Language of document : ECLI:EU:C:2011:626

PRESA DI POSIZIONE DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentata il 29 settembre 2011 (1)

Causa C‑256/11

Murat Dereci

Vishaka Heiml

Alban Kokollari

Izunna Emmanuel Maduike

Dragica Stevic

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Austria)]

«Cittadinanza dell’Unione – Diritti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di soggiornare liberamente sul territorio di uno Stato membro – Situazione in cui il cittadino dell’Unione soggiorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza – Requisiti per il diritto di soggiorno ai familiari cittadini di paesi terzi – Privazione del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione – Accordo di associazione CEE‑Turchia – Clausole di “standstill” – Art. 41 del protocollo addizionale – Art. 13 della decisione del Consiglio di Associazione n. 1/80»





I –    Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, presentata dal Verwaltungsgerichtshof (Austria), verte, in sostanza, sull’interpretazione dell’art. 20 TFUE e sulla portata di questa disposizione dopo la pronuncia delle sentenze Ruiz Zambrano (2) e McCarthy (3).

2.        La domanda è stata presentata nel quadro di cinque procedimenti avviati dinanzi al giudice del rinvio, volti ad ottenere l’annullamento delle decisioni in appello che confermavano il rifiuto del Bundesministerium für Inneres (Ministero degli Interni austriaco) di concedere un permesso di soggiorno ai ricorrenti nei procedimenti principali, accompagnate in taluni casi da ordini di espulsione o di allontanamento dal territorio austriaco.

3.        Detti cinque procedimenti hanno in comune il fatto che i ricorrenti nel procedimento principale sono cittadini di paesi terzi, familiari di cittadini dell’Unione che risiedono in Austria e che desiderano vivere con questi ultimi.

4.        I procedimenti sono anche accomunati dal fatto che i cittadini dell’Unione di cui trattasi non si sono mai avvalsi del loro diritto di libera circolazione e che essi non dipendono, per il loro mantenimento, dai ricorrenti nel procedimento principale, loro familiari.

5.        Le cinque cause nel procedimento principale presentano tuttavia talune differenze, vertenti, essenzialmente a) sul carattere legale (cause Heiml, Kokollari) o illegale (cause Dereci e Maduike) dell’ingresso in Austria; b) sul carattere legale o illegale del soggiorno (con l’eccezione della ricorrente nel procedimento principale nella quinta causa, sig.ra Dragica Stevic, gli altri ricorrenti nel procedimento principale hanno tutti soggiornato illegalmente in Austria); c) sul vincolo familiare che li unisce con il cittadino o i cittadini dell’Unione in questione (coniuge e padre di figli in tenera età nella causa Dereci; coniuge nelle cause Heiml e Maduike; figlio maggiorenne nelle cause Kokollari e Stevic), e d) sulla loro eventuale dipendenza economica nei confronti di detti cittadini dell’Unione (stato di dipendenza più o meno accentuato del cittadino del paese terzo in tutte le cause, salvo la causa Maduike).

6.        Più precisamente, nella prima causa principale, il sig. Murat Dereci, cittadino turco, è entrato in Austria illegalmente nel novembre 2001, nel luglio 2003 ha sposato una cittadina austriaca, con la quale nel frattempo ha avuto tre figli, tuttora minorenni, nati nel 2006, 2007 e 2008, anch’essi tutti cittadini austriaci. La sua domanda di permesso di soggiorno, presentata nel giugno 2004, è stata esaminata e respinta dopo l’entrata in vigore, il 1° gennaio 2006, della legge austriaca in materia di stabilimento e soggiorno (Niederlassungs- und Aufenthaltsgesetz; in prosieguo: il «NAG»), ai sensi della quale, segnatamente, i cittadini di paesi terzi che intendono ottenere un permesso di soggiorno in Austria devono trovarsi fuori del territorio di questo Stato membro nell’attesa dell’esito delle loro istanze. Le autorità austriache hanno dunque considerato che, a far data dal 1° gennaio 2006, ed anche nelle more della decisione relativa alla sua domanda di permesso di soggiorno, il sig. Dereci si trovava illegalmente in Austria. Esse hanno pertanto emesso un provvedimento di espulsione nei suoi confronti, avverso il quale è stato proposto un appello, al quale non è stato riconosciuto, però, effetto sospensivo. Secondo le spiegazioni del giudice del rinvio, sebbene il sig. Dereci abbia indicato di poter esercitare un impiego o un’attività lavorativa autonoma di parrucchiere se gli venisse concesso il permesso di soggiorno, le autorità austriache dubitano che egli disponga di risorse sufficienti per godere del ricongiungimento familiare, in quanto il reddito della famiglia non raggiungeva l’ammontare legale richiesto dalle disposizioni del NAG. Le autorità austriache hanno anche considerato che né il diritto dell’Unione, né l’art. 8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), imponesse di concedere un permesso di soggiorno al sig. Dereci.

7.        La ricorrente nel procedimento principale nella seconda causa, la sig.ra Vishaka Heiml, è cittadina dello Sri Lanka ed ha sposato un cittadino austriaco nel maggio 2006. Avendo ottenuto un visto nel gennaio 2007, essa è entrata legalmente in Austria nel febbraio dello stesso anno. Nell’aprile 2007 la signora ha chiesto il rilascio di un permesso di soggiorno come membro della famiglia di un cittadino austriaco. Mentre suo marito ha un impiego stabile a Vienna, la sig.ra Heiml ha dichiarato di voler continuare i suoi studi superiori in un’università di quella città, dove era già stata ammessa. La sua domanda di rilascio di un permesso di soggiorno è tuttavia stata respinta per il motivo che, alla scadenza del suo visto, la sig.ra Heiml avrebbe dovuto rimanere all’estero nell’attesa della decisione sulla sua domanda. Inoltre, le autorità austriache hanno considerato, come nella causa Dereci, che la sig.ra Heiml non potesse invocare né il diritto dell’Unione, né l’art. 8 CEDU.

8.        Nella terza causa, il sig. Alban Kokollari, originario del Kosovo, è entrato legalmente in Austria nel 1984 con i suoi genitori, aventi all’epoca la cittadinanza jugoslava, quando aveva solo 2 anni. Egli ha goduto di un permesso di soggiorno sino al 2006, di cui ha chiesto per la prima volta il rinnovo in quello stesso anno. Avendo egli omesso di presentare taluni documenti, detta domanda è stata respinta. Nel luglio 2007, il sig. Kokollari ha presentato una nuova domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, per il motivo, segnatamente, che sua madre, ormai cittadina austriaca ed impiegata in un’impresa di pulizie, garantiva il suo mantenimento, mentre suo padre percepiva un sussidio di disoccupazione. La domanda del sig. Kokollari è stata respinta per il motivo che, dopo il rigetto della sua prima domanda di rinnovo nel 2006, egli avrebbe dovuto lasciare il territorio austriaco e attendere all’estero la risposta alla sua domanda presentata nel luglio 2007. Peraltro, le autorità austriache hanno ritenuto che il sig. Kokollari non potesse invocare il diritto dell’Unione e non avesse fatto valere nessun altro motivo particolare che imponesse il rilascio di un permesso di soggiorno. Nei suoi confronti è già stato emesso un provvedimento di allontanamento.

