Language of document : ECLI:EU:C:2006:754

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 30 novembre 2006 (1)

Causa C-381/05

De Landtsheer Emmanuel SA

contro

Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne

e

Veuve Clicquot Ponsardin SA

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Cour d’appel de Bruxelles)

«Direttive 84/450/CEE e 97/55/CEE – Pubblicità comparativa – Nozione – Identificazione di un concorrente o dei beni o servizi offerti da un concorrente – Condizioni di liceità per quanto riguarda il confronto – Beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi – Riferimento a denominazioni d’origine»





1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Cour d’appel de Bruxelles pone alla Corte una serie di quesiti vertenti sull’interpretazione di alcune disposizioni relative alla pubblicità comparativa contenute nella direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (2), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE (3).

2.        Tali quesiti sono sollevati nell’ambito di una causa che vede opporsi il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Comitato Interprofessionale del Vino di Champagne; in prosieguo: il «CIVC») e la società Veuve Clicquot Ponsardin (in prosieguo: «Veuve Clicquot») alla società De Landtsheer Emmanuel (in prosieguo: «De Landtsheer») a proposito delle pratiche pubblicitarie utilizzate da quest’ultima nella commercializzazione della birra «Malheur Brut Réserve».

 Il contesto normativo di riferimento

 La normativa comunitaria

3.        La direttiva 97/55 ha introdotto nella direttiva 84/450, in origine riguardante solamente la pubblicità ingannevole, una serie di disposizioni in materia di pubblicità comparativa.

4.        L’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55 (in prosieguo: la «direttiva 84/450») (4), definisce la «pubblicità comparativa», ai fini della direttiva stessa, come «qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente».

5.        L’art. 3 bis della direttiva 84/450 dispone quanto segue:

«1.      Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa

a)       non sia ingannevole ai sensi dell’articolo 2, punto 2, dell’articolo 3 e dell’articolo 7, paragrafo 1;

b)      confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;

c)      confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;

d)      non ingeneri confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;

e)      non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;

f)      per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;

g)      non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

h)      non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.

(…)».

 La normativa nazionale

6.        La legge belga 14 luglio 1991 sulle pratiche commerciali e sull’informazione e la tutela del consumatore (loi sur les pratiques du commerce et sur l’information et la protection du consommateur; in prosieguo: «LPCC»), nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, contiene le disposizioni con le quali il Regno del Belgio ha trasposto le direttive 84/450 e 97/55.

7.        L’art. 23, n. 1, LPCC stabilisce il divieto della pubblicità ingannevole.

8.        L’art. 22 LPCC definisce la pubblicità comparativa come «qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni e servizi offerti da un concorrente», mentre l’art. 23 bis LPCC ne stabilisce le condizioni di liceità per quanto riguarda il confronto, riproducendo testualmente (5), al n. 1, il contenuto dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, e vieta espressamente, al n. 3, ogni pubblicità comparativa che non rispetti quelle condizioni.

 La causa nazionale e le questioni pregiudiziali

9.        I fatti all’origine della causa nazionale, quali emergono dalla sentenza di rinvio, possono essere riassunti come segue.

10.      De Landtsheer, società anonima con sede in Belgio, produce e commercializza diversi tipi di birra recanti il marchio «MALHEUR». Nel corso del 2001 essa ha lanciato sul mercato con il nome «Malheur Brut Réserve» una birra realizzata con un metodo che s’ispira a quello di elaborazione del vino spumante e alla quale ha inteso imprimere il carattere di prodotto eccezionale, riservandole un’immagine diversa da quella, solita per la birra, di bevanda popolare. Nel corso del 2002, tale prodotto era venduto al prezzo di circa EUR 8 in bottiglia da ml 750.

11.      Sulla bottiglia, sul dépliant appeso al collo della bottiglia e/o sull’imballaggio di cartone erano apposte, fra le altre, le diciture «BRUT RESERVE», «La première bière BRUT au monde» (La prima birra BRUT al mondo), «Bière blonde à la méthode traditionnelle» (Birra bionda secondo il metodo tradizionale) e «Reims-France», oltre ad un riferimento ai vignaioli di Reims e di Epernay.

12.      Inoltre, l’amministratore di De Landtsheer, nel contesto della presentazione del prodotto, ha utilizzato l’espressione «Champagnebier» per far capire che si trattava, sì, di una birra, ma fabbricata col metodo champenois.

13.      Infine, De Landtsheer ha vantato in altri contesti l’originalità della sua birra evocando le caratteristiche del vino spumante e soprattutto dello champagne, come ad esempio nell’ambito di un’intervista rilasciata ad un quotidiano («La grande originalità di questa birra è il suo sapore acido, che ricorda chiaramente lo champagne»; «Contrariamente ai vini spumanti, spumeggia a lungo») o di alcune trasmissioni televisive («È fabbricata allo stesso modo dello champagne, eppure è una birra»).

14.      In data 8 maggio 2002 il CIVC e Veuve Clicquot hanno citato De Landtsheer a comparire dinanzi al Tribunal de commerce de Nivelles per far constatare che, segnatamente attraverso l’uso delle predette diciture ed espressioni per una birra, detta società aveva infranto, in particolare, gli artt. 23, n. 1, e 23 bis, n. 3, LPCC, relativi rispettivamente alla pubblicità ingannevole e alla pubblicità comparativa, nonché per far cessare tali violazioni.

15.      Con sentenza del 26 luglio 2002, il tribunale adito ha condannato De Landtsheer ad interrompere qualsiasi uso in relazione alla birra dell’indicazione geografica «Reims-France», della denominazione d’origine «Champagne», dell’indicazione «méthode traditionnelle» e di ogni altro riferimento ai produttori, al sapore o al metodo di fabbricazione dello champagne. La domanda del CIVC e di Veuve Clicquot è stata respinta per quanto riguarda l’uso per una birra delle menzioni «BRUT», «RESERVE», «BRUT RESERVE» e «La première bière BRUT au monde».

16.      In data 13 settembre 2002, De Landtsheer ha proposto appello avverso detta sentenza dinanzi alla Cour d’appel de Bruxelles, ad esclusione della parte in cui le è stato vietato l’uso della denominazione d’origine «Champagne» nell’espressione «Champagnebier». Il CIVC e Veuve Clicquot hanno a loro volta proposto appello incidentale contro il parziale rigetto della loro domanda.

17.      Nella sentenza di rinvio è peraltro precisato che De Landtsheer ha dichiarato di rinunciare definitivamente all’utilizzo, per la sua birra, dell’indicazione «Reims-France» (6) e dei riferimenti ai vignaioli di Reims e di Epernay.

18.      Dinanzi alla Cour d’appel de Bruxelles il CIVC e Veuve Clicquot hanno sostenuto che l’uso, per la birra prodotta da De Landtsheer, delle menzioni «BRUT», «RESERVE», «BRUT RESERVE», «La première bière BRUT au monde», e «méthode traditionnelle», così come l’evocazione, nelle comunicazioni volte a promuovere la vendita di detta birra, del vino spumante e dello champagne, del sapore o del metodo di fabbricazione di quest’ultimo, oltre a contravvenire al divieto della pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 23, n. 1, LPCC, configurano una pubblicità comparativa illecita ai sensi degli artt. 22 e 23 bis LPCC. De Landtsheer ha invece contestato tanto il carattere ingannevole quanto il carattere comparativo di tali pratiche.

19.      Al fine di risolvere la controversia, la Cour d’appel de Bruxelles ha ritenuto necessario porre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, tutte vertenti sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 84/450 relative alla pubblicità comparativa:

«1)      Se integrano una pubblicità comparativa anche i messaggi pubblicitari in cui l’operatore pubblicitario si limita a far riferimento ad un tipo di prodotto, nel senso che in tale ipotesi il messaggio alluderebbe a tutte le imprese che offrono quel tipo di prodotto e che ciascuna di esse potrebbe presumersi identificata.

2)      Se, per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa cui egli fa riferimento sussiste un rapporto di concorrenza, come definito dall’art. [2, punto 2 bis),] della direttiva [84/450],

a)      occorra considerare, in particolare sulla base del raffronto tra l’art. [2, punto 2 bis),] e l’art. 3 bis, [n. 1], lett. b), che è “concorrente” ai sensi di tale disposizione ogni impresa che la pubblicità permetta di identificare, qualunque bene o servizio essa offra.

b)      In caso di risposta negativa, e quindi nell’ipotesi che altre condizioni debbano essere soddisfatte perché si abbia un rapporto di concorrenza, se debba tenersi conto solo dello stato attuale del mercato e delle abitudini di consumo presenti nella Comunità oppure anche della possibilità che tali abitudini cambino.

c)      Se la verifica debba essere circoscritta alla parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa.

d)      Se il rapporto di concorrenza debba essere riferito ai tipi di prodotto oggetto del confronto e alla maniera in cui essi sono generalmente percepiti o se, per valutare il grado di eventuale sostituibilità, si debba tener conto anche delle peculiarità del prodotto che l’operatore intende promuovere con la pubblicità controversa e dell’immagine che egli intende imprimergli.

e)      Se i criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza come definito dall’art. 2, punto 2 bis), e i criteri per verificare se il confronto soddisfa la condizione enunciata all’art. 3 bis, [n. 1,] lett. b), siano identici.»

