Language of document : ECLI:EU:C:2010:276

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentate il 18 maggio 2010 1(1)

Causa C‑119/09

Société fiduciaire nationale d'expertise comptable

contro

Ministre du budget, des comptes publics et de la fonction publique

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Direttiva 2006/123/CE – Divieti totali in materia di comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate – Accaparramento di clientela»






1.        Nel presente procedimento la Corte è chiamata per la prima volta a pronunciarsi sull’interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno (2).

2.        La domanda pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia) verte sulla libertà di comunicazione commerciale dei membri di professioni regolamentate, nel caso specifico gli esperti contabili, che è disciplinata dall’art. 24 della direttiva 2006/123. Il tenore letterale della domanda è il seguente:

«Se la direttiva 2006/123 (...) abbia inteso abolire, per le professioni regolamentate ivi contemplate, ogni divieto generale, qualunque sia la forma di pratica commerciale di cui trattasi, oppure se abbia lasciato agli Stati membri la possibilità di mantenere dei divieti generali per talune pratiche commerciali, quali l’accaparramento di clientela».

3.        Il giudice del rinvio considera la risposta della Corte alla sua domanda necessaria per poter statuire sul ricorso proposto dalla Société fiduciaire nationale d’expertise comptable (in prosieguo: la «Société fiduciaire») e diretto all’annullamento del decreto 27 settembre 2007, n. 1387, recante un codice di deontologia delle professioni di dottore commercialista ed esperto contabile, nella parte in cui vieta l’accaparramento di clientela. La violazione della direttiva 2006/123, in particolare dell’art. 24 della stessa, costituisce uno dei motivi di annullamento invocati dalla Société fiduciaire dinanzi al giudice del rinvio (3).

4.        Dinanzi alla Corte hanno depositato osservazioni scritte la Société fiduciaire, i governi francese, cipriota e olandese nonché la Commissione delle Comunità europee. L’udienza si è svolta il 23 marzo 2010, alla presenza dei mandatari della Société fiduciaire, degli agenti dei governi francese e olandese nonché della Commissione.

5.        Le soluzioni proposte per la questione pregiudiziale si possono classificare in due gruppi. Il primo comprende le soluzioni prospettate dalla Société fiduciaire, dal governo olandese e dalla Commissione. Costoro propongono di rispondere nel senso che l’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123 abolisce, per le professioni regolamentate ivi disciplinate, ogni divieto totale di una forma di comunicazione commerciale e quindi anche un divieto come quello di cui si discute nella causa principale, ossia il divieto di accaparramento di clientela.

6.        Il secondo gruppo di soluzioni proposte comprende quelle dei governi francese e cipriota. A detta di tali governi, la disposizione citata della direttiva 2006/123 non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che vieti, per le professioni regolamentate, l’accaparramento di clientela.

 Contesto normativo

 Direttiva 2006/123

7.        La direttiva 2006/123 è stata adottata sulla base dell’art. 47, n. 2, prima e terza frase, CE nonché dell’art. 55 CE.

8.        Il secondo ‘considerando’ della direttiva 2006/123 così recita:

«Una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell’Unione europea. Attualmente un elevato numero di ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in particolare alle piccole e medie imprese (PMI), di espandersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato unico. Tale situazione indebolisce la competitività globale dei prestatori dell’Unione europea. Un libero mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l’informazione dei consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori».

9.        Ai sensi del quinto ‘considerando’ della direttiva 2006/123:

«È necessario quindi eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato [CE] (…)».

10.      Il settimo ‘considerando’ della direttiva 2006/123 precisa quanto segue:

«La presente direttiva istituisce un quadro giuridico generale a vantaggio di un’ampia varietà di servizi pur tenendo conto nel contempo delle specificità di ogni tipo d’attività o di professione e del loro sistema di regolamentazione (…)».

11.      Il centesimo ‘considerando’ della direttiva 2006/123 così recita:

«Occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, revocando non i divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione. Per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta a livello comunitario».

12.      L’art. 4 della direttiva 2006/123 definisce le principali nozioni della direttiva stessa. Due di queste sono rilevanti ai fini del presente procedimento: quella della nozione di «professione regolamentata» e quella della nozione di «comunicazione commerciale».