9.        Nella quarta causa, il sig. Izunna Emmanuel Maduike, cittadino nigeriano, come il sig. Dereci è entrato illegalmente in Austria nel 2003. Egli ha presentato una domanda di asilo sul fondamento di dichiarazioni false, il cui rigetto è divenuto irrevocabile nel dicembre 2005. Nel frattempo, il sig. Maduike ha sposato una cittadina austriaca e nel dicembre 2005 ha chiesto il rilascio di un permesso di soggiorno. La sua domanda è stata respinta in quanto, segnatamente, egli aveva soggiornato illegalmente in Austria nelle more della risposta alla sua domanda e, avendo commesso un’infrazione delle norme relative all’asilo, costituiva una minaccia per l’ordine pubblico, che ostacolava il rilascio di detto permesso.

10.      La sig.ra Stevic, cittadina serba, residente in Serbia con il marito e i figli maggiorenni, è la ricorrente nella quinta causa principale. Il 5 settembre 2007 ella ha chiesto un permesso di soggiorno in Austria per ricongiungersi con il padre, che vive in questo Stato membro dal 1972 ed ha ottenuto la cittadinanza austriaca il 4 settembre 2007. Secondo la sig.ra Stevic e suo padre, quest’ultimo avrebbe versato un aiuto mensile di EUR 200 per tutti questi anni e, una volta che lei fosse in Austria, avrebbe garantito il mantenimento della figlia. Le autorità austriache hanno respinto la domanda della sig.ra Stevic, atteso che il contributo mensile di cui ella ha goduto non poteva essere qualificato come sostentamento e che, in considerazione degli importi fissati dal NAG, le risorse del padre sarebbero insufficienti per consentire alla sig.ra Stevic di provvedere al proprio mantenimento. Del resto, né il diritto dell’Unione né l’art. 8 CEDU imporrebbero di accogliere la domanda di ricongiungimento familiare presentata dalla sig.ra Stevic.

11.      Investito di queste cause, il giudice del rinvio si interroga, tenuto conto della citata sentenza Ruiz Zambrano, sulle condizioni alle quali i cittadini dell’Unione si trovino costretti, ai sensi di detta sentenza, ad abbandonare il territorio dell’Unione per accompagnare i membri della loro famiglia, cittadini di paesi terzi, e vengano dunque privati del godimento effettivo dei diritti loro conferiti dalla cittadinanza dell’Unione. Inoltre, riconoscendo che la direttiva 2004/38/CE (4) non è applicabile nelle cinque cause principali, in quanto i cittadini dell’Unione di cui trattasi non hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione, il giudice del rinvio si chiede se detta direttiva, atteso che essa privilegerebbe il mantenimento dell’unità familiare, non debba essere presa in considerazione per concludere che la semplice impossibilità di condurre una vita familiare in uno Stato membro potrebbe avere l’effetto di privare i cittadini dell’Unione di esercitare il nucleo dei diritti loro conferiti dal loro status. Inoltre, nella sola causa Dereci, il giudice del rinvio si chiede se, in considerazione della cittadinanza del ricorrente nella causa principale, in subordine, una delle disposizioni dell’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, concluso a nome della Comunità con la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (5), non osti all’applicazione, con decorrenza dal 1° gennaio 2006, di condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno in Austria più severe di quelle in precedenza vigenti, imposte dal NAG ai cittadini turchi.

12.      Di conseguenza, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) a) Se l’art. 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso vieta ad uno Stato membro di negare al cittadino di un paese terzo, il cui coniuge ed i cui figli minorenni siano cittadini dell’Unione, il soggiorno nello Stato membro di residenza del coniuge e dei figli, Stato di cui essi sono cittadini, e ciò anche qualora questi cittadini dell’Unione non dipendano dal cittadino del paese terzo per quanto riguarda il loro mantenimento (ricorrente Dereci).

b)      Se l’art. 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso vieta ad uno Stato membro di negare al cittadino di un paese terzo, il cui coniuge sia cittadino dell’Unione, il soggiorno nello Stato membro di residenza del coniuge, Stato di cui quest’ultimo è cittadino, e ciò anche qualora il cittadino dell’Unione non dipenda dal cittadino del paese terzo per quanto riguarda il suo mantenimento (ricorrenti Heiml e Maduike).

c)      Se l’art. 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso vieta ad uno Stato membro di negare al cittadino maggiorenne di un paese terzo, la cui madre sia cittadina dell’Unione, il soggiorno nello Stato membro di residenza della madre, Stato di cui essa è cittadina, e ciò anche qualora la cittadina dell’Unione non dipenda dal cittadino del paese terzo per quanto riguarda il suo mantenimento, bensì il cittadino del paese terzo dipenda dalla cittadina dell’Unione per quanto riguarda il proprio mantenimento (ricorrente Kokollari).

d)      Se l’art. 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso vieta ad uno Stato membro di negare alla cittadina maggiorenne di un paese terzo, il cui padre sia cittadino dell’Unione, il soggiorno nello Stato membro di residenza del padre, Stato di cui egli è cittadino, e ciò anche qualora il cittadino dell’Unione non dipenda dal cittadino del paese terzo per quanto riguarda il suo mantenimento, bensì la cittadina del paese terzo riceva un sostentamento dal cittadino dell’Unione (ricorrente Stevic).

2)      In caso di risposta affermativa ad una delle questioni sub 1):

se, per quanto riguarda l’obbligo degli Stati membri, risultante dall’art. 20 TFUE, di consentire il soggiorno al cittadino di un paese terzo, si tratti di un diritto di soggiorno derivante direttamente dal diritto dell’Unione oppure sia sufficiente che lo Stato membro conferisca al cittadino del paese terzo il diritto di soggiorno con efficacia costitutiva.

3) a) In caso di soluzione della questione sub 2) nel senso che esiste un diritto di soggiorno in forza del diritto dell’Unione:

a quali condizioni eccezionalmente non sussiste il diritto di soggiorno risultante dal diritto dell’Unione o, più esattamente, a quali condizioni può essere negato il diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo.

b)      In caso di soluzione della questione sub 2) nel senso che è sufficiente che il diritto di soggiorno venga concesso al cittadino del paese terzo con efficacia costitutiva:

a quali condizioni il diritto di soggiorno può essere negato al cittadino di un paese terzo – nonostante lo Stato membro sia tenuto in linea di principio a consentirgli il soggiorno.

4)      Nel caso in cui l’art. 20 TFUE non osti al diniego di soggiorno nello Stato membro per il cittadino di un paese terzo nella situazione in cui si trova il sig. Dereci:

se l’art. 13 della decisione del Consiglio di Associazione, istituito con l’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’Associazione, o l’art. 41 del protocollo addizionale (6) concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (7), il quale, ai sensi del suo art. 62, è parte integrante dell’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, osti, in un caso come quello del sig. Dereci, a sottoporre il primo ingresso di cittadini turchi a norme nazionali più severe rispetto a quelle vigenti in precedenza per il primo ingresso di tali cittadini, nonostante dette disposizioni nazionali, che avevano facilitato il primo ingresso, siano entrate in vigore solo dopo che le citate disposizioni relative all’Associazione con la Turchia sono divenute efficaci per lo Stato membro».

