Language of document : ECLI:EU:C:2015:794

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

3 dicembre 2015 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/39/CE – Articoli 4, paragrafo 1, e 19, paragrafi 4, 5 e 9 – Mercati degli strumenti finanziari – Nozione di “servizio e attività di investimento” – Disposizioni volte a garantire la protezione degli investitori – Norme di comportamento da rispettare al momento della prestazione di servizi di investimento ai clienti ‐ Obbligo di valutare che il servizio fornito sia adeguato o adatto – Conseguenze contrattuali della violazione di tale obbligo – Contratto di credito al consumo – Prestito denominato in valuta estera – Erogazione e rimborso del prestito in valuta nazionale – Clausole relative ai tassi di cambio»

Nella causa C‑312/14,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Ráckevei járásbíróság (giudice del distretto di Ráckeve, Ungheria), con decisione del 27 maggio 2014, pervenuta in cancelleria il 1° luglio 2014, nel procedimento

Banif Plus Bank Zrt.

contro

Márton Lantos,

Mártonné Lantos,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da L. Bay Larsen, presidente della Terza Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, F. Biltgen, J. Malenovský, A. Prechal (relatore) e K. Jürimäe, giudici,

avvocato generale: N. Jääskinen

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il sig. e la sig.ra Lantos, da I. Kriston, ügyvéd;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e G. Szima, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, da T. Henze e A. Lippstreu, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per il governo del Regno Unito, da M. Holt, in qualità di agente, assistito da B. Kennelly, barrister;

–        per la Commissione europea, da I. Rogalski e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 settembre 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 4, paragrafo 1, e 19, paragrafi 4, 5 e 9, della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L 145, pag. 1).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Banif Plus Bank Zrt. (in prosieguo: la «Banif Plus Bank») e il sig. e la sig.ra Lantos (in prosieguo, congiuntamente: i «coniugi Lantos») e relativa ad un contratto di credito al consumo denominato in valuta.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 La direttiva 93/13/CEE

3        L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29) così dispone:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

4        L’articolo 4, paragrafo 2, della citata direttiva così recita:

«La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

5        L’articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

 La direttiva 2004/39

6        I considerando 2 e 31 della direttiva 2004/39 enunciano quanto segue:

«(2)      (...) è indispensabile assicurare il grado di armonizzazione necessario per poter offrire agli investitori un livello elevato di protezione (...)

(...)

(31)      Uno degli obiettivi della presente direttiva è proteggere gli investitori. (...)».

7        L’articolo 1 di tale direttiva prevede quanto segue:

«1.      La presente direttiva si applica alle imprese di investimento e ai mercati regolamentati.

2.      Le seguenti disposizioni si applicano anche agli enti creditizi autorizzati a norma della direttiva 2000/12/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU L 126, pag.1)], quando prestano uno o più servizi e/o effettuano una o più attività di investimento:

–        (...)

–        il capo II del titolo II, escluso l’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma,

–        (...)».

8        L’articolo 4, paragrafo 1, punti 2, 6 e 17, della direttiva 2004/39 contiene le seguenti definizioni:

«(...)

2)      “servizio e attività di investimento”: qualsiasi servizio o attività riportati nella sezione A dell’allegato I relativo ad uno degli strumenti che figurano nella sezione C dell’allegato I;

(...)

6)      “negoziazione per conto proprio”: contrattazione ai fini della conclusione di operazioni riguardanti uno o più strumenti finanziari nelle quali il negoziatore impegna posizioni proprie;

(...)

17)      “strumento finanziario”: qualsiasi strumento riportato nella sezione C dell’allegato I».

9        Tra i servizi e le attività di investimento elencati nella sezione A dell’allegato I della citata direttiva figura la negoziazione per conto proprio. Ai sensi della sezione B, punti 2 e 4, di detto allegato, rientrano nella categoria dei «servizi accessori», rispettivamente, la «[c]oncessione di crediti o prestiti agli investitori per consentire loro di effettuare un’operazione relativa a uno o più strumenti finanziari, nella quale interviene l’impresa che concede il credito o il prestito», e il «[s]ervizio di cambio quando tale servizio è collegato alla prestazione di servizi di investimento». Al punto 4 della sezione C del citato allegato, intitolata «strumenti finanziari», sono indicati i «[c]ontratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o di altri strumenti finanziari derivati (…)».

