CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
ELEANOR SHARPSTON
presentate il 30 settembre 2010 1(1)
Causa C‑34/09
Gerardo Ruiz Zambrano
contro
Office national de l’emploi (ONEM)
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal du travail di Bruxelles (Belgio)]
«Artt. 18, 20 e 21 TFUE – Diritti fondamentali come principi generali del diritto dell’Unione europea – Art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Cittadinanza europea – Indennità di disoccupazione – Minore avente la cittadinanza di uno Stato membro – Diritto di soggiorno dei genitori cittadini di uno Stato terzo – Effetti di ostacolo di misure nazionali – Discriminazione alla rovescia – Rapporto tra la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia dell’Unione europea – Livelli di tutela dei diritti fondamentali»
1. Il presente rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunal du travail [Tribunale del lavoro] di Bruxelles verte sulla portata del diritto di soggiorno per i cittadini di uno Stato terzo genitori di un minore in tenera età cittadino dell’Unione che non ha ancora lasciato lo Stato membro in cui è nato.
2. Per risolvere le questioni proposte dal giudice nazionale la Corte deve compiere una serie di scelte difficili e importanti. Che cosa implica esattamente la cittadinanza dell’Unione? Le circostanze all’origine della causa nazionale costituiscono una situazione «puramente interna» allo Stato membro interessato, nella quale il diritto dell’Unione europea (in prosieguo: «il diritto dell’Unione») non ha alcun ruolo da svolgere? Oppure il pieno riconoscimento dei diritti (compresi i futuri diritti) che necessariamente derivano dalla cittadinanza dell’Unione significa che un minore in tenera età cittadino dell’Unione ha il diritto, basato sul diritto dell’Unione anziché sul diritto nazionale, di soggiornare ovunque nel territorio dell’Unione (compreso lo Stato membro di cui è cittadino)? In questo caso, garantire al minore la possibilità di esercitare effettivamente tale diritto può comportare la concessione della residenza al genitore, cittadino di uno Stato terzo, nel caso in cui altrimenti vi sarebbe una violazione sostanziale di diritti fondamentali.
3. Da un punto di vista più concettuale, l’esercizio di diritti come cittadino dell’Unione dipende – così come l’esercizio delle classiche «libertà» economiche – dal fatto che, prima della presentazione della domanda, vi sia stata una qualsiasi libera circolazione transfrontaliera (anche se occasionale, marginale o remota)? Oppure la cittadinanza dell’Unione guarda al futuro anziché al passato per definire i diritti e gli obblighi che da essa derivano? Ponendo la stessa domanda da una prospettiva leggermente diversa: la cittadinanza dell’Unione è solo la versione non economica della stessa categoria generica di diritti di libera di circolazione così come a lungo esistita per i soggetti economicamente attivi e per le persone che dispongono di risorse proprie? Oppure significa qualcosa di più estremo, ossia una cittadinanza vera e propria, dalla quale deriva una serie uniforme di diritti ed obblighi, all’interno di un’Unione di diritto (2) nella quale il rispetto dei diritti fondamentali deve necessariamente svolgere un ruolo essenziale?
Contesto normativo
Il diritto dell’UE rilevante
4. L’art. 6 TUE (in precedenza art. 6 UE) così recita:
«1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
2. L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati.
3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali».
5. Ai sensi dell’art. 18 TFUE (in precedenza art. 12 CE):
«Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.
(…)».
6. L’art. 20 TFUE (in precedenza art. 17 CE) dispone quanto segue:
«1. È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.
2. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati.
(…)».
7. L’art. 21 TFUE (in precedenza art. 18 CE) così recita:
«1. Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi.
(…)».
8. Gli artt. 7, 21 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (3) dispongono quanto segue:
«Articolo 7
Rispetto della vita privata e della vita familiare
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni.
(…)
Articolo 21
Non discriminazione
1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.
2. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità.
(…)
Articolo 24
Diritti del minore
1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.
2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.
3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse».
Disposizioni internazionali rilevanti
9. L’art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (4) così recita:
«1. Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione.
2. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze od offese».
10. L’art. 9.1 della Convenzione sui diritti del fanciullo (5) dispone quanto segue:
«1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo, oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo».
11. L’art. 8 della Convenzione europea sui diritti dell’Uomo (in prosieguo: la «CEDU») e l’art. 3 del Protocollo n. 4 alla Convenzione stessa così recitano (6):
«Articolo 8
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
(…)
Articolo 3 del Protocollo n. 4
«1. Nessuno può essere espulso, a seguito di una misura individuale o collettiva, dal territorio dello Stato di cui è cittadino.
2. Nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino».
Normativa nazionale rilevante
Il regio decreto 25 novembre 1991
12. L’art. 30 del regio decreto 25 novembre 1991, recante norme in tema di disoccupazione, dispone quanto segue:
«Ha diritto all’indennità di disoccupazione il lavoratore a tempo pieno che abbia completato un periodo di stage comprendente i seguenti numeri di giornate di lavoro:
1. (…)
2. 468 nei 27 mesi precedenti la domanda, per i lavoratori con più di 36 anni e meno di 50,
(…)».
13. L’art. 43, n. 1, del regio decreto così recita:
«Fatte salve le disposizioni precedenti, il lavoratore straniero o apolide ha diritto all’indennità di disoccupazione se risponde ai requisiti posti dalla normativa in tema di stranieri e occupazione della manodopera straniera.
Il lavoro svolto in Belgio viene preso in considerazione solo se risponde ai requisiti posti dalla normativa in tema di occupazione della manodopera straniera».
14. Ai sensi delle disposizioni rilevanti della normativa belga (art. 40 della Legge 15 dicembre 1980 e art. 2 del regio decreto 9 giugno 1990), sono assimilati allo straniero CE, a prescindere dalla loro cittadinanza, il coniuge e i figli o i figli del coniuge che sono a loro carico, sempre che vengano a stabilirsi con lui.
15. Gli ascendenti a carico di un cittadino belga o di uno straniero CE, a prescindere dalla loro cittadinanza, non hanno bisogno di permesso di soggiorno [in forza, rispettivamente, dell’art. 2, n. 2, 2° comma, lett. b), del regio decreto che attua la Legge 30 aprile 1999, relativa alla manodopera straniera e dell’art. 40, n. 4, iii), della Legge 15 dicembre 1980].
Il Code de la nationalité (Codice della cittadinanza) belga
16. Ai sensi dell’art. 10, n. 1 del Code de la nationalité, nella versione applicabile all’epoca dei fatti:
«[è] belga il figlio nato in Belgio e che, in un qualsiasi momento antecedente al compimento del diciottesimo anno di età o dell’emancipazione anteriore a tale età, sarebbe apolide se non possedesse tale cittadinanza».
17. In seguito, la Legge 27 dicembre 2006 ha escluso l’acquisizione della cittadinanza belga per un minore nato in Belgio da cittadini non belgi «nel caso in cui possa ottenere, attraverso il suo o i suoi rappresentanti legali, una cittadinanza diversa espletando una procedura amministrativa opportuna presso le autorità diplomatiche o consolari del paese del suo o dei suoi danti causa».
Fatti e causa principale
18. Il sig. Ruiz Zambrano e sua moglie, la sig.ra Moreno López, entrambi cittadini colombiani, sono arrivati in Belgio, assieme al loro primo figlio, il 7 aprile 1999, in possesso di un visto rilasciato dall’ambasciata belga a Bogotà.
19. Una settimana dopo il loro arrivo, il sig. Ruiz Zambrano ha chiesto asilo in Belgio, motivando la sua domanda con la necessità di lasciare la Colombia dopo essere stato esposto, a partire dal 1997, a continui soprusi (accompagnati da minacce di morte) perpetrati da parte di milizie private, riferendo di violenze esercitate su suo fratello e di aver subito il sequestro di suo figlio di tre anni per una settimana durante il mese di gennaio 1999.
20. L’11 settembre 2000 il Commissariat général aux réfugiés et aux apatrides (Commissariato generale per i rifugiati e gli apolidi) ha respinto la richiesta di asilo del sig. Ruiz Zambrano e gli ha intimato di lasciare il Belgio. Esso ha tuttavia allegato una clausola di non rimpatrio, dichiarando che il sig. Ruiz Zambrano e la sua famiglia non potevano essere rimandati in Colombia a causa della situazione critica vigente in tale paese.
21. Malgrado l’intimazione, il sig. Ruiz Zambrano ha richiesto un permesso di soggiorno all’Office des Etrangers (Ufficio per gli stranieri) il 20 ottobre 2000, presentando in seguito altre due domande (7). Tutte e tre le domande sono state respinte. Il sig. Ruiz Zambrano ha chiesto l’annullamento di tali decisioni e al contempo la sospensione del provvedimento di intimazione a lasciare il Belgio. Nel momento in cui è stata proposta la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, era ancora pendente un ricorso di annullamento dinanzi al Conseil d’État.
22. Sin dal 18 aprile 2001 il sig. Ruiz Zambrano e sua moglie erano stati registrati presso il comune di Schaerbeek.
23. Nell’ottobre 2001 il sig. Ruiz Zambrano era stato assunto a tempo pieno da una società belga, la Plastoria S.A. (in prosieguo: la «Plastoria»), presso il suo stabilimento di Bruxelles, per svolgere lavori di officina in base a un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Le prestazioni sono state regolarmente dichiarate all’Office national de la Sécurité sociale (Ufficio nazionale per la previdenza sociale). La sua retribuzione è stata assoggettata alle abituali trattenute obbligatorie dei contributi previdenziali e, conseguentemente, il suo datore di lavoro era tenuto ai corrispondenti versamenti contributivi (che in effetti ha pagato). L’ordinanza di rinvio non indica esplicitamente se (come spesso avviene) i suoi introiti fossero assoggettati anche alla deduzione dell’imposta sul reddito alla fonte.
24. Quando è stato assunto dalla Plastoria, il sig. Ruiz Zambrano non era in possesso di un permesso di lavoro e non ne aveva ottenuto uno nel corso dei cinque anni durante i quali ha lavorato per tale società.
25. Nel frattempo, sua moglie aveva dato alla luce un secondo figlio, Diego, il 1° settembre 2003, e una figlia, Jessica, il 26 agosto 2005. Ai sensi dell’art. 10 del Code de la Nationalité Belge, entrambi hanno acquisito la cittadinanza belga (8). All’udienza il legale del sig. Ruiz Zambrano ha comunicato alla Corte che sia Diego sia Jessica sono attualmente iscritti a scuola nel comune di Schaerbeek.
26. La nascita di Diego e Jessica è stata all’origine, rispettivamente, della seconda e terza domanda presentata presso l’Ufficio degli stranieri (9). In entrambe le domande il sig. Ruiz Zambrano ha sostenuto che la nascita di un figlio cittadino belga gli attribuiva il diritto di ottenere un permesso di soggiorno, sulla base della Legge 15 dicembre 1980 e dell’art. 3 del Protocollo n. 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
27. A seguito della terza domanda, le autorità belghe hanno rilasciato al sig. Ruiz Zambrano un’attestazione di registrazione del soggiorno che ne regolarizzava la permanenza in Belgio dal 13 settembre 2005 al 13 febbraio 2006. Dopo il ricorso presentato contro le varie decisioni che gli negavano il permesso di lavoro, il soggiorno del sig. Ruiz Zambrano in Belgio è stato coperto da un’autorizzazione speciale in attesa della decisione finale su tali procedimenti.
28. Il 10 ottobre 2005 il contratto del sig. Ruiz Zambrano è stato temporaneamente sospeso. Egli ha subito presentato domanda presso l’Office national de l’emploi (Ufficio nazionale del lavoro) per un’indennità temporanea di disoccupazione. La domanda è stata infine respinta a causa del fatto che egli non aveva un permesso di lavoro (perché il suo soggiorno in Belgio era irregolare). Contro tale diniego egli ha presentato un primo ricorso (in prosieguo: la «prima domanda») dinanzi al Tribunal du travail (Tribunale del lavoro), ma poco dopo è stato riassunto dalla Plastoria a tempo pieno.
29. Tuttavia, a seguito del suddetto primo ricorso, le autorità del lavoro belghe avevano effettuato indagini per verificare le condizioni di assunzione del sig. Ruiz Zambrano. L’11 ottobre 2006 un controllore ufficiale ha ispezionato la sede della Plastoria, riscontrando la presenza al lavoro del sig. Zambrano e rilevando che quest’ultimo era sprovvisto del permesso di lavoro. Il controllore ne ha ordinato la sospensione immediata dal lavoro. La Plastoria ha debitamente rescisso il contratto di lavoro del sig. Ruiz Zambrano, senza indennità, invocando una causa di forza maggiore, e fornendogli il documento ufficiale (il «modulo C 4») che attestava il pagamento dei contributi previdenziali e dell’assicurazione contro la disoccupazione, per l’intera durata del suo impiego, dall’ottobre 2001 all’ottobre 2006.
30. Le autorità del lavoro belghe hanno deciso di non promuovere alcuna azione penale nei confronti della Plastoria, dichiarando che, a parte il fatto che la società aveva assunto il sig. Ruiz Zambrano senza permesso di lavoro, non erano state riscontrate altre violazioni dei requisiti relativi ad obblighi previdenziali, deposito dei regolari documenti sociali, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, o obblighi in tema di retribuzione.
31. Ritrovandosi disoccupato, il sig. Ruiz Zambrano ha nuovamente adito l’Office national de l’emploi, stavolta per un’indennità di disoccupazione completa, e nuovamente gli è stato negato il versamento dell’indennità. Contro tale decisione il sig. Ruiz Zambrano ha promosso un altro ricorso dinanzi al Tribunal du travail di Bruxelles (in prosieguo: la «seconda domanda»). La prima e la seconda domanda sono oggetto della causa principale promossa dinanzi al giudice del rinvio.
