Language of document : ECLI:EU:C:2006:774

Causa C-446/04

Test Claimants in the FII Group Litigation

contro

Commissioners of Inland Revenue

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division)

«Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Direttiva 90/435/CEE — Imposta sulle società — Distribuzione di dividendi — Prevenzione o attenuazione dell’imposizione a catena — Esenzione — Dividendi percepiti da società residenti in un altro Stato membro o in un paese terzo — Credito d’imposta — Pagamento anticipato dell’imposta sulle società — Parità di trattamento — Domanda di restituzione o domanda di risarcimento»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 56 CE)

2.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 56 CE)

3.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria

(Art. 56 CE)

4.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 56 CE)

5.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 56 CE)

6.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Normativa tributaria

(Art. 43 CE)

7.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 56 CE)

8.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni dei movimenti dei capitali diretti a paesi terzi o in provenienza da essi

(Artt. 56 CE e 57, n. 1, CE)

9.        Diritto comunitario — Diritti conferiti ai singoli — Violazione da parte di uno Stato membro — Obbligo di risarcire il danno cagionato ai singoli

10.      Diritto comunitario — Diritti conferiti ai singoli — Violazione da parte di uno Stato membro — Obbligo di risarcire il danno cagionato ai singoli

1.        Gli artt. 43 CE e 56 CE devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro, allorché adotta un sistema per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione nel caso di dividendi versati a residenti da società residenti, deve concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da società non residenti.

(v. punto 72, dispositivo 1)

2.        Gli artt. 43 CE e 56 CE non ostano ad una legislazione di uno Stato membro che esoneri dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente percepisce da un’altra società residente, quando invece essa assoggetti a tale imposta i dividendi che una società residente percepisce da una società non residente e nella quale la società residente detiene almeno il 10% dei diritti di voto, accordando nel contempo, in quest’ultimo caso, un credito d’imposta a titolo dell’imposta effettivamente versata dalla società distributrice nel suo Stato membro di residenza, purché l’aliquota d’imposizione sui dividendi di origine estera non sia superiore all’aliquota d’imposizione applicata ai dividendi di origine nazionale e il credito d’imposta sia perlomeno pari all’importo versato nello Stato membro della società distributrice sino a concorrenza dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria.

Il solo fatto che, in confronto ad un sistema di esenzione, un sistema di imputazione imponga ai contribuenti oneri amministrativi aggiuntivi, in quanto dev’essere provato l’ammontare dell’imposta effettivamente versato nello Stato di residenza della società distributrice, non può essere considerato una differenza di trattamento contraria alla libertà di stabilimento o alla libera circolazione dei capitali, dal momento che gli oneri amministrativi particolari imposti alle società residenti che percepiscono dividendi di origine estera sono intrinseci al funzionamento di un sistema di credito d’imposta.

(v. punti 53, 60, 73, dispositivo 1)

3.        L’art. 56 CE osta ad una normativa di uno Stato membro che esoneri dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente percepisce da un’altra società residente, quando invece essa assoggetti a tale imposta i dividendi che una società residente percepisce da una società non residente nella quale essa detiene meno del 10% dei diritti di voto, senza accordare a quest’ultima un credito d’imposta a titolo dell’imposta effettivamente versata dalla società distributrice nel suo Stato di residenza.

Infatti, una siffatta differenza di trattamento costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, in quanto ha l’effetto di dissuadere le società residenti nello Stato membro interessato dall’investire i loro capitali in società stabilite in un altro Stato membro. Inoltre, essa produce altresì un effetto restrittivo per le società stabilite in altri Stati membri, in quanto costituisce nei loro confronti un ostacolo alla raccolta dei capitali nello Stato membro interessato.

A prescindere dal fatto che uno Stato membro dispone, in ogni caso, di diversi sistemi possibili al fine di prevenire o di attenuare l’imposizione a catena degli utili distribuiti, eventuali difficoltà di determinazione dell’imposta effettivamente versata in un altro Stato membro non possono giustificare un ostacolo alla libera circolazione dei capitali come quello derivante dalla detta normativa.

(v. punti 64-65, 70, 74, dispositivo 1)

4.        Gli artt. 43 CE e 56 CE ostano a una normativa di uno Stato membro che consenta ad una società residente che percepisce dividendi da un’altra società residente di detrarre dall’ammontare da essa dovuto quale anticipazione dell’imposta sulle società l’ammontare di tale imposta pagato anticipatamente dalla seconda società laddove, nel caso di una società residente che percepisce dividendi da una società non residente, una tale detrazione non sia consentita relativamente all’imposta sugli utili distribuiti versata da quest’ultima società nel suo Stato di residenza.

