Language of document : ECLI:EU:T:2012:672

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

12 dicembre 2012 (*)

«Concorrenza – Concentrazioni – Decisione che infligge un’ammenda per la realizzazione di un’operazione di concentrazione – Obbligo di sospensione dell’operazione di concentrazione – Obbligo di motivazione – Errore di valutazione – Prescrizione – Importo dell’ammenda»

Nella causa T‑332/09,

Electrabel, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata da M. Pittie e P. Honoré, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da A. Bouquet e V. Di Bucci, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, una domanda di annullamento della decisione C(2009) 4416 def. della Commissione, del 10 giugno 2009, che infligge un’ammenda per un’operazione di concentrazione in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio (Caso COMP/M.4994 – Electrabel/Compagnie nationale du Rhône), e, in subordine, una domanda di annullamento dell’ammenda, inflitta alla ricorrente con tale decisione, o di riduzione del suo importo,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto da O. Czúcz (relatore), presidente, da I. Labucka e D. Gratsias, giudici,

cancelliere: C. Kristensen, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 novembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La ricorrente, Electrabel, è una società di diritto belga che esercita fondamentalmente attività di produzione, di vendita, di commercio e di gestione operativa di reti, nel settore dell’elettricità e del gas naturale. All’epoca dei fatti faceva parte del gruppo Suez, un gruppo industriale attivo nella gestione di servizi di pubblica utilità quale partner di enti, di imprese e di privati nei settori dell’elettricità, del gas, dei servizi all’energia, dell’acqua e dell’igiene. Dal 22 luglio 2008 fa parte del gruppo GDF Suez, sorto dalla fusione tra il gruppo Gaz de France e il gruppo Suez ed esercita le sue attività in Francia attraverso la propria controllata Electrabel France.

2        La Compagnie nationale du Rhône (CNR) è un’impresa pubblica francese avente il compito di svolgere lavori di adattamento e sfruttamento del Rodano nell’ambito di una concessione rilasciata dallo Stato francese e costituente oggetto di un quadro normativo specifico, come emerge, in particolare, dalla legge francese n. 80‑3, del 4 gennaio 1980, che disciplina CNR (JORF del 5 gennaio 1980, pag. 41). CNR produce e commercializza energia elettrica. Offre inoltre prestazioni di ingegneria fluviale in Francia e in un’altra ventina di paesi. Nel suo statuto viene precisato che si tratta di una società per azioni di interesse nazionale, soggetta al controllo dello Stato alle stesse condizioni delle imprese pubbliche nazionali. Essa è dotata di un consiglio di vigilanza e di un comitato di gestione.

3        La legge francese n. 2001‑1168, dell’11 dicembre 2001, recante misure urgenti di riforma di carattere economico-finanziario (JORF del 12 dicembre 2001, pag. 19703; in prosieguo: la «legge Murcef»), precisa, all’articolo 21, che CNR è una società per azioni in cui la maggioranza del capitale e dei diritti di voto è detenuta da enti territoriali, nonché da altre persone giuridiche di diritto pubblico o da imprese appartenenti al settore pubblico. Il capitale di CNR, fino a tutto il 2003, era detenuto esclusivamente da enti o imprese pubbliche il cui capitale era, all’epoca, interamente detenuto dallo Stato. I due azionisti più importanti di CNR erano, fino a quel momento, la Société nationale des chemins de fer français (SNCF) e Électricité de France (EDF).

4        Nell’ambito di un progetto di acquisizione della società tedesca Energie Baden‑Württemberg AG (in prosieguo: «EnBW»), la Commissione delle Comunità europee ha obbligato EDF ad assumere l’impegno di cedere la propria partecipazione nel capitale di CNR in forza della decisione della Commissione, del 7 febbraio 2001, che dichiara la compatibilità di una concentrazione con il mercato comune e con il funzionamento dell’accordo SEE (Caso COMP/M.1853 – EDF/EnBW) (GU 2002, L 59, pag. 1; in prosieguo: la «decisione EDF/EnBW»).

5        Il 24 giugno 2003 la ricorrente acquistava titoli di CNR, che rappresentavano il 17,86 % del suo capitale e il 16,88 % dei suoi diritti di voto.

6        Il 27 giugno 2003 EDF e la ricorrente firmavano una promessa di vendita e di acquisto di azioni in base alla quale EDF cedeva per intero alla ricorrente la propria partecipazione al capitale di CNR.

7        Il 24 luglio 2003 la ricorrente concludeva un patto fra azionisti (in prosieguo: il «patto») con la Caisse des dépôts et consignations (CDC) nell’ambito dell’acquisto, da parte di quest’ultima, della partecipazione della SNCF nel capitale di CNR. In forza di detto patto, erano previsti, in particolare:

–        un’opzione di vendita e di acquisto di azioni di CNR, in caso di abrogazione della norma di cui all’articolo 21 della legge Murcef, che concedeva alla ricorrente un diritto di prelazione per acquistare, in tutto o in parte, azioni appartenenti ad un azionista pubblico, che fossero divenute disponibili, nonché la partecipazione della CDC;

–        il voto concertato in assemblea generale e nel consiglio di vigilanza per designare i rappresentanti degli azionisti nel consiglio di vigilanza e i membri del comitato di gestione di CNR;

–        un diritto di opposizione reciproco qualora la controparte avesse previsto di concludere una convenzione di voto con uno o più fra gli altri azionisti.

8        Il 23 dicembre 2003 la ricorrente entrava in possesso dei titoli detenuti fino a quel momento da EDF e dalla chambre de commerce et d’industrie de Villefranche et du Beaujolais (Francia), portando così la propria partecipazione al 49,95 % del capitale e al 47,92 % dei diritti di voto di CNR.

9        Il 9 agosto 2007 la ricorrente chiedeva alla Commissione di formulare un parere riguardo all’acquisizione, da parte sua, del controllo esclusivo di fatto su CNR. Veniva avviato un dialogo con i servizi della Commissione onde stabilire la sussistenza o meno di siffatto controllo e precisare gli elementi di informazione necessari al deposito di un modulo di notifica ai sensi del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 24, pag. 1). Il 26 marzo 2008 veniva depositato il modulo di notifica formale in cui la ricorrente comunicava di aver assunto il controllo esclusivo di fatto di CNR nel corso del 2007 (in prosieguo: il «formulario CO»). Con decisione del 29 aprile 2008 (Caso COMP/M.4994 – Electrabel/Compagnie nationale du Rhône) (in prosieguo: la «decisione di autorizzazione»), la Commissione non si opponeva e dichiarava la suddetta concentrazione compatibile con il mercato comune ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 139/2004, pur lasciando aperta la questione della data precisa di acquisizione del controllo esclusivo di fatto su CNR da parte della ricorrente.

10      Il 17 dicembre 2008 la ricorrente riceveva una comunicazione degli addebiti secondo la quale la Commissione era pervenuta provvisoriamente alla conclusione che la concentrazione tra la ricorrente e CNR era stata posta in essere il 23 dicembre 2003 prima di esserle stata notificata e prima di essere stata dichiarata compatibile con il mercato comune, il che avrebbe configurato un’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (versione rettificata GU 1990, L 257, pag. 13), come modificato dal regolamento (CE) n. 1310/97 del Consiglio, del 30 giugno 1997 (GU L 180, pag. 1).

11      Il 13 febbraio 2009 la ricorrente rispondeva alla comunicazione degli addebiti.

12      L’11 marzo 2009 si teneva un’audizione.

13      Il 10 giugno 2009 la Commissione adottava la decisione C(2009) 4416 che infligge un’ammenda per realizzazione anticipata di un’operazione di concentrazione, in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 (Caso COMP/M.4994 – Electrabel/Compagnie nationale du Rhône) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

14      Il dispositivo della decisione impugnata è così formulato:

«Articolo 1

[La ricorrente] ha violato l’articolo 7, paragrafo 1, del [regolamento n. 4064/89], realizzando un’operazione di concentrazione di dimensione comunitaria prima di notificarla e prima che questa fosse dichiarata compatibile con il mercato comune, per il periodo compreso tra il 23 dicembre 2003 e il 9 agosto 2007.

Articolo 2

Per l’infrazione di cui all’articolo 1 viene inflitta [alla ricorrente] un’ammenda di EUR 20 000 000.

Articolo 3

L’ammenda inflitta all’articolo 2 deve essere versata in euro entro tre mesi (…)».

 Procedimento e conclusioni delle parti

15      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 agosto 2009, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

16      La ricorrente conclude, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare in toto la decisione impugnata;

–        in subordine, annullare gli articoli 2 e 3 della decisione impugnata o, quanto meno, ridurre l’importo dell’ammenda ad essa inflitta ai sensi dell’articolo 2;

–        condannare la Commissione alle spese.

17      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

18      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha posto alcuni quesiti scritti alle parti e ha chiesto alla ricorrente di produrre taluni documenti. È stata data risposta a tali quesiti entro il termine impartito.

19      Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti orali posti dal Tribunale all’udienza del 30 novembre 2011.

 In diritto

20      A sostegno del ricorso, la ricorrente formula conclusioni in via principale e conclusioni in subordine. A sostegno delle conclusioni principali, essa deduce due motivi diretti all’annullamento in toto della decisione impugnata. Il primo motivo è fondato sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 e sulla violazione dell’articolo 253 CE, dato che la Commissione non avrebbe qualificato in modo corretto l’infrazione e la decisione impugnata conterrebbe una motivazione contraddittoria. Il secondo motivo è fondato sulla violazione dell’articolo 3, paragrafo 3, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, nonché del principio secondo il quale la Commissione deve rispettare le norme che la stessa si è imposta. A sostegno delle conclusioni in subordine, essa deduce due motivi diretti all’annullamento dell’ammenda o alla riduzione del suo importo. Il terzo motivo è fondato sulla violazione dell’articolo 1 del regolamento (CEE) n. 2988/74 del Consiglio, del 26 novembre 1974, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea (GU L 319, pag. 1), in quanto il potere della Commissione di disporre una sanzione nei confronti della ricorrente è prescritto. Il quarto motivo è fondato sulla violazione dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 4064/89 e dei principi di proporzionalità, di buona amministrazione e del legittimo affidamento.

1.     Sulle conclusioni formulate in via principale, dirette all’annullamento della decisione impugnata

21      Il Tribunale ritiene utile esaminare il secondo motivo prima di procedere all’analisi del primo.

 Sul secondo motivo, fondato sulla violazione dell’articolo 3, paragrafo 3, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 nonché del principio secondo il quale la Commissione deve rispettare le norme che la stessa si è imposta

22      La ricorrente fa valere, in sostanza, che la Commissione è incorsa in vari errori considerando che essa aveva acquisito il controllo esclusivo di fatto di CNR il 23 dicembre 2003.

23      La Commissione nega che la propria analisi sia viziata da errori.

24      È necessario rammentare che l’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 definisce la realizzazione di una concentrazione come l’atto di fusione di due o più imprese precedentemente indipendenti o l’acquisizione di un controllo diretto o indiretto, sia tramite acquisto di partecipazioni nel capitale o di elementi del patrimonio, sia tramite contratto o qualsiasi altro mezzo, dell’insieme o di parti di una o più imprese da parte di una o più persone che già detengono il controllo di almeno un’impresa o da parte di una o più imprese. Tale disposizione è precisata nel paragrafo 3 del suddetto articolo 3 da cui emerge che una situazione di controllo risulta da diritti, contratti o altri mezzi che conferiscono, da soli o congiuntamente e tenuto conto delle circostanze di fatto o di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza determinante sull’attività di un’impresa.

25      Le censure della ricorrente riguardano in particolare i considerando da 40 a 173 della decisione impugnata nei quali la Commissione spiega le circostanze di fatto e di diritto che l’hanno portata a ritenere che la ricorrente avesse acquisito il controllo esclusivo di CNR ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89, a decorrere dal 23 dicembre 2003 e che, in particolare, in tale data fosse avvenuto un cambiamento duraturo di controllo. La Commissione ne conclude, al considerando 174 della decisione impugnata, che la ricorrente, dal 23 dicembre 2003, ha posto in essere un’operazione di concentrazione di dimensione comunitaria in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, in forza del quale una concentrazione che ricade nell’ambito di applicazione di detto regolamento non può essere realizzata né prima di essere notificata né prima di essere stata dichiarata compatibile con il mercato comune.

26      Nella decisione impugnata la Commissione menziona sei indizi a fondamento della propria conclusione:

–        il 23 dicembre 2003, con l’acquisto della partecipazione di EDF, la ricorrente era divenuta di gran lunga il primo azionista di CNR ed aveva la certezza di disporre, di fatto, di una maggioranza assoluta all’assemblea generale di quest’ultima, tenuto conto, in particolare, della sua quota di partecipazione del 49,95 % nel capitale di CNR, in rappresentanza del 47,92 % dei diritti di voto, del carattere assai disperso dell’azionariato diverso dalla CDC (che disponeva del 22 % del capitale e del 20 % dei diritti di voto), costituito da circa 200 enti territoriali e da altri enti pubblici locali in possesso del 16,82 % del capitale, nonché delle percentuali di presenza degli azionisti alle assemblee generali di CNR nei tre anni precedenti (considerando da 41 a 77 della decisione impugnata);

–        dal 2003 la ricorrente deteneva la maggioranza assoluta in seno al comitato di gestione di CNR nonché i mezzi per mantenerla (considerando da 78 a 86 della decisione impugnata);

–        la legge Murcef non impediva alla ricorrente di acquisire il controllo di CNR (considerando da 87 a 93 della decisione impugnata);

–        dal 2003, riprendendo il ruolo industriale di EDF in seno a CNR, la ricorrente era l’unico azionista industriale di CNR ed aveva un ruolo centrale nella gestione operativa di quest’ultima (considerando da 94 a 126 della decisione impugnata);

–        dal 2004 CNR era di fatto considerata come appartenente al gruppo Suez, sia da parte dei dirigenti di CNR che da parte dei dirigenti di Suez (considerando da 127 a 158 della decisione impugnata), e

–        la ricorrente era titolare di un diritto di sottoscrizione preferenziale sulle altre azioni di CNR (punti da 159 a 164 della decisione impugnata).

27      Il secondo motivo della ricorrente è suddiviso in tre parti. Nella prima parte essa fa valere che la Commissione non ha tenuto conto di una caratteristica fondamentale di CNR. Nell’ambito della seconda parte essa sostiene che la Commissione ha applicato in modo incompleto ed errato il criterio enunciato nei suoi «orientamenti» ed è incorsa in errori che viziano la valutazione dell’indizio concernente la maggioranza alle assemblee generali di CNR. Nella terza parte, infine, la ricorrente deduce tre errori che viziano gli altri indizi considerati dalla Commissione nella decisione impugnata, in particolare i) la detenzione, dal 2003, della maggioranza in seno al comitato di gestione di CNR, ii) dichiarazioni di dirigenti di CNR e del gruppo Suez e iii) la sussistenza di un diritto di sottoscrizione preferenziale su talune azioni di CNR.

28      La Commissione osserva, in via preliminare, che il secondo motivo della ricorrente è inconferente in quanto è diretto a contestare l’esistenza stessa dell’infrazione. La ricorrente non contesterebbe la sussistenza di un’infrazione, ma tutt’al più la sua durata, il che non può giustificare l’annullamento della decisione impugnata nel suo insieme. La Commissione fa valere talune affermazioni della ricorrente contenute in un progetto di formulario CO del 17 gennaio 2008, nonché la circostanza che, avendo notificato la concentrazione, la ricorrente ammetterebbe in ogni caso di aver acquisito il controllo esclusivo di fatto su CNR senza esservi stata autorizzata. A giudizio della Commissione, la contestazione della durata dell’infrazione può eventualmente rilevare ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, ma non per la qualificazione dei fatti costituenti infrazione.

29      La ricorrente fa valere al riguardo che, notificando la concentrazione nel corso del 2007, essa ha cercato di ottemperare all’obbligo di notifica derivante dall’articolo 4 del regolamento n. 4064/89.

30      Tale articolo riguarda l’obbligo di notifica preventiva delle operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria. Esso indica, nel primo paragrafo, che operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria devono essere notificate alla Commissione entro una settimana dalla conclusione dell’accordo o dalla pubblicazione dell’offerta d’acquisto o di scambio o dall’acquisto di una partecipazione di controllo. È giocoforza rilevare che la ricorrente ha ragione di affermare che il fatto di aver notificato la transazione conformemente a tale disposizione non può essere considerato, nell’ambito di un procedimento di infrazione come quello di cui trattasi nella fattispecie, quale riconoscimento da parte sua dell’esistenza di un’infrazione all’obbligo di sospensione previsto all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89.

31      Infatti, nel settore del diritto della concorrenza, in caso di controversia sull’esistenza di un’infrazione, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni dalla stessa constatate e stabilire quali elementi di prova siano sufficientemente idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti costituenti un’infrazione (v., per analogia, sentenze della Corte del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 58, e del 6 gennaio 2004, BAI e Commissione/Bayer, C‑2/01 P e C‑3/01 P, Racc. pag. I‑23, punto 62; sentenza del Tribunale del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, Racc. pag. II‑3601, punto 688). A tal fine, essa deve raccogliere elementi di prova sufficientemente precisi e concordanti per fondare la ferma convinzione che l’asserita infrazione abbia avuto luogo (v., in tal senso e per analogia, sentenze della Corte del 28 marzo 1984, CRAM e Rheinzink/Commissione, 29/83 e 30/83, Racc. pag. 1679, punto 20; del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeytiö e a./Commissione C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Racc. pag. I‑1307, punto 127, e del Tribunale del 21 gennaio 1999, Riviera Auto Service e a./Commissione, T‑185/96, T‑189/96 e T‑190/96, Racc. pag. II‑93, punto 47).

32      Spettava quindi alla Commissione riunire nella decisione impugnata elementi di prova sufficientemente precisi e concordanti per dimostrare l’esistenza di un’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89.

33      È indubbio che gli elementi dedotti dalla Commissione a sostegno del proprio argomento preliminare, come il fatto che la ricorrente abbia notificato la concentrazione o abbia riportato affermazioni in un progetto di formulario CO nonché la questione della legittimità, per la Commissione, di far valere dinanzi al Tribunale affermazioni contenute in tale progetto di formulario, potrebbero essere, se del caso, esaminati sotto il profilo della sufficienza delle prove relative all’esistenza di un’infrazione. Infatti, i procedimenti dinanzi al Tribunale sono regolati dal principio della libera produzione delle prove, il solo criterio rilevante per valutare le prove prodotte che risiede nella loro credibilità (sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 273).

34      Tuttavia, siffatti argomenti non possono essere dedotti per negare alla ricorrente la possibilità di contestare gli elementi costitutivi dell’infrazione, per i quali l’onere della prova grava sulla Commissione come, in particolare, la sua durata.

35      Per quanto riguarda, specificamente, il riferimento fatto dalla Commissione ad un’affermazione della ricorrente, contenuta in un progetto di formulario CO del 17 gennaio 2008, secondo la quale il controllo esclusivo di fatto sembrava sussistere dal 2004, mentre la ricorrente ha sostenuto, nel formulario definitivo, l’acquisizione del controllo nel corso del 2007, da un lato, si deve rilevare che, sebbene il riconoscimento esplicito o implicito di elementi di fatto o di diritto, da parte di un’impresa, durante la fase amministrativa del procedimento dinanzi alla Commissione possa costituire un elemento di prova integrativo in sede di valutazione della fondatezza di un ricorso giurisdizionale, esso non può tuttavia limitare l’esercizio stesso del diritto di proporre ricorso dinanzi al Tribunale, attribuito ad una persona fisica o giuridica dall’articolo 230, quarto comma, CE (v., in tal senso, sentenza della Corte del 1° luglio 2010, Knauf Gips/Commissione, C‑407/08 P, Racc. pag. I‑6371, punto 90). Dall’altro, si tratta di un elemento ad abundatiam rilevato dalla Commissione al considerando 166 della decisione impugnata dopo aver concluso, al considerando 165, per la sussistenza dell’infrazione dal 23 dicembre 2003. Alla luce delle suesposte considerazioni, l’argomento della Commissione, secondo il quale il motivo della ricorrente è inconferente, in quanto essa avrebbe riconosciuto l’infrazione nell’ambito di un progetto di formulario CO, deve essere disatteso senza necessità di pronunciarsi sull’argomento della ricorrente relativo all’impossibilità, per la Commissione, di far valere un’informazione, contenuta in un progetto di formulario CO, dinanzi al Tribunale in quanto si tratterebbe di un documento depositato in via riservata.

36      Infine, anche se la ricorrente si limitasse a contestare la durata dell’infrazione, l’accoglimento dei suoi argomenti potrebbe condurre all’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione impugnata (v., in tal senso e per analogia, sentenza del Tribunale del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, Racc. pag. II‑4407, punti da 211 a 213), come peraltro riconosciuto dalla Commissione.

37      Ciò considerato, il motivo non può essere respinto in quanto inconferente.

38      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare, innanzi tutto, gli argomenti dedotti nell’ambito della seconda parte del secondo motivo prima di analizzare la prima e la terza parte di detto motivo. Peraltro, la prima parte e la prima censura dedotta nell’ambito della terza parte, i cui argomenti sono simili, saranno esaminate congiuntamente.

 Sulla seconda parte del secondo motivo, fondata sull’incompleta ed erronea applicazione del criterio enunciato dalla Commissione nei suoi «orientamenti» e sugli errori che viziano la valutazione dell’indizio concernente la maggioranza alle assemblee generali di CNR

39      Deducendo errori di valutazione nell’applicazione degli «orientamenti», la ricorrente fa riferimento all’applicazione della comunicazione della Commissione sulla nozione di concentrazione a norma del regolamento n. 4064/89 (GU 1998, C 66, pag. 5; in prosieguo: la «comunicazione sulla nozione di concentrazione») e alla comunicazione consolidata della Commissione sui criteri di competenza giurisdizionale a norma del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (versione rettificata GU 2009, C 43, pag. 10; in prosieguo: la «comunicazione consolidata sulla competenza»). Essa afferma, in sostanza, che la Commissione ha applicato in modo incompleto ed errato il criterio relativo all’acquisizione di un controllo esclusivo di fatto da parte di un azionista di minoranza, raccomandato nelle suddette comunicazioni, e che la stessa ha commesso errori che viziano la valutazione dell’indizio concernente la maggioranza alle assemblee generali di CNR, applicandolo in termini essenzialmente quantitativi, mentre tali comunicazioni precisano altresì che, per stabilire se un’operazione costituisce una concentrazione, occorre svolgere un’analisi prospettica e globale e applicare criteri qualitativi piuttosto che quantitativi.

40      Si deve rilevare al riguardo, come indicato al considerando 53 della decisione impugnata, che la ricorrente non ha fondati motivi per far valere la comunicazione consolidata sulla competenza. È vero che il punto 2 della comunicazione consolidata sulla competenza precisa che detta comunicazione sostituisce la comunicazione sulla nozione di concentrazione. Tuttavia, mentre il punto 1 della comunicazione consolidata sulla competenza indica che «[s]copo della presente comunicazione è fornire indicazioni in merito a questioni relative all’attribuzione della competenza in applicazione» del regolamento n. 139/2004, dall’articolo 26, paragrafo 2, di detto regolamento, cui fa del resto riferimento la decisione impugnata, emerge che il regolamento n. 4064/89 continua ad applicarsi alle concentrazioni che siano state oggetto di un accordo, siano state rese note o siano state realizzate mediante acquisizione del controllo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento anteriormente al 1° maggio 2004. Orbene, nella fattispecie, la Commissione, che ha inteso sanzionare la realizzazione di un’operazione di concentrazione in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, ha effettivamente ritenuto che la ricorrente avesse acquisito il controllo esclusivo di fatto di CNR il 23 dicembre 2003. Qualora la comunicazione sulla nozione di concentrazione abbia lo scopo, ai sensi del suo punto 1, di fornire indicazioni in merito all’interpretazione, data dalla Commissione, della nozione di concentrazione ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 4064/89, va quindi considerato che la ricorrente ha fondati motivi per far valere, nell’ambito della presente causa, soltanto la comunicazione sulla nozione di concentrazione. Tale precisazione non incide tuttavia sull’analisi da effettuare nell’ambito della presente parte. Come riconosciuto dalle parti, il testo delle due comunicazioni, in realtà, non differisce nella sostanza riguardo al criterio proposto per stabilire la sussistenza o meno di un controllo esclusivo di fatto da parte di un azionista di minoranza. Al pari della la comunicazione consolidata sulla competenza, la comunicazione sulla nozione di concentrazione precisa che, per determinare se un’operazione costituisce una concentrazione, la Commissione applica criteri qualitativi, più che quantitativi, ponendo l’accento sulla nozione di controllo (punto 4).