32. Nelle sue osservazioni scritte, il governo belga sostiene che, a seguito di misure governative volte a regolarizzare specifiche situazioni di soggetti irregolarmente residenti nel paese, il 30 aprile 2009 è stato accordato al sig. Ruiz Zambrano un permesso di soggiorno provvisorio e rinnovabile, nonché un permesso di lavoro (tipo C), privo di effetti retroattivi; inoltre, il rapporto di lavoro svolto presso la Plastoria dal sig. Ruiz Zambrano dal 2001 al 2006 viene tuttora considerato come non coperto da un permesso di lavoro.
Le questioni pregiudiziali
33. Nelle cause promosse contro le due decisioni con cui l’Office national de l’emploi ha respinto le domande del sig. Ruiz Zambrano per un’indennità di disoccupazione temporanea e completa, il Tribunal du travail (Tribunale del lavoro) di Bruxelles ha proposto le seguenti domande di pronuncia pregiudiziale:
«1) Se uno o più tra gli artt. 12 [CE], 17 [CE] e 18 [CE], letti separatamente o in combinato disposto tra loro, conferiscano al cittadino dell’Unione un diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro di cui ha la cittadinanza, a prescindere dalla circostanza che egli abbia precedentemente esercitato il diritto di circolare nel territorio degli Stati membri.
2) Se gli artt. 12 [CE], 17 [CE] e 18 [CE], in combinato disposto con gli artt. 21, 24 e 34 della Carta dei diritti fondamentali, debbano essere interpretati nel senso che il diritto da essi conferito a ogni cittadino dell’Unione, senza discriminazione in base alla nazionalità, di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, implica, quando tale cittadino sia un minore in tenera età a carico di un ascendente cittadino di un paese terzo, che il godimento del diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro in cui risiede e di cui ha la cittadinanza debba essere garantito a detto minore a prescindere dal previo esercizio da parte sua o tramite il suo rappresentante legale del diritto di circolazione, riconoscendo a tale diritto di soggiorno l’effetto utile di cui la giurisprudenza comunitaria (sentenza 19 ottobre 2004, causa C‑200/02, Zhu e Chen) ha ammesso la necessità, attribuendo, all’ascendente cittadino di un paese terzo, che abbia a carico tale minore e disponga di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia, il diritto di soggiorno derivato di cui questo stesso cittadino di un paese terzo godrebbe qualora il minore a suo carico fosse un cittadino dell’Unione non avente la cittadinanza dello Stato membro in cui risiede.
3) Se gli artt. 12 [CE], 17 [CE] e 18 [CE], in combinato disposto con gli artt. 21, 24 e 34 della Carta dei diritti fondamentali, debbano essere interpretati nel senso che il diritto di soggiorno di un minore, cittadino di uno Stato membro e residente nel territorio di questo, deve comportare una dispensa dal permesso di lavoro a favore dell’ascendente, cittadino di un paese terzo, che ha detto minore a carico e che – ad eccezione del requisito del permesso di lavoro imposto dalla legge nazionale dello Stato membro in cui risiede – soddisfa, attraverso l’esercizio di un lavoro subordinato che lo assoggetta al sistema di sicurezza sociale di tale Stato, la condizione delle risorse sufficienti e del possesso di un’assicurazione malattia cui è subordinato l’effetto utile che la giurisprudenza comunitaria (sentenza 19 ottobre 2004, causa C‑200/02, Zhu e Chen) ha riconosciuto a vantaggio di un minore, cittadino europeo avente una cittadinanza diversa da quella dello Stato membro nel quale soggiorna a carico di un ascendente, cittadino di un paese terzo».
34. Osservazioni scritte sono state presentate dal sig. Ruiz Zambrano, dai governi di, Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Austria e Polonia nonché dalla Commissione.
35. Il legale del sig. Ruiz Zambrano e gli agenti dei governi di Belgio, Danimarca, Grecia, Francia, Irlanda e Paesi Bassi, nonché della Commissione sono intervenuti all’udienza del 26 gennaio 2010 per svolgere osservazioni orali.
Questioni preliminari
36. Nessuna delle parti coinvolte nel presente rinvio pregiudiziale ne ha messo specificamente in discussione la ricevibilità. Vi sono però due questioni che debbo brevemente analizzare.
37. La prima è se le domande pregiudiziali proposte siano veramente rilevanti per la causa pendente dinanzi al giudice nazionale.
38. Dagli elementi contenuti nell’ordinanza di rinvio risulta evidente che il sig. Ruiz Zambrano ha soddisfatto i requisiti sostanziali necessari per poter richiedere l’indennità di disoccupazione (avendo lavorato per almeno 468 giorni durante i 27 mesi precedenti la domanda, come imposto dall’art. 30 del regio decreto 25 novembre 1991, e avendo versato i dovuti contributi previdenziali). La sua domanda si scontra con due ostacoli connessi. In primo luogo, la legge nazionale dispone (10) che solo il lavoro conforme alla normativa in materia di stranieri e manodopera straniera può essere preso in considerazione. Applicare tale requisito significherebbe non tener conto del lavoro a tempo pieno che il sig. Ruiz Zambrano ha svolto presso la Plastoria dal 1° ottobre 2001 al 12 ottobre 2006, dal momento che mai durante tale periodo egli è stato in possesso di un permesso di lavoro; inoltre, il ricorrente era in possesso solo di un certificato di registrazione del soggiorno dal 13 settembre 2005 in poi (11). In secondo luogo, la legge nazionale stabilisce che per percepire prestazioni un lavoratore straniero deve soddisfare le condizioni stabilite dalla normativa sugli stranieri (12).
39. Nel complesso, però, la domanda proposta dal sig. Ruiz Zambrano dinanzi al giudice nazionale ha ad oggetto la questione se, in quanto cittadino di un paese terzo genitore di un minore in possesso della cittadinanza belga, a) la sua posizione possa essere assimilata a quella di un cittadino dell’Unione, o b) se egli goda di un diritto derivato di soggiorno conseguente al fatto che, al pari dei cittadini belgi, i suoi figli sono cittadini dell’Unione. Tanto nella prima quanto nella seconda ipotesi verrebbe attribuito il necessario diritto sostanziale di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione (13); inoltre, l’ipotesi di cui sub a) di per sé escluderebbe l’obbligo per il ricorrente di avere un permesso di lavoro; e l’ipotesi sub b) gli permetterebbe forse di beneficiare, per inevitabile analogia, dell’esenzione dal requisito del permesso di lavoro concessa, in forza dell’art. 2, n. 2, secondo comma, lett. b), della legge 30 aprile 1999, agli ascendenti a carico di un cittadino belga. In caso contrario (come viene sostenuto), vi sarebbe una discriminazione alla rovescia nei confronti dei cittadini belgi che non abbiano esercitato i diritti alla libera circolazione in base al diritto dell’Unione, poiché non potrebbero beneficiare delle disposizioni in tema di ricongiungimento familiare (14) che permettono tanto ad un cittadino dell’Unione trasferitosi in Belgio da un altro Stato membro, quanto ad un belga che abbia in precedenza usufruito della libera circolazione, di essere raggiunti da un ascendente non a carico che sia cittadino di un paese terzo.
40. Anche se l’oggetto principale del ricorso proposto dinanzi al giudice nazionale verte su una domanda di indennità di disoccupazione in forza della normativa previdenziale e di lavoro e non su una domanda di diritto amministrativo per un permesso di soggiorno, è dunque evidente che il giudice nazionale non può pronunciarsi sulla causa dinanzi a lui pendente senza sapere a) se il sig. Ruiz Zambrano possa invocare diritti derivati ai sensi del diritto dell’Unione in virtù del fatto che, in quanto cittadini belgi, i suoi figli sono anche cittadini dell’Unione e b) di quali diritti godrebbe un belga che, come cittadino dell’Unione, si sia trasferito in un altro Stato membro per poi tornare in Belgio (al fine di valutare l’argomento relativo alla discriminazione alla rovescia e applicare qualunque norma di diritto nazionale rilevante). Inoltre, il giudice nazionale ha spiegato dettagliatamente che il diritto nazionale (15) rinvia al diritto UE per la definizione di chi sia considerato «familiare» di un cittadino dell’Unione, spiegando che il punto è rilevante per la soluzione della causa dinanzi ad esso pendente (16).
41. La seconda questione deriva dal fatto che il legale del sig. Ruiz Zambrano ha comunicato alla Corte che in Belgio tanto il Conseil d’État [Consiglio di Stato] quanto la Cour Constitutionnelle [Corte costituzionale] si sono recentemente pronunciati in circostanze analoghe affermando l’esistenza di una violazione del principio costituzionale di uguaglianza a causa della discriminazione alla rovescia determinata dal diritto dell’Unione (17). Si potrebbe forse pensare che, di conseguenza, il presente rinvio pregiudiziale sia divenuto superfluo. In altri termini: il giudice nazionale ha ancora bisogno di una soluzione alle domande pregiudiziali da lui proposte relative al diritto dell’Unione ora che dispone di queste indicazioni ai sensi del diritto nazionale provenienti dalle sue stesse giurisdizioni supreme?
42. A mio parere sì.
43. Prima di poter applicare la giurisprudenza elaborata dal Conseil d’État e dalla Cour Constitutionnelle, il Tribunal du travail dovrebbe accertare se dall’interazione tra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale sia effettivamente derivata una situazione di discriminazione alla rovescia. A tal fine egli ha bisogno di indicazioni dalla Corte riguardo alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione. La Corte ha in passato trattato rinvii pregiudiziali finalizzati proprio a tale scopo: facilitare il giudice del rinvio nel suo compito di raffrontare la posizione ai sensi del diritto dell’Unione con la posizione ai sensi del diritto nazionale (18). In numerose cause essa ha ammesso di doversi pronunciare quando «l’interpretazione di disposizioni di diritto comunitario [ora UE] può eventualmente risultare utile al giudice nazionale (…) in particolare nell’ipotesi in cui il diritto dello Stato membro interessato imponga di far beneficiare ogni cittadino dello Stato medesimo degli stessi diritti di cui godrebbe, in base al diritto comunitario [ora UE], un cittadino di un altro Stato membro in una situazione ritenuta dallo stesso giudice comparabile» (19). In effetti, l’agente del governo belga ha ammesso nelle sue osservazioni orali che il giudice nazionale avrebbe bisogno di una risposta della Corte di giustizia per valutare se vi sia stata una discriminazione alla rovescia determinata dal diritto dell’Unione.
44. Da ciò deriva che la Corte dovrebbe rispondere alle questioni pregiudiziali proposte.
Riorganizzazione dei problemi da risolvere
45. I problemi posti dal giudice nazionale vertono su tre profili argomentativi. Forse non emergono del tutto chiaramente dal modo in cui sono state formulate le questioni pregiudiziali, ma possono essere dedotti dall’analisi più dettagliata esposta nell’ordinanza di rinvio.
46. Il principale problema del giudice del rinvio è se sia necessaria una circolazione per applicare le disposizioni del Trattato in tema di cittadinanza dell’Unione. Il giudice del rinvio sa bene che gli artt. 20 e 21 TFUE sono diversi, concettualmente, rispetto alla libera circolazione dei lavoratori ex art. 45 TFUE, alla libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE o, in realtà, rispetto a tutte le libertà «economiche» sancite dagli artt. 34 TFUE e segg. Ma quanto diverse sono le disposizioni in tema di cittadinanza?
47. Il giudice nazionale si interroga poi sul ruolo svolto dai diritti fondamentali (in particolare il diritto fondamentale alla vita familiare, come sancito dalla Corte nelle sentenze Carpenter (20), MRAX (21) e Zhu e Chen (22)) nel determinare la portata dell’applicazione degli artt. 20 e 21 TFUE.
48. Infine, il giudice nazionale chiede quale sia la funzione dell’art. 18 TFUE nel tutelare gli individui contro discriminazioni alla rovescia determinate dal diritto UE attraverso le disposizioni in materia di cittadinanza dell’Unione.
49. Per amor di chiarezza, e per dare una risposta utile al giudice del rinvio, affronterò i tre problemi nel modo che mi accingo ad illustrare.
50. In primo luogo chiarirò se Diego e Jessica possano invocare i diritti derivanti dagli artt. 20 e 21 TFUE in quanto cittadini dell’Unione, malgrado il fatto che (fino ad ora) non si siano mossi dallo Stato membro di cui sono cittadini; e se il sig. Ruiz Zambrano possa pertanto invocare un diritto derivato di soggiorno al fine di essere presente in Belgio per prendersi cura e sostenere i suoi bambini (in prosieguo: la «questione n. 1»). La soluzione di tale questione mi porta a dover considerare se – come è stato fermamente sostenuto – si tratti di una situazione «puramente interna» o se in realtà vi sia un nesso sufficiente con il diritto dell’Unione per poter invocare i diritti di cittadinanza. Si pone inoltre il problema se l’art. 21 TFUE comprenda due diritti indipendenti – un diritto di circolazione e un autonomo diritto di soggiorno – o se conferisca semplicemente un diritto di circolazione (e quindi di soggiorno).
51. In secondo luogo mi occuperò del problema della discriminazione alla rovescia, ripetutamente sollevato dal giudice nazionale. Esaminerò quindi a fondo la portata dell’art. 18 TFUE chiedendomi se possa essere applicato per risolvere questioni di discriminazione alla rovescia determinate da disposizioni del diritto dell’Unione in tema di cittadinanza dell’Unione (in prosieguo: la «questione n. 2»). Pur essendo stata affrontata in anni recenti (23), la questione è tuttora irrisolta.
52. Infine, mi occuperò del problema dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «questione n. 3»). Nell’ordinanza di rinvio il giudice nazionale ha spiegato molto chiaramente di volere indicazioni sul punto se il diritto fondamentale alla vita familiare svolga un ruolo nel caso di specie, in cui né i cittadini dell’Unione né i loro genitori colombiani si sono spostati dal Belgio. La questione a sua volta ne solleva un’altra più basilare: qual è la portata dei diritti fondamentali dell’Unione? Possono essere invocati autonomamente? O deve esistere un qualche punto di collegamento con un altro classico diritto dell’Unione?
