Language of document : ECLI:EU:C:2007:326

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

7 giugno 2007 (*)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Concorrenza – Intesa – Ammende – Nozione di “esercizio sociale precedente” ai fini del calcolo del limite massimo dell’ammenda»

Nel procedimento C‑76/06 P,

avente ad oggetto un ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, proposto, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, il 7 febbraio 2006,

Britannia Alloys & Chemicals Ltd, con sede in Gravesend (Regno Unito), rappresentata dalla sig.ra S. Mobley e dal sig. M. Commons, solicitors,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. F. Castillo de la Torre, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. E. Juhász, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. G. Arestis e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1º marzo 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso d’impugnazione la Britannia Alloys & Chemicals Ltd (in prosieguo: la «Britannia») chiede l’annullamento, da un lato, della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 29 novembre 2005, causa T‑33/02, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione (Racc. pag. II‑4973; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui questo ha respinto il suo ricorso contro la decisione della Commissione 11 dicembre 2001, 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU L 153, pag. 1; in prosieguo: la «decisione controversa»), e, dall’altro, dell’art. 3 di tale decisione nella parte in cui la riguarda.

 Contesto normativo

 Il regolamento n. 17

2        L’art. 15 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), prevede quanto segue:

«1.      La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni d’imprese ammende varianti da cento a cinquemila unità di conto quando intenzionalmente o per negligenza:

(…)

b)      forniscano informazioni inesatte in risposta a una domanda rivolta a norma dell’articolo 11, paragrafi 3 [o] 5 (…)

(…)

2.      La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81 CE], paragrafo 1 o dell’articolo [82 CE] (…)

(…)

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

(…)».

 Gli orientamenti

3        La comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA» (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), enuncia nel suo preambolo:

«I principi indicati negli orientamenti (...) dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà ormai sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».

 Fatti

4        Ai punti 1-10 della sentenza impugnata, il Tribunale ha riassunto come segue i fatti all’origine della controversia di cui è stato investito:

«1.      La Britannia (…), società di diritto inglese, è una controllata della M.I.M. Holdings Ltd (in prosieguo: la “MIM”), una società di diritto australiano. Nell’ottobre 1993 la Pasminco Europe (ISC Alloys) Ltd ha venduto le proprie attività nel settore dello zinco alla MIM, che le ha trasferite alla Britannia. Tale impresa produceva e vendeva prodotti a base di zinco, ivi compreso il fosfato di zinco. Nel marzo 1997 la Trident Alloys Ltd (in prosieguo: la “Trident”), una società autonoma costituita dalla direzione della Britannia, ha rilevato le attività di quest’ultima nel settore dello zinco per la somma di (…) sterline [inglesi] (GBP) 14 359 072. La Britannia esiste ancora quale controllata della MIM, ma ha cessato di esercitare qualsiasi attività economica e dunque non ha più alcun fatturato.

2.      Benché le loro formule chimiche possano variare leggermente, gli ortofosfati di zinco rappresentano un prodotto chimico omogeneo, designato con la denominazione generica di “fosfato di zinco”. Il fosfato di zinco, che si ottiene dall’ossido di zinco e dall’acido fosforico, viene frequentemente usato come pigmento minerale anticorrosione nell’industria delle vernici. Esso viene commercializzato sul mercato tanto come fosfato di zinco standard, quanto come fosfato di zinco modificato o “attivato”.

3.      Nel 2001 i seguenti cinque produttori europei detenevano la maggior parte del mercato mondiale del fosfato di zinco: la Dr. Hans Heubach GmbH & Co. KG (in prosieguo: la “Heubach”), la James M. Brown Ltd (in prosieguo: la “James Brown”), la Société nouvelle des couleurs zinciques SA (in prosieguo: la “SNCZ”), la Trident (in precedenza la Britannia) e la Union Pigments AS (già Waardals AS) (in prosieguo: la “Union Pigments”).

4.      Il 13 e il 14 maggio 1998 la Commissione ha proceduto, simultaneamente e senza preavviso, ad alcuni accertamenti presso gli uffici della Heubach, della SNCZ e della Trident, a norma dell’art. 14, n. 2, del regolamento (…) n. 17 (…).

