Language of document : ECLI:EU:C:2013:522

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

18 luglio 2013 (*)

«Impugnazione – Intese – Mercato dell’installazione e della manutenzione degli ascensori e delle scale mobili – Responsabilità della società controllante per le infrazioni al diritto delle intese commesse dalla sua controllata – Società holding – Programma di messa in conformità interno all’impresa (“Compliance‑Programme”) – Diritti fondamentali – Principi dello Stato di diritto nell’ambito della determinazione delle ammende inflitte – Separazione dei poteri, principi di legalità, di irretroattività, di tutela del legittimo affidamento e della responsabilità personale – Regolamento (CE) n. 1/2003 – Articolo 23, paragrafo 2 – Validità – Legittimità degli orientamenti della Commissione del 1998»

Nella causa C‑501/11 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 27 settembre 2011,

Schindler Holding Ltd, con sede a Hergiswil (Svizzera),

Schindler Management AG, con sede a Ebikon (Svizzera),

Schindler SA, con sede a Bruxelles (Belgio),

Schindler Sàrl, con sede a Lussemburgo (Lussemburgo),

Schindler Liften BV, con sede a L’Aia (Paesi Bassi),

Schindler Deutschland Holding GmbH, con sede a Berlino (Germania),

rappresentate da R. Bechtold e W. Bosch, Rechtsanwälte, nonché da J. Schwarze, Prozessbevollmächtigter,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione europea, rappresentata da R. Sauer e C. Hödlmayr, in qualità di agenti, assistiti da A. Böhlke, Rechtsanwalt, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da F. Florindo Gijón e M. Simm, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, A. Rosas (relatore), E. Juhász, D. Šváby e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 gennaio 2013,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 aprile 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione la Schindler Holding Ltd (in prosieguo: la «Schindler Holding»), la Schindler Management AG (in prosieguo: la «Schindler Management»), la Schindler SA (in prosieguo: la «Schindler Belgio»), la Schindler Sàrl (in prosieguo: la «Schindler Lussemburgo»), la Schindler Liften BV (in prosieguo: la «Schindler Paesi Bassi») e la Schindler Deutschland Holding GmbH (in prosieguo: la «Schindler Germania») (in prosieguo, congiuntamente: il «gruppo Schindler») chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 13 luglio 2011, Schindler Holding e a./Commissione (T‑138/07, Racc. pag. II‑4819; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto la loro domanda di annullamento della decisione C (2007) 512 def. della Commissione, del 21 febbraio 2007, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo [81 CE] (Caso COMP/E‑1/38.823 – Ascensori e scale mobili; in prosieguo: la «decisione controversa»), di cui è stata pubblicata una sintesi nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (GU 2008, C 75, pag. 19), o, in subordine, di riduzione dell’importo delle ammende loro inflitte.

 Contesto normativo

2        L’articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), che ha sostituito l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), così dispone ai paragrafi da 2 a 4:

«2.      La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 [CE] o dell’articolo 82 [CE]; (...)

(...)

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

(...)

3.      Per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

4.      Qualora sia irrogata un’ammenda a un’associazione di imprese che tenga conto del fatturato dei suoi membri e l’associazione non sia solvibile, l’associazione è tenuta a richiedere ai propri membri contributi a concorrenza dell’importo dell’ammenda.

Se tali contributi non sono stati versati all’associazione entro un termine stabilito dalla Commissione, quest’ultima può esigere il pagamento dell’ammenda direttamente da ciascuna delle imprese i cui rappresentanti erano membri degli organi decisionali interessati dell’associazione.

Una volta richiesto il pagamento ai sensi del secondo comma, se necessario per garantire il totale pagamento dell’ammenda, la Commissione può esigere il pagamento del saldo da parte di ciascuno dei membri dell’associazione presenti sul mercato nel quale si è verificata l’infrazione.

Tuttavia la Commissione non esige il pagamento ai sensi del secondo e del terzo comma dalle imprese che dimostrino che non hanno attuato la decisione dell’associazione che ha costituito un’infrazione e che o non erano al corrente della sua esistenza, o si sono attivamente dissociate da essa anteriormente all’avvio delle indagini da parte della Commissione.

La responsabilità finanziaria di ciascuna impresa per il pagamento dell’ammenda non deve superare il 10% del suo fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente».

3        L’articolo 31 del regolamento n. 1/2003 è formulato nei seguenti termini:

«La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un’ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata».

4        Il preambolo della comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 [CECA]» (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»), applicabile alla data dell’adozione della decisione controversa, così recita:

«I principi indicati negli orientamenti [del 1998] dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà ormai sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».

5        Ai sensi del punto 1 degli orientamenti del 1998, «[tale] importo di base è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17».

6        Per quanto riguarda la gravità, il punto 1, parte A, degli orientamenti del 1998 prevede che per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Le infrazioni sono classificate in tre categorie: infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi.

7        Secondo gli orientamenti del 1998, costituiscono infrazioni molto gravi, in particolare, le restrizioni orizzontali quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati. L’importo di base dell’ammenda applicabile è «oltre i 20 milioni di [euro]».

8        A norma del punto 2 degli orientamenti del 1998, l’importo di base dell’ammenda può essere maggiorato in presenza di circostanze aggravanti quali, in particolare, la recidiva della medesima impresa o delle medesime imprese per un’infrazione del medesimo tipo. Secondo il punto 3 di detti orientamenti, tale importo di base può essere ridotto in caso di circostanze attenuanti particolari, come il ruolo esclusivamente passivo o emulativo di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione, la mancata applicazione di fatto degli accordi illeciti o la collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4).

9        La comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione del 2002»), applicabile ai fatti di causa, definisce le condizioni alle quali le imprese che cooperano con la Commissione nel corso di un’indagine da essa condotta relativa ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro importo.

 Fatti e decisione controversa

10      Il gruppo Schindler è uno dei primi gruppi mondiali fornitori di ascensori e scale mobili. La società controllante è la Schindler Holding, con sede in Svizzera. Il gruppo Schindler esercita le sue attività tramite controllate nazionali. Queste ultime sono, in particolare, la Schindler Belgio, la Schindler Lussemburgo, la Schindler Paesi Bassi e la Schindler Germania.

11      Avendo ricevuto, nel corso dell’estate 2003, informazioni relative alla possibile esistenza di un’intesa tra i principali produttori europei di ascensori e scale mobili che esercitano attività commerciali nell’Unione europea, vale a dire la Kone Belgium SA, la Kone GmbH, la Kone Luxembourg Sàrl, la Kone BV Liften en Roltrappen, la Kone Oyj, l’Otis SA, l’Otis GmbH & Co. OHG, la General Technic‑Otis Sàrl, la General Technic Sàrl, l’Otis BV, l’Otis Elevator Company, l’United Technologies Corporation, il gruppo Schindler, la ThyssenKrupp Liften Ascenseurs NV, la ThyssenKrupp Aufzüge GmbH, la ThyssenKrupp Fahrtreppen GmbH, la ThyssenKrupp Elevator AG, la ThyssenKrupp AG, la ThyssenKrupp Ascenseurs Luxembourg Sàrl e la ThyssenKrupp Liften BV, la Commissione ha effettuato accertamenti nei locali di tali imprese all’inizio del 2004. Sono state presentate da tali imprese richieste di informazioni sulla base della comunicazione del 2002. Tra il mese di settembre ed il mese di dicembre 2004 la Commissione ha inoltre inviato richieste di informazioni alle imprese che avevano partecipato all’infrazione in Belgio, a vari clienti in tale Stato membro e all’associazione belga Agoria.

12      La Commissione nella decisione controversa ha dichiarato che le suddette imprese nonché la Mitsubishi Elevator Europe BV hanno partecipato a quattro infrazioni singole, complesse e continuate all’articolo 81, paragrafo 1, CE in quattro Stati membri, ripartendosi i mercati attraverso accordi o concertazioni per l’attribuzione di appalti e di contratti relativi alla vendita, all’installazione, alla manutenzione e all’ammodernamento di ascensori e scale mobili. Quanto al gruppo Schindler, la data più risalente di inizio di un’infrazione è quella dell’infrazione in Germania, vale a dire il 1° agosto 1995.

13      All’articolo 2 della decisione controversa, il gruppo Schindler è stato condannato nel modo seguente:

«1.      Per le infrazioni in Belgio di cui all’articolo 1, paragrafo 1, sono inflitte le seguenti ammende:

(...)

–      [il gruppo] Schindler: Schindler Holding (...) e [Schindler Belgio], in solido: 69 300 000 EUR; (...)

(...)

2.       Per le infrazioni in Germania di cui all’articolo 1, paragrafo 2, sono inflitte le seguenti ammende:

(...)

–      [il gruppo] Schindler: Schindler Holding (...) e [Schindler Germania], in solido: 21 458 250 EUR; (...)

(...)

3.      Per le infrazioni in Lussemburgo di cui all’articolo 1, paragrafo 3, sono inflitte le seguenti ammende:

(...)

–      [il gruppo] Schindler: Schindler Holding (...) e [Schindler Lussemburgo], in solido: 17 820 000 EUR; (...)

(...)

4.      Per le infrazioni nei Paesi Bassi di cui all’articolo 1, paragrafo 4, sono inflitte le seguenti ammende:

(...)

–      [il gruppo] Schindler: Schindler Holding e [Schindler Paesi Bassi], in solido: 35 169 750 EUR».

 La sentenza impugnata

14      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 4 maggio 2007, le ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della decisione controversa e, in subordine, la riduzione dell’importo delle ammende inflitte.

15      Il Consiglio dell’Unione europea è stato autorizzato a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Secondo la memoria presentata dinanzi al Tribunale, il suo intervento aveva ad oggetto l’eccezione di illegittimità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 sollevata dalle ricorrenti.

16      Con decisione del 4 settembre 2007, comunicata al Tribunale il 30 giugno 2009, la Commissione ha rettificato l’articolo 4 della decisione impugnata in modo che quest’ultima non menzionasse più la Schindler Management come destinataria. Il Tribunale ha dichiarato, ai punti 43 e 44 della sentenza impugnata, che, nella parte in cui il ricorso riguardava tale società, quest’ultimo era divenuto privo di oggetto e non vi era luogo a provvedere.