53. Poiché è evidente che il problema dei diritti fondamentali risulta un tema ricorrente in tutte e tre le questioni, prima di iniziare l’analisi verificherò – a mo’ di prologo – se sia plausibile pensare che il sig. Ruiz Zambrano e i suoi familiari corrano un rischio reale di patire una violazione del diritto fondamentale alla vita familiare ai sensi del diritto dell’Unione.
Prologo: la situazione della famiglia Ruiz Zambrano e la potenziale violazione del diritto fondamentale dell’Unione alla vita familiare
54. Nella sentenza Carpenter (24) la Corte ha riconosciuto il diritto fondamentale alla vita familiare come parte dei principi generali del diritto dell’Unione. Nel giungere a tale conclusione essa si è basata sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte di Strasburgo»). Nella sentenza Boultif (25) detta Corte ha dichiarato che «l’esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare come tutelato dall’art. 8, n. 1, della [CEDU]» (26). La definizione di «famiglia» contenuta nella CEDU è limitata principalmente alla famiglia nucleare (27), che evidentemente comprende il sig. Ruiz Zambrano e la sig.ra Moreno López in quanto genitori di Diego e Jessica.
55. La giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo parimenti stabilisce che la separazione di una persona dai suoi familiari è consentita solo quando si dimostri che è «necessaria in una società democratica, cioè giustificata da un bisogno sociale imperativo e, in particolare, proporzionata al fine legittimo perseguito» (28). L’applicazione dell’art. 8, n. 2 CEDU, che deroga rispetto al diritto tutelato dall’art. 8, n. 1, CEDU, comporta un test di proporzionalità che tiene conto (tra l’altro) di elementi come il momento in cui la famiglia si è stabilita, la buona fede del ricorrente, i contrasti culturali e sociali dello Stato in cui i familiari verrebbero inviati e il loro grado di integrazione sociale nello Stato contraente (29).
56. Da parte sua, la Corte di giustizia, pur attenendosi strettamente alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha elaborato una propria linea di ragionamento. In sintesi, la Corte riconosce protezione nei seguenti casi e/o con riferimento ai seguenti fattori (30).
57. In primo luogo, per attivare la protezione la Corte non richiede che il cittadino dell’Unione sia ricorrente nel procedimento principale. Infatti, il diritto fondamentale alla vita familiare ai sensi del diritto dell’Unione è già servito indirettamente per tutelare cittadini di paesi terzi che erano stretti congiunti del cittadino dell’Unione. A causa della possibile ingerenza con il diritto dei cittadini dell’Unione alla vita familiare, anche il cittadino di un paese terzo che fosse il membro della famiglia che presentava il ricorso beneficiava di protezione (31).
58. In secondo luogo, il diritto fondamentale può essere invocato anche se il familiare cui sia imposto di lasciare il paese non è legalmente residente (32).
59. In terzo luogo, la Corte valuta se il familiare costituisca un pericolo per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza (cosa che giustificherebbe l’allontanamento dal territorio) (33).
60. In quarto luogo, la Corte accoglierà una giustificazione basata su un abuso dei diritti solo qualora lo Stato membro possa produrre una prova inconfutabile della malafede del ricorrente (34).
61. Queste ed altre caratteristiche dei diritti fondamentali qui in esame – il diritto alla vita familiare e i diritti del fanciullo – si riflettono, rispettivamente, negli artt. 7 e 24, n. 3, della Carta. All’epoca dei fatti la Carta costituiva «soft law» e non era vincolante per le autorità belghe. Su di essa, tuttavia, la Corte si era già basata come ausilio interpretativo, anche in casi relativi al diritto alla vita familiare (35). Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta ha acquisito lo status di diritto primario (36).
62. A mio avviso, la decisione delle autorità belghe di intimare al sig. Ruiz Zambrano di lasciare il Belgio, seguita dal loro ripetuto rifiuto di concedergli un permesso di soggiorno, costituisce una potenziale violazione del diritto alla vita familiare dei suoi figli e della tutela dei loro diritti in quanto fanciulli; e, conseguentemente (applicando la giurisprudenza Carpenter e Zhu e Chen), dell’equivalente diritto del sig. Ruiz Zambrano alla vita familiare in quanto loro padre. Uso il termine «potenziale» perché il sig. Ruiz Zambrano si trova ancora in territorio belga. È evidente, tuttavia, che rendere operativo il decreto di espulsione determinerebbe la violazione di questi diritti.
63. È del pari evidente che potrebbe trattarsi di una violazione grave. Se il sig. Ruiz Zambrano dovesse essere espulso, altrettanto varrebbe per sua moglie. L’effetto di simili provvedimenti sui figli sarebbe radicale. Considerata la loro età, essi non sarebbero più in grado di condurre una vita indipendente in Belgio. Pertanto, il male minore per loro potrebbe forse essere lasciare il Belgio assieme ai genitori. Questo tuttavia significherebbe sradicarli dalla società e dalla cultura in cui sono nati e si sono integrati. Anche se spetta da ultimo al giudice nazionale, valutare in dettaglio il caso specifico, sembra opportuno procedere partendo dal presupposto che la violazione potrebbe effettivamente essere grave.
64. Vero è che i bambini sono nati quando la situazione del sig. Ruiz Zambrano era già irregolare. Tuttavia, l’esposizione dei fatti nell’ordinanza di rinvio lascia intendere che il sig. Ruiz Zambrano si era pienamente integrato nella società belga e non rappresentava una minaccia né un pericolo. Anche se spetta al giudice nazionale, quale unico giudice dei fatti, effettuare ogni accertamento al riguardo, ritengo che questa idea sia supportata dai seguenti elementi.
65. In primo luogo, il sig. Ruiz Zambrano lavorava regolarmente dopo il suo ingresso in Belgio, pagava regolarmente i contributi al sistema previdenziale belga e non aveva chiesto alcun sostegno economico (37). In secondo luogo, risulta che lui e la moglie, la sig.ra Moreno López, abbiano condotto una vita familiare normale e i loro figli attualmente sono iscritti a scuola in Belgio. In terzo luogo, le autorità belghe erano disposte ad accettare il versamento dei contributi previdenziali del sig. Ruiz Zambrano nelle casse dello Stato belga per cinque anni nel periodo in cui egli lavorava per la Plastoria – attitudine che contrasta, singolarmente, con la contraria riluttanza del ministero belga di concedergli un permesso di soggiorno (38). In quarto luogo, il fatto che il Commissariato generale per i Rifugiati e gli Apolidi emanasse un ordine di non rimpatrio indica che il sig. Ruiz Zambrano e la sua famiglia non potevano essere rispediti in Colombia perché ciò li avrebbe esposti ad un grave pericolo. In effetti, se fosse stato chiesto loro di lasciare il Belgio, avrebbero dovuto cercare un terzo Stato disposto ad accoglierli, Stato con il quale potrebbero avere o meno relazioni già esistenti. In quinto luogo, accordando al sig. Ruiz Zambrano un permesso di soggiorno temporaneo rinnovabile nel 2009, le autorità belghe hanno tacitamente confermato che la sua presenza in Belgio non pone alcun rischio per la società e che non esistono superiori considerazioni di ordine pubblico che giustificherebbero l’ordine di lasciare immediatamente il territorio.
66. Per queste ragioni mi sembra che, ove le autorità belghe dovessero continuare a negare al sig. Ruiz Zambrano un permesso di soggiorno dopo la nascita del suo primo figlio belga (Diego), dando attuazione al decreto in sospeso emanato nei suoi confronti che gli impone di lasciare il paese (39), è probabile che questa verrebbe considerata come una violazione significativa del diritto fondamentale di Diego – e quindi, indirettamente, del sig. Ruiz Zambrano – alla vita familiare ai sensi del diritto dell’Unione.
Questione n. 1 – La cittadinanza dell’Unione
Rilievi introduttivi
67. Nel 1992 il Trattato di Maastricht ha introdotto la cittadinanza europea come nuovo e complementare status per tutti i cittadini degli Stati membri. Accordando ad ogni cittadino il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, il nuovo Trattato riconosceva il ruolo essenziale dei singoli, indipendentemente dal fatto che siano o meno economicamente attivi, all’interno della nuova Unione. Ciascun individuo ha diritti e doveri che complessivamente creano un nuovo status – status che, come dichiarato dalla Corte nel 2001, era «destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri» (40).
68. Le conseguenze di tale dichiarazione sono, a mio parere, altrettanto importanti e radicali quanto quelle delle prime pietre miliari nella giurisprudenza della Corte. Ritengo infatti che la descrizione della cittadinanza dell’Unione fatta dalla Corte nella sentenza Grzelczyk abbia un significato potenzialmente analogo a quello della famosa asserzione contenuta nella sentenza Van Gend en Loos, secondo cui «la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli stati hanno rinunziato (…) ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini» (41).
È possibile invocare diritti derivati dalla cittadinanza dell’Unione semplicemente sulla base del soggiorno in uno Stato membro di cui si è cittadini?
La circolazione e i classici diritti (economici) alla libera circolazione
69. Come ben noto, per poter invocare i classici diritti economici associati alle quattro libertà è di solito richiesta una circolazione di qualche tipo tra gli Stati membri. Anche in questo contesto, tuttavia, va sottolineato che la Corte ha riconosciuto l’importanza che l’esercizio di tali diritti non venga ostacolato o impedito ed ha guardato con sospetto alle misure nazionali che possano avere un effettuo dissuasivo sul potenziale esercizio del diritto alla libera circolazione.
70. Nella sentenza Dassonville (42) la Corte ha formulato la nota affermazione secondo cui «[o]gni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi [all’interno dell’Unione] va considerata come una misura d’effetto equivalente a restrizioni quantitative». L’ampiezza di tale formula ha permesso alla Corte di esaminare misure nazionali discriminatorie e non discriminatorie anche se non vi era stata necessariamente una circolazione di beni (43). L’effetto dissuasivo di una misura nazionale poteva essere sufficiente a determinare l’applicazione dell’attuale art. 34 TFUE (in precedenza art. 28 CE). Per esempio, nella sentenza Carbonati (44) la Corte, seguendo l’avvocato generale Poiares Maduro, ha dichiarato che i tributi gravanti su beni all’interno di un singolo Stato membro erano contrari al Trattato (45). La Corte ha dichiarato espressamente che l’art. 26, n. 2, TFUE (in precedenza art. 14, n. 2, CE), quando definisce il mercato interno come «uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali», lo fa «senza distinguere tra frontiere fra gli Stati e frontiere all’interno degli Stati» (46).
71. Un esame analogo è stato esteso alla libera circolazione delle persone e dei servizi nella sentenza Säger (47), nella quale la Corte ha spiegato che l’art. 59 CEE (divenuto art. 56 TFUE) prescriveva «non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi a causa della sua nazionalità, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali ed a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare in altro modo le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi» (48). Il cerchio di questa linea argomentativa si è chiuso nella sentenza Kraus (49), in cui la Corte ha dichiarato che anche le misure che possano «ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini comunitari, compresi quelli dello Stato membro che ha emanato il provvedimento stesso, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato» rientrano nell’ambito del diritto comunitario (50).
72. Pertanto, secondo una giurisprudenza oramai consolidata, un soggetto la cui capacità di circolare all’interno dell’UE sia «ostacolata» o «resa meno interessante», anche dallo Stato membro di cui è cittadino, può invocare i diritti derivanti dal Trattato (51).
73. La Corte in realtà ha accettato di attenuare in certo modo il concetto secondo cui per l’esercizio dei diritti occorre un effettivo spostamento fisico attraverso una frontiera. Infatti, nella sentenza Alpine Investments (52), essa ha dichiarato che il divieto di rivolgere chiamate telefoniche a potenziali clienti stabiliti in un altro Stato membro ricade sotto le disposizioni del Trattato anche se non implica alcuno spostamento fisico. Nella sentenza Carpenter (53), la Corte ha riconosciuto che il diritto dell’Unione era stato determinante per l’esito di un ricorso contro un provvedimento di espulsione emanato dalle autorità del Regno Unito nei confronti di una cittadina filippina. Il richiamo al diritto dell’Unione era basato sul fatto che il marito della sig.ra Carpenter, cittadino britannico, lavorava occasionalmente in altri Stati membri per vendere spazi pubblicitari su una rivista britannica. La Corte ha accolto l’argomento secondo cui il marito della sig.ra Carpenter riusciva più facilmente a fornire e ricevere servizi da quando lei si occupava dei figli nati dal primo matrimonio di lui. La Corte ha quindi concluso affermando che l’espulsione della sig.ra Carpenter avrebbe limitato il diritto di suo marito a fornire e ricevere servizi (54).
74. Più recentemente, nella sentenza Metock (55), la Corte ha ammesso che il precedente esercizio dei diritti alla libera circolazione da parte della sig.ra Metock, cittadina camerunese che aveva successivamente acquisito la cittadinanza britannica e si era già stabilita e lavorava in Irlanda quando aveva sposato il marito (anch’egli camerunese, incontrato in tale paese 12 anni prima) era sufficiente per farle acquisire un diritto derivato di soggiorno in Irlanda, malgrado essa non soddisfacesse al requisito prescritto dal diritto nazionale di aver soggiornato legalmente in un altro Stato membro prima di giungere in Irlanda (56).