3)      Se dal raffronto tra l'art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, da un lato, e l’art. 3 bis della stessa, dall’altro, risulti:

a)      l’illiceità di qualunque pubblicità comparativa che permetta di identificare un tipo di prodotti nell’ipotesi in cui la dicitura non permetta di identificare un concorrente o i beni ch’esso offre; o che

b)      la liceità del confronto dev'essere valutata unicamente con riferimento a disposizioni nazionali diverse da quelle che traspongono la direttiva concernente la pubblicità comparativa, con la possibile conseguenza di un assottigliamento della tutela del consumatore ovvero delle imprese che offrono il tipo di prodotto posto in relazione con quello offerto dall’operatore pubblicitario.

4)      Ove dovesse concludersi per l’esistenza di una pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), se dall’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva debba dedursi l’illiceità di ogni confronto che rapporti prodotti privi di denominazione d’origine a prodotti che ne sono invece provvisti».

 Il procedimento dinanzi alla Corte

20.      In forza dell’art. 23 dello Statuto della Corte, hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte De Landtsheer, il CIVC, Veuve Clicquot, il governo belga e la Commissione.

21.      All’udienza, svoltasi il 21 settembre 2006, hanno presentato osservazioni orali i rappresentanti di De Landtsheer, del CIVC e di Veuve Clicquot, del governo francese, nonché della Commissione.

 Analisi giuridica

  Sulla prima questione pregiudiziale

22.      Con la prima questione, il giudice di rinvio chiede in sostanza alla Corte di precisare se il riferimento, in un messaggio pubblicitario, soltanto ad un tipo di prodotto, e non ad un’impresa determinata o al prodotto specificamente offerto da quest’ultima, sia tale da far rientrare detto messaggio nella nozione di pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450. Detto giudice domanda alla Corte se possa cioè ritenersi che il riferimento ad un tipo di prodotto possa valere ad identificare, con l’insieme delle imprese che lo offrono, ciascuna di esse o i relativi prodotti.

23.      Osservo preliminarmente che, a quanto risulta dalla sentenza di rinvio, la causa nazionale verte su una pluralità di comunicazioni riconducibili a De Landtsheer, contenute nella confezione del prodotto di questa (etichetta, dépliant appeso al collo della bottiglia, imballaggio di cartone) (7) o effettuate in altri contesti, quali una non meglio precisata «presentazione» del medesimo prodotto (8), un’intervista ad un quotidiano o alcune trasmissioni televisive (9).

24.      La natura pubblicitaria di tali comunicazioni è ritenuta pacifica dal giudice di rinvio, il quale si interroga invece sul carattere comparativo, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, delle medesime alla luce di alcune menzioni o espressioni che vi sono contenute.

25.      In particolare, come sottolineato dalla Commissione in udienza, alcune delle suddette menzioni ed espressioni sono interpretate dal giudice di rinvio come dei riferimenti al vino spumante (10), altre come dei riferimenti allo champagne (11). Questa distinzione è contestata dal CIVC e da Veuve Clicquot, che la ritengono artificiale, sottolineando in particolare che delle menzioni che evocano il vino spumante evocano necessariamente anche il vino (spumante) di Champagne.

26.      Non è tuttavia necessario, al fine di dar risposta alle questioni pregiudiziali poste dalla Cour d’appel de Bruxelles, esaminare la correttezza di tali valutazioni, che sono di competenza del giudice nazionale. La Corte non è infatti chiamata a pronunciarsi sul carattere comparativo o sulla liceità dei messaggi pubblicitari oggetto della causa nazionale, ma solo a prestare al giudice di rinvio collaborazione ai fini dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva 84/450, che le disposizioni della LPCC invocate dinanzi ad esso fedelmente riproducono.

27.      Basterà, al fine in particolare di rispondere alla prima questione pregiudiziale, prendere atto del fatto che il giudice di rinvio interpreta i messaggi in questione come contenenti il riferimento ad un tipo di prodotto.

28.      La Corte, nella sentenza Toshiba (12), ha osservato che l’elemento richiesto dall’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 perché si abbia pubblicità comparativa è l’identificazione, esplicita o implicita, di un concorrente o di beni o servizi offerti da un concorrente. Essa ha rilevato come, anche per questo elemento, la definizione data dal legislatore comunitario sia ampia, sottolineando che, a termini del sesto ‘considerando’ della direttiva 97/55 (13), il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno definire un concetto generale che includa tutte le forme di pubblicità comparativa. La Corte ha quindi concluso che, perché si abbia pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, è sufficiente che sussista un messaggio sotto qualsiasi forma che faccia, anche implicitamente, riferimento ad un concorrente o a beni o servizi ch’esso offre (14). Ha scarsa rilevanza, in proposito, secondo la Corte, il fatto che esista un confronto tra i beni e i servizi offerti dall’operatore pubblicitario e quelli del concorrente.

29.      Il CVIC, Veuve Clicquot ed il governo belga ritengono di poter trarre da questa presa di posizione della Corte elementi in sostegno di un’interpretazione del concetto di pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), sufficientemente ampia da coprire anche l’ipotesi del riferimento, nel messaggio pubblicitario, ad un tipo di prodotto anziché ad una o più imprese determinate o ai loro beni o servizi.

30.      Per parte mia, non trovo che il carattere ampio della definizione di pubblicità comparativa data dalla disposizione in parola sia di per sé dirimente ai fini della risposta da dare alla questione posta dal giudice di rinvio.

31.      Anzitutto, il sesto ‘considerando’ della direttiva 97/55 si sofferma essenzialmente sulla opportunità di definire un concetto generale di pubblicità comparativa. È vero che detto ‘considerando’ indica anche che tale concetto deve includere tutte le forme di pubblicità comparativa, con ciò dando l’impressione di richiedere una definizione ampia di detto concetto generale. Tuttavia, non si può ignorare il vizio tautologico in cui incorre lo stesso ‘considerando’, il quale sembra in ultima analisi dire che deve considerarsi comparativa ogni pubblicità comparativa. Con il che esso risulta di scarso aiuto ai fini dell’esame della prima questione pregiudiziale.

32.      D’altra parte, se, come evidenziato dalla Corte nella sentenza Toshiba, l’elemento richiesto dall’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 perché si abbia pubblicità comparativa è l’identificazione, esplicita o implicita, di un concorrente o di beni o servizi offerti da un concorrente, il riferimento di cui al sesto ‘considerando’ della direttiva 97/55 sembra potersi intendere come fatto a tutte le molteplici forme in cui detta identificazione può avvenire, senza con ciò chiarire però che cosa debba intendersi per identificazione.

33.      Appare alquanto arduo desumere dal testo della direttiva 97/55 se il legislatore abbia inteso disciplinare con la medesima il fenomeno del confronto con (o comunque dell’evocazione di) un concorrente determinato o determinabile o con i (dei) suoi prodotti o servizi, in tutte le diverse forme in cui questo confronto (o evocazione) possa essere effettuato, o se abbia voluto invece disciplinare in modo unitario, con quel fenomeno, anche altre forme di pubblicità quali, ad esempio, il confronto con un concorrente immaginario o non identificabile, il confronto con la generalità dei concorrenti (ad esempio nella forma della c.d. pubblicità superlativa), il confronto tra sistemi di produzione o di distribuzione.

34.      Ciò che mi appare ampio, quindi, più che il concetto di pubblicità comparativa adottato dalla direttiva 97/55, è il margine di incertezza interpretativa di tale concetto, come di altri aspetti sui quali verte la direttiva medesima, alla cui approvazione, d’altronde, si è pervenuti solo dopo un iter legislativo assai lungo e travagliato a causa della forte disomogeneità nell’approccio alla materia in esame che caratterizzava in precedenza il diritto degli Stati membri (15).

35.      Ciò premesso, a me pare che il senso letterale dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, con l’uso in particolare dei termini «identifica» e «un concorrente» (declinato dunque al singolare) faccia propendere più per l’esclusione dalla definizione in questione della pubblicità che si riferisca ad un tipo di prodotto e che non consenta, neanche in forma puramente implicita, di individuare, distinguendoli rispetto alla generalità dei concorrenti, uno o più concorrenti determinati (o il relativo prodotto).

36.      Sul piano, invece, delle finalità perseguite dalla direttiva 97/55, può osservarsi che essa ha inteso uniformare «le disposizioni essenziali che disciplinano la forma e il contenuto della pubblicità comparativa» e armonizzare «le condizioni per l’utilizzazione della pubblicità comparativa in tutti gli Stati membri» (secondo ‘considerando’), in particolare fissando «le condizioni alle quali è consentita la pubblicità comparativa» (diciottesimo ‘considerando’).

37.      Sotto tale ultimo profilo, detta direttiva specifica, introducendo l’art. 3 bis nella direttiva 84/450, le condizioni di liceità della pubblicità comparativa (16), alla luce delle quali, come risulta dal settimo ‘considerando’ della direttiva 97/55, è possibile «determinare quali prassi in materia di pubblicità comparativa possono comportare una distorsione della concorrenza, svantaggiare i concorrenti e avere un’incidenza negativa sulla scelta dei consumatori».