13.      Con ordinanza 9 settembre 2011, il presidente della Corte ha accolto la domanda del giudice del rinvio di assoggettare la presente causa al procedimento accelerato.

14.      Osservazioni scritte sono state depositate dai governi tedesco, austriaco, danese, ellenico, olandese, polacco e del Regno Unito, dall’Irlanda e dalla Commissione europea. Queste parti interessate e il sig. Dereci sono stati sentiti all’udienza del 27 settembre 2011, salvo i governi polacco ed olandese, che non si sono fatti rappresentare.

II – Analisi

15.   Come già osservato, le quattro questioni pregiudiziali presentate alla Corte hanno una portata diversa. Le prime tre vertono sull’interpretazione dell’art. 20 TFUE e concernono le situazioni delle cinque cause principali, mentre le soluzioni date alla seconda e alla terza questione sono tuttavia subordinate ad una risposta positiva, anche solo parziale, alla prima questione. La quarta questione, che si ricollega soltanto alla situazione del sig. Dereci, viene presentata per l’eventualità che la Corte risponda negativamente alla prima questione e verte sull’interpretazione delle clausole di «standstill» che si applicano nel contesto dell’Accordo che crea un’Associazione tra l’Unione e la Repubblica di Turchia.

A –    Sulle prime tre questioni pregiudiziali (interpretazione dell’art. 20 TFUE)

16.      Con le prime tre questioni il giudice del rinvio vuole sapere, in sostanza, se, ed eventualmente a quali condizioni, le disposizioni del TFUE relative alla cittadinanza dell’Unione implichino la concessione di un diritto di soggiorno riconosciuto al cittadino di un paese terzo che sia il coniuge, uno dei genitori o il figlio di un cittadino dell’Unione, allorché detto cittadino ha sempre soggiornato nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza senza essersi mai avvalso del suo diritto alla libera circolazione.

17.      Le ragioni per le quali il giudice del rinvio esprime dubbi quanto all’interpretazione dell’art. 20 TFUE sono inequivocabili: si tratta di comprendere meglio la portata della citata sentenza Ruiz Zambrano, pronunciata dalla Grande Sezione lo scorso 8 marzo.

18.      Ricordo che detta causa verteva, sostanzialmente, sulla questione se le disposizioni del TFUE relative alla cittadinanza dell’Unione possano conferire al cittadino di un paese terzo (nella fattispecie un cittadino colombiano accompagnato dalla moglie con la stessa cittadinanza), che assumeva l’onere di due dei suoi figli in tenera età, cittadini dell’Unione, un diritto di soggiorno o una dispensa dal permesso di lavoro nello Stato membro di cui i due figli erano cittadini (nella fattispecie il Regno del Belgio), in cui essi erano nati e avevano vissuto senza mai aver esercitato il loro diritto alla libera circolazione.

19.      In considerazione del fatto che i figli del sig. Ruiz Zambrano non si erano mai spostati in uno Stato membro diverso dal Regno del Belgio, era evidente, come del resto sottolineato dalla Corte al punto 39 della citata sentenza Ruiz Zambrano, che la direttiva 2004/38 era inapplicabile alla fattispecie.

20.      Siffatta circostanza aveva anche indotto i governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nonché la Commissione, a concludere che i fatti all’origine della causa Ruiz Zambrano configuravano una situazione puramente interna, inidonea ad attivare le norme del TFUE relative alla cittadinanza dell’Unione invocate dal giudice nazionale (8).

21.      La Corte non ha seguito questo ragionamento e ha dichiarato che il rifiuto del diritto di soggiorno e di permesso di lavoro opposto al sig. Ruiz Zambrano ostava all’art. 20 TFUE, «qualora decisioni siffatte possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione» (9).

22.      Infatti, a giudizio della Corte, un diniego di soggiorno di tal genere avrebbe portato alla conseguenza che tali figli, cittadini dell’Unione, si sarebbero trovati costretti ad abbandonare il territorio dell’Unione per accompagnare i loro genitori. Parimenti, qualora al sig. Ruiz Zambrano non fosse stato rilasciato un permesso di lavoro, questi rischiava di non disporre dei mezzi necessari a far fronte alle proprie esigenze e a quelle della sua famiglia, circostanza che avrebbe portato parimenti alla conseguenza che i suoi figli, cittadini dell’Unione, si sarebbero trovati costretti ad abbandonare il territorio di quest’ultima. Ciò posto, la Corte ha considerato che detti cittadini dell’Unione si sarebbero trovati, di fatto, nell’impossibilità di godere realmente del nucleo dei diritti attribuiti dallo status di cittadino dell’Unione (10).

23.      In questo modo, la Corte sembrava escludere la qualifica di «situazione puramente interna» ad uno Stato membro quando un provvedimento nazionale ha l’effetto di privare un cittadino dell’Unione del godimento effettivo del nucleo dei diritti collegati al suo status, nonostante egli non si sia già avvalso del suo diritto di libera circolazione.

24.      Questa è del resto l’interpretazione data dalla Corte nella sentenza McCarthy (11), anch’essa brevemente menzionata nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

25.      Questa causa verteva su una cittadina del Regno Unito, beneficiaria di prestazioni sociali in questo Stato membro, che possedeva anche la cittadinanza irlandese, ma non aveva mai soggiornato in uno Stato membro diverso dal Regno Unito. Avendo sposato un cittadino giamaicano, la sig.ra McCarthy e il marito hanno chiesto alle autorità del Regno Unito un permesso di soggiorno, conformemente al diritto dell’Unione, rispettivamente, come cittadina dell’Unione e come coniuge di siffatta cittadina. Tali domande sono state respinte. Investita di un’impugnazione relativa alla decisione sulla sig.ra McCarthy, la Supreme Court of the United Kingdom ha interrogato la Corte sull’interpretazione della direttiva 2004/38.

26.      Dopo aver riformulato le questioni sollevate al fine di includervi l’art. 21 TFUE (12), la Corte ha innanzitutto logicamente escluso l’applicazione della direttiva 2004/38 ad una cittadina dell’Unione, come la sig.ra McCarthy, che non si era mai avvalsa del suo diritto di libera circolazione e che aveva sempre soggiornato sul territorio dello Stato membro di cui possiede la cittadinanza (13).

27.      Passando quindi all’esame dell’applicabilità dell’art. 21 TFUE, e dopo aver osservato che il semplice fatto che un cittadino dell’Unione non abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione non può, per ciò solo, essere assimilato ad una situazione puramente interna, la Corte ha verificato se, da un lato, in applicazione del criterio sviluppato al punto 42 della citata sentenza Ruiz Zambrano, la misura nazionale di cui trattasi avesse l’effetto di privare la sig.ra McCarthy del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti correlati al suo status di cittadina dell’Unione o se, dall’altro, in applicazione del criterio che emerge dalle sentenze Garcia Avello (14) e Grunkin e Paul (15), detta misura avesse l’effetto di ostacolare l’esercizio del suo diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, conformemente all’art. 21 TFUE (16).

