Language of document : ECLI:EU:C:2013:21

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 17 gennaio 2013 (1)

Causa C‑583/11 P

Inuit Tapiriit Kanatami e a.

contro

Parlamento europeo

e

Consiglio dell’Unione europea

«Impugnazione – Regolamento (CE) n. 1007/2009 – Commercio di prodotti derivati dalla foca – Divieto di immissione in commercio nell’Unione europea – Eccezioni per le comunità Inuit – Legittimazione ad agire di persone fisiche e giuridiche ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE – Nozione di “atto regolamentare” e differenziazione rispetto a “atto legislativo” – Mancanza di incidenza diretta o individuale»






I –    Introduzione

1.        Le possibilità di tutela giuridica dei singoli rispetto agli atti dell’Unione di portata generale rappresentano da tempo una delle questioni più dibattute del diritto europeo. A partire della sentenza Plaumann (2) la Corte di giustizia ha fornito in una costante giurisprudenza – prima relativamente all’articolo 173 C(E)E e successivamente all’articolo 230 CE – un’interpretazione relativamente restrittiva della legittimazione diretta ad agire delle persone fisiche e giuridiche. Nonostante alcune critiche, la Corte di giustizia si è attenuta alla suddetta giurisprudenza fino ad oggi, confermandola soprattutto nelle sentenze Unión de Pequeños Agricultores (3) e Jégo‑Quéré (4).

2.        Non da ultimo come reazione a questa giurisprudenza, nel Trattato di Lisbona si è pervenuti ad una nuova disciplina della legittimazione ad agire dei singoli, entrata in vigore il 1° dicembre 2009. Da allora l’articolo 263, quarto comma, TFUE consente alle persone fisiche e giuridiche anche di proporre un ricorso d’annullamento «contro gli atti regolamentari che l[e] riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

3.        Ovviamente a tutt’oggi l’entità dell’estensione della legittimazione attiva dei singoli operata da quella nuova disciplina è oggetto di accesi dibattiti. Nel presente procedimento di impugnazione la Corte è chiamata a pronunciarsi proprio sulla suddetta questione controversa e, in tale ambito, ad esprimersi soprattutto sull’interpretazione della nozione di «atto regolamentare» (5). In questo contesto si deve chiarire soprattutto se anche gli atti legislativi dell’Unione europea possano essere annoverati nella categoria degli atti regolamentari.

4.        All’origine della presente controversia è il regolamento (CE) n. 1007/2009 sul commercio dei prodotti derivati dalla foca, adottato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 16 settembre 2009 (6). Il suddetto regolamento ha disposto un divieto di immissione in commercio sul mercato interno europeo dei prodotti derivati dalla foca, contro cui ora la Inuit Tapiriit Kanatami, in quanto rappresentante degli interessi degli Inuit canadesi (7) nonché numerose altre parti – soprattutto produttori o commercianti di prodotti derivati dalla foca – cercano tutela giuridica dinanzi ai giudici dell’Unione.

5.        In primo grado la richiesta della Inuit Tapiriit Kanatami e degli altri ricorrenti non è stata accolta. Il loro ricorso d’annullamento è stato respinto dal Tribunale dell’Unione europea con ordinanza del 6 settembre 2011 (8) (in prosieguo anche: l’«ordinanza impugnata») in quanto irricevibile. Il Tribunale ha motivato la sua decisione sostenendo non da ultimo che il regolamento n. 1007/2009 è un atto legislativo che non può essere inteso come atto regolamentare nell’accezione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. La Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti (in prosieguo anche: i «ricorrenti») – ad eccezione di uno di essi (9) – contestano la suddetta ordinanza con il presente mezzo di impugnazione.

II – Le disposizioni dell’Unione in materia di immissione in commercio dei prodotti derivati dalla foca

6.        Le disposizioni dell’Unione in materia di immissione in commercio dei prodotti derivati dalla foca nel mercato interno europeo si trovano in parte in un regolamento di base adottato dal Parlamento e dal Consiglio nel 2009 (regolamento n. 1007/2009), in parte in un regolamento di esecuzione adottato dalla Commissione nel 2010 (regolamento n. 737/2010). Nel presente procedimento è controversa solo la legittimazione ad agire della Inuit Tapiriit Kanatami e degli altri ricorrenti contro il regolamento di base, mentre il regolamento di esecuzione è oggetto di un distinto ricorso, presentato dai suddetti ricorrenti e ancora pendente dinanzi al Tribunale (10).

A –    Il regolamento di base (regolamento n. 1007/2009)

7.        L’oggetto del regolamento n. 1007/2009 è determinato nel seguente modo all’articolo 1:

«Il presente regolamento fissa norme armonizzate in materia di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca».

8.        Ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 1007/2009 sono applicabili le seguenti «condizioni per l’immissione in commercio» di prodotti derivati dalla foca:

«1.      L’immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca è autorizzata solo quando i prodotti derivati dalla foca provengono dalla caccia tradizionalmente praticata dagli Inuit e da altre comunità indigene e contribuiscono alla loro sussistenza. Tali condizioni si applicano al momento o nel luogo di importazione dei prodotti importati.

2.      In deroga al paragrafo 1:

a)      l’importazione di prodotti derivati dalla foca è altresì autorizzata quando ha natura occasionale ed è costituita esclusivamente da merci destinate all’uso personale dei viaggiatori o delle loro famiglie. Il tipo e la quantità di tali merci non sono tali da far ritenere che l’importazione possa avere finalità commerciali;

b)      l’immissione sul mercato è altresì autorizzata per i prodotti derivati dalla foca provenienti da sottoprodotti della caccia regolamentata dalla legislazione nazionale e praticata al solo scopo di garantire una gestione sostenibile delle risorse marine. Tale immissione sul mercato è autorizzata unicamente su basi non lucrative. Il tipo e la quantità di tali prodotti non sono tali da far ritenere che l’immissione sul mercato possa avere finalità commerciali.

L’applicazione del presente paragrafo non pregiudica il conseguimento degli obiettivi del presente regolamento.

3.      La Commissione, secondo la procedura di gestione (...), predispone note tecniche orientative contenenti un elenco indicativo dei codici della nomenclatura combinata che possono riguardare i prodotti derivati dalla foca soggetti al presente articolo.

4.      Fatto salvo quanto disposto dal paragrafo 3, le misure per l’attuazione del presente articolo, intese a modificare elementi non essenziali del presente regolamento completandolo, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo (...)».

9.        All’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 1007/2009, inoltre, è contenuta la seguente definizione di «Inuit»:

«i membri indigeni del territorio Inuit, vale a dire le regioni artiche e subartiche in cui gli Inuit detengono, attualmente o storicamente, diritti e interessi aborigeni, riconosciuti dagli Inuit come membri del loro popolo e appartenenti ai seguenti gruppi: Inupiat, Yupik (Alaska), Inuit, Inuvialuit (Canada), Kalaallit (Groenlandia) e Yupik (Russia)».

B –    Il regolamento di esecuzione (regolamento n. 737/2010)

10.      Sulla base dell’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento n. 1007/2009 la Commissione ha emanato, il 10 agosto 2010, modalità di applicazione in materia di commercio di prodotti derivati dalla foca sotto forma del regolamento (UE) n. 737/2010 (11) (in prosieguo anche: il «regolamento di esecuzione»).

11.      L’articolo 1 del regolamento n. 737/2010 prevede quanto segue:

«Il presente regolamento stabilisce le modalità di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca ai sensi dell’articolo 3 del regolamento (CE) n. 1007/2009».