38.      Ciò significa che l’art. 3 bis della direttiva 84/450 non si limita ad imporre agli Stati membri di considerare lecita la pubblicità comparativa – secondo la definizione, sulla cui portata ci si interroga, data dall’art. 2, punto 2 bis), della medesima direttiva – che soddisfi le condizioni da esso elencate. Se così fosse, gli Stati membri resterebbero liberi di disciplinare la pubblicità comparativa che non soddisfi quelle condizioni. L’art. 3 bis ha invece per effetto anche quello di vietare agli Stati membri di autorizzare la pubblicità comparativa che non soddisfi le stesse condizioni.

39.      Appare allora che quanto più si allarga la definizione di pubblicità comparativa ai sensi della direttiva 84/450 tanto più si assoggettano forme diverse di pubblicità alla disciplina, piuttosto rigorosa, contenuta nell’art. 3 bis. Quest’ultima impone, ad esempio, al n. 1, lett. c), che la pubblicità comparativa che contenga un confronto «confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative» dei beni e servizi sui quali verte.

40.      L’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55 chiarisce «che le condizioni della pubblicità comparativa devono essere cumulative e soddisfatte nella loro interezza» (17). Se ne deve desumere che ogni pubblicità comparativa deve rispettare, «per quanto riguarda il confronto» (18), tutte le condizioni elencate nell’art. 3 bis, per cui, ove contenga un confronto, questo deve, in particolare, presentare le caratteristiche specificate al n. 1, lett. c).

41.      Alla luce di ciò, dare alla prima questione pregiudiziale una risposta positiva, come auspicato dal CIVC, da Veuve Clicquot e dal governo belga, significherebbe in particolare sancire l’illiceità, per contrarietà all’art. 3 bis, n. 1, lett. c), di forme di pubblicità meno aggressive quali le affermazioni o rivendicazioni generiche (19) di superiorità, leadership, unicità o esclusività rispetto all’insieme dei concorrenti (per lo più effettuate tramite l’uso del superlativo relativo: per es. il migliore, il più richiesto), le quali, all’epoca dell’adozione della direttiva 97/55, erano generalmente considerate lecite negli ordinamenti interni degli Stati membri (20), se prive di riferimenti screditanti per i concorrenti, in quanto innocue vanterie (puffery).

42.      Ora, sono propenso a considerare che, se il legislatore comunitario avesse voluto imporre agli Stati membri di vietare tali forme di pubblicità, per lo più tollerate nei loro ordinamenti, lo avrebbe evidenziato più chiaramente nel testo della direttiva 97/55. Dai ‘considerando’ della direttiva 97/55 traspare piuttosto che l’obiettivo del legislatore comunitario era essenzialmente quello di liberalizzare, pur sottoponendole a precise condizioni di liceità, forme di pubblicità capaci di informare i consumatori e tuttavia ancora vietate dal diritto di diversi Stati membri (21).

43.      Un’interpretazione del concetto di pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 che finisca per assoggettare alla direttiva stessa e quindi alle condizioni di liceità da essa poste, con il risultato di vietarle, anche le forme più blande della c.d. pubblicità superlativa mi pare inadeguata a maggior ragione se si tiene presente che la direttiva 84/450 attribuisce rilievo alle aspettative di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (22), dotato quindi di sufficiente capacità critica per distinguere, prima di effettuare le sue scelte di acquisto, una generica vanteria da un messaggio a contenuto informativo.

44.      Peraltro, accogliendo l’interpretazione secondo cui la nozione di pubblicità comparativa ai sensi della direttiva 84/450 non postula l’identificazione di uno o più concorrenti determinati o dei relativi prodotti o servizi, un effetto di forte restrizione discenderebbe dalla direttiva 97/55 anche riguardo a forme di pubblicità che operino un confronto non generico con l’insieme dei produttori concorrenti o con un concorrente non identificabile («X brand»). Infatti, stante l’indeterminatezza del termine di paragone usato in simili confronti, dette forme di pubblicità sembrano prestarsi difficilmente a soddisfare la condizione della verificabilità richiesta dall’art. 3 bis, n. 1, lett. c).

45.      Non pare, d’altra parte, potersi considerare che le forme di pubblicità che ho evocato ai paragrafi 41 e 44 supra debbano farsi rientrare nel concetto di pubblicità comparativa ai sensi della direttiva 84/450 in quanto fondate comunque su un confronto, almeno implicito. Occorre ricordare al riguardo che, secondo la sentenza Toshiba (23), l’elemento richiesto perché si abbia pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), di tale direttiva non è il confronto, che può anzi persino mancare, ma il riferimento, anche implicito, ad un concorrente o a beni e servizi ch’esso offre.

46.      Alla luce delle suesposte considerazioni, e tenuto conto del tenore letterale dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, ritengo che detta disposizione debba interpretarsi nel senso che, per aversi pubblicità comparativa, è necessario che il messaggio si riferisca, anche solo implicitamente, ad uno o più concorrenti determinati o ai relativi prodotti o servizi.

47.      Ritengo utile precisare che la possibilità di identificare nel messaggio pubblicitario uno o più concorrenti determinati o i loro prodotti o servizi deve essere valutata dal punto di vista del consumatore, più precisamente del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, e non dal punto di vista del concorrente. Ciò che conta è valutare se, nella mente di tale consumatore, confrontato al messaggio pubblicitario, quest’ultimo produrrebbe la rappresentazione di uno o più concorrenti determinati dell’operatore pubblicitario (o dei relativi prodotti o servizi). Non conta dunque che uno specifico concorrente si senta individualmente riguardato dal messaggio pubblicitario.

48.      Le forme di identificazione del concorrente (o dei relativi prodotti o servizi) possono essere molteplici: oltre alle forme di identificazione esplicita (riferimento alla denominazione commerciale del concorrente o ai suoi marchi o segni distintivi), è possibile immaginare diverse forme di identificazione implicita, che si realizzeranno, ad esempio, mediante riferimento a circostanze fattuali proprie alla sua impresa, alla sua comunicazione (per es. slogan o testimonial pubblicitari), alla sua posizione (per es. di leader) di mercato, a caratteristiche peculiari dei suoi prodotti o servizi, o ad ogni altro elemento che il consumatore possa percepire come allusione a quel concorrente determinato o ai relativi prodotti o servizi.

49.      Nulla vieta naturalmente che il riferimento nel messaggio pubblicitario ad un tipo di prodotto, in date circostanze, possa anch’esso produrre nella mente del suddetto consumatore la rappresentazione di uno o più concorrenti determinati o dei relativi prodotti o servizi.

50.      Ciò accadrà, ad esempio, quando il tipo di prodotto cui il messaggio fa riferimento è offerto, oltre che dall’operatore pubblicitario, da un solo altro concorrente (duopolio); oppure quando il messaggio si riferisce ad un tipo di prodotto fornito da una sola impresa, diverso dal tipo offerto dall’operatore pubblicitario e con esso tuttavia concorrente.

51.      Ammetto anche che, come suggerito dalla Commissione, il riferimento ad un tipo di prodotto possa valere, tenuto conto delle circostanze, ad identificare in modo implicito un numero più ampio di concorrenti (due o più), purché nella mente del consumatore questi si presentino nella loro individualità. In particolare, non può escludersi che il riferimento ad un tipo di prodotto, offerto in situazione di oligopolio ristretto da imprese tutte ben note al pubblico, permetta al consumatore di rappresentarsi ciascuna di esse nella sua individualità.

52.      Dissento invece dalla posizione del CIVC e di Veuve Clicquot, che mi pare sia stata in sostanza sposata in udienza anche dal governo francese, secondo cui il riferimento ad un prodotto avente una denominazione d’origine è di per sé sufficiente a permettere l’identificazione richiesta dall’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450.

53.      Poco importa chiedersi se un tale riferimento possa interpretarsi come riferimento ad un tipo di prodotto o invece, come sostenuto dal CIVC e da Veuve Cliquot, a «prodotti ben determinati», aventi caratteristiche precise legate ad una provenienza geografica particolare. È vero, come osservato da dette parti e dal governo francese, che l’identificazione richiesta dalla disposizione in parola non deve avere necessariamente ad oggetto un concorrente, potendo riguardare invece anche i beni o servizi di un concorrente. Tuttavia, nella misura in cui la disposizione si riferisce comunque ai beni o servizi di un concorrente e dato che, come ho sopra rilevato, per «un concorrente» deve intendersi un concorrente determinato, ossia percepito nella sua individualità dal consumatore, l’argomentazione del CIVC, di Veuve Clicquot e del governo francese si dimostra inefficace.

54.      Altrettanto è a dirsi dell’argomento che il CIVC e Veuve Clicquot fondano sul carattere definito del numero di operatori economici abilitati ad utilizzare una denominazione d’origine. Il fatto che tali operatori possano rappresentare una cerchia definita, e che sia dunque possibile in astratto individuarli in modo preciso, non significa che, confrontato al messaggio pubblicitario che evochi la denominazione d’origine, il consumatore medio sarà necessariamente portato a rappresentarsi ciascuno di tali operatori nella sua individualità.