28.      La Corte ha respinto la possibilità che il diniego di prendere in considerazione la cittadinanza irlandese della sig.ra McCarthy da parte delle autorità del Regno Unito al fine, in definitiva, di ottenervi un diritto di soggiorno derivato per il suo coniuge, cittadino di un paese terzo (17), possa avere l’effetto di intralciare la sig.ra McCarthy «nel suo diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, (o) in (…) alcun altro diritto ad essa conferito dal suo status di cittadina dell’Unione» (18).

29.      Segnatamente, come osserva la Corte, contrariamente alla situazione che caratterizzava la causa Ruiz Zambrano, l’applicazione del provvedimento nazionale di cui trattavasi non costringeva la sig.ra McCarthy a lasciare il territorio dell’Unione, in quanto quest’ultima godeva, in forza di un principio di diritto internazionale, di un diritto di soggiorno incondizionato nel Regno Unito per il possesso della cittadinanza di detto Stato membro (19).

30.      Ciò premesso, la Corte ha dichiarato che la situazione personale della sig.ra McCarthy non presentava alcun fattore di collegamento ad una qualsiasi delle situazioni contemplate dal diritto dell’Unione, di modo che l’art. 21 TFUE non poteva trovare applicazione nei suoi confronti (20).

31.      In questa fase, ed a prescindere da taluni interrogativi che può suscitare l’articolazione delle citate sentenze Ruiz Zambrano e McCarthy (21), è già possibile trarre insegnamenti utili ai fini della soluzione delle prime tre questioni pregiudiziali.

32.      In primo luogo, come nelle citate cause Ruiz Zambrano e McCarthy, la direttiva 2004/38 non trova applicazione nelle cinque situazioni di fatto all’origine della domanda di pronuncia pregiudiziale, in quanto nessuno dei cittadini dell’Unione di cui trattasi ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione. Del resto, su questo conviene anche il giudice del rinvio (22).

33.      In secondo luogo, e alla stregua di quanto hanno sostenuto i governi che hanno depositato osservazioni dinanzi alla Corte e la Commissione, nessuna delle cinque cause sembra caratterizzarsi per il rischio di una privazione del godimento effettivo del nucleo dei diritti inerenti alla cittadinanza dell’Unione o di un ostacolo all’esercizio del diritto dei cittadini dell’Unione interessati di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri.

34.      Infatti, in primo luogo, riguardo alla situazione della famiglia Dereci, non esiste alcun rischio che il diniego del permesso di soggiorno opposto al sig. Dereci dalle autorità austriache possa privare la moglie e i tre figli in tenera età del sig. Dereci, tutti e quattro cittadini dell’Unione, del godimento di uno dei diritti enumerati all’art. 20, n. 2, TFUE. Segnatamente, quanto al diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, menzionato all’art. 20, n. 2, lett. a), TFUE, la sig.ra Dereci, in quanto cittadina austriaca, può continuare a godere del diritto di soggiorno in Austria e può validamente avvalersi del suo diritto di libera circolazione tra gli Stati membri. La stessa cosa vale per i figli che tuttavia, a causa della loro giovane età, non possono esercitare detto diritto indipendentemente dalla madre. Inoltre, e contrariamente alla situazione all’origine della citata causa Ruiz Zambrano, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che nessuno dei quattro cittadini dell’Unione è a carico del sig. Dereci, cittadino di un paese terzo (23). Pertanto, se il sig. Dereci non dovesse ottenere un permesso di soggiorno e/o dovesse essere espulso verso la Turchia, né sua moglie né i suoi figli, contrariamente ai figli del sig. Ruiz Zambrano, rischierebbero di vedersi costretti a lasciare il territorio dell’Unione.

35.      In secondo luogo, le situazioni della sig.ra Heiml, cittadina dello Sri Lanka, e del sig. Maduike, cittadino nigeriano, entrambi coniugi di cittadini dell’Unione, presentano una certa analogia con quella del coniuge della sig.ra McCarthy. Come nella causa definita dalla citata sentenza McCarthy, né il marito della sig.ra Heiml né la moglie del sig. Maduike, che, secondo quanto indicato dal giudice del rinvio, godono entrambi di impieghi stabili a Vienna, si troverebbero nella situazione di dover abbandonare il territorio dell’Unione se le autorità austriache rifiutassero ai loro rispettivi coniugi un diritto di soggiorno in Austria. Inoltre, questi cittadini dell’Unione non sarebbero affatto privati del godimento dei diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione, segnatamente da quello di libera circolazione e di soggiorno sul territorio degli Stati membri.

36.      In terzo luogo, una soluzione identica si impone riguardo al sig. Kokollari e alla sig.ra Stevic, entrambi figli maggiorenni di cittadini dell’Unione. Segnatamente, né la madre del sig. Kokollari né il padre della sig.ra Stevic sarebbero costretti a lasciare il territorio dell’Unione se i loro figli maggiorenni non potessero restare o entrare in Austria, posto che detti cittadini dell’Unione non risultano in alcun modo dipendenti, sotto il profilo economico e/o giuridico, dai loro figli maggiorenni, cittadini di paesi terzi.

37.      Le osservazioni che precedono si rivelano, in definitiva, una semplice applicazione dei criteri adottati nelle citate sentenze Ruiz Zambrano e McCarthy. Esse si fondano sul presupposto che «il nucleo dei diritti inerenti allo status di cittadini dell’Unione», ai sensi della citata sentenza Ruiz Zambrano, non comprende il diritto al rispetto della vita familiare, consacrato all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché all’art. 8, n. 1, CEDU.

38.      Dalla posizione assunta dalla Corte nelle due citate sentenze, e segnatamente dal ragionamento svolto nella sentenza McCarthy, emerge infatti che il diritto al rispetto della vita familiare si rivela di per sé insufficiente per includere nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione la situazione di un cittadino dell’Unione che non abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione e/o, eventualmente, non sia privato del godimento effettivo di uno degli altri diritti enumerati all’art. 20, n. 2, lett. b)‑d), TFUE (24).

39.      Questa posizione non si spiega tanto con il rispetto del disposto dell’art. 20, n. 2, TFUE, la cui enumerazione dei diritti di cui dispongono i cittadini dell’Unione non è evidentemente tassativa (25), quanto con la cura che le competenze dell’Unione e delle sue istituzioni non sconfinino né in quelle degli Stati membri in materia di immigrazione né in quelle della Corte europea per i diritti dell’uomo nel settore della tutela dei diritti fondamentali, conformemente agli artt. 6, n. 1, TUE e 51, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali (26).

40.      Quanto, segnatamente, alla vita familiare, la tutela ad essa offerta da questi tre ordinamenti giuridici – nazionale, dell’Unione e di diritto internazionale – si rivela complementare. Dunque, nell’ipotesi di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato una delle libertà di cui al TFUE, allo stadio attuale il diritto al rispetto della vita familiare è tutelato a livello nazionale e a livello del diritto dell’Unione (27). Riguardo ad un cittadino dell’Unione che non si sia avvalso di una di dette libertà, tale tutela è garantita a livello nazionale e internazionale (28).