12.      All’articolo 3 del regolamento n. 737/2010 sono stabilite le condizioni che devono essere soddisfatte affinché i prodotti derivati dalla foca provenienti dalla caccia praticata da comunità Inuit o da altre comunità indigene possano essere immessi sul mercato.

13.      L’articolo 4 del regolamento n. 737/2010 fissa le condizioni alle quali i prodotti derivati dalla foca destinati all’uso personale dei viaggiatori o dei loro familiari possono essere importati.

14.      L’articolo 5 del regolamento n. 737/2010 disciplina infine le condizioni alle quali i prodotti derivati dalla foca ottenuti nell’ambito della gestione delle risorse marine possono essere immessi sul mercato.

III – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

15.      Con atto introduttivo del 21 novembre 2011 la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti hanno presentato la presente impugnazione. Essi chiedono di

–        annullare l’ordinanza del Tribunale impugnata e dichiarare ricevibile il ricorso di annullamento, qualora la Corte consideri presenti tutti gli elementi necessari per pronunciarsi sulla ricevibilità del ricorso di annullamento del regolamento controverso;

–        in subordine, annullare l’ordinanza impugnata e rinviare la causa al Tribunale;

–        condannare il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea alle spese sostenute dai ricorrenti; nonché

–        condannare la Commissione europea e il Regno dei Paesi Bassi a sopportare le proprie spese.

16.      Il Parlamento chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione e

–        condannare i ricorrenti alle spese.

17.      Il Consiglio chiede:

–        il rigetto dell’impugnazione e

–        la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese.

18.      Anche la Commissione, che aveva sostenuto come interveniente il Parlamento e il Consiglio già in prime cure, chiede alla Corte di giustizia di respingere l’impugnazione e di condannare i ricorrenti a sostenere le spese.

19.      Il Regno dei Paesi Bassi, che invece aveva del pari sostenuto come interveniente il Parlamento e il Consiglio in prime cure, non è intervenuto nel procedimento dinanzi alla Corte.

20.      Dinanzi alla Corte di giustizia si è svolta una fase scritta e, il 20 novembre 2012, un’udienza.

IV – Valutazione

21.      L’interpretazione e l’applicazione della legittimazione ad agire delle persone fisiche e giuridiche ai sensi dell’articolo 263, quarto comma TFUE, rivestono un’importanza fondamentale per la realizzazione di una tutela giurisdizionale effettiva. Esse, tuttavia, hanno anche effetti significativi sulla delimitazione della competenza e delle attribuzioni fra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali. In termini estremamente generali si può affermare che esse rivestono un’importanza che non può essere sottovalutata nel sistema generale di tutela delineato nei Trattati europei.

22.      Tutte le parti del presente procedimento di impugnazione sono concordi nel sostenere che con l’articolo 263, quarto comma, TFUE è stata ampliata la legittimazione ad agire delle persone fisiche e giuridiche. Fra di esse, tuttavia, è estremamente controversa l’entità di tale ampliamento. Le parti hanno conseguentemente opinioni molto divergenti circa la corretta interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

23.      Mentre le tre istituzioni dell’Unione che sono parti nel procedimento – Parlamento, Consiglio e Commissione – difendono chiaramente e ampiamente l’ordinanza del Tribunale impugnata con i medesimi argomenti, i ricorrenti assumono una posizione diametralmente opposta; essi ritengono che il Tribunale abbia interpretato in modo troppo restrittivo l’articolo 263, quarto comma, TFUE e, pertanto, abbiano trascurato i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva.

24.      In particolare, i ricorrenti presentano complessivamente tre motivi per impugnare l’ordinanza del Tribunale, di cui il primo è dedicato al disposto dell’articolo 263, quarto comma, TFUE in quanto tale (v., in proposito, infra, sezione A), mentre il secondo riguarda il diritto fondamentale ad un ricorso effettivo (v., in proposito, infra, sezione B) e il terzo affronta la questione se il Tribunale abbia interpretato correttamente la domanda presentata dai ricorrenti in prime cure (v., in proposito, infra, sezione C).

A –    Primo motivo

25.      Il primo motivo rappresenta il baricentro della presente controversia. In questo contesto fra le parti vi è disaccordo su quale siano la corretta interpretazione e applicazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, che, nella sua versione ancora in vigore, è basata sul Trattato di Lisbona e ha il seguente tenore:

«qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

1.      L’espressione «atto regolamentare» (prima parte del primo motivo)

26.      Con la prima parte del primo motivo, diretto contro i punti 38‑56 dell’ordinanza impugnata, i ricorrenti contestano al Tribunale un’interpretazione e un’applicazione errate della locuzione «atto regolamentare» nella terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

27.      La pietra dello scandalo per la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti è rappresentata dal fatto che il Tribunale nella sua ordinanza non consideri gli atti legislativi di cui all’articolo 289, terzo comma, TFUE (12) – fra cui è annoverabile anche il controverso regolamento n. 1007/2009 – come atti regolamentari. La tesi giuridica criticata dai ricorrenti è precisata al punto 56 dell’ordinanza impugnata, in cui il Tribunale afferma che

«la nozione di “atto regolamentare” ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi. Di conseguenza, un atto legislativo può formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica unicamente se la riguarda direttamente e individualmente».

I ricorrenti vi vedono un’applicazione eccessivamente restrittiva delle possibilità di azione dei singoli. Ai loro occhi la distinzione fra atti legislativi e atti non aventi natura di legge appare eccessivamente formalistica. Per contro le istituzioni dell’Unione che sono parti nel procedimento – Parlamento, Consiglio e Commissione – ritengono corretta la soluzione cui è pervenuto il Tribunale e la difendono con forza.

28.      Anche in dottrina il dibattito sull’interpretazione della nuova terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE è estremamente controverso. Mi sembra che, in proposito, coloro che sono a favore di un’inclusione degli atti legislativi nella categoria degli atti regolamentari bilancino più o meno coloro che bocciano tale tesi (13).

29.      Come esporrò in seguito, l’interpretazione adottata dal Tribunale della locuzione «atti regolamentari» è corretta [v. in proposito, a seguire, sezione a)], mentre gli argomenti di segno contrario esposti dai ricorrenti non risultano convincenti [v. in proposito, infra, sezione b)].

a)      L’interpretazione data dal Tribunale alla nozione di «atti regolamentari»

30.      La nozione di «atto regolamentare» non è definita in alcun punto dei Trattati. Come sottolinea giustamente il Tribunale, è certo che si dovrà sempre trattare di atti giuridici europei di portata generale (14). Ciò però non significa necessariamente che tutti gli atti giuridici europei di portata generale siano allo stesso tempo atti regolamentari.

31.      In particolare sarebbe avventato presumere che tutti i regolamenti siano allo stesso tempo atti regolamentari, a prescindere che si tratti di atti legislativi o no. Pur essendo innegabile, in alcune versioni linguistiche dei Trattati, una certa somiglianza tra la nozione di «regolamento» ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE e quella di «atto regolamentare» di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE (15), se si equiparassero le nozioni di «regolamento» e «atto regolamentare» sulla base selettiva di alcune versioni linguistiche del TFUE si trascurerebbe il fatto che i Trattati europei sono ormai ugualmente vincolanti in 23 lingue diverse (articolo 55, paragrafo 1, TUE, e articolo 358 TFUE). In molte lingue ufficiali dell’Unione non si può affatto parlare di affinità etimologica tra le nozioni di «regolamento» e di «atto regolamentare» (16).