55.      Spetterà dunque al giudice del rinvio valutare se le menzioni ed espressioni controverse utilizzate da De Landtsheer, apprezzate nel contesto globale del messaggio pubblicitario in cui sono inserite (24) e quindi anche alla luce degli altri elementi, anche di natura grafica o decorativa, che compongono detto messaggio, sono tali, tenendo conto della conoscenza del mercato di cui può disporre il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, da consentire a quest’ultimo di identificare una o più imprese determinate o i relativi prodotti o servizi.

56.      Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nel modo seguente:

«Il riferimento, in un messaggio pubblicitario, ad un tipo di prodotto non soddisfa di per sé il requisito dell’identificazione di cui all’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 nel senso che esso varrebbe ad identificare ciascuna impresa che offre quel tipo di prodotto o i relativi beni. Un simile riferimento potrà valere ad identificare implicitamente un concorrente o i beni da questo offerti, ai sensi della suddetta disposizione, solo laddove esso, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, consenta ad un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, di rappresentarsi una o più imprese determinate che offrono quel tipo di prodotto, o i relativi beni».

 Sulla seconda questione pregiudiziale

57.      La seconda questione pregiudiziale, che si articola in più quesiti, concerne, in primo luogo, la determinazione dell’esistenza di un rapporto di concorrenza, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, tra l’operatore pubblicitario e l’altra impresa che (o i cui prodotti o servizi) detto messaggio identifica. Anch’essa dunque volge a veder chiarito il campo di applicazione della disciplina introdotta con la direttiva 97/55. Inoltre, la questione pregiudiziale richiede altresì un’interpretazione della portata della condizione di liceità di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva 84/450.

58.      Il giudice di rinvio domanda innanzitutto se occorra considerare, in base ad un confronto tra il testo dell’art. 2, punto 2 bis), e quello dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva 84/450, che è «concorrente» ai sensi della prima di tali disposizioni qualsiasi impresa che il messaggio pubblicitario consenta di identificare, a prescindere cioè dai beni o servizi che essa offre [quesito sub a)].

59.      Per il caso di una risposta negativa a tale quesito, il giudice di rinvio interroga la Corte circa i criteri da applicare nel valutare la sussistenza del rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 [quesiti sub b), c) e d)].

60.      Infine, detto giudice domanda se tali criteri e quelli da utilizzare per determinare se la condizione di liceità di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), è soddisfatta siano identici [quesito sub e)].

61.      Il quesito sub a) merita senz’altro, a mio avviso, una risposta negativa. Come evidenziato da De Landtsheer e dalla Commissione, il testo dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non lascia adito a dubbi: occorre, perché una pubblicità sia comparativa, che essa permetta di identificare un’impresa concorrente (o i relativi beni o servizi) e non un’impresa qualsiasi (o i relativi beni o servizi). La considerazione dei prodotti e dei servizi offerti dall’impresa identificata, come di quelli offerti dall’operatore pubblicitario, è dunque essenziale al fine di verificare se detta pubblicità si riferisca ad un concorrente e sia perciò comparativa ai sensi della suddetta disposizione.

62.      Il fatto, che sembra creare qualche dubbio al giudice di rinvio, che un rapporto di concorrenza tra i prodotti oggetto del confronto pubblicitario sia richiesto, in virtù dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), anche quale condizione di liceità della pubblicità non richiede affatto un’interpretazione dell’art. 2, punto 2 bis), che si discosti in maniera così flagrante dal suo senso letterale.

63.      Mi pare opportuno precisare che la definizione normativa di pubblicità comparativa non richiede che vi sia concorrenza tra i prodotti eventualmente oggetto di confronto nella pubblicità. Ciò che conta è che tra l’operatore pubblicitario e l’altra impresa che (o il cui prodotto) la pubblicità permette di identificare vi sia concorrenza per una parte qualsiasi della gamma di prodotti o servizi da essi rispettivamente offerti.

64.      Che l’esistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), non vada valutata soltanto in relazione ai beni o servizi cui la pubblicità fa riferimento emerge dal fatto che tale disposizione richiede l’identificazione non di beni o servizi concorrenti, ma di «beni o servizi offerti da un concorrente» o, in alternativa, della persona o della situazione di «un concorrente» (pubblicità istituzionale o personale). In quest’ultima ipotesi, evidentemente, mancando l’identificazione di un bene o servizio particolare, non sarebbe possibile valutare l’esistenza di un rapporto di concorrenza in relazione ai prodotti o servizi oggetto della pubblicità.

65.      Concordo con il governo belga e la Commissione sulla necessità di interpretare in modo ampio il rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis). La verifica dell’esistenza in concreto di un tale rapporto non dovrebbe, in particolare, seguire in toto i criteri di definizione del mercato rilevante esposti nella comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza (in prosieguo: la «comunicazione sul mercato rilevante») (25), cui è stato fatto riferimento nelle osservazioni scritte.

66.      Come è noto, la definizione del mercato rilevante nel quadro dell’applicazione delle regole di concorrenza ha per scopo principale quello di individuare le pressioni concorrenziali alle quali sono sottoposte le imprese interessate, permettendo di valutare così il potere di mercato di ciascuna di esse (26). Nell’ambito di simile analisi assume rilievo, in primo luogo, la sostituibilità dei prodotti dal lato della domanda, cioè la misura in cui i prodotti sono considerati intercambiabili dal consumatore. Tale sostituibilità dipenderà evidentemente dall’idoneità dei prodotti a soddisfare un medesimo bisogno del consumatore.

67.      Tuttavia, poiché la finalità della definizione del mercato rilevante nell’ambito del diritto della concorrenza è quella di individuare le imprese che rappresentano un vincolo concorrenziale effettivo per le imprese interessate, ossia che sono capaci di condizionare il comportamento di queste ultime, ed in particolare le loro decisioni in materia di prezzi, l’analisi, in quel contesto, si concentra nella ricerca, in particolare attraverso l’osservazione della elasticità incrociata rispetto al prezzo della domanda dei prodotti esaminati, di un grado di sostituibilità significativo tra i prodotti stessi. Come evidenziato nella comunicazione sul mercato rilevante (27), ai fini operativi e pratici la definizione del mercato rilevante concentra la sua attenzione sulla sostituzione della domanda innescata da piccole variazioni permanenti dei prezzi relativi. In particolare, si riterrà che il prodotto di un’altra impresa condizioni sufficientemente il prezzo dei prodotti dell’impresa interessata nel breve periodo se, a fronte di un ipotetico piccolo incremento di carattere permanente di detto prezzo nell’area considerata, il tasso di sostituzione fra i due prodotti sarebbe tale da rendere non redditizio l’incremento del prezzo ipotizzato (28).

68.      L’applicazione di tali criteri ai fini della verifica dell’esistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 mi pare inadeguata. La prospettiva in cui occorre porsi in quest’ultimo contesto è ben diversa.

69.      Scopo essenziale della pubblicità è proprio quello di influenzare le scelte di acquisto dei consumatori onde aumentare la domanda del prodotto pubblicizzato, e quello della pubblicità comparativa in particolare, per lo più, di determinare spostamenti della domanda dal prodotto di un’altra impresa al prodotto dell’operatore pubblicitario. La pubblicità comparativa è vista con favore dal legislatore comunitario in quanto, a determinate condizioni, può informare i consumatori e stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori (29). Essa, tuttavia, è sottoposta dal legislatore comunitario ad una serie di condizioni volte ad evitare, in particolare, che comporti una distorsione della concorrenza, svantaggi i concorrenti e incida negativamente sulla scelta dei consumatori (30).

70.      Ne consegue che il rapporto di concorrenza che va ricercato ex art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non è quello che rappresenta un vincolo concorrenziale effettivo all’indipendenza di comportamento commerciale dell’impresa interessata, ma quello che può costituire terreno fertile, da un lato, per un allargamento delle scelte di acquisto dei consumatori e, dall’altro, per un interesse verso, e quindi per il rischio di, condotte pubblicitarie scorrette.

71.      In questa prospettiva, mi pare doversi ritenere che l’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non esiga, sotto il profilo del rapporto di concorrenza che esso contempla, un grado di sostituibilità significativo tra i prodotti delle imprese interessate, come è invece normalmente richiesto perché in diritto della concorrenza possa concludersi nel senso dell’appartenenza di tali prodotti ad un medesimo mercato rilevante.

72.      Come suggerito dalla Commissione, basterà che vi sia tra i prodotti delle imprese interessate un certo grado di sostituibilità. Quest’ultimo potrà dunque essere anche limitato. In altri termini, si potrà ritenere sussistente il rapporto di concorrenza anche se un effetto di sostituzione significativo si verificherebbe solo in presenza di una forte variazione del prezzo relativo dei prodotti e, ritengo, persino se una forte variazione di tale prezzo determinerebbe soltanto un effetto di sostituzione contenuto.

73.      Non debbono perciò considerarsi concorrenti ai fini dell’art. 2, punto 2 bis), solo imprese che sarebbero incluse, nel quadro dell’applicazione delle regole di concorrenza, nel medesimo mercato rilevante, come invece sostiene De Landtsheer.