Circolazione e cittadinanza dell’Unione
75. In molte cause in tema di cittadinanza esiste un elemento transfrontaliero chiaramente individuabile parallelo all’esercizio dei classici diritti economici alla libera circolazione. Per esempio, nella sentenza Bickel e Franz (57), i convenuti erano, rispettivamente, un cittadino tedesco e un cittadino austriaco, soggetti a procedimento penale nella regione italiana dell’Alto Adige (ossia nell’ex Sud Tirolo), che speravano di affrontare il processo in tedesco anziché in italiano. Nella sentenza Martínez Sala (58) la ricorrente era una cittadina spagnola trasferitasi in Germania. Nella sentenza Bidar (59), Dany Bidar si era trasferito dalla Francia al Regno Unito, dove era rimasto con la nonna dopo la morte della madre per terminare la scuola, prima di chiedere un prestito accordato agli studenti per il finanziamento degli studi universitari.
76. Inoltre, nei casi di cittadini di uno Stato membro che fanno valere diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione nei confronti del proprio Stato membro, vi è sempre stato di solito un precedente trasferimento da tale Stato membro e poi un ritorno nello stesso. Nella sentenza D’Hoop (60), Marie-Nathalie D’Hoop si era trasferita dal Belgio in Francia, dove aveva terminato gli studi, e poi era tornata in Belgio dove aveva fatto domanda per l’indennità di disoccupazione concessa ai giovani che hanno appena terminato gli studi e sono in cerca di prima occupazione [«allocation d’attente»]. Nella sentenza Grunkin Paul (61), Leonhard Matthias Grunkin e Paul si era trasferito dalla Danimarca (paese in cui era nato, viveva e frequentava la scuola) in Germania (paese di cui era cittadino) per trascorrere qualche tempo con il padre divorziato. Egli aveva bisogno che nel passaporto rilasciatogli in Germania figurasse lo stesso nome che gli era stato legittimamente attribuito in Danimarca e non un nome diverso.
77. Tuttavia, non ritengo che l’esercizio dei diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione sia sempre indissolubilmente e necessariamente vincolato ad uno spostamento fisico. Esistono già alcuni casi in tema di cittadinanza nei quali l’elemento di una vera e propria circolazione è appena percepibile o del tutto inesistente.
78. Nella sentenza García Avello (62), i genitori erano cittadini spagnoli trasferitisi in Belgio, ma i loro figli Esmeralda e Diego (che avevano la doppia cittadinanza spagnola e belga e il cui cognome contestato costituiva l’oggetto del procedimento) erano nati in Belgio e, a quanto si può evincere dal fascicolo di causa, non si erano mai mossi da tale paese. Nella sentenza Zhu e Chen (63), Catherine Zhu era nata in una zona del Regno Unito (l’Irlanda del Nord) e si era semplicemente spostata all’interno del Regno Unito (per tornare in Inghilterra). Le norme locali, che attribuiscono la cittadinanza irlandese a chiunque sia nato sull’isola dell’Irlanda (compresa l’Irlanda del Nord), unitamente ad una buona consulenza legale, le hanno permesso di invocare la cittadinanza dell’Unione per derivarne un diritto di soggiorno nel Regno Unito per se stessa e per la madre cinese, poiché altrimenti sarebbe stato impossibile per lei, minorenne in tenera età, esercitare effettivamente i suoi diritti come cittadina dell’Unione. Nella sentenza Rottmann (64), la cittadinanza decisiva (quella tedesca acquisita per naturalizzazione e non la precedente cittadinanza austriaca, acquisita per nascita) è stata conseguita dal dott. Rottmann dopo il suo trasferimento in Germania dall’Austria. Nella sentenza, però, non viene preso in considerazione tale precedente trasferimento e si considerano solo i futuri effetti che la revoca della cittadinanza tedesca implicherebbe rendendo apolide il dott. Rottmann (mi soffermerò più oltre con maggiori dettagli su questa recente e importante sentenza) (65).
79. Nell’esaminare i diversi diritti che il Trattato attribuisce ai cittadini dell’Unione, appare evidente che alcuni di essi – in particolare, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo – possono essere fatti valere solo in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di cui il soggetto interessato è cittadino (66). Altri diritti – il diritto di petizione al Parlamento europeo ai sensi dell’art. 227 TFUE e il diritto di rivolgersi al Mediatore ai sensi dell’art. 228 TFUE – sembra si possano esercitare senza limiti geografici (67). Il diritto alla tutela diplomatica o consolare ai sensi dell’art. 23 TFUE (in precedenza art. 20 CE) può essere esercitato in un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui tale soggetto ha la cittadinanza non è rappresentato.
80. Quello che forse rappresenta il diritto «centrale» – ossia «il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» (68) – è meno semplice da definire. Si tratta di un diritto composto (il diritto di «circolare-e-soggiornare»)? Di un diritto in sequenza («il diritto di circolare e, avendo circolato in una certa misura nel passato, di soggiornare»)? O si tratta di due diritti indipendenti («il diritto di circolare» e «il diritto di soggiornare»)?
L’impatto dei diritti fondamentali
81. Di fronte alla scelta se limitare l’interpretazione del «diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri», sancito dagli artt. 20, n. 2, lett. a) e 21, n. 1, TFUE, ai casi in cui il cittadino dell’Unione si sia prima trasferito in un altro Stato membro oppure accettare che i termini «circolare» e «soggiornare» possano essere interpretati separatamente in modo da non impedire ad un cittadino dell’Unione di far valere tali diritti quando soggiorna (senza aver precedentemente circolato) nello Stato membro di cui è cittadino, come si dovrebbe comportare la Corte?
82. A questo punto, occorre tornare alla questione della tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento giuridico dell’Unione.
83. L’importanza dei diritti fondamentali nel classico contesto della libera circolazione è stata posta in modo eloquente dall’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni presentate relativamente alla sentenza Konstantinidis (69), una causa vertente su un massaggiatore greco che lavorava in Germania il quale sosteneva che la trascrizione ufficiale del suo cognome violava i suoi diritti ai sensi del diritto dell’Unione. L’approccio dell’avvocato generale Jacobs alla vigente giurisprudenza Wachauf ha avuto conseguenze radicali. Il caso Konstantinidis ha cessato di essere semplicemente un caso di discriminazione sulla base della nazionalità per diventare un caso sul diritto fondamentale all’identità personale. Riconoscere il diritto del ricorrente (come la Corte ha fatto nella sua pronuncia) implica accogliere la premessa secondo cui un cittadino dell’Unione che si reca in un altro Stato membro ha il diritto di contare sul fatto «che, dovunque egli si rechi per guadagnarsi da vivere all’interno della [Unione] europea, egli sarà trattato in conformità ad un codice comune di valori fondamentali (…). In altre parole, egli ha il diritto di dichiarare “civis europeus sum” e di invocare tale status per opporsi a qualunque violazione dei suoi diritti fondamentali» (70). Il cittadino dell’Unione che eserciti i suoi diritti di libera circolazione può invocare l’intera gamma di diritti fondamentali tutelati dal diritto dell’Unione (a prescindere dal fatto che siano collegati o meno con un’attività economica per svolgere la quale egli stia circolando tra gli Stati membri). In caso contrario, egli potrebbe essere dissuaso dall’esercitare questi diritti alla libera circolazione.
84. Sarebbe paradossale (quantomeno) se un cittadino dell’Unione potesse invocare i diritti fondamentali in forza del diritto dell’Unione quando esercita un diritto economico alla libera circolazione come lavoratore, o quando una norma nazionale rientra nell’ambito del Trattato (per esempio, disposizioni in tema di parità di retribuzione) o quando invoca il diritto derivato dell’Unione (come la direttiva servizi) ma non potesse farlo quando semplicemente «soggiorna» in tale Stato membro. Lasciando da parte, a titolo di esempio, qualsiasi tutela che possa essere derivata, nell’ambito dello stesso ordinamento giuridico nazionale, dal richiamo all’art. 8 della CEDU, supponiamo (cosa piuttosto improbabile) che una norma nazionale in uno Stato membro A accordi una tutela rafforzata alla libertà di espressione religiosa solo ai soggetti che hanno soggiornato in tale Stato ininterrottamente per 20 anni. Un cittadino dello Stato membro A (come Marie‑Nathalie D’Hoop), il quale in passato abbia esercitato i diritti alla libera circolazione recandosi nel vicino Stato membro B e che solo di recente sia tornato nello Stato membro A, potrebbe far valere i suoi diritti fondamentali nei confronti dello Stato membro di cui è cittadino nel contesto della sua cittadinanza dell’Unione (invocando sia l’art. 9 CEDU sia l’art. 10 della Carta). Un diciottenne cittadino dell’Unione, cittadino dello Stato membro B, ma nato e vissuto sempre nello Stato membro A, potrebbe fare lo stesso? [Non vi è discriminazione nella norma nazionale controversa basata direttamente o indirettamente sulla cittadinanza, per cui non è possibile invocare l’art. 18 TFUE (in precedenza art. 12 CE)]. Sulla base della sentenza García Avello, la risposta è sicuramente «sì» – ma rispondere in tal modo implica che il «diritto di soggiornare» è un diritto autonomo, e non un diritto legato da una sorta di cordone ombelicale al diritto di circolazione. Cosa succede, infine (e qui anticipo la discussione sulla discriminazione alla rovescia) al diciottenne cittadino dell’Unione, cittadino dello Stato membro A, che ivi risiede e che non possa far valere un qualche altro nesso con il diritto dell’Unione determinatosi per caso o di proposito (per esempio, il fatto di essersi recato nello Stato membro B per una gita scolastica)?
85. Sullo sfondo di questo scenario, torno nuovamente alla giurisprudenza della Corte esistente in tema di cittadinanza.
86. Se si insiste sulla premessa secondo cui uno spostamento fisico in uno Stato membro diverso da quello di cui si è cittadini è necessario prima di poter invocare il diritto di soggiorno come cittadino dell’Unione, il risultato rischia di essere tanto strano quanto illogico. Supponiamo che un amico abbia portato Diego e Jessica in gita una volta o due al Parc Astérix a Parigi o sulle spiagge della Bretagna (71). Essi avrebbero in tal caso ricevuto servizi in un altro Stato membro. Se tentassero di far valere diritti derivanti dalla loro «circolazione», non si potrebbe dire che la loro situazione era «puramente interna» al Belgio (72). Sarebbe stata sufficiente una sola gita? O due? O di più? Sarebbe bastato un viaggio di un giorno oppure avrebbero dovuto rimanere una o due notti in Francia?
87. Se la famiglia, essendo obbligata a lasciare il Belgio e quindi l’Unione europea, dovesse cercare rifugio per esempio in Argentina, Diego e Jessica, in quanto cittadini dell’Unione, potrebbero invocare la tutela diplomatica e consolare presso missioni di altri Stati membri presenti in tale paese terzo. Potrebbero chiedere di avere accesso a documenti e rivolgersi al Mediatore. Ma non potrebbero, in questo caso, invocare i loro diritti come cittadini dell’Unione per continuare a soggiornare in Belgio.
88. È difficile non provare un senso di disagio di fronte a un risultato del genere. Sembra che l’esercizio dei diritti di cittadinanza dell’Unione sia governato dall’azzardo più che dalla logica.
89. Bisognerebbe forse ideare un qualche radicale ampliamento della giurisprudenza in tema di cittadinanza per sostenere, nel presente caso, che sono stati coinvolti i diritti dei figli del sig. Ruiz Zambrano in quanto cittadini dell’Unione – malgrado il fatto che non si sono mai spinti fuori dello Stato membro di cui sono cittadini – per poi valutare, in tal caso, se sia possibile per il padre invocare un diritto di soggiorno derivato?
90. A mio avviso non occorre spingersi tanto lontano.
Una situazione puramente interna?
91. Nel presente procedimento, gli Stati membri che hanno presentato osservazioni hanno sostenuto, unanimemente, che la situazione del sig. Ruiz Zambrano è «puramente interna» al Belgio e che le disposizioni del diritto dell’Unione, comprese quelle in tema di cittadinanza dell’Unione, non sono pertanto chiamate in causa. La Commissione ha sostenuto un profilo argomentativo analogo. In modo più o meno esteso, tutti mettono in luce la potenziale tutela che potrebbe essere accordata al sig. Ruiz Zambrano e alla sua famiglia tanto ai sensi del diritto nazionale quanto ai sensi della CEDU e invitano la Corte, con diversi gradi di enfasi, a non considerare la possibilità che possano essere implicati diritti derivanti dalle disposizioni in tema di cittadinanza.
92. Non condivido la loro opinione.
93. Occorre sottolineare che nella sentenza Rottmann tanto la Germania (lo Stato membro di naturalizzazione del dott. Rottmann) quanto l’Austria (il suo Stato membro di origine), sostenute dalla Commissione, hanno dichiarato che «al momento della decisione di revoca della [sua] naturalizzazione nella causa principale, [il dott. Rottmann] era cittadino tedesco, residente in Germania e destinatario di un atto amministrativo promanante da un’autorità tedesca. (…) si tratta dunque di una situazione puramente interna priva di qualsiasi collegamento con il diritto dell’Unione, dato che quest’ultimo non sarebbe applicabile per il semplice fatto che uno Stato membro adotti una misura nei confronti di uno dei suoi cittadini. La circostanza che, in una situazione quale quella di cui alla causa principale, l’interessato abbia fatto uso del suo diritto alla libera circolazione prima della sua naturalizzazione non varrebbe di per sé sola a costituire un elemento transfrontaliero atto a giocare un ruolo rispetto alla revoca della naturalizzazione stessa» (73).
94. Nell’esaminare tale argomento, la Corte ha accolto l’invito a non considerare il precedente esercizio da parte del dott. Rottmann del diritto alla libera circolazione (dall’Austria alla Germania) e ha guardato al futuro anziché al passato. Come la Corte ha energicamente sottolineato, benché la concessione e la revoca della cittadinanza siano questioni che rientrano nella competenza degli Stati membri, in situazioni ricadenti nell’ambito del diritto dell’Unione, le norme nazionali di cui trattasi debbono comunque rispettare quest’ultimo. La Corte ha concluso che, «la situazione di un cittadino dell’Unione che (…) si trovi alle prese con una decisione di revoca della naturalizzazione (…) la quale lo ponga (…) in una situazione idonea a cagionare il venir meno dello status conferito dall’art. [20 TFUE] e dei diritti ad esso correlati, ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione» (74).