13.      Le professioni regolamentate sono definite all’art. 4, punto 11, della direttiva 2006/123 tramite un rinvio alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (4), e più specificamente all’art. 3, n. 1, lett. a), di quest’ultima. Ai sensi di tale disposizione, si intende per «professione regolamentata»:

«attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali; in particolare costituisce una modalità di esercizio l’impiego di un titolo professionale riservato da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative a chi possiede una specifica qualifica professionale (…)».

14.      L’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123 definisce la nozione di «comunicazione commerciale» nel modo seguente:

«qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere, direttamente o indirettamente, beni, servizi, o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di una persona che svolge un’attività commerciale, industriale o artigianale o che esercita una professione regolamentata. Non costituiscono, di per sé, comunicazioni commerciali le informazioni seguenti:

a)      le informazioni che permettono l’accesso diretto all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o della persona, in particolare un nome di dominio o un indirizzo di posta elettronica,

b)      le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa, dell’organizzazione o della persona elaborate in modo indipendente, in particolare se fornite in assenza di un corrispettivo economico».

15.      L’art. 24 della direttiva 2006/123, intitolato «Comunicazioni commerciali emananti dalle professioni regolamentate», contenuto nel capo V della direttiva stessa, denominato «Qualità dei servizi», così recita:

«1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate.

2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che emanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate».

16.      Ai sensi dell’art. 44, n. 1, della direttiva 2006/123, il termine per il recepimento della direttiva stessa è scaduto il 28 dicembre 2009.

 Normativa nazionale

17.      Il codice di deontologia delle professioni di dottore commercialista ed esperto contabile (in prosieguo: il «codice deontologico») è allegato al decreto n. 2007-1387.

18.      L’art. 12 del suddetto codice deontologico così recita:

«I. – Ai soggetti di cui all’articolo 1 è fatto divieto di compiere qualsiasi atto non richiesto al fine di proporre i propri servizi a terzi. La loro partecipazione a dibattiti, seminari o altre manifestazioni universitarie o scientifiche è autorizzata nei limiti in cui tali soggetti non compiano, in tale occasione, atti equiparabili all’accaparramento di clientela.

II. – Le azioni promozionali sono consentite ai soggetti di cui all’articolo 1 nei limiti in cui forniscano al pubblico un’informazione utile. I mezzi impiegati a tale fine vengono applicati con discrezione, in modo da non ledere l’indipendenza, la dignità e l’onore della professione, nonché le regole del segreto professionale e della lealtà verso i clienti e i colleghi. Quando presentano la loro attività professionale a terzi, con qualsiasi mezzo, i soggetti di cui all’articolo 1 non devono adottare alcuna forma di espressione idonea a compromettere la dignità della loro funzione o l’immagine della professione. Tali modalità di comunicazione, come qualsiasi altra, sono ammesse soltanto a condizione che l’espressione sia decorosa e improntata a discrezione, che il loro contenuto sia privo di inesattezze e non sia tale da indurre in errore il pubblico e che siano prive di ogni elemento comparativo».

19.      Il codice deontologico è entrato in vigore il 1° dicembre 2007, secondo le modalità previste dall’art. 3 del decreto n. 2007-1387.

 Valutazione

20.      Prima di esaminare la questione pregiudiziale, vorrei formulare due osservazioni in merito al fatto, affrontato dal governo francese nelle sue osservazioni scritte, che il decreto n. 2007-1387 è stato adottato dopo l’entrata in vigore della direttiva 2006/123 ma prima della scadenza del termine di trasposizione della stessa e che anche la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta prima di questa stessa data.

21.      In primo luogo, vorrei rinviare alla presa di posizione da me assunta relativamente alla causa C-357/09 PPU, Kadzoev (5), nella quale mi sono occupato del problema della ricevibilità delle questioni pregiudiziali, in particolare quando riguardino una direttiva il cui termine per la trasposizione non è ancora scaduto. Sulla base della giurisprudenza ivi menzionata, sono giunto alla conclusione che tale circostanza non era idonea, di per sé, ad impedire la ricevibilità delle questioni pregiudiziali.

22.      In secondo luogo, vorrei ricordare che dalla decisione di rinvio emerge chiaramente che lo stesso giudice a quo si è basato sul fatto che il divieto di accaparramento di clientela sancito dal decreto n. 2007-1387, qualora dovesse essere inteso come incompatibile con l’art. 24 della direttiva 2006/123, ne comprometterebbe seriamente l’esecuzione.

