Language of document : ECLI:EU:C:2013:82

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 19 febbraio 2013 (1)

Causa C‑426/11

Mark Alemo-Herron

Sandra Tipping

Christopher Anderson

Stacey Aris

Audrey Beckford

Lee Bennett

Delroy Carby

Vishnu Chetty

Deborah Cimitan

Victoria Clifton

Claudette Cummings

David Curtis

Stephen Flin

Patience Ijelekhai

Rosemarie Lee

Roxanne Lee

Vivian Ling

Michelle Nicholas

Lansdail Nugent

Anne O’Connor

Shirley Page

Alan Peel

Mathew Pennington

Laura Steward

contro

Parkwood Leisure Ltd

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court (Regno Unito)]

«Trasferimenti di imprese – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Direttiva 2001/23 – Articolo 3, paragrafo 3 – Contratto collettivo applicabile al cedente e al lavoratore al momento del trasferimento – Clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi presenti e futuri – Portata della sentenza della Corte nella causa Werhof – Diritto fondamentale di associazione nella sua dimensione negativa – Libertà d’impresa – Articoli 12 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»





1.        Con il presente rinvio pregiudiziale la Supreme Court del Regno Unito formula tre questioni che vertono sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (2). Il giudice del rinvio ci chiede se la direttiva 2001/23 vieti, permetta o imponga agli Stati membri di accettare il trasferimento delle cosiddette «clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi». Tali clausole, stipulate tra i lavoratori e l’imprenditore cedente prima del trasferimento dell’impresa, hanno l’effetto di vincolare il cessionario ad accettare le condizioni pattuite nei contratti collettivi successivi, anche qualora quest’ultimo non possa prendere parte alla negoziazione di detto contratto.

2.        Il diritto del Regno Unito tradizionalmente conferisce un ampio potere discrezionale alle parti sociali, permettendo che, nel corso del trasferimento di un’impresa, vengano trasferite anche le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi. In tal modo il cessionario rimane vincolato, apparentemente senza limiti di tempo, non soltanto ai contratti negoziati senza la sua partecipazione, ma anche ai contratti che non potrà negoziare in futuro. Nella sentenza relativa alla causa Werhof (3), che è stata pronunciata nel contesto specifico del diritto del lavoro tedesco, la Corte ha escluso che la direttiva 2001/23 obblighi gli Stati membri, nel caso dei trasferimenti di imprese, a garantire il trasferimento delle clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi. Tale sentenza ha provocato l’adozione di decisioni contrastanti da parte dei giudici del Regno Unito, poiché alcuni ritengono che la sentenza della Corte osti al trasferimento di qualsiasi clausola dinamica di rinvio, mentre altri sostengono che essa si riferisce ad un caso specifico, quello dell’ordinamento tedesco, che limitava la portata di tali clausole. La Supreme Court del Regno Unito ha pertanto proposto la presente domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte, al fine di indurla a delimitare la portata del citato articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23, tenuto conto dell’interpretazione di tale disposizione resa nella sentenza Werhof.

I –    Contesto normativo

A –    Normativa dell’Unione

3.        La direttiva 2001/23, strumento che ha sostituito la direttiva 77/187/CEE (4), all’articolo 3, che è inserito nel capo II, relativo al mantenimento dei diritti dei lavoratori, dispone come segue:

«Articolo 3

1.      I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.

Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento.

2.      Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per garantire che il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti al cessionario a norma del presente articolo, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano o avessero dovuto essere noti al cedente al momento del trasferimento. Il fatto che il cedente ometta di notificare al cessionario tali diritti e obblighi non incide sul trasferimento di detto diritto o obbligo e dei diritti di qualsiasi lavoratore nei confronti del cessionario e/o del cedente in relazione a detto diritto o obbligo.

3.      Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.

Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno.

4. a) A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, i paragrafi 1 e 3 non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri.

b)      Anche quando essi non prevedono, a norma della lettera a), che i paragrafi 1 e 3 si applichino a tali diritti, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del trasferimento per quanto riguarda i diritti da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari di cui alla lettera a) del presente paragrafo».

4.        All’articolo 8, la direttiva 2001/23 contempla una clausola di armonizzazione minima, che è del seguente tenore:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori».

B –    Normativa nazionale

5.        Il diritto del Regno Unito ha recepito la direttiva 77/187, che ha preceduto la direttiva 2001/23, mediante i Transfer of Undertakings (Protection of Employment) Regulations 1981 (in prosieguo: i «TUPE»). L’articolo 5 dei TUPE riproduce il contenuto dell’articolo 3 della direttiva 2001/23 e, in particolare, la disposizione 2, lettera a), dispone come segue:

«Tutti i diritti, le facoltà e gli obblighi del cedente derivanti dal o vincolati al contratto sono trasferiti al cessionario in virtù di questo regolamento».

6.        Fino alla pronuncia della sentenza della Corte nella causa Werhof, i giudici del lavoro britannici avevano progressivamente elaborato un’interpretazione dinamica della direttiva 2001/23 nonché dell’articolo 2, lettera a), dei TUPE. Pertanto le clausole contrattuali che contenevano espressamente un rinvio ai futuri contratti collettivi stipulati in seno ad un determinato organismo di contrattazione collettiva erano, in forza della direttiva e della normativa di recepimento, vincolanti per il cessionario dopo il trasferimento dell’impresa (5). Interrogati all’udienza su tale punto, tanto il rappresentante della Parkwood quanto il rappresentante dei lavoratori hanno confermato tale dato, ammettendo che si trattava di una prassi contrattuale diffusa principalmente nel settore pubblico.

II – Fatti e procedimento dinanzi ai giudici britannici

7.        Nel 2002 l’azienda speciale di servizi per il tempo libero del comune del London Borough di Lewisham cedeva l’esercizio alla CCL Limited, un’impresa del settore privato; i lavoratori dell’azienda cedente sono stati assunti da quest’ultima. Nel maggio 2004 la CCL Limited cedeva l’esercizio all’impresa Parkwood Leisure Limited (In prosieguo: la «Parkwood»), anch’essa del settore privato.