95. A mio avviso il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza Rottmann, in combinato disposto con la sua precedente pronuncia nel caso Zhu e Chen, può essere del tutto trasponibile al presente caso. Qui, la concessione della cittadinanza belga ai figli del sig. Ruiz Zambrano, Diego e Jessica, era una questione che rientrava nella competenza di tale Stato membro. Una volta accordata la cittadinanza, però, i bambini sono diventati cittadini dell’Unione e legittimati ad esercitare i diritti loro derivanti in quanto tali, contemporaneamente ai loro diritti in quanto cittadini belgi. Essi finora non si sono spostati al di fuori del loro Stato membro. Né lo aveva fatto, dopo la sua naturalizzazione, il dott. Rottmann. Se i genitori non hanno un diritto di soggiorno derivato e sono costretti a lasciare il Belgio, i figli, con tutta probabilità, dovranno partire con loro. In pratica, questo porrebbe Diego e Jessica in una «una situazione idonea a cagionare il venir meno dello status conferito [dalla loro cittadinanza dell’Unione] e dei diritti ad esso correlati». Da ciò consegue, – com’è avvenuto per il dott. Rottmann – che la situazione dei figli «ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione».
96. Inoltre, al pari di Catherine Zhu, Diego e Jessica non possono esercitare i loro diritti come cittadini dell’Unione (nello specifico, il loro diritto di circolare e soggiornare in qualsiasi Stato membro) in modo pieno ed effettivo senza la presenza e il supporto dei loro genitori. Tramite l’applicazione dello stesso collegamento che la Corte ha accettato nella sentenza Zhu e Chen (consentendo ad un minore di esercitare effettivamente i suoi diritti di cittadinanza), ne consegue che la situazione del sig. Ruiz Zambrano, parimenti, non è una situazione «puramente interna» allo Stato membro. Anch’essa ricade nella sfera del diritto dell’Unione.
97. Da ciò inoltre consegue (come nella sentenza Rottmann) che «[d]ate tali circostanze, spetta alla Corte pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio» – o, per dirla sostanzialmente in termini diversi, che il caso di specie non costituisce una situazione puramente interna priva di qualsiasi nesso con il diritto dell’Unione. In tal modo sarà necessario – a mio parere – decidere le seguenti questioni: a) è possibile che esista un’ingerenza con i diritti dei figli del sig. Ruiz Zambrano, in quanto cittadini dell’Unione, a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri? b) Nel caso in cui tale ingerenza esista, è ammissibile in linea di principio? c) Nel caso in cui sia ammissibile in linea di principio, è comunque soggetta a limitazioni (per esempio, sulla base del principio di proporzionalità?)
Esiste un’ingerenza?
98. In quanto cittadini dell’Unione, i figli del sig. Ruiz Zambrano hanno senza dubbio un «diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». In teoria, essi possono esercitare tale diritto. In pratica, non possono farlo indipendentemente dai genitori a causa della loro età.
99. Se il sig. Ruiz Zambrano non può godere di un diritto derivato di soggiorno in Belgio (problema su cui verte il suo diritto all’indennità di disoccupazione), presto o tardi dovrà lasciare lo Stato membro del quale i suoi figli sono cittadini. Considerata la loro età (e sempre che, naturalmente, la loro partenza non venga ritardata tanto da farli diventare maggiorenni), i figli dovranno partire con lui (75). Essi non potranno esercitare il loro diritto di circolare e soggiornare all’interno del territorio dell’Unione europea. I paragoni con la sentenza Rottmann sono ovvi. I diritti del dott. Rottmann come cittadino dell’Unione erano seriamente in pericolo perché la revoca della sua naturalizzazione in Germania lo avrebbe lasciato nell’impossibilità di esercitare tali diritti ratione personae. Nel caso di specie, i figli del sig. Ruiz Zambrano si trovano di fronte ad un pericolo non dissimile per i loro diritti ratione loci. Essi debbono essere in grado di rimanere fisicamente presenti nel territorio dell’Unione europea per poter circolare tra Stati membri o soggiornare in uno Stato membro (76).
100. Come abbiamo visto (più in particolare nelle sentenze García Avello, Zhu e Chen e Rottmann), la giurisprudenza vigente già permette di far valere taluni diritti di cittadinanza a prescindere da precedenti movimenti transfrontalieri effettuati dal cittadino dell’Unione di cui trattasi. A mio avviso, se il ricorrente, o i ricorrenti, nei primi due casi menzionati avessero dovuto far valere un diritto autonomo di soggiorno nei confronti delle autorità dello Stato membro interessato (cittadini spagnoli in Belgio, un cittadino irlandese nel Regno Unito) la Corte avrebbe sicuramente riconosciuto tale diritto. Nel caso Rottmann, la Corte si era già spinta oltre tutelando i futuri diritti di cittadinanza di un cittadino tedesco residente in Germania. Considerato questo scenario, sarebbe artificioso non riconoscere apertamente che (sebbene nella pratica il diritto di soggiorno venga probabilmente esercitato, nella stragrande maggioranza dei casi, dopo l’esercizio del diritto di circolazione) l’art. 21 TFUE contiene un diritto separato di soggiorno indipendente dal diritto alla libera circolazione.
101. Di conseguenza, suggerisco che la Corte ora riconosca l’esistenza di tale diritto di soggiorno indipendente.
102. Per le ragioni che ho già esaminato, Diego e Jessica non possono esercitare tale diritto di soggiorno senza l’aiuto dei genitori. La mia conclusione pertanto è che, nelle circostanze del caso di specie, un rifiuto di riconoscere un diritto di soggiorno derivato al sig. Ruiz Zambrano può costituire potenzialmente un’ingerenza con il diritto di soggiorno di Diego e Jessica in quanto cittadini dell’Unione.
103. Aggiungo che, qualora la Corte non fosse disposta ad ammettere che l’art. 21 TFUE conferisce un diritto autonomo di soggiorno, la mia conclusione, nelle circostanze del caso di specie, sarebbe comunque che la potenziale ingerenza con il diritto di Diego e Jessica di circolare e soggiornare nel territorio dell’Unione è sufficientemente analoga a quella che recava pregiudizio a Catherine Zhu (la quale non aveva mai risieduto nella Repubblica d’Irlanda né aveva mai lasciato il territorio del Regno Unito) da rendere assimilabili le due situazioni.
L’ingerenza è giustificabile?
104. Faccio anzitutto osservare che, decidendo di non dichiarare espressamente la cittadinanza colombiana per i suoi figli e scegliendo invece di far acquisire loro la cittadinanza dello Stato membro nel quale erano nati, il sig. Ruiz Zambrano si è avvalso di una possibilità che gli spettava per legge. Sotto questo profilo, il suo comportamento può ben essere paragonato con quello dei sigg. Zhu. La Corte ha chiarito che non vi è nulla di riprovevole nell’usufruire di una possibilità concessa dalla legge e che si tratta evidentemente di una cosa diversa da un abuso di diritto (77). Dal momento in cui si sono verificati i fatti del caso di specie, la cittadinanza belga è stata soggetta a modifiche (78) e non sarebbe più possibile, per una persona nella posizione del sig. Ruiz Zambrano, scegliere di non registrare i propri figli sotto la protezione diplomatica o consolare del proprio paese. All’epoca dei fatti, però, non vi era nulla di sbagliato nell’agire come il ricorrente ha fatto.
105. È importante tenere questo a mente – in particolare con riferimento a qualunque argomento «sulle paratoie». Gli Stati membri controllano chi può diventare loro cittadino (79). Nel presente caso la Corte ha a che fare esclusivamente con i diritti che tali soggetti possono invocare, una volta divenuti cittadini di uno Stato membro, grazie alla simultanea acquisizione della cittadinanza dell’Unione.
106. Per esempio, nella sentenza Kaur (80), la sig.ra Manjit Kaur non poteva essere «privata» dei diritti derivanti dallo status di cittadina dell’Unione a causa del fatto che non rispondeva alla definizione di cittadino del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Non avendo superato il primo ostacolo e non potendo essere definita, in base alle norme sulla cittadinanza ad essa applicabili, come un soggetto «avente la cittadinanza di uno Stato membro», ella non poteva conseguentemente far valere come cittadina dell’Unione il diritto di soggiornare un qualsiasi Stato membro (compreso il Regno Unito) (81). Nel caso di specie, però, i figli del sig. Ruiz Zambrano possiedono e beneficiano dei normali diritti di cittadinanza belga, così come il dott. Rottmann possedeva e beneficiava dei normali diritti di cittadinanza tedesca in forza della naturalizzazione.
107. Esistono evidentemente situazioni in cui l’esercizio dei diritti da parte di un cittadino dell’Unione non dipende dalla concessione di diritti di soggiorno ad un suo ascendente. Per esempio, un cittadino dell’Unione che sia divenuto maggiorenne può esercitare i suoi diritti di viaggiare e soggiornare nel territorio dell’Unione europea senza che occorra concedere ai suoi genitori (o a uno solo di essi) contemporanei diritti di soggiorno nello Stato membro prescelto.
108. Pertanto, a mio avviso, la potenziale ingerenza con i diritti di cittadinanza dell’Unione che insorgerebbe nel caso in cui un ascendente non goda di un automatico diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di origine del cittadino dell’Unione è in linea di principio ammissibile. Non si tratterebbe però di un’ingerenza accettabile in talune circostanze (in particolare perché potrebbe non essere proporzionata).
Proporzionalità
109. Come la Corte ha dichiarato nelle sentenze Micheletti (82) e Kaur (83) e più recentemente nella sentenza Rottmann, sebbene la concessione della cittadinanza rientri nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, «nell’esercizio di tale competenza, devono tuttavia rispettare il diritto [dell’Unione]» (84). Alla stessa conclusione si è pervenuti nella sentenza Bickel e Franz, a proposito del diritto e della procedura penale (85), nella sentenza García Avello per quanto riguarda la normativa sui cognomi (86) o nella sentenza Schempp, in materia di imposte dirette (87) – tutti settori sensibili nei quali gli Stati membri continuano ad esercitare poteri considerevoli.
110. Nel presente caso, come spesso avviene, abbiamo una situazione che implica l’esercizio di un diritto e una possibile giustificazione per interferire con (o per derogare a) tale diritto; e la questione si risolve in un problema di proporzionalità. È proporzionato, nelle circostanze del caso di specie, negare al sig. Ruiz Zambrano il riconoscimento del diritto di soggiorno, derivato dai diritti dei suoi figli quali cittadini dell’Unione? Anche se la decisione ultima riguardo alla proporzionalità spetta (di solito) al giudice nazionale, possono risultare utili alcune brevi osservazioni.
111. Applicare il principio di proporzionalità nel caso di specie (come nel caso Rottmann) impone al giudice del rinvio «verificare se la decisione (…) in questione nella causa principale rispetti il principio di proporzionalità per quanto riguarda le conseguenze che essa determina sulla situazione dell’interessato in rapporto al diritto dell’Unione» (in aggiunta all’esame della proporzionalità di tale decisione sotto il profilo del diritto nazionale) (88). Come la Corte ha continuato a spiegare in tale sentenza, «vista l’importanza che il diritto primario annette allo status di cittadino dell’Unione, è necessario (…) tener conto delle possibili conseguenze che [la] decisione comporta per l’interessato e, eventualmente, per i suoi familiari sotto il profilo della perdita dei diritti di cui gode ogni cittadino dell’Unione. A questo proposito, è importante verificare, in particolare, se tale perdita sia giustificata (…)» (89).
112. All’udienza, gli Stati membri intervenuti hanno sottolineato che le condizioni di soggiorno dei cittadini di paesi terzi rientrano nella competenza dello Stato membro. I legali del Belgio e della Danimarca hanno specificato che il sig. Ruiz Zambrano è una persona alla quale è stato negato l’asilo ed è stato ordinato di lasciare il territorio belga poco dopo il suo arrivo nel 1999. Da allora egli ha soggiornato illegalmente per un notevole periodo di tempo e non dovrebbe usufruire di un diritto di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione. Il legale dell’Irlanda ha descritto un quadro drammatico dell’ondata di immigrazione da paesi terzi che inevitabilmente si produrrebbe qualora si decidesse che il sig. Ruiz Zambrano gode di un diritto di soggiorno derivato dalla cittadinanza belga dei suoi figli.
113. Il legale del sig. Ruiz Zambrano ha evidenziato che il suo cliente aveva lavorato ininterrottamente per la Plastoria per almeno cinque anni. Durante questo periodo, egli aveva versato i contributi previdenziali dovuti. L’indagine effettuata dalle autorità presso la Plastoria non aveva evidenziato alcuna violazione degli accordi di legge in materia di imposte, previdenza sociale e lavoro relativamente al suo impiego. L’unico problema era rappresentato dalla mancanza del permesso di lavoro e del permesso di soggiorno; e nessun ricorso era stato promosso contro il suo datore di lavoro. Diego e Jessica erano nati alcuni anni dopo che il sig. Ruiz Zambrano e la moglie erano entrati in Belgio con il loro primo figlio. Non vi erano prove che l’arrivo di Diego prima e di Jessica poi nella famiglia costituisse un cinico tentativo di sfruttare una lacuna utilizzabile per rimanere in Belgio. Si trattava di una vera e propria famiglia. Il sig. Ruiz Zambrano era pienamente integrato in Belgio. I suoi figli frequentavano la scuola locale regolarmente. Egli non aveva precedenti penali ed aveva invece ottenuto tanto un permesso di soggiorno provvisorio e rinnovabile quanto un permesso di lavoro di tipo C.