5.      In data 11 dicembre 2001 la Commissione ha adottato la decisione [controversa]. La decisione presa in considerazione ai fini della presente sentenza è quella che è stata notificata alle imprese interessate e che è allegata al ricorso introduttivo (…).

6.      Nella decisione [controversa] la Commissione afferma che tra il 24 marzo 1994 ed il 13 maggio 1998 è esistita un’intesa che ha visto riunite la Britannia (la Trident a partire dal 15 marzo 1997), la Heubach, la James Brown, la SNCZ e la Union Pigments. L’intesa sarebbe stata limitata al fosfato di zinco standard. In primo luogo, i membri dell’intesa avrebbero messo in atto un accordo di ripartizione del mercato con quote di vendita per i produttori. In secondo luogo, i detti membri avrebbero fissato dei prezzi “minimi” o “raccomandati” a ciascuna riunione e li avrebbero in genere rispettati. In terzo luogo, sarebbe stata effettuata, in una certa misura, una spartizione della clientela.

7.      Il dispositivo della decisione [controversa] è formulato nei seguenti termini:

“Articolo 1

Britannia (...), (...) Heubach (...), James (...) Brown (...), [SNCZ], Trident (...) e [Union Pigments] hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato CE e dell’articolo 53, paragrafo 1, dell’accordo SEE partecipando a un accordo continuato e/o a una pratica concordata nel settore del fosfato di zinco.

La durata dell’infrazione è stata la seguente:

(…)

b)      nel caso di Britannia (...): dal 24 marzo 1994 al 15 marzo 1997.

[…]

Articolo 3

Per l’infrazione di cui all’articolo 1, sono irrogate le seguenti ammende:

a)      Britannia (...): 3,37 milioni di EUR,

b)      (...) Heubach (...): 3,78 milioni di EUR,

c)      James (...) Brown (...): 940 000 EUR,

d)      [SNCZ]: 1,53 milioni di EUR,

e)      Trident (...): 1,98 milioni di EUR,

f)      [Union Pigments]: 350 000 EUR.

(…)”.

8      Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha utilizzato il metodo esposto negli [o]rientamenti (…) e la comunicazione 18 luglio 1996, sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la “comunicazione sulla cooperazione”).

La Commissione ha anzitutto ritenuto che l’importo di base appropriato per la ricorrente fosse di EUR 3,75 milioni ([punto] 313 della decisione [controversa]). Essa ha poi ricordato il limite che, a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’ammenda da infliggere a ciascuna delle imprese interessate non poteva superare. Ai fini della fissazione del limite massimo del 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente previsto dalla detta disposizione, la Commissione ha, quanto alla ricorrente, “tenuto conto del suo fatturato globale relativo all’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996, che è l’ultima cifra disponibile relativa a un intero anno di attività normale” ([punto] 345 […]). Essendo tale fatturato pari ad EUR 55,7 milioni ([punto] 50), il limite massimo dell’ammenda è stato fissato ad EUR 5,5 milioni circa. Poiché l’importo dell’ammenda prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione era inferiore al detto limite massimo, la Commissione non ha proceduto ad una riduzione a tale titolo.

9      Infine, la Commissione ha accordato alla ricorrente una riduzione del 10% ai sensi della comunicazione sulla cooperazione ([punto] 366). L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente è dunque risultato di EUR 3,37 milioni ([punto] 370)».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

5        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 febbraio 2002, la Britannia ha proposto un ricorso diretto all’annullamento parziale della decisione controversa e, in subordine, alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta da tale decisione.

6        Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto il ricorso.

 Conclusioni delle parti nel procedimento d’impugnazione

7        Con il suo ricorso d’impugnazione la Britannia chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata in quanto respinge il suo ricorso;

–        annullare l’art. 3 della suddetta decisione controversa nella parte in cui la riguarda;

–        in subordine, modificare tale art. 3 nella parte in cui la riguarda, in modo da annullare o ridurre sostanzialmente l’importo dell’ammenda ad essa inflitta;

–        in ulteriore subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché questo decida conformemente ai punti di diritto fissati dalla sentenza della Corte;

–        ad ogni modo, condannare la Commissione a sopportare le proprie spese, nonché quelle della Britannia relative sia al procedimento di primo grado sia a quello d’impugnazione.