8.        Finché l’azienda speciale faceva parte del Borough i contratti collettivi tra i lavoratori e la stessa usufruivano delle condizioni di lavoro negoziate in seno al National Joint Council for Local Government Services (in prosieguo: il «NJC»), un organismo di contrattazione collettiva per il settore pubblico locale. La soggezione agli accordi negoziati in seno al NJC non deriva dalla legge ma da una clausola inserita nel rispettivo contratto di lavoro, che era del seguente tenore:

«Nel corso del rapporto di lavoro con l’amministrazione comunale le condizioni di lavoro saranno disciplinate dai contratti collettivi negoziati periodicamente dal NJC (…), integrati dagli accordi stipulati a livello locale tramite i comitati di negoziazione dell’amministrazione comunale».

9.        Alla data della cessione a favore della CCL vigeva il contratto stipulato dal NJC per il periodo compreso tra il 1º aprile 2002 ed il 31 marzo 2004. Nel maggio 2004 avveniva la cessione dell’azienda a favore della Parkwood.

10.      Nel giugno 2004 in seno al NJC veniva raggiunto un nuovo accordo, con applicazione retroattiva dal 1º aprile 2004 e con effetti fino al 31 marzo 2007. Tale accordo veniva dunque stipulato dopo che l’impresa era stata ceduta alla Parkwood. Per tale motivo la Parkwood giungeva alla conclusione che detto accordo non era vincolante nei suoi confronti e comunicava siffatta conclusione ai lavoratori, negando loro gli aumenti salariali pattuiti all’interno del NJC per il periodo compreso tra aprile 2004 e aprile 2007.

11.      La Parkwood non fa parte del NJC e non potrebbe farvi parte in nessun caso, poiché è un’impresa privata esterna alla pubblica amministrazione.

12.      Il rifiuto della Parkwood di accettare le condizioni concordate in seno al NJC spingeva i lavoratori a presentare un ricorso dinanzi all’Employment Tribunal, che veniva respinto nel 2008. Secondo tale organo giurisdizionale, la sentenza della Corte resa nella causa Werhof avrebbe escluso la possibilità, nell’ambito della cessione di un’impresa, di trasferire le clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi. Tale decisione di primo grado veniva impugnata e successivamente annullata dall’Employment Appeal Tribunal nel 2009, il quale ha ritenuto che la dottrina Werhof non fosse applicabile in situazioni come quelle contemplate dall’ordinamento britannico.

13.      La Parkwood impugnava con successo la decisione dell’Employment Appeal Tribunal dinanzi alla Court of Appeal la quale, con sentenza del 2010, si uniformava all’interpretazione della direttiva e della portata della sentenza Werhof sostenuta dall’Employment Tribunal.

14.      Da ultimo, i lavoratori hanno presentato un ricorso dinanzi alla Supreme Court, la quale ha sospeso il procedimento al fine di proporre la presente questione pregiudiziale.

III – Procedimento dinanzi alla Corte e questioni pregiudiziali

15.      Il 12 agosto 2011, conformemente all’articolo 267, paragrafo 3, TFUE, è pervenuta presso la cancelleria della Corte la domanda di pronuncia pregiudiziale mediante la quale vengono poste le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, come nel caso di specie, un lavoratore vanta il diritto contrattuale nei confronti del cedente di usufruire di condizioni all’occorrenza negoziate e concordate da terzi organismi di contrattazione collettiva e tale diritto è considerato dalla legislazione nazionale dinamico – e non statico – tra il lavoratore e l’imprenditore cedente, l’articolo 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16), letto congiuntamente alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 9 marzo 2006, Werhof (C‑499/04, Racc. pag. I ‑2397),

a)      richieda che tale diritto sia protetto e applicabile nei confronti del cessionario nel caso di un trasferimento cui si applica la direttiva; oppure

b)      autorizzi i giudici nazionali a ritenere che tale diritto sia protetto e applicabile nei confronti del cessionario in caso di un trasferimento cui si applica la direttiva; oppure

c)      osti a che i giudici nazionali considerino tale diritto protetto e applicabile nei confronti del cessionario in caso di un trasferimento cui si applica la direttiva.

2)      Se, qualora uno Stato membro abbia rispettato i propri obblighi di soddisfare i requisiti minimi di cui all’articolo 3 della direttiva 2001/23, ma sorga la questione se le misure di attuazione debbano essere interpretate nel senso di andare oltre quei requisiti in maniera favorevole ai lavoratori tutelati, attribuendo diritti contrattuali dinamici nei confronti del cessionario, i giudici di quello Stato membro siano liberi di applicare il diritto nazionale all’interpretazione della legislazione di attuazione, sempreché tale interpretazione non sia contraria al diritto comunitario o se ed eventualmente quale altro approccio debba essere adottato riguardo all’interpretazione.

3)      Se, nel caso di specie, posto che l’imprenditore non ha affermato che riconoscere ai lavoratori diritti di carattere dinamico in base al diritto nazionale relativamente alle condizioni concordate a livello di accordo collettivo comporterebbe la violazione dei diritti di quell’imprenditore ai sensi dell’articolo 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il giudice nazionale sia libero di applicare l’interpretazione del Transfer of Undertakings (Protection of Employment) Regulation 1981 [regolamento del 1981 sul trasferimento di imprese (protezione dei lavoratori)] fatta valere dai lavoratori».

16.      Hanno presentato osservazioni scritte Alemo-Herron e a., la Parkwood e la Commissione.

17.      All’udienza del 20 settembre 2012 hanno espresso i loro pareri i rappresentanti di Alemo-Herron e a., della Parkwood nonché l’agente della Commissione.

IV – Prima e seconda questione pregiudiziale

18.      Con le prime due questioni, alle quali è opportuno rispondere congiuntamente, la Supreme Court del Regno Unito chiede se l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 esiga, permetta o impedisca ad uno Stato membro, nell’ambito di un trasferimento di impresa, di trasferire le clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri. La Supreme Court nutre dubbi circa la portata della sentenza Werhof, pronunciata nel 2006, in cui la Corte ha respinto un’interpretazione dinamica del citato articolo 3, paragrafo 3, in un caso riguardante un lavoratore tedesco, cui si applicava una clausola statica di rinvio ad un determinato contratto collettivo.