114. Mi sono già occupata in sostanza dell’argomento «sulle paratoie» del governo irlandese. Come tale Stato membro ha esso stesso dimostrato dopo la sentenza Zhu e Chen della Corte, nel caso in cui regole particolari in materia di acquisto della sua cittadinanza possano – o sembrino poter – portare a risultati «ingestibili», lo Stato membro interessato può modificarle al fine di gestire il problema.
115. Con questo non intendo incoraggiare gli Stati membri alla xenofobia o a chiudere i boccaporti trasformando l’Unione europea nella «Fortezza Europa». Si tratterebbe di un passo indietro condannabile – e per di più in evidente contrasto con gli obiettivi politici proclamati (90). Mi limito a ricordare che le norme in tema di acquisto della cittadinanza sono di esclusiva competenza degli Stati membri. Tuttavia, gli Stati membri – avendo essi stessi creato il concetto di «cittadinanza dell’Unione» – non possono esercitare lo stesso potere illimitato relativamente alle conseguenze, in forza del diritto dell’Unione, della cittadinanza dell’Unione derivante dalla concessione della cittadinanza di uno Stato membro.
116. Per quel che riguarda il fatto che il sig. Ruiz Zambrano non ha lasciato il Belgio dopo che la sua richiesta di asilo è stata respinta, ricordo che egli aveva impugnato le decisioni amministrative in questione e che i relativi procedimenti giudiziali sono durati a lungo. Ricordo poi che nel caso Carpenter la cittadina di un paese terzo (la sig.ra Carpenter) aveva violato le leggi nazionali sull’immigrazione non lasciando il territorio del Regno Unito prima della scadenza del suo permesso di soggiorno come visitatore. Per la Corte questo non costituiva un ostacolo insormontabile a che la ricorrente successivamente facesse valere diritti in forza del diritto dell’Unione, sottolineando che «il suo comportamento, dal momento del suo arrivo nel Regno Unito nel settembre 1994, non è stato oggetto di alcuna censura tale da far temere che essa rappresenti in futuro un pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica sicurezza» (91).
117. Per contro, nel caso di specie le conseguenze a lungo termine per Diego e Jessica del mancato riconoscimento di un diritto di soggiorno derivato per il sig. Ruiz Zambrano sono gravi. Essi non possono esercitare il loro diritto di soggiorno come cittadini dell’Unione in modo effettivo senza l’aiuto e il supporto dei genitori. Il loro diritto di soggiorno pertanto – fino a quando non siano divenuti abbastanza grandi per esercitarlo autonomamente – sarà quasi del tutto svuotato di contenuto (come sarebbe accaduto per Catherine Zhu senza la presenza stabile di sua madre, la sig.ra Zhu, nel Regno Unito).
118. Per amor di completezza, mi occuperò brevemente di un ulteriore argomento che emerge dall’oggetto del procedimento dinanzi al giudice nazionale, ossia del possibile rischio che il sig. Ruiz Zambrano possa divenire un «onere eccessivo» per le finanze pubbliche.
119. Nella sentenza Baumbast (92) la Corte ha sottolineato che le condizioni e le limitazioni di cui all’art. 21 TFUE si ispirano all’idea che l’esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione può essere subordinato ai legittimi interessi degli Stati membri. A tal riguardo, «i beneficiari del diritto di soggiorno non devono divenire un onere “eccessivo” per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante» (93). Tuttavia, la Corte ha anche dichiarato che «l’applicazione di tali limitazioni e condizioni dev’essere operata nel rispetto dei limiti imposti a tal riguardo dal diritto [dell’Unione] e in conformità ai principi generali del medesimo, in particolare al principio di proporzionalità» (94). In altri termini, i provvedimenti nazionali adottati a tal fine devono essere appropriati e necessari per l’attuazione dello scopo perseguito (95).
120. Nel valutare la proporzionalità nel presente caso, il giudice nazionale dovrà tener conto del fatto che il sig. Ruiz Zambrano ha lavorato a tempo pieno per quasi cinque anni presso la Plastoria. Il suo impiego è stato dichiarato presso l’Office national de la sécurité sociale. Egli ha versato le detrazioni previdenziali previste per legge e il suo datore di lavoro ha pagato i corrispondenti contributi a suo carico. In tal modo, egli ha contribuito in maniera progressiva e regolare alle finanze pubbliche dello Stato membro ospitante.
121. A mio parere, si tratta di elementi che portano alla conclusione secondo cui sarebbe sproporzionato non riconoscere un diritto di soggiorno derivato nel presente caso. Tuttavia, la decisione finale spetta al giudice nazionale e ad egli solo.
122. Concludo pertanto che gli artt. 20 e 21 TFUE debbono essere interpretati nel senso che conferiscono un diritto di soggiorno nel territorio degli Stati membri, basato sulla cittadinanza dell’Unione, diritto che è indipendente dal diritto di circolazione tra gli Stati membri. Tali disposizioni non impediscono ad uno Stato membro di negare la concessione di un soggiorno derivato all’ascendente di un cittadino dell’Unione che sia cittadino dello Stato membro interessato e che non abbia ancora esercitato i diritti di libera circolazione, purché tale decisione risponda al principio di proporzionalità.
Questione n. 2 – Discriminazione alla rovescia
123. Con la presente questione si chiede se l’art. 18 TFUE possa essere fatto valere per risolvere una discriminazione alla rovescia determinata dall’interazione tra il diritto dell’Unione (in questo caso, le disposizioni che disciplinano la cittadinanza dell’Unione) e il diritto nazionale. Il problema può essere presentato nel modo seguente. Se dei minori in tenera età (come Catherine Zhu) hanno acquisito la cittadinanza di uno Stato membro diverso da quello di residenza, i genitori (o uno di essi) godranno di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro ospitante in forza dell’art. 21 TFUE e della sentenza Zhu e Chen della Corte. Diego e Jessica sono cittadini belgi e risiedono in Belgio. Può il sig. Ruiz Zambrano far valere l’art. 18 TFUE il quale vieta, nell’ambito di applicazione dei Trattati, «ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità», al fine di invocare lo stesso diritto derivato di soggiorno?
124. Nel caso in cui la Corte accetti il ragionamento che ho proposto riguardo alla questione n. 1, la presente questione diventa superflua. Qualora la Corte non dovesse seguirlo, diventa necessario valutare se l’art. 18 TFUE possa essere invocato per risolvere una discriminazione alla rovescia di questo tipo.
La giurisprudenza vigente: critica
125. Nella sentenza Baumbast (96), la Corte ha dichiarato che l’art. 18 CE (divenuto art. 21 TFUE) ha effetto diretto e attribuisce ai cittadini non economicamente attivi un diritto autonomo di libera circolazione. Ciò facendo, essa ha esteso i diritti di libera circolazione a soggetti privi di legami diretti con l’economia del mercato unico, e che non possono quindi invocare i diritti «classici» alla libera circolazione. L’evoluzione è stata, a mio avviso, coerente e inevitabile, nel solco della logica che è partita dalla creazione della cittadinanza dell’Unione. Dovendo trasformarsi in qualcosa di più di una struttura adeguata ed efficace per lo sviluppo del commercio, l’Unione europea era tenuta garantire un ruolo appropriato per coloro che aveva deciso di iniziare a definire come suoi cittadini (97).
126. Tale evoluzione ha però necessariamente comportato una serie di ulteriori conseguenze.
127. In primo luogo, dal momento che gli Stati membri hanno deciso di aggiungere, al concetto esistente di cittadinanza, uno status nuovo e complementare di «cittadino dell’Unione», è divenuto impossibile considerare tali individui come semplici fattori economici di produzione. I cittadini non sono «risorse» utilizzate per la produzione di beni e servizi, bensì individui legati ad una comunità politica e protetti da diritti fondamentali (98).
128. In secondo luogo, quando dei cittadini circolano, lo fanno come esseri umani e non come robot. Essi si innamorano, si sposano e creano famiglie. Il nucleo familiare, a seconda delle circostanze, può comporsi soltanto di cittadini dell’Unione o di cittadini dell’Unione e di paesi terzi, strettamente legati gli uni agli altri. Se i membri della famiglia non vengono trattati allo stesso modo del cittadino dell’Unione che esercita il diritto di circolare liberamente, il concetto di libera circolazione viene svuotato di ogni reale significato (99).
129. In terzo luogo, riconoscendo diritti fondamentali in forza del diritto dell’Unione ai propri cittadini, e stabilendo che tali diritti costituiscono il fondamento stesso dell’Unione (art. 6, n. 1, TFUE), l’Unione europea si è vincolata al principio per cui i cittadini che esercitano i diritti alla libera circolazione lo faranno essendo protetti da questi diritti fondamentali (100).
130. In quarto luogo, ratificando il Trattato di Maastricht e i Trattati di modifica successivi, gli Stati membri hanno accettato che – essendo i loro cittadini anche cittadini dell’Unione – il compito di occuparsi delle tensioni e delle difficoltà derivanti dall’esercizio dei diritti di libera circolazione da parte di tali cittadini è un compito condiviso: esso è di pertinenza dei singoli Stati membri ma anche dell’Unione europea (101).
131. Queste conseguenze risultano in contrasto con l’idea che uno debba semplicemente seguire, in osservanza della cittadinanza dell’Unione, l’approccio ortodosso alla libera circolazione delle merci e alla libertà di circolazione dei lavoratori autonomi e subordinati e dei capitali.
132. La ratio sottostante alle libertà fondamentali economiche è la creazione di un mercato unico attraverso l’eliminazione delle barriere al commercio e il rafforzamento della concorrenza. Gli strumenti che il Trattato conferisce per il perseguimento degli obiettivi del mercato unico (elencati, tra l’altro, nell’attuale art. 3 TUE) sono stati sviluppati di conseguenza dalla Corte. In tal modo, la Corte ha tra l’altro definito alcuni criteri per stabilire cosa costituisce il necessario nesso con ciascuna delle libertà fondamentali. Per fare un esempio: sin dalla sentenza Dassonville (102) la circolazione fisica tanto potenziale quanto effettiva è stata rilevante per la libera circolazione delle merci. Benché la giurisprudenza specifica non imponga che una precedente effettiva circolazione abbia avuto luogo, è tuttavia l’idea della circolazione (anche se si tratta di una circolazione ipotetica) che tuttora funge da cardine per i diritti garantiti dalle libertà fondamentali.
133. Una conseguenza di tale approccio al mercato interno è il rischio che fattori «statici» di produzione rimarranno in una posizione deteriore rispetto alle loro controparti «dinamiche», anche se sotto tutti gli altri profili la loro situazione può apparire analoga o identica. Il risultato è una discriminazione alla rovescia determinata dall’interazione tra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale – discriminazione la cui soluzione fino ad ora la Corte ha lasciato agli Stati membri, anche se un simile risultato è, di primo acchito, una violazione del principio di non discriminazione sulla base della cittadinanza (103).
134. Si tratta di un risultato accettabile, sotto il profilo del diritto dell’Unione, nel presente contesto specifico della cittadinanza dell’Unione?
135. Un esame di tre recenti sentenze serve a dimostrare che continuare ad applicare questo approccio tradizionale e liberista può generare risultati che sono curiosamente casuali (104).
136. Come deriva dalla sentenza Carpenter (105), un lavoratore autonomo che ha clienti in un altro Stato membro può conferire un diritto di soggiorno derivato al proprio coniuge cittadino di un paese terzo, nell’interesse della tutela del diritto alla vita familiare. Se lo stesso lavoratore autonomo ha clienti solo nel proprio Stato membro, il diritto dell’Unione è irrilevante. Ora però, e precisamente a causa del successo del mercato interno, fare una distinzione così netta tra lavoratori autonomi che hanno interessi in un altro Stato membro e lavoratori autonomi che hanno interessi soltanto nel proprio Stato membro diventa problematico. Il sig. Carpenter viaggiava occasionalmente in altri Stati membri per vendere annunci pubblicitari su riviste. E se non si fosse spostato fisicamente ma avesse continuato a fornire occasionalmente servizi ai clienti in altri Stati membri, tramite telefono o Internet? E se tra i suoi clienti vi fossero state per caso delle consociate, all’interno del Regno Unito, di società madri tedesche o francesi? E se avesse, almeno in un caso, venduto uno spazio pubblicitario su una rivista ad un cliente non stabilito esclusivamente nel Regno Unito?
137. Nella sentenza Zhu e Chen (106), la madre cinese di Catherine Chen ha potuto acquisire un diritto derivato di soggiorno come risultato della cittadinanza irlandese della figlia, acquisita grazie all’applicazione della norma extraterritoriale che allora faceva parte della legge sulla cittadinanza di quello Stato membro. Ogni «circolazione» in quel caso è avvenuta attraverso il canale di San Giorgio, tra l’Inghilterra e l’Irlanda del Nord, all’interno di un solo ed unico Stato membro (il Regno Unito). Un nesso sufficiente con il diritto dell’Unione tuttavia esisteva per consentire sia alla madre che alla figlia di invocare diritti di soggiorno nel Regno Unito. Ciò è avvenuto facendo in modo che Catherine Zhu nascesse in Irlanda del Nord. Ma dovrebbe essere una questione di casualità governata dalla storia (la norma extraterritoriale nella legge sulla cittadinanza esistente in uno Stato membro) a decidere la possibilità di invocare il diritto dell’Unione in circostanze di questo tipo? È un risultato ragionevole in termini di certezza del diritto e di parità di trattamento dei cittadini dell’Unione?