41.      Non si può dunque escludere che, nelle cause principali, il rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno e/o i provvedimenti di espulsione rivolti all’uno o all’altro dei ricorrenti nei procedimenti principali, genitore, figlio o coniuge di un cittadino di uno Stato membro, possano pregiudicare il rispetto della vita familiare, garantito dall’art. 8, n. 1, CEDU.

42.      Siffatta violazione deriverebbe tuttavia da obblighi incombenti alla Repubblica d’Austria in virtù della CEDU e non in quanto Stato membro dell’Unione. Il suo esame rientrerebbe nella competenza dei giudici nazionali ed, eventualmente, della Corte europea dei diritti dell’uomo (29).

43.      Nonostante quanto precede, non posso prescindere dal fatto che le conseguenze dell’applicazione pura e semplice della giurisprudenza Ruiz Zambrano e McCarthy nelle cause principali sollevano talune perplessità che si potrebbero presentare come ostacoli o quanto meno paradossi.

44.      Una di esse sta nel fatto che, per poter effettivamente godere di una vita familiare sul territorio dell’Unione, i cittadini dell’Unione di cui trattasi si vedono costretti ad esercitare una delle libertà di circolazione previste dal TFUE. Infatti, se la sig.ra Dereci e i suoi figli, il marito della sig.ra Heiml o la moglie del sig. Maduike si trasferissero, ad esempio, in Germania, o fornissero alcuni servizi verso uno Stato membro, la loro situazione rientrerebbe nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, pertanto, come ammesso dalla Commissione, essi potrebbero verosimilmente avvalersi del ricongiungimento familiare con i rispettivi coniugi (30). Detti cittadini dell’Unione potrebbero quindi anche tornare nello Stato d’origine, accompagnati dai loro parenti prossimi, indipendentemente dall’esercizio di un’attività economica in detto Stato membro, in quanto una siffatta situazione sfugge dalla qualifica di situazione puramente interna (31).

45.      Se ci si limita a considerare il caso della famiglia Dereci, che, come la situazione all’origine della causa Ruiz Zambrano, comprende bambini in tenera età, cittadini dell’Unione, la cittadinanza dell’Unione della sig.ra Dereci potrebbe, paradossalmente, essere intesa come una circostanza che impedisce e/o rinvia il ricongiungimento familiare. Infatti, mentre a seguito della sentenza Ruiz Zambrano i figli, cittadini dell’Unione, dei coniugi Zambrano, entrambi cittadini di paesi terzi, possono subito continuare ad avere relazioni con i loro due genitori nello Stato membro di cui possiedono la cittadinanza e sul cui territorio risiedono, la vita familiare dei tre figli in tenera età dei coniugi Dereci è invece subordinata, in pratica, all’esercizio da parte della madre di una delle libertà di circolazione previste dal TFUE e dunque, verosimilmente, al trasferimento della medesima in uno Stato membro diverso dall’Austria.

46.      Ciò non significa affatto, a mio avviso, che la portata della sentenza Ruiz Zambrano sia limitata ai casi dei cittadini dell’Unione minorenni e mantenuti da uno dei loro genitori, entrambi cittadini di paesi terzi, come ha suggerito in udienza il governo austriaco.

47.      Dunque, sempre nel caso della famiglia Dereci, a mio avviso non è evidente che la soluzione da dare alla prima questione pregiudiziale sia identica se sono diverse talune circostanze di fatto. Ad esempio, se la sig.ra Dereci, per qualsiasi motivo, fosse inabile al lavoro e dunque non in grado di provvedere alle necessità dei suoi figli, vi sarebbe un forte rischio, a mio avviso, che il diniego di rilasciare un permesso di soggiorno a suo marito e, a fortiori, la sua espulsione verso la Turchia privino i figli della coppia del godimento effettivo dei diritti inerenti alla cittadinanza dell’Unione costringendoli, di fatto, a lasciare il territorio dell’Unione. Infatti, come potrebbe una madre di tre figli in tenera età, senza risorse proprie, malgrado il diritto di soggiorno in Austria di cui gode a causa della sua cittadinanza, garantire il mantenimento dei suoi figli se si trova nell’incapacità di lavorare e, pertanto, di stabilirsi durevolmente in un altro Stato membro con i membri della sua famiglia?

48.      Allo stesso modo, a mio avviso, il rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno ad un cittadino di un paese terzo che debba assumere l’onere economico e/o giuridico, amministrativo ed affettivo di uno dei suoi genitori, potrebbe portare ad esporre detto cittadino allo stesso rischio di non potersi più avvalere del suo status e di dover abbandonare il territorio dell’Unione.

49.      Queste sono dunque le differenti situazioni specifiche di cui sarà investita la Corte nelle domande di pronuncia pregiudiziale che determineranno la portata esatta della sentenza Ruiz Zambrano. Siffatta situazione, devo ammettere, è poco soddisfacente sotto il profilo della certezza del diritto. Le presenti cause, proposte meno di tre mesi dopo la pronuncia di quella sentenza, hanno il merito di porre rapidamente la Corte dinanzi al compito di precisare i limiti della sua prossima giurisprudenza (32). La soluzione della prima questione, come proposta in sostanza ai paragrafi 33‑36 della presente presa di posizione, ridurrebbe anche l’incertezza del diritto creata dalla sentenza Ruiz Zambrano. Essa non illuminerà tuttavia tutte le zone d’ombra relative agli effetti di questa sentenza per quanto riguarda l’applicazione del criterio della privazione del godimento effettivo, da parte di un cittadino dell’Unione, dei diritti essenziali inerenti al suo status in talune situazioni, come quelle considerate ai due paragrafi precedenti di questa presa di posizione.

50.      Alla luce di queste osservazioni, e allo stadio attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, suggerisco alla Corte di risolvere la prima questione pregiudiziale nel seguente modo: l’art. 20 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non si applica ad un cittadino dell’Unione che sia il coniuge, il genitore o un figlio minorenne del cittadino di un paese terzo, quando detto cittadino dell’Unione non ha ancora mai goduto del suo diritto di circolare liberamente tra gli Stati membri ed ha sempre soggiornato nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, nei limiti in cui la situazione di detto cittadino dell’Unione non sia parimenti contrassegnata dall’applicazione di misure nazionali, che abbiano l’effetto di privarlo del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti inerenti al suo status di cittadino dell’Unione, o di ostacolare l’esercizio del suo diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri.

51.      Ciò premesso, non occorre suggerire una soluzione alla seconda e terza questione sollevate dal giudice del rinvio.

B –    Sulla quarta questione pregiudiziale (interpretazione delle clausole di «standstill» nel contesto dell’Accordo che crea un’Associazione tra l’Unione e la Repubblica di Turchia)

52.      Con la quarta questione, il giudice del rinvio vuole sapere se, in caso di soluzione negativa della sua prima questione, le clausole di «standstill» previste, rispettivamente, all’art. 13 della decisione del Consiglio d’associazione n. 1/80, riguardo alla circolazione dei lavoratori turchi, e all’art. 41 del protocollo addizionale, riguardo alla libertà di stabilimento, ostino a che uno Stato membro subordini il primo ingresso dei cittadini turchi a norme interne più severe rispetto a quelle vigenti in precedenza per detto ingresso, nonostante queste ultime, che avevano facilitato il primo ingresso, siano entrate in vigore solo dopo che i citati articoli sono divenuti efficaci per lo Stato membro di cui trattasi.