Tale metodo conduce, in pratica, a trattare in modo meno favorevole una società che percepisce dividendi di origine estera rispetto ad una società che percepisce dividendi di origine nazionale. All’atto di un’ulteriore distribuzione di dividendi, la prima è assoggettata all’obbligo di versare integralmente l’anticipo dell’imposta sulle società, mentre la seconda lo deve versare soltanto limitatamente all’importo distribuito ai propri azionisti che superi quello di cui essa stessa ha beneficiato.

Orbene, il fatto di non dover pagare l’imposta sulle società anticipatamente costituisce un vantaggio in termini di liquidità, dal momento che la società interessata può conservare gli importi che essa altrimenti avrebbe dovuto versare come anticipo d’imposta sino al momento in cui l’imposta sulle società divenga esigibile.

Una disparità di trattamento siffatta non può essere giustificata dalla necessità di salvaguardare la coerenza del sistema tributario vigente nello Stato membro interessato in ragione di un nesso diretto esistente tra l’agevolazione fiscale concessa, vale a dire il credito d’imposta accordato ad una società residente che percepisce dividendi da un’altra società residente, e il debito fiscale che lo compensa, vale a dire l’anticipo dell’imposta sulle società versato da quest’ultima in occasione di tale distribuzione. Infatti, la necessità di un siffatto nesso diretto dovrebbe condurre precisamente a concedere la stessa agevolazione fiscale alle società che percepiscono dividendi da società non residenti, dal momento che queste ultime devono altresì pagare, nello Stato in cui hanno sede, l’imposta sulle società gravante sugli utili distribuiti.

(v. punti 84, 86, 93, 112, dispositivo 2)

5.        Gli artt. 43 CE e 56 CE non ostano a una normativa di uno Stato membro, la quale preveda che ogni sgravio di cui una società residente che ha percepito dividendi di origine estera, benefici in relazione all’imposta versata all’estero riduca l’ammontare dell’imposta sulle società con cui essa possa compensare l’imposta sulle società pagata anticipatamente, all’atto di una successiva distribuzione di dividendi ai propri azionisti.

Infatti, il fatto che una società che percepisce dividendi di origine estera, la quale beneficia di uno sgravio in relazione all’imposta estera, veda ridotto l’ammontare di imposta sulle società con il quale può essere compensato l’anticipo dell’imposta sulle società in eccedenza condurrebbe ad una discriminazione tra una siffatta società e una società che percepisce dividendi di origine nazionale soltanto qualora questa prima società non disponesse, in realtà, degli stessi mezzi di questa seconda società per compensare l’anticipo dell’imposta sulle società in eccedenza con l’importo dovuto come imposta sulle società.

(v. punti 120, 125, 138, dispositivo 3)

6.        L’art. 43 CE osta ad una normativa di uno Stato membro che consenta ad una società residente di trasferire a controllate residenti l’ammontare dell’imposta sulle società, pagato anticipatamente, che non possa essere compensato con l’imposta sulle società dovuta da questa prima società a titolo dello specifico esercizio contabile o di esercizi contabili anteriori o successivi, affinché tali controllate possano compensarlo con l’imposta sulle società da esse dovuta, ma che non consenta a una società residente di trasferire un siffatto ammontare a controllate non residenti, nel caso in cui queste ultime siano assoggettate in questo Stato membro all’imposta sugli utili da esse ivi realizzati.

(v. punto 139, dispositivo 3)

7.        Gli artt. 43 CE e 56 CE sono incompatibili con la normativa di uno Stato membro che esoneri dal pagamento anticipato dell’imposta sulle società le società residenti che distribuiscono ai loro azionisti dividendi provenienti da dividendi di origine nazionale da esse percepiti, laddove essa concede alle società residenti, che distribuiscono ai loro azionisti dividendi provenienti da dividendi di origine estera dalle stesse percepiti, la facoltà di optare per un regime che permette loro di recuperare l’imposta sulle società pagata anticipatamente, ma, da un lato, obbliga tali società a versare la detta imposta anticipata e a chiederne il rimborso in un momento successivo e, dall’altro, non prevede un credito d’imposta per i loro azionisti, mentre questi ultimi ne avrebbero ricevuto uno nel caso di una distribuzione effettuata da una società residente sulla base di dividendi di origine nazionale.