138. La recente decisione nel caso Metock è un esempio evidente dell’incertezza – e della conseguente discriminazione. Nel 2003, la Grande Sezione ha dichiarato nella sentenza Akrich che «per poter godere dei diritti di cui all’art. 10 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612/68, relativo alla libera circolazione di lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), il cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, deve soggiornare legalmente in uno Stato membro quando il suo spostamento avviene verso un altro Stato membro, in cui il cittadino dell’Unione emigri o sia emigrato» (107). Cinque anni dopo, la Corte ha affermato che, alla luce delle sentenze MRAX (108) e Commissione/Spagna (109), la sentenza Akrich doveva essere riconsiderata. E così è stato. Il godimento degli stessi diritti che erano in esame nel caso Akrich non può ora dipendere dal precedente soggiorno legale del coniuge cittadino di un paese terzo in un altro Stato membro. La Corte ha tuttavia continuato a distinguere tra cittadini dell’Unione che abbiano già esercitato diritti alla libera circolazione e quelli che non lo hanno fatto, ricordando laconicamente che tutti gli Stati membri hanno firmato la CEDU e che l’art. 8 della CEDU tutela il diritto alla vita familiare (110). I cittadini «statici» dell’Unione continuavano perciò a subire le potenziali conseguenze della discriminazione alla rovescia anche se i diritti dei cittadini «dinamici» dell’Unione venivano notevolmente estesi.
Una proposta
139. A mio avviso, vi sono aspetti notevolmente negativi nell’attuale linea di ragionamento della Corte. Ritengo quindi che sia giunto il momento di suggerire alla Corte di affrontare apertamente il problema della discriminazione alla rovescia. Gli argomenti che mi accingo a esporre seguono la linea da me suggerita nel caso Governo della Comunità francese e Governo vallone; ma mi spingerò a proporre – nel contesto specifico di casi relativi ai diritti di cittadinanza ai sensi dell’art. 21 TFUE – alcuni criteri che potrebbero essere impiegati per stabilire se l’art. 18 TFUE possa di per sé essere invocato per contrastare questo tipo di discriminazione.
140. Un mutamento radicale nell’intera giurisprudenza sulla discriminazione alla rovescia non avverrà da un momento all’altro. D’altronde non è quello che mi accingo a proporre. Le mie indicazioni si limitano ai casi che riguardano la cittadinanza dell’Unione. È questo il settore in cui gli esiti dell’attuale giurisprudenza sono con maggior evidenza deleteri e quello in cui forse vi è il maggior bisogno di un cambiamento.
141. I casi sui quali mi sono poc’anzi soffermata – Carpenter, Zhu e Chen e Metock – hanno in comune due caratteristiche. Essi creano incertezza giuridica in un settore delicato tanto del diritto dell’Unione quanto del diritto interno; e si tratta di casi in cui la Corte ha optato per un’interpretazione generosa dell’art. 21 TFUE al fine di proteggere i diritti fondamentali. Nel bilanciare certezza giuridica e protezione dei diritti fondamentali, la Corte ha infatti costantemente dato precedenza a questi ultimi. Il suo ragionamento ben si accorda con la sua precedente fondamentale affermazione secondo cui la cittadinanza dell’Unione è «destinata ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri» (111).
142. Tuttavia, l’incertezza determinata dalla giurisprudenza non è conveniente. E allora, in quale direzione dovrebbe ora muoversi la Corte?
143. Da un lato, occorre evitare la tentazione di «allungare» l’art. 21 TFUE per estendere la protezione a quanti non possono beneficiarne «per poco». Ogni norma che conferisce un diritto deve avere un limite. Se tale limite non esiste, la norma diventa indecifrabile e nessuno potrà dire con certezza chi può godere dei benefici che da essa derivano e chi no. Questo non è nell’interesse degli Stati membri né dei cittadini; e mette a repentaglio l’autorità della Corte. Dall’altro lato, se l’art. 21 TFUE viene interpretato in maniera troppo restrittiva, si verrà a creare un numero maggiore di casi di discriminazione alla rovescia di cui gli Stati membri si dovranno occupare. Neppure questo appare sembra un risultato troppo soddisfacente.
144. Suggerisco pertanto alla Corte che l’art. 18 TFUE venga interpretato nel senso che vieta la discriminazione alla rovescia provocata dall’interazione tra l’art. 21 TFUE e una legge nazionale che implica una violazione dei diritti fondamentali tutelati dal diritto dell’Unione, almeno quando non sia possibile una tutela equivalente in base al diritto nazionale.
145. Se fosse seguita una siffatta interpretazione, l’art. 18 TFUE diverrebbe applicabile quando (ma solo quando) fossero soddisfatti tre requisiti cumulativi.
146. Anzitutto, il ricorrente dovrebbe essere un cittadino dell’Unione, residente nello Stato membro di cui è cittadino e che non abbia esercitato i diritti alla libera circolazione ai sensi del TFUE (il classico diritto economico di libera circolazione oppure la libera circolazione ai sensi dell’art. 21 TFUE), la cui situazione sia però comparabile, sotto altri profili sostanziali, a quella di altri cittadini dell’Unione nel medesimo Stato membro che siano in grado di invocare i diritti derivanti dall’art. 21 TFUE. In questo modo, la contestata discriminazione alla rovescia risulterebbe provocata dal fatto che i termini di riferimento appropriati (gli altri cittadini dell’Unione) potrebbero far valere diritti derivanti dall’art. 21 TFUE mentre un cittadino dell’Unione «statico» residente nello Stato membro di cui è cittadino non potrebbe basarsi prima facie sul diritto nazionale per una simile tutela.
147. In secondo luogo, la contestata discriminazione alla rovescia dovrebbe comportare una violazione di un diritto fondamentale tutelato ai sensi del diritto dell’Unione. Non tutti gli esempi minori di discriminazione alla rovescia sarebbero soggetti all’art. 18 TFUE. Quello che costituisce una «violazione di un diritto fondamentale» sarebbe definito ove possibile facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (112). Laddove la discriminazione alla rovescia portasse ad un risultato considerato come una violazione di un diritto protetto dalla Corte di Strasburgo, esso potrebbe essere del pari giudicato come una violazione di un diritto tutelato dalla Corte di giustizia. In tal modo, il diritto dell’Unione si assumerebbe la responsabilità di rimediare alle conseguenze della discriminazione alla rovescia provocate dall’interazione tra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale solo quando tali conseguenze fossero in contrasto con i livelli minimi di tutela individuati dalla CEDU. Garantendo così, in simili circostanze, un’effettiva protezione dei diritti fondamentali ai livelli minimi di «Strasburgo», la Corte in parte anticiperebbe i requisiti che potrebbero scaturire dalla programmata adesione dell’Unione europea alla CEDU. Una simile evoluzione non potrebbe che rafforzare l’attuale spirito di cooperazione e di reciproca fiducia tra le due giurisdizioni (113).
148. In terzo luogo, l’art. 18 TFUE si potrebbe utilizzare solo come rimedio ausiliario, limitatamente a situazioni in cui il diritto nazionale non fornisce una tutela adeguata dei diritti fondamentali. Il diritto dell’Unione ha una lunga tradizione di conferimento di tutela a carattere sussidiario. Per esempio, i principi di effettività (114) e di equivalenza (115), il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (116) e il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione (117) sono tutti strumenti che sono entrati in gioco solo quando le norme interne si sono rivelate inadeguate. Quest’ultimo requisito è utile a mantenere un adeguato equilibrio tra l’autonomia dello Stato membro e l’«effetto utile» del diritto dell’Unione (118). Esso garantisce che una tutela sussidiaria in forza del diritto dell’Unione vada a completare il diritto nazionale anziché calpestarlo. Spetterebbe al giudice nazionale stabilire a) se il diritto nazionale prevedeva una tutela e b) nel caso in cui fosse prevista una tutela in linea di principio, se essa fosse (o non fosse) almeno equivalente alla protezione prevista dal diritto dell’Unione.
149. All’udienza, il legale del sig. Ruiz Zambrano ha spiegato che il Consiglio di Stato e la Corte costituzionale del Belgio si sono recentemente pronunciati sulla discriminazione alla rovescia subita da un cittadino di un paese terzo che versava in una situazione analoga a quella del suo cliente (119). Naturalmente spetta interamente al giudice nazionale stabilire se, nel presente caso, il sig. Ruiz Zambrano possa derivare la necessaria tutela dal diritto nazionale, senza ricorrere all’art. 18 TFUE. Secondo quanto da me proposto, sarebbe sempre compito del giudice nazionale applicare i tre criteri cumulativi che ho suggerito; e permettere di invocare il diritto dell’Unione per prevenire la discriminazione alla rovescia solo nel caso in cui questi tre criteri siano soddisfatti.
150. Suggerisco pertanto di risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 18 TFUE dovrebbe essere interpretato nel senso che vieta una discriminazione alla rovescia provocata dall’interazione tra l’art. 21 TFUE e il diritto nazionale che implichi una violazione di un diritto fondamentale tutelato dal diritto dell’Unione, almeno nel caso in cui una tutela equivalente non sia prevista dal diritto nazionale.
Questione n. 3 – I diritti fondamentali
151. Nel caso in cui la Corte ritenga che tanto alla prima quanto alla seconda questione (come sopra illustrate) debba darsi una soluzione che non accoglie le richieste del sig. Ruiz Zambrano, diventa necessario affrontare la terza questione. Può il ricorrente invocare il diritto fondamentale dell’Unione alla vita familiare indipendentemente da ogni altra disposizione del diritto dell’Unione?
152. La domanda pone una questione di principio di primaria importanza: qual è la portata dell’applicazione dei diritti fondamentali ai sensi del diritto dell’Unione? Possono essere fatti valere come diritti autonomi nei confronti di uno Stato membro? O deve esistere un altro nesso con il diritto dell’Unione? Non vi è motivo di dilungarsi sul potenziale significato della risposta a tale questione.
153. La stessa Corte, naturalmente, è stata responsabile per il primo riconoscimento dei principi di diritto fondamentali e dei diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione (120). Nel 1992 i frutti di tale giurisprudenza sono stati incorporati all’interno del Trattato sull’Unione europea, sancendo (all’art. 6 TUE) il dovere dell’Unione di rispetta[re] i diritti fondamentali.
154. Negli anni seguenti, l’Unione europea ha rafforzato la sua politica in tema di diritti fondamentali istituendo (per esempio) l’Agenzia per i diritti fondamentali (121), creando un portafoglio autonomo all’interno della Commissione responsabile per i diritti fondamentali (122), sostenendo progetti di aiuti umanitari nel mondo (123) e trasformando la Carta europea dei diritti fondamentali, proclamata per la prima volta nel 2000, da testo non vincolante («soft law») in diritto primario (124). I diritti fondamentali sono così divenuti un elemento centrale nell’evoluzione dell’Unione come processo di integrazione economica, giuridica e sociale volto a garantire pace e prosperità per tutti i propri cittadini.
155. Naturalmente, è vero che la Corte non è, di per sé, una «Corte dei diritti umani». Quale supremo interprete del diritto dell’Unione, la Corte tuttavia ha una responsabilità permanente di garantire il rispetto di tali diritti nell’ambito delle competenze dell’Unione. In effetti, nella sentenza Bosphorus (125) la Corte di Strasburgo ha spiegato che la Corte di giustizia europea svolge un ruolo fondamentale nel salvaguardare i diritti derivanti dalla CEDU e dai protocolli ad essa allegati nei limiti in cui si applicano alle materie disciplinate dal diritto dell’Unione – funzione che non potrà che assumere un significato maggiore a mano a mano che l’Unione europea aderirà alla CEDU (126). Per questo motivo è essenziale che la Corte garantisca un’interpretazione dei Trattati che rifletta, coerentemente, l’attuale ruolo e significato dei diritti fondamentali dell’Unione.
La portata dell’applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione europea
156. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, è possibile invocare i diritti fondamentali dell’Unione europea solo quando il provvedimento contestato ricada nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (127). Tutti i provvedimenti adottati dalle istituzioni sono pertanto soggetti ad una valutazione quanto al loro rispetto dei diritti fondamentali dell’Unione. Lo stesso vale per gli atti degli Stati membri emanati nell’esecuzione di obblighi derivanti dal diritto dell’Unione o, più in generale, che ricadono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (128). Si tratta di un aspetto ovviamente delicato (129), poiché riconduce la tutela dei diritti fondamentali dell’Unione nell’ambito di ciascuno Stato membro, dove coesiste assieme ai livelli di tutela dei diritti fondamentali sanciti dal diritto nazionale o dalla CEDU. I problemi che conseguentemente derivano riguardo alla sovrapposizione tra livelli di tutela in forza dei diversi sistemi (diritto dell’Unione, diritto costituzionale nazionale e CEDU) e il livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dall’Unione europea sono ben noti (130); e non è mia intenzione analizzarli oltre nel presente contesto.
157. La Corte ha elaborato un’ampia giurisprudenza a conferma della sua iniziale affermazione nella sentenza Wachauf (131) secondo cui «dette esigenze [inerenti ai diritti fondamentali] vincolano parimenti gli Stati membri quando essi danno esecuzione alle discipline [dell’Unione]». Significativamente, tale regola è stata dichiarata applicabile anche quando uno Stato membro deroga ad una libertà economica fondamentale garantita dal diritto dell’Unione (132). Nella sentenza Carpenter (133), la Corte si è spinta oltre, basandosi sulla giurisprudenza sul «cold-calling» [marketing telefonico senza il consenso dei soggetti interessati] nella sentenza Alpine Investments (134) per tutelare i diritti fondamentali di un cittadino dell’Unione (il sig. Carpenter) che risiedeva nel suo Stato membro ma prestava occasionalmente servizi a clienti situati in altri Stati membri. Il riconoscimento del fatto che l’espulsione della sig.ra Carpenter avrebbe costituito un’ingerenza sproporzionata con il diritto del sig. Carpenter alla vita familiare ha avuto per effetto di accordare alla sig.ra Carpenter – cittadina di un paese terzo che non avrebbe potuto esercitare i diritti dell’Unione alla libera circolazione – un diritto di soggiorno.
158. La Corte ha comunque applicato taluni limiti alla portata dei diritti fondamentali dell’Unione – specificamente in relazione a situazioni che a suo giudizio si collocano fuori del campo di applicazione del diritto dell’Unione.