8        La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare l’impugnazione parzialmente irricevibile o, in subordine, respingerla in quanto infondata;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Sull’impugnazione

9        A sostegno delle sue conclusioni, la Britannia deduce, in sostanza, tre motivi relativi, rispettivamente, ad una violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, ad una violazione del principio della parità di trattamento e ad una violazione del principio della certezza del diritto.

 Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17

 Argomenti delle parti

10      Con il suo primo motivo, la Britannia sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto giudicando che, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, la Commissione aveva correttamente applicato il limite massimo del 10% del fatturato a quello realizzato da tale società nell’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996, invece che al fatturato relativo all’esercizio precedente all’adozione della decisione controversa.

11      Secondo la Britannia, non avendo essa realizzato alcun fatturato nell’esercizio sociale immediatamente anteriore all’adozione della decisione controversa, la Commissione poteva infliggerle solo un’ammenda compresa tra EUR 1 000 e EUR 1 000 000. Pertanto, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto dichiarando che la Commissione non era tenuta a basarsi sul fatturato realizzato nell’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 2001.

12      La Britannia sottolinea che l’aggettivo «precedente», all’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17, si riferisce all’esercizio finanziario completo di dodici mesi più prossimo alla data di adozione della decisione con cui è inflitta l’ammenda.

13      Essa sostiene che lo scopo del limite massimo relativo al fatturato, previsto da detta disposizione del regolamento n. 17, esige che tale limite massimo si applichi a un esercizio sociale che rifletta l’importanza economica dell’impresa interessata alla data della decisione della Commissione. Orbene, il Tribunale avrebbe giudicato che, se un’impresa non ha svolto alcuna attività economica nel corso dell’esercizio sociale precedente a una tale decisione, il fatturato di tale periodo non fornisce alcuna indicazione circa l’importanza di tale impresa e che, pertanto, esso non può servire come base per la determinazione dell’ammenda.

14      La Britannia rileva che i dati risultanti dai suoi conti verificati per l’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione controversa riflettono la sua situazione finanziaria alla data in cui le è stata inflitta l’ammenda, ossia un fatturato pari a zero. Ai fini della determinazione dell’importo della stessa, la Commissione non può quindi prendere in considerazione un esercizio nel corso del quale tale società ha avuto una maggiore attività economica.

15      La Commissione sostiene che, conformemente allo scopo perseguito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, il ragionamento del Tribunale si fonda sulla premessa che il limite massimo relativo al fatturato è applicabile solo se l’impresa ha realizzato un tale fatturato nell’esercizio sociale precedente alla decisione adottata in esito al procedimento amministrativo.

16      Secondo la Commissione, il Tribunale ha correttamente giudicato che detto limite massimo non era applicabile, dato che per quest’ultimo esercizio sociale non vi era alcun fatturato e in quanto, considerato che il limite massimo del 10% mira a riflettere la capacità finanziaria dell’impresa interessata, esso si applica quando esiste un fatturato al quale possa essere riferito.

17      La Commissione specifica che il prerequisito per l’applicazione del limite massimo del 10% è l’esistenza di un fatturato. In assenza di un tale fatturato nell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione finale, sarebbe necessario trovare altri indicatori per valutare l’importo dell’ammenda da infliggere.

18      La Commissione aggiunge che le valutazioni del Tribunale relative alla questione se un fatturato pari a zero sia un valido indicatore della situazione economica della Britannia vertono su un elemento di fatto che non può essere ripreso in esame nell’ambito di un’impugnazione.

 Giudizio della Corte

19      Con il suo primo motivo la ricorrente sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto quanto all’interpretazione della nozione di «esercizio sociale precedente» contenuta all’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17.

20      Quindi, il contraddittorio tra le parti dinanzi alla Corte verte su come la Commissione debba procedere per definire la nozione di «esercizio sociale precedente» nei casi in cui siano intervenuti cambiamenti sostanziali, relativamente alla situazione economica dell’impresa interessata, tra il periodo in cui è stata commessa l’infrazione e la data di adozione della decisione della Commissione con cui è inflitta l’ammenda.