19.      Esistono motivi sufficienti per giustificare i dubbi del giudice a quo. La sentenza Werhof ha certamente escluso categoricamente la possibilità che la direttiva 2001/23 imponga agli Stati membri il trasferimento delle clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri. Tuttavia, il ragionamento della Corte era fortemente condizionato dalle circostanze specifiche di quel caso in particolare, circostanze che sono considerevolmente diverse da quelle in discussione nella causa attualmente pendente dinanzi alla Supreme Court. Inoltre, le difficoltà inerenti al rinvio dinamico ai contratti collettivi futuri di cui si discute nella presente causa sono diverse da quelle che si ponevano nella causa Werhof, poiché la Parkwood, a differenza del datore di lavoro cessionario nel caso del sig. Werhof, è un’impresa privata che ha acquistato un’impresa inizialmente pubblica. Pertanto, la Parkwood non può in nessun caso partecipare o influire indirettamente nel processo di contrattazione collettiva che si svolge all’interno del NJC, che è un organismo preposto unicamente alla contrattazione collettiva del settore pubblico comunale.

20.      Alla luce di tali differenze esaminerò, in primo luogo e in maniera dettagliata, il testo letterale della direttiva 2001/23 e della sentenza Werhof, soffermandomi successivamente sulle differenze di fatto e di diritto tra la causa Werhof ed il caso presente. Anticipo fin d’ora che sono incline ad accogliere la seconda interpretazione della direttiva proposta dalla Supreme Court, ossia quella secondo cui non è precluso agli Stati membri autorizzare, sulla base della direttiva 2001/23 e nell’ambito di un trasferimento di impresa, il trasferimento di clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri. Ciononostante, e in sintonia con la giurisprudenza Werhof, il comportamento degli Stati non può violare i diritti fondamentali tutelati dall’Unione, aspetto sul quale mi soffermerò nell’ambito della risposta alla terza questione pregiudiziale.

A –    La Direttiva 2001/23, l’applicazione di contratti collettivi nell’ambito di un trasferimento di impresa ed il margine discrezionale degli Stati membri

21.      La direttiva 2001/23, che ha sostituito la direttiva 77/187, mira a proteggere i lavoratori in caso di cambio di imprenditore, in particolare, al fine di garantire la conservazione dei loro diritti (6). Tra le altre misure la direttiva assicura, in virtù dell’articolo 3, il mantenimento dei diritti e degli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento, dopo che tale trasferimento è avvenuto. Come ha avuto occasione di evidenziare la Corte, la direttiva mira a garantire il mantenimento di tutte le condizioni di lavoro, comprese quelle convenute in un contratto collettivo, conformemente alla volontà delle parti contraenti del contratto collettivo, e ciò nonostante il trasferimento di impresa (7).

22.      Come ha correttamente rilevato la Commissione, l’articolo 3 della direttiva 2001/23 non è una disposizione tassativa, ma un precetto che riflette un equilibrio tra la tutela del lavoratore e gli interessi dell’imprenditore cessionario. Così, il paragrafo 1, secondo comma, permette agli Stati membri di stabilire che il cedente sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti da un contratto di lavoro. Analogamente, il paragrafo 3, secondo comma, relativo agli effetti dei contratti collettivi, autorizza gli Stati membri a limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.

23.      Come più volte rilevato, il mantenimento dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro vigente al momento del trasferimento, compresi quelli derivanti dal contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro, è un mantenimento condizionato. Analogamente, gli Stati membri conservano un ampio potere discrezionale al momento di attuare e di applicare la direttiva 2001/23. Ciò si deve al fatto che, come ha sottolineato la Corte, la direttiva mira solo «a un’armonizzazione parziale della materia in oggetto» (8). La direttiva «non mira ad instaurare un livello di tutela uniforme nell’intera [Unione] secondo criteri comuni», bensì a garantire che il lavoratore interessato «sia tutelato, nei suoi rapporti con il cessionario, nello stesso modo in cui era protetto nei rapporti con il cedente, secondo le norme del diritto interno dello Stato membro interessato» (9).

24.      Tale potere discrezionale degli Stati membri risulta ulteriormente rafforzato, se possibile, nell’articolo 8 della direttiva 2001/23, in cui si dichiara che la direttiva «non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori» (10). Analogamente, il citato articolo 8 aggiunge, di seguito, e in maniera particolarmente rilevante ai fini del nostro caso, che la direttiva non pregiudica nemmeno la facoltà degli Stati membri di «incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori» (11).

25.      A questo punto si deve esaminare il contenuto dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23, che è oggetto delle questioni formulate dalla Supreme Court. Tale disposizione prevede che il cessionario mantenga le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente «fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo». Il linguaggio imperativo di tale disposizione potrebbe giustificare i dubbi del giudice del rinvio, che ne deduce il divieto di qualsiasi tutela dinamica in virtù della quale il contratto vigente al momento del trasferimento o i contratti successivi disciplinino il rapporto di lavoro tra il lavoratore ed il cessionario. Ciononostante, siffatta interpretazione della disposizione in parola non può neppure ignorare il disposto di cui all’articolo 8 della direttiva, che autorizza espressamente gli Stati membri non soltanto ad adottare misure più favorevoli ai lavoratori, ma anche a consentire l’«applicazione» di accordi collettivi più favorevoli ai lavoratori.

26.      Questo è il momento in cui dobbiamo rivolgere l’attenzione alla sentenza della Corte nella citata causa Werhof, il cui contenuto sembra deporre a sfavore di qualsiasi trasferimento delle clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri. Tuttavia, come esporrò nel prosieguo, tale interpretazione della sentenza in parola non tiene conto né delle circostanze di fatto della causa in cui è stata pronunciata né delle finalità ultime della direttiva 2001/23.