17      A sostegno del ricorso, le ricorrenti hanno dedotto tredici motivi, così esposti dal Tribunale al punto 45 della sentenza impugnata:

«(...) Il primo motivo verte sulla violazione del principio di legalità delle pene, in ragione del fatto che l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 conferirebbe alla Commissione un potere discrezionale illimitato per il calcolo delle ammende. Il secondo motivo verte sulla violazione del principio di irretroattività nell’applicazione degli orientamenti del 1998 e della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Il terzo motivo verte sulla violazione del principio di legalità delle pene e sulla carenza di competenza della Commissione ad adottare gli orientamenti del 1998. Il quarto motivo verte sull’illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, per violazione dei principi nemo tenetur se ipsum accusare, nemo tenetur se ipsum prodere (...), in dubio pro reo e di proporzionalità. Il quinto motivo verte sulla violazione del principio della separazione dei poteri e del diritto ad un procedimento fondato sul rispetto dei principi dello Stato di diritto. Il sesto motivo verte sulla natura confiscatoria delle ammende inflitte alle ricorrenti. Il settimo e l’ottavo motivo vertono sulla violazione degli orientamenti del 1998 nella fissazione dell’importo di partenza delle ammende e nella valutazione delle circostanze attenuanti. Il nono motivo verte sulla violazione degli orientamenti del 1998 e della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende per le infrazioni in Belgio, in Germania e in Lussemburgo. Il decimo motivo verte sul carattere sproporzionato dell’importo delle ammende. L’undicesimo motivo verte sulla mancanza di valida notifica della decisione [controversa] a Schindler Holding. Il dodicesimo motivo verte sull’inesistenza della responsabilità di Schindler Holding. Infine, il tredicesimo motivo verte sulla violazione dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003».

18      Il Tribunale, ai punti 47 e 48 della sentenza impugnata, ha modificato l’ordine dei motivi nel modo seguente:

«47      A tal proposito, si deve osservare che varie censure delle ricorrenti riguardano la legittimità della decisione [controversa] nel suo complesso e verranno quindi esaminate per prime. Ciò vale per la censura delle ricorrenti formulata nell’ambito del loro quinto motivo, vertente, in sostanza, su una violazione dell’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”). Tra le censure concernenti la legittimità della decisione [controversa] nel suo complesso rientrano anche quelle sollevate nell’ambito dell’undicesimo e del dodicesimo motivo, vertenti rispettivamente sull’illegittimità della decisione [controversa] nella parte in cui riguarda Schindler Holding per la mancanza di una valida notifica e sull’illegittimità della decisione [controversa] nella parte in cui vi si afferma la responsabilità in solido di Schindler Holding.

48      Verranno poi esaminate le censure relative alla legittimità dell’art. 2 della decisione [controversa], sollevate nell’ambito degli altri motivi di ricorso. A tal proposito, il Tribunale ritiene opportuno esaminare le censure delle ricorrenti nel modo seguente. Anzitutto, saranno analizzati il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo, nell’ambito dei quali le ricorrenti sollevano varie eccezioni di illegittimità relative all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, agli orientamenti del 1998 e alla comunicazione sulla cooperazione del 2002. Il Tribunale esaminerà poi il sesto motivo, secondo cui la decisione [controversa] avrebbe natura confiscatoria. Infine, il Tribunale esaminerà il settimo, l’ottavo, il nono, il decimo e il tredicesimo motivo, nell’ambito dei quali le ricorrenti hanno invocato varie censure relative alla determinazione dell’importo delle loro ammende».

19      Il Tribunale ha respinto questi motivi ed il ricorso nella sua interezza.

 Conclusioni delle parti

20      Le ricorrenti chiedono, in sostanza, di annullare la sentenza impugnata, di annullare la decisione controversa, in subordine, di annullare o ridurre le ammende, in ulteriore subordine, di rinviare la causa dinanzi al Tribunale e, infine, di condannare la Commissione alle spese.

21      La Commissione chiede il rigetto dell’impugnazione e la condanna delle ricorrenti alle spese.

22      Il Consiglio chiede il rigetto dell’impugnazione per quanto riguarda l’eccezione di illegittimità relativa al regolamento n. 1/2003 e chiede alla Corte di statuire in maniera appropriata sulle spese.

 Sull’impugnazione

23      A sostegno delle loro conclusioni le ricorrenti deducono tredici motivi.

 Sul primo motivo, vertente su una violazione del principio della ripartizione dei poteri e dei requisiti di un procedimento basato sul rispetto dei principi di uno Stato di diritto

 Argomenti delle parti

24      Con il primo motivo, le ricorrenti censurano la risposta del Tribunale al motivo vertente sulla violazione dell’articolo 6 della CEDU, con il quale sostenevano che il procedimento della Commissione viola il principio della ripartizione dei poteri e non rispetta i principi dello Stato di diritto applicabili ai procedimenti penali ai sensi di tale disposizione. Esse contestano, in particolare, il punto 53 della sentenza impugnata, nel quale il Tribunale ha dichiarato che le decisioni della Commissione che infliggono ammende per violazione del diritto della concorrenza non hanno natura penale. Esse ritengono che l’argomentazione del Tribunale non tenga conto dell’importanza delle ammende inflitte né dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha radicalmente modificato la situazione.

25      Le ricorrenti richiamano i criteri della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Engel e altri c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976 (serie A n. 22, § 80 e ss.) e sostengono che erroneamente il Tribunale ha ritenuto applicabile ai procedimenti in materia di diritto delle intese la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Jussila c. Finlandia del 23 novembre 2006 (Recueil des arrêts et décisions 2006‑XIV, § 31), secondo la quale, per talune categorie di infrazioni che non fanno parte del nucleo centrale del diritto penale, non è necessario che la decisione sia adottata da un tribunale sempreché sia previsto un controllo completo della legittimità della decisione. Secondo le ricorrenti, simili procedimenti fanno parte del «nucleo centrale del diritto penale» ai sensi di tale sentenza. Esse citano a tale riguardo la sentenza del Tribunale del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione (T‑141/08, Racc. pag. II‑5761), ed il punto 160 della sentenza impugnata.

26      Le ricorrenti fanno peraltro valere che la giurisprudenza citata dal Tribunale, in particolare le sentenze del 29 ottobre 1980, van Landewyck e a./Commissione (da 209/78 a 215/78 e 218/78, Racc. pag. 3125, punto 81), nonché del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punto 7), secondo le quali la Commissione non è qualificabile come tribunale ai sensi dell’articolo 6 della CEDU, è obsoleta a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e dell’applicabilità diretta della CEDU. Ad avviso delle ricorrenti, la sanzione avrebbe dovuto essere inflitta da un tribunale e non da un’autorità amministrativa come la Commissione. Esse sostengono in proposito che, considerata la rilevanza delle sanzioni, non può applicarsi al caso di specie la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo derivante dalle sentenze Öztürk c. Germania del 21 febbraio 1984 (serie A n. 73) e Bendenoun c. Francia del 24 febbraio 1994 (serie A n. 284), secondo cui, in particolare nell’ipotesi di un elevato numero di infrazioni – ipotesi che, secondo le ricorrenti, costituisce una «delinquenza di massa» – o in quella in cui debbano essere perseguite infrazioni lievi, una sanzione può essere inflitta da un’autorità amministrativa, purché possa essere garantito un pieno controllo giurisdizionale.

27      La Commissione e il Consiglio sostengono che il controllo esercitato dal giudice dell’Unione sulle decisioni della Commissione garantisce che siano soddisfatti i requisiti di un processo equo, quale previsto dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

28      Nella loro memoria di replica, le ricorrenti asseriscono che i principi della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo A. Menarini Diagnostics c. Italia del 27 settembre 2011 (ricorso n. 43509/08), citata dalla Commissione nel suo controricorso, non possono essere trasposti al caso di specie, dato che, diversamente dall’autorità italiana garante della concorrenza di cui si discuteva in tale sentenza, la Commissione non è un’autorità amministrativa indipendente. Peraltro, il Tribunale non avrebbe svolto l’esame illimitato dei fatti richiesto dall’articolo 6 della CEDU.

29      Nella sua controreplica, la Commissione afferma che il Tribunale non è tenuto a compiere d’ufficio un esame dei fatti, ma spetta ai ricorrenti sollevare motivi e fornire elementi di prova (sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, Racc. pag. I‑13085, punto 62, nonché Corte eur. D.U., sentenza A. Menarini Diagnostics c. Italia, cit., § 63).

 Giudizio della Corte

30      Occorre rilevare che il primo motivo si basa sull’errata premessa secondo cui l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avrebbe modificato le norme giuridiche applicabili alla fattispecie, con la conseguenza che la decisione controversa sarebbe contraria all’articolo 6 della CEDU, in quanto sarebbe stata adottata dalla Commissione e non da un organo giurisdizionale.

31      La decisione controversa è stata adottata il 21 febbraio 2007, ossia prima dell’adozione del Trattato di Lisbona, il 13 dicembre 2007, e, a maggior ragione, prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo, il 1° dicembre 2009. Orbene, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso di annullamento, la legittimità dell’atto impugnato dev’essere valutata in base agli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato (v. sentenze del 7 febbraio 1979, Francia/Commissione, 15/76 e 16/76, Racc. pag. 321, punto 7; del 17 maggio 2001, IECC/Commissione, C‑449/98 P, Racc. pag. I‑3875, punto 87, nonché del 28 luglio 2011, Agrana Zucker, C‑309/10, Racc. pag. I‑7333, punto 31).

32      Inoltre, anche se, come confermato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati e corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta Convenzione, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione (v. sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, punto 62, e del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, punto 44).

33      In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la circostanza che le decisioni con cui vengono inflitte ammende in materia di concorrenza siano adottate dalla Commissione non è di per sé contraria all’articolo 6 della CEDU come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si deve in proposito rilevare che, nella citata sentenza A. Menarini Diagnostics c. Italia, relativa a una sanzione inflitta dall’autorità italiana garante della concorrenza a causa di pratiche anticoncorrenziali analoghe a quelle addebitate alle ricorrenti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che, considerato l’elevato importo dell’ammenda inflitta, la sanzione ricadesse, per la sua severità, nella materia penale.