41      Peraltro e con tutta evidenza, come ricordato dalla ricorrente e senza che ciò sia in alcun modo contestato dalla Commissione, quest’ultima è tenuta a rispettare le comunicazioni da essa adottate in materia di controllo delle concentrazioni, qualora le medesime non si discostino dalle norme del Trattato e dal regolamento n. 4064/89 (v., per analogia, sentenza del Tribunale del 9 luglio 2007, Sun Chemical Group e a./Commissione, T‑282/06, Racc. pag. II‑2149, punto 55).

42      Va infine precisato, del pari in via preliminare, che, sebbene la ricorrente faccia riferimento ad errori manifesti di valutazione da parte della Commissione, l’analisi svolta da quest’ultima in merito alle circostanze della realizzazione di un’operazione di concentrazione è soggetta ad un esame completo da parte del Tribunale. Infatti, la nozione di concentrazione costituisce il fondamento della competenza della Commissione ai sensi del regolamento n. 4064/89 (v., per analogia, sentenza del Tribunale del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione, T‑411/07, Racc. pag. II‑3691, punto 62). La Commissione non fa valere, del resto, di avere un margine di discrezionalità in materia.

43      È proprio alla luce di tali principi che devono essere successivamente esaminati i tre presunti errori di valutazione in cui è incorsa la Commissione per considerare che, il 23 dicembre 2003, con l’acquisto della partecipazione di EDF, la ricorrente è divenuta di gran lunga il primo azionista di CNR ed ha la certezza di disporre della maggioranza assoluta all’assemblea generale di CNR.

44      In primo luogo, la ricorrente fa valere che la distribuzione dei voti alle assemblee generali degli esercizi precedenti al dicembre 2003 è irrilevante. A suo avviso, la Commissione non ha tenuto conto del fatto che l’azionista principale dell’epoca era EDF, società controllata dallo Stato. Lo scarso tasso di partecipazione degli azionisti alle assemblee generali nei tre anni che precedono l’acquisto dei titoli di EDF da parte della ricorrente troverebbe una spiegazione nella fiducia riposta nella EDF dagli altri azionisti pubblici riguardo alla difesa dei loro interessi. Essa aggiunge che la circostanza che, dalla pronuncia della decisione EDF/EnBW, EDF non fosse più autorizzata a partecipare alle votazioni alle assemblee generali di CNR e che essa avesse designato un fiduciario a tal fine, non incide sulla fiducia dei piccoli azionisti.

45      È giocoforza rilevare che l’analisi svolta dalla Commissione nella decisione impugnata (considerando da 41 a 77) si basa sulla presenza e sul comportamento degli azionisti alle assemblee generali dei tre anni che precedono la data del 23 dicembre 2003, da essa considerata come quella di acquisizione, da parte della ricorrente, del controllo di fatto di CNR, per dedurne quale sarebbe stata la situazione alle assemblee generali future di CNR.

46      In linea di principio, tale approccio è conforme alla comunicazione sulla nozione di concentrazione e all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89. Esso, infatti, serve a stabilire se la ricorrente fosse in grado di esercitare un’influenza determinante su CNR a decorrere dalla fine del mese di dicembre 2003 e, come emerge dalla comunicazione sulla nozione di concentrazione, la presenza degli azionisti alle assemblee generali della società target è un indice di particolare rilevanza in tal senso.

47      Infatti, il punto 14 della comunicazione sulla nozione di concentrazione precisa che il controllo esclusivo può essere acquisito anche attraverso una partecipazione di «minoranza qualificata», il che può essere dimostrato in base ad elementi di natura giuridica o fattuale. Per quanto riguarda il controllo esclusivo di fatto esercitato da un azionista di minoranza, la suddetta comunicazione indica, al predetto punto 14, che siffatto scenario si presenta, ad esempio, quando l’azionista ha la quasi certezza di ottenere la maggioranza all’assemblea generale dato che il resto dell’azionariato è assai disperso. In una simile situazione è improbabile che tutti gli azionisti più piccoli saranno presenti o rappresentati all’assemblea. Per decidere se in un caso specifico vi sia o meno controllo esclusivo si verificano le presenze degli azionisti alle assemblee degli esercizi precedenti. Se dal numero dei soci che partecipano all’assemblea si deduce che un azionista di minoranza gode di una stabile maggioranza dei voti nell’assemblea stessa, si considera che egli disponga di una partecipazione sufficiente ad assicurargli il controllo esclusivo.

48      La comunicazione sulla concentrazione raccomanda quindi con chiarezza un’analisi della presenza degli azionisti alle assemblee generali degli esercizi precedenti per determinare la situazione futura. Orbene, è stato proprio questo il modo di operare della Commissione nella decisione impugnata. A tal proposito, la Commissione sottolinea giustamente che l’argomento secondo il quale si dovrebbe osservare la situazione nelle assemblee generali per alcun anni dopo l’avvenuto aumento di capitale, che conferisce quasi certamente un controllo di diritto, per poter confermare l’effettiva sussistenza di un controllo di fatto deriva da un’interpretazione errata della suddetta comunicazione e porterebbe a un sistema di «controllo di fatto soggetto a verifica», contrario al sistema di notifica e di autorizzazione preventiva istituito dal regolamento n. 4064/89.

49      Va tuttavia precisato che la censura della ricorrente fondata sull’irrilevanza della distribuzione dei voti alle assemblee generali prima del dicembre 2003 non riguarda in realtà la presa in considerazione del periodo 2000‑2003, bensì il ruolo svolto da EDF durante tale periodo. Infatti, la ricorrente afferma, in sostanza, di aver atteso più di tre anni per notificare l’operazione, in quanto non poteva avere la quasi certezza, alla fine del 2003, di avere in futuro la maggioranza alle assemblee generali di CNR. A suo giudizio, è stato necessario osservare i fatti per tre anni prima di acquisire questa quasi certezza.

50      Per quanto riguarda la determinazione, nel caso di specie, della data di inizio dell’infrazione all’obbligo di sospensione, la ricorrente fa valere giustamente che, se non aveva la quasi certezza, nel dicembre 2003, di ottenere il controllo alle assemblee generali per il periodo futuro, non sussisteva concentrazione e quindi violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89. In tali circostanze, non sussisterebbe, del resto, neppure l’obbligo di notifica.

51      Per quanto riguarda la quasi certezza in oggetto, la Commissione ha ritenuto, nella decisione impugnata, che la sicurezza della ricorrente di poter ottenere la maggioranza assoluta alle assemblee generali si era concretizzata il 23 dicembre 2003, data in cui essa ha acquistato la partecipazione di EDF (che rappresenta il 22,22 % del capitale e il 20 % dei diritti di voto), portando la propria partecipazione nel capitale dal 17,86 % al 49,95 %, operazione che ha consentito alla ricorrente di divenire il primo azionista di CNR e di rappresentare il 47,92 % dei diritti di voto. Tale certezza derivava in particolare dal carattere assai disperso dell’azionariato diverso dalla CDC (che disponeva del 22 % del capitale e del 20 % dei diritti di voto), dato che, in quel momento, il 16,82 % del capitale era detenuto da circa 200 enti territoriali e altri enti pubblici locali (considerando 41). Al considerando 45 della decisione impugnata, la Commissione ha effettuato una proiezione per quanto riguarda i diritti di voto alle assemblee generali che sarebbero stati detenuti da un azionista con una partecipazione corrispondente al 47,92 % dei diritti di voto al 23 dicembre 2003, tenuto conto dei tassi di partecipazione degli azionisti osservati alle assemblee generali dei quattro esercizi precedenti all’acquisto della partecipazione di EDF. I diritti di voto detenuti da siffatto azionista sarebbero stati sempre superiori al 60 %.

52      In risposta agli argomenti dedotti dalla ricorrente nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, che già contestavano l’analisi della distribuzione dei voti alle assemblee generali per il periodo 2000‑2003, la Commissione ha inoltre aggiunto, ai considerando 57 e 58 della decisione impugnata, che presupposto affinché la ricorrente potesse disporre della maggioranza assoluta alle assemblee generali era che il tasso di partecipazione degli azionisti non fosse superiore o pari al 95,84 % e che, tenuto conto del tasso di partecipazione ampiamente inferiore a tale soglia nel corso di quegli anni (che oscillava tra il 43 e il 76,6 %), era assai improbabile che la ricorrente non disponesse della maggioranza assoluta alle assemblee generali di CNR a decorrere dal 23 dicembre 2003.

53      La ricorrente contrappone a questa analisi, da un lato, la fiducia dei piccoli azionisti in EDF durante tale periodo, che avrebbe spiegato lo scarso tasso di partecipazione alle assemblee generali, di modo che la Commissione non poteva trarne conseguenze per il futuro e, dall’altro, l’errore di analisi, da parte della Commissione, riguardo al ruolo del fiduciario esercente i diritti di voto di EDF, sostenendo, nella decisione impugnata, che EDF non esercitava più le sue prerogative di azionista dal 1° aprile 2001.

54      Quanto al primo di questi due elementi, la Commissione sostiene giustamente, al considerando 61 della decisione impugnata e dinanzi al Tribunale, che non esiste prova alcuna di siffatta fiducia dei piccoli azionisti nell’azionista principale dell’epoca, vale a dire EDF, società controllata dallo Stato francese, che spieghi gli scarsi tassi di presenza degli azionisti alle assemblee generali nei tre esercizi che hanno preceduto il trasferimento di azioni da EDF alla ricorrente. Tale argomento, secondo l’analisi della Commissione, non può quindi rimettere in discussione la pertinenza dei tassi di presenza per il periodo 2000‑2003.

55      Quanto al secondo elemento, relativo a un presunto errore di analisi, da parte della Commissione, riguardo al ruolo del fiduciario esercente i diritti di voto di EDF in seguito alla decisione EDF/EnBW, la Commissione ha ritenuto, al considerando 61 della decisione impugnata, che EDF non esercitasse più le sue prerogative di azionista alle assemblee generali e nei consigli di amministrazione dal 1° aprile 2001. Contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, tale analisi non è errata. Essa è fondata sulla circostanza che gli impegni assunti nell’ambito della decisione EDF/EnBW prevedevano l’esercizio dei diritti di voto di EDF, alle assemblee generali e nei consigli di amministrazione di CNR, da parte di un fiduciario che agisse in piena indipendenza nei confronti delle parti a decorrere dal 1° aprile 2001.

56      Infatti, i suddetti impegni contengono, in una sezione A, concernente i rapporti con CNR, la seguente previsione: «dato che EDF non sarà più coinvolta nella politica commerciale e nel comportamento di mercato di CNR, la medesima si impegna a rinunciare all’esercizio dei suoi diritti di voto in seno a CNR e a ritirare il proprio rappresentante dal consiglio di amministrazione di CNR entro il 31 marzo 2001». Viene altresì indicato che «un fiduciario agirà in qualità di custode delle azioni di EDF in CNR». Inoltre, alla fine della sezione C di detti impegni si precisa che il fiduciario esercita le proprie funzioni quale terzo indipendente e non soggetto a vincoli. Ciò premesso, l’argomento della ricorrente secondo il quale i piccoli azionisti potevano continuare a ritenere, durante tale periodo, che le azioni di EDF rimanessero nel settore pubblico non convince, dato che l’indipendenza del fiduciario non consentiva di presupporre la continuità della rappresentanza dei soli interessi pubblici.

57      La prima censura dev’essere pertanto respinta.

58      In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione è incorsa in errore nel ritenere che essa avesse, il 23 dicembre 2003, la certezza matematica di ottenere la maggioranza assoluta alle assemblee generali di CNR per il solo fatto che sarebbe stato necessario un tasso di partecipazione degli azionisti del 95,48 % per vanificare le sue proposte. A sostegno di tale affermazione, la ricorrente fa valere, in particolare, un aumento costante del tasso di partecipazione degli azionisti alle assemblee generali precedenti l’operazione dell’ordine del 10 % e la decisione della Commissione, del 20 dicembre 2006, che non si oppone ad una concentrazione notificata (Caso COMP/M.4336 ‑ MAN/Scania) (in prosieguo: la «decisione MAN/Scania»). Essa deduce che, in tale ultimo caso, la Commissione ha ritenuto, in merito alla questione se la società Volkswagen avesse o meno il controllo della società MAN, che un aumento del tasso di partecipazione degli azionisti alle assemblee generali dell’ordine del 20 % fosse possibile per effetto dell’accresciuta vigilanza degli altri azionisti di minoranza nei confronti di Volkswagen dopo l’aumento della sua partecipazione nel capitale di MAN.

59      Quanto alla fluttuazione dei tassi di presenza degli azionisti alle assemblee generali di CNR, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2003, la ricorrente afferma che il tasso di partecipazione ha conosciuto un aumento costante di circa il 10 % ad ogni nuova assemblea generale e che un aumento del 20 % (dal 76,6 % nel novembre 2002 al 95,84 % dopo il dicembre 2003) non era quindi improbabile.

60      È giocoforza constare che tale analisi si fonda su una presentazione selettiva dei fatti. Come sostenuto dalla Commissione, la ricorrente omette di prendere in considerazione assemblee generali per le quali la presenza degli azionisti era in calo. Dalla tabella 2 e dalla nota a piè di pagina n. 31 della decisione impugnata emerge che i tassi di partecipazione degli azionisti alle assemblee generali ordinarie, straordinarie o miste di CNR nel periodo 2000‑2003 erano del 72,2 % (27 giugno 2000), del 43 % (21 dicembre 2000), del 55,2 % (28 giugno 2001), del 62,9 % (21 giugno 2002), del 76,6 % (assemblea ordinaria del 28 novembre 2002), del 72,6 % (assemblea straordinaria del 28 novembre 2002), del 67 % (assemblea ordinaria del 25 giugno 2003) e del 68,5 % (assemblea straordinaria del 25 giugno 2003). L’affermazione della Commissione dinanzi al Tribunale secondo la quale, nonostante il forte calo seguito da una ripresa parziale, il tasso di partecipazione degli azionisti è rimasto complessivamente stabile con un calo del 3,7 % nel periodo 2000‑2003 non è pertanto errata.

61      Peraltro, dalla tabella n. 2 della decisione impugnata emerge altresì che, anche quando il livello di partecipazione degli azionisti alle assemblee generali era il più elevato (76,6 % all’assemblea generale del 28 novembre 2002), un azionista, come la ricorrente a decorrere dalla fine del dicembre 2003, che avesse detenuto il 47,92 % dei diritti di voto, era certo di avere la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti presenti o rappresentati.

62      Parimenti, l’argomento della ricorrente fondato su un possibile aumento del tasso di partecipazione degli azionisti del 20 % a decorrere dal 2004 non convince, dato che l’aumento rilevato durante il periodo 2000‑2003 non è stato costante, il che è dimostrato, ad esempio, dalla riduzione di partecipazione degli azionisti all’assemblea generale del giugno 2003, dovuta all’assenza di SNCF. Va osservato, ad abundantiam, che i dati relativi alle partecipazioni alle assemblee generali successive al 2003, sebbene non rilevino ai fini della determinazione di una quasi certezza della ricorrente di poter imporre le proprie decisioni fin dal 23 dicembre 2003, sono comunque una conferma del netto aumento della partecipazione dopo tale data. Nondimeno, come chiarito dalla Commissione, tale aumento può trovare spiegazione nella presenza di CDC che ha acquistato la partecipazione del 20 % di SNCF. In ogni caso, come emerge dalla tabella 3 della decisione impugnata, anche con il tasso di partecipazione più elevato all’assemblea generale del giugno 2006, la ricorrente aveva ancora, da sola, la maggioranza dei voti.

63      Inoltre, per quanto riguarda la decisione MAN/Scania, citata al punto 58 supra, si deve rammentare che né la Commissione né, a fortiori, il Tribunale sono vincolati, nella fattispecie, dalle constatazioni di fatto e dalle valutazioni contenute in una precedente decisione della Commissione (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 14 dicembre 2005, General Electric/Commissione, T‑210/01, Racc. pag. II‑5575, punti da 118 a 120, e Sun Chemical Group e a./Commissione, cit. al punto 41 supra, punto 88, e giurisprudenza ivi citata).

64      Peraltro, la Commissione distingue giustamente tra la situazione di Volkswagen, oggetto della decisione MAN/Scania, e quella della ricorrente nel caso di specie. La ricorrente fa valere la decisione MAN/Scania quale esempio di causa in cui la Commissione avrebbe dichiarato probabile un aumento del 20 % nella partecipazione degli azionisti alle assemblee generali. In tale causa, Volkswagen deteneva il 21,6% dei diritti di voto in seno alla società MAN e la Commissione era stata indotta a esaminare se tale partecipazione dava luogo a un controllo de facto. Essa ha accolto l’argomento di MAN secondo il quale un aumento del 20% del tasso di partecipazione alle sue assemblee generali, che faceva aumentare detto tasso dal 40 al 60%, era probabile, escludendo quindi un controllo da parte di Volkswagen.

65      Orbene, nella fattispecie, la ricorrente deteneva, alla fine del 2003, il 47,92 % dei diritti di voto, ossia più del doppio di quelli di Volkswagen. Per raggiungere una partecipazione all’assemblea generale del 95,48 % e vanificare così le sue proposte, sarebbe stato necessario un aumento del tasso di partecipazione degli azionisti alle assemblee generali di CNR superiore al 20 %, anche rispetto ai tassi di partecipazione più elevati registrati tra gli anni 2000 e 2003. Del resto, come sottolineato dalla Commissione, un tasso di partecipazione degli azionisti del 95,84 % è molto elevato, mentre il tasso di partecipazione degli azionisti necessario per bloccare potenzialmente Volkswagen non era neppure del 60 %.

66      Pertanto, la seconda censura dev’essere parimenti respinta, dal momento che la Commissione ha potuto ritenere, a ragione, al considerando 58 della decisione impugnata, che la ricorrente potesse prevedere, fin dal 23 dicembre 2003, di ottenere la maggioranza assoluta alle future assemblee generali con il 47,92 % dei diritti di voto, visto che un tasso di partecipazione degli azionisti pari o superiore al 95,84 % era altamente improbabile.

67      In terzo luogo, la ricorrente sostiene che è errata la valutazione della Commissione, che nega l’esistenza di rapporti strutturali e strategici tra gli azionisti pubblici di CNR.

68      Tale censura riguarda la presa in considerazione, da parte della Commissione, del carattere assi disperso dell’azionariato residuo, come emerge in particolare dai considerando 45 e 57 della decisione impugnata.

69      Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto adottare un approccio meno categorico e riconoscere che erano possibili situazioni di stallo in seno a CNR. Tale stallo potenziale avrebbe potuto risultare da un conflitto tra la missione di interesse generale di CNR e il suo scopo commerciale, da un azionariato pubblico disperso, ma intenzionato a garantire la ponderazione tra gli obiettivi di interesse generale e la strategia di CNR, nonché dal rischio di assenza di maggioranza alle assemblee generali considerata la distribuzione dei voti espressi in passato. La Commissione avrebbe inoltre valutato l’esistenza di un controllo in modo retrospettivo e in base ad eventi verificatisi a partire dal 2003.

70      Quanto alla presunta esistenza di rapporti strutturali e strategici tra gli azionisti pubblici di CNR, la tabella sull’evoluzione, dal 2001, della partecipazione degli azionisti che detenevano più del 2 % del capitale di CNR, nonché della loro quota di diritti di voto alle assemblee generali, contenuta al considerando 22 della decisione impugnata, indica che, sin dal 2003, a parte la CDC che deteneva in quel momento il 29,80 % dei diritti di voto, solo tre azionisti pubblici detenevano più del 2 % dei diritti di voto, con una partecipazione cumulativa del 15,98 % dei diritti di voto appartenenti ai tre suddetti azionisti. Se si considera tale scarso tasso e la grande dispersione della parte restante dei diritti di voto in seno a CNR (nota a piè di pagina n. 23 della decisione impugnata), è poco credibile che un improvviso aumento della partecipazione alle assemblee generali degli azionisti pubblici, preoccupati della rappresentanza dei loro interessi, potesse avere un effettivo impatto su un voto a maggioranza.

71      Infatti, sembra piuttosto che solo una «coalizione» organizzata dalla CDC, e che avesse riunito peraltro il 18,12 % dei voti dispersi tra gli azionisti pubblici di minoranza, avrebbe potuto neutralizzare la ricorrente alle votazioni in assemblea generale successivamente al 23 dicembre 2003.

72      La Commissione fa valere al riguardo, e correttamente, la funzione svolta dal patto. Come ricordato al punto 7 supra, la ricorrente aveva concluso il patto onde assicurarsi la maggioranza in seno al comitato di gestione di CNR. Va osservato che, dall’agosto 2003, CDC deteneva il 29,80 % dei diritti di voto, cosicché la ricorrente e CDC detenevano complessivamente il 77,72 % dei diritti di voto alle assemblee generali.

73      Nel patto è convenuto che «se una delle parti prevede di concludere una convenzione di voto con uno o più fra gli altri azionisti, dovrà ottenere il consenso preventivo della controparte sulla portata di tale convenzione e sull’identità dell’altro azionista o degli altri azionisti con il quale o con i quali intende concluderlo» (articolo 10 del patto), e ciò fintanto che la ricorrente non deteneva la maggioranza nel comitato di gestione.

74      In risposta a un quesito scritto posto dal Tribunale, la ricorrente ha presentato una copia del patto nonché spiegazioni supplementari sull’interpretazione del relativo articolo 10. Si deve trarre da ciò la conclusione che la portata di tale disposizione non sia chiara. Le parti convengono tuttavia sul fatto che essa riguarda soltanto un accordo di voto concernente specifiche decisioni adottate alle assemblee generali, ossia le decisioni di nomina dei membri del comitato di gestione e del consiglio di vigilanza. Tuttavia, sebbene il patto riguardasse solamente una convenzione di voto così limitata, sembra poco verosimile che CDC si sarebbe opposta alle proposte della ricorrente alle assemblee generali di CNR successive alla conclusione del patto del 24 luglio 2003.

75      Tale analisi conferma che era poco probabile che la ricorrente avesse potuto temere di non ottenere la maggioranza alle assemblee generali di CNR dopo il dicembre 2003. Infatti, una situazione di tal genere si sarebbe potuta verificare solo in caso di partecipazione degli azionisti pari o superiore al 95,84 % alle assemblee generali e in occasione di prese di posizione comuni degli azionisti pubblici, tra cui CDC, contro la ricorrente.

76      È quindi importante valutare i rapporti strutturali e strategici tra gli azionisti pubblici di CNR solo nell’ipotesi poco probabile ed esclusa al considerando 72 della decisione impugnata, in cui si ritenga che siffatto comportamento da parte della CDC potesse essere ipotizzato dalla ricorrente il 23 dicembre 2003.