10      L’articolo 19 della stessa direttiva si trova alla sezione 2, intitolata «Disposizioni volte a garantire la protezione degli investitori», del titolo II, capo II. Tale articolo è intitolato «Norme di comportamento da rispettare al momento della prestazione di servizi di investimento ai clienti» e ai suoi paragrafi 4, 5 e 9 cosi dispone:

«4.      Quando effettua consulenza in materia di investimenti o gestione di portafoglio, l’impresa di investimento ottiene le informazioni necessarie in merito alle conoscenze e esperienze del cliente o potenziale cliente, in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento per essere in grado di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o al potenziale cliente.

5.      Gli Stati membri si assicurano che, quando prestano servizi di investimento diversi da quelli di cui al paragrafo 4, le imprese di investimento chiedano al cliente o potenziale cliente di fornire informazioni in merito alle sue conoscenze e esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio proposto o chiesto, al fine di determinare se il servizio o il prodotto in questione è adatto al cliente.

(...)

9.      Nel caso in cui un servizio di investimento sia proposto come parte di un prodotto finanziario che è già soggetto ad altre disposizioni di diritto comunitario o a norme comuni europee connesse con gli enti creditizi e i crediti al consumo in relazione alla valutazione del rischio dei clienti e/o ai requisiti in materia di informazione, detto servizio non è ulteriormente soggetto agli obblighi stabiliti dal presente articolo».

11      L’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva 2004/39 prevede che gli Stati membri assicurino, conformemente al loro diritto nazionale, che possano essere adottate misure o irrogate sanzioni amministrative appropriate a carico delle persone responsabili nel caso in cui le disposizioni adottate in attuazione della citata direttiva non siano rispettate, e che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

 La direttiva 2008/48/CE

12      L’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU L 133, pag. 66, e rettifiche in GU 2009, L 207, pag. 14, GU 2010, L 199, pag. 40, e GU 2011, L 234, pag. 46) recita:

«1.      La presente direttiva si applica ai contratti di credito.

2.      La presente direttiva non si applica ai:

(...)

h)      contratti di credito conclusi con imprese di investimento quali definite dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva [2004/39] o con enti creditizi quali definiti dall’articolo 4 della direttiva 2006/48/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU L 177, pag. 1)] allo scopo di consentire ad un investitore di effettuare una transazione concernente uno o più strumenti tra quelli elencati nella sezione C dell’allegato I della direttiva [2004/39], qualora tale impresa d’investimento o ente creditizio partecipi alla transazione;

(...)».

13      L’articolo 3 della direttiva 2008/48, intitolato «Definizioni», stabilisce quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

c)      “contratto di credito”: un contratto in base al quale il creditore concede o s’impegna a concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra agevolazione finanziaria analoga, ad eccezione dei contratti relativi alla prestazione continuata di un servizio o alla fornitura di merci dello stesso tipo in base ai quali il consumatore versa il corrispettivo, per la durata della prestazione o fornitura, mediante pagamenti rateali;

(...)».

14      Al capo II della citata direttiva, intitolato «Informazioni e pratiche preliminari alla conclusione del contratto di credito» figurano, in particolare, l’articolo 4, intitolato «Informazioni pubblicitarie di base da fornire», l’articolo 5, intitolato «Informazioni precontrattuali», e l’articolo 8, intitolato «Obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore». Il capo IV della medesima direttiva, intitolato «Informazione e diritti riguardanti i contratti di credito», comprende, in particolare, l’articolo 10, intitolato «Informazioni da inserire nei contratti di credito», e l’articolo 11, intitolato «Informazioni sul tasso debitore».

 Il diritto ungherese

15      La legge n. CXXXVIII. del 2007 relativa alle imprese di investimento, agli operatori delle Borse merci nonché alle regole che disciplinano le attività che essi possono esercitare (a befektetési vállalkozásokról és az árutőzsdei szolgáltatókról, valamint az általuk végezhető tevékenységek szabályairól szóló 2007. évi CXXXVIII. törvény) traspone, segnatamente, la direttiva 2004/39 nel diritto ungherese.

16      L’articolo 4 di detta legge, nella sua versione applicabile ai fatti del procedimento principale, contiene le seguenti definizioni:

«(...)

6)      prestito di investimento: prestito concesso per l’acquisto di strumenti finanziari, se l’impresa che concede il prestito interviene nell’esecuzione della transazione;

(...)

11)      swap: contratto complesso, relativo allo scambio di uno strumento finanziario, costituito in linea di principio o da un’operazione di acquisto a pronti e da un’operazione di acquisto a termine, o da più operazioni a termine, e che implica in generale uno scambio di flussi di cassa;

(...)