B –    La sentenza Werhof

27.      La ragione per cui si imputa alla sentenza Werhof un netto rifiuto della protezione dinamica delle condizioni di lavoro convenute nei contratti collettivi futuri, si deve alle peculiari circostanze di fatto e di diritto di tale causa. Il sig. Werhof era un lavoratore tedesco del settore metallurgico, il cui contratto di lavoro, applicabile al momento del trasferimento, conteneva una clausola di rinvio statico ad un contratto collettivo. Vale a dire che il contratto di lavoro del sig. Werhof si riferiva alle condizioni retributive convenute in un contratto collettivo specifico e applicabile alla data del trasferimento (12). D’altra parte, la Repubblica federale di Germania si era appellata alla facoltà che l’articolo 3, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2001/23 conferisce agli Stati membri, limitando così la vigenza dei contratti collettivi applicabili alla data del trasferimento ad un periodo massimo di un anno (13).

28.      Di conseguenza, la causa Werhof era condizionata da due circostanze di particolare importanza che spiegano il ragionamento della Corte: una clausola di rinvio statico ad un contratto collettivo specifico ed una limitazione ex lege degli effetti dei contratti collettivi dopo la data del trasferimento. In tali circostanze il sig. Werhof rivendicava, sulla base dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23, una tutela dinamica che gli consentisse di avvalersi di un contratto collettivo successivo rispetto a quello vigente alla data del trasferimento, nonostante il fatto che il suo contratto di lavoro non contenesse una clausola operante in maniera dinamica. Non deve pertanto sorprendere il fatto che la Corte abbia risposto in senso negativo alle richieste del sig. Werhof.

29.      La Corte ha infatti cominciato il proprio ragionamento osservando che la clausola di rinvio ad un contratto collettivo contenuta nel contratto di lavoro del sig. Werhof operava in maniera statica. Pertanto, «una clausola di rinvio ad un contratto collettivo non può avere una portata più ampia del contratto al quale rinvia» (14). La stessa idea appare riflessa nel riferimento della Corte all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, il quale pone limiti al principio dell’applicabilità «del contratto collettivo al quale fa riferimento il contratto di lavoro» (15). In altri termini, la Corte esclude che la direttiva imponga una tutela dinamica qualora il contratto di lavoro vigente alla data del trasferimento contenga clausole di rinvio ad un contratto collettivo specifico. In definitiva, e come è evidente, la direttiva 2001/23 non trasforma clausole statiche vigenti alla data del trasferimento in clausole dinamiche.

30.      La Corte ha poi posto in evidenza che la Repubblica federale di Germania aveva limitato il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, come le permetteva di fare l’articolo 3, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2001/23 (16). Il fatto che tale Stato membro avesse fatto uso di detta prerogativa è importante, poiché, come sottolinea la Corte, si tratta di una limitazione «sussidiaria», in quanto applicabile nel caso in cui non si verifichi entro il termine minimo di un anno a partire dal trasferimento nessuna delle situazioni menzionate al paragrafo 3 (la risoluzione, la scadenza del contratto collettivo esistente, l’entrata in vigore ovvero l’applicazione di un nuovo contratto collettivo) (17). Pertanto, anche nel caso in cui i contratti contenessero un rinvio dinamico ai contratti collettivi vigenti e futuri, gli Stati membri avranno sempre la facoltà di limitare tali effetti, assicurando la loro vigenza minima almeno per un anno. Questo era precisamente il caso dell’ordinamento tedesco nella causa Werhof.

31.      Da quanto precede risulta che la sentenza Werhof non ha dichiarato, in via generale, che la conservazione degli effetti delle clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri è incompatibile con la direttiva. Ciò che la sentenza Werhof esclude è semplicemente un’interpretazione secondo cui la direttiva imporrebbe agli Stati membri una tutela dinamica, anche qualora il contratto contenga una clausola di rinvio operante in maniera statica, e ancor meno quando lo Stato membro interessato abbia limitato ad un anno gli effetti dei contratti vigenti alla data del trasferimento. La pretesa del sig. Werhof andava oltre gli obiettivi fissati dalla direttiva 2001/23, e proprio per tale ragione la Corte ha aggiunto, con tono particolarmente severo, che la finalità di quest’ultima non è di «proteggere mere aspettative e quindi gli ipotetici benefici derivanti dalle evoluzioni future dei contratti collettivi» (18).

32.      Una questione diversa si pone qualora il beneficio, vale a dire la previsione dell’assunzione esplicita delle condizioni di lavoro che vengano negoziate in seno al NJC, non sia soltanto ipotetico, ma sia stato espressamente pattuito nel contratto di lavoro e ciò sia consentito dall’ordinamento nazionale. Tale situazione si verificherebbe nel caso presente, le cui caratteristiche devono essere prese in considerazione con particolare attenzione.

C –    La fattispecie alla luce della direttiva 2001/23 e della sentenza Werhof

33.      Alla luce delle disposizioni della direttiva 2001/23, e tenuto conto della portata esatta della sentenza resa nella causa Werhof, procedo ora ad esaminare i fatti ed il contesto normativo nazionale presentati dalla Supreme Court.

34.      Secondo quanto esposto dalle parti, l’ordinamento britannico ha recepito la direttiva 2001/23 attraverso i TUPE, incorporando il contenuto dell’articolo 3 della direttiva in termini praticamente identici. La normativa britannica non ha precisato in modo particolarmente dettagliato i termini in cui si conservano i diritti e gli obblighi dell’imprenditore e del lavoratore in conseguenza di un trasferimento, responsabilità questa che l’ordinamento in parola ha delegato ai giudici del lavoro. Di conseguenza, e come emerge dagli atti, tali giudici hanno riconosciuto la possibilità che il trasferimento includa anche il trasferimento di una clausola di rinvio dinamico a contratti collettivi successivi (19). Fino alla pronuncia della sentenza Werhof, tale interpretazione dei TUPE era consolidata ed indiscussa. Interrogate all’udienza su tale punto, entrambe le parti della controversia principale hanno confermato l’esistenza di detta linea giurisprudenziale. Analogamente, il rappresentante dei lavoratori ha aggiunto che il trasferimento di questo tipo di clausole era diffuso specialmente nell’ambito dei trasferimenti di aziende pubbliche.