77      Al riguardo, l’argomento della ricorrente fondato sull’esistenza de facto di una comunione di interessi tra i suddetti azionisti per effetto dell’inserimento di una missione di interesse generale nello statuto di CNR non è convincente. È necessario valutare in concreto l’esistenza di siffatta comunione di interessi. La ricorrente non fornisce tuttavia elementi concreti che consentano di fondare il proprio argomento.

78      Se si fa riferimento al contenuto del verbale dell’assemblea generale riunitasi in seduta straordinaria in data 25 giugno 2003, invocato dalla ricorrente, sembrerebbe che, qualora gli enti territoriali auspicassero che nella strategia di CNR si tenga conto dell’interesse generale, ciò non prefigurerebbe necessariamente un’intesa sulla definizione delle modalità concrete di tale strategia. Così, per quanto riguarda l’elezione dei membri del consiglio di vigilanza, il rappresentante di uno di tali enti afferma che, in base allo «schema di rappresentanza degli enti territoriali in seno al consiglio di amministrazione» proposto dal governo francese, «CNR sarà unicamente rappresentata da enti situati a sud di Montélimar, rappresentanza geografica che ignora completamente gli interessi fondamentali degli enti del Nord». Nel verbale è menzionata altresì l’esistenza di un patto di azionisti tra alcuni enti e di un comitato di concertazione che ne riunisce altri. Il vice presidente del Consiglio generale dell’Alta Savoia (Francia) afferma peraltro che «la decisione che sarà adottata fa presagire male per il funzionamento del patto azionario pubblico».

79      In base agli elementi risultanti dal fascicolo, è quindi difficile dimostrare l’esistenza certa, nel dicembre 2003, di rapporti strategici stretti e indefettibili tra gli azionisti pubblici, come l’assenza totale di tali rapporti; detti argomenti non sono pertanto sufficientemente suffragati da prove.

80      La Commissione dedica infine diversi considerando della decisione impugnata (considerando 65 e segg.) alla confutazione dell’argomento della ricorrente secondo il quale la previsione di una reazione significativa degli altri azionisti pubblici all’aumento della propria partecipazione nel capitale di CNR era ancor più plausibile, visti i rapporti e gli interessi strategici comuni tra gli stessi. Nell’ambito di tale discussione, per sostenere il proprio punto di vista, le due parti invocano circostanze successive al 2003. Orbene, l’insorgere dell’obbligo di sospensione dipendeva dall’effettivo verificarsi, il 23 dicembre 2003, di un cambiamento di controllo duraturo. La sussistenza di una concentrazione soggetta al regolamento n. 4064/89 deve essere stabilita in base a dati esistenti nel dicembre 2003. Sebbene non si possa escludere che dati successivi al dicembre 2003 possano essere rilevanti per confermare l’effettività dell’infrazione nel tempo, essi devono essere tuttavia esclusi in questa fase dell’analisi in cui si tratta di stabilire se la ricorrente avesse la quasi certezza, alla fine del 2003, di poter imporre a CNR le proprie decisioni per il futuro.

81      In conclusione, tenendo conto altresì degli elementi esposti nella decisione impugnata relativi all’assetto azionario di CNR e relativi al patto, si deve concludere che la ricorrente non fornisce alcun elemento che possa rimettere in discussione il primo indizio, menzionato al punto 26 supra, secondo il quale, il 23 dicembre 2003, essa aveva la quasi certezza di ottenere la maggioranza alle assemblee generali, anche senza detenere la maggioranza dei diritti di voto. La seconda parte del secondo motivo dev’essere pertanto respinta.

 Sulla prima parte del secondo motivo, fondata sull’omessa considerazione di una caratteristica fondamentale di CNR, e sulla prima censura della terza parte del secondo motivo, fondata su un errore che vizia l’indizio concernente la maggioranza detenuta dalla ricorrente in seno al comitato di gestione di CNR

82      La ricorrente fa valere che la Commissione è incorsa in un errore di valutazione omettendo di prendere in considerazione, nella decisione impugnata, l’insieme degli elementi di fatto concernenti il quadro normativo particolare, che deroga al regime delle società per azioni, applicabile a CNR. Al riguardo, essa invoca, in sostanza, nell’ambito della prima parte del secondo motivo, varie circostanze inerenti al fatto che CNR, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 80‑3, è soggetta al controllo dello Stato francese alle stesse condizioni delle imprese pubbliche nazionali, elementi che la Commissione non avrebbe sufficientemente considerato. Nell’ambito della terza parte del secondo motivo, essa sostiene, da un lato, che il suo potere di definizione della composizione del comitato di gestione di CNR era più limitato di quello considerato nella decisione impugnata, poiché la circostanza che, dall’8 luglio 2003, essa abbia nominato due dei tre membri del comitato di gestione era piuttosto una conseguenza dell’influenza dello Stato e, dall’altro, che disponeva soltanto di tre rappresentanti su tredici nel consiglio di vigilanza. Nell’ambito della prima parte del secondo motivo, essa aggiunge che la Commissione non ha sufficientemente considerato l’importanza della legge Murcef.

83      La Commissione contesta l’analisi della ricorrente e si interroga sulla ricevibilità di taluni argomenti ed elementi di fatto presentati dalla ricorrente per la prima volta dinanzi al Tribunale, benché la stessa ne fosse a conoscenza nella fase amministrativa del procedimento.

84      Tali censure riguardano il secondo e il terzo indizio considerati dalla Commissione (punto 26 supra), concernenti, rispettivamente, il fatto che la ricorrente disponeva, fin dal 2003, della maggioranza assoluta in seno al comitato di gestione nonché dei mezzi per mantenerla e il fatto che la legge Murcef non le impediva di acquisire il controllo di CNR. Esse rientrano piuttosto negli aspetti qualitativi dell’acquisizione di una posizione di controllo, ai quali la comunicazione sulla nozione di concentrazione fa riferimento, nel suo punto 4, come è stato ricordato al punto 40 supra, indicandoli come fattori pertinenti per stabilire se un’operazione si configuri o meno come concentrazione.

85      Gli argomenti della ricorrente riguardano, da un lato, l’influenza dello Stato francese sulla governance di CNR (composizione e ruolo del comitato di gestione e del consiglio di vigilanza, commissari del governo, controllore dello Stato) e, dall’altro, l’impatto della legge Murcef.

–       Sull’influenza dello Stato francese sulla governance di CNR (composizione e ruolo del comitato di gestione e del consiglio di vigilanza, commissari del governo, controllore dello Stato)

86      Ai considerando da 78 a 86 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che uno degli indizi dell’acquisizione di un controllo esclusivo nel dicembre 2003 fosse la circostanza che la ricorrente possedeva la maggioranza assoluta in seno al comitato di gestione di CNR dal 2003 e i mezzi per mantenerla. A sostegno di questa tesi, da un lato, essa ha rilevato che le norme in materia di nomina dei membri del comitato di gestione garantivano la presenza di due rappresentanti della ricorrente sui tre che componevano tale organo essenziale, che gestisce le attività e determina la politica commerciale di CNR, dato che CDC e la ricorrente avevano una minoranza di blocco in seno al consiglio di vigilanza, organo che decide della nomina dei membri del comitato di gestione (considerando 78 e 83). Al riguardo, la Commissione fa valere altresì il fatto che, fin dall’8 luglio 2003, e da allora ininterrottamente, dei tre membri che compongono il comitato di gestione, due rappresentavano effettivamente la ricorrente, circostanza che quest’ultima non avrebbe contestato né nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti né in sede di audizione (considerando 83). Dall’altro, la Commissione ha considerato che il fatto che il consiglio di vigilanza dovesse approvare talune decisioni proposte dal comitato di gestione restava irrilevante, poiché si trattava solo di misure inidonee a consentirgli di esercitare un’influenza determinante sulla strategia di CNR (considerando 79 e 80). Rispetto a quest’ultimo elemento, la Commissione ha aggiunto ad abundantiam, al considerando 81, che in caso di conflitto tra questi due organi, la controversia sarebbe stata decisa dall’assemblea generale, organo nel quale la ricorrente era in grado di far prevalere il proprio punto di vista.

87      La ricorrente deduce vari argomenti per rimettere in discussione tale analisi.

88      In primo luogo, essa contesta l’analisi della Commissione per quanto riguarda la situazione di controllo in seno al comitato di gestione e fa valere, in particolare, che la nomina dei suoi due rappresentanti quali membri del comitato di gestione fin dall’8 luglio 2003 è avvenuta su raccomandazione dei commissari del governo e non per effetto di un’applicazione anticipata del patto, successivo a tale data. Secondo la ricorrente, tale elemento, lungi dal dimostrare che essa, da sola, controllava di fatto CNR dal 23 dicembre 2003, è piuttosto idoneo a dimostrare che, nel corso del 2003, CNR era sempre controllata dalle autorità pubbliche francesi in forza del loro potere di controllo.

89      A tal proposito, si deve anzitutto respingere l’argomento della Commissione secondo il quale si tratta di un elemento di fatto dedotto per la prima volta nell’atto introduttivo del ricorso. Infatti, come ha fatto valere correttamente la ricorrente, le informazioni relative alla nomina dei membri del comitato di gestione nel luglio 2003, su raccomandazione dei commissari del governo, sono state portate a conoscenza della Commissione nell’ambito di una risposta integrativa, fornita dalla stessa ricorrente, in data 30 giugno 2008, a seguito di una richiesta di informazioni della Commissione del 17 giugno 2008.

90      Occorre tuttavia rilevare che la ricorrente ha, almeno in parte, modificato le sue affermazioni. Infatti, nel formulario CO, essa indica che «in pratica, pur rimanendo volontariamente minoritarie in seno al consiglio di vigilanza, [essa stessa] e CDC, nel 2003, hanno eletto o fatto eleggere (…) [due dei suoi] rappresentanti nel comitato di gestione».

91      Peraltro, come la Commissione non manca di far osservare, i commissari del governo partecipano alle riunioni del consiglio di vigilanza con voto puramente consultivo. Siffatta circostanza non potrebbe essere in alcun caso indicativa di una situazione di controllo ai sensi del diritto dell’Unione in materia di concentrazioni.

92      Inoltre, l’elemento di fatto dedotto dalla ricorrente non dimostra che sarebbe esistita, all’epoca, un’influenza dei commissari del governo, che non avrebbe potuto essere sopravanzata dalla ricorrente (e da CDC), per quanto riguarda l’elezione dei membri del comitato di gestione.

93      Infine, l’argomento della ricorrente non rimette in discussione l’elemento di fatto constatato dalla Commissione al considerando 83 della decisione impugnata secondo il quale, già molto prima del dicembre 2003, due dei tre membri del comitato di gestione erano rappresentanti della ricorrente. Peraltro, resta altresì irrilevante, al riguardo, l’argomento secondo il quale il presidente del comitato di gestione viene nominato dal presidente della Repubblica francese.

94      Parimenti, tali argomenti non contrastano con il fatto, rilevato al considerando 78 della decisione impugnata, relativo alla possibilità per la ricorrente di determinare la composizione futura del comitato di gestione in base al patto. Infatti, come è già stato ricordato supra, ai sensi dell’articolo 10 del medesimo patto, la ricorrente e CDC «faranno quanto è in loro potere, in particolare esercitando il proprio diritto di voto all’assemblea generale e chiedendo ai membri del consiglio di vigilanza, nominati su loro proposta, di esercitare il proprio diritto di voto nel consiglio di vigilanza, affinché il comitato di gestione di CNR sia composto da tre membri, di cui uno presidente e gli altri due membri, nominati su proposta [della ricorrente]». Tenendo altresì conto del fatto che, come indicato ai considerando 78 e segg. della decisione impugnata, CDC e la ricorrente detenevano sei dei tredici seggi in seno al consiglio di vigilanza, che la nomina dei membri del comitato di gestione richiedeva una maggioranza di due terzi e che la ricorrente deteneva, in forza del patto, un diritto di opposizione nel caso in cui CDC avesse previsto di concludere una convenzione di voto con uno o più fra gli altri azionisti, è impossibile negare che la ricorrente fosse certa di controllare il comitato di gestione per il periodo futuro.

95      In secondo luogo, la ricorrente rimette in discussione l’importanza attribuita, nella decisione impugnata, al ruolo del comitato di gestione nell’amministrazione di CNR.

96      Va osservato, al riguardo, che la ricorrente non contesta gli elementi di fatto rilevati ai considerando 38, 80, e 83 della decisione impugnata secondo i quali è il comitato di gestione a determinare la politica commerciale di CNR, poiché esso decide, in particolare, in merito al bilancio, nonché al piano aziendale e alla nomina degli alti dirigenti, senza che tali decisioni siano sottoposte all’approvazione del consiglio di vigilanza. Essa non contesta neppure il fatto che le decisioni per le quali è richiesta l’approvazione del consiglio di vigilanza, elencate in particolare nella nota a piè di pagina n. 19 della decisione impugnata, non consentono a quest’ultimo di esercitare un controllo su CNR.

97      Come indicato dalla Commissione nella nota a piè di pagina n. 20 della decisione impugnata, la comunicazione sulla nozione di concentrazione considera, ai punti 21 e segg., che le decisioni relative al bilancio, al piano aziendale e alla nomina degli alti dirigenti sono essenziali in quanto determinano la strategia commerciale di un’impresa. Esse si configurano, pertanto, come indicatori tipici dell’esercizio di un controllo. Peraltro, come indicato al punto 14 della suddetta comunicazione, un controllo esclusivo può anche essere esercitato da un azionista di minoranza che ha il diritto di gestire le attività di una società e di determinarne la politica commerciale.

98      Tali elementi di prova non sono quindi irrilevanti ai fini della determinazione dell’esistenza di una situazione di controllo.

99      Inoltre, non è rimessa neppure in discussione la constatazione effettuata dalla Commissione al considerando 81 della decisione impugnata secondo il quale, in caso di conflitto tra il comitato di gestione e il consiglio di vigilanza, la controversia è decisa dall’assemblea generale a maggioranza dei voti degli azionisti presenti o rappresentati e che quindi il potere decisionale appartiene, in definitiva, all’assemblea generale. Infatti, l’articolo 18‑1, paragrafo 3, dello statuto di CNR prevede che «in caso di diniego da parte del consiglio di vigilanza di autorizzare una di tali operazioni, [si tratta di atti e di contratti di qualsiasi natura e di qualsiasi forma che impegnano la società i quali, a causa del loro importo o della loro durata, devono essere sottoposti all’approvazione del consiglio di vigilanza] il comitato di gestione può convocare in seduta straordinaria un’assemblea generale ordinaria che può concedere l’autorizzazione in questione e trarre qualsiasi conseguenza dalla controversia insorta tra gli organi societari». Pertanto, se, come è stato possibile constatare nell’ambito della seconda parte del secondo motivo, la ricorrente era effettivamente certa, alla fine del dicembre 2003, di ottenere la maggioranza alle votazioni dell’assemblea generale, si deve ritenere che la stessa fosse parimenti certa di risultare vittoriosa in caso di controversia tra il comitato di gestione e il consiglio di vigilanza.

100    La ricorrente fa tuttavia valere che non è possibile imporre in un’impresa pubblica l’opinione di un operatore privato in base a una presenza maggioritaria in seno al comitato di gestione. Come la stessa avrebbe sostenuto nel corso dell’audizione, sarebbe necessario, prima di tutto, che l’operatore privato si assumesse l’onere di discutere con le autorità pubbliche. Inoltre, a suo avviso, visto il sistema di gestione di CNR, ossia una società per azioni con un comitato di gestione e un consiglio di vigilanza, il consiglio di vigilanza rimaneva l’autorità di controllo del comitato di gestione. A sostegno del proprio argomento, essa invoca l’esistenza di un controllo amministrativo, nonché di un controllo economico e finanziario su CNR quale impresa nazionale nonché di verifiche a posteriori eseguite dalla Corte dei conti francese e dalle commissioni parlamentari francesi. Il controllo amministrativo riguarderebbe, in particolare, il potere dei commissari del governo che siedono nel consiglio di vigilanza di CNR di chiedere la sospensione dell’esecuzione di decisioni adottate in seno al consiglio di vigilanza, al fine di deferire il caso al ministro incaricato affinché quest’ultimo confermi l’opposizione del governo francese. Per quanto riguarda il controllo economico e finanziario, esso deriverebbe dal ruolo del controllore dello Stato che partecipa alle riunioni del consiglio di vigilanza, che rende il proprio parere al Ministro delle finanze francese sui progetti di CNR e che gli invia un rapporto annuale.

101    Per quanto riguarda innanzi tutto le verifiche a posteriori, eseguite dalla Corte dei conti e dalle commissioni parlamentari, è giocoforza constatare che la ricorrente non fornisce alcun elemento concreto che spieghi come questo tipo di interventi possa rimettere in discussione esistenza di un controllo di fatto detenuto da un azionista di minoranza.

102    Per quanto riguarda i rispettivi ruoli dei commissari del governo e del controllore dello Stato, la Commissione fa valere che si tratta di elementi nuovi di cui la ricorrente era a conoscenza e che essa avrebbe quindi dovuto comunicare durante la fase amministrativa del procedimento. La ricorrente sostiene che si tratta di elementi di cui la Commissione avrebbe dovuto tener conto nella sua analisi.

103    Occorre anzitutto constatare che la ricorrente ha menzionato la presenza dei commissari del governo nel consiglio di vigilanza nel formulario CO sotto la denominazione «due rappresentanti dello Stato designati con decreto», senza che sia fatto tuttavia accenno al loro potere di richiedere una sospensione dell’esecuzione delle decisioni del comitato di gestione in caso di opposizione da parte del governo. Informazioni integrative, riguardanti i commissari del governo, sono altresì incluse negli allegati al formulario CO o nello statuto della società, oppure nella stessa legge Murcef. La ricorrente insiste peraltro sul fatto che essa ha ricordato nel corso dell’audizione il carattere pubblico di CNR, invitando la Commissione a tener conto di tale elemento nella sua analisi. Al riguardo, dal resoconto dell’audizione risulta che la ricorrente menziona, in tale sede, i commissari del governo senza fornire tuttavia dettagli sui loro poteri e che non viene fatto alcun accenno al ruolo del controllore dello Stato.

104    La ricorrente fa tuttavia valere, in sostanza, che dalle affermazioni della Commissione, relative alla novità di tali elementi di fatto, emerge che la medesima ha proceduto ad un esame incompleto della causa. A giudizio della ricorrente, anche supponendo che essa non le abbia fornito indicazioni sufficienti sul carattere pubblico di CNR, la Commissione aveva tuttavia l’obbligo di prendere in considerazione, nell’analisi della causa, tutti gli elementi di fatto pertinenti.

105    La ricorrente invoca in proposito la giurisprudenza relativa alla portata del potere di controllo del giudice dell’Unione riguardo alle decisioni per le quali un’istituzione dispone di un margine di discrezionalità. In tale contesto, la Corte ha effettivamente ricordato che il giudice dell’Unione deve controllare se detta istituzione abbia esaminato, con cura e imparzialità, tutti gli elementi pertinenti del caso di specie, elementi che corroborano le conclusioni che ne sono state tratte (v. sentenza della Corte del 22 novembre 2007, Spagna/Lenzing, C‑525/04 P, Racc. pag. I‑9947, punto 57, e giurisprudenza ivi citata).

106    Tuttavia, in un caso come quello di cui trattasi nella fattispecie, che riguarda l’irrogazione da parte della Commissione di un’ammenda per un’infrazione al diritto della concorrenza, l’obbligo della Commissione, il cui adempimento è soggetto al controllo del Tribunale, è quello, ricordato al punto 31 supra, di raccogliere elementi di prova sufficientemente precisi e concordanti per giustificare la ferma convinzione che l’asserita infrazione abbia avuto luogo. Infatti, l’esistenza di un’infrazione deve essere valutata in funzione dei soli elementi di prova riuniti dalla Commissione nella decisione in cui viene constatata la suddetta infrazione e l’unica questione pertinente è quindi quella di stabilire, in sostanza, se la prova dell’infrazione sia stata o meno fornita alla luce di tali elementi di prova (v., per analogia, sentenza del Tribunale del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Racc. pag. II‑491, punto 726). Se il Tribunale giunge alla conclusione che tale regola probatoria è rispettata, la questione di stabilire se siano stati presi in considerazione elementi supplementari è inconferente a meno che non si tratti di elementi di prova che rimettono in discussione la ferma convinzione che l’infrazione abbia avuto luogo. La ricorrente, infatti, ricorda giustamente che la presenza di un dubbio nella mente del giudice deve volgersi a vantaggio dei destinatari della decisione (sentenza Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 36 supra, punto 215).

107    Per quanto riguarda la novità degli elementi di fatto relativi ai poteri dei commissari del governo e al ruolo del controllore dello Stato, la Commissione rileva correttamente che non può esserle contestato di esporre taluni argomenti, nella decisione impugnata, in modo più o meno dettagliato a seconda del maggiore o minore risalto dato dal convenuto agli argomenti fatti valere nella fase amministrativa del procedimento. Nondimeno, il destinatario della comunicazione degli addebiti non è obbligato a contestare i diversi elementi di fatto o di diritto in essa contenuti nel corso della fase amministrativa del procedimento, a pena di non poterlo più fare successivamente in sede giurisdizionale (sentenza Knauf Gips/Commissione, cit. al punto 35 supra, punto 89).

108    Ne consegue che gli elementi di fatto contestati, riguardanti i poteri dei commissari del governo e il ruolo del controllore dello Stato sono ricevibili. È questa, del resto, la ragione per la quale il Tribunale ha chiesto alla ricorrente di fornire spiegazioni supplementari riguardo al ruolo di tali persone.

109    Occorre rilevare, al riguardo, che l’efficacia probatoria degli argomenti della ricorrente è limitata dal fatto che, visto il carattere immutato dei poteri dei commissari del governo e del ruolo del controllore dello Stato tra il 2003 e il 2007, le autorità di controllo esistevano anche nel 2007, quando la ricorrente ha contattato la Commissione per notificarle l’acquisizione di un controllo di fatto su CNR.

110    Peraltro, per quanto riguarda il ruolo effettivo dei commissari del governo, è giocoforza constatare che i loro poteri sono limitati. Come emerge in particolare dall’articolo 14 dello statuto di CNR e dall’articolo 11 del decreto francese n. 59‑771, del 26 giugno 1959 (JORF del 28 giugno 1959, pag. 6460), come modificato dall’articolo 2 del decreto francese n. 2003‑512, del 16 giugno 2003 (JORF del 17 giugno 2003, pag. 10102), al quale il suddetto articolo 14 dello statuto fa rinvio, sono nominati in CNR due commissari del governo, uno con decreto del Ministro francese per l’energia, l’altro con decreto del Ministro francese per i trasporti. La loro funzione consiste nel garantire il rispetto, da parte di CNR, della missione di interesse generale nell’ambito della concessione ad essa assegnata dallo Stato francese. Come ha fatto giustamente valere la Commissione, la funzione dei commissari del governo riguarda quindi la sola missione di interesse generale di CNR e non la sua attività commerciale. Peraltro, per quanto riguarda il ruolo effettivo dei suddetti commissari del governo in seno al consiglio di vigilanza e alle assemblee generali di CNR, essi dispongono soltanto di un voto consultivo nonché di un diritto di informazione uguale a quello degli altri membri del consiglio di vigilanza. Quanto al loro potere di richiedere una nuova delibera, entro otto giorni successivi all’adozione, nel consiglio di vigilanza, di una decisione inerente all’esercizio della concessione nonché, entro quindici giorni successivi a tale nuova delibera, di richiedere che sia sospesa la sua esecuzione deferendo il caso al ministro, che dispone quindi di un termine di quindici giorni per rendere nota, se del caso, la propria opposizione, la ricorrente ha ammesso, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale che, in sostanza, i commissari del governo non sono stati indotti, nell’ambito delle riunioni degli organi di CNR, a far uso del loro potere di chiedere la sospensione dell’esecuzione di una decisione o ad opporsi ad un progetto presentato nei periodi 2000‑2003 e 2004‑2007.