74.      Peraltro, considerato il rischio che l’impresa identificata nella pubblicità possa subire un concreto pregiudizio dal confronto pubblicitario (o anche solo dall’identificazione attuata senza confronto), non mi sembra doversi escludere la possibilità di ravvisare un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 anche in casi in cui l’operatore pubblicitario non offra attualmente prodotti sostituibili, dal lato della domanda, con quelli di detta impresa ovvero, pur offrendoli, sia però attivo su un mercato geografico diverso. L’operatore pubblicitario potrebbe costituire un concorrente potenziale dell’impresa identificata nella pubblicità e nutrire un interesse a screditarne l’immagine onde preparare il terreno per un suo successivo ingresso nel mercato in cui la stessa è attiva.

75.      Concordo perciò con il governo belga e con la Commissione nel dar rilievo, ai fini dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, anche alla concorrenza solo potenziale (31).

76.      Una situazione di concorrenza potenziale può darsi, in particolare, in casi di forte sostituibilità dal lato dell’offerta. La sostituibilità dal lato dell’offerta, come noto, rileva ai fini della definizione del mercato rilevante nel quadro dell’applicazione delle regole di concorrenza qualora rappresenti un vincolo concorrenziale effettivo per le imprese interessate. Un’impresa deve infatti, nel determinare la propria politica commerciale, fare i conti con la capacità di cui possono disporre talune imprese – che non producono attualmente il suo stesso prodotto (o la sua stessa varietà di prodotto) ma un altro prodotto (o varietà di prodotto) ad esso non sostituibile dal punto di vista dei consumatori – di modificare i loro processi produttivi in breve tempo e senza incorrere in costi aggiuntivi significativi o in rischi eccessivi, onde offrire anch’essa il prodotto (o varietà di prodotto) in questione in risposta a piccole variazioni permanenti del relativo prezzo. Quando tale capacità è significativa, il mercato del prodotto, ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza, comprenderà non solo tutti i prodotti sostituibili dal lato della domanda, ma anche quelli sostituibili solo dal lato dell’offerta (32).

77.      Ma vi è di più. Si osserva spesso che la pubblicità tende, tra l’altro, a rafforzare la fedeltà alla marca e a ridurre l’elasticità della domanda del bene pubblicizzato, ossia la fungibilità dello stesso. Rilevo però che la pubblicità tende anche, all’opposto, a suggerire al consumatore nuove possibilità di sostituzione del bene consumato con beni succedanei e ad attenuare dunque l’infungibilità dei beni.

78.      Occorre perciò tener presente che la pubblicità può mirare a determinare non solo spostamenti di quote di mercato, ma anche spostamenti di domanda da un mercato all’altro (in particolare verso un altro tipo di prodotto), e ad incidere quindi sulla stessa estensione dei mercati.

79.      La natura stessa dello strumento sembra pertanto richiedere una concezione del rapporto di concorrenza rilevante ex art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 fondata su una visione dinamica dei mercati.

80.      Ne consegue, e vengo con ciò a prendere posizione sul quesito sub b) della seconda questione pregiudiziale, che, per valutare la sussistenza del suddetto rapporto di concorrenza, occorre tenere presente non soltanto lo stato attuale dei mercati e le abitudini di consumo correnti, ma anche le possibilità di evoluzione di queste ultime e dunque dei mercati stessi. Occorrerà, in altri termini, valutare se, tra i prodotti o servizi offerti dall’operatore pubblicitario e quelli offerti dall’altra impresa cui la pubblicità si riferisce, sebbene attualmente non sostituibili dal punto di vista dei consumatori, sussistano relazioni tali da lasciare intravedere un potenziale trasferimento, sia pur parziale e limitato, di domanda dagli uni agli altri in un prossimo futuro.

81.      Inoltre, e vengo al quesito sub d), quando il prodotto offerto dall’operatore pubblicitario e quello dell’altra impresa cui la pubblicità si riferisce appartengano a tipi merceologici diversi (33), da una parte, non ci si dovrebbe limitare a considerare la sostituibilità tra i due tipi di prodotto in astratto, bensì quella tra gli specifici prodotti in questione alla luce delle loro concrete caratteristiche. È evidente, infatti, che, specie per ambiti merceologici caratterizzati da elevata differenziazione di prodotto, potranno individuarsi ‘zone di confine’ dove specifici prodotti, appartenenti a tipi merceologici in astratto non fungibili, potranno in realtà trovarsi in concorrenza.

82.      D’altra parte, tenuto conto della rilevata idoneità della pubblicità comparativa ad incidere sulla fungibilità tra i prodotti dal lato della domanda, non dovrebbero ignorarsi nemmeno il modo in cui l’operatore pubblicitario posiziona il suo prodotto tramite la pubblicità e l’immagine che egli intende imprimergli. Se l’operatore pubblicitario presenta lui stesso il suo prodotto come valida alternativa a quello dell’altra impresa cui la pubblicità si riferisce, anche se in ipotesi appartenente ad un tipo merceologico diverso, dovrà a mio avviso presumersi l’esistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), a meno che non si possa ragionevolmente escludere, alla luce in particolare della natura, delle caratteristiche, della destinazione e del prezzo relativo dei prodotti, ogni rischio di un trasferimento di clientela in favore del prodotto pubblicizzato.

83.      In merito al quesito sub c), ritengo anch’io, come unanimemente tutte le parti che hanno partecipato al presente procedimento, che la verifica dell’esistenza, tra l’operatore pubblicitario e l’altra impresa cui si riferisce la pubblicità, di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 vada fatta con riferimento alla parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa.

84.      Mi preme tuttavia al riguardo effettuare due rilievi.

85.      In primo luogo, ricordo che l’autorità nazionale (giudiziaria o amministrativa) investita, in ossequio all’art. 4, n. 1, della direttiva 84/450, del controllo sulla pubblicità comparativa è competente soltanto per quanto concerne la pubblicità diffusa sul territorio soggetto alla sua giurisdizione. Ne consegue che il fatto che l’ambito di diffusione della pubblicità in questione comprenda in ipotesi anche il territorio di altri Stati membri non potrà abilitare detta autorità a considerare riscontrato il rapporto di concorrenza richiesto dall’art. 2, punto 2 bis), laddove questo si manifesti soltanto sul territorio di altri Stati membri e non anche su quello soggetto alla sua giurisdizione.

86.      Così, ad esempio, nella fattispecie, non sarà consentito alla Cour d’appel de Bruxelles di considerare che i messaggi pubblicitari controversi si riferiscono ad un concorrente o ai prodotti di un concorrente ai sensi dell’art. 22 LPCC e dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450, se riscontri che un rapporto di concorrenza tra, da un lato, De Landtsheer e, dall’altro, i produttori di vino spumante o di champagne che dovessero risultare identificati dai suddetti messaggi, sussista non in Belgio, ma in un’altra parte del territorio comunitario in cui questi ultimi sono diffusi (34).

87.      Naturalmente, l’esistenza di un rapporto di concorrenza attuale tra i beni in questione su un’altra parte del territorio comunitario potrà essere tenuta presente nell’ambito di un’analisi delle possibili evoluzioni delle abitudini di consumo nel territorio belga.

88.      In secondo luogo, sottolineo che la limitazione al territorio in cui la pubblicità è diffusa dell’esame dell’esistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 comporta come conseguenza il fatto che una stessa pubblicità, qualora sia diffusa in più Stati membri, potrà essere considerata come comparativa, nel senso di cui alla citata disposizione, in uno Stato membro e non in un altro, secondo le abitudini di consumo e della struttura dei mercati che sono in ciascuno riscontrabili.

89.      Ciò, sebbene possa sembrare in contraddizione con uno degli obiettivi della direttiva 97/55, quello di favorire la ‘libera circolazione delle pubblicità’ nel mercato interno (35), sembra tuttavia inevitabile, non apparendo in alcun modo sensato imporre sistematicamente all’autorità di controllo di operare una valutazione dell’esistenza del rapporto di concorrenza su scala europea, indipendentemente dalle dimensioni geografiche reali dei mercati.

90.      In ogni caso, il problema appare relativizzato non solo dall’attuale tendenza verso l’espansione geografica dei mercati e dallo sviluppo progressivo del mercato interno, ma anche dal rilievo indiziario che può assumere il gioco concorrenziale osservabile in altre aree della Comunità ai fini di una valutazione in chiave dinamica dell’esistenza del rapporto di concorrenza in parola nel territorio in cui la pubblicità è diffusa soggetto alla giurisdizione dell’autorità di controllo.

91.      Venendo, infine, al quesito sub e), con il quale il giudice di rinvio chiede se siano identici i criteri per accertare il rapporto di concorrenza rilevante ex art. 2, punto 2 bis), e quelli per verificare se sia soddisfatta la condizione di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva 84/450, ricordo che questa condizione, spesso descritta come di «omogeneità» del confronto, richiede, perché una pubblicità comparativa che contenga un confronto sia lecita, che essa «confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi».

92.      Sembrerebbe che, ponendo una simile questione, la quale richiede un’interpretazione anche dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), il giudice di rinvio consideri implicitamente, per il caso in cui dovesse concludere nel senso del carattere comparativo dei messaggi pubblicitari oggetto della causa nazionale, che detti messaggi contengano un confronto e che debbano per questo soddisfare, perché siano leciti, le condizioni enumerate nell’art. 3 bis. Il giudice di rinvio, comunque, non chiede alla Corte precisazioni sulla nozione di confronto o sull’ambito di applicazione dell’art. 3 bis in quanto tale. Non occorre dunque esaminare tali aspetti nel presente procedimento pregiudiziale.