23.      Mi accingo ora ad esaminare la questione pregiudiziale, con la quale la Corte è invitata, in sostanza, a determinare la portata dell’obbligo di «sopprimere tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate» previsto dall’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123.

24.      Nella stessa questione pregiudiziale, il giudice del rinvio prende in considerazione due approcci ai fini dell’interpretazione del suddetto obbligo. In base al primo approccio, l’obbligo di sopprimere tutti i divieti totali riguarderebbe ogni divieto totale di qualsiasi forma di comunicazione commerciale. Stando al secondo approccio, il suddetto obbligo riguarderebbe solo il divieto totale di qualsiasi comunicazione commerciale (6), con la conseguenza che agli Stati membri verrebbe lasciata la possibilità di mantenere taluni divieti totali per determinate forme di comunicazione commerciale.

25.      A mio avviso un’interpretazione letterale dell’art. 24 della direttiva 2006/123 non permette di risolvere la questione pregiudiziale, poiché non conduce ad una conclusione incontestabile.

26.      Infatti l’uso del plurale, anziché del singolare, nell’espressione «i divieti totali» può autorizzare due conclusioni opposte nessuna delle quali appare, di primo acchito, priva di fondamento.

27.      Stando alla prima conclusione, sostenuta in particolare dalla Commissione, la conseguenza sarebbe che il legislatore comunitario intendeva sopprimere non soltanto il divieto totale di qualsiasi comunicazione commerciale, ma altresì i divieti totali di alcune forme di comunicazione commerciale.

28.      In base alla seconda conclusione, proposta dal governo francese, pur parlando di «divieti totali», il legislatore comunitario si riferirebbe unicamente al divieto totale di qualsiasi comunicazione commerciale per le professioni regolamentate, dato che, nella maggior parte degli Stati membri, non esisteva sino ad allora un divieto unico valido per tutte le professioni regolamentate, ma tanti divieti totali quante erano le professioni interessate.

29.      Riguardo all’insufficienza dell’interpretazione letterale dell’art. 24 della direttiva 2006/123, appare importante riferirsi anche alla finalità di detta direttiva e alla collocazione dell’art. 24 alla luce dell’economia della direttiva stessa.

30.      Quanto alla finalità della direttiva 2006/123, è giocoforza rilevare, sulla base del secondo e del quinto ‘considerando’, che essa consiste nella soppressione degli ostacoli a due libertà fondamentali del Trattato, ossia la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi. In questo modo la direttiva 2006/123 contribuisce alla realizzazione del mercato interno.

31.      Per quel che riguarda l’economia della direttiva 2006/123, va ricordato che l’art. 24 della stessa, punto centrale della mia riflessione, rientra nel capo V, intitolato «Qualità dei servizi». Non è affatto contestabile, a mio avviso, che questo capo in generale e l’art. 24 in particolare mirino principalmente alla salvaguardia degli interessi dei consumatori. Orbene, dalla collocazione dell’art. 24 all’interno della direttiva 2006/123 deriva che il suddetto articolo ha lo scopo di contribuire alla qualità dei servizi delle professioni regolamentate nell’ambito del mercato interno.

32.      Orbene, considerato il contenuto dell’art. 24, ci si può domandare in che modo la regolamentazione delle comunicazioni commerciali possa contribuire alla qualità dei servizi forniti dalle professioni regolamentate nell’ambito del mercato interno.

33.      Sono consapevole del fatto che, visto il suo contenuto, l’art. 24 non incide direttamente sulla qualità dei servizi di cui trattasi. Tuttavia la corretta interpretazione e applicazione di detto articolo rappresentano l’indispensabile presupposto per fornire una prestazione di servizi di qualità, specie nel settore delle professioni regolamentate (7), trattandosi di un settore in cui è più evidente l’asimmetria informativa che esiste tra il prestatore e il destinatario di un servizio.

34.      Le diverse forme di comunicazione commerciale consistono, sostanzialmente, nella trasmissione di messaggi e di informazioni ai potenziali clienti, ossia ai potenziali destinatari dei servizi forniti.

35.      Prima dell’adozione della direttiva 2006/123, le specificità proprie delle professioni regolamentate, descritte dall’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni presentate il 23 marzo 2000 relativamente alle cause riunite Pavlov e a. (8), sono state generalmente riconosciute come eventuali motivi di divieto della comunicazione commerciale per le professioni regolamentate (9).