32.      Date queste premesse, si deve muovere dal presupposto che l’espressione «atto regolamentare» sia una nozione di diritto europeo sui generis, per interpretare la quale si dovrà tener conto tanto della finalità della disposizione interessata del Trattato, quanto del contesto in cui si inserisce (17) e della sua genesi. Certo, finora la genesi in particolare non ha svolto alcun ruolo nell’interpretazione del diritto primario perché gran parte dei travaux préparatoires dei Trattati istitutivi non era disponibile. Quest’ambito è stato però radicalmente trasformato dalla prassi di insediare convenzioni incaricate di preparare le modifiche ai Trattati e da quella di rendere pubblici i mandati delle conferenze intergovernative. La maggiore trasparenza nella fase che precede le modifiche ai Trattati apre nuove possibilità per la loro interpretazione. Queste non dovrebbero restare inutilizzate come strumento integrativo allorché, come in questo caso, il significato di una norma continui a essere oscuro dopo che se ne siano considerati la lettera, il contesto e la finalità perseguita(18).

33.      La riformulazione dell’ex articolo 230, quarto comma, CE da parte del vigente articolo 263, quarto comma, TFUE aveva indubbiamente per finalità di estendere la tutela dei diritti individuali ampliando le possibilità delle persone fisiche e giuridiche di esperire ricorso contro gli atti giuridici di portata generale dell’Unione (19). Se considerata di per sé, tale finalità conforta un’interpretazione estensiva della nozione di «atti regolamentari» (20).

34.      Va tuttavia ricordato che gli estensori del Trattato di Lisbona hanno ottenuto lo scopo di rafforzare la tutela dei diritti individuali non solo ampliando per le persone fisiche e giuridiche le possibilità di ricorso diretto ai sensi della terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, ma anche perseguendo in parallelo, con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, il rafforzamento della tutela dei diritti individuali offerta dai giudici nazionali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.

35.      La lettura congiunta dell’articolo 263, quarto comma, TFUE e dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE permette di concludere che le possibilità del singolo di ottenere tutela giurisdizionale contro gli atti giuridici dell’Unione di portata generale non devono necessariamente sempre consistere nella facoltà di adire direttamente i giudici dell’Unione.

36.      Il fatto che vi siano differenze specialmente nei requisiti di ricevibilità del ricorso di annullamento, a seconda che quest’ultimo abbia ad oggetto un atto legislativo oppure un atto regolamentare, emerge peraltro dal combinato disposto dei diversi paragrafi dell’articolo 263 TFUE. Il primo tratta di «atti legislativi» mentre il quarto, che qui interessa, fa riferimento ad «atti regolamentari». Queste differenze di scelta terminologica, che non si possono ritenere casuali, sono piuttosto espressione del fatto che, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, alle diverse categorie di ricorrenti spettano da sempre possibilità di ricorso diretto di portata diversa.

37.      Mentre i ricorrenti privilegiati, ai sensi dell’articolo 263, secondo comma, TFUE e i ricorrenti che lo sono parzialmente, ai sensi dell’articolo 263, terzo comma, TFUE sono legittimati a proporre ricorso contro tutti i tipi di atti dell’Unione citati nel primo comma, atti legislativi inclusi, la legittimazione attiva diretta delle persone fisiche e giuridiche di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE è da sempre limitata a determinati tipi di atti dell’Unione. Una possibilità di ricorso semplificato è concessa dalla terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE solo contro gli atti regolamentari e non contro gli atti legislativi. Come evidenzia correttamente il Tribunale, anche in futuro i singoli potranno impugnare direttamente atti legislativi solo in via eccezionale e nell’ambito della seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE cioè a condizione che l’atto legislativo li riguardi direttamente e individualmente (21).

38.      Il fatto che al singolo non siano date possibilità semplificate per ricorrere direttamente contro gli atti legislativi è spiegabile in particolare con la legittimità democratica particolarmente forte della legislazione parlamentare. Di conseguenza, la distinzione tra atti legislativi e non legislativi sotto il profilo della tutela giurisdizionale non può essere liquidata come mero formalismo e si fonda invece su una distinzione qualitativa. In molti ordinamenti nazionali le possibilità di ricorso diretto dei singoli contro le leggi approvate dal Parlamento sono inesistenti o limitate.

39.      Il fatto che a tutt’oggi nel sistema dei Trattati europei non siano attribuite ai singoli possibilità di ricorso semplificate contro gli atti legislativi trova conferma se si include nelle riflessioni la genesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Questa norma, che risale ai lavori della Convenzione europea, in origine doveva far parte del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (22) («Trattato costituzionale»), come articolo III‑365, quarto comma.

40.      In virtù dei suoi articoli da I‑33 a I‑37, il Trattato costituzionale poggiava su una distinzione e un’articolazione gerarchica chiare tra atti legislativi e non legislativi, nel cui ambito il «regolamento europeo» era classificabile esclusivamente nella seconda categoria in quanto «atto non legislativo di portata generale» (articolo I‑33, paragrafo 1, quarto comma, prima frase, del Trattato costituzionale). Se quindi l’articolo III‑365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale trattava della possibilità per le persone fisiche e giuridiche di ricorrere contro gli «atti regolamentari», era manifesto che ciò riguardasse solo gli atti non legislativi. Ciò è confermato anche dai documenti della Convenzione europea relativi all’articolo III‑270, paragrafo 4, del progetto di Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (23), cioè la norma che poi si è ritrovata nel Trattato costituzionale come articolo III‑365, paragrafo 4. Secondo tali documenti la formulazione «atti giuridici di portata generale», pur essendo stata discussa dalla Convenzione, alla fine è stata scartata e sostituita definitivamente dalla nozione meno ampia di «atti regolamentari», destinata a esprimere la distinzione tra atti legislativi e non legislativi (24).

41.      Il fatto che, in quasi tutte le versioni linguistiche (25), il testo dell’articolo III‑365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale sia stato ripreso alla lettera dal Trattato di Lisbona porta a concludere che anche nell’attuale articolo 263, quarto comma, TFUE non si intendano gli atti legislativi laddove si parla di atti regolamentari. Ciò trova chiara espressione soprattutto nelle numerose versioni linguistiche del Trattato FUE in cui, per individuare gli «atti regolamentari», si ricorre a una formulazione che fa pensare all’emanazione di norme da parte non tanto dell’organo legislativo quanto dell’organo esecutivo (26).

42.      Il Trattato di Lisbona certo non sistematizza né articola gerarchicamente gli atti giuridici dell’Unione in modo paragonabile al Trattato costituzionale. Nel sistema del Trattato UE e del Trattato FUE gli atti legislativi possono assumere anche la forma di regolamenti, ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE. Attualmente la distinzione tra atti legislativi e non legislativi ha un significato per lo più procedurale, per esempio negli articoli 290, primo comma, e 297 TFUE.

43.      Stanti tali differenze tra il Trattato costituzionale e i Trattati oggi in vigore, si potrebbe teoricamente ipotizzare di attribuire un significato diverso alla nozione di «atti regolamentari» di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE – in linea con la proposta dei ricorrenti – e di intenderla in senso più ampio di quanto non fosse nelle intenzioni della Convenzione europea e degli estensori del Trattato costituzionale, in modo da poter annoverare tra gli atti regolamentari anche gli atti legislativi.