34      Essa ha tuttavia ricordato, al punto 58 di tale sentenza, che conferire alle autorità amministrative il compito di perseguire e punire le contravvenzioni alle norme di concorrenza non è incompatibile con la CEDU, purché l’interessato possa impugnare ogni decisione così adottata nei suoi confronti davanti ad un tribunale che offra le garanzie di cui all’articolo 6 della CEDU.

35      Al punto 59 della citata sentenza A. Menarini Diagnostics c. Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che la conformità con l’articolo 6 della CEDU non esclude che in un procedimento di natura amministrativa una «pena» sia anzitutto inflitta da un’autorità amministrativa. Si presuppone però che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi, di per sé, le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU debba subire il controllo a posteriori di un organo giudiziario avente giurisdizione piena. Tra le caratteristiche di un simile organo vi è il potere di riformare in ogni modo, in fatto come in diritto, la decisione adottata, resa da un organo di grado inferiore. L’organo giudiziario deve in particolare essere competente a giudicare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti per la controversia per cui viene adito.

36      Orbene, pronunciandosi sul principio della tutela giurisdizionale effettiva, principio generale del diritto dell’Unione oggi sancito all’articolo 47 della Carta e corrispondente, nel diritto dell’Unione, all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, la Corte ha dichiarato che, oltre al controllo di legittimità previsto dal Trattato FUE, il giudice dell’Unione dispone di una competenza estesa al merito conferitagli dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE, che lo autorizza a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 63).

37      Quanto al controllo di legittimità, la Corte ha ricordato che il giudice dell’Unione deve effettuarlo sulla base degli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno dei motivi dedotti, e non può far leva sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione – né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti del 1998 né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi – al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto (sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 62).

38      Poiché il controllo previsto dai trattati implica che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto e che disponga del potere di valutare le prove, di annullare la decisione impugnata e di modificare l’importo delle ammende, la Corte ha concluso che non risulta, quindi, che il controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito quanto all’importo dell’ammenda, prevista all’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, sia contrario ai dettami del principio della tutela giurisdizionale effettiva attualmente sancito dall’articolo 47 della Carta (sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 67).

39      Da tali elementi risulta che il primo motivo è infondato.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione del carattere diretto delle misure istruttorie

 Argomenti delle parti

40      Con il secondo motivo, le ricorrenti si richiamano al quarto motivo dedotto a sostegno del loro ricorso di primo grado. A loro avviso, il «carattere diretto» delle misure istruttorie esige che il Tribunale si faccia un’impressione diretta a partire dalle persone che rendono dichiarazioni o forniscono altri elementi di prova. I testimoni dovrebbero essere sentiti sotto giuramento dinanzi a un tribunale, in pubblica udienza, e poter essere interrogati dalle imprese incolpate.

41      L’indagine materiale della Commissione e il controllo del Tribunale non sarebbero conformi a tali requisiti, perché si baserebbero unicamente sull’esposizione scritta dei fatti da parte delle imprese che hanno cooperato con la Commissione. Orbene, in caso di dichiarazioni rese nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002, sussisterebbe un rischio significativo che le imprese cooperanti falsino o esagerino i fatti.

42      La Commissione sostiene che il secondo motivo è irricevibile.

 Giudizio della Corte

43      Come risulta dagli articoli 256 TFUE, 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e 112, paragrafo 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte, nella versione applicabile alla data di presentazione dell’impugnazione in esame, un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda (v., in particolare, sentenze del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione, C‑352/98 P, Racc. pag. I‑5291, punto 34, nonché dell’8 gennaio 2002, Francia/Monsanto e Commissione, C‑248/99 P, Racc. pag. I‑1, punto 68).

44      Orbene, come sottolineato dalla Commissione nel suo controricorso, il secondo motivo è formulato in maniera astratta e non indica i punti contestati della sentenza impugnata. Il solo elemento identificativo è il riferimento al quarto motivo del ricorso di primo grado, che verteva sull’illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per violazione dei principi nemo tenetur se ipsum accusare, nemo tenetur se ipsum prodere, in dubio pro reo e di proporzionalità. Ebbene, tale motivo appare privo di attinenza con il secondo motivo di impugnazione.

45      Da tali elementi risulta che il secondo motivo è troppo oscuro per ricevere risposta e dev’essere dichiarato irricevibile.

46      In ogni caso, nella parte in cui le ricorrenti censurano la mancata audizione di testimoni dinanzi al Tribunale, è sufficiente ricordare che, in un ricorso avverso una decisione della Commissione in materia di concorrenza, spetta in linea di principio al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi (v. sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 64). Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, le ricorrenti non hanno contestato i fatti esposti nella comunicazione negli addebiti, né hanno chiesto al Tribunale di procedere all’audizione di testimoni.

47      Di conseguenza, il secondo motivo è irricevibile.

 Sul terzo motivo, vertente sull’invalidità dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 per violazione del principio di legalità

 Argomenti delle parti

48      Con il terzo motivo, le ricorrenti richiamano il primo motivo dedotto a sostegno del ricorso di primo grado e riguardante l’incompatibilità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 con il principio dello Stato di diritto e di precisione della legge applicabile (nulla poena sine lege certa) quale risulta dall’articolo 7 della CEDU e dall’articolo 49 della Carta.

49      Esse sostengono che è compito del legislatore stabilire esso stesso gli elementi essenziali delle materie che devono essere disciplinate. A seguito del Trattato di Lisbona, tale principio sarebbe espressamente enunciato all’articolo 290, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TFUE, secondo cui «[g]li elementi essenziali di un settore sono riservati all’atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere».

50      Le ricorrenti sostengono che la violazione del principio di legalità deriva dall’indeterminatezza della nozione di «impresa» utilizzata all’articolo 23 del regolamento n. 1/2003. La Commissione e i giudici dell’Unione amplierebbero eccessivamente la portata di tale nozione attraverso il concetto di entità economica, completamente avulso dalla nozione di persona giuridica che ha certamente ispirato il legislatore dell’Unione. Secondo le ricorrenti, l’uso della nozione di «impresa» lede i diritti della società controllante solidalmente responsabile in mancanza di qualunque riferimento concreto e dettagliato in una legge formale.

51      La violazione del principio di legalità deriverebbe inoltre dall’indeterminatezza delle sanzioni inflitte in caso di violazioni delle norme di concorrenza. Secondo le ricorrenti, la gravità e la durata dell’infrazione non costituiscono criteri sufficientemente precisi. Gli orientamenti del 1998 e la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non costituirebbero un rimedio, dato che non sono vincolanti, come la Corte avrebbe dichiarato nella sentenza del 14 giugno 2011, Pfleiderer (C‑360/09, Racc. pag. I‑5161, punto 23). Quanto alla soglia del 10% del fatturato, che l’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 indica come limite massimo dell’ammenda, essa sarebbe variabile e dipenderebbe in particolare dalla prassi decisionale della Commissione e dalle società cui l’infrazione è imputata, sarebbe legata all’impresa e non alla condotta e non costituirebbe un «limite massimo calcolabile e assoluto», come erroneamente affermato dal Tribunale al punto 102 della sentenza impugnata. Infine, neppure la competenza estesa al merito sarebbe idonea a ovviare all’assenza di precisione della legge, senza contare il fatto che tale competenza esiste solo in teoria e non è generalmente esercitata dal Tribunale.

52      La Commissione e il Consiglio sostengono che l’articolo 290 TFUE non è pertinente per valutare la legittimità dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003. Per quanto riguarda la mancanza di precisione del termine «impresa» utilizzato all’articolo 23 di tale regolamento, il Consiglio fa valere che si tratta di un argomento nuovo e, dunque, irricevibile. Inoltre, la Commissione e il Consiglio osservano che la suddetta nozione di «impresa» è stata precisata dalla giurisprudenza dei giudici dell’Unione, il che sarebbe conforme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. A loro giudizio, l’argomento riguardante l’asserita indeterminatezza della sanzione deve essere respinto anche alla luce della giurisprudenza relativa all’articolo 15 del regolamento n. 17 e all’articolo 23 del regolamento n. 1/2003.

 Giudizio della Corte

53      Con il terzo motivo, le ricorrenti censurano la risposta fornita dal Tribunale al primo motivo del ricorso di primo grado, senza tuttavia precisare quali siano i punti della sentenza impugnata contestati. Poiché questo motivo del ricorso è stato affrontato dal Tribunale ai punti da 93 a 116 della sentenza impugnata, occorre fare riferimento a tale parte della medesima.

54      Orbene, dall’esame tanto della sentenza impugnata quanto del ricorso di primo grado emerge che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 139 delle sue conclusioni, l’argomento vertente sull’indeterminatezza della nozione di «impresa» alla luce del principio di legalità non è stato sollevato dalle ricorrenti dinanzi al Tribunale, né è stato esaminato da quest’ultimo.

55      Ne consegue che tale argomento dev’essere dichiarato irricevibile, dato che, nell’ambito di un’impugnazione, la competenza della Corte è in linea di principio limitata alla valutazione della soluzione di diritto che è stata fornita ai motivi discussi dinanzi al giudice di merito (sentenza del 13 marzo 2012, Melli Bank/Consiglio, C‑380/09 P, punto 92).

56      Quanto all’argomento relativo all’indeterminatezza del livello delle ammende alla luce del principio di legalità, occorre ricordare che, come si è poc’anzi illustrato al punto 31 della presente sentenza, le disposizioni del Trattato di Lisbona non sono pertinenti per la valutazione di un motivo relativo a una decisione in materia di concorrenza adottata ancor prima della firma di tale Trattato. Di conseguenza, l’argomento vertente su una violazione dell’articolo 290 TFUE è inconferente.