50)      strumento finanziario: strumento che rappresenta un credito pecuniario, ad esclusione dei valori mobiliari, emesso in serie, e negoziato sul mercato monetario;

(...)

60)      contratto derivato: contratto il cui valore dipende dal valore di uno strumento finanziario sottostante e che è oggetto di autonoma negoziazione;

(...)».

17      L’articolo 19 della direttiva 2004/39 è stato attuato con gli articoli da 40 a 45 della medesima legge.

18      L’articolo 231 del codice civile, nella sua versione applicabile ai fatti del procedimento principale, così dispone:

«1.      Salvo disposizione contraria, i debiti pecuniari devono essere pagati nella valuta estera avente corso legale nel luogo dell’adempimento dell’obbligazione.

2.      I debiti determinati in un’altra valuta estera o in oro sono convertiti in base al corso (prezzo) in vigore nel luogo e alla data del pagamento».

19      L’articolo 523 dello stesso codice prevede che:

«1.      In forza di un contratto di mutuo, l’impresa finanziaria o un diverso soggetto finanziatore deve porre la somma convenuta a disposizione del mutuatario; il mutuatario deve rimborsare detta somma secondo quanto previsto dal contratto.

2.      In assenza di disposizioni contrarie, se il mutuante è un’impresa finanziaria il mutuatario deve corrispondere gli interessi (mutuo bancario)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

20      L’11 giugno 2008 il sig. Lantos ha stipulato un contratto di credito al consumo con la Banif Plus Bank, finalizzato all’acquisto di un veicolo e denominato in valuta estera. La sig.ra Lantos, in quanto moglie del sig. Lantos, è soggetta agli obblighi nascenti da detto contratto. Quest’ultimo è qualificato, dal giudice del rinvio, quale contratto di mutuo ai sensi dell’articolo 523 del codice civile.

21      Tale contratto contiene in particolare talune clausole relative a flussi definiti «fittizi» in valuta estera e flussi definiti «reali» in valuta nazionale, nel caso di specie in fiorini ungheresi (HUF).

22      Il giudice del rinvio descrive in questo modo il meccanismo contrattuale di conversione dei flussi in valuta estera:

«Al momento della concessione del prestito, [la Banif Plus Bank] ha convertito in valuta estera l’importo da erogare in fiorini, in base al tipo di cambio in vigore a una data previamente stabilita e ai sensi dell’articolo 231 del codice civile. [Successivamente,] la banca ha acquistato dal cliente tale valuta estera, (registrata) a carico del cliente, applicando il tipo di tasso di cambio di acquisto di valuta in vigore al momento della concessione del prestito (operazione di cambio a pronti) e gli ha versato il relativo controvalore in fiorini ungheresi. [La Banif Plus Bank] ha [poi] venduto al cliente la valuta registrata a fronte di fiorini, applicando il tipo di tasso di cambio di vendita di valuta vigente al momento del rimborso del prestito (operazione di cambio a termine al giorno del rimborso), affinché il cliente potesse adempiere in valuta estera il proprio obbligo di rimborso, denominato in valuta estera».

23      Detto giudice inoltre rileva che, nella sentenza 6/2013 PJE, emanata ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme civilistiche, la Kúria (Corte suprema, Ungheria) ha dichiarato che i contratti di mutuo in valuta estera devono essere qualificati come «prestiti di valuta estera», ai sensi dell’articolo 231 del codice civile. Tuttavia, in tali contratti, contrariamente ai contratti di mutuo in virtù dei quali si verifica un’effettiva consegna delle valute, la valuta di cui trattasi sarebbe utilizzata come semplice unità di calcolo mentre i pagamenti si farebbero in valuta nazionale. Di conseguenza, il flusso monetario denominato in valuta estera sarebbe fittizio, mentre il flusso monetario denominato in valuta nazionale sarebbe reale.

24      Inoltre, il giudice del rinvio cita la Banif Plus Bank laddove questa afferma di non aver fornito alcun servizio di investimento, né alcun servizio accessorio ad una tale attività, né alcun servizio relativo alle Borse merci. Il contratto di cui al procedimento principale sarebbe un contratto di credito al consumo sottoscritto presso la Banif Plus Bank nell’ambito della sua attività di concessione di prestiti, disciplinata in modo dettagliato dalla legge n. CCXXXVII. del 2013 sugli enti creditizi e le imprese finanziarie (a hitelintézetekről és a pénzügyi vállalkozásokról szóló 2013. évi CCXXXVII. törvény), di modo che la sua validità non potrebbe essere valutata né in base alle norme della legge n. CXXXVIII. del 2007 né in base a quelle della direttiva 2004/39.