21      Quanto a detta nozione, occorre rilevare come da una giurisprudenza consolidata emerga che, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto comunitario, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui tale disposizione fa parte (v. sentenze 7 giugno 2005, causa C‑17/03, VEMW e a., Racc. pag. I‑4983, punto 41, e 1º marzo 2007, causa C‑391/05, Jan De Nul, Racc. pag. I‑0000, punto 20).

22      Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 mira a conferire alla Commissione il potere di infliggere ammende al fine di consentirle di adempiere il compito di sorveglianza attribuitole dal diritto comunitario (v. sentenza 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 105). Questo compito comprende, in particolare, le mansioni di reprimere comportamenti illeciti, come pure di prevenire il loro ripetersi (v. sentenza 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 173).

23      Occorre aggiungere che, ai sensi dell’art. 15, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 17, la Commissione deve tener conto della gravità e della durata dell’infrazione in questione.

24      Relativamente a tali elementi, la Corte ha precisato che il limite massimo inerente al fatturato previsto dall’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 mira ad evitare che le ammende inflitte dalla Commissione siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa di cui trattasi (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit., punto 119).

25      Da quanto precede risulta che, ai fini della definizione della nozione di «esercizio sociale precedente», la Commissione deve valutare, per ciascun caso di specie e alla luce del contesto nonché degli scopi perseguiti dal regime sanzionatorio introdotto dal regolamento n. 17, l’impatto che vuole produrre sull’impresa interessata, tenendo conto in particolare di un fatturato che rifletta la reale situazione economica della stessa nel periodo in cui è stata commessa l’infrazione.

26      Alla luce di un tale ambito normativo, il Tribunale ha statuito, ai punti 38 e 48 della sentenza impugnata, che il calcolo del limite massimo dell’ammenda presuppone non solo che la Commissione disponga del fatturato per l’ultimo esercizio sociale che precede l’adozione della sua decisione, ma anche che tali dati corrispondano a un esercizio completo di attività economica normale durante un periodo di dodici mesi.

27      Inoltre, ai punti 39 e 49 della sentenza impugnata, il Tribunale ha fatto riferimento a varie situazioni particolari per dimostrare che la Commissione dev’essere in grado di utilizzare il fatturato realizzato nel corso di un esercizio completo di attività normali ai fini dell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

28      Infatti, l’accoglimento dell’argomento della ricorrente porterebbe ad un’interpretazione dell’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 secondo cui, in casi in cui non è stato realizzato alcun fatturato nel corso dell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione della Commissione, quest’ultima sarebbe tenuta ad applicare solo la prima parte di detto comma, non potendo il limite massimo menzionato nella seconda parte di questo stesso comma essere riferito ad alcun fatturato.

29      Orbene, una tale interpretazione disconosce non solo la portata dei poteri spettanti alla Commissione in forza di detto art. 15, n. 2, ma anche il fatto che, in alcune situazioni, il fatturato dell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione della Commissione non fornisce alcuna utile indicazione relativamente alla reale situazione economica dell’impresa interessata ed al livello appropriato dell’ammenda da infliggerle.

30      Di conseguenza, quando, come nella presente causa, l’impresa interessata non ha realizzato alcun fatturato nel corso dell’esercizio precedente all’adozione della decisione della Commissione, quest’ultima è legittimata a riferirsi a un altro esercizio sociale al fine di poter valutare correttamente le risorse finanziarie di tale impresa e garantire che l’ammenda abbia un carattere sufficientemente dissuasivo.

31      Si deve aggiungere che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 74 delle sue conclusioni e come correttamente statuito dal Tribunale al punto 40 della sentenza impugnata, la determinazione del limite massimo dell’ammenda non dipende da una semplice questione di scelta tra le due possibilità previste dall’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17, ossia tra un’ammenda massima di euro 1 milione e una soglia fissata con riferimento al fatturato dell’impresa di cui trattasi.

32      Il Tribunale non ha quindi commesso alcun errore di diritto giudicando che la Commissione poteva fare riferimento, ai sensi dell’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17, all’ultimo esercizio sociale completo precedente all’adozione della decisione controversa, ossia l’esercizio conclusosi il 30 giugno 1996.