93.      Concordo con la Commissione nel ritenere che i criteri per accertare il rapporto di concorrenza rilevante ex art. 2, punto 2 bis), e quelli per verificare se sia soddisfatta la condizione di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), non sono identici. È chiaro, infatti, che, ove lo fossero, l’art. 3 bis, n. 1, lett. b), sarebbe privo di qualsiasi effetto utile, in quanto ogni pubblicità qualificabile come comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), non potrebbe mai porsi in contrasto con la condizione di liceità in questione.

94.      La portata dei criteri rispettivamente impiegati nelle due norme a confronto è dunque necessariamente diversa. La nozione di concorrenza di cui all’art. 2, punto 2 bis), dovrebbe coprire un più ampio numero di casi che la condizione di liceità di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), di modo che possano effettivamente darsi casi di pubblicità comparativa che non soddisfano tale condizione.

95.      Osservo in tal senso, anzitutto, che l’art. 3 bis, n. 1, lett. b), concerne un rapporto che deve sussistere tra i prodotti o servizi che costituiscono oggetto del confronto pubblicitario, laddove, come ho sopra rilevato, il rapporto di concorrenza rilevante ex art. 2, punto 2 bis), non deve essere necessariamente riscontrato tra detti prodotti o servizi, ma può esserlo sull’intera gamma di prodotti o servizi offerti dall’operatore pubblicitario e dall’altra impresa cui il messaggio si riferisce (36).

96.      Inoltre, è irrilevante ai fini dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), ogni valutazione relativa alla sostituibilità dei prodotti o servizi dal lato dell’offerta, la quale invece potrebbe risultare pertinente (v. paragrafi 75 e 76 supra) ai fini dell’art. 2, punto 2 bis). Così, se due prodotti non sono sostituibili dal lato della domanda, il messaggio che li ponga a confronto non soddisferà la condizione di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b).

97.      Tale ultima considerazione trova conferma nella recente sentenza Lidl (37), nella quale la Corte ha specificato che la condizione di liceità posta dall’art. 3 bis, n. 1, lett. b), significa che i beni oggetto di raffronto devono presentare un «grado sufficiente di intercambiabilità per il consumatore». La Corte ha osservato che detta disposizione precisa l’esigenza di comparabilità dei prodotti evidenziata nel secondo e nel nono ‘considerando’ della direttiva 97/55, dai quali si evince che detta esigenza mira in particolare a permettere che la pubblicità comparativa fornisca utili informazioni al consumatore ai fini delle sue scelte di acquisto e ad evitare che essa sia utilizzata in modo sleale e negativo per la concorrenza.

98.      L’art. 3 bis, n. 1, lett. b), non esige dunque che i prodotti o servizi confrontati siano di identica o simile natura o che appartengano alla stessa categoria merceologica, ma allude alla intercambiabilità dei beni dal punto di vista del consumatore.

99.      Non mi pare, peraltro, che il riferimento fatto dalla Corte ad un grado sufficiente di intercambiabilità per il consumatore debba interpretarsi nel senso che nel quadro della verifica del rispetto dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), debba riscontrarsi, tra i beni oggetto di confronto, un grado di sostituibilità dal lato della domanda superiore a quello che basterebbe a configurare, tra i relativi fornitori, un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis).

100. Certo, poiché l’art. 3 bis, n. 1, lett. b), pone una condizione di liceità della pubblicità comparativa, l’applicazione, nel suo ambito, di criteri di verifica della sostituibilità dal lato della domanda più restrittivi di quelli applicati ai fini dell’art. 2, punto 2 bis), è concepibile.

101. Tuttavia, da un lato, dovendosi, per giurisprudenza ormai costante, interpretare le condizioni di liceità prescritte per la pubblicità comparativa nel senso più favorevole a questa (38), e tenuto conto del fatto che il suggerimento di nuove possibili succedaneità può costituire un’utile informazione per i consumatori e stimolare la concorrenza tra i fornitori di prodotti o servizi nell’interesse di quelli, con ciò corrispondendo agli obiettivi della direttiva 97/55, non vedo ragioni che facciano propendere per un irrigidimento, nell’ambito in esame, dei criteri di verifica della sostituibilità dal lato della domanda, rispetto a quelli che rilevano nell’ambito dell’art. 2, punto 2 bis). Ciò a maggior ragione in quanto le condizioni di liceità poste dall’art. 3 bis, n. 1, lett. a) e c), contribuiscono a garantire che il confronto tra beni presentati come succedanei sia operato in modo leale ed utile per i consumatori.

102. Dall’altro lato, gli aspetti evidenziati ai paragrafi 95 e 96 supra appaiono sufficienti a distinguere la portata della condizione del rapporto di concorrenza ex art. 2, punto 2 bis), da quella della condizione di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), e ad assicurare con ciò l’effetto utile di quest’ultima.

103. Sono dunque del parere che le considerazioni svolte ai paragrafi 80-90 supra riguardo agli elementi di valutazione evocati dal giudice di rinvio nei quesiti sub b), c) e d), della seconda questione pregiudiziale siano pertinenti anche ai fini dell’applicazione della condizione di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. b).

104. Tutt’al più, potrebbe ammettersi che nei casi in cui il messaggio pubblicitario presenta come sostituibili prodotti o servizi che attualmente non sono considerati tali dai consumatori, la valutazione prognostica circa le possibilità di evoluzione delle abitudini di consumo debba essere condotta, in sede di applicazione dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), con maggior rigore. Si potrebbe, in particolare, ritenere che non sia sufficiente che l’operatore pubblicitario presenti i beni oggetto di confronto, in modo esplicito o allusivo, come succedanei per presumere che la condizione in parola è soddisfatta e che occorra invece verificare che la pubblicità sia effettivamente idonea a dirottare sul bene offerto dall’operatore pubblicitario almeno una parte della clientela dell’altra impresa cui essa si riferisce.

105.  Quanto alla questione, sul piano concreto, della sostituibilità, sul territorio belga in cui la pubblicità è diffusa, tra la birra ed il vino spumante o lo champagne e, più in particolare, tra la birra fabbricata da De Landtsheer ed il vino spumante o lo champagne fabbricati dalle specifiche imprese che dovessero in ipotesi risultare identificate dai messaggi pubblicitari controversi, è evidente che ogni valutazione al riguardo spetta al giudice nazionale. Non occorre dunque esaminare nell’ambito del presente procedimento pregiudiziale gli argomenti, fondati anche su talune decisioni giurisdizionali o amministrative degli organi comunitari, che alcune parti hanno sollevato, rispettivamente, per suggerire o contestare tale sostituibilità.

106. Propongo pertanto alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nel modo seguente:

«Per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa cui egli fa riferimento nella pubblicità sussiste un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non si può prescindere dalla considerazione dei beni o servizi offerti da tale impresa. Deve invece riscontrarsi che l’operatore pubblicitario e detta impresa siano in concorrenza, attuale o potenziale, per una parte qualsiasi della gamma di prodotti o servizi da essi rispettivamente offerti. Basterà, in particolare, che sussista, dal lato della domanda, una certa sostituibilità, anche limitata, tra un prodotto o servizio dell’uno e un prodotto o servizio dell’altra.

Per valutare la sussistenza del suddetto rapporto di concorrenza, l’autorità nazionale di controllo deve riferirsi alla situazione esistente nella parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa e che è soggetta alla sua giurisdizione, e dovrà tener conto, tra altri fattori, anche delle possibilità di evoluzione delle abitudini di consumo, delle peculiarità dei prodotti o servizi che costituiscono oggetto della pubblicità e dell’immagine che l’operatore pubblicitario intende imprimere al prodotto che pubblicizza.

I criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 e quelli per verificare se il confronto soddisfa la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva stessa non sono identici».

 Sulla terza questione pregiudiziale

107. Con la terza questione pregiudiziale il giudice di rinvio chiede in sostanza se una pubblicità che contenga un confronto con un tipo di prodotto e che non permetta di identificare un concorrente determinato o il prodotto che esso offre debba, sulla base degli artt. 2, punto 2 bis), e 3 bis della direttiva 84/450, essere considerata automaticamente illecita o se la sua liceità debba essere valutata in base a disposizioni nazionali diverse da quelle che traspongono le disposizioni di tale direttiva relative alla pubblicità comparativa, anche se per ipotesi meno favorevoli per i consumatori o le imprese che offrono il tipo di prodotto cui la pubblicità si riferisce.

108. La formulazione letterale della questione crea qualche incertezza, nella misura in cui l’esempio di pubblicità che ne costituisce oggetto vi è comunque qualificato come «pubblicità comparativa». Ritengo che tale qualificazione possa essere ignorata, o perché frutto di mero errore materiale nella redazione del quesito o in quanto la si deve intendere nel senso di pubblicità che opera un confronto.

109. In effetti, risulta chiaramente dal punto 23 della sentenza di rinvio che la Cour d’appel de Bruxelles solleva la terza questione pregiudiziale per l’ipotesi in cui si debba concludere, sulla base delle risposte che la Corte darà alle prime due questioni pregiudiziali, che non vi è nel caso di specie una pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450.