25      I coniugi Lantos hanno fatto valere, dinanzi al giudice del rinvio, che, al fine di giungere ad un’interpretazione della legge n. CXXXVIII. del 2007 conforme alla citata direttiva, era necessaria una pronuncia pregiudiziale, nei limiti in cui la Kúria (Corte suprema), per dichiarare che i contratti di credito denominati in valuta straniera rientravano nell’ambito del mercato dei capitali, nella sua sentenza 6/2013 PJE, si era basata sulle disposizioni del codice civile, e in particolare sul suo articolo 231, non interessato dalla trasposizione della direttiva 2004/39.

26      Alla luce di quanto sopra, il Ráckevei járásbíróság (giudice del distretto di Ráckeve) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se si debba ritenere che, in forza di quanto disposto all’articolo 4, paragrafo 1, punti 2 (servizi e attività di investimento) e 17 (strumento finanziario) nonché all’allegato I, sezione C, punto 4 (operazioni a termine in valuta estera, strumenti derivati) della direttiva [2004/39], costituisca uno strumento finanziario l’offerta al cliente di un’operazione (di cambio) che, giuridicamente configurata quale contratto di mutuo in valuta estera, consiste in una compravendita a pronti al momento della concessione del prestito e a termine al momento del rimborso, che viene eseguita mediante la conversione in fiorini ungheresi di un importo denominato in valuta estera e che espone il prestito del cliente agli effetti e ai rischi (rischio di cambio) del mercato dei capitali.

2)      Se si debba ritenere che, in forza di quanto previsto all’articolo 4, paragrafo 1, punto 6 (negoziazione per conto proprio) e all’allegato I, sezione A, punto 3 (negoziazione per conto proprio) della direttiva 2004/39, costituisca un servizio o un’attività di investimento un’attività di negoziazione per conto proprio effettuata in relazione allo strumento finanziario descritto nella prima questione.

3)      Se l’istituzione finanziaria debba procedere alla valutazione di adeguatezza imposta dall’articolo 19, paragrafi 4 e 5, della direttiva di cui trattasi, tenendo conto del fatto che l’operazione a termine in valuta estera che costituisce un servizio di investimento relativo a strumenti finanziari derivati è stata offerta quale parte di un altro prodotto finanziario (nello specifico un contratto di mutuo) e che lo strumento derivato costituisce di per sé uno strumento finanziario complesso. Se si debba ritenere che non risulti applicabile l’articolo 19, paragrafo 9, della direttiva [2004/39] a motivo del fatto che, poiché i rischi assunti dal cliente in relazione al prestito e allo strumento finanziario sono sostanzialmente diversi, risulta indispensabile la valutazione dell’adeguatezza nei limiti in cui l’operazione contiene uno strumento derivato.

4)      Se l’elusione dell’articolo 19, paragrafi 4 e 5, della direttiva di cui trattasi dia luogo alla dichiarazione di nullità del contratto di mutuo stipulato tra la [Banif Plus Bank] e [i mutuatari]».

 Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento

27      Successivamente alla chiusura della fase orale del presente procedimento, il 17 settembre 2015, in seguito al deposito delle conclusioni dell’avvocato generale, i coniugi Lantos ne hanno chiesto la riapertura con lettera del 20 settembre 2015, depositata presso la cancelleria della Corte il 25 settembre successivo.

28      A sostegno di tale domanda, essi fanno valere che le citate conclusioni sono viziate da errori ed incoerenze e che la riapertura della fase orale del procedimento è necessaria perché la Corte possa chiedere chiarimenti al giudice del rinvio in forza dell’articolo 101 del suo regolamento di procedura in relazione a fatti e norme di diritto nazionale che, secondo l’avvocato generale, sono assenti, e senza i quali la domanda di pronuncia pregiudiziale sarebbe irricevibile.

29      A tal proposito si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 83 del suo regolamento di procedura, la Corte, sentito l’avvocato generale, può disporre in qualsiasi momento la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo determinante la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

30      Nella specie la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene di essere sufficientemente edotta per statuire, e che non sia necessario decidere la causa sulla base di argomenti che non sarebbero stati oggetto di dibattito tra le parti.

31      Non si è inoltre sostenuto che uno dei citati interessati abbia prodotto, dopo la chiusura della fase orale del presente procedimento, un fatto nuovo, tale da influenzare in modo determinante la decisione della Corte.

