto identico o simile contrassegnato con un marchio identico o confondibile, prodotto e immesso in circolazione in un altro Stato membro da un terzo che non ha alcun legame economico con detto titolare (v., in tal senso, sentenze del 17 ottobre 1990, HAG GF, C‑10/89, EU:C:1990:359, punti 15 e 16, nonché del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger, C‑9/93, EU:C:1994:261, punti da 33 a 37).

39      Tale analisi non può essere modificata dal solo fatto che il marchio del titolare e quello apposto sul prodotto di cui quest’ultimo intende vietare l’importazione siano appartenuti in origine allo stesso titolare, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il frazionamento di tali marchi sia dovuto ad un’espropriazione, e quindi ad un atto di pubblico potere, o ad una cessione contrattuale volontaria, a condizione tuttavia che, nonostante la loro origine comune, ciascuno di tali marchi, a decorrere dall’espropriazione o dalla cessione, abbia adempiuto in modo indipendente, nel rispettivo ambito territoriale, la sua funzione di garantire che i prodotti contrassegnati provengono da un’unica fonte (v., in tal senso, sentenze del 17 ottobre 1990, HAG GF, C‑10/89, EU:C:1990:359, punti 17 e 18, nonché del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger, C‑9/93, EU:C:1994:261, punti da 46 a 48).

40      Evidentemente, tale ultima condizione non è soddisfatta qualora, dopo la cessione di una parte dei marchi paralleli nazionali ad un terzo, il titolare, da solo o perseguendo la sua strategia di marchio coordinata con detto terzo, abbia continuato a rafforzare attivamente e deliberatamente l’apparenza o l’immagine di un marchio unico e globale, ingenerando o incrementando confusione per il pubblico interessato circa l’origine commerciale dei prodotti contrassegnati da tale marchio. Mediante una simile condotta, che comporta che il marchio del titolare non adempia più la sua funzione essenziale in modo indipendente nel rispettivo ambito territoriale, il titolare medesimo ha compromesso tale funzione, se non l’ha addirittura snaturata. Conseguentemente, quest’ultimo non può avvalersi della necessità di salvaguardare tale funzione al fine di opporsi all’importazione di prodotti identici contrassegnati con il medesimo marchio provenienti da un altro Stato membro in cui il marchio è attualmente detenuto dal suddetto terzo.

41      Spetta ai giudici nazionali valutare se ciò sia avvenuto, tenendo conto dell’insieme degli elementi che caratterizzano la situazione individuale per cui è causa.

42      In un simile contesto, occorre nondimeno rilevare che non sarebbe sufficiente a tale riguardo la sola circostanza per cui detto titolare continui, dopo la cessione, ad invocare l’origine geografica storica dei marchi paralleli nazionali, anche qualora non detenga più i diritti per il territorio di cui è causa e intenda vietare l’importazione dei prodotti contrassegnati dai marchi da tale territorio.

43      Nell’ipotesi in cui tali giudici constatino che la condizione di cui al punto 39 della presente sentenza è soddisfatta, occorre ricordare che la funzione essenziale del marchio non è rimessa in causa dalla libertà delle importazioni se il titolare del marchio nello Stato di importazione e il titolare del marchio nello Stato di esportazione sono identici ovvero quando, pur essendo persone distinte, sono collegati economicamente (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger, C‑9/93, EU:C:1994:261, punti 34 e 37).

44      Come la Corte ha già affermato, un simile collegamento economico sussiste, segnatamente, quando i prodotti in questione sono stati immessi in circolazione da un licenziatario o da una capogruppo o da una controllata del medesimo gruppo oppure da un concessionario esclusivo. Infatti, in tali situazioni, il titolare o l’entità di cui lo stesso è parte ha la possibilità di controllare la qualità dei prodotti contrassegnati dal marchio (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger, C‑9/93, EU:C:1994:261, punti 34 e 37).

45      La Corte, del resto, ha sottolineato che l’elemento determinante è costituito dalla possibilità di un controllo della qualità dei prodotti e non dall’esercizio effettivo di tale controllo. In un simile contesto, essa ha evidenziato, a titolo di esempio, che, se il licenziante tollera la fabbricazione di prodotti di cattiva qualità da parte del licenziatario pur avendo i mezzi contrattuali per evitarlo, deve assumersene la responsabilità. Parimenti, se la fabbricazione dei prodotti è decentralizzata all’interno del medesimo gruppo societario e le consociate stabilite in ogni Stato membro fabbricano prodotti la cui qualità corrisponde alle specificità di ogni mercato nazionale, queste differenze di qualità non possono essere invocate al fine di opporsi all’importazione dei prodotti fabbricati da una consociata. Il gruppo deve, infatti, subire le conseguenze della sua scelta (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger, C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 38).

46      Come evidenziato dall’avvocato generale ai paragrafi da 72 a 82 delle sue conclusioni, emerge da tale giurisprudenza che la nozione di «collegamento economico», ai sensi della stessa, rinvia a un criterio non formale ma sostanziale, che non è circoscritto alle situazioni elencate al punto 44 della presente sentenza e che, in particolare, è parimenti rispettato qualora, in seguito al frazionamento dei marchi paralleli nazionali dovuto ad una cessione territorialmente limitata, i titolari di tali marchi coordinano le loro politiche commerciali o si accordano al fine di controllare congiuntamente l’utilizzo di tali marchi, di modo che gli stessi hanno la possibilità di determinare direttamente o indirettamente i prodotti contrassegnati dal marchio e di controllarne la qualità.