159. Per esempio, nella sentenza Maurin (135), il convenuto era imputato per aver messo in vendita derrate alimentari la cui data limite di consumo era scaduta. Egli lamentava una violazione dei suoi diritti della difesa nel corso del procedimento nazionale. La Corte ha sottolineato che, anche se esisteva una direttiva che impone di indicare una data di scadenza sulle derrate alimentari, la direttiva non disciplinava la vendita di prodotti correttamente etichettati ma la cui data limite di consumo fosse scaduta. Di conseguenza, l’infrazione addebitata al sig. Maurin «riguarda[va] una disciplina nazionale che si colloca al di fuori del campo di applicazione del diritto [dell’Unione], di modo che la Corte non [era] competente a pronunciarsi su un’eventuale violazione dei principi relativi alla tutela dei diritti della difesa ed al rispetto del contraddittorio da parte di norme di procedura che si applicano ad una tale infrazione» (136).
160. Nella sentenza Kremzow (137) la Corte ha parimenti respinto il ricorso di un cittadino austriaco che era stato condannato in Austria a conclusione di un processo che successivamente la Corte di Strasburgo aveva dichiarato contrario al diritto ad un equo processo ai sensi dell’art. 6 della CEDU. Il sig. Kremzov aveva chiesto un risarcimento danni, lamentando una violazione del suo diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto dell’Unione derivante dalla sua illegittima carcerazione. La Corte non ha accolto tale interpretazione ed ha affermato che «anche se ogni privazione di libertà è tale da ostacolare l’esercizio da parte dell’interessato del suo diritto alla libera circolazione, (…) la prospettiva puramente ipotetica di un tale esercizio non presenta un nesso sufficiente con il diritto [dell’Unione], tale da giustificare l’applicazione delle disposizioni [dell’Unione]» (138).
161. La sentenza Kremzow aggiunge tuttavia un tassello importante alla giurisprudenza precedente. Dopo aver confermato la natura ipotetica della domanda, la Corte ha dichiarato che «il signor Kremzow è stato condannato per omicidio e detenzione illegale di arma da fuoco in forza di disposizioni del diritto nazionale che non erano destinate a garantire l’osservanza di norme di diritto [dell’Unione], [e di conseguenza] che la normativa nazionale che si applica nella fattispecie della causa principale riguarda una situazione che non rientra nel campo di applicazione del diritto [dell’Unione]» (139). A contrario, da ciò sembra derivare che un nesso rilevante con il diritto dell’Unione si sarebbe potuto trovare ove le infrazioni fossero state connesse ad un settore della politica dell’Unione (per esempio, se fossero state previste per garantire il rispetto di un obiettivo dell’Unione sancito dal diritto derivato dell’Unione) (140).
162. Ai fini del problema relativo ai diritti fondamentali sono rilevanti lo specifico settore di diritto interessato e la portata della competenza dell’Unione in tale settore di diritto? Questa sembra una domanda importante da porre. Il desiderio di promuovere un’adeguata tutela dei diritti fondamentali non deve portare ad un’usurpazione di competenza. Fino a quando i poteri dell’Unione europea resteranno basati sul principio di attribuzione, i diritti fondamentali dell’Unione debbono rispettare i limiti di tale attribuzione (141).
163. La trasparenza e la chiarezza esigono che si possa stabilire con certezza cosa significhi «portata del diritto dell’Unione» ai fini della tutela dei diritti fondamentali dell’Unione. Mi sembra che, a lungo andare, la regola più chiara sarebbe quella che rende la possibile tutela dei diritti fondamentali dell’Unione dipendente non dal fatto che una disposizione del Trattato fosse direttamente applicabile né dal fatto che il diritto derivato sia stato emanato, ma piuttosto dall’esistenza e dalla portata di una competenza materiale dell’Unione. Per dirla in altri termini: la regola sarebbe che, purché l’Unione abbia competenza (esclusiva o condivisa) in un particolare settore di diritto, i diritti fondamentali dell’Unione dovrebbero tutelare il cittadino dell’Unione anche se tale competenza non è stata ancora esercitata.
164. Qual è il motivo di questo mio suggerimento?
165. Gli Stati membri hanno conferito all’Unione europea competenze che le attribuiscono il potere di adottare provvedimenti che prevarranno sul diritto nazionale e possono avere effetto diretto. Di conseguenza, una volta che tali poteri sono stati attribuiti, l’Unione europea dovrebbe avere sia il potere sia la responsabilità di garantire i diritti fondamentali, a prescindere dal fatto che i suddetti poteri siano stati di fatto esercitati. L’Unione «si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani» (142). Tale garanzia del Trattato non dovrebbe essere subordinata all’esercizio effettivo del potere legislativo. In un’Unione europea basata sui diritti fondamentali e sullo Stato di diritto, la tutela non dovrebbe dipendere dall’iniziativa legislativa delle istituzioni e dal processo politico. Una simile tutela contingente dei diritti è in antitesi con il modo in cui le democrazie contemporanee legittimano l’autorità dello Stato (143).
166. Simile approccio avrebbe una serie di vantaggi.
167. In primo luogo, esso evita la necessità di creare o di promuovere fittizi o ipotetici «nessi con il diritto dell’Unione» come quelli che in passato a volte hanno confuso e forse ampliato la portata dell’applicazione delle disposizioni del Trattato. Una persona che abbia esercitato i diritti alla libera circolazione non dovrebbe aver bisogno di dimostrare un nesso tra i diritti fondamentali successivamente invocati e l’agevolazione di tale libertà di circolazione (144). Una persona che non abbia ancora esercitato tali diritti non dovrebbe aver bisogno di adoperarsi in tal senso per creare le circostanze in cui potrebbe usufruire della tutela di diritti fondamentali (145) (la libera circolazione per ricevere servizi è, forse, tra le quattro libertà la più semplice da utilizzare sotto questo profilo). La discriminazione alla rovescia nei confronti di cittadini di uno Stato membro causata dalla tutela dei diritti fondamentali dell’Unione riconosciuta ai loro concittadini dell’Unione e ai connazionali che abbiano esercitato i diritti alla libera circolazione cesserebbe di esistere (146). In futuro non vi sarebbero più differenze (per quel che riguarda la tutela dei diritti fondamentali dell’Unione) tra politiche armonizzate in tutto o in parte. In termini di certezza giuridica, il progresso sarebbe notevole.
168. In secondo luogo, una simile interpretazione manterrebbe il diritto dell’Unione entro i limiti dei propri poteri. La tutela dei diritti fondamentali ai sensi del diritto dell’Unione sarebbe rilevante solo se le circostanze sulla base delle quali viene invocata rientrano in un settore di competenza esclusiva o condivisa dell’Unione (147). Il tipo di competenza di cui trattasi sarebbe rilevante per definire l’apposito ambito di tutela. In caso di competenza condivisa, la stessa logica sottostante la condivisione delle competenze tenderebbe ad implicare che la tutela dei diritti fondamentali in base al diritto dell’Unione sia complementare a quella fornita dal diritto nazionale (148). (Questo rispecchia l’interpretazione che ho in precedenza suggerito riguardo alla discriminazione alla rovescia).
169. In terzo luogo, se si sapesse che i diritti fondamentali ai sensi del diritto dell’Unione sono garantiti in tutti i settori di competenza condivisa o esclusiva dell’Unione, gli Stati membri sarebbero incoraggiati a procedere con il diritto derivato dell’Unione in talune aree particolarmente delicate (come l’immigrazione o il diritto penale), il che implicherebbe un’adeguata definizione della portata esatta dei diritti fondamentali dell’Unione, anziché lasciare la soluzione del problema dei diritti fondamentali alla Corte su un fondamento ad hoc, a mano a mano che essi vengono contestati.
170. In quarto luogo, una siffatta definizione della portata dell’applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione sarebbe coerente con tutte le implicazioni della cittadinanza dell’Unione, che è destinata «ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri» (149). Tale status non si concilia con il concetto secondo cui la tutela dei diritti fondamentali è parziale e frammentaria; che dipende dall’effetto diretto di qualche disposizione sostanziale rilevante o dal fatto che il Consiglio e il Parlamento europeo abbiano esercitato poteri legislativi. A lungo andare, solo una perfetta tutela dei diritti fondamentali ai sensi del diritto dell’Unione in tutti i settori di competenza esclusiva o condivisa dell’Unione si adatterebbe al concetto di cittadinanza europea.
171. Malgrado questi notevoli vantaggi, non ritengo che un simile passo debba essere intrapreso dalla Corte unilateralmente nel caso di specie.
172. Rendere l’applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione dipendente soltanto dall’esistenza di una competenza esclusiva o condivisa dell’Unione comporterebbe l’introduzione di un elemento apertamente federale nella struttura del sistema giuridico e politico dell’Unione. In termini semplici, un cambiamento di questo tipo sarebbe analogo a quello sperimentato nel diritto costituzionale degli Stati Uniti dopo la decisione nel caso Gitlow v New York (150), in cui la Corte Suprema statunitense ha esteso la portata di numerosi diritti sanciti nel Primo emendamento della Costituzione ai singoli Stati. La giurisprudenza sull’«incorporazione», basata da allora sulla clausola del «giusto processo» contenuta nel Quattordicesimo emendamento, non esige una circolazione tra Stati né l’adozione di atti legislativi da parte del Congresso. Secondo la Corte Suprema, alcuni diritti fondamentali sono tanto significativi da collocarsi «tra i diritti fondamentali della persona e le libertà che la clausola del giusto processo (…) tutela da pregiudizi causati dagli Stati» (151).
173. L’effetto federalista della dottrina americana dell’incorporazione è ben noto. Un cambiamento di questo tipo muterebbe, in termini giuridici e politici, la natura stessa dei diritti fondamentali ai sensi del diritto dell’Unione. Esso richiede dunque tanto un’evoluzione giurisprudenziale quanto un’affermazione inequivocabilmente politica da parte dei poteri costituenti dell’Unione (i suoi Stati membri) che sottolinei un ruolo nuovo per i diritti fondamentali nell’Unione europea.
174. Ai fini del presente caso, il momento saliente è la nascita del secondo figlio del sig. Ruiz Zambrano, Diego, il 1° settembre 2003. È questo avvenimento (l’introduzione nell’equazione di un cittadino dell’Unione) che – nel caso in cui il sig. Ruiz Zambrano abbia ragione – avrebbe dovuto portare le autorità belghe a riconoscergli diritti derivati di soggiorno e a valutare conseguentemente la sua richiesta di indennità di disoccupazione.
175. All’epoca, il Trattato sull’Unione europea era rimasto sostanzialmente immutato sin da Maastricht. La Corte aveva chiaramente affermato nel suo parere 2/94 che l’Unione europea, in quel momento, non aveva il potere di ratificare la Convenzione europea sui diritti dell’uomo (152). La carta era ancora “soft law”, priva di efficacia diretta o di riconoscimento a livello del Trattato. Il Trattato di Lisbona non era nemmeno all’orizzonte. Considerato questo scenario, semplicemente non ritengo che fosse avvenuta la necessaria evoluzione costituzionale negli elementi fondamentali dell’Unione europea, che avrebbe giustificato una dichiarazione nel senso che i diritti fondamentali in forza del diritto dell’Unione potevano essere invocati indipendentemente come diritti autonomi.
176. Concludo pertanto, rispondendo all’ultima questione da me riformulata, che all’epoca dei fatti rilevanti il diritto fondamentale alla vita familiare ai sensi del diritto dell’Unione non poteva essere invocato come diritto autonomo, a prescindere da un qualunque altro nesso con il diritto dell’Unione, né da un cittadino di un paese terzo né da un cittadino dell’Unione, che si trovasse nel territorio dello Stato membro di cui era cittadino o altrove nel territorio degli Stati membri.
177. Nel suggerire tale soluzione, riconosco che la Corte non dovrebbe anticipare il cambiamento in modo evidente. Suggerisco però che (il prima possibile) la Corte debba scegliere se rimanere al passo con una situazione in evoluzione o restare dietro a sviluppi legislativi e politici che hanno già avuto luogo. Ad un certo punto, la Corte probabilmente dovrà occuparsi di un caso – si sospetta un rinvio pregiudiziale da parte di un giudice nazionale – che le chiederà di affrontare la questione se l’Unione non sia ora al bivio di un mutamento costituzionale (come la stessa Corte ha in parte previsto quando ha emanato il parere 2/94). La risposta a tale questione può essere rinviata per il momento, ma probabilmente non altrettanto a lungo.
Conclusione
178. Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che la Corte debba risolvere le questioni proposte dal Tribunal du travail di Bruxelles nel seguente modo:
– gli artt. 20 e 21 TFUE (in precedenza, artt. 17 e 18 CE) debbono essere interpretati nel senso che conferiscono un diritto di soggiorno nel territorio degli Stati membri, basato sulla cittadinanza dell’Unione, diritto che è indipendente dal diritto di circolazione tra gli Stati membri. Tali disposizioni non impediscono ad uno Stato membro di negare la concessione di un diritto di soggiorno derivato all’ascendente di un cittadino dell’Unione che sia cittadino dello Stato membro interessato e che non abbia ancora esercitato i diritti di libera circolazione, purché tale decisione risponda al principio di proporzionalità;
– l’art. 18 TFUE (in precedenza art. 12 CE) deve essere interpretato nel senso che vieta una discriminazione alla rovescia provocata dall’interazione tra l’art. 21 TFUE e il diritto nazionale che implichi una violazione di un diritto fondamentale tutelato dal diritto dell’Unione, per lo meno nel caso in cui una tutela equivalente non sia prevista dal diritto nazionale;
– all’epoca dei fatti della causa principale il diritto fondamentale alla vita familiare ai sensi del diritto dell’Unione non poteva essere invocato come diritto autonomo, indipendentemente da un qualunque altro nesso con il diritto dell’Unione, né da un cittadino di un paese terzo né da un cittadino dell’Unione, che si trovasse nel territorio dello Stato membro di cui era cittadino o altrove nel territorio degli Stati membri.