44.      Tale interpretazione estensiva della nozione di «atti regolamentari» sarebbe però difficile da conciliare con il mandato della Conferenza intergovernativa del 2007 che ha negoziato il Trattato di Lisbona. Tale Conferenza era incaricata da un lato di abbandonare il progetto di Costituzione su cui poggiava il Trattato costituzionale (27) e per il resto di non rimettere in questione ciò che si era ottenuto con la firma del Trattato (28). Il contenuto del «prodotto finale» della Conferenza intergovernativa doveva quindi corrispondere per quanto possibile al mancato Trattato costituzionale e se ne doveva discostare per difetto solo in alcuni punti particolarmente simbolici (29).

45.      Ai fini del procedimento di specie va evidenziato in particolare che, secondo il mandato della Conferenza intergovernativa del 2007, andava mantenuta «ferma (…) la distinzione tra atti legislativi e non legislativi e relative conseguenze» (30).

46.      Date le premesse è altamente improbabile, né esiste un qualsiasi indizio concreto in tal senso, che la Conferenza intergovernativa intendesse andare oltre il Trattato costituzionale, nello specifico con l’articolo 263, quarto comma, TFUE. Oltretutto ci si sarebbe dovuti attendere dagli estensori del Trattato di Lisbona che avrebbero reso riconoscibile un ampliamento delle possibilità di ricorso dei singoli, rispetto all’articolo III‑365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale, nella formulazione di tutte le versioni linguistiche dell’articolo 263, quarto comma, TFUE (31), per esempio impiegando la nozione di «atti di portata generale» discussa nella Convenzione europea ma alla fine in tal sede scartata (32). Tanto più che quest’ultima formulazione è di uso assai corrente in altri punti del TFUE (v. articolo 277 TFUE; articolo 288, secondo comma, prima frase, TFUE, e articolo 290, primo comma, TFUE).

47.      Nel complesso, pertanto, il Tribunale ha avuto pienamente ragione a interpretare la nozione di «atti regolamentari» nel senso di comprendervi tutti gli atti giuridici dell’Unione di portata generale tranne gli atti legislativi.

b)      Le controargomentazioni avanzate dai ricorrenti

48.      Diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, l’interpretazione e l’applicazione della terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, realizzate dal Tribunale nella fattispecie, non determinano assolutamente lo svuotamento della legittimazione ad agire delle persone fisiche e giuridiche avverso gli atti regolamentari, privando così l’innovazione introdotta dal Trattato di Lisbona della sua raison d’être. È invece l’argomentazione degli stessi ricorrenti a essere gravata da seri difetti, fondati, da un lato, su un modo errato di leggere l’ordinanza impugnata e, dall’altro, su un’errata comprensione di fondo delle procedure e degli atti giuridici previsti dai Trattati.

–       Non tutti i regolamenti, né tutte le direttive e le decisioni, sono atti legislativi

49.      In primo luogo, i ricorrenti contestano al Tribunale il fatto che l’interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, che quest’ultimo predilige, porterebbe a includere nella nozione di atti regolamentari solo le raccomandazioni e i pareri di cui all’articolo 288, quinto comma, TFUE – comunque non impugnabili – in quanto le direttive, le decisioni e i regolamenti adottati dal Parlamento e dal Consiglio sarebbero senza eccezioni atti legislativi.

50.      Quest’argomentazione è sbagliata. Ovviamente vi sono altri atti giuridici dell’Unione, oltre alle raccomandazioni e ai pareri, che sono classificabili come atti regolamentari, in particolare numerosi regolamenti di cui all’articolo 288, secondo comma, TFUE, e numerose decisioni di cui all’articolo 288, quarto comma, TFUE. Nella pratica si tratta addirittura della stragrande maggioranza dei casi, come hanno fatto giustamente notare il Consiglio e la Commissione.

51.      I ricorrenti dimenticano che, pur rientrando i regolamenti e le decisioni, come anche le direttive, nelle tipologie di atti giuridici adottabili con procedura legislativa (articolo 289, paragrafi 1 e 2, TFUE), solo un numero di gran lunga inferiore di questi atti dell’Unione è posto in essere con tale procedura. Anche atti non legislativi possono assumere la forma di regolamenti, direttive o decisioni (articolo 297, paragrafo 2, TFUE).

52.      In particolare, in molti casi il Consiglio o la Commissione adottano regolamenti per dare esecuzione ad atti legislativi oppure nel quadro di una procedura sui generis (33). Nel caso delle decisioni, è addirittura la regola che siano adottate con procedure diverse da quella legislativa, per lo più dal Consiglio o dalla Commissione, e che poi siano eventualmente considerate atti regolamentari, tanto più se non si rivolgono a destinatari designati (articolo 288, quarto comma, seconda frase, TFUE, con interpretazione a contrario).

–       Non tutti gli atti non legislativi sono atti delegati

53.      In secondo luogo, i ricorrenti argomentano che gli estensori del Trattato di Lisbona avrebbero parlato non già di «atti regolamentari» bensì di «atti delegati», ai sensi dell’articolo 290 TFUE, nel caso in cui avessero ambito a distinguere tra atti legislativi e non legislativi nell’articolo 263, quarto comma, TFUE. L’impiego della nozione «atti regolamentari» denoterebbe secondo i ricorrenti che si intende qualcosa di diverso dagli atti non legislativi.

54.      Neanche questo argomento convince. I ricorrenti non si rendono conto che non tutti gli atti non legislativi devono necessariamente essere atti delegati di cui all’articolo 290 TFUE. Possono anche assumere la forma di atti di esecuzione di cui all’articolo 291 TFUE oppure essere adottati con procedura sui generis (34).

–       Anche gli atti di esecuzione possono essere atti regolamentari

55.      In terzo luogo, i ricorrenti sostengono che, dopo la distinzione operata dal Tribunale tra atti legislativi e non legislativi, non si saprebbe più dove classificare la categoria degli atti di esecuzione di cui all’articolo 291 TFUE.

56.      Anche quest’affermazione è errata. Come si è accennato (35), gli atti di esecuzione di cui all’articolo 291 TFUE possono rientrare senza difficoltà nella categoria degli atti non legislativi. Allorché tali atti di esecuzione hanno portata generale, come avviene di norma per i regolamenti di esecuzione e spesso per le decisioni di esecuzione, devono essere considerati atti regolamentari.

–       Gli effetti dell’articolo 263, quarto comma, TFUE sui casi come Unión de Pequeños Agricultores e Jégo‑Quéré

57.      I ricorrenti affermano infine che un’interpretazione e un’applicazione della legittimazione attiva come quelle che pratica il Tribunale non sarebbero idonee a colmare le «lacune nella tutela giurisdizionale» constatate nei casi Unión de Pequeños Agricultores (36) e Jégo‑Quéré (37).

58.      Neanche quest’affermazione coglie nel segno.

59.      Nella causa Jégo‑Quéré era oggetto del ricorso di annullamento un regolamento esecutivo della Commissione riguardante il settore della pesca. Oggi, nell’ambito di validità temporale dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, un atto del genere andrebbe considerato un atto regolamentare che non comporta misure di esecuzione.