Infatti, se è pur vero che uno Stato membro deve disporre di un certo periodo di tempo per poter tener conto, nella determinazione dell’ammontare infine dovuto a titolo di imposta sulle società, di tutte le imposte che hanno già colpito gli utili distribuiti, ciò non può giustificare una normativa che non permetta in alcun modo ad una società residente, beneficiaria di una distribuzione di dividendi di origine estera, di detrarre dall’importo dovuto a titolo di pagamento anticipato dell’imposta sulle società l’imposta che colpisce gli utili distribuiti all’estero, mentre, per dividendi di origine nazionale, il detto importo è d’ufficio detratto dall’imposta pagata, anche se anticipatamente, dalla società distributrice residente.

Quanto alla circostanza che la detta normativa non prevede un credito d’imposta per gli azionisti delle società residenti che distribuiscano dividendi provenienti da dividendi di origine estera, il rischio di doppia imposizione sussiste non soltanto nel caso di dividendi provenienti da una società residente assoggettata all’obbligo di versare anticipatamente l’imposta sulle società gravante sulle sue distribuzioni di dividendi, ma altresì nel caso di dividendi versati da una società non residente, i cui utili siano altresì assoggettati, nel suo Stato di residenza, all’imposta sulle società, secondo le aliquote e le disposizioni ivi applicabili.

(v. punti 156, 158-159, 172-173, dispositivo 4)

8.        L’art. 57, n. 1, CE dev’essere interpretato nel senso che, qualora, precedentemente al 31 dicembre 1993, uno Stato membro abbia adottato una normativa che contenga restrizioni per i movimenti di capitale diretti a paesi terzi o in provenienza da essi, vietate dall’art. 56 CE, e, dopo tale data, adotti provvedimenti che costituiscano anch’essi una restrizione per i detti movimenti e siano sostanzialmente identici alla normativa precedente, o si limitino a ridurre o a sopprimere un ostacolo all’esercizio dei diritti e delle libertà comunitarie figurante nella normativa precedente, l’art. 56 CE non osta all’applicazione ai paesi terzi di questi ultimi provvedimenti quando essi si applichino a movimenti di capitali riguardanti investimenti diretti, compresi gli investimenti immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di titoli sul mercato dei capitali. Al riguardo non possono essere considerate investimenti diretti le partecipazioni in una società che non siano acquisite al fine di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti tra l’azionista e tale società e non consentano all’azionista di partecipare effettivamente alla gestione o al controllo di questa società.

(v. punto 196, dispositivo 5)

9.        In mancanza di normativa comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e disciplinare le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali volti a garantire la salvaguardia dei diritti conferiti alle persone dall’ordinamento comunitario, compresa la qualificazione delle azioni promosse dalle persone lese dinanzi ai giudici nazionali. Questi ultimi devono garantire che le persone dispongano di uno strumento di ricorso effettivo, che consenta loro di ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa e degli importi, pagati a tale Stato membro o trattenuti da quest’ultimo, che siano in relazione diretta con tale imposta.

Con riferimento ad altri danni che una persona possa aver subito a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile a uno Stato membro, quest’ultimo è tenuto a risarcire i danni causati alle persone alle condizioni enunciate nella giurisprudenza della Corte, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti alle persone, che si tratti di violazione sufficientemente qualificata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi, senza che ciò escluda che, in base al diritto nazionale, la responsabilità dello Stato possa essere invocata a condizioni meno restrittive.

Fatto salvo il diritto al risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario, qualora siano soddisfatte le dette condizioni enunciate nella giurisprudenza, lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato applicando le norme del diritto nazionale relative alla responsabilità, fermo restando che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano azioni analoghe di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.

(v. punti 209, 219-220, dispositivo 6)

10.      Per determinare se sussista una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario, suscettibile di far sorgere una responsabilità in capo a uno Stato membro per danni causati alle persone, si devono considerare tutti gli elementi che contraddistinguono la situazione sottoposta al giudice nazionale. Fra tali elementi compaiono, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario.

In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente qualificata quando si è protratta nonostante la pronuncia di una sentenza che abbia accertato l’inadempimento contestato, di una sentenza pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulti l’illegalità del comportamento in questione.

In un settore quale quello delle imposte dirette, il giudice nazionale deve valutare gli elementi citati, in particolare il grado di chiarezza e di precisione delle disposizioni violate nonché il carattere scusabile o inescusabile di eventuali errori di diritto, in considerazione del fatto che le conseguenze derivanti dalle libertà di circolazione garantite dal Trattato vengono rivelate soltanto progressivamente, in particolare, attraverso i principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte.

(v. punti 204, 213-215, 217)