47      Infatti, permettere a tali titolari di tutelare i loro rispettivi territori dall’importazione parallela dei summenzionati prodotti comporterebbe un isolamento dei mercati nazionali non giustificato dall’oggetto del diritto di marchio e, in particolare, non necessario al fine di preservare la funzione essenziale dei marchi interessati.

48      Pertanto, nelle circostanze descritte al punto 46 della presente sentenza, occorre considerare che il prodotto è stato immesso in commercio nello Stato membro di esportazione con il consenso del titolare del diritto del marchio tutelato dallo Stato membro di importazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, letto alla luce dell’articolo 36 TFUE.

49      A tale riguardo, occorre precisare che la constatazione secondo cui, in seguito al frazionamento dei marchi paralleli nazionali dovuto ad una cessione territorialmente limitata, sussistono collegamenti economici tra i titolari di tali marchi, non è soggetta né alla condizione che detti titolari dipendano formalmente l’uno dall’altro per lo sfruttamento comune di tali marchi, né a quella che gli stessi esercitino effettivamente la possibilità di controllare la qualità dei prodotti interessati.

50      Del resto, se è pur vero che la Corte ha già statuito che, di per sé, cioè in mancanza di qualsivoglia collegamento economico, il contratto di cessione non conferisce al cedente i mezzi per controllare la qualità dei prodotti distribuiti e contrassegnati dal cessionario, è proprio da tale constatazione che consegue che è ben diversa l’ipotesi in cui tra il cedente e il cessionario sussistano tali collegamenti economici (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger, C‑9/93, EU:C:1994:261, punti 41 e 43).

51      Spetta ai giudici nazionali valutare l’esistenza di tali collegamenti economici, tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti nel caso di specie.

52      In tale contesto, occorre rilevare che se, in via di principio, spetta all’operatore che invoca l’esaurimento fornire la prova che le condizioni per l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 sono soddisfatte (v., in tal senso, sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss, da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 54), tale regola deve essere adattata qualora sia di natura tale da consentire al titolare di isolare i mercati nazionali, favorendo in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo tra gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punti 37 e 38).

53      Un tale adattamento dell’onere della prova si impone nel caso di frazionamento volontario dei marchi paralleli nazionali, quando per tale operatore è difficile, se non impossibile, dimostrare l’esistenza di collegamenti economici tra i titolari di detti marchi, dal momento che tali collegamenti scaturiscono abitualmente da accordi commerciali o intese informali tra i medesimi titolari ai quali l’operatore non ha accesso.

54      Ciò premesso, come ha parimenti rilevato l’avvocato generale al paragrafo 94 delle sue conclusioni, è onere dell’operatore fornire un complesso di indizi precisi e concordanti che consentano di dedurre l’esistenza di tali collegamenti economici. Spetta al giudice del rinvio verificare se i fatti indicati al punto 14 della presente sentenza costituiscano indizi di tale natura.

55      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alle questioni poste affermando che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, letto alla luce dell’articolo 36 TFUE, deve essere interpretato nel senso che osta a che il titolare di un marchio nazionale si opponga all’importazione di prodotti identici contrassegnati dal medesimo marchio provenienti da un altro Stato membro, in cui detto marchio, che inizialmente era di proprietà del medesimo titolare, è attualmente detenuto da un terzo che ne ha acquisito i diritti mediante cessione, laddove, in seguito a tale cessione,

–        il titolare, da solo o coordinando la sua strategia di marchio con tale terzo, abbia continuato a rafforzare attivamente e deliberatamente l’apparenza o l’immagine di un marchio unico e globale, in tal modo ingenerando o incrementando confusione nel pubblico pertinente circa l’origine commerciale dei prodotti contrassegnati da tale marchio,

o

–        sussistano collegamenti economici tra il titolare e tale terzo, nel senso che essi coordinano la loro politica commerciale o si accordano al fine di controllare congiuntamente l’utilizzo del marchio, in modo tale da avere la possibilità di determinare direttamente o indirettamente i prodotti contrassegnati da tale marchio e di controllarne la qualità.

 Sulle spese

56      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, letto alla luce dell’articolo 36 TFUE, deve essere interpretato nel senso che osta a che il titolare di un marchio nazionale si opponga all’importazione di prodotti identici contrassegnati dal medesimo marchio provenienti da un altro Stato membro, in cui detto marchio, che inizialmente era di proprietà del medesimo titolare, è attualmente detenuto da un terzo che ne ha acquisito i diritti mediante cessione, laddove, in seguito a tale cessione,

–        il titolare, da solo o coordinando la sua strategia di marchio con tale terzo, abbia continuato a rafforzare attivamente e deliberatamente l’apparenza o l’immagine di un marchio unico e globale, in tal modo ingenerando o incrementando confusione nel pubblico pertinente circa l’origine commerciale dei prodotti contrassegnati da tale marchio,

o

–        sussistano collegamenti economici tra il titolare e tale terzo, nel senso che essi coordinano la loro politica commerciale o si accordano al fine di controllare congiuntamente l’utilizzo del marchio, in modo tale da avere la possibilità di determinare direttamente o indirettamente i prodotti contrassegnati da tale marchio e di controllarne la qualità.

Firme


*      Lingua processuale: lo spagnolo.