36.      Poiché l’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123 impone agli Stati membri di sopprimere tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, sembra che l’approccio adottato per la suddetta direttiva abbia mutato tale criterio. Dunque, si deve forse ammettere che le specificità proprie dei servizi forniti dalle professioni regolamentate non necessitino più di una regolamentazione delle loro comunicazioni commerciali diversa da quella applicabile agli altri servizi?

37.      Alla luce dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123, a tale domanda occorre rispondere in senso negativo. La suddetta disposizione impone agli Stati membri di provvedere affinché le comunicazioni commerciali che emanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto dell’Unione, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Ai sensi del centesimo ‘considerando’ della direttiva 2006/123, ciò significa che gli Stati membri sono autorizzati a mantenere divieti relativi al contenuto e alle modalità di una comunicazione commerciale.

38.      Le disposizioni contenute ai nn. 1 e 2 dell’art. 24 della direttiva 2006/123 non configurano il rapporto tra un principio, che nel caso di specie è quello della soppressione di tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, ed una deroga a tale principio. Al contrario, il disposto del n. 2 integra il principio enunciato al n. 1. Di conseguenza sono esclusi i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, ma ciò non impedisce agli Stati membri di dettare divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale.

39.      A mio parere le considerazioni appena esposte sembrano indicare che il legislatore comunitario ha piuttosto inteso sopprimere qualsiasi divieto totale di una forma di comunicazione commerciale e non solo il divieto totale di qualsiasi comunicazione commerciale per le professioni regolamentate. Un’interpretazione siffatta dell’art. 24 potrebbe essere corroborata dal centesimo ‘considerando’ della direttiva 2006/123, ai sensi del quale la soppressione dei divieti totali delle comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate non riguarda i divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale.

40.      Siffatta conclusione non risolve però del tutto il problema posto dalla questione pregiudiziale.

41.      Considerata la scarsa chiarezza della nozione di «accaparramento di clientela», occorre chiedersi se si tratti di una forma sufficientemente autonoma di comunicazione commerciale (il che implica che il divieto della stessa non sarebbe conforme al requisito risultante dall’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123, interpretato nel senso che ho appena indicato), ovvero se si tratti solo di un modo specifico (di una «modalità») di realizzazione della pubblicità in quanto forma di comunicazione commerciale.

42.      La direttiva 2006/123 contiene solo una definizione generale della nozione di «comunicazione commerciale», senza esplicitarne le diverse forme o indicarne degli esempi. L’art. 4, punto 12, della suddetta direttiva definisce tale nozione in due maniere: da un lato, in maniera positiva (ciò che rientra nella nozione di «comunicazione commerciale»), e, dall’altro, in maniera negativa (ciò che non rientra nella suddetta nozione). In maniera positiva, la comunicazione commerciale sta a designare «qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere, direttamente o indirettamente, beni, servizi, o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di una persona che svolge un’attività commerciale, industriale o artigianale o che esercita una professione regolamentata». In maniera negativa non rientrano, di per sé, nella nozione di «comunicazione commerciale» i seguenti elementi:

«a)      le informazioni che permettono l’accesso diretto all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o della persona, in particolare un nome di dominio o un indirizzo di posta elettronica,

b)      le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa, dell’organizzazione o della persona elaborate in modo indipendente, in particolare se fornite in assenza di un corrispettivo economico».

43.      Come ho già indicato, si tratta di una definizione estremamente generale, ma al tempo stesso occorre riconoscere che tale definizione è sufficientemente elastica per far fronte alla rapida evoluzione del settore della comunicazione.

44.      Né la direttiva 2006/123 né il diritto dell’Unione contengono alcuna definizione giuridica della nozione di «accaparramento di clientela». Per di più, il contenuto di tale nozione può variare negli ordinamenti giuridici dei diversi Stati membri. Per quel che riguarda il codice deontologico oggetto della controversia nella causa principale, per accaparramento di clientela, ai sensi del divieto sancito all’art. 12 di tale codice, si intende una presa di contatto con un terzo, che non lo ha richiesto, da parte di un esperto contabile al fine di proporre i propri servizi.