60.      Nella causa Unión de Pequeños Agricultores, invece, era oggetto di ricorso un’organizzazione comune di mercato nel settore della politica agricola. Oggi un regolamento del genere andrebbe adottato con procedura legislativa ordinaria (articolo 43, paragrafo 2, TFUE) e rappresenterebbe quindi un atto legislativo (articolo 289, paragrafo 3, TFUE). Anche ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, dunque, non vi sarebbe alcuna possibilità per le persone fisiche e giuridiche di ricorrere contro tale regolamento direttamente dinanzi ai giudici dell’Unione, a meno che quest’ultimo non le riguardi direttamente e, soprattutto, individualmente (seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE). Naturalmente ciò non vuol dire che i singoli non possano ottenere una tutela giurisdizionale effettiva contro le disposizioni delle organizzazioni comuni di mercato, ma che è loro facoltà eccepire l’eventuale illegittimità di un’organizzazione comune di mercato in via incidentale. A seconda della natura della causa, lo potranno fare nel quadro di ricorsi di annullamento proposti dinanzi ai giudici dell’Unione contro misure di esecuzione della Commissione, oppure di rimedi giurisdizionali promossi dinanzi a giudici interni contro misure di esecuzione assunte da organi nazionali (38).

61.      A mero titolo di annotazione a margine, anche nel caso di specie la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti non sono privati della tutela giurisdizionale dall’interpretazione che il Tribunale effettua della nozione di «atti regolamentari» di cui alla terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Hanno invece facoltà di eccepire la presunta illegittimità del regolamento n. 1007/2009 in via incidentale, cioè nel quadro di controversie eventualmente promosse contro misure di esecuzione relative a quel regolamento. È appunto ciò che la maggior parte di loro ha fatto dinanzi al Tribunale dell’Unione europea in occasione di un ricorso ancora pendente contro il regolamento di esecuzione n. 737/2010 della Commissione (39).

62.      Tutto sommato, pertanto, la prima parte del primo motivo è priva di fondamento.

2.      La questione dell’interesse diretto e individuale dei ricorrenti (seconda parte del primo motivo)

63.      Poiché, secondo la soluzione da me proposta, la prima parte del primo motivo non ha prospettive di successo, va ora analizzata la seconda parte di tale motivo, fatta valere in subordine, con la quale i ricorrenti eccepiscono l’erronea interpretazione e applicazione, da parte del Tribunale, del requisito di ricevibilità dell’«interesse diretto e individuale».

64.      Il criterio dell’interesse diretto e individuale (seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE) è volto a procurare alle persone fisiche e giuridiche una tutela giurisdizionale effettiva contro gli atti giuridici dell’Unione non indirizzati a loro senza però estendere al contempo il campo di applicazione del ricorso di annullamento al punto di farne una sorta di azione popolare (actio popularis).

65.      Il Tribunale si è soffermato sul suddetto criterio nei punti 68‑93 dell’ordinanza impugnata, dopo essere giunto alla conclusione che la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti non potevano impugnare il regolamento n. 1007/2009, che è un atto legislativo ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 3, TFUE alle condizioni semplificate vigenti per gli atti regolamentari (terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE).

a)      L’interesse diretto dei ricorrenti

66.      I ricorrenti si oppongono in primo luogo all’opinione del Tribunale secondo cui solo quattro tra loro sarebbero direttamente interessati dal regolamento controverso, ovvero Ta Ma Su Seal Products, NuTan Furs, GC Rieber Skinn e Canadian Seal Marketing Group (40); stando ai fatti accertati dal Tribunale, si tratta in quei casi di tre imprese e di un consorzio imprenditoriale attivi nel commercializzare prodotti derivati dalla foca e di altro tipo nel mercato interno europeo.

67.      I ricorrenti eccepiscono l’interpretazione troppo restrittiva che il Tribunale avrebbe dato in tal modo al criterio dell’interesse diretto. A loro giudizio vanno considerati direttamente interessati dal regolamento controverso anche i ricorrenti che operano solo nella fase che precede la commercializzazione di prodotti derivati dalla foca nel mercato unico europeo, cioè non solo chi caccia e cattura foche e le loro associazioni di rappresentanza, ma anche la ricorrente Karliin Aariak, che si occupa di creare e vendere abiti confezionati con pelli di foca.

–       Osservazioni preliminari

68.      Occorre tener presente, in via introduttiva, che il criterio dell’interesse diretto, contenuto nell’articolo 263, quarto comma, TFUE, non può essere interpretato in modo più restrittivo di quello, dalla formulazione identica, contenuto nelle previgenti norme dell’articolo 173, quarto comma, del Trattato C(E)E e dell’articolo 230, quarto comma, CE (41). I ricorrenti lo hanno giustamente fatto notare e anche le istituzioni parti nel procedimento non lo hanno messo in dubbio.

69.      La nozione di interesse diretto è la stessa nella seconda e nella terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Quanto espongo di seguito, di conseguenza, varrebbe anche nel caso in cui la Corte, non accogliendo la mia proposta, dovesse classificare il regolamento controverso tra gli atti regolamentari (42).

70.      Per definire i requisiti giuridici perché vi sia interesse diretto, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, il Tribunale è ricorso a una formula adoperata spesso nella giurisprudenza recente dei giudici dell’Unione (43). Secondo tale formula, la condizione secondo la quale l’atto giuridico dell’Unione deve incidere direttamente sulla persona fisica o giuridica è soddisfatta solo se l’atto contestato produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di quest’ultima e se esso non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari incaricati della sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione senza intervento di altre norme intermedie (44).

71.      Nutro qualche dubbio sulla reale idoneità di tale formula a descrivere in via definitiva il criterio dell’interesse diretto di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE. Da una parte, infatti, sono ripetutamente ammessi in giurisprudenza – e con piena ragione – ricorsi di annullamento proposti da singoli contro atti giuridici dell’Unione che producono su di loro effetti di natura non giuridica ma semplicemente reale, ad esempio perché incidono direttamente sulla loro qualità di operatori di mercato in concorrenza con altri operatori (45). D’altra parte sono noti casi di giurisprudenza in cui l’interesse diretto di un soggetto è stato riconosciuto anche in presenza di un certo potere discrezionale degli organismi competenti per l’attuazione dell’atto giuridico dell’Unione, purché si potesse ritenere sufficientemente probabile che tale discrezionalità sarebbe stata esercitata in un determinato modo (46).

72.      In ogni caso, queste sfumature nella formulazione del criterio dell’interesse diretto non fanno alcuna differenza per il caso di specie. Infatti, anche quando si muova dal presupposto che, nell’ambito della seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, vanno considerati non solo gli effetti dell’atto giuridico dell’Unione sulla situazione giuridica del soggetto, ma anche i suoi effetti di natura reale su quest’ultimo, comunque tali effetti non potranno essere solo di tipo indiretto. Concretamente, ciò va determinato caso per caso con riguardo al contenuto normativo dello specifico atto giuridico dell’Unione contestato.

–       La situazione dei soggetti che operano nei segmenti a monte della filiera

73.      Nel caso di specie il regolamento n. 1007/2009 contiene, come risulta dal suo articolo 1, «norme armonizzate in materia di immissione sul mercato» dell’Unione europea «di prodotti derivati dalla foca». Per contro tale regolamento non disciplina in alcun modo le attività di caccia alla foca, fabbricazione dei prodotti derivati o ricerca connessa a tale fabbricazione (47).

74.      Pertanto, il Tribunale ha giustamente mosso dal presupposto che tutte le parti nel procedimento che operano in uno di quei segmenti della filiera, a monte della concreta commercializzazione nell’Unione europea dei prodotti derivati dalla foca, non siano interessate direttamente dal regolamento controverso. Ciò vale da un lato per chi caccia e cattura foche e per le loro associazioni di rappresentanza, dall’altro per tutte le persone e le associazioni che hanno a che fare, nel senso più ampio possibile, con la trasformazione dei materiali ottenuti mediante la caccia alla foca.