33      Pertanto, il primo motivo dedotto dalla Britannia a sostegno del suo ricorso d’impugnazione dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo ad una violazione del principio della parità di trattamento

34      Tale motivo comporta due parti.

 Sulla prima parte del secondo motivo

–       Argomenti delle parti

35      Con la prima parte del suo secondo motivo la Britannia sostiene che il Tribunale, respingendo il ricorso, ha violato il principio della parità di trattamento, poiché, nella decisione controversa, il limite massimo del 10% è applicato all’ultimo esercizio sociale per il quale la Commissione ha ritenuto che tale società abbia avuto un’«attività economica normale», mentre, nel caso di altre imprese partecipanti all’intesa, l’esercizio sociale rilevante è quello precedente all’adozione di tale decisione.

36      La Britannia sostiene che l’applicazione del limite massimo relativo al fatturato a un esercizio sociale diverso da quello che precede la decisione controversa disconosce la sua situazione finanziaria alla data di adozione di tale decisione. Orbene, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento, la Commissione avrebbe dovuto applicare il limite massimo di cui all’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 all’esercizio sociale precedente all’adozione di detta decisione per tutte le imprese interessate.

37      La Britannia sostiene che, contrariamente alle valutazioni del Tribunale, il suo fatturato pari a zero nel corso di detto esercizio sociale riflette esattamente la sua situazione economica per il periodo in cui è stata commessa l’infrazione.

38      La Commissione rileva che il Tribunale ha statuito che la ricorrente si trovava in una situazione diversa da quella di altre due imprese che hanno partecipato all’intesa, dato che a queste era applicabile il limite massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17. Infatti, queste ultime avrebbero realizzato un fatturato nel corso dell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione controversa, il che costituiva un indizio affidabile della loro situazione economica.

39      La Commissione sottolinea che la ricorrente asserisce non che essa si trovava nella stessa situazione di dette imprese, ma solo che il suo fatturato pari a zero nel corso di detto esercizio sociale rifletteva con esattezza la sua situazione economica dell’epoca. Orbene, un tale argomento rimetterebbe in discussione una constatazione di fatto del Tribunale.

–       Giudizio della Corte

40      Secondo una costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento risulta violato soltanto quando situazioni analoghe vengono trattate in maniera differente o quando situazioni differenti vengono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenza 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 95).

41      Per quanto riguarda la presente causa, occorre ricordare che le due imprese menzionate nell’argomentazione della Britannia esercitavano ancora un’attività commerciale nel mercato oggetto dell’intesa quando la Commissione ha adottato la decisione controversa. Il loro fatturato, nell’esercizio sociale precedente all’adozione della stessa, permetteva quindi alla Commissione di valutare le risorse finanziarie di tali imprese e di definire la loro situazione economica.

42      Invece, una tale valutazione non era possibile per quanto riguarda la Britannia. È infatti pacifico che quest’ultima, alla data di adozione della decisione controversa, si trovava in una situazione completamente diversa da quella delle altre due imprese partecipanti all’intesa.

43      In tale contesto, il Tribunale ha correttamente giudicato, ai punti 61‑63 della sentenza impugnata, che la Commissione era legittimata ad applicare alla ricorrente un trattamento diverso da quello riservato a dette imprese, dato che queste ultime erano ancora attive e il loro fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione controversa era un indizio affidabile della loro situazione economica.

44      Occorre aggiungere che, nell’ambito del calcolo delle ammende inflitte ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, un trattamento differenziato tra le imprese interessate rientra nell’esercizio dei poteri spettanti alla Commissione in forza di tale disposizione. Infatti, nell’ambito del suo margine discrezionale, la Commissione è chiamata a individualizzare la sanzione in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche propri delle imprese interessate, al fine di garantire, in ogni caso di specie, la piena efficacia delle norme comunitarie in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenza 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag I‑5977, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

45      La prima parte del secondo motivo non può quindi essere accolta.

 Sulla seconda parte del secondo motivo

–       Argomenti delle parti

46      Con la seconda parte del secondo motivo la Britannia sostiene che il Tribunale, respingendo il ricorso, ha violato il principio della parità di trattamento poiché la decisione controversa, nella parte in cui indica l’esercizio sociale a cui è applicabile il limite massimo del 10%, non è conforme alla prassi amministrativa anteriore in casi simili.

47      La Britannia sostiene che, secondo il Tribunale, la Commissione era autorizzata a discostarsi dalla sua prassi anteriore in materia, considerato che la situazione di tale impresa non era paragonabile ad altri casi in cui erano state inflitte ammende alle imprese interessate.