53.      Come ho già sottolineato, detta questione è rilevante solo per quanto concerne la situazione del sig. Dereci, che è cittadino turco e che, secondo le informazioni comunicate dal giudice del rinvio, dice di essere in grado di esercitare un’attività professionale subordinata o autonoma, se gli venisse rilasciato un permesso di lavoro dalle autorità austriache.

54.      È pacifico che la domanda di permesso di soggiorno del sig. Dereci sul territorio austriaco è stata presentata quando era in vigore la legge austriaca del 1997, che accordava ai cittadini di paesi terzi il diritto di restare su detto territorio durante il periodo necessario per la decisione sulla loro domanda di permesso di soggiorno. Detta legge costituiva una mitigazione della legge 1° luglio 1993, in vigore al momento in cui l’Accordo di associazione con la Repubblica di Turchia è entrato in vigore in Austria.

55.      È parimenti pacifico che le disposizioni del NAG, entrate in vigore il 1° gennaio 2006, hanno revocato il diritto conferito ai cittadini di paesi terzi, come il sig. Dereci, introdotto con il regime della legge austriaca del 1997, di attendere sul territorio austriaco la decisione sulla loro prima domanda di permesso di soggiorno.

56.      Dagli elementi del fascicolo emerge anche che il soggiorno del sig. Dereci è divenuto irregolare con decorrenza dal 1° gennaio 2006, appunto in quanto la sua domanda di permesso di soggiorno, presentata il 24 giugno 2004 in vigenza della legge austriaca del 1997, il 31 dicembre 2005 non era ancora stata oggetto di decisione.

57.      La portata della questione è appunto se le clausole di «standstill» previste all’art. 13 della decisione n. 1/80 e all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, nella misura in cui sono applicabili al primo ingresso di un cittadino turco sul territorio di uno Stato membro, consentano al giudice del rinvio di escludere l’obbligo, adesso sancito dal NAG, imposto a un siffatto cittadino, di attendere all’estero o di lasciare il territorio austriaco durante l’esame della sua domanda di rilascio di un permesso di soggiorno in Austria (33).

58.      A questo riguardo, ricordo che, ai sensi dell’art. 13 della decisione n. 1/80, gli Stati membri e la Repubblica di Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari, che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare, quanto al soggiorno e all’occupazione.

59.      Ai sensi dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, le parti contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

60.      Non vi è alcun dubbio che le disposizioni controverse del NAG costituiscono nuove restrizioni ai sensi dell’art. 13 della decisione del Consiglio d’associazione n. 1/80, in quanto incidono sulla situazione dei lavoratori turchi, e all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, in quanto riguardano i lavoratori turchi che intendono avvalersi della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi in forza dell’accordo di associazione, atteso che esse sono state adottate dopo l’entrata in vigore di detti articoli.

61.      Questa valutazione non è inficiata dalla circostanza, sottolineata dal giudice del rinvio, secondo la quale le disposizioni del NAG hanno aggravato le condizioni applicabili ai cittadini turchi non in relazione alle disposizioni applicabili in Austria al momento dell’entrata in vigore dell’art. 13 della decisione n. 1/80 e dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale (ovvero quelle della legge 1° luglio 1993), ma rispetto alle disposizioni, più vantaggiose, adottate dopo l’entrata in vigore di questi atti in Austria (ovvero quelle della legge del 1997).

62.      Infatti, una soluzione analoga è già stata adottata dalla Corte nella sentenza Toprak e Oguz (34) e si giustifica pienamente, a mio avviso, con l’obbligo per gli Stati membri, dopo l’entrata in vigore di questi atti sul loro territorio, di non discostarsi dall’obiettivo di non rendere più difficoltosa la progressiva realizzazione delle libertà economiche concesse ai cittadini turchi in seno all’Unione, neppure ritornando sulle disposizioni che hanno adottato a favore di detti cittadini (35).

63.      Del resto, la Corte ha già ripetutamente dichiarato, riguardo all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, che il divieto previsto in detto articolo include le nuove restrizioni riguardanti le condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di prima ammissione nel territorio dello Stato membro di cui trattasi dei cittadini turchi che intendano avvalersi della libertà di stabilimento (36).

64.      Questa disposizione non interferisce dunque con la competenza degli Stati membri di disciplinare il diritto di stabilimento (37). A giudizio della Corte, essa opera semplicemente come una norma di diritto quasi procedurale che prescrive, ratione temporis, quali siano le disposizioni della normativa di uno Stato membro alla luce delle quali si deve valutare la situazione di un cittadino turco che intenda avvalersi della libertà di stabilimento in uno Stato membro (38), e prescinde dal fatto che il suo soggiorno in detto Stato membro sia regolare o meno (39).

65.      Su quest’ultimo punto occorre ricordare che, nella causa definita dalla sentenza Savas (40), l’interessato aveva invocato la clausola di «standstill» prevista all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale dopo aver violato le disposizioni nazionali in materia di immigrazione, soggiornando in modo illegale sul territorio di uno Stato membro per più di dieci anni. Questa circostanza non ha tuttavia indotto la Corte a negargli di far valere la norma procedurale di cui a questa disposizione.

66.      Parimenti, nella citata causa Tum e Dari, la clausola di «standstill», prevista all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, era stata invocata da due cittadini turchi che avevano soggiornato in uno Stato membro in violazione di un’ordinanza di espulsione emessa dopo il rigetto della loro domanda di asilo. La Corte, in quella sentenza, respingeva esplicitamente l’interpretazione secondo cui un cittadino turco possa far valere il beneficio della clausola di «standstill» soltanto se abbia fatto regolare ingresso nello Stato membro (41).

67.      Mi sembra, dunque, che il sig. Dereci, la cui situazione non è priva di analogie con quella all’origine della causa Tum e Dari, potesse beneficiare dell’applicazione dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

68.      Ciò premesso, non è strettamente necessario risolvere la parte della quarta questione relativa all’interpretazione dell’art. 13 della decisione n. 1/80, atteso che è esclusa l’applicazione concomitante di questa disposizione con l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale (42).

69.      A questo riguardo occorre nondimeno osservare che, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte, diversi governi hanno insistito sul fatto che la clausola di «standstill», prevista all’art. 13 della decisione n. 1/80, non avvantaggerebbe i cittadini turchi che si trovano in una situazione irregolare per quanto riguarda il soggiorno. Detta interpretazione risulterebbe dal testo stesso di questa disposizione, nonché dal punto 84 della citata sentenza Abatay e a.