32      Peraltro, la possibilità di cui dispone la Corte di chiedere chiarimenti ad un giudice del rinvio in forza dell’articolo 101 del suo regolamento di procedura non è che una semplice facoltà, il cui esercizio è valutato discrezionalmente dalla stessa in ciascun caso specifico.

33      Inoltre, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia, richiedono il suo intervento. La Corte non è tuttavia vincolata né alle conclusioni dell’avvocato generale né alla motivazione in base alla quale egli vi perviene (v., in particolare, sentenza Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 29).

34      Di conseguenza, occorre respingere la domanda di riapertura della fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

35      Nei limiti in cui i governi degli Stati membri che hanno depositato osservazioni scritte eccepiscono l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale o hanno sollevato dubbi circa la ricevibilità di talune delle questioni pregiudiziali, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, quando le questioni poste da un giudice nazionale riguardano l’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire, a meno che non appaia in modo manifesto che la domanda di pronuncia pregiudiziale tende, in realtà, ad indurre la Corte a pronunciarsi mediante una controversia fittizia o a formulare pareri consultivi su questioni generali o astratte, che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con i reali termini o con l’oggetto della controversia o, ancora, che la Corte non dispone degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza Les Vergers du Vieux Tauves, C‑48/07, EU:C:2008:758, punto 17).

36      Nel caso di specie, le questioni poste dal giudice del rinvio sono relative all’interpretazione di disposizioni di diritto dell’Unione, ossia gli articoli 4, paragrafo 1, e 19, paragrafi 4, 5 e 9, della direttiva 2004/39.

37      Inoltre, sebbene la decisione di rinvio appia piuttosto succinta e caratterizzata da talune ambiguità che derivano, in particolare, dal fatto che il giudice del rinvio sembra adottare gli argomenti dei coniugi Lantos come premessa delle questioni poste, nondimeno la Corte dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente a dette questioni.

38      Infatti, discende tanto dalla decisione di rinvio quanto dalle osservazioni scritte sottoposte alla Corte che il contratto di mutuo di cui al procedimento principale è caratterizzato dalla denominazione in valuta estera del capitale concesso in prestito e delle mensilità dovute, mentre detto capitale è stato erogato in valuta nazionale e i rimborsi devono essere effettuati in tale valuta.

39      Come indicato dal giudice del rinvio, tale contratto non dà origine a due flussi o scambi effettivi di valute tra la Banif Plus Bank e i coniugi Lantos, poiché la valuta nazionale è la sola valuta di pagamento tanto per il mutuante quanto per i mutuatari, mentre la valuta estera funge da unità di conto.

40      Discende dal fascicolo sottoposto alla Corte che il citato contratto prevede clausole relative alla conversione in valuta nazionale del capitale concesso in prestito e delle mensilità. Tali clausole prevedono che l’importo del capitale sia stabilito in base al tasso di cambio per l’acquisto della valuta estera alla data dell’erogazione dei fondi, mentre l’importo di ciascuna mensilità è determinato in base al tasso di cambio applicato alla vendita della valuta estera alla data di riferimento per il calcolo di ciascuna mensilità.

41      In tale contesto, il giudice del rinvio interpella la Corte principalmente sulla questione se, come sostenuto dai coniugi Lantos, un tale contratto, in quanto contiene clausole relative al tasso di cambio che determinano il trasferimento del rischio di cambio sui mutuatari, rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/39, dal momento che, in virtù di tali clausole, la Banif Plus Bank presterebbe un servizio di investimento, di modo che, in qualità di ente creditizio di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della citata direttiva, in particolare sarebbe stata obbligata a valutare se il servizio prestato sia adeguato o adatto in applicazione della relativa disposizione dell’articolo 19 della direttiva 2004/39. Peraltro, i coniugi Lantos fanno valere che, dal momento che una tale valutazione non è stata fatta, il contratto in parola dovrebbe essere dichiarato nullo.