111    È dunque giocoforza constatare che, né nei testi normativi né nella prassi, i commissari del governo impediscono, o possono impedire, l’esercizio di un controllo di fatto da parte di un azionista di minoranza che detiene una posizione di forza nel comitato di gestione, e soprattutto all’assemblea generale, come quella detenuta dalla ricorrente a decorrere dal 23 dicembre 2003. Gli estratti delle delibere degli organi di CNR, fatti valere dalla ricorrente, non rimettono in discussione siffatta conclusione. Da essi emerge, tutt’al più, la presa in considerazione, da parte dell’azionista privato, del parere dello Stato francese riguardo a piani strategici rientranti nella missione di interesse generale di CNR. Così, ad esempio, i riferimenti all’atteso ottenimento dell’accordo dei ministri incaricati su un piano pluriennale di cinque anni per l’esercizio delle missioni di interesse generale di CNR, menzionato nel verbale del consiglio di vigilanza di CNR del 31 marzo 2004, non forniscono indicazioni in merito alla questione se la ricorrente possa far attuare o meno siffatto piano da CNR senza tale accordo, e ancor meno sul fatto che ad essa sia impedito di imporre il proprio punto di vista riguardo alla strategia commerciale di CNR.

112    Un’analisi simile si impone in relazione al ruolo del controllore dello Stato. Infatti, dal combinato disposto dell’articolo 5 del decreto n. 59‑771 e delle disposizioni pertinenti del decreto francese n. 55‑733, del 26 maggio 1955 (JORF del 1° giugno 1955, pag. 5547), nella versione in vigore il 23 dicembre 2003, emerge che il controllore dello Stato partecipa alle riunioni del consiglio di vigilanza, con voto consultivo, ed esercita un controllo vertente sull’attività economica e sulla gestione finanziaria dei soggetti controllati provvedendo a preservare gli interessi patrimoniali dello Stato francese. Esso dispone a tal fine di tutti i poteri di indagine e del diritto di informazione e può altresì partecipare alle assemblee generali. La sua funzione è di comunicare il proprio parere ai Ministri francesi dell’economia e del bilancio in ordine ai progetti di decisione sottoposti alla loro approvazione e di redigere un rapporto annuale sulla situazione economica e finanziaria delle imprese controllate. Peraltro, il decreto francese n. 53‑707, del 9 agosto 1953, relativo al controllo dello Stato sulle imprese pubbliche nazionali e su taluni organismi aventi uno scopo di carattere economico o sociale (JORF del 10 agosto 1953, pag. 705), parimenti invocato dalla ricorrente in risposta ai quesiti scritti del Tribunale, prevede un controllo preventivo riguardante, in particolare, il bilancio, le cessioni, gli acquisti o l’aumento di partecipazioni finanziarie.

113    È giocoforza constatare, al riguardo, che la ricorrente non menziona alcuna decisione concreta di CNR che sia sottoposta all’approvazione preventiva congiunta dei Ministri francesi delle finanze e per l’energia e sulla quale il controllore dello Stato debba rendere, quindi, un parere preventivo. Peraltro, in risposta al quesito del Tribunale in cui viene chiesto di precisare quale seguito debba essere dato, se del caso, ad eventuali valutazioni negative da parte del controllore dello Stato nei suoi pareri e rapporti, la ricorrente si è limitata a far valere che si trattava di documenti interni all’amministrazione che non erano accessibili alle imprese in questione, né a fortiori ai loro azionisti privati. Ciò premesso, tenuto conto del ruolo consultivo del controllore dello Stato in seno agli organi di CNR e in assenza di elementi concreti che consentano di collegare i suoi interventi presso i ministri incaricati alle effettive decisioni di CNR, non è dimostrato che il controllore dello Stato abbia un ruolo che rimette in discussione l’analisi della Commissione.

114    Da ciò risulta invece che, come per i commissari del governo e come fatto valere correttamente dalla Commissione, il «controllo» esercitato dallo Stato francese attraverso il controllore dello Stato non corrisponde alla nozione di controllo ai sensi del regolamento n. 4064/89.

115    Per quanto riguarda, infine, l’argomento della ricorrente secondo il quale essa non ha voluto dimostrare che lo Stato esercitava siffatto controllo, ma solamente che sussisteva una serie di indizi che le impedivano di avere la quasi certezza di disporre di un controllo esclusivo di fatto, gli elementi da essa menzionati non le precludono, in ogni caso, la possibilità di esercitare un controllo sulla gestione operativa e strategico‑commerciale di CNR. Come già menzionato al punto 109 supra, la forza di persuasione del suo argomento è compromessa dal fatto che tali autorità di controllo esistevano anche nel 2007, quando essa aveva contattato la Commissione per notificarle l’acquisizione di un controllo esclusivo di fatto su CNR.

116    Ad abundantiam, è necessario precisare che gli argomenti della ricorrente equivalgono a richiedere che la Commissione dimostri l’assenza di qualsiasi dubbio da parte sua quanto alla possibilità di gestire le attività di CNR a decorrere dal 23 dicembre 2003. Tuttavia, ponendo a tal punto l’accento sulla nozione di «quasi certezza», menzionata al punto 14 della comunicazione sulla nozione di concentrazione, la ricorrente snatura la nozione di controllo esclusivo di fatto.

117    Ciò posto, devono essere respinte le censure fondate sulla circostanza che la Commissione sarebbe incorsa in errori di valutazione non tenendo conto dell’influenza dello Stato sulla gestione di CNR, in particolare attraverso il ruolo del consiglio di vigilanza, i commissari del governo e il controllore dello Stato.

–       Sull’impatto della legge Murcef

118    Ai considerando da 87 a 93 della decisione impugnata, la Commissione considera, in sostanza, che l’esistenza della legge Murcef non modifica l’analisi da essa svolta a monte sulla prevedibile detenzione della maggioranza assoluta da parte della ricorrente alle future assemblee generali di CNR. Come ricordato al considerando 87, la suddetta legge ha lo scopo di vietare a un operatore privato di detenere più del 50 % del capitale o dei diritti di voto di CNR. La Commissione rileva, al considerando 89, che la volontà del legislatore francese di mantenere per CNR una struttura a maggioranza pubblica è una questione distinta da quella concernente l’acquisizione del controllo ai sensi del diritto dell’Unione.

119    La ricorrente fa valere di non aver mai sostenuto che la legge Murcef costituiva un ostacolo giuridico all’acquisizione da parte sua di un controllo esclusivo di CNR ai sensi del diritto dell’Unione. Tuttavia, la Commissione avrebbe omesso di prendere in considerazione l’esistenza di detta legge quale elemento di fatto nella serie di indizi che incidevano sulla quasi certezza che essa avrebbe potuto avere nel dicembre 2003.

120    È giocoforza constatare che, quando la Commissione afferma, al considerando 89 della decisione impugnata, che «l’intento del legislatore francese di mantenere per CNR una struttura a maggioranza pubblica è una questione distinta da quella riguardante l’acquisizione del controllo ai sensi del diritto comunitario delle concentrazioni», essa ha provveduto correttamente a distinguere tra una situazione di controllo di diritto su CNR, che non è effettivamente possibile alla luce della legge Murcef, e la circostanza che tale ostacolo giuridico non preclude ad un azionista privato, ossia l’azionista più importante di CNR, benché minoritario, la possibilità di esercitare un controllo di fatto su quest’ultima. Peraltro, qualora la ricorrente intenda dimostrare che l’esistenza della legge Murcef incideva sulla quasi certezza che essa avrebbe potuto avere di esercitare un controllo di fatto su CNR a decorrere dal dicembre 2003, occorre rilevare che siffatto argomento nega la sussistenza di fattori obiettivi che contraddistinguono la sua situazione al 23 dicembre 2003, il che non può corrispondere al significato dell’articolo 3 del regolamento n. 4064/89 o del punto 14 della comunicazione sulla nozione di concentrazione.

121    L’argomento fondato sulla circostanza che la Commissione non avrebbe tenuto in sufficiente considerazione l’esistenza della legge Murcef quale elemento di fatto che incide sulla valutazione del criterio inerente alla quasi certezza della ricorrente di esercitare un controllo di fatto su CNR deve essere pertanto respinto.

122    Al riguardo, la ricorrente fa valere altresì la decisione 1999/594/CE della Commissione, del 18 febbraio 1998, che infligge un’ammenda per omessa notificazione e per realizzazione di una concentrazione in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio (Caso IV/M.920 – Samsung/AST) (GU 1999, L 225, pag. 12). Secondo la ricorrente, nel caso di specie, i fatti sono analoghi a quelli che hanno dato luogo alla decisione 1999/594, in quanto, in tale causa, sarebbe stata attribuita grande importanza ad una clausola contrattuale e temporanea che impediva l’acquisto della maggioranza del capitale della società AST.

123    Occorre tuttavia ricordare la giurisprudenza menzionata al punto 63 supra da cui emerge che né la Commissione né, a fortiori, il Tribunale sono vincolati, nella specie, dalle constatazioni di fatto e dalle valutazioni contenute in una precedente decisione della Commissione. La Commissione ha peraltro respinto tale argomento della ricorrente ai considerando 90 e 91 della decisione impugnata. La sua analisi deve essere confermata. Infatti, contrariamente a quanto fa valere la ricorrente, la Commissione ha considerato, nella decisione 1999/594, che, nel gennaio 1996, fosse stato acquisito un controllo esclusivo di fatto della società AST da parte di Samsung, mentre, fino al dicembre 1998, era ancora applicabile una clausola dell’atto aggiuntivo all’accordo fra gli azionisti, secondo la quale Samsung non poteva acquistare più del 49,9 % del capitale di AST. La Commissione ha considerato in particolare che il controllo di fatto era acquisito in quanto Samsung aveva designato la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione (considerando 7 della decisione 1999/594). Di conseguenza, il limite contrattuale, fissato al 49,9 %, della partecipazione nel capitale, non è stato l’elemento determinante nella valutazione della capacità di Samsung di acquisire il controllo esclusivo di fatto di AST. Pertanto, applicando un ragionamento simile al caso di specie, un controllo esclusivo di fatto su CNR, da parte della ricorrente, ha potuto senz’altro verificarsi quando la legge Murcef era ancora in vigore. Ciò è del resto, come giustamente ricordato dalla Commissione, quanto ha considerato la ricorrente nell’estate 2007, contattando la Commissione in merito all’operazione di cui trattasi nella fattispecie.

124    Infine, la giurisprudenza richiamata al punto 63 supra si applica altresì all’argomento relativo alla decisione della Commissione, del 12 marzo 2004, che dichiara la compatibilità di una concentrazione con il mercato comune (Caso COMP/M.3330 – RTL/M6) (in prosieguo: la «decisione RTL/M6»), fatta valere dalla Commissione al considerando 92 della decisione impugnata e di cui la ricorrente contesta la pertinenza in quanto essa non avrebbe mai rimesso in discussione il fatto che la sola esistenza della legge Murcef non ostacolava l’acquisizione di un controllo esclusivo di fatto di CNR.

125    Peraltro, come spiegato dalla Commissione al considerando 92 della decisione impugnata, nella decisione RTL/M6 era in discussione una legge francese che vietava ad una persona fisica o giuridica di detenere più del 49 % del capitale o dei diritti di voto di una rete televisiva nazionale. Sebbene RTL detenesse soltanto il 48,8 % del capitale e il 34 % dei diritti di voto della società M6, la Commissione ha concluso che essa esercitava un controllo esclusivo di fatto, tenuto conto in particolare della dispersione del resto dell’azionariato e dell’analisi prospettica effettuata. Contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, il riferimento a tale causa nella decisione impugnata, quale esempio di un precedente che dimostra come una legge che vieta a un operatore di detenere la maggioranza assoluta dei diritti di voto non sia incompatibile con l’acquisizione di un controllo di fatto su tale società, è pertinente. In ogni caso, l’argomento della ricorrente fondato, in sostanza, sul fatto che tale riferimento fosse «superfluo» non è idoneo a rimettere in discussione l’analisi della Commissione riguardo alle conseguenze che devono essere tratte dalla legge Murcef.

126    La censura relativa all’impatto della legge Murcef dev’essere quindi parimenti respinta.

 Sulle altre censure della terza parte del secondo motivo, relative ad errori che incidono su altri indizi considerati nella decisione impugnata

127    La ricorrente fa valere errori concernenti, in primo luogo, i rispettivi ruoli, industriali e commerciali, della stessa e di EDF in seno a CNR nel periodo 2004‑2006, in secondo luogo, le dichiarazioni dei dirigenti di CNR, della stessa e di Suez e, in terzo luogo, l’esistenza di un diritto di prelazione a suo favore.

–       Sulla censura fondata su un errore di valutazione quanto all’indizio relativo ai rispettivi ruoli, commerciali e industriali, di EDF e della ricorrente in seno a CNR nel periodo 2004‑2006

128    Tale censura riguarda il quarto indizio considerato dalla Commissione per dimostrare che, il 23 dicembre 2003, sussisteva un cambiamento duraturo di controllo su CNR a favore della ricorrente (punto 26 supra).

129    Ai considerando da 94 a 126 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che, riprendendo il ruolo industriale di EDF in seno a CNR, la ricorrente fosse divenuta l’unico azionista industriale di CNR dal 2003 ed avesse un ruolo centrale nella gestione operativa di quest’ultima. Tale analisi contiene due parti riguardanti, da un lato, il ritiro di EDF dalla gestione operativa di CNR e, dall’altro, la ripresa del suo ruolo industriale e della gestione operativa da parte della ricorrente.

130    Per quanto riguarda la prima parte, relativa al ritiro di EDF (considerando da 95 a 102 della decisione impugnata), la Commissione fa valere in particolare il ritiro di EDF dalla gestione operativa di CNR in seguito agli impegni assunti nel 2001 nell’ambito della decisione EDF/EnBW, citata al punto 4 supra. Si trattava in particolare dell’impegno, da un lato, a non esercitare più i propri diritti di voto nell’assemblea generale di CNR e a non avere più rappresentanti in seno al suo consiglio di amministrazione e, dall’altro, ad acquistare tra l’aprile 2001 e l’aprile 2006 una parte dell’elettricità prodotta da CNR su richiesta di quest’ultima per consentirle di entrare progressivamente nel mercato dell’energia elettrica.

131    Riguardo a tale analisi, la ricorrente sostiene che EDF, dopo il 2003 e fino a tutto il 2006, avrebbe mantenuto in CNR un ruolo operativo e commerciale significativo. A suo giudizio, la propria scalata al potere si è verificata nel periodo 2004‑2006.

132    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e fa valere che il fatto che quest’ultima fosse divenuta, nel 2003, l’unico azionista industriale di CNR è un indizio pertinente.

133    In primo luogo, per quanto riguarda il contratto generale di gestione e il contratto che garantisce a CNR il riacquisto dell’elettricità da questa prodotta da parte di EDF, concluso nel 2001 per una durata di cinque anni, la ricorrente fa valere in particolare che EDF svolgeva di fatto un ruolo sufficientemente significativo da impedire alla Commissione di concludere che essa, fin dal 23 dicembre 2003, aveva interamente ripreso il ruolo operativo e commerciale storicamente devoluto a EDF. Il fatto che la Commissione abbia potuto ritenere, nella decisione EDF/EnBW, che tali contratti, in cui era garantito l’acquisto di elettricità, costituissero un impegno necessario al fine di «consentire a CNR di entrare nei mercati dell’elettricità» dimostrerebbe che EDF svolgeva un ruolo di partner commerciale essenziale per rendere possibile tale entrata nel mercato.

134    Questo argomento non può essere condiviso. Come indicato dalla Commissione al considerando 100 della decisione impugnata, l’esistenza di accordi tra EDF e CNR non contrasta con il fatto che CNR possa definire la propria politica industriale e commerciale indipendentemente da EDF. Al riguardo, la Commissione poteva correttamente invocare alcune prese di posizione della ricorrente nel corso della procedura di notifica della concentrazione di cui trattasi nella fattispecie. Il punto 100 della decisione impugnata rinvia in proposito alla risposta della ricorrente del 7 aprile 2008 alla richiesta di informazioni del 26 marzo 2008, nella quale essa ha in particolare affermato che «EDF [aveva] infatti perso il controllo di CNR nel 2001, quando il comitato Gentot (…) [aveva] fissato le condizioni di revisione dei protocolli che disciplinavano i rapporti industriali e commerciali fra le due imprese affinché CNR divenisse progressivamente un produttore di elettricità indipendente e a pieno titolo». Da tale risposta emerge che la ricorrente stessa ha considerato che CNR si era affrancata dall’influenza determinante di EDF fin dal 2001.

135    Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, tale analisi, esposta al punto 100 della decisione impugnata, non implica che la Commissione si sia erroneamente interrogata sulla questione se EDF avesse il controllo di CNR tra il 2001 e il 2006, anziché verificare la possibilità che la ricorrente avesse ripreso il ruolo operativo e storicamente devoluto a EDF. Tale argomento deriva da un’errata interpretazione della decisione impugnata in cui la Commissione ha solamente considerato come uno degli indizi rilevanti per dimostrare l’acquisizione del controllo di CNR da parte della ricorrente alla fine del 2003 il fatto che essa fosse all’epoca l’unico azionista industriale di CNR.

136    Peraltro, a sostegno della propria tesi, la Commissione fa altresì valere, correttamente, il paragrafo 90 del formulario CO menzionato nella nota a piè di pagina n. 51 della decisione impugnata. In tale paragrafo si fa riferimento ad una dichiarazione congiunta di EDF e CNR del 2001, in cui si menziona il fatto che CNR avesse la responsabilità delle scelte principali inerenti alla sua gestione industriale.

137    In secondo luogo, per quanto riguarda gli acquisti di elettricità di CNR da parte di EDF, la Commissione rammenta correttamente gli impegni assunti nell’ambito della decisione EDF/EnBW. Infatti, come indicato al considerando 102 della decisione impugnata, si trattava di una garanzia d’acquisto da parte di EDF di una determinata quantità di elettricità prodotta da CNR onde consentirle di entrare nel mercato dell’energia elettrica come fornitore indipendente. Peraltro, la ricorrente non fornisce cifre a sostegno del proprio argomento relativo all’importanza di tale partenariato commerciale continuativo con EDF, se non addirittura di un certo grado di dipendenza che ne deriverebbe. Infine, se la ricorrente sostiene che la Commissione non ha trattato allo stesso modo il contratto commerciale concluso tra la stessa e CNR, che avrebbe anche riguardato vendite volontarie, ma che sarebbe stato preso tuttavia in considerazione quale indizio del suo ruolo preponderante, tale argomento non può essere condiviso, in quanto non rimette in discussione l’analisi della Commissione secondo la quale la sussistenza di una possibilità e non di un obbligo per CNR di fare acquistare una parte della propria elettricità da EDF non era in contrasto con la constatazione che CNR determinava, già nel 2003, la propria politica industriale e commerciale indipendentemente da EDF.

138    In terzo luogo, come la Commissione non manca di far osservare, la ricorrente non rimette in discussione la circostanza che la relazione annuale per il 2003 del gruppo Suez, di cui essa non contesta la pertinenza, menzionasse il fatto che essa aveva assunto il controllo operativo di CNR e includesse le centrali di CNR nelle capacità produttive della ricorrente, come ricordato al considerando 101 della decisione impugnata.

139    Dai punti da 134 a 138 supra deriva che non è dimostrato che la Commissione sia incorsa in errore nel considerare il ritiro di EDF dalla gestione operativa di CNR come un elemento di fatto a sostegno del quarto indizio, menzionato nella decisione impugnata per provare l’acquisizione del controllo di CNR, da parte della ricorrente, il 23 dicembre 2003.

140    Per quanto attiene alla seconda parte, relativa alla ripresa da parte della ricorrente del ruolo industriale di EDF e al ruolo centrale della ricorrente nella gestione operativa di CNR, la Commissione rammenta, ai considerando da 103 a 126 della decisione impugnata, che l’acquisto della partecipazione di EDF da parte della ricorrente, il 23 dicembre 2003, e i fattori indicativi del ritiro di EDF, esaminati nell’ambito della prima parte, si inserivano in una cooperazione avviata fin dal 2000 tra la ricorrente stessa e CNR.

141    Al riguardo, la Commissione fa riferimento ad un accordo quadro concluso all’epoca tra CNR e la ricorrente, che aveva in particolare lo scopo di costituire una società controllata comune, vale a dire l’Énergie du Rhône (EDR). Ai considerando da 106 a 110 della decisione impugnata, la Commissione descrive il ruolo essenziale di EDR nell’attività di CNR sul piano commerciale, nonché le modalità di gestione di tale società controllata comune. Nonostante il fatto che CNR detenesse il 51 % del capitale e la maggioranza assoluta nei consigli di amministrazione di EDR, viene attribuita un’influenza determinante alla ricorrente, tenuto conto del voto all’unanimità di alcuni tipi di decisioni. Al considerando 111 della decisione impugnata, la Commissione ricorda che, oltre all’accordo relativo alla costituzione di EDR, la ricorrente e CNR hanno sottoscritto, tra il 2001 e il 2004, diversi partenariati tecnici e commerciali. Al considerando 112, la Commissione fa riferimento a una dichiarazione resa dal presidente di CNR all’assemblea generale ordinaria del 25 giugno 2003 secondo la quale «CNR ha iniziato a valutare l’opportunità di una convergenza tra partenariato commerciale e partenariato industriale non appena è venuta conoscenza del fatto [che la ricorrente] sarebbe entrata nel capitale. [La ricorrente] è così divenuta il primo partner commerciale con il 35 % delle vendite e la scalata al potere di [EDR]».

142    La ricorrente contrappone a tale analisi il fatto che la Commissione si è fondata su accordi tra essa stessa e CNR, la metà dei quali sarebbe stata conclusa successivamente al 2003. Inoltre, la Commissione non spiegherebbe in che modo la costituzione di EDR avrebbe potuto conferirle una maggiore influenza su CNR. La costituzione di EDR sarebbe stata notificata alla Commissione e da questa approvata nel 2002, quale costituzione di un’impresa comune «cooperativa», e non «concentrativa». La Commissione avrebbe concesso in particolare un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE «per una durata pari al periodo di ritiro progressivo di EDF da CNR, vale a dire fino al 2006». Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe quindi dovuto concludere che il suo ruolo di azionista industriale di riferimento aveva avuto inizio solo nel 2006.

143    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e sostiene che gli indizi esposti nella decisione impugnata, secondo i quali essa aveva ripreso, prima del 23 dicembre 2003, un ruolo industriale e operativo di primo piano, non sono rimessi in discussione.

144    In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente fondato sul fatto che i contratti fra essa stessa e CNR, richiamati in particolare al considerando 111 e nella nota a piè di pagina n. 55 della decisione impugnata, concernono in parte accordi conclusi dopo il 2003, sebbene tale ipotesi ricorra effettivamente per tre dei sei accordi menzionati, è pur vero che tre accordi risalgono tuttavia al 2001, ossia un contratto quadro di acquisto di opzioni su contratti a termine di acquisto di elettricità, un contratto di fornitura e di garanzia e un contratto di somministrazione, ed essi possono servire a dimostrare un consolidamento del partenariato tra CNR e la ricorrente sul piano tecnico e commerciale molto prima del dicembre 2003.