35.      Inoltre, il Regno Unito non si è avvalso della deroga di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/23, in forza della quale gli Stati membri possono limitare nel tempo gli effetti dei contratti stipulati prima del trasferimento, per il periodo successivo a quest’ultimo, benché con il limite minimo di un anno. Tale caratteristica, unitamente alla giurisprudenza dei giudici del lavoro poc’anzi menzionata, potrebbe confermare l’esistenza di un approccio particolarmente incline ad ammettere la possibilità di trasferire le clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri.

36.      La ratio di tale propensione può derivare, alla luce degli argomenti esposti dalle parti, dal carattere flessibile del sistema di contrattazione collettiva del Regno Unito. A differenza di altri ordinamenti nazionali, il Regno Unito non riconosce ex lege gli effetti giuridici dei contratti collettivi, poiché sono i contratti di lavoro che attribuiscono effetti a questi ultimi, in conseguenza di un rinvio espresso o tacito ad un accordo collettivo (20). Pertanto, e come regola generale, gli effetti dei contratti collettivi derivano esclusivamente dal contratto di lavoro ed hanno la portata che risulta dal tenore letterale della clausola di rinvio. Siffatta interpretazione del contratto collettivo conferirebbe alle parti sociali un ampissimo potere discrezionale, anche quando accettino di assoggettarsi a contratti collettivi futuri, poiché, come hanno evidenziato le parti nel presente procedimento, nulla impedisce alle parti sociali di rinegoziare la clausola del contratto che contempla il rinvio all’accordo collettivo.

37.      Per tale ragione, e dato che una clausola di rinvio dinamico ad un contratto collettivo è frutto di un accordo tra le parti suscettibile di essere modificato in qualsiasi momento, i giudici britannici non hanno ritenuto che tale tipo di accordi potesse ledere la libertà di associazione del datore di lavoro né altre disposizioni dell’ordinamento britannico. Orbene, il sistema flessibile e «contrattuale» dei rapporti di lavoro dell’ordinamento britannico favorirebbe piuttosto il trasferimento di tale tipo di clausole nel contesto dei trasferimenti di imprese.

38.      Se consideriamo adesso il caso che ci occupa, risulta che il contratto di lavoro vigente alla data del trasferimento conteneva una clausola di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati in seno al NJC. Alla data del trasferimento i lavoratori dell’impresa ceduta facevano quindi affidamento su un accordo esplicito e preciso che prevedeva l’assoggettamento alle condizioni di lavoro convenute attraverso i contratti collettivi, presenti e futuri, negoziati all’interno di tale organismo. Pertanto, e a differenza di quanto accadeva nella causa Werhof, ci troviamo di fronte ad un contratto di lavoro che contiene una clausola dinamica di assunzione delle condizioni concordate nei contratti collettivi futuri. Utilizzando l’espressione della Corte di cui alla summenzionata causa, le «aspettative» create da tale clausola nei confronti dei lavoratori dell’impresa ceduta sono notevolmente diverse da quelle generate da una clausola statica come quella esaminata nella causa Werhof. Anzi, si tratta di certezze, poiché dette clausole sono state liberamente ed espressamente approvate dalle parti sociali, conformemente alla normativa vigente, e così sono formulate nel contratto di lavoro.

39.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la direttiva 2001/23 non impedisca al Regno Unito di ammettere la possibilità che le parti inseriscano clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri e che tali clausole vengano trasferite in conseguenza di un trasferimento di impresa. Come abbiamo visto, la sentenza Werhof ha confermato che la direttiva in parola non impone agli Stati membri di accogliere un’interpretazione dinamica del rinvio ai contratti collettivi. Vale a dire che, se un contratto di lavoro contiene un rinvio statico al contratto collettivo, tale rinvio non diventa dinamico in virtù della direttiva. Orbene, quest’ultima non impedisce agli Stati membri, in linea di principio, di ammettere l’esistenza in sé e per sé di clausole di rinvio dinamico. Dal tenore letterale della direttiva non risulta minimamente un divieto in tal senso, e l’articolo 8, dichiarando che gli Stati membri conservano la facoltà di «incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi (…) più favorevoli ai lavoratori», lo confermerebbe. Questo sembra essere l’obiettivo della giurisprudenza britannica, che ha avallato le cosiddette clausole di rinvio dinamico: incoraggiare il mantenimento di condizioni più favorevoli ai lavoratori prevedendo un’applicazione di tali condizioni attraverso il rinvio ad un contratto collettivo.

40.      Inoltre, il fatto che la direttiva consenta al Regno Unito di garantire un simile livello di tutela non osta minimamente a che il legislatore britannico faccia uso della facoltà che gli è conferita dall’articolo 3, paragrafo 2, disposizione che permette di limitare nel tempo l’applicazione delle condizioni pattuite alla data del trasferimento, purché venga garantito un periodo minimo di un anno. Allo stesso modo, nulla impedisce al legislatore o ai giudici britannici di modificare la portata dei TUPE, allo scopo di restringere o vietare il trasferimento delle clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi futuri. Si tratta, in definitiva, di una decisione che rientra nell’ambito del potere discrezionale dello Stato membro interessato.

41.      Pertanto, alla luce dei suesposti argomenti, giungo alla conclusione che l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, a che gli Stati membri contemplino la possibilità di trasferire le clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi presenti e futuri, liberamente concordate tra le parti del contratto di lavoro, in conseguenza di trasferimenti di imprese.

V –    La terza questione pregiudiziale

42.      Con la terza questione la Supreme Court ci chiede se la compatibilità delle clausole di rinvio dinamico con la direttiva 2001/23 possa comunque violare l’articolo 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»). Poiché propongo alla Corte di riconoscere la conformità delle suddette clausole con la direttiva 2001/23, occorre rispondere alla terza questione, benché riformulandone parzialmente il testo.