45.      A mio avviso il contenuto della nozione di «accaparramento di clientela» potrebbe essere determinato con riferimento a tre elementi. Due di essi corrispondono, in sostanza, a quelli indicati dal governo francese. Si tratta, in primo luogo, di un elemento di movimento, consistente nel fatto che il rappresentante della professione regolamentata prende un contatto diretto e personale con un terzo, che non lo ha richiesto, e, in secondo luogo, di un elemento di contenuto, consistente nella trasmissione di un messaggio commerciale. Non deve però trattarsi di un messaggio commerciale qualsiasi, bensì esclusivamente di un messaggio che travalica i limiti delle informazioni sulle attività dell’appartenente alla professione regolamentata in questione che propone i propri servizi. Un terzo elemento attiene all’individuazione del destinatario del messaggio commerciale in questione.

46.      La conseguenza di tale definizione è che viene esclusa la realizzazione dell’accaparramento di clientela da parte dell’intermediario di taluni mezzi di comunicazione, come la televisione, la radio o la stampa. Infatti in questi casi manca l’elemento di individuazione del destinatario del messaggio commerciale. Al contrario il telefono, la posta o la posta elettronica costituiscono gli strumenti tipici dell’accaparramento di clientela (10).

47.      Due elementi mi spingono a ritenere che, nell’ambito del diritto dell’Unione, l’accaparramento di clientela non sia considerato una forma particolare di comunicazione commerciale, ma soltanto una modalità specifica di realizzazione della pubblicità intesa quale forma di comunicazione commerciale.

48.      In primo luogo, occorre ricordare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (11), il cui art. 86, n. 1 definisce la «pubblicità dei medicinali» come «qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali». In tale disposizione è contenuto altresì un elenco non esaustivo di forme di pubblicità, tra le quali figurano anche pratiche rispondenti alla definizione di accaparramento di clientela da me proposta. Si tratta ad esempio della pubblicità dei medicinali presso persone autorizzate a prescriverli o a fornirli o della visita di informatori scientifici presso persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali.

49.      In secondo luogo, devo menzionare la sentenza della Corte nella causa Alpine Investments (12). Al punto 28 di tale sentenza, la Corte ha dichiarato che il marketing telefonico rappresenta una «tecnica rapida e diretta per farsi pubblicità e contattare potenziali clienti».

50.      Considerate la definizione di accaparramento di clientela da me proposta, quella contenuta nella direttiva 2001/83 nonché quella figurante nella citata sentenza Alpine Investments, è giocoforza concludere che il divieto di accaparramento di clientela non è contrario, di per sé, al requisito derivante dall’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123, dal momento che l’accaparramento di clientela non costituisce una forma sufficientemente autonoma di comunicazione commerciale che possa essere distinta dalla pubblicità, ma si tratta, al contrario, di una semplice modalità di realizzazione della pubblicità.

51.       Di conseguenza si potrebbe osservare che il divieto di accaparramento di clientela per gli esperti contabili, sancito dall’art. 12 del codice deontologico, potrebbe rappresentare una realizzazione della possibilità, consentita all’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123, di controllare il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali tramite regole professionali riguardanti l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione regolamentata, nonché il segreto professionale.

52.      In fin dei conti la validità di tale ipotesi dipende dalla soluzione data a due questioni. Si tratta, in primo luogo, di stabilire se l’accaparramento di clientela effettuato da esperti contabili rappresenti una minaccia per l’indipendenza, la dignità e l’integrità di tale professione o per il segreto professionale. In caso di soluzione affermativa, occorre ancora valutare, in secondo luogo, se il divieto di accaparramento di clientela imposto agli esperti contabili sia non discriminatorio, giustificato da un motivo imperativo di interesse generale e proporzionato.

53.      Quanto all’accaparramento di clientela inteso come minaccia per i valori indicati all’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123, ritengo che tale modalità di pubblicità incida essenzialmente sull’indipendenza degli esperti contabili.

54.      L’indipendenza costituisce un principio funzionale che riguarda l’essenza stessa della professione di esperto contabile. Applicando mutatis mutandis la definizione di indipendenza che la Corte ha fornito nella sentenza 9 marzo 2010, Commissione/Germania (13), l’indipendenza degli esperti contabili può essere definita come l’esclusione di qualsiasi ingiunzione e qualsiasi altra influenza esterna, diretta o indiretta, che possa rimettere in discussione lo svolgimento del loro compito.