42      Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Nel merito

 Osservazioni preliminari

43      Innanzitutto, occorre osservare che, nell’ambito del caso che ha dato origine alla sentenza Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), la Kúria (Corte suprema) ha già interrogato la Corte sulle condizioni di applicazione della direttiva 93/13 nello specifico contesto dei contratti di prestito al consumo denominati in valuta estera. A tal proposito, la Kúria (Corte suprema), nella sentenza n. 2/2014 PJE, emanata ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme civilistiche, ha dichiarato che le clausole relative ai tassi di cambio, qualora determinino un’asimmetria tra il tasso di acquisto della valuta estera, applicato al momento dell’erogazione del prestito, e il tasso di vendita della stessa, applicato al calcolo delle mensilità, possono essere oggetto di una verifica del loro carattere abusivo e devono in effetti essere considerate abusive allorché, in particolare, la banca percepisca dal consumatore una remunerazione pari alla differenza tra i citati tassi di cambio senza fornire al consumatore alcun servizio in contropartita

44      Nella stessa sentenza la Kúria (Corte suprema) ha tuttavia dichiarato che, in linea di principio, le clausole di un contratto di mutuo denominato in valuta estera, come quello di cui al procedimento principale, che, in contropartita di un tasso d’interesse più favorevole rispetto a quello offerto dai prestiti denominati in valuta nazionale, fanno gravare interamente sul consumatore il rischio di un apprezzamento della valuta estera, vertono sull’oggetto principale del contratto ai sensi della legislazione nazionale di trasposizione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, di modo che tali clausole non possono essere verificate quanto al loro carattere abusivo.

45      Peraltro, nella sua sentenza n. 6/2013 PJE, emanata ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme civilistiche, la Kúria (Corte suprema) ha dichiarato che la conclusione di un contratto di mutuo denominato in valuta estera non dà luogo all’applicazione degli obblighi informativi previsti agli articoli da 40 a 42 della legge n. CXXXVIII. del 2007, che traspone l’articolo 19 della direttiva 2004/39, poiché, nell’ambito di un simile contratto, il mutuante non presterebbe alcuno dei servizi di investimento elencati all’articolo 5 della citata legge, ma eroga una somma legata o meno ad un determinato finanziamento. Tuttavia, gli articoli 40 e 42 della legge n. CXXXVIII. del 2007 si applicherebbero nell’ipotesi in cui un tale prestito costituisse anche un’operazione di investimento nei limiti in cui per mezzo dei fondi del mutuatario fossero forniti servizi di investimento vertenti su uno strumento finanziario.

46      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda la sola direttiva 2004/39.

47      Tuttavia, si deve rilevare che, in una causa quale quella di cui al procedimento principale, possono rilevare le disposizioni di altri atti di diritto dell’Unione relativi alla protezione dei consumatori.

48      Tale ragionamento vale, in particolare, per le disposizioni della direttiva 93/13 che istituisce un meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive nell’ambito del sistema di tutela dei consumatori attuato da tale direttiva (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 42).

49      Peraltro, occorre segnalare la disciplina dell’Unione relativa al credito al consumo, nella specie la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU L 42, pag. 48) e la direttiva 2008/48, che comprendono una serie di disposizioni che mirano a proteggere il consumatore imponendo al mutuante determinati obblighi relativi, in particolare, all’informazione dei consumatori.

 Sulle questioni prima e seconda

50      Con la sua prima e seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2004/39 debba essere interpretato nel senso che costituiscono un servizio o un’attività di investimento ai sensi di detta disposizione talune operazioni di cambio – effettuate da un ente creditizio in virtù delle clausole di un contratto di mutuo denominato in valuta estera come quello di cui al procedimento principale – che consistono nello stabilire l’ammontare del prestito in base al tasso di acquisto della valuta estera applicabile al momento dell’erogazione dei fondi e a determinare l’importo delle mensilità sulla base del tasso di vendita di tale valuta applicabile al momento del calcolo di ciascuna mensilità.

51      In proposito, se è vero che spetta unicamente al giudice del rinvio pronunciarsi sulla qualificazione delle suddette operazioni in funzione delle circostanze proprie del caso di cui al procedimento principale, ciò non toglie che la Corte è competente a desumere dalle disposizioni della citata direttiva, nella fattispecie quelle dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, i criteri che il giudice nazionale può o deve applicare a tal fine (v., in tal senso, sentenza Genil 48 e Comercial Hostelera de Grandes Vinos, C‑604/11, EU:C:2013:344, punto 53).

52      Tuttavia, nulla impedisce che un giudice nazionale chieda alla Corte di pronunciarsi su una tale qualificazione, come ha fatto il giudice del rinvio con la sua prima e seconda questione, purché, però, detto giudice proceda alla constatazione e valutazione dei fatti necessari per detta qualificazione, alla luce di tutti gli elementi del fascicolo in suo possesso.