43.      La Supreme Court esprime dubbi sull’incidenza rispetto alla presente causa del citato articolo 11 della CEDU e, per estensione, dell’articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale disposizione, che sancisce la libertà di associazione, tutela il singolo non soltanto contro eventuali divieti o restrizioni della sua facoltà di associarsi o di fondare associazioni, ma anche contro l’obbligo, diretto o indiretto, di parteciparvi (21). Il giudice del rinvio pertanto si interroga sulla conformità dei TUPE, come sono attualmente interpretati dai giudici britannici, con la libertà di associazione dell’imprenditore nella sua dimensione negativa.

44.      Benché una situazione come quella della Parkwood possa ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 della Carta, certo è che la presente causa possiede una caratteristica particolare che la allontana, secondo me, dalla libertà di associazione nella sua dimensione negativa. Come ho sottolineato nel precedente paragrafo 8 di queste conclusioni, l’organismo di contrattazione collettiva cui si riferisce la clausola contrattuale controversa, ossia il NJC, è un organismo di carattere pubblico, in seno al quale vengono negoziate le condizioni di lavoro dei dipendenti del settore pubblico locale. Tenuto conto del suo carattere pubblico e della sua ridotta sfera di intervento, il NJC difficilmente potrebbe esprimere o dar voce agli interessi della Parkwood, sebbene si tratti di un’impresa trasferita che in passato era pubblica. Tale considerazione è stata espressa dalle parti nelle osservazioni scritte e orali e del pari lo constata il giudice nazionale nell’ordinanza di rinvio.

45.      Di conseguenza, il problema non sta nel fatto che la Parkwood sia obbligata a prendere parte ad un’organizzazione qualora desideri influire sulle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti (situazione che effettivamente creerebbe problemi di adeguamento con l’articolo 12 della Carta). Invece si potrebbe obiettare che la Parkwood non dispone di alcun mezzo per farsi rappresentare dinanzi al NJC. La restrizione dei diritti della Parkwood non è originata da un obbligo di partecipare ad un organismo, bensì dal fatto che tale impresa è costretta ad assumere obblighi che sono stati stipulati all’interno di accordi sui quali non può minimamente influire.

46.      In tale contesto, e come illustrerò nei successivi paragrafi, il diritto fondamentale in gioco non è la libertà di associazione negativa dell’imprenditore, ma il diritto fondamentale di quest’ultimo alla libertà di impresa, garantito dall’articolo 16 della Carta «conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali».

47.      Come ho avuto modo di esporre in precedenza, ritengo che la direttiva 2001/23 non vieti agli Stati membri di stabilire regimi di impiego in base ai quali le clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi rientrino nella cessione dei diritti e degli obblighi che si produce nell’ambito di un trasferimento di impresa. Orbene, come è noto, gli Stati membri, anche quando godono di un potere discrezionale che viene loro espressamente conferito dal diritto dell’Unione, devono esercitare tale potere nel rispetto di quest’ultimo ordinamento (22). Tale obbligo comprende, tra gli altri e come è ovvio, i diritti fondamentali, come stabilisce espressamente l’articolo 51 della Carta. Pertanto, sebbene il Regno Unito possa autorizzare le parti sociali ad inserire nei contratti di lavoro clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi, tale facoltà non può dar luogo a pratiche contrarie ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta, inclusa la libertà d’impresa enunciata all’articolo 16.

48.      La libertà d’impresa ha una storia lunga all’interno del diritto dell’Unione (23). Concepita inizialmente come un corollario del diritto fondamentale di proprietà (24), già negli anni ottanta ha cominciato ad acquistare autonomia, fino ad assurgere al rango di principio generale di diritto dell’Unione (25). Attualmente, nelle spiegazioni relative alla Carta è posto in risalto che tale disposizione si basa sulla giurisprudenza della Corte che ha riconosciuto non solo la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale ma anche la libertà contrattuale e il principio di libera concorrenza (26).

49.      Orbene, per quanto la libertà d’impresa provenga dalle dette tre fonti, è pur vero che la giurisprudenza fino ad oggi non ha fornito una definizione completa e operativa di tale libertà. Le decisioni in cui la Corte ha avuto occasione di pronunciarsi a tale riguardo si sono limitate o a rinviare al diritto di proprietà o ad enunciare direttamente il disposto dell’articolo 16 della Carta.

50.      Quanto precede non impedisce di dedurre il contenuto essenziale del diritto in parola, e, a tal fine, le fonti cui si riferiscono le spiegazioni relative all’articolo 16 della Carta offrono un aiuto importante. Infatti, la libertà d’impresa, come risulta enunciata nel summenzionato articolo, opera come garanzia dell’iniziativa e dell’attività economica, ovviamente con alcune limitazioni, ma in ogni caso per assicurare l’esistenza di condizioni minime di azione sul piano economico nel mercato interno. La libertà d’impresa opera quindi come limite all’azione dell’Unione nell’esercizio delle sue funzioni legislativa ed esecutiva, nonché a quella degli Stati membri nell’applicazione del diritto dell’Unione.

51.      D’altra parte, la libertà d’impresa, sebbene sia strettamente legata al diritto fondamentale di proprietà, nell’ordinamento dell’Unione come anche negli ordinamenti di vari Stati membri (27), tutela situazioni giuridiche diverse. Se il diritto di proprietà si proietta sul possesso di beni materiali e immateriali, la libertà d’impresa tutela l’iniziativa economica e la capacità di agire nel mercato, ma non anche i benefici concreti, tradotti in termini patrimoniali, ottenuti in tale mercato (28).

52.      Infine, si può affermare che la libertà d’impresa costituisce un diritto fondamentale con una forte vocazione alla ponderazione. Il carattere non assoluto di tale diritto contribuisce al fatto che esso si applichi abitualmente in contrapposizione ad altri diritti fondamentali, come dimostra la giurisprudenza della Corte, che fino ad oggi ha ponderato la libertà d’impresa con altri diritti fondamentali, come la tutela della vita privata (29), della salute (30) o della proprietà intellettuale (31).