57      Il Tribunale al punto 96 della sentenza impugnata, senza commettere errori di diritto, ha ricordato che il principio di legalità postula che la legge definisca chiaramente gli illeciti e le pene che li reprimono (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, Racc. pag. I‑5361, punto 94). Al punto 99 di tale sentenza, ancora una volta senza commettere errori di diritto, esso ha ricordato i criteri di valutazione della chiarezza della legge secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, vale a dire che la chiarezza della legge si valuta con riguardo non solo al tenore della disposizione rilevante, ma anche alle precisazioni apportate da una giurisprudenza costante e pubblicata (v., in tal senso, Corte eur. D.U., sentenza G. c. Francia del 27 settembre 1995, serie A n. 325‑B, § 25), e che il fatto che una legge conferisca un potere discrezionale non è di per sé incompatibile con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un potere siffatto vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire all’individuo una protezione adeguata contro l’arbitrio (Corte eur. D.U., sentenza Margareta e Roger Andersson c. Svezia del 25 febbraio 1992, serie A n. 226, § 75).

58      Secondo la giurisprudenza della Corte, se è vero che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 lascia alla Commissione un potere discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio stabilendo criteri oggettivi ai quali detta istituzione deve attenersi. Così, da un lato, l’importo dell’ammenda applicabile ad un’impresa è soggetto ad un limite massimo calcolabile e assoluto, sicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a una data impresa è determinabile anticipatamente. Dall’altro, l’esercizio di tale potere discrezionale è altresì limitato dalle regole di condotta che la Commissione si è essa stessa imposta nella comunicazione sulla cooperazione del 2002 e negli orientamenti del 1998. Inoltre, la prassi amministrativa nota e accessibile della Commissione è sottoposta al pieno sindacato del giudice dell’Unione, la cui giurisprudenza costante ha consentito di precisare le nozioni che il citato articolo 23, paragrafo 2, poteva contenere. Un operatore accorto può quindi, avvalendosi se del caso dei servizi di un consulente legale, prevedere in maniera sufficientemente precisa il metodo di calcolo e l’ordine di grandezza delle ammende in cui può incorrere per un comportamento determinato, e la circostanza che tale operatore non possa conoscere con precisione in anticipo il livello delle ammende che la Commissione infliggerà in ogni fattispecie non può costituire una violazione del principio di legalità delle pene (v. altresì, in tal senso, sentenza del 22 maggio 2008, Evonik Degussa/Commissione, C‑266/06 P, punti da 50 a 55).

59      Alla luce di tali elementi, occorre constatare che il Tribunale non ha commesso errori di diritto nell’esaminare il potere discrezionale della Commissione alla luce, in particolare, dei criteri oggettivi, dei principi generali del diritto e degli orientamenti del 1998 ai quali la Commissione deve attenersi e nel concludere, al punto 116 della sentenza impugnata, che l’eccezione di illegittimità sollevata nei confronti dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, vertente su una violazione del principio di legalità delle pene, doveva essere respinta.

60      Ne consegue che il terzo motivo è in parte irricevibile e in parte infondato.

 Sul quarto motivo, vertente sull’invalidità degli orientamenti del 1998 a causa della carenza di competenza della Commissione in quanto organo legislativo

 Argomenti delle parti

61      Con il quarto motivo, le ricorrenti contestano la valutazione del Tribunale secondo cui gli orientamenti del 1998 hanno «soltanto contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione». Esse affermano che tali orientamenti, che, nella prassi, sono determinanti per la fissazione delle ammende, dovevano essere adottati dal Consiglio nella sua qualità di legislatore. Esse fanno riferimento, a questo riguardo, all’articolo 290, paragrafo 1, TFUE, relativo alla delega di potere alla Commissione con atto legislativo.

62      Le ricorrenti contestano altresì il punto 136 della sentenza impugnata e, in particolare, l’argomento del Tribunale secondo cui, alla luce della finalità dissuasiva delle ammende, giustamente il loro metodo di calcolo e il loro ordine di grandezza sono stati rimessi alla valutazione della Commissione. Così pronunciandosi, il Tribunale sacrificherebbe la conformità di una sanzione allo Stato di diritto in nome degli obiettivi di repressione e di dissuasione.

63      La Commissione asserisce che gli orientamenti del 1998 non costituiscono la base giuridica delle ammende inflitte, ma si limitano a precisare l’applicazione, da parte della Commissione, dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e a garantire una prassi amministrativa uniforme. Si tratterebbe dunque di mere disposizioni amministrative della Commissione che, in linea di principio, non vincolano i giudici dell’Unione (sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 62). Questo è quanto il Tribunale avrebbe indicato al punto 133 della sentenza impugnata.

64      Gli orientamenti del 1998 non costituirebbero una legislazione delegata. In ogni caso, l’articolo 290, paragrafo 1, TFUE, introdotto dopo l’adozione della decisione controversa, si limiterebbe a stabilire il modo in cui la delega di potere deve presentarsi in un settore particolare, non pertinente nella fattispecie, e non individuerebbe le ipotesi in cui un atto richiede una delega. Peraltro, dato che la disciplina di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 non viola il principio di precisione, la censura sarebbe ancor meno fondata con riferimento a una mancanza di precisione degli orientamenti del 1998.

 Giudizio della Corte

65      Ancora una volta si deve ricordare che, come precisato al punto 31 della presente sentenza, le disposizioni del Trattato di Lisbona non sono pertinenti per la valutazione di un motivo relativo a una decisione in materia di concorrenza adottata ancor prima della firma di tale Trattato.

66      In ogni caso, gli orientamenti del 1998 non costituiscono né una legislazione né una legislazione delegata ai sensi dell’articolo 290, paragrafo 1, TFUE, e neppure la base giuridica delle ammende inflitte in materia di concorrenza, che sono adottate sul solo fondamento dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003.

67      Gli orientamenti del 1998 enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni compatibili con il principio della parità di trattamento (v. sentenza del 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, C‑397/03 P, Racc. pag. I‑4429, punto 91), e si limitano a descrivere il metodo di esame dell’infrazione seguito dalla Commissione e i criteri che quest’ultima si obbliga a prendere in considerazione nel determinare l’importo dell’ammenda (v. sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 60).

68      Orbene, nessuna disposizione dei trattati vieta a un’istituzione di adottare una simile regola di condotta indicativa.

69      Ne consegue che la Commissione era competente ad adottare gli orientamenti del 1998, ragion per cui il quarto motivo è infondato.

 Sul quinto motivo, vertente su una violazione dei principi di irretroattività e di tutela del legittimo affidamento

 Argomenti delle parti

70      Con il quinto motivo, le ricorrenti censurano i punti da 117 a 130 della sentenza impugnata. Esse sostengono che gli orientamenti del 1998, quand’anche validi, non possono trovare applicazione a causa di una violazione del principio di irretroattività.

71      La giurisprudenza citata dal Tribunale al punto 125 della sentenza impugnata, secondo cui la Commissione non può essere privata della possibilità di aumentare l’entità delle ammende se ciò è necessario per l’efficace applicazione delle norme della concorrenza, e quella menzionata al punto 126 di tale sentenza, giusta la quale le imprese non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né nel metodo di calcolo di queste ultime, sarebbero incompatibili con l’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, che vieta un inasprimento retroattivo delle sanzioni che non sia sufficientemente prevedibile.

72      Secondo le ricorrenti, erroneamente il Tribunale ha dichiarato che il fatto che la sanzione non possa superare il 10% del fatturato costituisce una limitazione essenziale del potere discrezionale. Peraltro, il Tribunale non avrebbe potuto, da un lato, invocare la circostanza che gli orientamenti del 1998 hanno aumentato la prevedibilità della sanzione e, dall’altro, autorizzare la Commissione a modificarli retroattivamente a scapito delle imprese interessate.

73      Le ricorrenti fanno infine valere che, poiché gli orientamenti del 1998 non sono una «legge» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, il divieto di retroattività deve a maggior ragione applicarsi alla prassi amministrativa della Commissione.

74      La Commissione sostiene che il Tribunale si è conformato alla giurisprudenza della Corte (sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punto 231) laddove ha concluso, ai punti 123 e 125 della sentenza impugnata, che non vi era violazione dei principi di irretroattività e di tutela del legittimo affidamento.

 Giudizio della Corte

75      Come indicato dall’avvocato generale ai paragrafi 169 e 170 delle sue conclusioni, il Tribunale non ha commesso errori di diritto nel richiamare e applicare, ai punti da 118 a 129 della sentenza impugnata, la costante giurisprudenza dei giudici dell’Unione secondo cui né gli orientamenti del 1998 né la prassi della Commissione in tema di entità delle ammende inflitte in materia di concorrenza violano il principio di irretroattività o il principio di tutela del legittimo affidamento (v. citate sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, punti 217, 218 e da 227 a 231; Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 25, nonché dell’8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, C‑3/06 P, Racc. pag. I‑1331, punti da 87 a 92).

76      Ne consegue che il quinto motivo è infondato.

 Sul sesto motivo, vertente su una violazione del principio della presunzione d’innocenza

 Argomenti delle parti

77      Con il sesto motivo, le ricorrenti fanno riferimento al dodicesimo motivo del ricorso di primo grado. Esse ritengono che la Commissione non rispetti i principi elementari in materia di imputazione delle infrazioni, ma consideri che la responsabilità di una società sorga dal momento in cui un qualsiasi collaboratore di una delle sue controllate si sia comportato in maniera contraria al diritto delle intese nell’ambito del suo rapporto lavorativo.

78      Un simile modus operandi sarebbe contrario all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, che presuppone che l’impresa abbia agito «intenzionalmente o per negligenza», nonché al principio della presunzione d’innocenza previsto all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta e all’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU.

79      Secondo le ricorrenti, per stabilire i criteri di imputazione ad una persona giuridica dei comportamenti dei suoi rappresentanti legali o di altri collaboratori è necessaria una disposizione di legge. A seconda dei casi, l’imputazione delle infrazioni potrebbe richiedere una violazione del dovere di vigilanza. Tuttavia, il Tribunale avrebbe dichiarato, al punto 88 della sentenza impugnata, che la Schindler Holding ha fatto tutto il possibile per impedire comportamenti delle sue controllate contrari all’articolo 81 CE.

80      La Commissione sostiene che le ricorrenti espongono un motivo che non avevano dedotto nel loro ricorso dinanzi al Tribunale e che, pertanto, dev’essere dichiarato irricevibile. In ogni caso, l’argomento si baserebbe sull’errata premessa secondo cui, nei confronti della società controllante, non sarebbe stata accertata alcuna infrazione.