145    In secondo luogo, riguardo alla portata dell’esenzione concessa dalla Commissione in una lettera amministrativa del 29 novembre 2002 a chiusura del procedimento di notifica relativo a EDR, la Commissione fa giustamente valere che l’aver ritenuto che l’impresa comune EDR potesse essere esente fino a tutto il 2006 non esclude che la ricorrente abbia potuto esercitare un controllo di fatto su CNR fin dal dicembre 2003. Infatti, per quanto abbia potuto affermare, nella suddetta lettera, che concedeva una esenzione individuale a EDR, ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE «per una durata pari al periodo necessario al ritiro progressivo di EDF da CNR, vale a dire fino al 2006», è pur vero che la cessione dei titoli di EDF alla ricorrente non era ancora avvenuta. Orbene, proprio la lettura congiunta di questi elementi consente di stabilire la sussistenza di un controllo esclusivo di fatto alla fine del 2003.

146    In terzo luogo, occorre rilevare che la ricorrente non rimette in discussione il riferimento fatto dalla Commissione, al considerando 112 della decisione impugnata, a una dichiarazione del presidente di CNR del 25 giugno 2003, quindi molto prima del dicembre 2003, in cui viene menzionato il suo ruolo di «primo partner commerciale con quasi il 35 % delle vendite». Peraltro, questa stessa dichiarazione fa riferimento ad una scalata al potere di EDR collegata al ruolo rafforzato della ricorrente in seno a CNR. Sebbene una parte delle cifre menzionate in proposito, al considerando 112, riguardino dati successivi al 2003 e non possano quindi servire a dimostrare il modo in cui la ricorrente doveva percepire, il 23 dicembre 2003, la propria posizione in CNR, è pur vero che la dichiarazione in questione è stata resa prima di tale data.

147    In quarto luogo, occorre esaminare l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione ha invertito illegittimamente l’onere della prova ritenendo nella decisione impugnata, senza averlo dimostrato nella decisione di autorizzazione, che la concentrazione abbia avuto luogo nel dicembre 2003. La ricorrente sostiene di essere così obbligata a provare che tale operazione ha avuto luogo solo nel 2007. La ricorrente invoca in particolare il fatto che la Commissione ha disatteso il suo argomento relativo alla circostanza che essa, nel 2007, avesse creato un marchio comune con CNR, considerando che tale elemento non era sufficiente a dimostrare che l’acquisizione di un controllo esclusivo di fatto si era verificato nel 2007 e non nel 2003 e senza motivare tale posizione.

148    Tale argomento non può essere accolto. Infatti, sebbene la Commissione faccia riferimento, ai punti 121 e segg. della decisione impugnata ad argomenti della ricorrente, richiamati nel corso dell’audizione, diretti a dimostrare che essa avrebbe acquisito il controllo di CNR solo nel 2007 per poi disattenderli, ritenendo che la ricorrente non avesse provato che l’acquisizione del controllo era avvenuta nel 2007, tale circostanza non costituisce un’inversione illegittima dell’onere della prova. La Commissione, al contrario, consapevole dell’onere della prova cui è tenuta, ha fornito, nella decisione impugnata, numerosi indizi sostanziali e circostanziati per dimostrare l’effettività e la data di inizio dell’infrazione.

149    Infine, per disattendere l’argomento dedotto dalla ricorrente durante la fase amministrativa, riguardante la creazione nel 2007 di un marchio comune, la Commissione, al considerando 126 della decisione impugnata, fa valere che la ricorrente non aveva spiegato come il lancio di detto marchio abbia costituito l’elemento determinante l’acquisizione del controllo nel 2007 ed ha aggiunto che si potrebbe anche obiettare che probabilmente tale lancio era stato reso possibile dal controllo esercitato in precedenza da CNR. Gli elementi così dedotti dalla Commissione, in modo relativamente sommario, ma sufficiente in rapporto agli altri indizi presi in considerazione, non possono essere considerati tali da costituire, di per sé, un’inversione dell’onere della prova.

150    Dalle suesposte considerazioni consegue che la ricorrente non ha neppure dimostrato che la Commissione era incorsa in errore nel prendere in considerazione la ripresa, da parte della ricorrente, del ruolo industriale di EDF e il ruolo centrale della ricorrente nella gestione operativa di CNR.

151    Va pertanto interamente respinta la censura relativa a un errore di valutazione quanto all’indizio relativo ai rispettivi ruoli, commerciali e industriali, di EDF e della ricorrente in seno a CNR nel periodo 2004‑2006.

–       Sulla censura fondata su un errore di valutazione quanto all’indizio relativo alle dichiarazioni dei dirigenti di CNR, della ricorrente e di Suez

152    Tale censura riguarda il quinto indizio considerato dalla Commissione per dimostrare che, nel dicembre 2003, sussisteva un cambiamento duraturo di controllo su CNR a favore della ricorrente (punto 26 supra).

153    Ai considerando da 127 a 158 della decisione impugnata, la Commissione menziona, sotto la rubrica «[d]al 2004, CNR è di fatto considerata come facente parte del gruppo Suez, sia da parte dei dirigenti di CNR che dei dirigenti di Suez», diversi documenti interni di CNR e del gruppo Suez, tra cui verbali del comitato di gestione e del consiglio di sorveglianza, facendo risultare che, dal 2004, CNR si inseriva, riguardo a Suez, in una logica di gruppo. Vengono altresì menzionati taluni riferimenti a CNR contenuti nelle relazioni annuali del gruppo Suez a decorrere dal 2003.

154    La ricorrente contesta il valore di indizio di tali dichiarazioni per dimostrare l’acquisizione di un controllo di fatto da parte sua il 23 dicembre 2003, facendo valere in particolare che la maggior parte di esse sono successive al 2003.

155    La Commissione sostiene, da un lato, che, sebbene la maggior parte delle dichiarazioni citate risalgano al 2006 e al 2007, la prima di tali dichiarazioni risale all’inizio del 2004 e, dall’altro, che tali dichiarazioni riflettono la circostanza che la ricorrente deteneva il controllo di fatto su CNR già dalla fine del 2003.

156    Si deve innanzi tutto precisare che, qualora l’esame delle altre censure dedotte nell’ambito del secondo motivo confermi sufficientemente la valutazione della Commissione relativa alla sussistenza dell’acquisizione di un controllo esclusivo di fatto da parte della ricorrente su CNR il 23 dicembre 2003 (punti da 22 a 151 supra), tale censura è inconferente.

157    Inoltre, il fatto che la Commissione invochi nella decisione impugnata dichiarazioni successive al 23 dicembre 2003 non costituisce di per sé un problema. La Commissione osserva del resto, a ragione, che la ricorrente non rimette in discussione le dichiarazioni invocate nella decisione impugnata in quanto tali. Sebbene siffatte dichiarazioni non siano sufficienti a dimostrare che la ricorrente aveva la quasi certezza, alla fine del 2003, di trovarsi in una situazione di controllo di fatto, esse sono tuttavia idonee a confermare la data di inizio dell’infrazione quale emerge da elementi ad essa precedenti o contemporanei. Peraltro, eventi successivi possono essere indicativi del carattere continuativo dell’infrazione. Va osservato, al riguardo, che la Commissione ha potuto menzionare eventi successivi alla fine del 2003 proprio perché la ricorrente le ha notificato la concentrazione solo nel 2007.

158    È vero che la ricorrente sottolinea, giustamente, che nessuna delle dichiarazioni invocate nella decisione impugnata fa accenno, sia pure implicitamente, all’acquisizione di un controllo di fatto tra il 2003 e il 2007.

159    Tuttavia, la Commissione osserva, correttamente, che il fatto di menzionare fin dal 2004, nell’ambito di una riunione del comitato di gestione di CNR, del 19 marzo 2004, il «punto di vista del gruppo» o «di una controllata di un grande gruppo industriale» non corrisponde alla situazione di società con la quale sussiste semplicemente «un partenariato commerciale continuativo».

160    Nondimeno, a parte questa citazione, la maggior parte delle citazioni considerate dalla Commissione risalgono al 2006 e al 2007 e la dichiarazione del commissario del governo al consiglio di vigilanza del 13 dicembre 2007, in cui si menziona «il chiarimento delle responsabilità in seno all’insieme costituito da Suez/Electrabel, da un lato, e da CNR, dall’altro, in modo da definire con precisione il ruolo futuro di quest’ultima», richiamata al considerando 152 della decisione impugnata, potrebbe confermare la tesi della ricorrente di un’assunzione di controllo solo a decorrere dal 2007.

161    Pertanto, tenuto conto del fatto che i termini utilizzati presentano una certa ambiguità, le suddette dichiarazioni possono servire soltanto come indizio secondario per dimostrare che l’acquisizione di un controllo esclusivo di fatto è avvenuta nel dicembre 2003 anziché nel 2007.

162    Occorre tuttavia rilevare che gli elementi di prova fatti valere dalla ricorrente non contraddicono neppure la tesi della Commissione. Così, come ha fatto giustamente valere la Commissione, la frase in cui si menziona il fatto che CNR «occupa ormai una posizione di rilievo all’interno del gruppo Suez», pronunciata dalla presidentessa del consiglio di vigilanza di CNR all’assemblea generale del 28 giugno 2007, può significare che l’appartenenza di CNR al gruppo Suez sia recente o, al contrario, che sia più risalente nel tempo.

163    Per quanto riguarda la dichiarazione resa dal commissario del governo nel consiglio di sorveglianza del 13 dicembre 2007, che la ricorrente, nella fase amministrativa del procedimento, aveva erroneamente datato 5 luglio 2007 e che viene menzionata al punto 160 supra, la Commissione rileva, correttamente, al considerando 154 della decisione impugnata, che essa può essere interpretata come se fosse riferita ad un chiarimento delle responsabilità che non consente di trarre conclusioni quanto alla data di acquisizione del controllo di fatto di CNR da parte della ricorrente.

164    Va infine precisato che la ricorrente non rimette più in discussione taluni riferimenti a CNR, rilevati dalla Commissione nelle relazioni annuali del gruppo Suez e menzionati ai considerando da 155 a 158 della decisione impugnata, di cui essa aveva tuttavia contestato la pertinenza durante la fase amministrativa del procedimento.

165    Ciò considerato, deve essere respinta la censura fondata su errori che incidono sull’indizio relativo a dichiarazioni dei dirigenti di CNR, della ricorrente e di Suez.

–       Sulla censura fondata su un errore di valutazione quanto all’indizio relativo all’esistenza di un diritto di prelazione a favore della ricorrente

166    Tale censura riguarda il sesto indizio considerato dalla Commissione per dimostrare che il 23 dicembre 2003 sussisteva un cambiamento duraturo di controllo su CNR a favore della ricorrente (punto 26 supra).

167    Ai considerando da 159 a 164 della decisione impugnata, la Commissione menziona la circostanza che la ricorrente aveva già acquisito nel 2003, in forza del patto (punto 7 supra), un diritto di sottoscrizione preferenziale sulle altre azioni di CNR qualora fosse stata abrogata la disposizione della legge Murcef che impone che enti pubblici detengano più del 50 % del capitale di CNR. Al considerando 163 viene precisato che, in siffatta ipotesi, il patto consente alla ricorrente di impedire che un altro azionista privato possa acquisire un controllo esclusivo duraturo su CNR. La ricorrente sarebbe quindi certa di disporre di siffatto controllo, di fatto, ai sensi della legge Murcef, oppure, di diritto, in caso di abrogazione di quest’ultima. La Commissione sostiene, al considerando 164, che si tratta di un elemento di valutazione che va ad aggiungersi ad altre considerazioni per dichiarare l’esistenza di un controllo esclusivo, conformemente alla comunicazione sulla nozione di concentrazione.

168    La ricorrente sostiene che, in forza della comunicazione consolidata sulla competenza, un’opzione di acquisto non può conferire, di per sé, un controllo esclusivo, ma può solo costituire, in circostanze eccezionali, un indizio che va ad aggiungersi ad altri indizi per dimostrare l’esistenza di un controllo e sottolinea che, nella fattispecie, l’esistenza di un diritto preferenziale di sottoscrizione non può essere presa in considerazione alla luce della definizione di circostanze eccezionali contenuta nella decisione della Commissione, del 7 marzo 1994, che dichiara la compatibilità di una concentrazione con il mercato comune (Caso IV/M.397 – Ford/Hertz) (in prosieguo: la «decisione Ford/Hertz»).

169    La Commissione sostiene di non aver mai affermato che, nella fattispecie, il controllo era conferito solo dal diritto di prelazione. Poiché tale indizio si aggiunge ad altri indizi, il fatto che sia stato preso in considerazione non dovrebbe essere contestato.

170    Come già rilevato al punto 40 supra, se si ritiene che l’acquisizione del controllo esclusivo di fatto sia avvenuta il 23 dicembre 2003, il regolamento applicabile nella fattispecie è il regolamento n. 4064/89, la cui applicazione costituisce oggetto della comunicazione sulla nozione di concentrazione e non il regolamento n. 139/2004, indicato dalla comunicazione consolidata sulla competenza. Orbene, il punto 15 della comunicazione sulla nozione di concentrazione prevede quanto segue:

«Un’opzione di acquisto o di conversione di azioni non è da sola sufficiente a conferire il controllo esclusivo a meno che patti giuridicamente vincolanti stabiliscano che il diritto di opzione verrà esercitato a breve termine. Tuttavia il probabile esercizio dell’opzione può essere preso in considerazione come ulteriore elemento che, aggiunto ad altri, può giustificare la conclusione che si avrà controllo esclusivo».

171    Sebbene, contrariamente al punto 60 della comunicazione consolidata sulla competenza, tali disposizioni non utilizzino espressamente i termini «in circostanze eccezionali», la Commissione ammette, al considerando 162 della decisione impugnata, che la regola è sostanzialmente la stessa nelle due comunicazioni.

172    Va innanzi tutto osservato che la ricorrente non contesta le modalità di esercizio del diritto di sottoscrizione ad essa concesso in forza del patto come descritte nella decisione impugnata.

173    Peraltro, come sostenuto giustamente dalla Commissione, l’argomento della ricorrente fondato sulla decisione Ford/Hertz non può essere condiviso. Infatti, oltre al fatto che, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 63 supra, né la Commissione né, a fortiori, il Tribunale sono vincolati, nella fattispecie, dalle constatazioni di fatto e dalle valutazioni contenute in una precedente decisione della Commissione, tale causa si distingue dalle circostanze del caso di specie. Nella causa che ha dato luogo alla decisione Ford/Hertz, la Commissione ha ritenuto che il fatto che Ford detenesse il 49 % dei diritti di voto ed una rappresentanza minoritaria nel consiglio di amministrazione di Hertz non le attribuiva una situazione di controllo, poiché non le era concesso nessun diritto di veto sulle decisioni essenziali. Essa ha tuttavia considerato che il fatto che Ford disponesse di un diritto di preferenziale di sottoscrizione, che poteva essere esercitato a sua sola discrezione senza essere subordinato ad alcuna condizione preventiva e in qualsiasi momento, concedendole quindi in tempi brevissimi la possibilità di acquisire il controllo del consiglio di amministrazione di Hertz, costituiva una circostanza che le attribuiva un controllo di fatto. Il diritto di preferenziale di sottoscrizione costituiva quindi un fattore di particolare rilevanza nell’ambito della causa per poter dichiarare l’esistenza di un controllo esclusivo di fatto.

174    Nel caso di specie, la ricorrente sottolinea correttamente che il proprio diritto di prelazione è subordinato, in particolare, alla condizione della modifica della legge Murcef. La Commissione, tuttavia, non ha dedotto il controllo esclusivo di fatto dal diritto di prelazione, ma ha preso in considerazione quest’ultimo unicamente come indizio supplementare. Ciò risulta chiaramente dal considerando 163 della decisione impugnata in cui la Commissione precisa che la ricorrente era certa di avere un controllo esclusivo duraturo su CNR «di fatto, ai sensi della legge Murcef, oppure, di diritto, qualora tale legge [fosse stata] abrogata». L’esistenza del diritto di prelazione, il cui esercizio dipende dall’abrogazione della legge Murcef, costituisce pertanto, secondo l’iter logico seguito dalla Commissione, un indizio secondario, dato che l’esistenza di un controllo esclusivo di fatto è stato dedotto da altre circostanze.

175    Tale approccio della Commissione è peraltro conforme alla comunicazione sulla nozione di concentrazione da cui emerge che un controllo esclusivo di fatto da parte di un azionista di minoranza può essere dedotto dalla distribuzione dei diritti di voto o dal diritto di gestire le attività della società in questione e di determinarne la politica commerciale (punto 14 della comunicazione sulla nozione di concentrazione), visto che l’esistenza di un diritto preferenziale di sottoscrizione non è una condizione supplementare necessaria, ma può costituire un indizio supplementare, come qualsiasi altro elemento di fatto (punto 15 della comunicazione sulla nozione di concentrazione). Inoltre, è possibile precisare, ad abundantiam, che il fatto che la ricorrente detenga il 47,92 % dei diritti di voto, la composizione dell’azionariato residuo nonché la sua posizione di forza in seno al comitato di gestione possono essere considerati come circostanze eccezionali che giustificano la presa in considerazione dell’esistenza di un diritto preferenziale di sottoscrizione. In ogni caso, l’assenza dell’indizio relativo all’esistenza di un diritto preferenziale di sottoscrizione a favore della ricorrente non può essere idonea a modificare la conclusione che esiste un controllo di fatto basato in particolare sulla distribuzione dei diritti di voto all’assemblea generale e sulla sua posizione di forza in seno a tale organo e al comitato di gestione.

176    La censura nonché il secondo motivo nel suo insieme devono essere pertanto respinti.

 Sul primo motivo, fondato sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 e sulla violazione dell’articolo articolo 253 CE in quanto la Commissione non ha correttamente qualificato l’infrazione e in quanto la decisione impugnata contiene una motivazione contraddittoria

177    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata da una contraddizione tra la motivazione e il dispositivo da cui deriverebbe un difetto di motivazione ai sensi del’articolo 253 CE. Essa fa valere, in sostanza, che la motivazione della decisione impugnata non giustifica, nel dispositivo, un’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, ma consente di dimostrare l’esistenza di un’infrazione all’articolo 4, paragrafo 1, del medesimo.

178    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. Essa afferma, in sostanza, che la decisione impugnata non contiene alcuna contraddizione.

179    Occorre ricordare che l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 253 CE costituisce una formalità sostanziale che deve essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, in quanto quest’ultima riguarda la legittimità nel merito dell’atto controverso (sentenze della Corte del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc. pag. I‑1719, punto 67; del 22 marzo 2001, France/Commissione, C‑17/99, Racc. pag. I‑2481, punto 35, e del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, Racc. pag. I‑8947, punto 146).

180    Dalla giurisprudenza emerge altresì che la motivazione prescritta dall’articolo 253 CE deve essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in forma chiara ed inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e da permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento della conformità della motivazione di un atto ai requisiti di cui all’articolo 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia interessata (v. sentenza Commissione/Sytraval e Brink’s France, cit. al punto179 supra, punto 63, e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del Tribunale del 4 luglio 2006, Hoek Loos/Commissione, T‑304/02, Racc. pag. II‑1887, punto 58).

181    Inoltre, l’obbligo di motivazione ai sensi dell’articolo 253 CE richiede che l’iter logico sul quale si fonda una decisione debba essere chiaro e inequivocabile. Così, la motivazione di un atto deve essere logica, in modo da non presentare, in particolare, alcuna contraddizione interna che ostacoli la comprensibilità dei motivi sottesi a tale atto (sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit. al punto 179 supra, punto 151).

182    Nel caso di specie, come fa valere giustamente la Commissione, l’infrazione addebitata alla ricorrente è qualificata senza ambiguità, in diverse parti della decisione impugnata, in particolare, oltre che nell’articolo 1 del dispositivo, nei suoi considerando da 40 a 173, da 174 a 179, 191, 192, 205, 206, 211, 212 e 223, come consistente nella realizzazione prematura di una concentrazione in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89.

183    Dal precedente esame del secondo motivo emerge che la Commissione ha esposto, in particolare ai considerando da 40 a 173 della decisione impugnata, sia i principi di diritto che le considerazioni di fatto sui quali ha fondato la constatazione che, il 23 dicembre 2003, la ricorrente aveva realizzato una concentrazione senza averla notificata e senza averne ottenuto l’autorizzazione e che, quanto al merito, va confermata l’analisi da essa svolta al riguardo.

184    In primo luogo, al fine di dimostrare le presunte contraddizioni contenute nella decisione impugnata, la ricorrente fa valere il suo considerando 59 secondo il quale:

«(…) [la ricorrente] avrebbe dovuto sottoporre il caso all’attenzione della Commissione proprio dal dicembre 2003, al più tardi, vale a dire da quando ha acquisito un’ulteriore quota che ha portato la sua partecipazione totale al 49,95 % del capitale e al 47,92 % dei diritti di voto di CNR, eventualmente nell’ambito di una consultazione come ha fatto nel 2007. La Commissione, come nel 2007, applicando una prassi decisionale consolidata, avrebbe quindi confermato l’acquisizione di un controllo esclusivo [della ricorrente] su CNR e, pertanto, l’obbligo di notifica dell’operazione».

185    Secondo la ricorrente, tale considerando fa chiaramente trasparire che la Commissione le contesta un difetto di notifica o, quantomeno, una notifica tardiva, in contrasto con l’articolo 1 del suo dispositivo che fa riferimento all’infrazione consistente nella realizzazione anticipata di una concentrazione. Orbene, come ha fatto valere giustamente la Commissione, il fatto che essa abbia sostenuto in detto punto della decisione impugnata che la ricorrente avrebbe dovuto contattarla prima non significa che la violazione dell’obbligo di notifica costituisca il fondamento dell’infrazione constatata per la quale è stata imposta un’ammenda, in quanto la violazione dell’obbligo di sospensione può sussistere, come emerge dalla formulazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, indipendentemente dalla circostanza che si sia provveduto o meno alla notifica.

186    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che taluni elementi di valutazione contenuti nella decisione impugnata, relativi alla durata dell’infrazione, confermano il suo carattere contraddittorio. Così, ritenendo che l’infrazione abbia avuto inizio alla data di acquisto da parte sua dei titoli detenuti da EDF, il 23 dicembre 2003, e che si sia protratta fino alla data di prenotifica, il 9 agosto 2007, la Commissione avrebbe configurato un’infrazione all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, relativo al difetto di notifica. A suo giudizio, se la Commissione avesse voluto qualificare un’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del suddetto regolamento, relativo alla realizzazione anticipata di un’operazione di concentrazione, avrebbe dovuto prendere in considerazione l’esistenza di un’infrazione a decorrere dall’esercizio effettivo dei diritti di voto, ossia all’assemblea generale del 29 giugno 2004, fino alla data di autorizzazione dell’operazione da parte della Commissione, ossia il 29 aprile 2008. Le date del 23 dicembre 2003 e del 9 agosto 2007 sarebbero irrilevanti per qualificare la realizzazione anticipata di un’operazione di concentrazione. La Commissione avrebbe implicitamente riconosciuto tale circostanza affermando che il termine di prescrizione decorreva solo dalla data di cessazione dell’infrazione, ossia il 29 aprile 2008.

187    Al riguardo, come dedotto dalla Commissione, poiché l’obbligo di notifica previsto all’articolo 4 del regolamento n. 4064/89 si concretizza in un particolare momento, il fatto che essa abbia cercato di dimostrare, nella decisione impugnata, la durata dell’infrazione implica che non tentava di dimostrare, o comunque non in via esclusiva, un difetto di notifica.

188    Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione non avrebbe potuto collocare l’inizio dell’infrazione alla fine del dicembre 2003, dato che la realizzazione anticipata di un’operazione di concentrazione può verificarsi solo al momento dell’esercizio effettivo dei diritti di voto, che avrebbe avuto luogo soltanto all’assemblea generale del 29 giugno 2004, l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 fa riferimento al divieto di realizzazione di una concentrazione prima della sua notifica o approvazione.