75.      Poiché tutti questi soggetti non immettono direttamente prodotti derivati dalla foca nel mercato dell’Unione europea, il regolamento controverso produce su di loro effetti non diretti ma indiretti. Può ben darsi che le ricadute economiche dell’assetto normativo creato dal regolamento siano chiaramente avvertibili anche da questa cerchia di soggetti. Tuttavia, come hanno giustamente evidenziato gli organi dell’Unione europea che sono parti nel procedimento, il criterio dell’interesse diretto perderebbe funzione e delimitazione, e la cerchia dei potenziali ricorrenti sarebbe estesa all’infinito, se si volessero considerare direttamente interessati anche i soggetti attivi nei segmenti a monte della filiera.

–       La situazione della sig.ra Karliin Aariak

76.      Meno chiara è la situazione della ricorrente Karliin Aariak, che secondo gli accertamenti del Tribunale appartiene anch’essa alla comunità Inuit e si occupa di creazione e vendita di abiti confezionati con pelle di foca. Nel suo caso il Tribunale ha negato la presenza di interesse diretto, in quanto «non ha affermato di essere attiva nell’immissione in commercio di prodotti diversi da quelli rientranti nell’eccezione [Inuit] di cui trattasi» (48).

77.      Al riguardo va anzitutto rilevato che l’accertamento dei fatti compiuto dal Tribunale non chiarisce se la sig.ra Aariak immetta lei stessa nel mercato interno europeo gli abiti confezionati con pelle di foca da lei disegnati e distribuiti o se si limiti a venderli a intermediari che poi li commercializzano nell’Unione europea a nome e per conto proprio. Nel secondo caso la sig.ra Aariak, analogamente ai cacciatori e ai trapper già citati, sarebbe attiva solo in un segmento a monte della filiera e di conseguenza non potrebbe essere considerata direttamente interessata dal regolamento n. 1007/2009.

78.      Poiché il Tribunale non ha compiuto tutti gli accertamenti necessari al riguardo, su questo punto la sua ordinanza è gravata da un errore di diritto.

79.      Se però si sostiene, come sembra avere in mente il Tribunale, che è effettivamente la sig.ra Aariak a immettere prodotti derivati dalla foca nel mercato interno europeo (49), è difficile negare che sia direttamente interessata dal regolamento controverso. In quel caso, infatti, l’attività commerciale della sig.ra Aariak è direttamente soggetta alle norme poste dal regolamento n. 1007/2009 in materia di immissione nel mercato di tali prodotti.

80.      Contrariamente a ciò che ritiene il Tribunale (50), il fatto che, per applicare alla sig.ra Aariak l’eccezione Inuit pertinente al suo caso, occorre che la Commissione la precisi adottando modalità di applicazione (v. articolo 3, paragrafo 1, in combinato disposto con i paragrafi 3 e 4 del regolamento n. 1007/2009) non esclude l’interesse diretto di questa ricorrente.

81.      Un’opzione, infatti, è ritenere, come fa il Tribunale, che le modalità di applicazione della Commissione siano così essenziali che, nelle more della loro adozione, non ci si può neanche avvalere dell’eccezione prevista dal legislatore dell’Unione per gli Inuit. In tal caso, durante la fase transitoria precedente l’adozione delle suddette modalità, varrebbe in pari misura per tutti i prodotti derivati dalla foca il divieto generale di immissione sul mercato interno europeo, come prescrive l’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1007/2009. Ne sarebbero allora direttamente interessati tutti i soggetti attivi nella commercializzazione di prodotti derivati dalla foca, anche la sig.ra Aariak.

82.      L’altra opzione è ritenere, diversamente dal Tribunale, che le modalità di applicazione della Commissione siano così poco essenziali che, anche prima della loro adozione, ci si può già avvalere dell’eccezione prevista dal legislatore dell’Unione per gli Inuit. In tal caso, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1007/2009, l’immissione sul mercato interno europeo di prodotti derivati dalla foca provenienti dalla caccia tradizionale praticata dagli Inuit o da altre comunità indigene sarebbe permessa a priori e lo resterebbe. Anche intesa in questo modo, la norma interesserebbe direttamente tutti i soggetti attivi nella commercializzazione di prodotti derivati dalla foca sul mercato interno europeo, sig.ra Aariak compresa.

83.      In un caso come nell’altro, i soggetti attivi nella commercializzazione di prodotti derivati dalla foca sul mercato interno europeo sono direttamente interessati dalla normativa europea che regola l’immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca (51). Non può nascere una zona grigia come quella in cui il Tribunale sembra collocare la sig.ra Aariak.

84.      Tutto sommato, pertanto, gli accertamenti del Tribunale sulla questione dell’interesse diretto della ricorrente Karliin Aariak presentano un errore di diritto. Di per sé, però, quest’applicazione giuridicamente errata del criterio dell’interesse diretto da parte del Tribunale non può bastare a determinare la revoca dell’ordinanza impugnata. Rimane invece da esaminare l’altro motivo di irricevibilità di ordine pubblico, ovvero l’interesse individuale dei ricorrenti (52).

b)      L’interesse individuale dei ricorrenti

85.      A prescindere completamente dal fatto che il regolamento controverso interessi direttamente alcuni ricorrenti e dal numero di ricorrenti per cui ciò eventualmente avviene, i ricorrenti in questione dovranno per di più essere interessati individualmente dal regolamento per poter proporre un ricorso di annullamento ricevibile in base alla seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

86.      Secondo una costante giurisprudenza risalente alla sentenza Plaumann, una persona fisica o giuridica deve essere considerata interessata individualmente da un atto delle istituzioni dell’Unione se tale atto la tocca a motivo di determinate qualità personali o di una situazione di fatto che la caratterizzi rispetto a chiunque altro e, quindi, la identifichi in modo analogo al destinatario (53).

87.      Il regolamento n. 1007/2009 non produce effetti del genere nei confronti della Inuit Tapiriit Kanatami e degli altri ricorrenti. Come ha evidenziato correttamente il Tribunale (54), il divieto di immettere sul mercato prodotti derivati dalla foca disciplinato nel regolamento controverso è formulato in termini generali e può valere indistintamente per ogni operatore economico che rientri nel suo ambito di applicazione. Il regolamento controverso vale per situazioni determinate oggettivamente e produce effetti giuridici nei confronti di gruppi di persone individuati in maniera generale e astratta. Nessuno dei ricorrenti è identificato da tale regolamento in modo analogo al destinatario di una decisione. Essi sono piuttosto interessati dal regolamento al pari di ogni altro operatore economico che crei o immetta sul mercato prodotti derivati dalla foca (55).

88.      Pur non contestando questo punto, i ricorrenti sono comunque del parere che dovrebbero essere considerati individualmente interessati dal regolamento. Ritengono che, con il Trattato di Lisbona, sia giunto il momento per la Corte di abbandonare la giurisprudenza Plaumann sull’interesse individuale.

89.      Questa argomentazione deve essere respinta. Contrariamente all’opinione dei ricorrenti, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona non rende affatto necessario un riesame della giurisprudenza dei giudici dell’Unione in materia di interesse individuale. Anzi, il fatto che l’interesse (diretto e) individuale quale requisito di ricevibilità sia passato senza modifiche dalla seconda ipotesi dell’articolo 230, quarto comma, CE alla seconda ipotesi dell’attuale articolo 263, quarto comma, TFUE depone a favore del mantenimento della giurisprudenza Plaumann.