53.      In tale contesto specifico ci troviamo di fronte ad una normativa nazionale in forza della quale le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi vengono integralmente trasferite nell’ambito di una cessione di impresa. Il trasferimento della clausola implica che il cessionario, nel nostro caso la Parkwood, venga assoggettato alle condizioni di lavoro presenti e future convenute in seno al NJC. Pertanto, in virtù di una clausola contrattuale espressamente stabilita dal contratto di lavoro, l’ordinamento britannico permette ai lavoratori delle imprese pubbliche cedute di mantenere le condizioni presenti e future pattuite all’interno del NJC, organismo al quale la società cessionaria non può partecipare.

54.      Logicamente la facoltà di rilevare una determinata impresa non rientra nella libertà garantita dall’articolo 16 della Carta. Tuttavia, il fatto di vincolare la cessione a condizioni talmente rigorose da rappresentare, nella pratica, un forte disincentivo per l’acquisizione di imprese, può condurre ad una violazione della citata disposizione. La circostanza che l’imprenditore possa rimanere per un tempo indefinito assoggettato a condizioni di lavoro che non ha pattuito personalmente, nel contesto di un trasferimento di impresa, configura gli estremi di una restrizione della libertà di contrattazione, che costituisce uno degli aspetti integranti della libertà d’impresa, come ricordano le spiegazioni relative all’articolo 16 della Carta.

55.      Orbene, tutto ciò premesso, la mera imposizione delle condizioni stabilite all’interno del NJC non si traduce automaticamente in una lesione della libertà di impresa. Al contrario, è d’uopo osservare le circostanze di diritto e di fatto del caso di specie, al fine di chiarire se l’ordinamento britannico si ponga in contrasto con l’articolo 16 della Carta. Al riguardo il giudice del rinvio svolge una funzione particolarmente rilevante, poiché si trova nella posizione migliore per realizzare tale valutazione, trattandosi del diritto del lavoro britannico. Nell’ambito di tale analisi il giudice del rinvio dovrà valutare, in special modo, se l’assoggettamento alle condizioni pattuite in seno al NJC sia incondizionato e irreversibile. La lesione del detto diritto fondamentale varierà evidentemente in funzione del grado di vincolatività delle condizioni concordate all’interno di tale organismo.

56.      In tal senso, le parti del procedimento principale hanno illustrato i tratti essenziali del sistema britannico di contrattazione collettiva, che si caratterizza per la sua flessibilità. Come è stato accertato, la base normativa dei contratti collettivi britannici non è la legge, bensì ogni contratto di lavoro, espressione dell’autonomia della volontà e della libertà contrattuale del lavoratore e dell’imprenditore. Di conseguenza, e fatta salva la facoltà del giudice del rinvio di compiere le pertinenti valutazioni al fine di confermare tale aspetto, tutto depone a favore del fatto che le clausole di rinvio dinamico, sebbene oggetto della cessione, potranno essere rinegoziate e modificate da entrambe le parti in qualunque momento, durante la vigenza del contratto di lavoro. In altri termini, non sembra che il diritto britannico osti a che la Parkwood e i lavoratori provenienti dall’impresa ceduta si siedano intorno ad un tavolo per negoziare e convengano di annullare, modificare o mantenere la citata clausola.

57.      Se così fosse, le obiezioni suscitate dall’ordinamento britannico in relazione all’articolo 16 della Carta sarebbero superate. Tuttavia, si tratta di una questione che richiede un’analisi del diritto nazionale che spetta non alla Corte, ma al giudice del rinvio.

58.      Pertanto, alla luce dei suesposti argomenti, propongo alla Corte di rispondere alla terza questione pregiudiziale nel senso che il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta ad una normativa nazionale che obbliga il cessionario di un’impresa ad accettare le condizioni presenti e future convenute nell’ambito di un organismo di contrattazione collettiva, purché tale obbligo non abbia un carattere incondizionato ed irreversibile. Spetta al giudice nazionale valutare se, nelle circostanze specifiche del presente caso e conformemente all’ordinamento nazionale, tale obbligo presenti effettivamente un carattere incondizionato ed irreversibile.

VI – Conclusione

59.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alle questioni sottopostele dalla Supreme Court:

«1)      L’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che, in linea di principio, non impedisce agli Stati membri di prevedere la possibilità che le clausole di rinvio dinamico a contratti collettivi presenti e futuri, liberamente convenute tra le parti del contratto di lavoro, siano trasferite in conseguenza di un trasferimento di impresa.

2)      Il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta ad una normativa nazionale che obbliga il cessionario di un’impresa ad accettare le condizioni contrattuali presenti e future convenute nell’ambito di un organismo di contrattazione collettiva, purché tale obbligo non abbia un carattere incondizionato ed irreversibile. Spetta al giudice nazionale valutare se, nelle circostanze specifiche del presente caso e conformemente all’ordinamento nazionale, tale obbligo presenti effettivamente un carattere incondizionato ed irreversibile».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 –      Direttiva del Consiglio del 12 marzo 2001 (GU L 82, pag. 16).


3 –      Sentenza del 9 marzo 2006 (C‑499/04, Racc. pag. I‑2397).


4 –      Direttiva del Consiglio del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26).


5 – Questa è stata la dottrina consolidata dell’Employment Appeal Tribunal, come viene riflessa dalle sentenze Whent v Cartledge [1997] IRLR 153 EAT; BET Catering Services Ltd v Ball & Others EAT 637/96, e Glendale Grounds Management v Bradley EAT/485/97, tra le altre.


6 – V., tra le altre, sentenze del 10 febbraio 1988, Tellerup, denominata «Daddy’s Dance Hall» (324/86, Racc. pag. 739, punto 9); del 25 luglio 1991, D’Urso e a. (C‑362/89, Racc. pag. 1‑4105, punto 9), e 12 novembre 1992, Watson Rask e Christensen (C‑209/91, Racc. pag. I‑5755, punto 26).


7 –      V., tra le altre, sentenze D’Urso e a., cit. supra (punto 9); del 27 novembre 2008, Juuri (C‑396/07, Racc. pag. I‑8883, punto 33), e del 12 novembre 1998, Europièces (C‑399/96, Racc. pag. I‑6965, punto 37).