 Giudizio della Corte

81      Occorre rilevare che le ricorrenti fanno riferimento al dodicesimo motivo del ricorso di primo grado, senza, tuttavia, precisare i punti della sentenza impugnata da loro censurati, sebbene da costante giurisprudenza – richiamata al punto 43 della presente sentenza – emerga che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda.

82      In ogni caso, facendo riferimento all’ordine di esame dei motivi esposto dal Tribunale ai punti 47 e 48 della sentenza impugnata, si può supporre che la parte di tale sentenza oggetto del sesto motivo sia costituita dai punti da 63 a 92 di detta sentenza, nei quali il Tribunale ha esaminato il motivo attinente all’illegittimità della decisione controversa nella parte in cui vi si afferma la responsabilità in solido della Schindler Holding. Orbene, tali punti affrontano non la questione dell’imputazione, a una persona giuridica, del comportamento dei suoi rappresentanti legali o dei suoi collaboratori, bensì quella dell’imputazione, a una società controllante, del comportamento delle sue controllate.

83      Se l’intenzione delle ricorrenti è di rimettere in discussione l’imputazione a una persona giuridica del comportamento dei suoi rappresentanti legali o dei suoi collaboratori, si tratta di un motivo nuovo, irricevibile nell’ambito di un’impugnazione. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 55 della presente sentenza, nel contesto di un’impugnazione la competenza della Corte è, in linea di principio, limitata alla valutazione della soluzione di diritto che è stata fornita ai motivi discussi dinanzi al giudice di merito.

84      Da tali elementi risulta che il sesto motivo non precisa adeguatamente i punti censurati della sentenza impugnata, è troppo oscuro per ricevere risposta e, in ogni caso, è nuovo. Di conseguenza, è irricevibile.

 Sul settimo motivo, vertente su un errore di diritto nel riconoscimento della responsabilità solidale della Schindler Holding

 Argomenti delle parti

85      Con il settimo motivo, le ricorrenti contestano i punti da 63 a 92 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto il dodicesimo motivo del ricorso di primo grado con cui le ricorrenti sostenevano l’insussistenza dei presupposti della responsabilità solidale della Schindler Holding per le infrazioni commesse dalle sue controllate.

86      Esse fanno valere che la giurisprudenza della Corte e del Tribunale che ammette la responsabilità solidale della società controllante per le infrazioni commesse dalle sue controllate viola le normative nazionali delle società che, in linea di principio, non ammettono un’estensione della responsabilità di persone giuridiche giuridicamente distinte e rispettano il principio della limitazione della responsabilità degli azionisti e dei soci per i debiti della loro società. In particolare, gli ordinamenti giuridici degli Stati membri non contemplerebbero la responsabilità della società controllante esclusivamente sulla base della presunta influenza esercitata dalla direzione commerciale della medesima sulle sue controllate.

87      Il principio della limitazione della responsabilità troverebbe riconoscimento anche nel diritto derivato dell’Unione. Le ricorrenti citano, a tale riguardo, l’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, relativo allo statuto della Società europea (SE) (GU L 294, pag. 1), a termini del quale «[l]a SE è una società il cui capitale è diviso in azioni. Ciascun azionista risponde soltanto nei limiti del capitale sottoscritto». Esse richiamano altresì l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della Società privata europea (SPE) [COM (2008) 396 def.], secondo cui «un azionista risponde soltanto nei limiti del capitale che ha sottoscritto o ha accettato di sottoscrivere», nonché la dodicesima direttiva 89/667/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, in materia di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (GU L 395, pag. 40).

88      Secondo le ricorrenti, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), TFUE conferisce all’Unione competenza legislativa solamente per quanto riguarda la definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno. Le regole di imputazione nell’ambito della relazione tra la società controllante e la sua controllata sarebbero tuttora di competenza degli Stati membri. Le ricorrenti citano in proposito il paragrafo 57 delle conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak presentate nell’ambito della causa sfociata nella sentenza del 21 ottobre 2010, Idryma Typou (C‑81/09, Racc. pag. I‑10161), nonché la sentenza del 16 dicembre 1997, Rabobank (C‑104/96, Racc. pag. I‑7211, punti da 22 a 28).

89      Le ricorrenti contestano quindi il fatto che la responsabilità solidale della società controllante per le infrazioni commesse dalle sue controllate sia stata sviluppata dalla prassi decisionale, e non da un intervento del legislatore, richiesto dall’articolo 290, paragrafo 1, TFUE – come è avvenuto nel caso dell’articolo 23, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, che prevede la responsabilità in solido dei membri di un’associazione di imprese per l’ammenda inflitta a quest’ultima qualora tale associazione non sia solvibile.

90      In subordine, le ricorrenti contestano la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, Racc. pag. I‑8237), come intesa dal Tribunale, che conduce a una responsabilità oggettiva della società controllante. Secondo le ricorrenti, la società controllante deve essere chiamata a rispondere di un proprio comportamento colpevole, che potrebbe risultare dalla sua partecipazione personale a un’infrazione o da una violazione di determinati obblighi organizzativi esistenti all’interno del gruppo. La Schindler Holding non avrebbe tenuto un simile comportamento colpevole, in quanto avrebbe fatto tutto il possibile per evitare comportamenti contrari al diritto delle intese delle sue controllate, istituendo e sviluppando un programma di messa in conformità che sarebbe un modello del genere.

91      In via ulteriormente subordinata, le ricorrenti sostengono che, anche applicando allo stesso modo del Tribunale i principi di responsabilità come fissati nella citata sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, occorre nondimeno negare la responsabilità della Schindler Holding, dato che le sue quattro controllate operavano in maniera autonoma nel loro rispettivo Stato membro e che la Schindler Holding non esercitava influenza sulle loro attività correnti. Le ricorrenti contestano il punto 86 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha ritenuto che le prove da esse fornite fossero insufficienti, senza tuttavia aver offerto loro la possibilità di presentare altre prove nel corso del procedimento giudiziario. Secondo le ricorrenti, il ricorso di primo grado conteneva elementi a sufficienza e spettava alla Commissione fornire la prova contraria.

92      Le ricorrenti contestano altresì l’ampia interpretazione della nozione di «politica commerciale» adottata dal Tribunale al punto 86 della sentenza impugnata. Secondo la giurisprudenza della Corte, occorrerebbe fornire la prova di un comportamento autonomo e non di una politica commerciale in senso lato.

93      Le ricorrenti contestano infine la valutazione, che ritengono paradossale, del Tribunale, il quale, al punto 88 della sentenza impugnata, deduce l’esercizio di un controllo della Schindler Holding sulle sue controllate dalla circostanza che era stato istituito un importante programma di messa in conformità a livello del gruppo e che il suo rispetto era appurato tramite verifiche periodiche e altre misure.

94      La Commissione sostiene che la prima parte del settimo motivo è irricevibile in quanto le ricorrenti non censurano la sentenza impugnata ed espongono un nuovo motivo, vertente sul difetto di competenza dell’Unione.

95      In ogni caso, tale argomentazione farebbe prevalere una nozione di impresa propria del diritto societario sulla nozione di impresa economica e funzionale vigente nel diritto della concorrenza dell’Unione e sarebbe infondata. Al contrario di quanto sostenuto dalle ricorrenti, non si tratterebbe di un regime di responsabilità per fatto altrui né di una responsabilità a titolo di regresso dei soci di persone giuridiche, ma di un regime di responsabilità derivante dal fatto che le società interessate costituiscono una sola impresa ai sensi dell’articolo 81 CE (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09, Racc. pag. I‑8947, punto 88). Questo regime si distinguerebbe quindi da quello previsto all’articolo 23, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, che riguarda varie imprese.

96      Quanto alla presunzione secondo cui la società controllante esercita un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata, la Commissione sostiene che essa si basa, come ogni principio di prova, su una relazione di causalità tipica, confermata dall’esperienza. Il fatto che sia difficile fornire la prova contraria necessaria per rovesciare una presunzione non implicherebbe, di per sé, che quest’ultima sia di fatto assoluta. Il ricorso a tale presunzione non determinerebbe neppure, nel caso di specie, un ribaltamento dell’onere della prova incompatibile con il principio della presunzione d’innocenza. Si tratterebbe di una regola probatoria e non di una regola sull’imputazione degli illeciti. Dalla giurisprudenza della Corte e della Corte europea dei diritti dell’uomo emergerebbe, peraltro, che una presunzione, pur se difficile da superare, resta entro limiti accettabili fintantoché sia proporzionata al legittimo scopo perseguito, che esista la possibilità di fornire la prova contraria e che i diritti della difesa siano garantiti.

97      La Commissione sostiene che le ricorrenti, con le loro semplici dichiarazioni non supportate da prove, non hanno rovesciato la presunzione secondo cui la società controllante esercita un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata. A suo parere, le istruzioni di messa in conformità nonché l’istituzione delle strutture organizzative ad esse correlate attestano, nella fattispecie, l’influenza determinante della Schindler Holding sulle sue controllate e non sono idonee ad esimerla dalla sua responsabilità.

98      Nella loro memoria di replica, le ricorrenti sostengono che, come risulta dalla citata sentenza Elf Aquitaine/Commissione, la questione della legittimità, alla luce dell’articolo 6 della CEDU, della presunzione secondo cui la società controllante esercita un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata non è ancora risolta. Esse ricordano che, secondo il paragrafo 40 della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Klouvi c. Francia del 30 giugno 2011 (ricorso n. 30754/03), l’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU dev’essere interpretato in modo da garantire diritti concreti ed effettivi, e non teorici e illusori. Orbene, la suddetta presunzione, come interpretata dal Tribunale, sarebbe impossibile da rovesciare. Si tratterebbe di una responsabilità collettiva, e non di una responsabilità per un proprio comportamento colpevole. Le ricorrenti fanno al riguardo valere gli elementi di prova presentati al Tribunale.

99      Le ricorrenti sostengono infine che il Tribunale era obbligato a controllare ex officio la motivazione della decisione controversa. Orbene, quest’ultima, in particolare ai punti 629, 630 e 631, sarebbe motivata solo superficialmente, il che non soddisfa il criterio individuato dalla Corte nella citata sentenza Elf Aquitaine/Commissione.