53      Nel caso di specie, si pone la questione se le operazioni effettuate da un ente creditizio, che consistono nella conversione in valuta nazionale di importi denominati in valuta estera, ai fini del calcolo delle somme concesse in prestito e dei relativi rimborsi, in base alle clausole di un contratto di mutuo relative ai tassi di cambio, possano essere qualificate come «servizio e attività di investimento» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2004/39.

54      In base a tale disposizione, costituisce servizio e attività di investimento qualsiasi servizio o attività riportato nella sezione A dell’allegato I di tale direttiva e relativo ad uno degli strumenti che figurano nella sezione C del medesimo allegato.

55      Orbene, si deve constatare che le operazioni di cui al procedimento principale, in quanto costituiscono attività di cambio puramente accessorie alla concessione e al rimborso di un prestito al consumo denominato in valuta estera, non rientrano nella citata sezione A.

56      Infatti, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, tali operazioni si limitano alla conversione in valuta nazionale (moneta di pagamento), in base al tasso di cambio di acquisto o vendita della valuta estera di cui trattasi, degli importi oggetto del prestito e delle mensilità denominati in tale valuta estera (moneta di conto).

57      Operazioni siffatte non hanno altra funzione che quella di fungere da modalità di esecuzione di obbligazioni essenziali di pagamento del contratto di mutuo, ossia la messa a disposizione del capitale da parte del mutuante e il rimborso di tale capitale maggiorato degli interessi da parte del mutuatario. Tali operazioni non hanno il fine di realizzare un investimento, in quanto il consumatore mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell’acquisto di un bene di consumo o della prestazione di un servizio e non già, ad esempio, a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera.

58      Inoltre, contrariamente a quanto sostengono i coniugi Lantos, non si può ritenere che le citate operazioni ricadano in particolare sotto la nozione di «negoziazione per conto proprio», di cui alla sezione A, punto 3, dell’allegato I della direttiva 2004/39.

59      In base all’articolo 4, paragrafo 1, punto 6, della citata direttiva, tale nozione designa la contrattazione ai fini della conclusione di operazioni riguardanti uno o più strumenti finanziari nelle quali il negoziatore impegna posizioni proprie.

60      Orbene, nel caso di specie, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, non risulta che le operazioni di cambio effettuate da un ente creditizio in esecuzione di un contratto di mutuo quale quello di cui al procedimento principale vertano sulla contrattazione ai fini della conclusione di operazioni riguardanti uno o più strumenti finanziari.

61      Infatti, tali operazioni di cambio non sembrano avere l’unico fine di consentire la concessione ed il rimborso del prestito.

62      Inoltre, non si può sostenere che le operazioni effettuate nell’ambito di un contratto di mutuo come quello di cui al procedimento principale rientrino nella categoria dei «servizi accessori» descritta all’allegato I, sezione B, della direttiva 2004/39.

63      A tal proposito, sebbene, in base al punto 2 di tale allegato I, sezione B, la concessione di crediti o prestiti possa costituire un servizio accessorio, ciò si verifica solo se detti crediti o prestiti sono concessi ad un investitore per consentirgli di effettuare un’operazione relativa a uno o più strumenti finanziari, nella quale interviene l’impresa che concede il credito o il prestito. Orbene, è pacifico che il prestito di cui al procedimento principale non ha il fine di consentire che una tale futura operazione sia effettuata.

64      Per contro, i contratti di credito concessi da un ente creditizio che rientrano in detto punto 2, qualora abbiano tale finalità, sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva 2008/48 in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera h), di detta direttiva.

65      Peraltro, l’allegato I, sezione B, punto 4, della direttiva 2004/39 menziona il «[s]ervizio di cambio quando tale servizio è collegato alla prestazione di servizi di investimento».

66      Da tale riferimento discende che un servizio di cambio non costituisce, di per sé, un servizio di investimento di cui all’allegato I, sezione A, della citata direttiva.

67      Orbene, le operazioni di cambio di cui al procedimento principale sono connesse non già ad un servizio di investimento, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2004/39, ma ad un’operazione che non si configura essa stessa come strumento finanziario, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 17, di tale direttiva.

68      Infatti, alla luce degli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte e sempre con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, contrariamente a quanto fanno valere i coniugi Lantos, non pare che le operazioni di cambio effettuate da un ente creditizio nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di mutuo quale quello di cui al procedimento principale vertano su uno degli strumenti finanziari di cui all’allegato I, sezione C, della citata direttiva, tra cui, in particolare, il contratto finanziario a termine standardizzato («future»).