189    L’articolo 3, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 4064/89 (punto 24 supra) definisce la realizzazione di una concentrazione come un cambiamento di controllo che conferisce la capacità di esercitare un’influenza determinante sull’attività dell’impresa considerata e, di conseguenza, l’acquisizione di tale controllo in senso formale e non l’esercizio effettivo di siffatto controllo. Ciò è confermato peraltro al punto 9, secondo comma, della comunicazione sulla nozione di concentrazione. Infatti, ai sensi della seconda frase di tale disposizione, il regolamento n. 4064/89 «definisce chiaramente il controllo in termini di “possibilità di esercitare un’influenza determinante” e non di esercizio effettivo di una simile influenza». L’argomento della ricorrente non può quindi essere accolto. Per quanto riguarda la questione se, come fa valere la Commissione, il difetto di notifica possa essere fatto risalire a una data anteriore al 23 dicembre 2003, essa resta irrilevante ai fini dell’esame di questo motivo.

190    Quanto alla cessazione del periodo di infrazione, a proposito della quale la ricorrente afferma che il fatto di fissarla alla data della prenotifica, ossia il 9 agosto 2007, implica che l’infrazione considerata fosse proprio il difetto di notifica, occorre rilevare che la Commissione motiva il proprio modo di procedere ai considerando 211 e segg. della decisione impugnata. Essa spiega in tali disposizioni che quando un’operazione di concentrazione è stata realizzata ed è anche in atto da lungo tempo, l’infrazione all’articolo 7 del regolamento n. 4064/89 può cessare solo quando essa autorizzi l’operazione o, eventualmente, quando conceda una deroga all’obbligo di sospensione. Dopo aver constatato, ai considerando da 212 a 214, che tra la data considerata ai fini dell’acquisizione del controllo esclusivo, il 23 dicembre 2003, e la decisione di autorizzazione era trascorso un periodo di tempo apprezzabile, essa precisa, al considerando 215, che, nell’ambito del suo potere discrezionale e fatta salva la propria posizione di principio, non avrebbe preso in considerazione il periodo relativo allo svolgimento dei colloqui e all’esame della concentrazione successivi alla prenotifica effettuata il 9 agosto 2007, data che è stata quindi considerata come quella di cessazione dell’infrazione.

191    Dai considerando menzionati al punto precedente emerge chiaramente che non è possibile dedurre dal fatto di aver fissato la cessazione dell’infrazione alla data di prenotifica che la Commissione qualificasse così un’infrazione all’obbligo di notifica. L’argomento non può essere quindi condiviso.

192    In terzo luogo, sebbene la ricorrente faccia valere che, dopo aver sottoposto la pratica alla Commissione, nell’estate del 2007, quest’ultima non le ha chiesto di sospendere gli effetti della realizzazione anticipata dell’operazione, il che conferma che la stessa non ha ravvisato l’esistenza di una violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, va comunque approvata l’analisi della Commissione secondo la quale detta circostanza non incide sulla qualificazione giuridica dell’infrazione.

193    Infatti, sebbene la ricorrente affermi che la Commissione incorre in un errore di diritto sostenendo che siffatto modo di procedere non è previsto dal regolamento n. 4064/89, dal momento che, nell’estate 2007, era già applicabile il regolamento n. 139/2004, il che emerge del resto dalla decisione di autorizzazione in cui viene indicato che essa è «adottata ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, [lettera b)], del regolamento n. 139/2004», come sottolineato dalla Commissione, quando la stessa aveva autorizzato l’operazione di concentrazione, il regolamento applicabile nella fattispecie non era stato ancora stabilito, dato che la questione della data di acquisizione del controllo esclusivo di fatto restava aperta. È vero che la decisione di autorizzazione ha dichiarato la concentrazione compatibile con il mercato comune ai sensi del regolamento n. 139/2004, ma la Commissione ha espressamente precisato, nel suo considerando 18, che ai fini della suddetta decisione di autorizzazione, la questione della data esatta di acquisizione del controllo esclusivo poteva rimanere aperta in quanto ciò non aveva implicazioni sull’analisi dell’operazione sotto il profilo della concorrenza. Siffatto approccio deve essere confermato poiché, come ricordato al punto 40 supra, dall’articolo 26, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 emerge che il regolamento n. 4064/89 continua ad applicarsi alle concentrazioni che siano state oggetto di un accordo, siano state rese note o siano state realizzate mediante acquisizione del controllo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento anteriormente al 1° maggio 2004.

194    Peraltro, come rilevato dalla Commissione, solo il regolamento n. 139/2004 prevede espressamente al suo articolo 8, paragrafo 5, la possibilità per la stessa di adottare provvedimenti provvisori adeguati. Il regolamento n. 4064/89 non prevedeva siffatta possibilità. In ogni caso, anche nel regolamento n. 139/2004, si tratta solo di una facoltà offerta alla Commissione di emettere un provvedimento di tal genere. Ciò considerato, non è possibile trarre alcuna conclusione, nella fattispecie, riguardo alla questione della qualificazione dell’infrazione, dalla circostanza che la Commissione non ha richiesto la sospensione dell’operazione di cui trattasi.

195    In quarto luogo, la ricorrente sostiene che l’incoerenza nel ragionamento della Commissione è già individuabile nella comunicazione degli addebiti, che essa ha dichiarato l’esistenza di un problema di qualificazione dell’infrazione nella sua risposta a tale comunicazione e che la Commissione non aveva spiegato, nella decisione impugnata, il motivo per cui aveva disatteso i suoi argomenti. Tuttavia, dalla risposta alla comunicazione degli addebiti non emerge che la ricorrente abbia dedotto siffatti argomenti.

196    È vero che la suddetta risposta contiene una sezione relativa al «difetto di qualificazione giuridica dell’infrazione e [alla] mancata dimostrazione dell’esistenza di un’infrazione nel caso di specie» nella quale la ricorrente sottolinea il fatto che la comunicazione degli addebiti non dimostra l’elemento principale dell’infrazione che la Commissione afferma di ravvisare nei suoi confronti, ossia l’esistenza di un’operazione di concentrazione ai sensi del regolamento n 4064/89 al 23 dicembre 2003. Tuttavia, sebbene la ricorrente contesti così l’assenza di qualificazione giuridica dei fatti alla luce dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, essa non afferma che i fatti considerati dalla Commissione costituivano un’infrazione all’articolo 4, paragrafo 1, del medesimo regolamento. Pertanto, in tale documento, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, quest’ultima non sottolinea il fatto che la Commissione avrebbe qualificato un’infrazione diversa da quella che affermava di individuare. In ogni caso, nella replica, la ricorrente puntualizza il proprio argomento, precisando di aver negato la commissione di una qualsiasi infrazione. Così, essa sostiene che non avrebbe potuto affermare, nella propria risposta alla comunicazione degli addebiti, di ritenere che sussistesse un’infrazione ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 4064/89 senza contraddirsi, dal momento che ha sempre sostenuto di non essere responsabile di alcuna infrazione. La censura secondo la quale la ricorrente avrebbe invocato nella risposta alla comunicazione degli addebiti un problema di qualificazione dell’infrazione che la Commissione avrebbe omesso di esaminare nella decisione impugnata è pertanto infondata.

197    Ne deriva che la decisione impugnata è sufficientemente motivata riguardo al fatto che la ricorrente abbia commesso un’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 e non è viziata sul punto da contraddittorietà della motivazione.

198    Il primo motivo dev’essere pertanto respinto, al pari delle conclusioni formulate in via principale, volte all’annullamento della decisione impugnata.

2.     Sulle conclusioni formulate in subordine, volte all’annullamento dell’ammenda o alla riduzione del suo importo

 Sul terzo motivo, fondato sulla violazione dell’articolo 1 del regolamento n. 2988/74, in quanto il potere della Commissione di disporre una sanzione nei confronti della ricorrente per l’asserita infrazione era prescritto

199    Nell’ambito di tale motivo, la ricorrente fa valere che il potere della Commissione di imporle una sanzione era prescritto, dal momento che si trattava, da un lato, di un’infrazione procedurale e, dall’altro, di un’infrazione istantanea. A suo avviso, il termine di prescrizione di tre anni applicabile nella fattispecie ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2988/74 era decorso, dato che l’inizio dell’infrazione era stato fissato al 23 dicembre 2003 e che il primo atto idoneo a interrompere utilmente la decorrenza del termine sarebbe stato compiuto il 17 giugno 2008, ossia cinque anni dopo l’inizio dell’infrazione.

200    La Commissione nega che fosse prescritto il proprio potere di imporre sanzioni.

201    Dai considerando da 179 a 183 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha considerato che, in forza dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 2988/74, il termine di prescrizione era di cinque anni per un’infrazione come quella di cui trattasi nella fattispecie, relativa alla realizzazione di una concentrazione in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, che non riguardava un semplice difetto di notifica, ma un comportamento che determinava una modifica strutturale delle condizioni di concorrenza. La Commissione rileva altresì che la prima richiesta di informazioni inviata alla ricorrente il 17 giugno 2008, diretta all’accertamento dell’infrazione, poi la comunicazione degli addebiti del 17 dicembre 2008 hanno interrotto la prescrizione ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 2988/74.

202    Il motivo verte, in sostanza, sull’applicazione da parte della Commissione dell’articolo 1 del regolamento n. 2988/74. Tale disposizione prevede quanto segue:

«1. Il potere della Commissione di comminare ammende o sanzioni per le infrazioni alle disposizioni del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea è soggetto ad un termine di prescrizione di:

a)      tre anni per le infrazioni alle disposizioni relative alle domande o notificazioni delle imprese o associazioni di imprese, alla ricerca di informazioni o all’esecuzione di accertamenti;

b)      cinque anni per le altre infrazioni.

2. Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è stata commessa l’infrazione. Tuttavia, per quanto concerne le infrazioni continuate o ripetute, esso decorre dal giorno in cui è cessata l’infrazione».

203    È giocoforza constare che gli argomenti della ricorrente si ricollegano in parte a quelli dedotti nell’ambito del primo motivo in quanto quest’ultimo verteva sul fatto che l’infrazione avrebbe dovuto essere qualificata come difetto di notifica in contrasto con l’articolo 4 del regolamento n. 4064/89, anziché come infrazione all’obbligo di sospensione previsto all’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento. Dall’esame del primo e del secondo motivo emerge tuttavia che la Commissione, senza cadere in contraddizione, ha correttamente qualificato l’infrazione come infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento, che ha avuto inizio il 23 dicembre 2003.

204    In primo luogo, la ricorrente fa tuttavia valere che, quand’anche si trattasse di un’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, si dovrebbe nondimeno applicare un termine di prescrizione di tre anni, conformemente all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2988/74, visto che il criterio essenziale che determina l’illegittimità della realizzazione di un’operazione di concentrazione dipenderebbe, in primo luogo, dalla questione se l’operazione sia stata preventivamente notificata. La decisione impugnata conterrebbe diversi riferimenti alla mancata notifica a dimostrazione del fatto che la Commissione addebita alla ricorrente la realizzazione di una concentrazione non solo prima della sua autorizzazione, ma anche prima della sua notifica.

205    Tale analisi dev’essere respinta. Come affermato giustamente dalla Commissione e come è stato ricordato nell’ambito dell’esame del primo motivo, dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 emerge che sussiste infrazione a tale disposizione qualora venga realizzata una concentrazione di dimensione comunitaria prima che questa sia notificata o sia stata dichiarata compatibile con il mercato comune, in quanto la notifica come tale non è decisiva per dimostrare l’effettività della concentrazione, né è sufficiente per porvi fine.

206    Al riguardo, la Commissione ricorda giustamente che la distinzione che dà luogo a due diversi termini di prescrizione nel regolamento n. 2988/74 attiene, a sua volta, alla natura dell’infrazione, poiché un termine breve di tre anni è previsto all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento per le infrazioni relative alle domande o alle notificazioni delle imprese o associazioni di imprese, alla richiesta informazioni o all’esecuzione di verifiche, e un termine più lungo di cinque anni previsto al paragrafo 1, lettera b), di detto articolo per le altre infrazioni. È evidente che la prima categoria di infrazioni, di cui alla lettera a), riguarda infrazioni di carattere formale o procedurale. Orbene, la realizzazione anticipata di una concentrazione in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 costituisce un’infrazione che non può essere qualificata come meramente formale o procedurale, in quanto idonea a modificare in modo sostanziale le condizioni di concorrenza, come rammentato al considerando 182 della decisione impugnata.

207    Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale l’infrazione attiene all’inosservanza della competenza esclusiva della Commissione a eseguire un controllo ex ante delle concentrazioni e si configura quindi come violazione di una norma in materia di competenza, si deve rilevare che, quand’anche si tratti di una questione relativa alla competenza, essa riguarda tuttavia un’infrazione diversa da quelle previste all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2988/74.

208    Quanto agli argomenti della ricorrente relativi alla durata dell’infrazione e in particolare alla data considerata per determinare la cessazione dell’infrazione, come è stato rilevato al punto 191 supra nell’ambito dell’esame del primo motivo, essi non costituiscono di per sé un indizio.

209    Ne consegue che la Commissione, ammettendo un termine di prescrizione di cinque anni, ha correttamente applicato, nella fattispecie, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 2988/74.

210    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che l’infrazione individuata è un’infrazione istantanea, dal momento viene commessa con un unico atto, la realizzazione della concentrazione, e che solo il risultato che ne deriva è destinato a durare nel tempo. Siffatta analisi dovrebbe condurre a calcolare il termine di prescrizione a decorrere dal 23 dicembre 2003. A sostegno della sua tesi, la ricorrente fa valere, in particolare, una distinzione consolidata, specialmente nel diritto francese della concorrenza, tra infrazioni continuate permanenti e infrazioni continuate successive. A suo avviso, le infrazioni appartenenti alla prima categoria vengono commesse con un unico atto, anche se gli effetti e il risultato che ne derivano si protraggono nel tempo, cosicché troverebbe applicazione il regime dell’infrazione istantanea. L’infrazione di cui trattasi nella fattispecie rientrerebbe in questa prima categoria, dal momento che è stato considerato che la medesima è stata commessa per negligenza e che siffatta caratteristica non può essere applicata alla seconda categoria, che presuppone una reiterazione nel tempo della volontà illecita. La ricorrente ritiene peraltro che una diversa conclusione avrebbe come effetto di rendere quasi eterne le infrazioni all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, dato che il temine di prescrizione non potrebbe mai decorrere.

211    Tale argomento, riguardante l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 2988/74, secondo il quale il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è stata commessa l’infrazione, salvo che per le infrazioni continuate o ripetute per le quali il termine decorre solo dal giorno in cui è cessata l’infrazione, non può essere accolto.

212    Infatti, la capacità di esercitare un’influenza determinante sull’attività dell’impresa controllata si inserisce necessariamente nel periodo decorrente dalla data di acquisizione del controllo e fino alla cessazione del medesimo. Come ha fatto giustamente valere la Commissione in risposta a un quesito scritto del Tribunale che le chiedeva di precisare il suo argomento relativo al carattere continuativo dell’infrazione, l’ente che ha acquisito il controllo dell’impresa continua ad esercitarlo in violazione dell’obbligo di sospensione derivante dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 fino al momento in cui vi pone fine, ottenendo l’autorizzazione della Commissione o rinunciando al controllo. Di conseguenza, l’infrazione continua per tutta la durata del controllo acquisito in violazione del suddetto articolo 7, paragrafo 1, e fino a quando la concentrazione non sia stata autorizzata dalla Commissione. La Commissione ha pertanto correttamente qualificato l’infrazione come continuativa fino alla data di autorizzazione della concentrazione o, se del caso, fino a una data precedente presa in considerazione alla luce delle circostanze del caso di specie. Inoltre, la Commissione fa giustamente valere che la distinzione tra infrazioni continuate e infrazioni continuate successive, invocata dalla ricorrente, non va applicata nel diritto dell’Unione in materia di concorrenza, cosicché non è necessario esaminarla ulteriormente.

213    Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale, in tali circostanze, il termine di prescrizione potrebbe decorrere «in eterno», occorre rilevare che il fatto di qualificare un’infrazione, come quella di cui trattasi nella fattispecie, come istantanea non è sostenibile dal punto di vista della politica repressiva, poiché, in assenza di effetti riconoscibili sul mercato, la prescrizione del potere di sanzionare siffatta infrazione maturerebbe piuttosto agevolmente.

214    Infine, in ogni caso, quand’anche si tratti di un’infrazione istantanea, il cui termine iniziale di prescrizione sarebbe stato il 23 dicembre 2003, la prescrizione, fissata in cinque anni come emerge dal punto 209 supra, sarebbe stata interrotta dalla richiesta di informazioni del 17 giugno 2008 e dalla comunicazione degli addebiti del 17 dicembre 2008, conformemente all’articolo 2 del regolamento n. 2988/74, dal quale risulta che la prescrizione dell’azione si interrompe con qualsiasi atto della Commissione diretto all’istruzione o all’esercizio dell’azione, come peraltro precisato al considerando 180 della decisione impugnata.

215    Da quanto precede risulta che il potere della Commissione di sanzionare l’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 non era prescritto alla data di adozione della decisione impugnata.

216    Il terzo motivo dev’essere pertanto respinto.

 Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 4064/89 e dei principi di proporzionalità, di buona amministrazione e del legittimo affidamento

217    Nell’ambito del presente motivo, la ricorrente presenta due parti a sostegno della propria domanda in subordine volta all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda. Con la prima parte, essa fa valere errori manifesti di valutazione e il carattere sproporzionato dell’importo dell’ammenda rispetto all’obiettivo di repressione dell’infrazione individuale. Con la seconda parte, essa deduce la sproporzionalità dell’ammenda rispetto al fine dissuasivo e l’incoerenza della politica di concorrenza della Commissione.

 Sulla prima parte del quarto motivo, concernente manifesti errori di valutazione e il carattere sproporzionato dell’importo dell’ammenda rispetto all’obiettivo di repressione dell’infrazione individuale

218    La ricorrente sostiene che l’imposizione di un’ammenda di importo pari a EUR 20 milioni è del tutto sproporzionata e iniqua. Inoltre, in primo luogo, essa fa valere che l’asserita infrazione non può configurarsi come un infrazione grave che può comportare un’ammenda così severa. In secondo luogo, la valutazione della Commissione, quanto alla durata dell’infrazione, sarebbe viziata da errori manifesti. In terzo luogo, essa rimette in discussione la valutazione delle circostanze attenuanti effettuata dalla Commissione.

219    La Commissione conclude per il rigetto degli argomenti della ricorrente, facendo osservare che quest’ultima non contesta taluni aspetti rilevanti della sua valutazione, che essa confonde la natura con la gravità dell’infrazione e che la motivazione della decisione impugnata, quanto alla durata dell’infrazione e alla presa in considerazione di circostanze attenuanti, non è viziata da errori e ancor meno da errori manifesti.

220    L’analisi in oggetto, svolta dalla Commissione, è contenuta ai considerando da 184 a 227 della decisione impugnata. La Commissione fa presente, al considerando 184, della decisione impugnata di aver tenuto conto della natura e della gravità dell’infrazione, conformemente all’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89, nonché della durata dell’infrazione e di eventuali circostanze aggravanti e attenuanti.

221    In via preliminare, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 16 del regolamento n. 4064/89, la Corte ha competenza estesa al merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con cui la Commissione infligge un’ammenda o una penalità di mora; essa può annullare, ridurre o maggiorare l’ammenda o la penalità di mora inflitta. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a annullare, ridurre o maggiorare l’ammenda o la penalità di mora inflitta (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Racc. pag. I‑8375, punto 692).

222    Occorre tuttavia sottolineare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e ricordare che il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi.

223    Prima di esaminare gli argomenti della ricorrente sui fattori presi in considerazione dalla Commissione per fissare l’importo dell’ammenda, occorre analizzare, da un lato, gli argomenti preliminari di quest’ultima vertenti sulla circostanza che la sua analisi, nella decisione impugnata, delle risorse globali della ricorrente non è rimessa in discussione dinanzi al Tribunale e, dall’altro, la menzione da parte della ricorrente di taluni metodi o principi applicati ai fini della determinazione delle ammende in materia di cartelli.

224    Quanto alle risorse globali della ricorrente, viene fatto ad esse riferimento ai considerando 196, 197 e 225 della decisione impugnata. Ai considerando 196 e 197, si menzionano, al contempo, le sue dimensioni ed i «mezzi sostanziali di analisi giuridica» di cui essa dispone. Il considerando 197 della decisione impugnata contiene in particolare un elenco delle operazioni di concentrazione comunitarie nelle quali sono state coinvolte la ricorrente o il gruppo Suez. Peraltro, al considerando 225 della decisione impugnata, la Commissione dichiara di prendere in considerazione la necessità che le ammende abbiano carattere dissuasivo e che, nel caso di un’impresa delle dimensioni della ricorrente, è necessario che l’ammenda sia di importo sufficiente a consentirle di avere un effetto dissuasivo.

225    Le valutazioni rilevate al punto precedente non sono in effetti contestate dalla ricorrente nell’ambito del suo ricorso o, in ogni caso, non direttamente. La Commissione afferma che tali considerazioni hanno avuto un ruolo importante nella determinazione dell’importo dell’ammenda, in particolare per garantire il suo carattere dissuasivo. Essa fa valere, senza essere contestata dalla ricorrente sul punto, che l’importo inflitto, di EUR 20 milioni, rappresenta soltanto lo 0,42 % del limite massimo legale e lo 0,04 % del fatturato realizzato da Suez nel 2007 (ossia EUR 47,5 miliardi).

226    Va osservato che l’importo dell’ammenda rimane molto al di sotto della soglia legale del 10 % prevista all’articolo 14, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 4064/89, secondo il quale la Commissione può infliggere ammende alle imprese fino a concorrenza del 10 % del fatturato totale realizzato dalle imprese in questione quando, intenzionalmente o per negligenza, esse realizzano un’operazione di concentrazione non rispettando il suo articolo 7, paragrafo 1. Ciò è ugualmente vero se si tiene conto unicamente del fatturato della sola ricorrente che, nel 2007, era di EUR 15,2 miliardi e, nel 2008, di EUR 14,6 miliardi, compresa CNR.

227    Quanto alla menzione, da parte della ricorrente, di taluni principi o di taluni metodi per il calcolo delle ammende precisati negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: i «nuovi orientamenti»), nonché negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: i «vecchi orientamenti»), in particolare per quanto riguarda la valutazione della durata dell’infrazione e delle circostanze attenuanti, la Commissione afferma correttamente che questi testi si applicano unicamente nell’ambito del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204), e del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), e quindi non si applicano alle ammende imposte in forza del regolamento n. 4064/89. L’argomento della ricorrente secondo il quale detti testi si applicano in quanto definiscono il «metodo generale di determinazione delle ammende da parte della Commissione in materia di concorrenza» non può essere quindi accolto.

228    Sebbene, indubbiamente, possano essere fatti parallelismi, in particolare per quanto riguarda l’applicazione della giurisprudenza relativa a taluni principi generali nel settore del diritto della concorrenza, non può essere tuttavia contestato alla Commissione di non aver seguito, per fissare l’importo dell’ammenda nella fattispecie, un qualsiasi metodo fra quelli precisati nei vecchi orientamenti o nei nuovi orientamenti. L’ambito della sua analisi doveva essere quello dell’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89 secondo il quale, per determinare l’importo dell’ammenda, si deve prendere in considerazione la natura e la gravità dell’infrazione. In effetti, per quanto riguarda tale disposizione, la Commissione non ha adottato orientamenti che enunciano il metodo di calcolo che le sarebbe imposto nella determinazione delle ammende in forza di tale disposizione. Essa è tuttavia tenuta a far apparire in forma chiara ed inequivocabile, nella decisione impugnata, gli elementi presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda.