110. La terza questione pregiudiziale presuppone evidentemente che la prima questione pregiudiziale sia risolta nel senso che, come io ritengo, una pubblicità che operi un confronto con un tipo di prodotto non è di per sé una pubblicità comparativa ai sensi ed agli effetti della direttiva 84/450.

111. In quest’ottica, le parti del presente procedimento pregiudiziale – ad eccezione del governo belga, che, non condividendo tale ottica, si è limitato ad evidenziare che la questione in esame è priva di oggetto – hanno in sostanza concordemente ritenuto che una pubblicità che non soddisfi i requisiti per essere qualificata come comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), non è automaticamente illecita in virtù delle disposizioni della direttiva 84/450 relative alla pubblicità comparativa, ma si pone fuori dal campo di applicazione delle medesime. Conseguentemente, la liceità di una tale pubblicità dovrebbe essere valutata sulla base di altre disposizioni nazionali, diverse da quelle che traspongono le disposizioni della direttiva 84/450 relative alla pubblicità comparativa, e di altre disposizioni di diritto comunitario eventualmente pertinenti (39).

112. Non vedo come si possa dissentire da tale impostazione. Propongo pertanto alla Corte di rispondere alla terza questione pregiudiziale nel modo seguente:

«Una pubblicità che, pur contenendo un confronto, non soddisfi le condizioni per essere qualificata come comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non rientra nel campo di applicazione delle disposizioni della medesima direttiva relative alla pubblicità comparativa. La sua liceità va dunque valutata sulla base delle disposizioni nazionali applicabili, diverse da quelle che traspongono le disposizioni sopramenzionate, e delle altre disposizioni di diritto comunitario eventualmente pertinenti, anche se il grado di protezione degli interessi dei consumatori e dei fornitori di quel tipo di prodotto che dovesse risultarne è minore».

 Sulla quarta questione pregiudiziale

113. La quarta questione pregiudiziale verte sulla condizione di liceità della pubblicità comparativa prevista dall’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva 84/450. Il giudice di rinvio chiede se da tale disposizione risulti l’illiceità di ogni confronto che rapporti prodotti privi di denominazione d’origine a prodotti che ne sono invece provvisti.

114. La questione è posta in quanto alcuni dei messaggi pubblicitari su cui verte la causa nazionale contengono riferimenti allo champagne, prodotto che gode dell’omonima denominazione d’origine, protetta anche in virtù della regolamentazione comunitaria.

115. L’art. 3 bis, n. 1, lett. f), richiede che, per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa, «per i prodotti recanti denominazioni di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione».

116. Nonostante la sua formulazione letterale certo equivoca, non mi pare che possano nutrirsi seri dubbi circa l’interpretazione da darsi a tale disposizione.

117. De Landtsheer sostiene che l’art. 3 bis, n. 1, lett. f), è applicabile alle pubblicità che pongono a confronto unicamente prodotti recanti denominazione d’origine, imponendo quale condizione di liceità di simile confronto che la denominazione d’origine dei prodotti confrontati sia la stessa. Al più, la norma potrebbe applicarsi a pubblicità con cui, attraverso un confronto con prodotti privi di denominazione d’origine, si promuove la vendita di prodotti recanti denominazione d’origine. Secondo l’uno o l’altro di tali approcci interpretativi, la norma non sarebbe dunque applicabile nella fattispecie, dato che i messaggi pubblicitari controversi mirano a promuovere la vendita di un prodotto – la birra fabbricata da De Landtsheer – che non gode di una denominazione d’origine.

118. Anch’io, come il CIVC, Veuve Clicquot, i governi belga e francese e la Commissione, ritengo che tali approcci non meritino accoglimento.

119. Per un verso, mi sembra alquanto curioso e improbabile che il legislatore comunitario, nel determinare le condizioni di liceità del confronto pubblicitario, si sia preoccupato di vietare i confronti tra prodotti aventi denominazioni d’origine diversa senza preoccuparsi contestualmente di disciplinare, vietandoli allo stesso modo, i confronti tra un prodotto recante denominazione d’origine ed un prodotto che ne è sprovvisto. Non vedo il senso del divieto di un confronto tra, ad esempio, il formaggio «Grana Padano» ed il formaggio «Parmigiano Reggiano», aventi entrambi denominazioni d’origine protette, in assenza di un contestuale divieto di un confronto tra uno di questi ed un diverso formaggio privo di denominazione d’origine.

120. Per altro verso, la diversa soluzione interpretativa secondo cui la disposizione in esame sarebbe applicabile ai soli confronti volti a promuovere prodotti recanti denominazione d’origine appare anch’essa incongrua. Se un confronto pubblicitario tra un prodotto privo di denominazione d’origine ed un prodotto che ne è provvisto fosse permesso solo al fornitore del primo, saremmo in presenza di un’asimmetria anomala e inspiegabile, che impedirebbe la parità delle armi nel confronto pubblicitario penalizzando i fornitori di prodotti provvisti di denominazione d’origine.

121. L’art. 3 bis, n. 1, lett. f) mi appare piuttosto come una specificazione, riguardo al confronto che coinvolga un prodotto recante una denominazione d’origine, della condizione di omogeneità del confronto di cui alla lett. b), posto che il divieto del c.d. agganciamento (o pubblicità parassitaria) a protezione delle denominazioni d’origine è già contenuto nella lett. g) dello stesso art. 3 bis, n. 1. In sostanza, la lett. f) intende a mio avviso precisare che un confronto tra un bene che ha una denominazione d’origine e un bene che ne è sprovvisto o un confronto tra beni provvisti di diversa denominazione d’origine non può essere considerato un confronto omogeneo.

122. Si tratta dunque di una sorta di presunzione di non omogeneità del confronto volta a realizzare una tutela rafforzata dei prodotti provvisti di denominazione d’origine contro i confronti pubblicitari e a completare la tutela degli stessi prodotti derivante da altre disposizioni di diritto comunitario.

123. Se ne trae conferma dal dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55, l’unico idoneo a spiegare la regola posta dall’art. 3 bis, n. 1, lett. f), nel quale è indicato che le condizioni della pubblicità comparativa «dovrebbero, in particolare, tener conto delle disposizioni del regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (40), in particolare l’articolo 13 e le altre disposizioni adottate dalla Comunità nel settore agricolo».

124. La disposizione in esame è stata oggetto di vivaci critiche in dottrina da parte di chi vi ha visto una forma di inutile privilegio a vantaggio dei prodotti recanti una denominazione d’origine, limitativo della concorrenza. Sebbene tale da garantire certo una forte protezione di tali prodotti, non mi pare tuttavia che essa sia in contraddizione con gli obiettivi della direttiva 97/55 e concordo con la Commissione nel ritenere che si tratti di una precisa scelta del legislatore comunitario che non può essere rimessa in discussione per via interpretativa.

125. Ritengo pertanto che l’art. 3 bis, n. 1, lett. f), vada interpretato nel senso che il confronto pubblicitario che interessi un prodotto avente denominazione d’origine è lecito solo se operato in relazione ad un altro prodotto avente la stessa denominazione d’origine.

126. Suggerisco dunque alla Corte di dare risposta affermativa alla quarta questione pregiudiziale.

 Conclusioni

127. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottopostele dalla Cour d’appel de Bruxelles nei seguenti termini:

«1)      Il riferimento, in un messaggio pubblicitario, ad un tipo di prodotto non soddisfa di per sé il requisito dell’identificazione di cui all’art. 2, punto 2 bis), della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, nel senso che esso varrebbe ad identificare ciascuna impresa che offre quel tipo di prodotto o i relativi beni. Un simile riferimento potrà valere ad identificare implicitamente un concorrente o i beni da questo offerti, ai sensi della suddetta disposizione, solo laddove esso, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, consenta ad un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, di rappresentarsi una o più imprese determinate che offrono quel tipo di prodotto, o i relativi beni.

2)      Per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa cui egli fa riferimento nella pubblicità sussiste un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non si può prescindere dalla considerazione dei beni o servizi offerti da tale impresa. Deve invece riscontrarsi che l’operatore pubblicitario e detta impresa siano in concorrenza, attuale o potenziale, per una parte qualsiasi della gamma di prodotti o servizi da essi rispettivamente offerti. Basterà, in particolare, che sussista, dal lato della domanda, una certa sostituibilità, anche limitata, tra un prodotto o servizio dell’uno e un prodotto o servizio dell’altra.

Per valutare la sussistenza del suddetto rapporto di concorrenza, l’autorità nazionale di controllo deve riferirsi alla situazione esistente nella parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa e che è soggetta alla sua giurisdizione, e dovrà tener conto, tra altri fattori, anche delle possibilità di evoluzione delle abitudini di consumo, delle peculiarità dei prodotti o servizi che costituiscono oggetto della pubblicità e dell’immagine che l’operatore pubblicitario intende imprimere al prodotto che pubblicizza.

I criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 e quelli per verificare se il confronto soddisfa la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva stessa non sono identici.