90.      Il legislatore dei Trattati, infatti, dopo intensa trattazione dell’intera problematica nell’ambito della Convenzione europea e al fine di rafforzare la tutela giurisdizionale dei singoli contro gli atti giuridici dell’Unione di portata generale, ha deciso non già di riformare il criterio dell’interesse individuale, ma di introdurre invece nell’articolo 263, quarto comma, TFUE una terza possibilità di ricorso, totalmente nuova: la già discussa (56) possibilità per le persone fisiche e giuridiche di ricorrere contro gli atti regolamentari che li riguardino direttamente e non comportino alcuna misura di esecuzione (57).

91.      Pertanto, neanche la seconda parte del primo motivo può trovare accoglimento.

3.      Conclusione intermedia

92.      Nel complesso, quindi, il primo motivo va respinto.

B –    Secondo motivo

93.      Nel secondo motivo i ricorrenti argomentano che il Tribunale in primo luogo non avrebbe motivato a sufficienza la propria ordinanza e in secondo luogo avrebbe frainteso le esigenze di una tutela giurisdizionale effettiva.

1.      Requisiti di motivazione dell’ordinanza resa in primo grado (prima parte del secondo motivo)

94.      Nella prima parte del secondo motivo i ricorrenti eccepiscono quella che giudicano l’insufficiente motivazione dell’ordinanza impugnata. Il difetto di motivazione censurato consiste nel fatto che il Tribunale non avrebbe affrontato in modo abbastanza approfondito gli argomenti addotti in primo grado dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti in merito all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (58) e agli articoli 6 e 13 della CEDU (59). A tale proposito i ricorrenti evidenziano in particolare che il Tribunale non avrebbe neanche menzionato gli articoli 6 e13 della CEDU.

95.      È esatto ritenere che, se il Tribunale non approfondisce a sufficienza gli argomenti di una parte nel provvedimento di primo grado, ciò può costituire un difetto di motivazione (60).

96.      Secondo una costante giurisprudenza, tuttavia, l’obbligo di motivazione non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che segua esaustivamente e uno per uno tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia e la motivazione può quindi essere implicita, a condizione che permetta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali il Tribunale ha disatteso i loro argomenti e alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo (61).

97.      Nella fattispecie, il Tribunale ha soddisfatto tali condizioni.

98.      Gli argomenti in questione, addotti dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti e relativi al diritto fondamentale a un ricorso effettivo, erano contenuti, a giudizio degli stessi, nei punti 53‑57 della memoria depositata in primo grado in risposta alle eccezioni di irricevibilità sollevate dal Parlamento e dal Consiglio. È innegabile che il Tribunale vi abbia dato riscontro nel punto 51 dell’ordinanza impugnata, laddove spiega che – anche alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva – un giudice dell’Unione non potrebbe interpretare la legittimazione dei singoli a proporre ricorso contro un regolamento in modo da indurre ad escludere i requisiti espressamente previsti dal Trattato.

99.      Può darsi che tale risposta sia reputata troppo scarna. Tuttavia, la misura in cui il Tribunale, nella motivazione della pronuncia conclusiva del procedimento, è tenuto ad approfondire l’argomentazione di una parte dipende in misura non marginale dal suo grado di fondatezza e dal peso che gli compete rispetto agli altri argomenti addotti dalla stessa parte. Data la brevità e la superficialità delle considerazioni formulate dai ricorrenti in primo grado sul diritto fondamentale a un ricorso effettivo (62), si può difficilmente rimproverare al Tribunale di non aver sottoposto la problematica a un’analisi più incisiva nell’ordinanza impugnata.

100. Ciò è tanto più vero in quanto il Tribunale ha potuto fare assegnamento in materia su una solida giurisprudenza dei giudici dell’Unione (63). Le considerazioni esposte dal Tribunale al punto 51 dell’ordinanza impugnata e combinate a una citazione giurisprudenziale pertinente (64) fanno capire a sufficienza i motivi per cui il Tribunale non ha accolto l’argomento avanzato dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti in merito alle esigenze di una tutela giurisdizionale effettiva.

101. In tale contesto, non reca pregiudizio il fatto che il Tribunale, al punto 51 dell’ordinanza impugnata, citi solo l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali e non gli articoli 6 e 13 della CEDU. Nel punto in questione, infatti, il Tribunale affronta l’argomentazione dei ricorrenti sul diritto a un ricorso effettivo in via generale e, a tale proposito, menziona l’articolo 47 della Carta solo a titolo di esempio («in particolare») (65).

102. I ricorrenti eccepiscono inoltre la contradditorietà del Tribunale laddove, nel punto 51 dell’ordinanza impugnata, a proposito dei limiti delle possibilità di ricorso diretto dei singoli, qualifica un requisito di ricevibilità come «espressamente previsto dal Trattato» pur avendo prima dovuto dedurlo, a fatica, per via interpretativa.

103. Neanche questo argomento però risulta convincente. È ovvio che la nozione di «atti regolamentari» necessita di un’interpretazione. Ciò però non toglie minimamente che si tratti comunque di un requisito di ricevibilità previsto espressamente dall’articolo 263, quarto comma, TFUE per i ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche e giuridiche.

104. Nel complesso, dunque, il Tribunale ha esposto considerazioni sulla problematica della tutela giurisdizionale effettiva senza contraddirsi e con sufficiente chiarezza. Sul piano dei contenuti può darsi che i ricorrenti siano di parere diverso dal Tribunale. Di per sé, però, questo fatto non può configurare un difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata (66), ma tutt’al più un difetto di contenuto, cosa che andrà verificata di seguito nell’ambito della seconda parte del secondo motivo.

2.      La violazione contestata del diritto fondamentale a un ricorso effettivo (seconda parte del secondo motivo)

105. Poiché la prima parte del secondo motivo non ha prospettive di successo, va analizzata di seguito la seconda parte di tale motivo, fatta valere in subordine: a giudizio dei ricorrenti l’interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, in base alla quale il Tribunale ha dichiarato il ricorso di primo grado irricevibile, sarebbe in contrasto con le esigenze di una tutela giurisdizionale effettiva che emergono «quali principi generali di diritto dell’Unione» dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali e dagli articoli 6 e 13 della CEDU.

106. Il diritto a un ricorso effettivo, riconosciuto a livello dell’Unione quale principio giuridico generale (67), è assurto al rango di diritto fondamentale dell’Unione nell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali.

107. Che ci si richiami alla Carta oppure ai principi generali del diritto dell’Unione, tale diritto fondamentale va indubbiamente tenuto in debito conto nell’interpretare e applicare i requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche e giuridiche (68), e ciò vale per tutte e tre le ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

108. La Corte ha però già chiarito che il diritto a un ricorso effettivo non rende necessario un ampliamento delle possibilità di ricorso diretto delle persone fisiche e giuridiche contro gli atti giuridici dell’Unione di portata generale. Contrariamente all’opinione dei ricorrenti, infatti, tale diritto fondamentale non permette di dedurre in automatico che le persone fisiche e giuridiche debbano necessariamente avere facoltà di ricorrere contro gli atti legislativi dell’Unione europea direttamente ai giudici dell’Unione (69).

109. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009, non è cambiato nulla di essenziale al riguardo nelle previsioni dei diritti fondamentali. Il Trattato ha sì dato efficacia vincolante alla Carta dei diritti fondamentali, l’ha elevata al rango di diritto primario dell’Unione e ha disposto che la Carta e i Trattati avessero lo stesso valore giuridico (articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE), ma non ha modificato il contenuto del diritto fondamentale a un ricorso effettivo, riconosciuto a livello dell’Unione. Ciò si evince in particolare dalle spiegazioni (70) fornite come orientamenti per l’interpretazione della Carta, che vanno tenute nel debito conto dai giudici dell’Unione come da quelli degli Stati membri (articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE, in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 7, della Carta).