55.      È notorio, a mio avviso, che il contatto diretto e personale tra un potenziale cliente, da un lato, e un esperto contabile, dall’altro, attraverso il quale quest’ultimo offre i propri servizi (il che rappresenta uno dei criteri che caratterizzano la natura dell’accaparramento di clientela), è idoneo a dar vita ad un rapporto personale nel quale è racchiusa una possibilità di influenza. Va sottolineato che si tratta di un fatto notorio (generalmente risaputo) attestato dalla prassi, senza necessità, in linea generale, di conferme. Vero è che si dovrà sempre dimostrare, nel singolo caso concreto, che il contatto diretto e personale ha influito sull’esperto contabile in maniera tale che la sua attività non può più essere considerata come indipendente.

56.      Posso concludere, quanto meno, che il contatto diretto e personale tra un potenziale cliente e un esperto contabile, attraverso il quale quest’ultimo offre i propri servizi, comporta un rischio effettivo di pregiudicare l’indipendenza dell’esperto contabile. Sotto questo profilo, il divieto di accaparramento di clientela sancito nei confronti degli esperti contabili contribuisce a prevenire le situazioni che possono far sorgere dubbi sull’indipendenza degli esperti contabili.

57.      Da quanto precede deriva che il divieto di accaparramento di clientela contenuto nel codice deontologico può essere considerato una regola professionale che tutela l’indipendenza della professione degli esperti contabili.

58.      Resta da stabilire se il divieto di accaparramento della clientela per gli esperti contabili riesca, alla luce delle esigenze poste, ad essere non discriminatorio, giustificato da un motivo imperativo di interesse generale e proporzionato.

59.      Sono ben consapevole del fatto che il divieto di accaparramento di clientela di per sé costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi. Questo può valere anche per altre regole professionali volte a salvaguardare l’indipendenza, la dignità e l’integrità delle professioni regolamentate, nonché il segreto professionale. Per tale motivo, l’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123 impone che le regole professionali di cui trattasi siano non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate. Si tratta dei requisiti costantemente connessi con la giustificazione di ostacoli alle libertà fondamentali del mercato interno.

60.      Nel caso di specie non viene contestato il carattere non discriminatorio del divieto di accaparramento di clientela contenuto nel codice deontologico.

61.      Per quanto riguarda la giustificazione del divieto dell’accaparramento di clientela in base ad un motivo imperativo di interesse generale, il problema sorge se si tiene conto dell’art. 16, n. 1, lett. b), della direttiva 2006/123, ai sensi del quale gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non siano giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente.

62.      A prima vista sembrerebbe che regole professionali che rappresentano un ostacolo per la libera prestazione dei servizi possano essere giustificate solo dai quattro motivi menzionati nell’art. 16, n. 1, lett. b), della direttiva 2006/123. Orbene, siffatta interpretazione avrebbe come conseguenza l’impossibilità di realizzare l’art. 24, n. 2, prima frase, della direttiva 2006/123, il quale elenca i motivi che giustificano l’esistenza di regole deontologiche, come nel caso di specie il divieto di accaparramento di clientela, ossia la tutela dell’indipendenza, della dignità e dell’integrità della professione regolamentata nonché del segreto professionale. Non si può pretendere che le stesse regole deontologiche rispettino nel contempo anche gli altri requisiti.

63.      Pertanto si deve riconoscere che la tutela dell’indipendenza, della dignità e dell’integrità della professione regolamentata, nonché del segreto professionale, sono da considerarsi come motivi imperativi di interesse generale ai sensi dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123.

64.      L’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123 rappresenta una lex specialis rispetto alla regola sancita dall’art. 16, n. 1, lett. b), della direttiva stessa, ragion per cui, ai fini della regolamentazione del contenuto e delle modalità delle comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate, sono ugualmente ammessi i motivi imperativi di interesse generale che sono previsti in modo non esaustivo da tale prima disposizione e che differiscono dai motivi giustificativi previsti dall’art. 16, n. 1, lett. b), della direttiva 2006/123.

65.      Ai paragrafi 53-57 delle presenti conclusioni ho già dimostrato che il divieto di accaparramento di clientela poteva essere giustificato da motivi attinenti alla tutela dell’indipendenza degli esperti contabili.

66.      Per quel che riguarda la questione della proporzionalità del divieto di accaparramento di clientela, ritengo che tale misura non superi i limiti di quanto è opportuno e necessario per la realizzazione dei legittimi obiettivi da essa perseguiti.