–       Sulla gravità dell’infrazione

229    La ricorrente deduce, in sostanza, tre argomenti relativi alla gravità dell’infrazione.

230    Sotto tale profilo, occorre ricordare in via preliminare che, secondo una giurisprudenza costante, la gravità dell’infrazione è determinata tenendo conto di numerosi elementi, riguardo ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità (v., per analogia, sentenze della Corte del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punti da 240 a 242, e del 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, C‑328/05 P, Racc. pag. I‑3921, punto 43).

231    Il primo argomento della ricorrente è fondato sulla circostanza che l’infrazione è stata commessa per negligenza e che la medesima non può essere in nessun caso considerata come un fattore di aumento della gravità dell’infrazione. La Commissione cadrebbe in contraddizione nella decisione impugnata su tale punto, cosicché l’intera valutazione della gravità sarebbe viziata. A suo giudizio, considerando che qualsiasi infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 costituisce per sua natura un’infrazione grave, la Commissione non avrebbe osservato in particolare l’articolo 14, paragrafo 2, di detto regolamento, che distinguerebbe le infrazioni commesse «intenzionalmente» da quelle commesse «per negligenza».

232    Dai considerando da 186 a 191 della decisione impugnata emerge che la Commissione considera che l’infrazione è grave in quanto compromette l’efficacia delle disposizioni in materia di controllo comunitario delle concentrazioni. Essa precisa che un’impresa che realizza una concentrazione di dimensione comunitaria senza aver ottenuto l’autorizzazione si sottrae unilateralmente a un controllo obbligatorio che il legislatore ha attribuito alla sua competenza esclusiva e indebolisce così l’ordinamento giuridico dell’Unione. Qualsiasi infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 è quindi, secondo la Commissione, per sua natura un’infrazione grave.

233    La Commissione fa valere dinanzi al Tribunale che tale approccio è conforme ai dettami giurisprudenziali relativi ad altri divieti di realizzazione di operazioni collegati a meccanismi di notifica e di autorizzazione preventiva. Essa menziona, in particolare, il regime degli aiuti di Stato e il regime di notifica delle norme tecniche istituito dalla direttiva 83/189/CEE del Consiglio, del 28 marzo 1983, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU L 109, pag. 8). La Commissione aggiunge che, alla luce della logica stessa di un sistema di notifica preventiva, un’infrazione a tale obbligo è grave, indipendentemente dal fatto che essa sia commessa intenzionalmente o per negligenza e indipendentemente dalle conseguenze per la concorrenza in questione.

234    Al riguardo, sebbene il regime di notifica degli aiuti di Stato o in materia di norme tecniche non possa giustificare di per sé l’iter logico seguito nella decisione impugnata, in quanto, come la ricorrente non manca di far osservare, i suddetti regimi non prevedono l’imposizione di ammende, la Commissione fa giustamente osservare, al considerando 193 della decisione impugnata che il fatto che il regolamento n. 4064/89 preveda ammende così severe – che arrivano fino al 10 % del fatturato delle imprese in questione – dimostra la volontà del legislatore di tutelare il sistema di notifica e di approvazione preventiva della realizzazione di una concentrazione di dimensione comunitaria. Del resto, va osservato che il regolamento n. 139/2004, nel suo articolo 14, paragrafo 2, ha mantenuto tale livello di severità dell’ammenda per infrazioni relative alla realizzazione di una concentrazione in violazione dell’obbligo di sospensione e ha peraltro esteso questo grave regime sanzionatorio ai casi di difetto di notifica, ma solo a quelli sanzionati, nel regolamento n. 4064/89, con ammende di importo compreso tra EUR 1 000 ed EUR 50 000.

235    La Commissione ha quindi giustamente precisato, al considerando 187 della decisione impugnata, che «[s]ubordinando le concentrazioni di dimensione comunitaria alla condizione di notifica e autorizzazione preventiva, il legislatore comunitario ha inteso garantire l’effettività del controllo delle concentrazioni di dimensione comunitaria da parte della Commissione, consentendo a quest’ultima, eventualmente, di impedire la realizzazione di tali concentrazioni prima che venga adottata una decisione definitiva e, pertanto, di prevenire il verificarsi di danni irreparabili e permanenti alla concorrenza». La Commissione ha potuto quindi qualificare l’infrazione, senza incorrere in errore, come infrazione grave, tenuto conto della sua natura.

236    Per quanto riguarda il ruolo svolto per negligenza, dai considerando da 195 a 206 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha qualificato l’infrazione come infrazione grave riferendosi anche al fatto che la ricorrente aveva dato prova di negligenza. Orbene, secondo quest’ultima, un’infrazione commessa per negligenza non può essere definita grave.

237    Al riguardo, si deve constatare che l’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 4064/89 non distingue a seconda che l’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza, ma menziona queste due condizioni di imposizione dell’ammenda in via alternativa (v., per analogia, per quanto riguarda l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17, ordinanza della Corte del 25 marzo 1996, SPO e a./Commissione, C‑137/95 P, Racc. pag. I‑1611, punto 56). Inoltre, le infrazioni commesse per negligenza non sono, sotto il profilo dei loro effetti sulla concorrenza, meno gravi delle infrazioni commesse intenzionalmente (v., per analogia, ordinanza SPO e a./Commissione, cit., punto 55).

238    Di conseguenza, la Commissione era legittimata a ritenere che l’infrazione fosse grave per sua natura, senza che ciò implichi che dovesse quindi trattarsi di un’infrazione intenzionale.

239    Peraltro, il fatto che sia i vecchi che i nuovi orientamenti indichino la negligenza come circostanza attenuante in materia di ammende per infrazioni all’articolo 81 CE o all’articolo 82 CE è inconferente, da un lato, alla luce delle considerazioni esposte al punto 227 supra e, dall’altro, in quanto la questione se la Commissione avesse dovuto tener conto della negligenza quale circostanza attenuante è distinta dalla questione se essa abbia correttamente qualificato l’infrazione in considerazione della sua natura e della sua gravità.

240    Va infine rilevato che dal contesto della decisione impugnata e dai punti della motivazione, esposti ai considerando da 196 a 206 della medesima decisione e dedotti a sostegno della qualificazione del comportamento tenuto dalla ricorrente come condotta negligente, emerge che la Commissione considera che si tratta di un comportamento ben diverso dall’errore scusabile e non adeguato in rapporto alle circostanze, come ha del resto ricordato dinanzi al Tribunale.

241    L’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione viola l’articolo 14 del regolamento n. 4064/89 e si contraddice nella decisione impugnata, qualificando l’infrazione come infrazione grave pur ritenendo che essa sia stata commessa per negligenza, deve essere pertanto respinto.

242    Il secondo argomento della ricorrente volto a rimettere in discussione la gravità dell’infrazione riguarda la circostanza, riconosciuta dalla Commissione, che questa non ha arrecato alcun danno alla concorrenza. La ricorrente rammenta che anche le infrazioni agli articoli 81 CE e 82 CE, che possono determinare, per definizione, i danni più gravi alla concorrenza, non vengono automaticamente considerati gravi. Dato che il fine ultimo del controllo preventivo sulle concentrazioni è quello di prevenire danni irreparabili e permanenti alla concorrenza e che la Commissione stessa riconosce, al considerando 194 della decisione impugnata, che l’effetto concreto sulla concorrenza è un criterio pertinente, il suo ragionamento sarebbe viziato da incoerenza nel qualificare l’infrazione di cui trattasi come infrazione grave laddove questa non avrebbe avuto né come scopo né come effetto di arrecare pregiudizio alla concorrenza.

243    Tale argomento riguarda i considerando da 192 a 194 della decisione impugnata relativi alla gravità dell’infrazione in cui la Commissione ha ritenuto che il fatto che l’infrazione non abbia posto problemi di concorrenza non poteva incidere sulla questione della sua gravità.

244    Al riguardo, l’analogia tra l’infrazione di cui trattasi e le infrazioni all’articolo 81 CE o all’articolo 82 CE deve essere esaminata in tutti i suoi aspetti, proprio come l’argomento relativo al ruolo che avrebbe dovuto avere, secondo la ricorrente, l’assenza di effetti sulla concorrenza derivanti dall’infrazione ad essa addebitata.

245    Lo scopo perseguito dalla normativa dell’Unione in materia di controllo delle concentrazioni è certamente la prevenzione di danni irreparabili e permanenti alla concorrenza, come riconosciuto dalla stessa Commissione al considerando 187 della decisione impugnata. Infatti, il primo considerando del regolamento n. 4064/89 fa riferimento all’obiettivo di una concorrenza non falsata nel mercato comune. Infine, il bene giuridico così tutelato è la salvaguardia della libera concorrenza all’interno del mercato comune, che costituisce, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera g), CE, un obiettivo fondamentale dell’Unione, come avviene, peraltro, per i poteri di indagine e sanzionatori della Commissione relativi alle infrazioni agli articoli 81 CE e 82 CE (v., in tal senso, sentenza della Corte del 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, C‑308/04 P, Racc. pag. I‑5977, punto 31).

246    Tuttavia, dal regolamento n. 4064/89 emerge altresì che il sistema di controllo delle concentrazioni da esso istituito mira a consentire alla Commissione di esercitare un controllo effettivo di tutte le operazioni di concentrazione in funzione del loro effetto sulla struttura della concorrenza (settimo considerando) e che l’effettività di tale sistema è garantito attraverso l’istituzione di un controllo ex ante degli effetti di operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria. Dal considerando 17 nonché dall’articolo 4 e dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 deriva che l’efficacia di tale vigilanza è fondata sul dovere delle imprese di notificare preventivamente siffatte operazioni di concentrazione e di sospendere la loro realizzazione fino alla decisione della Commissione che le dichiara compatibili con il mercato comune. Inoltre, le limitazioni che circoscrivono la possibilità di deroga all’obbligo di sospensione di cui all’articolo 7 e la severità delle sanzioni collegate alla sua violazione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 4064/89 confermano l’importanza primaria assegnata dal legislatore all’obbligo di sospensione nell’ambito del controllo delle concentrazioni, approccio che si giustifica qualora l’attività di una concentrazione incida sulla struttura del mercato e possa rendere più difficili le decisioni della Commissione dirette, eventualmente, a ristabilire una concorrenza effettiva. Alla luce di tale contesto, la Commissione sostiene correttamente che l’analisi ex post dell’assenza di effetti sul mercato di un’operazione di concentrazione non può costituire ragionevolmente un fattore determinante per qualificare ex ante la gravità del pregiudizio arrecato al sistema di controllo.

247    Ciò non impedisce tuttavia che l’assenza di effetti sul mercato sia un elemento pertinente da prendere in considerazione per fissare l’importo dell’ammenda, come riconosciuto dalla Commissione al considerando 194 della decisione impugnata. D’altra parte, essa fa anche giustamente valere, nel medesimo considerando, che la presenza di un danno concorrenziale renderebbe l’infrazione ancora più grave. Occorre infine osservare che, sebbene la Commissione non proceda ad un’ulteriore analisi in merito, essa precisa nella conclusione, contenuta al considerando 225 della decisione impugnata, di aver tenuto conto dell’assenza di danni concorrenziali causati dall’operazione di concentrazione.

248    Il terzo argomento della ricorrente diretto a contestare la gravità dell’infrazione verte sulla circostanza che la questione del controllo esclusivo di fatto avrebbe richiesto, nel 2003, un’analisi complessa di fatto e di diritto. A suo avviso, la Commissione non avrebbe quindi potuto invocare il carattere asseritamente prevedibile di tale controllo, tanto più che i precedenti citati nella decisione impugnata, in particolare la decisione 1999/594 (punto 122 supra), e la decisione 1999/459/CE della Commissione, del 10 febbraio 1999, che impone ammende per omessa notificazione e per la realizzazione di tre operazioni di concentrazione, in violazione dell’articolo 4 e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio (Caso IV/M.969 – A.P. Møller) (GU L 183, pag. 29), non avrebbero potuto essere considerati nei suoi confronti.

249    L’argomento riguarda i considerando da 195 a 206 della decisione impugnata nei quali la Commissione ha ritenuto, nell’ambito della sua valutazione relativa alla gravità dell’infrazione, che la ricorrente avesse dato prova di negligenza in base a tre fattori, ossia, in primo luogo, il fatto che essa fosse un’impresa importante che disponeva di mezzi sostanziali di analisi giuridica e che si era ritrovata più volte ad affrontare il diritto dell’Unione in materia di concentrazioni, in secondo luogo, il fatto che l’acquisizione del controllo fosse prevedibile e, in terzo luogo, l’esistenza di precedenti.

250    Tuttavia, occorre innanzi tutto sottolineare che, come accennato ai punti 224 e 225 supra, la ricorrente non contesta il primo dei tre fattori menzionati dalla Commissione per considerare nei suoi confronti che essa ha dato prova di negligenza, ossia il fatto che la stessa sia un’impresa importante che dispone di mezzi sostanziali di analisi giuridica e che si è ritrovata più volte ad affrontare il diritto dell’Unione in materia di concentrazioni.

251    Per quanto riguarda il secondo fattore considerato dalla Commissione, ossia la prevedibilità dell’acquisizione del controllo, la ricorrente afferma, in sostanza, che la questione dell’esistenza di un controllo esclusivo di fatto a suo favore, nel 2003, richiedeva un’analisi complessa di fatto e di diritto. Essa fa altresì valere il carattere particolare di CNR quale società per azioni di interesse nazionale.

252    La Commissione elenca ai considerando 198 e segg. della decisione impugnata una serie di elementi per corroborare il proprio argomento secondo il quale, poiché l’acquisizione del controllo poteva essere prevista, la ricorrente ha commesso un’infrazione per negligenza. È giocoforza constatare che si tratta di elementi pertinenti che, in ogni caso, combinati con l’esperienza della ricorrente nel settore delle concentrazioni e in materia di procedure di notifica, rendono poco convincente il suo argomento secondo il quale non può esserle addebitata alcuna negligenza.

253    Infatti, nello specifico, la ricorrente ha concluso un accordo con EDF, nel giugno 2003, per acquistare la propria partecipazione in CNR, proprio a seguito degli impegni assunti da EDF nell’ambito dell’autorizzazione di un’altra concentrazione da parte della Commissione. Essa otteneva così una quota del capitale e dei diritti di voto in seno a quest’ultima vicina al 50 %, nel contesto di un azionariato disperso e della conclusione di un patto con CDC. Peraltro, la ricorrente disponeva già di due rappresentanti su tre in seno al comitato di gestione. In considerazione delle sue dimensioni in termini di fatturato, di quelle di CNR e dei fattori relativi al sistema di gestione, è del tutto pertinente per la Commissione aver considerato che la ricorrente è stata negligente, non avendola contattata prima del dicembre 2003 onde stabilire se fosse effettivamente in discussione una concentrazione ai sensi del diritto della concorrenza. Il fatto che la ricorrente abbia accolto un’altra interpretazione del quadro normativo applicabile non significa che quest’ultimo non fosse chiaro o che essa non potesse prevedere di incorrere in un rischio omettendo di discutere la propria interpretazione con la Commissione in tempo utile.

254    L’essere stati negligenti non è certamente una condizione sufficiente per commettere l’infrazione addebitata alla ricorrente e per essere sanzionati a tale titolo. È necessario, infatti, che la Commissione provi che si è effettivamente verificata una concentrazione, circostanza che determina la sua competenza e, se del caso, l’inizio di un’eventuale infrazione all’obbligo di sospensione. Orbene, dall’esame del secondo motivo, esposto supra, emerge che la Commissione ha sufficientemente dimostrato tali circostanze.

255    Inoltre, la Commissione fa altresì valere, a ragione, che, sebbene la prova della sussistenza del controllo sia stata particolarmente complessa, il comportamento opportuno della ricorrente, che la Commissione era ragionevolmente legittimata ad attendersi, era quello di contattarla.

256    Infine, il fatto che la stessa Commissione abbia impiegato molto tempo a stabilire la data di inizio dell’infrazione non è pertinente, poiché la durata della procedura è stata determinata, almeno in parte, dalla lentezza della ricorrente.

257    Ne consegue che l’argomento della ricorrente, fondato sulla imprevedibilità della concentrazione, dev’essere respinto.

258    Per quanto riguarda il terzo fattore considerato per dimostrare la negligenza della ricorrente, ossia i precedenti fatti valere al considerando 205 della decisione impugnata, in particolare la decisione 1999/594 (punto 122 supra) e la decisione 1999/459 (punto 248 supra), ossia le prime decisioni della Commissione che impongono ammende per inosservanza dell’articolo 4 e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la loro risalenza nel tempo al momento dell’inizio dell’infrazione conferma la conclusione della Commissione riguardo alla sussistenza di una condotta negligente da parte della ricorrente. Infatti, alla luce di tali decisioni, la ricorrente non poteva far valere l’assenza di prassi decisionale nel settore in questione.

259    Infine, per quanto riguarda la decisione 2003/625/CE della Commissione, del 3 luglio 2001, che dichiara una concentrazione compatibile con il mercato comune e con il funzionamento dell’accordo SEE (Caso COMP/JV.55 – Hutchison/RCPM/ECT) (GU 2003, L 223, pag. 1), fatta valere dalla ricorrente, nella quale la Commissione ha deciso di non imporre ammende per difetto di notifica relativamente ad un’impresa comune concentrativa, in particolare a causa dell’analisi particolarmente complessa degli elementi di fatto e di diritto inerente a questo tipo di concentrazione, è sufficiente rilevare che le circostanze di tale causa differivano da quelle del caso di specie. Infatti, la decisione in parola riguardava il problema di un accordo di cooperazione inizialmente notificato alla Commissione come impresa comune cooperativa sotto il regime del regolamento n. 17, che la Commissione ha invece successivamente qualificato come concentrativa. La decisione di non imporre ammende in tale causa è quindi intervenuta in un contesto del tutto particolare. Peraltro, la Commissione ricorda giustamente che, in ogni caso, la sua prassi decisionale precedente non funge da quadro normativo per le ammende in materia di concorrenza (v., per analogia, sentenza del Tribunale del 30 settembre 2003, Michelin/Commissione, T‑203/01, Racc. pag. II‑4071, punto 292).

260    Ne consegue che i tre argomenti dedotti dalla ricorrente per contestare la gravità dell’infrazione devono essere disattesi.

–       Sulla durata dell’infrazione

261    Ai considerando da 207 a 217 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che il periodo da prendere in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda fosse compreso tra il 23 dicembre 2003 e il 9 agosto 2007, ossia tre anni, sette mesi e diciassette giorni, una durata definita «considerevole».

262    Secondo la ricorrente, ritenendo che una durata di tre anni, sette mesi e diciassette giorni sia considerevole, tenuto conto della durata più breve prevista nella decisione 1999/459 (punto 248 supra), la Commissione non rispetta la propria prassi in base alla quale la medesima considera infrazioni molto più gravi e di durata superiore in quanto di media durata; e non rispetterebbe neppure i vecchi orientamenti secondo i quali sono di media durata le infrazioni di durata compresa tra uno e cinque anni. Peraltro, ricordando, al considerando 217 della decisione impugnata, che il rischio di un effetto pregiudizievole sui consumatori aumenta con la durata dell’infrazione, la Commissione sarebbe incorsa altresì in errore, poiché avrebbe espressamente riconosciuto che l’infrazione individuata non aveva avuto alcun effetto pregiudizievole sulla concorrenza o sui consumatori.

263    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

264    In primo luogo, occorre constatare che l’argomento della ricorrente, dedotto nell’ambito di questa parte, non fa riferimento al calcolo della durata dell’infrazione in quanto tale, ma si limita, da un lato, a rimettere in discussione il fatto che la durata considerata dalla Commissione sia definita considerevole e, dall’altro, a contestare la pertinenza della presa in considerazione, nella fattispecie, della durata dell’infrazione.

265    In secondo luogo, come già indicato al punto 227 supra, la Commissione contesta giustamente la pertinenza, nella fattispecie, dei vecchi orientamenti. Del resto, essa rileva correttamente che è probabile che una violazione concernente la realizzazione anticipata di una concentrazione duri meno di un cartello segreto, cosicché parallelismi operati nel valutare la durata di questi diversi tipi di infrazione sembrano in ogni caso poco pertinenti.

266    In terzo luogo, la ricorrente non contesta il fatto che la durata dell’infrazione, nella specie, sia stata molto più lunga di quella prevista nella decisione 1999/459 (punto 248 supra). La Commissione poteva quindi validamente invocare tale riferimento al considerando 217 della decisione impugnata a sostegno della qualificazione della durata nel caso di specie.

267    In quarto luogo, l’affermazione di carattere generale contenuta al considerando 217 della decisione impugnata, secondo la quale il rischio di un effetto pregiudizievole sui consumatori aumenta con la durata, non è viziata da alcuna contraddizione. Infatti, come ha fatto giustamente valere la Commissione, essa ha così semplicemente ricordato che il rischio di danno alla concorrenza aumentava con il protrarsi di una situazione di irregolarità e che, per quanto riguarda la violazione dell’obbligo di sospendere una concentrazione, alla luce di quanto esposto al punto 246 supra, tale rischio doveva essere valutato a priori prescindendo dall’analisi degli effetti futuri dell’operazione. Contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, la durata dell’infrazione è pertinente nel caso di specie. Come correttamente sostenuto dalla Commissione in risposta a un quesito scritto del Tribunale, quando un’infrazione era definita come realizzazione di un fatto o di un’attività illeciti, era legittimo tener conto della portata del fatto o dell’attività in questione, nonché della durata di esercizio dell’attività anche se si trattava di circostanze successive al momento di commissione dell’infrazione.

268    Stanti tali premesse, la ricorrente non ha dimostrato che la valutazione della Commissione, quanto alla durata dell’infrazione, era errata.

–       Sulle circostanze attenuanti

269    Come emerge dai considerando da 218 a 224 della decisione impugnata, la Commissione ha preso in considerazione quali circostanze attenuanti il fatto che la ricorrente le abbia sottoposto il caso di propria iniziativa, osservando altresì che essa aveva assunto tale iniziativa soltanto tre anni e mezzo dopo l’acquisto della partecipazione di EDF, nonché la sua cooperazione durante la procedura di notifica e oltre, precisando nondimeno che il periodo di prenotifica era stato lungo. Per quanto riguarda il non occultamento della partecipazione in CNR, durante il periodo relativo agli anni dal 2004 al 2007, la Commissione considera che ciò non può costituire una circostanza attenuante e che il fatto di non aver esaminato tale aspetto non può far beneficiare la ricorrente di una presunzione di legittimità al riguardo. Tutt’al più, il non occultamento potrebbe implicare che la ricorrente ha ritenuto in buona fede di non dover notificare l’operazione. La Commissione ha considerato che non sussistevano circostanze aggravanti.

270    La ricorrente rammenta che i vecchi e i nuovi orientamenti precisano che la Commissione deve tener conto di circostanze attenuanti nel determinare l’importo dell’ammenda. Essa contesta, oltre alla mancata considerazione della negligenza quale circostanza attenuante, il fatto che la Commissione abbia rifiutato di considerare l’assenza di occultamento come tale circostanza in quanto non aveva svolto indagini in tal senso. Così facendo, la Commissione sarebbe incorsa in un errore di diritto confondendo la nozione di circostanza attenuante con quella di presunzione di legittimità.

271    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

272    È giocoforza constatare che la Commissione rammenta, ancora una volta correttamente, che l’approccio adottato nei vecchi e nei nuovi orientamenti non è determinante per le ragioni indicate al punto 227 supra. La Commissione dispone peraltro di un certo margine di discrezionalità nel considerare o meno taluni elementi, quali il mancato occultamento dell’acquisizione o la negligenza, come circostanze attenuanti.