100    Nella sua memoria di controreplica, la Commissione confuta questa argomentazione delle ricorrenti.

 Giudizio della Corte

101    Con la prima parte del settimo motivo, le ricorrenti sostengono che la giurisprudenza dei giudici dell’Unione viola il principio della responsabilità personale delle persone giuridiche. Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 65 e 66 delle sue conclusioni, questo principio, pur rivestendo particolare importanza segnatamente sotto il profilo della responsabilità nella sfera del diritto civile, non può avere rilevanza nell’individuazione dell’autore di un’infrazione al diritto della concorrenza, il quale ha ad oggetto il comportamento concreto delle imprese.

102    Gli autori dei trattati hanno scelto di utilizzare la nozione di impresa per designare l’autore – sanzionabile in applicazione degli articoli 81 CE e 82 CE, divenuti articoli 101 TFUE e 102 TFUE – di un’infrazione al diritto della concorrenza, e non la nozione di società o di persona giuridica utilizzata all’articolo 48 CE, divenuto articolo 54 TFUE. È a quest’ultima disposizione che il diritto derivato citato dalle ricorrenti fa riferimento, diritto che non è, quindi, pertinente per determinare l’autore di un’infrazione al diritto della concorrenza.

103    La nozione di impresa è stata precisata dal giudice dell’Unione e designa un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone fisiche o giuridiche (v., in tal senso, citate sentenze Akzo Nobel e a./Commissione, punto 55, nonché Elf Aquitaine/Commissione, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

104    Ne consegue che, dopo aver richiamato tale giurisprudenza al punto 66 della sentenza impugnata, il Tribunale non ha commesso errori di diritto dichiarando, al punto 67 di tale sentenza, che, qualora un soggetto economico violi le norme in materia di concorrenza, è tenuto a rispondere di tale infrazione.

105    Con la seconda parte del settimo motivo, le ricorrenti sostengono che l’Unione non ha competenza legislativa per determinare le regole d’imputazione delle infrazioni nell’ambito della relazione tra una società controllante e la sua controllata e che spetta al legislatore, e non ai giudici dell’Unione, definire una regola giuridica così basilare come la nozione di autore di un’infrazione alle norme della concorrenza.

106    Tuttavia, le ricorrenti non indicano gli elementi della sentenza impugnata che censurano e la lettura dei punti da 63 a 92 di tale sentenza non consente di trovare la minima allusione a un simile argomento. Quest’ultimo deve quindi essere dichiarato irricevibile in quanto nuovo o, in ogni caso, per la sua totale mancanza di precisione.

107    Nella loro replica, le ricorrenti contestano il fondamento della giurisprudenza derivante dalla citata sentenza Akzo Nobel e a./Commissione alla luce dell’articolo 6 della CEDU, facendo valere che la questione della legittimità, rispetto a tale disposizione, della presunzione di un’influenza determinante esercitata sulla controllata da parte della società controllante non sarebbe tuttora risolta. La Corte ha tuttavia ricordato, al punto 62 della citata sentenza Elf Aquitaine/Commissione, che una presunzione, anche se difficile da superare, resta entro limiti accettabili fintantoché sia proporzionata al legittimo scopo perseguito, che esista la possibilità di apportare la prova contraria e che i diritti della difesa siano garantiti (v., in tal senso, sentenza della Corte del 23 dicembre 2009, Spector Photo Group e Van Raemdonck, C‑45/08, Racc. pag. I‑12073, punti 43 e 44, nonché Corte eur. D.U., sentenza Janosevic c. Svezia del 23 luglio 2002, Recueil des arrêts et décisions 2002‑VII, § 101 e ss.).

108    Orbene, la presunzione di un’influenza determinante esercitata sulla controllata detenuta totalmente o quasi totalmente dalla sua società controllante mira in particolare a raggiungere un equilibrio tra, da un lato, l’importanza dell’obiettivo consistente nel reprimere i comportamenti contrari alle norme della concorrenza, segnatamente all’articolo 81 CE, e a prevenirne la ripetizione e, dall’altro, le esigenze poste da taluni principi generali del diritto dell’Unione come, in particolare, quelli della presunzione di innocenza, della personalità delle pene e della certezza del diritto nonché i diritti della difesa, compreso il principio della parità delle armi (sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit., punto 59). Ne consegue che una presunzione siffatta è proporzionata al legittimo scopo perseguito.

109    Inoltre, da un lato, tale presunzione si fonda sulla constatazione secondo la quale, salvo circostanze del tutto eccezionali, una società che detiene la totalità o la quasi totalità del capitale di una controllata può, in considerazione di questa sola detenzione, esercitare un’influenza determinante sul comportamento di detta controllata e, dall’altro, la mancanza di esercizio effettivo di questo potere di ingerenza può normalmente essere ricercata nel modo più utile nella sfera dei soggetti contro cui detta presunzione opera. Essa è tuttavia relativa e i soggetti che desiderano superare la presunzione di cui trattasi possono addurre tutti gli elementi relativi ai vincoli economici, organizzativi e giuridici che uniscono la controllata alla società controllante e che considerano atti a dimostrare che la controllata e la società controllante non costituiscono un’entità economica unica, ma che la controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato (v. sentenze del 16 novembre 2000, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, C‑286/98 P, Racc. pag. I‑9925, punto 29; Akzo Nobel e a./Commissione, cit., punto 61, nonché Elf Aquitaine/Commissione, cit., punti 57 e 65).

110    Infine, la società controllante dev’essere sentita dalla Commissione prima che questa adotti una decisione nei suoi confronti e tale decisione può essere soggetta al controllo del giudice dell’Unione, che deve pronunciarsi nel rispetto dei diritti della difesa.

111    Ne consegue che il Tribunale non ha commesso errori di diritto applicando, al punto 71 della sentenza impugnata, il principio della presunzione di responsabilità della società controllante per i comportamenti della sua controllata di cui detiene il 100% del capitale.

112    Con la terza parte del settimo motivo, le ricorrenti contestano l’applicazione da parte del Tribunale della giurisprudenza derivante dalla citata sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, facendo valere che il Tribunale ha adottato, al punto 86 della sentenza impugnata, un’interpretazione troppo ampia della nozione di politica commerciale. Occorre tuttavia ricordare che, al fine di stabilire se una controllata determini in maniera autonoma il proprio comportamento sul mercato, si deve prendere in considerazione l’insieme degli elementi pertinenti relativi ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra tale controllata e la società controllante, i quali possono variare a seconda dei casi e non possono dunque essere elencati in modo esaustivo (v., in tal senso, sentenze citate Akzo Nobel e a./Commissione, punti 73 e 74, nonché Elf Aquitaine/Commissione, punto 58). La politica commerciale è pertanto solo un elemento tra gli altri e inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non deve essere interpretata in maniera restrittiva.

113    Le ricorrenti sostengono altresì, in sostanza, che non può affermarsi la responsabilità della Schindler Holding dato che questa aveva istituito un programma di messa in conformità. Anche ammettendo che tale argomento sia ricevibile in quanto diretto contro un criterio di valutazione utilizzato dal Tribunale, è sufficiente constatare che quest’ultimo non ha commesso alcun errore di diritto dichiarando, al punto 88 della sentenza impugnata, che l’adozione da parte della Schindler Holding di un codice di condotta diretto ad impedire le violazioni, da parte delle sue controllate, del diritto della concorrenza e degli orientamenti ad esso relativi, da un lato, non muta in nulla la realtà dell’infrazione rilevata nei suoi confronti e, dall’altro, non consente di dimostrare che dette controllate determinassero autonomamente la loro politica commerciale.

114    Come il Tribunale ha correttamente, e fra l’altro senza contraddirsi, dichiarato al punto 88 della sentenza impugnata, l’applicazione del menzionato codice di condotta sembra semmai indicare che la società controllante esercitava un controllo effettivo sulla politica commerciale delle sue controllate. Il fatto che taluni dei dipendenti delle sue controllate non si siano conformati al codice di condotta medesimo non è sufficiente a dimostrare il carattere autonomo della politica commerciale delle controllate in questione.

115    Le ricorrenti contestano infine la valutazione del Tribunale, di cui al punto 86 della sentenza impugnata, secondo la quale esse non hanno presentato elementi di prova a sostegno delle loro affermazioni e, in ogni caso, simili affermazioni non sarebbero sufficienti per superare la presunzione di un’influenza determinante esercitata sulle controllate da parte della società controllante. Occorre tuttavia ricordare che la valutazione delle prove compete al Tribunale e che non spetta alla Corte sindacarla nell’ambito di un’impugnazione.

116    Da tutte le precedenti considerazioni risulta che il settimo motivo dev’essere respinto, in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

 Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione del limite superiore dell’ammenda previsto all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003

 Argomenti delle parti

117    Con l’ottavo motivo, le ricorrenti contestano i punti da 362 a 364 della sentenza impugnata. Esse considerano errato in diritto l’argomento secondo cui una società madre e le sue controllate costituiscono un’unica impresa ed occorre, di conseguenza, riferirsi al fatturato del gruppo per fissare l’insieme delle ammende.

118    La Commissione ritiene che l’ottavo motivo sia infondato per i motivi da essa esposti nell’ambito del settimo motivo.

 Giudizio della Corte

119    Come si è poc’anzi affermato in risposta al settimo motivo, l’argomento secondo cui una società controllante e le sue controllate possono costituire, e costituiscono nel caso di specie, un’unica impresa non è errato in diritto.

120    L’ottavo motivo deve pertanto essere respinto.

 Sul nono motivo, vertente su una violazione del diritto di proprietà

 Argomenti delle parti

121    Con il nono motivo, le ricorrenti contestano i punti da 185 a 196 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto il sesto motivo dedotto nel ricorso di primo grado. Esse sostengono che la fissazione delle ammende produce, in violazione del diritto internazionale, gli stessi effetti di un’espropriazione. Pronunciandosi come ha fatto, il Tribunale avrebbe violato l’articolo 17, paragrafo 1, della Carta e l’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU. Esso non avrebbe verificato, erroneamente, se l’ammenda di cui trattasi potesse essere considerata proporzionata alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, segnatamente della sentenza di quest’ultima Mamidakis c. Grecia dell’11 gennaio 2007 (ricorso n. 35533/04), ma avrebbe fatto unicamente riferimento alla propria giurisprudenza e a quella della Corte, mentre, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sarebbe stato tenuto a sottoporre la propria giurisprudenza precedente a un vaglio critico alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

122    Peraltro, il ragionamento del Tribunale si baserebbe su una premessa errata, ossia che la Schindler Holding e le sue controllate formano un’entità economica.