70.      Se si condividesse questo ragionamento, da ciò conseguirebbe che detta clausola avrebbe una portata diversa da quella enunciata all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

71.      Siffatta interpretazione sarebbe contraria ad un orientamento della giurisprudenza che assimila la portata di queste due clausole di «standstill» (43) ed in virtù del quale la Corte ha anche giudicato che l’art. 13 della decisione n. 1/80 vieta qualsiasi nuova restrizione all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori, ivi comprese quelle vertenti sulle condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di prima ammissione sul territorio di uno Stato membro (44), alla stregua di quanto dichiarato per quanto riguarda l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

72.      Tuttavia, senza che sia necessario risolvere tale questione, basta ricordare, come risulta dalla decisione di rinvio e come hanno fatto valere in udienza il sig. Dereci e la Commissione, che il sig. Dereci ha soggiornato regolarmente sul territorio austriaco sino al 31 dicembre 2005 e che è solo a far data dal 1° gennaio 2006 che il suo soggiorno è divenuto irregolare per il fatto che, in violazione delle disposizioni controverse del NAG, egli è rimasto su detto territorio nelle more della decisione sulla sua domanda di ricongiungimento familiare. Orbene, a mio avviso, non si può opporre ad un cittadino turco, che intenda avvalersi dell’art. 13 della decisione n. 1/80, l’asserita irregolarità del suo soggiorno sul territorio di uno Stato membro per il motivo che detta irregolarità discenderebbe dall’applicazione di disposizioni legislative di detto Stato membro, la cui compatibilità con il divieto fatto a detto Stato di adottare restrizioni nuove, ai sensi dell’art. 13 della decisione n. 1/80, è appunto posta in dubbio da un giudice nazionale. Una conclusione diversa equivarrebbe semplicemente a privare quest’ultima disposizione di efficace pratica.

73.      Per questi motivi, suggerisco di risolvere la quarta questione presentata dal giudice del rinvio dichiarando che: l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale e l’art. 13 della decisione n. 1/80 devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in un caso come quello di un cittadino turco come il sig. Dereci, a che il primo ingresso di un tale cittadino sia soggetto a norme nazionali più severe di quelle vigenti in precedenza per il suo ingresso, benché queste ultime, che avevano mitigato il regime precedente del primo ingresso, siano entrate in vigore, nello Stato membro di cui trattasi, solo dopo le citate disposizioni relative all’Associazione con la Repubblica di Turchia.

III – Conclusione

74.      Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, propongo alla Corte di risolvere le questioni poste dal Verwaltungsgerichtshof dichiarando che:

«1)      L’art. 20 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non si applica ad un cittadino dell’Unione, che sia il coniuge, il genitore o un figlio minorenne del cittadino di un paese terzo, quando detto cittadino dell’Unione non ha ancora mai goduto del suo diritto di circolare liberamente tra gli Stati membri ed ha sempre soggiornato nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, nei limiti in cui la situazione di detto cittadino dell’Unione non sia parimenti contrassegnata dall’applicazione di misure nazionali, che abbiano l’effetto di privarlo del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti inerenti al suo status di cittadino dell’Unione, o di ostacolare l’esercizio del suo diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri.

2)      L’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970, allegato all’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, e l’art. 13 della decisione 19 settembre 1980, n. 1/80, del Consiglio di Associazione istituito con l’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, relativa allo sviluppo dell’Associazione, devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in un caso come quello di un cittadino turco come il sig. Dereci, a che il primo ingresso di un tale cittadino sia soggetto a norme nazionali più severe di quelle vigenti in precedenza per il suo ingresso, benché queste ultime, che avevano mitigato il regime precedente del primo ingresso, siano entrate in vigore, nello Stato membro di cui trattasi, solo dopo le citate disposizioni relative all’Associazione con la Repubblica di Turchia».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Sentenza 8 marzo 2011 (causa C‑34/09, Racc. pag. I‑1177).


3 – Sentenza 5 maggio 2011 (causa C‑434/09, Racc. pag. I‑3375).


4 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).


5 – GU 1964, n. 217, pag. 3685.


6      Protocollo addizionale e protocollo finanziario, firmati il 23 novembre 1970, allegati all’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, e relativi ai provvedimenti da prendere per la loro entrata in vigore - Atto finale – Dichiarazioni (GU 1972, L 293, pag. 4).


7      GU L 293, pag. 1.


8 – Secondo costante giurisprudenza, le norme del TFUE in materia di libera circolazione delle persone e gli atti adottati in esecuzione di queste ultime non possono essere applicati ad attività le quali non presentino nessun elemento di collegamento con una qualsivoglia situazione prevista dal diritto comunitario ed i cui elementi rilevanti rimangano confinati, nel loro insieme, all’interno di un unico Stato membro (v., segnatamente, sentenze 1° aprile 2008, causa C‑212/06, Gouvernement de la Communauté française e gouvernement wallon, Racc. pag. I‑1683, punto 33; 25 luglio 2008, causa C‑127/08, Metock e a., Racc. pag. I‑6241, punto 77, e McCarthy, cit. supra, punto 45).


9 – Dispositivo della sentenza Ruiz Zambrano, cit. supra (il corsivo è mio). V., anche, il punto 42 di questa sentenza, che si riferisce a sua volta al punto 42 della sentenza 2 marzo 2010, causa C‑135/08, Rottman (Racc. pag. I‑1449), a termini della quale la Corte ha dichiarato che era manifesto che la situazione di un cittadino dell’Unione che, come il sig. Rottman, era posto a confronto con una decisione di revoca della naturalizzazione adottata dalle autorità di uno Stato membro che, dopo che egli aveva perduto la cittadinanza di uno altro Stato membro che possedeva inizialmente, lo poneva in una situazione che poteva comportare la perdita dello status conferito dall’art. 17 CE (divenuto ora art. 20 TFUE) e dei diritti ad esso collegati era soggetta, per la sua natura e i suoi effetti, al diritto dell’Unione.


10 – Sentenza Ruiz Zambrano, cit. (punto 44).


11 – Sentenza cit. supra (punti 46, 47 e 55).


12 – Ibidem (punto 26).


13 – Ibidem (punti 39 e 43).


14 – Sentenza 2 ottobre 2003 (causa C‑148/02, Racc. pag. I‑11613).


15 – Sentenza 14 ottobre 2008 (causa C‑353/06, Racc. pag. I‑7639).


16 – Sentenza McCarthy, cit. (punti 49‑53).


17 – V., a questo riguardo, la riqualificazione della domanda della sig.ra McCarthy ai punti 22 e 23 della sentenza McCarthy, cit..


18 – Ibidem (punto 49).


19 – Ibidem (punto 50). Come ricorda il punto 29 della sentenza McCarthy, il principio di diritto internazionale in questione, riaffermato all’art. 3 del Protocollo n. 4 della CEDU, osta a che uno Stato membro possa espellere i propri cittadini o neghi loro il diritto di fare ingresso nel suo territorio e di soggiornarvi.


20 – Ibidem (punti 55 e 56).