48      A sostegno di tale seconda parte del secondo motivo, la Britannia fa riferimento a tre tipi di situazioni.

49      Innanzi tutto, essa sostiene che la sua situazione era paragonabile a casi in cui un’impresa coinvolta in un’intesa aveva trasferito le sue attività a un altro ente commerciale, pur continuando ad esistere.

50      In secondo luogo, la Britannia ritiene di essere stata trattata in maniera discriminatoria rispetto ad altre imprese che hanno visto una riduzione del loro fatturato.

51      In terzo luogo, la Britannia sostiene di non avere ricevuto lo stesso trattamento di un’impresa oggetto della decisione della Commissione 9 dicembre 1998, 1999/271/CE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo [81 CE] (IV/34466 – Traghetti greci) (GU 1999, L 109, pag. 24).

52      Relativamente a quest’ultimo punto, la Britannia rileva che detta impresa si era ritirata dal mercato prima dell’adozione della decisione della Commissione. Data l’indisponibilità del fatturato di tale impresa per l’esercizio sociale precedente, la Commissione avrebbe applicato la prima parte dell’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 per infliggerle un’ammenda pari a EUR 1 milione. Di conseguenza, la Britannia non dovrebbe trovarsi in una situazione meno favorevole di quella di tale impresa.

53      La Commissione ritiene che la questione se la situazione della ricorrente fosse paragonabile o meno a quella di altre imprese oggetto di decisioni anteriori costituisca una questione di fatto su cui il Tribunale si è pronunciato nella sentenza impugnata e che, pertanto, non può essere ripresa in esame dalla Corte nell’ambito dell’impugnazione.

54      Per quanto riguarda il primo argomento relativo ad un trasferimento di attività, la Commissione rileva che il Tribunale ha statuito che la ricorrente non si trovava in una situazione paragonabile a quella di altre imprese interessate da decisioni anteriori, poiché, contrariamente a tali imprese, la Britannia non aveva realizzato alcun fatturato nell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione controversa.

55      Per quanto riguarda il secondo argomento, secondo cui la Britannia non sarebbe stata trattata in maniera identica ad altre imprese che hanno visto una diminuzione del loro fatturato, la Commissione sottolinea che esso non è mai stato invocato dalla ricorrente nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale.

56      Infine, quanto al terzo argomento, relativo alla decisione 1999/271, la Commissione ricorda che esso è stato respinto dal Tribunale. Infatti, la prassi decisionale anteriore della Commissione non potrebbe fungere da contesto normativo per fissare ammende in materia di concorrenza, essendo tale contesto definito esclusivamente dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Pertanto, un’interpretazione di tale disposizione in un caso anteriore a vantaggio di un’impresa determinata non può costituire un elemento giuridico idoneo a far sorgere un obbligo di accordare lo stesso trattamento a un’altra impresa in un caso successivo.

–       Giudizio della Corte

57      Occorre ricordare che, come dichiarato al punto 44 della presente sentenza, ai fini del calcolo delle ammende inflitte alle imprese che hanno partecipato a un’intesa, un trattamento differenziato di tali imprese rientra nel potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia.

58      Per quanto riguarda i primi due argomenti invocati dalla Britannia, secondo i quali la Commissione si sarebbe discostata da una prassi amministrativa anteriore, occorre rilevare che il Tribunale, al punto 61 della sentenza impugnata, ha statuito che la ricorrente non si trovava in una situazione paragonabile a quella delle imprese oggetto di decisioni anteriori della Commissione, poiché essa non aveva realizzato alcun fatturato nell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione controversa.

59      In tale contesto, il Tribunale ha correttamente concluso, al detto punto 61, che la Commissione era legittimata ad applicare alla Britannia un trattamento diverso da quello riservato a dette imprese.

60      Quanto all’argomento della ricorrente relativo alla decisione 1999/271, occorre parimenti rilevare che, benché la situazione dell’impresa interessata da tale decisione sia simile a quella della Britannia, da una giurisprudenza costante della Corte risulta, come ricordato ai punti 201 e 205 della sentenza 21 settembre 2006, causa C‑167/04 P, JCB Service/Commissione (Racc. pag. I‑8935), che una prassi decisionale della Commissione non può fungere da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza e che decisioni relative ad altri casi hanno un carattere meramente indicativo dell’esistenza eventuale di discriminazioni, essendo poco verosimile un’identità delle circostanze proprie di tali casi, come i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi di riferimento.