67.      Considerata la nozione di «accaparramento di clientela» come da me enunciata nelle presenti conclusioni (14), ritengo che il divieto di accaparramento di clientela costituisca un motivo di diritto idoneo a limitare il campo del contatto diretto e personale tra un potenziale cliente, da un lato, e un esperto contabile, dall’altro, attraverso il quale quest’ultimo offre i propri servizi e, di conseguenza, a rafforzare l’esecuzione indipendente di una siffatta professione regolamentata.

68.      Dal momento che la normativa oggetto della controversia nella causa principale è sufficientemente precisa e la sua applicazione può essere controllata nonché regolata da un motivo appropriato, la normativa in parola non supera i limiti di quanto è necessario per la realizzazione dei legittimi obiettivi da essa perseguiti. Occorre aggiungere che le forme di comunicazione commerciale che rimangono consentite agli esperti contabili, nonché le loro modalità di applicazione, appaiono sufficienti per permettere agli stessi di informare i potenziali clienti circa la loro attività, conformemente all’intenzione del legislatore comunitario espressa dall’art. 24 della direttiva 2006/123.

I –    Conclusione

69.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sollevata dal Conseil d’État nel modo seguente:

«Poiché l’accaparramento di clientela costituisce una modalità specifica di realizzazione di una delle forme di comunicazione commerciale, cioè la pubblicità, l’art. 24, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, dev’essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto della causa principale, in forza della quale agli esperti contabili sia vietato effettuare qualsiasi accaparramento di clientela non richiesto allo scopo di proporre i propri servizi a terzi, dal momento che tale normativa è non discriminatoria, giustificata da uno dei motivi imperativi di interesse generale citati a titolo di esempio dall’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123 e proporzionata».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU L 376, pag. 36.


3 – La Société fiduciaire ha sollevato anche un motivo riguardante la violazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico», GU L 178, pag. 1). La questione pregiudiziale proposta alla Corte non verte però su questo aspetto della causa. Dalla decisione del giudice del rinvio emerge che il giudice a quo ritiene che la risposta a questo motivo non sia indipendente da quella che verrà data dalla Corte alla questione che le è stata proposta.


4 – GU L 255, pag. 22.


5 – La presa di posizione è stata presentata il 10 novembre 2009, paragrafi 28-47.


6 – Riguardo alle professioni regolamentate, un divieto siffatto non aveva carattere eccezionale. Infatti la normativa francese in materia di esperti contabili precedente all’adozione del decreto n. 2007-1387 conteneva, in sostanza, un divieto totale di qualsiasi comunicazione commerciale.


7 – L’importanza della qualità dei servizi forniti dalle professioni regolamentate è stata descritta dall’avvocato generale Léger nelle conclusioni presentate il 10 luglio 2001 relativamente alla causa Arduino (sentenza 19 febbraio 2002, causa C-35/99, Racc. pag. I-1529, punto 112). Il tempo trascorso non ha alterato il rilievo delle argomentazioni dell’avvocato generale Léger.


8 – Sentenza 12 settembre 2000, cause riunite da C-180/98 a C-184/98 (Racc. pag. I-6451). In proposito, poco importa che la suddetta descrizione sia stata effettuata sotto il profilo del diritto della concorrenza.


9–      Ancora nel 2008, ossia dopo l’entrata in vigore della direttiva 2006/123, la Corte ha ammesso una normativa nazionale che vieti a chiunque, in particolare ai prestatori di cure dentistiche, nell’ambito di una libera professione o di uno studio dentistico, di effettuare qualsivoglia pubblicità nel settore delle cure dentistiche (sentenza 13 marzo 2008, causa C-446/05, Doulamis, Racc. pag. I-1377). Vero è che la Corte in sostanza si è pronunciata solo riguardo all’art. 81 CE. In tale causa la Corte non si è occupata della questione della conformità della normativa in questione con la libera prestazione dei servizi.


10 – Per quanto riguarda l’accaparramento di clientela tramite posta elettronica, ricordo che l’art. 13, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 luglio 2002, 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche («direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche»)       (GU L 201, pag. 37), subordina al previo consenso degli abbonati l’utilizzo della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta.


11 – GU L 311, pag. 67.


12 – Sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93 (Racc. pag. I-1141).


13 – Causa C-518/07 (Racc. pag. I‑1885, punto 30).


14 – V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.