273    Per quanto attiene, in particolare, alla mancata considerazione della negligenza quale circostanza attenuante, è già stato giudicato supra che la Commissione non fosse incorsa in errore prendendo in considerazione la negligenza nella qualificazione dell’infrazione come infrazione grave. Peraltro, come la Commissione ha potuto sottolineare anche nel corso dell’udienza, l’infrazione consistente nella realizzazione anticipata di un’operazione di concentrazione costituisce un esempio di infrazione di cui è difficile dimostrare la natura intenzionale.

274    Per quanto riguarda la circostanza che la negligenza sia stata considerata quale circostanza attenuante nella decisione 1999/594 (punto 122 supra), ma non nel caso di specie, va ricordato che la circostanza che, in taluni casi, la Commissione abbia preso in considerazione, nella sua prassi decisionale precedente, alcune misure quali circostanze attenuanti non comporta per la stessa l’obbligo di procedere allo stesso modo nel caso di specie, anche se la Commissione è tenuta a rispettare il principio della parità di trattamento, che costituisce un principio generale del diritto secondo il quale essa non può trattare situazioni analoghe in modo diverso o situazioni diverse in modo identico, salvo che siffatto trattamento sia oggettivamente giustificato (v., per analogia, sentenza del Tribunale del 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, T‑30/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 205, e giurisprudenza ivi citata). Orbene, un elemento che differenzia nettamente la decisione 1999/594 dal caso in esame è la circostanza che la suddetta decisione fosse la prima ad essere adottata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89. In ogni caso, la Commissione non può essere tenuta ad applicare la stessa soluzione nel caso di specie.

275    Inoltre, come esaminato ai punti 240 e da 248 a 259 supra, la Commissione deduce vari argomenti nella decisione impugnata da cui emerge che la negligenza addebitata alla ricorrente corrispondeva ad un comportamento ben diverso dall’errore scusabile e non adeguato in rapporto alle circostanze.

276    La Commissione ha quindi potuto considerare, legittimamente e lecitamente, che il fatto che l’infrazione fosse stata commessa per negligenza non doveva tradursi in una riduzione dell’importo dell’ammenda.

277    Inoltre, se la Commissione ha rifiutato di prendere in considerazione, quale circostanza attenuante, il non occultamento, da parte della ricorrente, della sua partecipazione in CNR, dato che, in sostanza, non avendo svolto indagini in merito a tale aspetto, non può «consentire a siffatta situazione di beneficiare di una presunzione di legittimità», un’analisi di tal genere dev’essere confermata. La Commissione, infatti, ha fatto così valere, giustamente, che l’occultamento costituirebbe un elemento di intenzionalità che avrebbe potuto giustificare una maggiorazione dell’importo dell’ammenda. Il fatto che la Commissione abbia potuto considerare, nella decisione 2003/625, che l’assenza di occultamento dell’infrazione poteva condurre alla mancata imposizione di un’ammenda, non è pertinente, poiché, come è già stato ricordato al punto 259 supra, le circostanze di fatto della causa che ha dato luogo alla decisione in parola erano diverse. La Commissione ricorda giustamente che si trattava di un’operazione che le era stata inizialmente notificata ai fini di un’esenzione, quale accordo di cooperazione, me che essa aveva in seguito qualificato come impresa comune concentrativa.

278    Ne consegue che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione ha ecceduto i limiti del proprio potere discrezionale nel valutare le circostanze attenuanti.

–       Sul carattere proporzionato dell’ammenda

279    Per quanto attiene al principio di proporzionalità, esso esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non eccedano i limiti di quanto è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenza della Corte del 5 maggio 1998, Regno Unito/Commissione, C‑180/96, Racc. pag. I‑2265, punto 96, e sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 274 supra, punto 223). Ne consegue che gli importi delle ammende non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto alle norme in materia di concorrenza, e che l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionata all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima (v. sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 274 supra, punto 224, e giurisprudenza ivi citata).

280    Al riguardo, occorre ricordare che, nella fattispecie, indipendentemente dalla questione se l’infrazione sanzionata sia stata commessa per negligenza e non abbia avuto effetti sulla concorrenza, si tratta di un’infrazione grave, che arreca pregiudizio all’effettività del controllo delle concentrazioni di dimensione comunitaria da parte della Commissione, e di durata considerevole.

281    Inoltre, per quanto riguarda la negligenza addebitata alla ricorrente, si tratta di un comportamento diverso dall’errore scusabile e non adeguato in rapporto alle circostanze.

282    Peraltro, nella determinazione dell’importo delle ammende, la Commissione può tenere conto dell’esigenza di garantire alla stesse un effetto sufficientemente dissuasivo (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punto 108, e sentenza del Tribunale del 14 maggio 1998, Europa Carton/Commissione, T‑304/94, Racc. pag. II‑869, punto 89). Inoltre, il nesso tra, da un lato, le dimensioni e le risorse globali delle imprese e, dall’altro, la necessità di assicurare all’ammenda un effetto dissuasivo è incontestabile. Ne consegue che la Commissione, per determinare l’importo dell’ammenda, può tener conto, segnatamente, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa interessata (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, Racc. pag. I‑5361, punto 112, e giurisprudenza ivi citata). Orbene, come ricordato ai punti 225 e 226 supra, l’importo di EUR 20 milioni corrisponde solo allo 0,04 % circa del fatturato del gruppo Suez nel 2007 (EUR 47,5 miliardi), poiché è quest’ultima l’impresa interessata dalla concentrazione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 4064/89, in quanto ha acquisito, attraverso la ricorrente, un controllo esclusivo di fatto su CNR, e allo 0,13 % circa del fatturato consolidato della ricorrente nel 2007 (EUR 15,2 miliardi nel 2007 e EUR 14,6 miliardi nel 2008, compreso quello di CNR).

283    Tenuto conto di tutte le circostanze esaminate e, in particolare, del fatto che l’importo dell’ammenda di EUR 20 milioni, per quanto elevato, si colloca con tutta evidenza in fondo alla scala degli importi che avrebbero potuto essere imposti entro il limite massimo del 10 % del fatturato dell’impresa interessata, previsto all’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 4064/89, tale importo non sembra sproporzionato rispetto allo scopo perseguito di tutela del sistema di notifica e di approvazione preventiva della realizzazione di una concentrazione di dimensione comunitaria ed è proporzionato all’infrazione complessivamente considerata.

284    La ricorrente fa tuttavia valere che il carattere sproporzionato dell’ammenda è dimostrato, in particolare, alla luce delle ammende sostanzialmente più basse imposte nelle decisioni 1999/594 (punto 122 supra) e 1999/459 (punto 248 supra), se non addirittura dall’assenza di ammende nella decisione 2003/625 o nella decisione 2003/754/CE della Commissione, del 26 giugno 2002, che dichiara una concentrazione compatibile con il mercato comune e con l’accordo SEE (Caso COMP/M.2650 – Haniel/Cementbouw/JV) (GU 2003, L 282, pag. 1). Per quanto riguarda la decisione relativa a quest’ultima causa, come per quella adottata nella causa che ha dato luogo alla decisione 2003/625, già menzionata al punto 259 supra, le circostanze di fatto in questione differivano sostanzialmente dal caso di specie. Infatti, mentre le parti interessate si erano inizialmente affidate alla valutazione dell’autorità olandese garante della concorrenza, secondo la quale l’operazione in questione non costituiva una concentrazione, la Commissione ha considerato in seguito che si trattava di una concentrazione di dimensione comunitaria che avrebbe dovuto esserle comunicata.

285    Quanto alle ammende imposte nelle cause che hanno dato luogo alle decisioni 1999/594 (punto 122 supra) e 1999/459 (punto 248 supra), rispettivamente di EUR 33 000 e di EUR 219 000, esiste effettivamente una differenza significativa tra questi importi e quello di EUR 20 milioni imposto nella fattispecie. Tuttavia, la Commissione fa giustamente valere che tali precedenti risalgono ad una fase di applicazione dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89 assai più precoce, circostanza menzionata del resto nelle suddette decisioni. Peraltro, le due decisioni hanno imposto una parte di ammenda per il difetto di notifica e una parte, più consistente, per la violazione dell’obbligo di sospensione precisando che i suddetti importi tenevano conto delle circostanze proprie di tali cause e non pregiudicavano ulteriori casi di applicazione del predetto articolo 14.

286    In ogni caso, come è già stato ricordato supra, la prassi decisionale precedente della Commissione non funge da quadro normativo per le ammende in materia di concorrenza (v., per analogia, sentenza Michelin/Commissione, cit. al punto 259 supra, punto 292). Peraltro, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 4064/89, se ciò è necessario a garantire la realizzazione della politica dell’Unione in materia di concorrenza. Infatti, l’efficace applicazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di tale politica (v., per analogia, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 230 supra, punto 169, e giurisprudenza ivi citata).

287    La prima parte del quarto motivo dev’essere pertanto respinta.

 Sulla seconda parte del quarto motivo, relativa alla sproporzione dell’ammenda rispetto all’obiettivo di dissuasione e all’incoerenza della politica di concorrenza della Commissione

288    La ricorrente fa valere, da un lato, la sproporzione e l’incoerenza dell’ammenda inflitta rispetto alle norme applicabili in materia di cartelli e, dall’altro, l’incoerenza dell’importo inflitto rispetto alla prassi decisionale della Commissione e agli obiettivi del controllo delle concentrazioni.

289    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

290    In primo luogo, per quanto riguarda la sproporzione e l’incoerenza dell’ammenda inflitta rispetto alle norme applicabili in materia di cartelli, la ricorrente fa valere, in sostanza, che, alla luce della politica di clemenza applicabile in materia di cartelli, secondo la quale un’impresa che ha partecipato a un cartello, che ne denuncia l’esistenza alla Commissione, può ottenere una piena immunità dall’ammenda, essa avrebbe dovuto beneficiare di siffatta immunità. Essa osserva altresì che la Commissione si è dotata di altri strumenti giuridici che le consentono di porre fine alle infrazioni con mezzi alternativi, ossia decisioni che rendono obbligatori impegni assunti ai sensi del regolamento n. 1/2003 e transazioni, che si fondano sul principio della riduzione o della soppressione della sanzione pecuniaria per l’impresa che collabora. Essa rileva altresì l’esistenza di un’ammenda di importo equivalente in una decisione della Commissione, contemporanea alla decisione impugnata, imposta a un’impresa che aveva partecipato per circa tredici anni a un cartello segreto di fissazione dei prezzi e di ripartizione dei mercati geografici e presenta un prospetto riepilogativo di importi di ammende pronunciate in altre cause in materia di cartelli.

291    È giocoforza rilevare che, per quanto riguarda il raffronto con la politica di clemenza in materia di cartelli, la Commissione sostiene, giustamente, che esso è inconferente. Infatti, tale politica risponde a problemi specifici di individuazione dei cartelli, che sono per loro natura infrazioni segrete. Il programma di clemenza e le transazioni sono strumenti specifici connessi a tale contesto e qualsiasi applicazione in via analogica nell’ambito del regime delle concentrazioni di dimensione comunitaria, fondato sul dovere di notifica e di rispetto del potere esclusivo di autorizzazione preventiva della Commissione, dev’essere esclusa. Parimenti, per quanto riguarda il potere della Commissione, ai sensi del regolamento n. 1/2003, di rendere obbligatori impegni proposti dalle imprese e di accertare che non occorre perseguire un’infrazione, siffatte decisioni mirano all’eliminazione degli effetti negativi sul mercato degli accordi o delle pratiche che ne sono oggetto. Dal momento che la concentrazione di cui trattasi nella fattispecie è stata approvata, qualsiasi analogia con tale meccanismo è irrilevante.

292    Occorre inoltre esaminare l’argomento della ricorrente fondato sul fatto che un’ammenda di importo equivalente a quello che è stato ad essa imposto, ossia EUR 19,8 milioni, è stata inflitta alla società spagnola Repsol nella decisione C(2008) 5476 def. della Commissione, del 1° ottobre 2008, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/C.39181 – Cere per candele), di cui è pubblicata una sintesi nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 4 dicembre 2009 (GU C 295, pag. 17). La ricorrente osserva che Repsol veniva sanzionata per la sua partecipazione di lunga durata a un cartello segreto, mentre la Commissione le addebita unicamente un’infrazione commessa per negligenza senza effetti sul mercato. Essa invoca anche l’esistenza di altri esempi di importi di ammenda equiparabili imposti in altre decisioni in materia di cartelli. Tale raffronto non può essere tuttavia condiviso per la stessa ragione menzionata al punto precedente. Infatti, tali decisioni adottate nel particolare settore dei cartelli, rispondenti a obiettivi propri e ad una metodologia propria, correlati al carattere segreto delle intese, non possono essere utilmente invocate per decidere in merito al carattere proporzionato dell’ammenda imposta nella fattispecie. Peraltro, poiché la Commissione poteva far evolvere nel tempo la propria politica delle ammende relativamente a un certo tipo di infrazione, come è stato ricordato al punto 286 supra, niente sembra impedirle di elaborare, nel settore delle concentrazioni, una politica delle ammende rispondente a una logica propria.

293    In secondo luogo, per quanto riguarda l’incoerenza dell’importo inflitto rispetto alla prassi decisionale della Commissione e agli obiettivi di controllo delle concentrazioni, la ricorrente sostiene che, sanzionando in modo così rigoroso un’impresa che l’ha interpellata di propria iniziativa e affermando che il proprio potere sanzionatorio era prescritto in cinque anni, la Commissione manda un messaggio contrario alla buona amministrazione della propria politica di concorrenza in materia di controllo delle concentrazioni. A suo avviso, un approccio più rispettoso dei principi di proporzionalità e di buona amministrazione avrebbe potuto consistere nell’accertamento dell’infrazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, senza giungere con ciò all’imposizione di un’ammenda. La ricorrente rammenta peraltro che la Commissione aveva chiaramente affermato, nella decisione 1999/594 (punto 122 supra), che essa avrebbe inflitto solo ammende di entità modesta alle imprese che avessero omesso, per mera negligenza, di notificare una concentrazione e che l’avrebbero interpellata di propria iniziativa. Essa sostiene, pertanto, che la Commissione non ha rispettato il principio del legittimo affidamento.

294    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

295    A tal proposito, riguardo all’argomento in base al quale l’ammenda imposta nella fattispecie sarebbe contraria a una buona amministrazione della politica di concorrenza in materia di controllo delle concentrazioni, lo scenario delineato dalla ricorrente, secondo il quale gli eventuali autori di un’infrazione all’obbligo di notificare un’operazione trarrebbero vantaggio dal non sottoporre il caso alla Commissione prima del termine di prescrizione di cinque anni, a fortiori qualora l’operazione in questione falsi la concorrenza, non è in nessun caso più credibile di quello sostenuto dalla Commissione. Quest’ultima dichiara di avere tutti i motivi per credere che l’imposizione di ammende di importo consistente per violazioni dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 avrà innanzi tutto come effetto di dissuadere le imprese dal commettere siffatte infrazioni. Sembra davvero credibile che il semplice annuncio della possibile imposizione di un’ammenda di EUR 20 milioni, senza una sua effettiva applicazione, non abbia chiaramente lo stesso effetto dissuasivo.

296    Per quanto riguarda la violazione del legittimo affidamento, il Tribunale ha interrogato la Commissione per iscritto sulla portata del considerando 18 della decisione 1999/594, menzionato al punto 122 supra, specificamente invocato dalla ricorrente al riguardo, in cui è previsto quanto segue:

«(…) La Commissione ritiene che, nelle circostanze descritte da Samsung, ossia in caso di omessa notificazione per negligenza di un’operazione di concentrazione che non comporti conseguenze negative per la concorrenza ed in una situazione di non complessa determinazione del controllo, un’impresa abbia tutto l’interesse ad informare la Commissione ed a notificare l’operazione avvenuta, come è stato effettivamente fatto da Samsung. Ciò facendo l’impresa corre sì il rischio di vedersi infliggere dalla Commissione un’ammenda, relativamente modesta (in funzione delle circostanze del caso) ma, al contempo, evita le conseguenze più gravi di una decisione, adottata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 14 del regolamento sulle concentrazioni, in cui sia accertato che l’impresa ha agito in malafede (…)».

297    Interrogata in particolare sulla questione se, tenuto conto del carattere generale di tali affermazioni nonché dell’assenza, in tale settore, di orientamenti in materia di ammende, dette affermazioni potessero essere intese come indicative del metodo che essa intendeva seguire per l’applicazione dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89, la Commissione ha dichiarato che detto passaggio era volto a respingere il suggerimento di Samsung, secondo il quale essa avrebbe dovuto adottare una politica di amnistia nei casi di mancata notifica involontaria che non abbiano avuto conseguenze negative per la concorrenza e quando le parti abbiano spontaneamente richiamato l’attenzione della Commissione sul loro errore e abbiano cercato di porvi rimedio. La Commissione ha inteso così far presente che una politica di amnistia non era necessaria, né opportuna, dato che le imprese possono avere comunque interesse a informare la Commissione. A suo giudizio, è in tale contesto che essa ha menzionato il rischio, per l’impresa, di vedersi infliggere un’ammenda relativamente modesta, precisando che ciò varrebbe solo in funzione delle circostanze del caso.

298    È giocoforza constatare che tale spiegazione da parte della Commissione è plausibile, sebbene il riferimento, a conclusione del passaggio, al fatto che una sanzione ai sensi dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89 si imponga solo in caso di malafede dipenda da un’interpretazione errata di tale disposizione che consente di imporre ammende anche in assenza di malafede, ossia in caso di negligenza, come emerge dall’analisi suesposta di tale disposizione.

299    Peraltro, la Commissione rammenta, giustamente, che la ricorrente non può invocare il legittimo affidamento nel mantenimento del livello delle ammende inflitte dieci anni prima, in una fase precoce di applicazione del regolamento n. 4064/89. Infatti, è già stato ricordato supra che la giurisprudenza riconosce la necessità di permettere alla Commissione di adeguare il livello delle ammende alle esigenze della politica di concorrenza, il che esclude che gli operatori possano nutrire un legittimo affidamento nel mantenimento di una situazione esistente, tanto più che la politica della concorrenza è caratterizzata da un ampio potere discrezionale della Commissione, in particolare per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 230 supra, punti da 169 a 173). Con tutta evidenza, siffatta analisi si applica a fortiori, in assenza di orientamenti, alle infrazioni sanzionate ai sensi del regolamento n. 4064/89. Pertanto, il passaggio in questione non poteva essere inteso come indicativo del metodo che la Commissione intendeva seguire per l’applicazione futura dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89.

300    Inoltre, il riferimento fatto valere dinanzi al Tribunale dalla Commissione alla sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, AC‑Treuhand/Commissione (T‑99/04, Racc. pag. II‑1501), non è irrilevante. In tale causa il Tribunale ha considerato, al punto 164 di detta sentenza, che una prassi decisionale della Commissione, seguita per più di vent’anni, che si limitava a non condannare e a non sanzionare le imprese di consulenza implicate in intese senza tuttavia respingere l’idea che esse potessero essere ritenute responsabili dell’infrazione, non poteva creare una fondata speranza che la Commissione si astenesse in futuro dal perseguire e dal sanzionare le imprese di consulenza quando queste avessero partecipato ad un’intesa. Il fatto che l’importo dell’ammenda, imposto in tale caso, fosse assai limitato non è determinante per il caso di specie, poiché, come ha fatto giustamente valere la Commissione, si trattava di sanzionare enti, in particolare società di consulenza, per le quali era stato deciso in passato di non sanzionare la loro eventuale implicazione in attività di cartello.

301    Infine, le decisioni di autorità nazionali menzionate dalla Commissione in quanto riguardano anch’esse l’imposizione di ammende non trascurabili per violazioni del divieto di realizzazione di concentrazioni, non rilevano, in ogni caso, ai fini del giudizio sul carattere proporzionato dell’ammenda nella fattispecie, dato che differenze di fatto tra le cause citate dalla Commissione e il caso di specie possono essere del resto agevolmente constatate.

302    Di conseguenza, la seconda parte del quarto motivo dev’essere respinta nonché, quindi, il quarto motivo nel suo insieme.

303    Per quanto attiene alle domande in subordine, nei limiti in cui queste riguardano una richiesta di riduzione dell’importo dell’ammenda, il Tribunale, nell’esercizio del suo potere giurisdizionale esteso al merito, considera, in ogni caso, che non vi è ragione per ridurre l’importo dell’ammenda in applicazione di tale potere, poiché esso ritiene che tale importo, che si colloca con tutta evidenza in fondo alla scala degli importi che avrebbero potuto essere teoricamente imposti, sia adeguato alle circostanze del caso di specie relative alla gravità e alla durata dell’infrazione accertata dalla Commissione nonché alle risorse globali della ricorrente.

304    Dall’insieme delle considerazioni esposte risulta che il ricorso deve essere respinto interamente.

 Sulle spese

305    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata a sopportare le proprie spese, nonché quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda in tal senso di quest’ultima.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Electrabel è condannata alle spese.

Czúcz

Labucka

Gratsias

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 dicembre 2012.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1. Sulle conclusioni formulate in via principale, dirette all’annullamento della decisione impugnata

Sul secondo motivo, fondato sulla violazione dell’articolo 3, paragrafo 3, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 nonché del principio secondo il quale la Commissione deve rispettare le norme che la stessa si è imposta

Sulla seconda parte del secondo motivo, fondata sull’incompleta ed erronea applicazione del criterio enunciato dalla Commissione nei suoi «orientamenti» e sugli errori che viziano la valutazione dell’indizio concernente la maggioranza alle assemblee generali di CNR

Sulla prima parte del secondo motivo, fondata sull’omessa considerazione di una caratteristica fondamentale di CNR, e sulla prima censura della terza parte del secondo motivo, fondata su un errore che vizia l’indizio concernente la maggioranza detenuta dalla ricorrente in seno al comitato di gestione di CNR

– Sull’influenza dello Stato francese sulla governance di CNR (composizione e ruolo del comitato di gestione e del consiglio di vigilanza, commissari del governo, controllore dello Stato)

– Sull’impatto della legge Murcef

Sulle altre censure della terza parte del secondo motivo, relative ad errori che incidono su altri indizi considerati nella decisione impugnata

– Sulla censura fondata su un errore di valutazione quanto all’indizio relativo ai rispettivi ruoli, commerciali e industriali, di EDF e della ricorrente in seno a CNR nel periodo 2004‑2006

– Sulla censura fondata su un errore di valutazione quanto all’indizio relativo alle dichiarazioni dei dirigenti di CNR, della ricorrente e di Suez

– Sulla censura fondata su un errore di valutazione quanto all’indizio relativo all’esistenza di un diritto di prelazione a favore della ricorrente

Sul primo motivo, fondato sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 e sulla violazione dell’articolo articolo 253 CE in quanto la Commissione non ha correttamente qualificato l’infrazione e in quanto la decisione impugnata contiene una motivazione contraddittoria

2. Sulle conclusioni formulate in subordine, volte all’annullamento dell’ammenda o alla riduzione del suo importo

Sul terzo motivo, fondato sulla violazione dell’articolo 1 del regolamento n. 2988/74, in quanto il potere della Commissione di disporre una sanzione nei confronti della ricorrente per l’asserita infrazione era prescritto

Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 4064/89 e dei principi di proporzionalità, di buona amministrazione e del legittimo affidamento

Sulla prima parte del quarto motivo, concernente manifesti errori di valutazione e il carattere sproporzionato dell’importo dell’ammenda rispetto all’obiettivo di repressione dell’infrazione individuale

– Sulla gravità dell’infrazione

– Sulla durata dell’infrazione

– Sulle circostanze attenuanti

– Sul carattere proporzionato dell’ammenda

Sulla seconda parte del quarto motivo, relativa alla sproporzione dell’ammenda rispetto all’obiettivo di dissuasione e all’incoerenza della politica di concorrenza della Commissione

Sulle spese


* Lingua processuale: il francese.