61      Occorre aggiungere che le imprese coinvolte in un procedimento amministrativo che può dare luogo a un’ammenda per violazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende praticato in precedenza né in un metodo di calcolo di queste ultime. Al riguardo, la Corte ha precisato in particolare che dette imprese devono quindi tenere conto della possibilità che, in qualsiasi momento, la Commissione decida di aumentare il livello dell’importo delle ammende rispetto a quello applicato nel passato (v. sentenza 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punti 228 e 229).

62      Tenuto conto dell’insieme degli elementi che precedono, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto giudicando che la Commissione, indicando l’esercizio sociale a cui applicare il limite massimo del 10%, non ha violato il principio della parità di trattamento.

63      Ciò considerato, la seconda parte del secondo motivo non può essere accolta.

64      Conseguentemente, il secondo motivo dedotto dalla Britannia a sostegno del suo ricorso d’impugnazione dev’essere respinto in toto.

 Sul terzo motivo, relativo ad una violazione del principio della certezza del diritto

65      Il terzo motivo dedotto dalla Britannia a sostegno del suo ricorso d’impugnazione comporta a sua volta due parti.

 Sulla prima parte del terzo motivo

–       Argomenti delle parti

66      Con la prima parte del suo terzo motivo la Britannia sostiene che il Tribunale, respingendo il ricorso, ha violato il principio della certezza del diritto, poiché, nella decisione controversa, la Commissione ha preso in considerazione un esercizio sociale diverso da quello precedente all’adozione di tale decisione per fissare il limite massimo relativo al fatturato previsto dall’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17.

67      Più precisamente, la Britannia sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto giudicando che il fatto che la Commissione si sia discostata dal dettato dell’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 e abbia fatto riferimento a un esercizio sociale diverso da quello precedente all’adozione della decisione controversa, non costituisce una violazione del principio della certezza del diritto.

68      La Britannia sostiene che non era prevedibile che la Commissione si sarebbe basata su un anno diverso da detto esercizio sociale. Al riguardo, l’approccio del Tribunale implicherebbe una rilevante incertezza del diritto poiché alle imprese oggetto di un’inchiesta della Commissione risulterebbe impossibile individuare l’anno di riferimento rilevante ai fini della determinazione del limite massimo dell’ammenda.

69      La Britannia aggiunge che il solo modo per garantire una prassi amministrativa coerente e prevedibile consiste nell’applicare il limite massimo di cui all’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 all’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione della Commissione in qualsiasi circostanza, anche se un’interpretazione del genere comporta l’applicazione del limite massimo previsto da tale disposizione a un fatturato pari a zero.

70      La Commissione sostiene che la propria interpretazione dell’art. 15, n. 2, primo comma, del regolamento n. 17 era prevedibile, dato che il limite massimo fissato da tale disposizione si applica al fatturato realizzato nell’esercizio sociale precedente alla decisione adottata in esito alla fase amministrativa e la ricorrente non aveva realizzato alcun fatturato nel corso di tale esercizio.

71      Secondo la Commissione, la nozione di prevedibilità delle ammende implica che le imprese devono essere in grado di valutare le conseguenze dei loro atti prima di compierli. Nel caso di specie, quando la ricorrente ha deciso di commettere l’infrazione, il suo fatturato non era molto diverso da quello utilizzato per calcolare il limite massimo del 10%, ossia EUR 55,7 milioni per l’esercizio chiusosi alla fine del mese di giugno dell’anno 1996.

72      La Commissione ne deduce che, nel periodo in cui l’infrazione contestata è stata commessa, la Britannia poteva supporre che, se questa fosse stata scoperta e punita immediatamente, avrebbe dovuto pagare un’ammenda pari a circa EUR 5,5 milioni.