21 – Due punti meritano di essere menzionati. Da una parte, la ragione per la quale la Corte opta per un esame delle situazioni all’origine di queste due cause o alla luce dell’art. 20 TFUE, o a quella dell’art. 21 TFUE non è molto chiara. A questo riguardo, l’art. 20, n. 2, TFUE sembra presentarsi come un’enumerazione dei diritti riconosciuti ai cittadini dell’Unione, le cui modalità sono precisate agli artt. 21 TFUE‑24 TFUE, e, pertanto, con una portata più ampia del diritto di soggiornare e circolare di cui all’art. 21, n. 1, TFUE. Nondimeno, non si riesce a comprendere, tra i diritti di cui all’art. 20, n. 2, lett. a)‑d) TFUE, quale di detti diritti, oltre appunto a quello relativo alla circolazione e al soggiorno dei cittadini dell’Unione sul territorio degli Stati membri, potesse essere in gioco nelle cause Ruiz Zambrano e McCarthy. D’altra parte, l’aggiunta, nella motivazione della sentenza McCarthy, del criterio dell’«ostacolo all’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri», che permette di ricollegare una situazione interna al diritto dell’Unione, parallelamente a quello, sviluppato nella sentenza Ruiz Zambrano, della privazione del godimento effettivo del nucleo dei diritti correlati allo status di cittadino dell’Unione, sembrerebbe infine rendere più flessibile detto criterio, per quanto concerne l’unico vero diritto di cui potrebbero potenzialmente esser privati i figli Ruiz Zambrano. Pertanto, se si dovesse applicare la sentenza McCarthy in una data situazione, a un cittadino dell’Unione che non abbia ancora esercitato il suo diritto alla libera circolazione potrebbe essere applicato al diritto dell’Unione se si fornisse non la prova di una privazione del godimento effettivo del diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, a semplicemente quella dell’esistenza di un ostacolo all’esercizio di una siffatta libertà. La sentenza McCarthy sembrerebbe dunque, sotto questo profilo, mitigare l’onere della prova richiesto nella sentenza Ruiz Zambrano affinché una situazione interna possa rientrare nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.


22 – Ad ogni buon fine, non è applicabile alle situazioni all’origine della cause principali neppure la direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251, pag. 12), la quale, pur riguardando certamente il ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi, è tuttavia applicabile solo alla condizione che questi risiedano legalmente sul territorio degli Stati membri e va a beneficio, come sottolineato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, solo dei familiari di detti cittadini che non possiedono la cittadinanza dell’Unione e li raggiungono su detto territorio.


23 – Nell’udienza dinanzi alla Corte, il rappresentante del sig. Dereci ha sostenuto che quest’ultimo avrebbe un obbligo di sostentamento nei confronti dei suoi figli. Detta circostanza tuttavia non risulta dalle constatazioni di fatto effettuate del giudice del rinvio.


24 – Ossia, rispettivamente, il diritto di voto attivo e passivo al Parlamento europeo nonché alle elezioni municipali nello Stato membro in cui il cittadino dell’Unione risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Sato membro, il diritto di avvalersi, sul territorio di un paese terzo in cui lo Stato membro di cui il cittadino dell’Unione è cittadino non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di ogni Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato e il diritto di rivolgere petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, nonché quello di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue del trattato e di ricevere una risposta in detta lingua.


25 – La seconda frase dell’art. 20, n. 2, TFUE ricorda infatti che i cittadini dell’Unione godono «tra l’altro» dei diritti elencati alle lett. a)‑d) di questa stessa disposizione. Si osserva tuttavia che, in virtù dell’art. 25, secondo comma, TFUE, solo il Consiglio, all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo, sembra disporre della facoltà di emanare disposizioni «volte a completare i diritti elencati» all’art. 20, n. 2, TFUE.


26 – Secondo queste disposizioni, la Carta non allarga l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione oltre le competenze dell’Unione. Essa non crea neppure alcuna competenza o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze o i compiti definiti dai trattati.


27 – V. segnatamente, a tal riguardo, sentenze 11 luglio 2002, causa C‑60/00, Carpenter (Racc. pag. I‑6279, punto 41), e Metock e a., cit. (punto 56), nonché le disposizioni della direttiva 2004/38.


28 – V. sentenza Metock e a., cit. (punti 77‑79).


29 – V. anche, in questo senso, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa definita dalla sentenza McCarthy, cit. (paragrafo 60). A questo riguardo, osservo che, se il diritto austriaco esige che le autorità nazionali contemperino i motivi posti alla base del diniego di rilasciare un permesso di soggiorno ad un cittadino di un paese terzo e la necessità di rispettare la vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 CEDU, dagli elementi forniti dal giudice del rinvio non emerge chiaramente che siffatta valutazione sia stata effettuata per quanto concerne il caso dei sigg. Kokollari e Maduike. Neppure nel caso della famiglia Dereci è certo che le autorità nazionali abbiano verificato che il diniego del permesso di soggiorno motivato, segnatamente, dal mancato rispetto dell’importo fisso, stabilito dalla normativa austriaca, relativo al livello di reddito richiesto per siffatta famiglia, sia proporzionato rispetto all’esigenza della tutela della vita familiare. In ogni caso, come già indicato, spetta al giudice nazionale procedere a detto esame, con il controllo, se del caso, della Corte europea dei diritti dell’Uomo.


30 – V. le implicazioni delle citate sentenze Carpenter e Metock e a., nonché della direttiva 2004/38.


31 – V., in questo senso, sentenza 11 dicembre 2007, causa C‑291/05, Eind (Racc. pag. I‑10719, punti 35‑37).


32 – Altre cause vertenti sull’interpretazione dell’art. 20 TFUE, a seguito della sentenza Ruiz Zambrano, cit., sono attualmente pendenti dinanzi alla Corte: v. causa C‑356/11, O e S, e causa C‑357/11, L, presentate il 7 luglio 2011.


33 – Benché ciò non sia contestato, richiamo alla memoria che l’art. 13 della decisione n. 1/80 e l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale possono essere direttamente invocati dai cittadini turchi dinanzi ai giudici nazionali per escludere l’applicazione di norme di diritto interno contrarie a clausole non equivoche di «standstill», che dette disposizioni del diritto dell’Unione comportano: v., segnatamente, sentenza 21 ottobre 2003, cause riunite C‑317/01 e C‑369/01, Abatay e a. (Racc. pag. I‑12301, punti 58 e 117).


34 – Sentenza 9 dicembre 2010, cause riunite C‑300/09 e C‑301/09 (Racc. pag. I‑12845, punti 54 e 60).


35 – Ibidem (punti 52 e 55).


36 – V., in questo senso, segnatamente, sentenze, 20 settembre 2007, causa C‑16/05, Tum e Dari (Racc. pag. I‑7415, punto 69); 17 settembre 2009, causa C‑242/06, Sahin (Racc. pag. I‑8465, punto 64), e 29 aprile 2010, causa C‑92/07, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑3683, punto 47).


37 – V., in questo senso, sentenze 19 febbraio 2009, causa C‑228/06, Soysal e Savatli (Racc. pag. I‑1031, punto 47), e 21 luglio 2011, causa C‑186/10, Oguz (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26).


38 – Sentenze citate Tum e Dari (punto 55) e Oguz (punto 28).


39 – Sentenze citate Tum e Dari (punto 59) e Oguz (punto 33).


40 – Sentenza 11 maggio 2000 (causa C‑37/98, Racc. pag. I‑2927).


41 – Sentenza citata (punti 59 e 64‑67).


42 – V. sentenza Abatay e a., cit. (punto 86).


43 – V., segnatamente, sentenza Toprak e Oguz, cit. (punto 54).


44 – V. sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit. (punto 49). V. anche, in questo senso, sentenza Toprak e Oguz, cit. (punto 45).