3)      Una pubblicità che, pur contenendo un confronto, non soddisfi le condizioni per essere qualificata come comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva 84/450 non rientra nel campo di applicazione delle disposizioni della medesima direttiva relative alla pubblicità comparativa. La sua liceità va dunque valutata sulla base delle disposizioni nazionali applicabili, diverse da quelle che traspongono le disposizioni sopramenzionate, e delle altre disposizioni di diritto comunitario eventualmente pertinenti, anche se il grado di protezione degli interessi dei consumatori e dei fornitori di quel tipo di prodotto che dovesse risultarne è minore.

4)      Dall’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva 84/450 discende l’illiceità di ogni confronto che rapporti prodotti privi di denominazione d’origine a prodotti che ne sono invece provvisti».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – GU L 250, pag. 17.


3 – GU L 290, pag. 18.


4 – La direttiva 84/450 è stata da ultimo ulteriormente modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22). Alcune delle modifiche operate dalla direttiva 2005/29 riguardano disposizioni della direttiva 84/450 relative alla pubblicità comparativa, tra cui l'art. 3 bis, ma per aspetti non rilevanti ai fini della presente causa. Inoltre, la direttiva 2005/29 impone l'adozione delle disposizioni interne necessarie alla sua trasposizione entro il 12 giugno 2007 e l'applicazione di tali disposizioni entro il 12 dicembre 2007. Nell'ambito delle presenti conclusioni terrò dunque presente il testo della direttiva 84/450 quale modificato dalla direttiva 97/55 e non quello risultante anche dalle modifiche introdotte dalla direttiva 2005/29.


5 – Fatto salvo l'adattamento della lett. a), che, nella LPCC, fa rinvio, quanto alla nozione di ingannevolezza, all’art. 23, nn. 1-5, della stessa LPCC.


6 – Ciononostante, la Cour d'appel de Bruxelles, osservando come De Landtsheer contesti il carattere illecito dell'uso per la sua birra dell'indicazione «Reims‑France», ha qualificato detta indicazione come ingannevole quanto all'origine geografica del prodotto di cui è causa, che è fabbricato in Belgio, ed ha confermato l'ordine di cessazione di tale uso emesso dal giudice di primo grado.


7 – Ciò vale per le menzioni ed espressioni «BRUT RESERVE», «La première bière BRUT au monde», «Bière blonde à la méthode traditionnelle», «Reims-France» e per il riferimento ai vignaioli di Reims e di Epernay.


8 – Ciò vale per l'espressione «Champagnebier».


9 – Ciò vale per alcuni riferimenti al vino spumante o allo champagne, e al sapore o al metodo di fabbricazione di quest'ultimo.


10 – Mi riferisco in particolare alle menzioni «BRUT» «RESERVE» e «méthode traditionnelle»: v. sentenza di rinvio, punto 21.


11 – V. sentenza di rinvio, punto 24.


12 – Sentenza 25 ottobre 2001, causa C‑112/99 (Racc. pag. I‑7945, punti 29‑31).


13 – Detto ‘considerando’ indica che «è opportuno definire un concetto generale di pubblicità comparativa per includere tutte le forme della stessa».


14 – In questo senso v. anche sentenza 8 aprile 2003, causa C-44/01, Pippig (Racc. pag. I‑3095, punto 35).


15 – La prima proposta della Commissione di una direttiva riguardante la pubblicità comparativa, e recante modifica della direttiva 84/450, è del 1991 (GU C 180, pag. 14). Una proposta modificata, a seguito dei pareri del Comitato economico e sociale e del Parlamento europeo, è stata poi presentata dalla Commissione nel 1994 (GU C 136, pag. 4) ed approvata con emendamenti, dopo un'articolata procedura di codecisione, soltanto nell'ottobre 1997.


16 – V. l'art. 1 della direttiva 84/450, ai termini del quale la medesima «ha lo scopo di tutelare il consumatore e le persone che esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale, dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa» (carattere corsivo aggiunto).


17 – Il carattere cumulativo dei requisiti enunciati dall'art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 è evidenziato dalla Corte nella sentenza Pippig, cit., punto 54.


18 – L'espressione «per quanto riguarda il confronto» ricorre in diversi passaggi della direttiva 97/55: v. settimo ‘considerando’, il n. 1 dell'art. 3 bis, inserito nella direttiva 84/450 dalla direttiva 97/55, e il n. 2 dell'art. 7 della direttiva 84/450, quale sostituito dalla direttiva 97/55.


19 – Ossia prive di riferimenti a circostanze specifiche.


20 – Persino, a quanto mi consta, in paesi quali la Germania, l'Italia e il Lussemburgo, in cui vigevano regimi fortemente restrittivi in materia di pubblicità comparativa.


21 – V., in particolare, il quinto ‘considerando’, il quale indica, tra l'altro, che «la pubblicità comparativa, che confronti caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative e non sia ingannevole, può essere un mezzo legittimo per informare i consumatori nel loro interesse».


22 – Sentenze Pippig, cit., punto 55, e 19 settembre 2006, causa C‑356/04, Lidl (Racc. pag. I-8501, punto 78). V. anche, con riferimento ad altre normative comunitarie volte a tutelare il consumatore da indicazioni ingannevoli, contenute rispettivamente nel regolamento (CEE) del Consiglio 26 giugno 1990, n. 1907, relativo a talune norme di commercializzazione applicabili alle uova (GU L 173, pag. 5), e nella direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169), da un lato, la sentenza 16 luglio 1998, causa C‑210/96, Gut Springenheide e Tusky (Racc. pag. I‑4657, punto 37) e, dall'altro, le sentenze 13 gennaio 2000, causa C‑220/98, Estée Lauder (Racc. pag. I‑117, punti 27‑30), e 24 ottobre 2002, causa C‑99/01, Linhart e Biffl (Racc. pag. I‑9375, punto 31).


23 – Cit., punti 29 e 31.


24 – Risulta dalla sentenza Toshiba, cit., punti 57 e 58, che per valutare l'effetto che una menzione usata in una pubblicità può avere nella mente del pubblico a cui la pubblicità è indirizzata è necessario prendere in considerazione la presentazione globale della pubblicità stessa. V., altresì, sentenza Lidl, cit., punto 79.


25 – GU 1997, C 372, pag. 5.


26 – In tal senso, v. il punto 2 della comunicazione sul mercato rilevante.


27 – V. punto 15.


28 – V. comunicazione sul mercato rilevante, punti 16-18.


29 – V. secondo e quinto ‘considerando’ della direttiva 97/55.


30 – V. settimo ‘considerando’ della direttiva 97/55.


31 – Ricordo invece che, in diritto della concorrenza, la concorrenza potenziale, salvo eventualmente quella derivante da una forte sostituibilità dal lato dell'offerta, non viene presa in considerazione ai fini della definizione del mercato rilevante, ma eventualmente in un momento successivo, quale quello della verifica dell'esistenza in tale mercato di una posizione dominante ai sensi dell'art. 82 CE o della valutazione dell'impatto sulla concorrenza di una data operazione di concentrazione: v. comunicazione sul mercato rilevante, punti 14 e 24.


32 – V. comunicazione sul mercato rilevante, punti 20-23.


33 – È quanto si verificherebbe nel caso di specie secondo le constatazioni del giudice di rinvio, che interpreta i messaggi pubblicitari controversi come contenenti un riferimento ad un tipo di prodotto (a seconda dei casi il vino spumante o lo champagne) diverso dal tipo di prodotto (la birra) offerto da De Landtsheer.


34 – Si tenga presente che alcuni dei messaggi pubblicitari su cui verte la causa nazionale figurano sulla confezione del prodotto. L'eventuale commercializzazione del medesimo, con la stessa confezione, anche in altri Stati membri comporterebbe ivi allo stesso tempo anche la diffusione dei suddetti messaggi.


35 – V. il terzo ‘considerando’ della direttiva 97/55.


36 – In questo senso appare calzante l'esempio, fatto dalla Commissione, di due fabbricanti «generalisti» di automobili, che sarebbero in concorrenza, ai sensi dell'art. 2, punto 2 bis), quando le loro gamme di prodotto si sovrappongono almeno in parte. La pubblicità dell'uno che identifichi l'altro sarà perciò, per la Commissione, comparativa, ma sarà illecita, non rispettando la condizione di cui all'art. 3 bis, n. 1, lett. b), laddove metta a confronto la vettura monovolume dell'uno con il coupé sport dell'altro, ovverosia prodotti che non soddisferebbero gli stessi bisogni.


37 – Cit., punti 25-27.


38 – Sentenze Toshiba, cit., punto 37; Pippig, cit., punto 42; 23 febbraio 2006, causa C‑59/05, Siemens (Racc. pag. I-2147, punti 22-24), e Lidl, cit., punti 22 e 32.


39 – Basterà citare, in proposito, le disposizioni nazionali che traspongono quelle della stessa direttiva 84/450 ma relative alla pubblicità ingannevole o, come evidenziato dalla Commissione in udienza, le disposizioni sulla designazione, la denominazione e la presentazione di taluni prodotti e sulla protezione di talune indicazioni, menzioni e termini contenute nel regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1493, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (GU L 179, pag. 1).


40 – GU L 208, pag. 1. Tale regolamento è stato recentemente abrogato e sostituito, a decorrere dal 31 marzo 2006, dal regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 93, pag. 12).