123    La Commissione fa valere che, nel ricorso di primo grado, le ricorrenti non avevano invocato il diritto di proprietà come diritto fondamentale. Ciò spiegherebbe perché il Tribunale non si sia pronunciato sulla Carta o sulla citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Mamidakis c. Grecia. In ogni caso, il controllo di proporzionalità compiuto dal Tribunale ai punti da 191 a 195 della sentenza impugnata sarebbe lo stesso effettuato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua citata sentenza Mamidakis c. Grecia.

 Giudizio della Corte

124    Come ricordato dalla Corte al punto 32 della presente sentenza, fintantoché l’Unione non abbia aderito alla CEDU, quest’ultima non costituisce un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, i diritti fondamentali, fra i quali rientra il diritto di proprietà, costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce il rispetto (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 1979, Hauer, 44/79, Racc. pag. 3727, punti 15 e17). La tutela del diritto di proprietà è peraltro prevista all’articolo 17 della Carta.

125    Nella fattispecie, le ricorrenti addebitano al Tribunale di non aver effettuato il controllo di proporzionalità alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare della sua citata sentenza Mamidakis c. Grecia, ma di essersi riferito unicamente alla propria giurisprudenza e a quella della Corte.

126    A tale riguardo, si deve preliminarmente rilevare che le ricorrenti non hanno mai invocato la tutela del diritto di proprietà in quanto diritto fondamentale. Al contrario, le ricorrenti hanno precisato, al punto 97 del loro ricorso di primo grado, che «poco importa sapere se e in quale misura la Comunità europea tuteli già la proprietà privata delle imprese, per esempio, nell’ambito dei diritti fondamentali». Esse invocavano invece, al medesimo punto 97, lo «standard di tutela propria del diritto internazionale in favore di operatori esteri che investono nella Comunità europea».

127    Ne consegue che le ricorrenti non possono censurare il Tribunale per non aver risposto a motivi che non hanno dedotto. Peraltro, esse non sostengono che il Tribunale sarebbe stato tenuto a procedere ex officio al controllo della proporzionalità alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

128    In ogni caso, nella parte in cui le ricorrenti lamentano una violazione della Carta, esse possono dimostrare un errore di diritto nel controllo effettuato dal Tribunale solamente provando che questo non ha attribuito al diritto di proprietà lo stesso senso e la stessa portata conferitigli dalla CEDU.

129    Quanto alla presa in considerazione della Schindler Holding e delle sue controllate come entità economica, è sufficiente rilevare che non si tratta di una premessa erronea del ragionamento del Tribunale, ma di un principio fondamentale del diritto della concorrenza che costituisce oggetto di costante giurisprudenza, come si è poc’anzi ricordato ai punti da 101 a 103 della presente sentenza in risposta al settimo motivo. La definizione dell’autore di un’infrazione al diritto della concorrenza, infatti, viene data facendo riferimento ad entità economiche, anche se queste, da un punto di vista giuridico, sono costituite da più persone fisiche o giuridiche.

130    Occorre di conseguenza respingere il nono motivo.

 Sul decimo motivo, vertente su una violazione degli orientamenti del 1998, in quanto gli importi di partenza utilizzati per il calcolo dell’ammenda sarebbero troppo elevati

 Argomenti delle parti

131    Con il decimo motivo, le ricorrenti contestano i punti da 197 a 270 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto il settimo motivo del ricorso di primo grado. Esse ritengono che il Tribunale abbia applicato in maniera errata la giurisprudenza relativa agli orientamenti del 1998 e abbia a torto ritenuto che l’impatto delle infrazioni non fosse misurabile. Le ricorrenti sostengono, da un lato, di aver fornito indizi della mancanza di impatto o dell’impatto ridotto degli accordi in questione e, dall’altro, che tale impatto avrebbe potuto essere determinato tramite una perizia econometrica. Poiché la Commissione non ha prodotto una simile perizia, il Tribunale avrebbe dovuto adottare esso stesso misure istruttorie ed esercitare la propria competenza estesa al merito ai sensi dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003.

132    La Commissione confuta l’argomentazione delle ricorrenti.

 Giudizio della Corte

133    Con il decimo motivo, le ricorrenti non contestano la classificazione delle infrazioni tra le «infrazioni molto gravi» esclusivamente sulla natura delle stesse e sulla loro estensione geografica, come risulta al punto 671 della decisione controversa, richiamato al punto 217 della sentenza impugnata, ma censurano unicamente la valutazione del Tribunale secondo cui l’impatto concreto dell’intesa non era misurabile.

134    Orbene, come ricordato dall’avvocato generale al paragrafo 178 delle sue conclusioni, da giurisprudenza ben consolidata emerge che, anche se l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato è un elemento da prendere in considerazione per valutarne la gravità, si tratta di uno tra più criteri, quali la natura propria dell’infrazione e l’estensione del mercato geografico (v., in tal senso, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 129). Ne consegue che l’effetto di una pratica anticoncorrenziale non è, di per sé, un criterio decisivo ai fini della valutazione dell’importo adeguato dell’ammenda. In particolare, elementi attinenti all’intenzionalità possono essere più rilevanti di quelli relativi a detti effetti, soprattutto quando si tratti di infrazioni intrinsecamente gravi, quali la ripartizione dei mercati, elemento presente nel caso di specie (sentenze del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, Racc. pag. I‑10821, punto 118; del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc. pag. I‑7415, punto 96, nonché del 12 novembre 2009, Carbone-Lorraine/Commissione, C‑554/08 P, punto 44).

135    Peraltro, dal punto 1, parte A, primo comma, degli orientamenti del 1998 emerge che tale impatto è da prendere in considerazione solo se misurabile (sentenze del 9 luglio 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, Racc. pag. I‑5843, punto 125, nonché Prym e Prym Consumer/Commissione, cit., punto 74).

136    Di conseguenza, se il Tribunale avesse tenuto conto dell’impatto concreto dell’infrazione di cui trattasi sul mercato, ammesso che tale impatto fosse effettivamente misurabile, lo avrebbe fatto ad abundantiam (v., in tal senso, ordinanza del 13 dicembre 2012, Transcatab/Commissione, C‑654/11 P, punto 43, nonché sentenza del 13 giugno 2013, Versalis/Commissione, C‑511/11 P, punti 83 e 84).

137    Ne consegue che il decimo motivo, quand’anche fondato, non può rimettere in discussione la valutazione del Tribunale, al punto 232 della sentenza impugnata, secondo cui occorreva respingere gli argomenti che contestavano la legittimità della qualificazione come «molto gravi» delle infrazioni constatate all’articolo 1 della decisione controversa.

138    Tale motivo è dunque inconferente.

 Sull’undicesimo motivo, vertente su una violazione degli orientamenti del 1998 a causa di riduzioni troppo lievi delle ammende per circostanze attenuanti

 Argomenti delle parti

139    Con l’undicesimo motivo, le ricorrenti contestano i punti da 271 a 279 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha giustificato la decisione della Commissione di non prendere in considerazione, quale circostanza attenuante, la cessazione volontaria dell’infrazione da parte del gruppo Schindler in Germania invocando il fatto che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, una circostanza attenuante ai sensi del punto 3, terzo trattino, degli orientamenti del 1998 può essere concessa solo nel caso in cui si sia posto fine all’infrazione a causa dell’intervento della Commissione. Secondo le ricorrenti, la valutazione del Tribunale non è conforme alla citata sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, avente ad oggetto un’intesa alla quale tutti i partecipanti avevano posto fine prima di qualsiasi intervento della Commissione, mentre, nella fattispecie, una sola impresa si era ritirata dall’intesa. Peraltro, l’argomento secondo cui una cessazione volontaria dell’infrazione è già sufficientemente presa in considerazione nella durata della medesima sarebbe errato. Infine, la valutazione del Tribunale, al punto 275 della sentenza impugnata, secondo cui la manifesta illegittimità degli accordi osta al riconoscimento di una circostanza attenuante sarebbe supportata solamente da sentenze del Tribunale, ma non da sentenze della Corte.

140    Le ricorrenti contestano altresì il punto 282 della sentenza impugnata, con il quale il Tribunale ha respinto l’argomento secondo cui occorrerebbe tener conto, a titolo di circostanza attenuante, del programma di messa in conformità adottato dal gruppo Schindler. Secondo le ricorrenti, non è dirimente stabilire se misure di messa in conformità siano idonee a «mutare la realtà di un’infrazione». Rileverebbe solamente il fatto che, adottando misure interne, il gruppo Schindler ha voluto evitare infrazioni e che la Schindler Holding ha, segnatamente, fatto tutto quel che poteva a tal fine. La riduzione di ammenda dovrebbe essere a maggior ragione importante in quanto uno degli effetti secondari del sistema di messa in conformità adottato dal gruppo Schindler è quello di rendere più difficile la scoperta, al proprio interno, di infrazioni che malgrado tutto venissero commesse, poiché i collaboratori che violano tale sistema sono minacciati di sanzioni severe.

141    La Commissione fa valere che le ricorrenti non contestano le affermazioni espresse al punto 276 della sentenza impugnata, relativo alle circostanze in cui le ricorrenti hanno posto fine all’infrazione, ossia il fatto che esse hanno abbandonato l’intesa unicamente a motivo di un disaccordo con gli altri partecipanti, dovuto al rifiuto di questi ultimi di concedere alle medesime una quota di mercato superiore.

142    Quanto alla considerazione del programma di messa in conformità, la Commissione sostiene che la ricompensa spettante a un programma siffatto è, idealmente, l’assenza di comportamenti anticoncorrenziali, ma non una riduzione dell’ammenda per una partecipazione ad un’intesa che ha comunque avuto luogo.