69      Secondo l’accezione abituale in diritto finanziario, il contratto finanziario a termine standardizzato («future») è un tipo di contratto derivato con cui due parti si obbligano l’una ad acquistare e l’altra a vendere, ad una data successiva, un bene chiamato «sottostante» ad un prezzo stabilito al momento della conclusione del contratto.

70      Orbene, un contratto di credito al consumo come quello di cui al procedimento principale non ha per oggetto la vendita di un bene finanziario ad un prezzo stabilito al momento della conclusione del contratto.

71      Infatti, da un lato, in un contratto come quello di cui al procedimento principale, non si può distinguere tra il contratto di mutuo stesso e un’operazione di vendita di valuta estera a termine dal momento che questa ha per unico scopo l’esecuzione di obbligazioni essenziali di detto contratto, ossia quelle di pagamento del capitale e delle scadenze, fermo restando che una tale operazione non costituisce essa stessa uno strumento finanziario.

72      Le clausole di un simile contratto di mutuo relative alla conversione di una valuta estera costituiscono pertanto non già uno strumento finanziario distinto dall’operazione che costituisce l’oggetto del contratto, ma unicamente una modalità indissociabile di esecuzione della stessa.

73      Pertanto, un caso come quello di cui al procedimento principale è profondamente diverso da quello che ha dato origine alla sentenza Genil 48 e Comercial Hostelera de Grandes Vinos (C‑604/11, EU:C:2013:344), riguardante uno strumento finanziario a termine, ossia un contratto di scambio detto «swap», che aveva lo scopo di proteggere i clienti bancari contro variazioni di tassi d’interesse variabili ai quali essi erano soggetti in forza della sottoscrizione di taluni prodotti finanziari presso tali banche.

74      Dall’altro lato, nell’ambito di un contratto di mutuo come quello di cui al procedimento principale, il valore delle valute estere che dev’essere preso a riferimento per il calcolo dei rimborsi non è stabilito ex ante in quanto è determinato sulla base del tasso di cambio di vendita di tali valute alla data di scadenza di ciascuna mensilità.

75      Ne discende, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che le operazioni di cambio effettuate da un ente creditizio nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di mutuo denominato in valuta estera come quello di cui al procedimento principale non possono essere qualificate come servizi di investimento, di modo che tale ente creditizio non sarebbe soggetto agli obblighi, previsti all’articolo 19 della direttiva 2004/39, in merito alla valutazione se il servizio da prestare sia adeguato o adatto.

76      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2004/39 dev’essere interpretato nel senso che, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, non costituiscono un servizio o un’attività di investimento ai sensi di detta disposizione talune operazioni di cambio, effettuate da un ente creditizio in forza delle clausole di un contratto di mutuo denominato in valuta estera come quello di cui al procedimento principale, che consistono nello stabilire l’ammontare del prestito in base al tasso di acquisto della valuta estera applicabile al momento dell’erogazione dei fondi e nel determinare l’importo delle mensilità sulla base del tasso di vendita di tale valuta applicabile al momento del calcolo di ciascuna mensilità.

 Sulle questioni terza e quarta

77      Alla luce della soluzione fornita alla prima e alla seconda questione, non occorre rispondere alla terza e alla quarta questione.

78      Infatti, le due questioni da ultimo citate presuppongono che le operazioni di cui al procedimento principale possano essere qualificate come servizi o attività di investimento, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2004/39.

79      Ad ogni buon conto, per quanto concerne la quarta questione, si può ricordare che la Corte si è già pronunciata nel senso che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le conseguenze contrattuali del mancato rispetto degli obblighi in materia di valutazione previsti dall’articolo 19, paragrafi 4 e 5, della citata direttiva da parte di un’impresa di investimento che propone un servizio di investimento, fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (sentenza Genil 48 e Comercial Hostelera de Grandes Vinos, C‑604/11, EU:C:2013:344, punto 58).

 Sulle spese

80      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio, dev’essere interpretato nel senso che, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, non costituiscono un servizio o un’attività di investimento ai sensi di detta disposizione talune operazioni di cambio, effettuate da un ente creditizio in virtù delle clausole di un contratto di mutuo denominato in valuta estera come quello di cui al procedimento principale, che consistono nello stabilire l’ammontare del prestito in base al tasso di acquisto della valuta estera applicabile al momento dell’erogazione dei fondi e nel determinare l’importo delle mensilità sulla base del tasso di vendita di tale valuta applicabile al momento del calcolo di ciascuna mensilità.

Firme


* Lingua processuale: l’ungherese.