8 –      V., tra le altre, sentenze Watson Rask e Christensen, cit. supra (punto 27), e del 6 novembre 2003, Martin e a. (C‑4/01, Racc. pag. I‑12859, punto 41).


9 –      Ibidem.


10 – Disposizioni più favorevoli che, come ha affermato la Corte, comprendono le rispettive interpretazioni da parte dei giudici nazionali, come accade nella presente causa. Al riguardo, v. la sentenza del 16 dicembre 1992, Katsikas e a. (C-132/91, C-138/91 e C‑139/91, Racc. pag. I‑6577, punto 40).


11 –      Si noti che tale frase costituisce una novità, introdotta con la direttiva 2001/23, rispetto allo strumento precedente, la direttiva 77/187/CEE, il cui articolo 7 si limitava a dichiarare che «[l]a presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori».


12 –      Per una descrizione dettagliata dei fatti discussi nella causa Werhof, v. le conclusioni relative a tale causa presentate dall’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer (paragrafi 16‑23).


13 –      Conclusioni citate nella nota precedente, paragrafi 14 e 15. Sul contesto normativo tedesco applicabile al caso del sig. Werhof, v. l’analisi di Rémy, P., «Le renvoi à la convention colective dans le contrat de travail en droit allemand et la directive transfert», in Droit Social, n. 3, 2007, pagg. 342‑346.


14 –      Sentenza Werhof, cit. (punto 28) (il corsivo è mio).


15 – Ibidem (il corsivo è mio).


16  –      Sentenza Werhof, cit. (punto 30).


17 –      Ibidem.


18 –      Sentenza Werhof, cit. (punto 29).


19 – V. la giurisprudenza dell’Employment Appeal Tribunal cit. alla nota 5 delle presenti conclusioni.


20 – Il fatto che i contratti collettivi non siano vincolanti è un principio ben fermo nel diritto del lavoro britannico, che affonda le radici nel secolo XIX, nella sezione IV del Trade Union Act del 1871. Analogamente, la common law ha unicamente riconosciuto gli effetti dei contratti collettivi come conseguenza di un rinvio esplicito contenuto in una clausola del contratto di lavoro (v. Ford Motor Co Ltd v. AUEFW [1969] 2 QB 303). Tale posizione è tuttora vigente nell’ordinamento giuridico britannico, come evidenziano Deakin, S., e Morris, G., in Labour Law, 5ª ed., Ed. Hart, Portland – Oxford, 2009, pagg. 237 e 238.


21 – In proposito, v. la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla dimensione negativa della libertà di associazione e, in particolare, le sentenze Sigurdur A. Sigurjónsson c. Islanda del 30 giugno 1993; Gustafsson c. Svezia del 25 aprile 1996, e Vördur Ólafsson c. Islanda del 27 aprile 2010.


22 –      Sentenza Werhof, cit. (punti 32 e segg.).


23 –      In proposito, v. Schwarze, J., «Der Grundrechtsschutz für Unternehmen in der Europäischen Grundrechtecharta», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2001.


24 – V. sentenze del 27 settembre 1979, Eridania (230/78, Racc. pag. 2749, punti 20 e segg.), e del 19 settembre 1985, Finsider/Commissione (63/84 e 147/84, Racc. pag. 2857, punto 23).


25 –      Sentenza del 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (C‑143/88 e C-92/89, Racc. pag. I‑415, punto 73).


26 – Le spiegazioni rinviano su questo punto alle sentenze del 14 maggio 1974, Nold (4/73, Racc. pag. 491); Eridania, cit. supra; del 16 gennaio 1979, Sukkerfabriken Nykøbing (151/78, Racc. pag. 1, punto 19), e del 5 ottobre 1999, Spagna/Commissione (C‑240/97, Racc. pag. I‑6571, punto 99).


27 – Numerosi Stati membri che, al pari della Carta, riconoscono il diritto autonomo fondamentale alla libertà d’impresa. È il caso della Spagna (articolo 38 della Costituzione spagnola), del Portogallo (articolo 61.1 della Costituzione portoghese) e dell’Italia (articolo 41, primo comma della Costituzione italiana). Tuttavia, in Francia la libertà d’impresa si deduce dalla garanzia costituzionale della proprietà privata e del diritto generale di libertà, come descrive Devolvé, P., Droit public de l’économie, Ed. Dalloz, Parigi, 1998, pagg. 105 e segg. Diversa è l’impostazione seguita dall’ordinamento tedesco, in cui la libera iniziativa economica si deduce dal diritto di proprietà privata, ma altresì dal diritto di scegliere liberamente la professione. Al riguardo, v. Tettinger, P.-J., «Artikel 12» en Sachs, M. (ed.), Grundgesetz-Komentar, Ed. C.H. Beck, Monaco di Baviera, 1996, pagg. 428 e segg. Su tale diritto fondamentale nel diritto comparato europeo, v. Arroyo Jiménez, L., Libre empresa y títulos habilitantes, Ed. CEPC, Madrid, 2004, pagg. 75‑79.


28 –      V. Blanke, H.J., «Artikel 16», in Tettinger, P., e Stern, K., Europäische Grundrechte-Charta, Ed. C.H. Beck, 2006, pagg. 428, 429 e 439‑442, nonché Díez-Picazo Giménez, L.M., Sistema de Derechos Fundamentales, 3ª ed., Ed. Thomson-Civitas, Madrid, 2008, pagg. 537 e segg.


29 –      V. sentenze del 29 marzo 2012, Interseroh Scrap and Metals Trading (C‑1/11, punto 44); del 24 novembre 2011, Scarlet Extended (C‑70/10, Racc. pag. I‑11959, punto 50), e del 16 febbraio 2012, SABAM (C‑360/10, punto 48).


30 –      Sentenza del 6 settembre 2012, Deutsches Weintor (C‑544/10, punto 55).


31 – Sentenze rese nelle cause Scarlet, cit. (punto 50) e SABAM, cit. (punto 48).