 Giudizio della Corte

143    Con un accertamento di fatto che non spetta alla Corte sindacare, il Tribunale ha dichiarato, al punto 276 della sentenza impugnata, che il gruppo Schindler ha «abbandonato l’intesa, secondo quanto emerge dagli atti, unicamente a motivo di un disaccordo con gli altri partecipanti, dovuto al loro rifiuto di conceder[gli] una quota di mercato superiore». Alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti 274 e 275 della sentenza impugnata e a questa valutazione di fatto, il Tribunale non ha commesso errori di diritto nel respingere l’argomento delle ricorrenti relativo alla cessazione volontaria dell’infrazione.

144    Quanto al programma di conformità istituito dal gruppo Schindler, esso, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 185 delle sue conclusioni, non ha manifestamente avuto effetto positivo e, anzi, ha reso più difficile la scoperta delle infrazioni di cui trattasi. Ne consegue che il Tribunale non ha commesso errori di diritto respingendo l’argomento delle ricorrenti a questo riguardo.

145    Di conseguenza, l’undicesimo motivo è infondato.

 Sul dodicesimo motivo, vertente su una violazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 a causa di riduzioni troppo lievi dell’importo delle ammende a titolo di cooperazione

 Argomenti delle parti

146    Con il dodicesimo motivo, le ricorrenti contestano i punti da 287 a 361 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto il nono motivo del ricorso di primo grado.

147    In primo luogo, esse contestano l’entità troppo esigua delle riduzioni dell’importo delle ammende e le disparità di trattamento nell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

148    Esse confutano in particolare il punto 296 della sentenza impugnata, nel quale il Tribunale ha dichiarato che la Commissione dispone di un margine di valutazione sostanziale, e il punto 300 di tale sentenza, ove ha statuito che solo il manifesto superamento di tale margine può essere censurato. Secondo le ricorrenti, un siffatto margine di valutazione non esiste e il Tribunale era obbligato a verificare integralmente la decisione controversa per quanto riguarda la determinazione dell’importo dell’ammenda, in tal modo esercitando la competenza estesa al merito riconosciutagli dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003.

149    Peraltro, erroneamente il Tribunale ha respinto, al punto 309 della sentenza impugnata, la dichiarazione fornita dalle ricorrenti alla Commissione.

150    Infine, ai punti da 312 a 319 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe applicato in modo errato il principio della parità di trattamento nei confronti delle prove che erano state fornite dalle ricorrenti.

151    In secondo luogo, le ricorrenti contestano i punti da 350 a 361 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto la parte del nono motivo del ricorso di primo grado in cui facevano valere che una riduzione dell’ammenda dell’1% per la loro cooperazione al di fuori della comunicazione sulla cooperazione del 2002 era troppo esigua, in quanto esse non avevano contestato i fatti esposti nella comunicazione degli addebiti. Esse ritengono che il ragionamento del Tribunale sia errato e contraddittorio rispetto alla giurisprudenza anteriore.

152    La Commissione ritiene che il Tribunale abbia correttamente esposto, al punto 308 della sentenza impugnata, la ragione per cui la dichiarazione delle ricorrenti non era significativa, il che rappresenta una condizione necessaria per una riduzione di ammenda ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Si tratterebbe di una valutazione di fatto, non sindacabile dalla Corte nell’ambito di un’impugnazione.

153    Quanto all’argomento vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento, la Commissione sostiene che le ricorrenti passano sotto silenzio le «spiegazioni dettagliate sul sistema» fornite da una delle imprese partecipanti all’intesa, che giustificano il valore aggiunto significativo della domanda di trattamento favorevole di tale impresa.

154    Per quanto riguarda i punti da 350 a 361 della sentenza impugnata, la Commissione fa valere che la circostanza attenuante a titolo del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti del 1998 non è volta a ricompensare malgrado tutto domande di trattamento favorevole che non sono state accolte o che sono state soddisfatte in maniera insufficiente, poiché ciò rimetterebbe in discussione l’effetto incentivante della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e gli obblighi di cooperazione derivanti da tale comunicazione, dato che vengono concesse riduzioni scaglionate solo se, per l’appunto, è stato apportato un «valore aggiunto significativo» e in funzione della data della cooperazione.

 Giudizio della Corte

155    È importante ricordare che il giudice dell’Unione, quando esercita il controllo della legittimità di una decisione che infligge ammende per violazione delle norme di concorrenza, non può far leva sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione – né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti del 1998 né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi – al fine di rinunciare ad esercitare un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto (sentenza Chalkor/Commissione, cit., punto 62). Una regola siffatta si applica anche quando il giudice verifica la corretta applicazione, da parte della Commissione, della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

156    Anche se i principi espressi dal Tribunale ai punti da 295 a 300 non corrispondono a tale giurisprudenza, occorre tuttavia esaminare il modo in cui il Tribunale ha svolto il proprio controllo nella presente causa per verificare se abbia violato detti principi. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 191 delle sue conclusioni, ciò che conta è il criterio che il Tribunale ha effettivamente applicato per esaminare concretamente il valore aggiunto apportato dalla cooperazione dell’impresa interessata con la Commissione.

157    Ai punti da 301 a 349 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato gli elementi di prova presentati dalle ricorrenti al fine di determinare se questi avessero apportato un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

158    Anche se tale esame contiene valutazioni di fatto che non spetta alla Corte sindacare nell’ambito di un’impugnazione, si deve rilevare che il Tribunale ha proceduto a un controllo approfondito nel quale ha esso stesso esaminato gli elementi di prova, senza fare riferimento al potere discrezionale della Commissione e motivando dettagliatamente la propria decisione.

159    Con riferimento alle censure relative ai punti 309 e da 312 a 319 della sentenza impugnata, si deve constatare che esse rimettono in questione valutazioni di fatto del Tribunale che non spetta alla Corte controllare nell’ambito di un’impugnazione. In ogni caso, il principio della parità di trattamento non osta a che solo l’impresa che apporta un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002 sia trattata favorevolmente, dato che lo scopo di tale disposizione è legittimo.

160    Quanto alla censura riguardante i punti da 350 a 361 della sentenza impugnata, occorre dichiararla infondata per il motivo esposto dalla Commissione e ripreso al punto 154 della presente sentenza.

161    Di conseguenza, il dodicesimo motivo è infondato.

 Sul tredicesimo motivo, vertente sul carattere sproporzionato dell’importo delle ammende

 Argomenti delle parti

162    Con il tredicesimo motivo, le ricorrenti contestano i punti da 365 a 372 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto il decimo motivo dedotto nel ricorso di primo grado. Esse ritengono che la premessa del ragionamento del Tribunale sia errata, poiché le infrazioni non sono imputabili alla Schindler Holding. Peraltro, un’ammenda non dovrebbe essere considerata proporzionata solo perché non supera il limite del 10% del fatturato. Dall’articolo 49 della Carta risulterebbe che l’esame della proporzionalità dell’ammenda costituisce un aspetto distinto che si aggiunge alla verifica del rispetto del limite del 10% del fatturato. Esse richiamano in proposito la citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Mamidakis c. Grecia, nella quale detta Corte ha considerato sproporzionata un’ammenda di importo complessivo pari a circa EUR 8 milioni.

163    La Commissione sostiene che il tredicesimo motivo è infondato.

 Giudizio della Corte

164    Da costante giurisprudenza risulta che non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sull’importo delle ammende inflitte ad imprese in seguito alla violazione, da parte di queste ultime, del diritto dell’Unione (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 245).

165    Soltanto nei limiti in cui la Corte ritenesse che il livello della sanzione sia non soltanto inappropriato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato, occorrerebbe ravvisare un errore di diritto commesso dal Tribunale a causa del carattere incongruo dell’importo di un’ammenda (sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, punto 126).

166    Nella fattispecie, il Tribunale non si è limitato a verificare che l’importo delle ammende non superasse il limite del 10% del fatturato previsto all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, ma ha proceduto, ai punti da 368 a 370 della sentenza impugnata, a un esame approfondito della proporzionalità delle ammende.

167    Quanto alla censura relativa alla presa in considerazione del fatturato della Schindler Holding, essa si basa su una premessa errata circa la legittimità del ricorso alla nozione di impresa, come dimostrato in risposta al settimo motivo.

168    Per quanto riguarda il riferimento alla citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Mamidakis c. Grecia, ammesso che questa sia pertinente in una causa in materia di concorrenza che coinvolge una società commerciale e le sue controllate e non una persona fisica, occorre sottolineare che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 214 delle sue conclusioni, non è possibile stabilire, prendendo in considerazione solamente l’importo nominale di un’ammenda, se questa determini un aggravio sproporzionato per il suo destinatario. Ciò dipende anche, in particolare, dalla capacità contributiva di quest’ultimo.

169    Si deve in proposito sottolineare che, nel caso in cui siano inflitte ammende a un’impresa che costituisce un’unità economica e che è solo formalmente composta da più persone giuridiche, la capacità contributiva di queste ultime non può essere presa in considerazione in maniera individualizzata. In tale contesto, correttamente il Tribunale – tenendo conto della gravità delle pratiche interessate, delle dimensioni nonché della potenza economica del gruppo Schindler – ha rilevato, al punto 370 della sentenza impugnata, che l’importo complessivo delle ammende irrogate alle ricorrenti rappresenta all’incirca il 2% del loro fatturato consolidato nel 2005, il che non può considerarsi sproporzionato rispetto alle dimensioni del gruppo interessato.

170    Risulta da tali elementi che il tredicesimo motivo è infondato.

171    Poiché nessuno dei motivi dedotti dalle ricorrenti è stato accolto, l’impugnazione dev’essere integralmente respinta.

 Sulle spese

172    A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

173    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 2, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione. Dato che il Consiglio non ha chiesto la condanna delle ricorrenti, ma ha domandato alla Corte di pronunciarsi in maniera appropriata sulle spese, esso sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Schindler Holding Ltd, la Schindler Management AG, la Schindler SA, la Schindler Sàrl, la Schindler Liften BV e la Schindler Deutschland Holding GmbH sono condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporta le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.