–       Giudizio della Corte

73      Occorre rilevare che, con il suo argomento, la Britannia procede sostanzialmente ad una riformulazione dell’insieme degli argomenti già esposti nell’ambito del primo motivo dedotto a sostegno del ricorso d’impugnazione in esame, relativo a una violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

74      Pertanto, poiché dal punto 32 della presenza sentenza risulta che tale primo motivo è infondato, gli argomenti sollevati dalla ricorrente a sostegno della prima parte del suo terzo motivo devono essere a loro volta respinti.

75      La prima parte del terzo motivo non può quindi essere accolta.

 Sulla seconda parte del terzo motivo

–       Argomenti delle parti

76      Con la seconda parte del suo terzo motivo la Britannia sostiene che il Tribunale, respingendo il ricorso, ha commesso un errore di diritto, considerato che la decisione controversa viola alcuni diritti fondamentali. Infatti, nell’ambito delle sanzioni di natura penale, la certezza del diritto sarebbe un diritto fondamentale sancito dall’art. 7, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché dall’art. 49, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1).

77      La Commissione sostiene che tale parte del terzo motivo è nuova, non essendo stata sollevata dinanzi al Tribunale.

78      La Commissione aggiunge che, poiché durante il periodo in cui è stata commessa l’infrazione, ossia gli anni 1994‑1997, il fatturato della Britannia ammontava a circa EUR 55 milioni, tale impresa poteva aspettarsi un’ammenda massima di EUR 5,5 milioni, nel caso in cui l’intesa fosse stata scoperta. Poiché la Britannia non poteva conoscere il suo fatturato nell’esercizio precedente all’adozione della decisione controversa, essa non può sostenere che attendeva un’ammenda di un determinato importo.

–       Giudizio della Corte

79      Si deve ricordare che il principio della certezza del diritto esige che le norme di diritto comunitario siano chiare e precise, affinché gli interessati possano orientarsi nelle situazioni e nei rapporti giuridici rientranti nella sfera del diritto comunitario (v. sentenza 15 febbraio 1996, causa C‑63/93, Duff e a., Racc. pag. I‑569, punto 20).

80      Per quanto riguarda le norme comunitarie in materia di concorrenza, il Tribunale, al punto 70 della sentenza impugnata, ha ricordato che le disposizioni sull’attuazione di tali norme, e segnatamente il regolamento n. 17 e gli orientamenti, consentono alle imprese di prevedere con certezza le possibili conseguenze finanziarie di una violazione di dette norme.

81      Quindi, al punto 73 della sentenza impugnata, il Tribunale ha correttamente statuito che il principio della certezza del diritto non poteva dare alla ricorrente la garanzia che la cessazione delle sue attività commerciali nel settore dello zinco le avrebbe consentito di sottrarsi a un’ammenda per l’infrazione commessa. Infatti, la Britannia era perfettamente in grado di prevedere che un’ammenda le sarebbe stata inflitta, data l’evidenza dell’infrazione delle norme in materia di concorrenza da essa commessa, e che tale ammenda sarebbe stata determinata in funzione non solo della gravità e della durata di tale infrazione, ma anche delle circostanze proprie di detta impresa.

82      La Britannia non invoca alcun argomento, né alcun altro elemento idoneo a dimostrare che il giudizio del Tribunale al punto 73 della sentenza impugnata è viziato da un errore di diritto.

83      Inoltre, tenuto conto del potere discrezionale di cui dispone la Commissione in materia, un’impresa che ha partecipato a un’intesa non può acquisire alcuna certezza quanto all’ammontare dell’ammenda che può esserle inflitta da parte della Commissione nell’ambito dell’applicazione delle disposizioni del regolamento n. 17.

84      In tali circostanze, il fatto che la Britannia non fosse in grado di conoscere in anticipo l’anno di riferimento rilevante ai fini della determinazione del limite massimo dell’ammenda non costituisce, di per sé, una violazione del principio della certezza del diritto.

85      La seconda parte del terzo motivo non può quindi essere accolta.

86      Pertanto, il terzo motivo dedotto dalla Britannia a sostegno del suo ricorso d’impugnazione dev’essere respinto.

87      Dalle considerazioni che precedono risulta che il ricorso d’impugnazione dev’essere respinto integralmente.

 Sulle spese

88      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione per effetto dell’art. 118 del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Britannia, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso contro la pronuncia del Tribunale di primo grado è respinto.

2)      La Britannia Alloys & Chemicals Ltd è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l'inglese.