110. Niente di diverso discende dalla clausola di omogeneità che è sancita nell’articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta e alla quale, a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE ci si deve conformare nell’interpretare e applicare il diritto fondamentale a un ricorso effettivo. Secondo tale clausola, i diritti fondamentali della Carta, che corrispondono ai diritti garantiti anche dalla CEDU, hanno significato e portata uguali a quelli conferiti da quest’ultima. Riguardo al diritto fondamentale dell’Unione a un ricorso effettivo va perciò tenuto conto degli articoli 6 e 13 della CEDU, su cui si basa l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali (71). Contrariamente a ciò che ritengono i ricorrenti, però, allo stato attuale dell’interpretazione da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, questi due diritti sanciti dalla CEDU non impongono di concedere necessariamente ai singoli la possibilità di ricorrere direttamente contro gli atti legislativi (72).

111. Rimane certo possibile che il diritto dell’Unione conceda una tutela più estesa di quella della CEDU, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, seconda frase, della Carta, ma qui si deve tenere in debito conto la volontà del legislatore dei Trattati. Come già osservato (73), quest’ultimo, dopo un’approfondita disamina nell’ambito della Convenzione europea, ha infine dato risposta negativa all’ampliamento delle possibilità di ricorso diretto contro gli atti legislativi per le persone fisiche e giuridiche.

112. Il legislatore dei Trattati ha inoltre chiarito che le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei Trattati (articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, TUE). Date le premesse, non si possono prendere a fondamento i diritti fondamentali della Carta, e in particolare il diritto a un ricorso effettivo di cui all’articolo 47 della stessa, per includere gli atti legislativi nella categoria degli atti regolamentari (terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE) o per alleggerire i requisiti previsti per considerare un singolo direttamente e individualmente interessato da un atto legislativo (seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE). Un’interpretazione del genere, infatti, equivarrebbe a estendere le competenze dell’Unione in contrasto con l’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, TUE e per l’esattezza a estendere le competenze giurisprudenziali dell’organo «Corte di giustizia dell’Unione europea» (articolo 19, paragrafo 1, prima frase, TUE).

113. Porta alla stessa conclusione uno sguardo all’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, al quale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE, ci si deve attenere nell’interpretare e applicare i diritti, le libertà e i principi che la Carta sancisce. Secondo tale articolo la Carta non crea competenze o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai Trattati. Gli Stati membri hanno dimostrato di attribuire un significato cruciale a tale disposizione, in particolare ripetendone espressamente la lettera in una dichiarazione comune sui Trattati (74).

114. In base a ciò, l’ampliamento della legittimazione a ricorrere contro gli atti legislativi concessa alle persone fisiche e giuridiche dalla terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE non potrebbe avvenire per interpretazione dei giudici dell’Unione e renderebbe invece necessario l’avvio di un procedimento di revisione dei Trattati (75). Lo stesso varrebbe se si volesse apportare una modifica radicale ai requisiti previsti nell’ambito della seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, perché un singolo possa essere considerato direttamente e individualmente interessato da un atto legislativo.

115. Contrariamente all’opinione dei ricorrenti, tuttavia, non si deve temere che vi sia una lacuna nelle possibilità per i singoli di ottenere tutela giurisdizionale contro gli atti legislativi dell’Unione europea. I Trattati hanno infatti istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e procedimenti che, anche a prescindere dalle possibilità di ricorso diretto, offre ai singoli una tutela giurisdizionale effettiva contro gli atti legislativi mediante l’eccezione incidentale di invalidità (76).

116. Come evidenzia inoltre l’articolo 19, paragrafo 1, TUE, il sistema di tutela giurisdizionale dei Trattati si regge su due pilastri: quello dei giudici dell’Unione europea e quello dei giudici nazionali (77).

117. Nel caso in cui l’attuazione dell’atto giuridico dell’Unione interessato richieda l’intervento di organismi dell’Unione, la sua legittimità potrà essere controllata in via incidentale dai giudici dell’Unione nell’ambito di un ricorso di annullamento contro il rispettivo strumento di attuazione, a norma dell’articolo 277 TFUE. Se invece, come spesso avviene, l’attuazione dell’atto giuridico dell’Unione interessato richiede l’intervento di organismi nazionali, la sua legittimità potrà essere sottoposta al sindacato della Corte mediante il procedimento pregiudiziale di cui all’articolo 19, paragrafo 3, lettera b), TUE, in combinato disposto con l’articolo 267, paragrafo 1, lettera b), TFUE (78), e in certi casi tale rinvio pregiudiziale deve persino aver luogo (79).

118. A volte naturalmente si obietta che un controllo di legittimità di un atto legislativo esercitato solo in via incidentale non basta a sostituire la mancata possibilità per il singolo interessato di ricorrere contro l’atto direttamente. Si fa notare in particolare che il singolo non deve trovarsi in una situazione in cui si vede costretto a trasgredire a un comando o divieto immediatamente efficace, previsto da normative dell’Unione, solo per indurre l’autorità competente a emanare un atto esecutivo contro il quale potrà poi difendersi dinanzi al giudice (80).

119. In effetti vi sarebbe un divario rispetto al diritto fondamentale a un ricorso effettivo garantito dall’Unione, se una persona fisica o giuridica dovesse comportarsi in modo antigiuridico, esponendosi eventualmente anche alla minaccia di una sanzione, solo per poter accedere poi al controllo giurisdizionale dell’atto giuridico dell’Unione interessato dinanzi ai giudici competenti (81). Nel sistema dei Trattati europei, tuttavia, non si deve temere una situazione del genere in relazione agli atti legislativi dell’Unione.

120. Di norma – per esempio se vige il divieto di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca – sarà di competenza degli organismi nazionali vigilare sull’osservanza di un comando o divieto immediatamente efficace derivante da un atto legislativo dell’Unione. È poi facoltà del singolo rivolgersi all’organismo competente – per esempio nella fattispecie l’amministrazione nazionale competente per le importazioni o le dogane – e chiedere conferma del fatto che il comando o divieto in questione non si applichi a lui (82). Perché sia garantita una tutela giurisdizionale effettiva, l’eventuale decisione di rigetto di tale organismo nazionale deve essere accessibile al controllo dei giudici interni, che a loro volta possono, e in certi casi addirittura devono, chiedere alla Corte di giustizia una pronuncia pregiudiziale sulla validità dell’atto giuridico dell’Unione sul quale si fonda la decisione (83).

121. In linea generale è compito degli Stati membri stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione (84). Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, questo obbligo è espressamente normato dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, e tra l’altro fa sì che i requisiti di ricevibilità dei ricorsi proposti dinanzi ai giudici interni, comprese eventuali azioni di accertamento o inibitorie a carattere preventivo, non possano essere applicati in modo troppo restrittivo (85).

122. Se, in via eccezionale, il controllo dell’osservanza di un comando o divieto immediatamente efficace contenuto in una normativa dell’Unione dovesse rientrare nelle competenze di un organo, istituzione o altro organismo dell’Unione, sarebbe poi facoltà del singolo rivolgersi a tale organismo e chiedere conferma del fatto che il comando o divieto in questione non si applichi a lui. Secondo un principio di buona amministrazione, l’organismo interessato sarebbe tenuto a rendere nota tale richiesta (86). Perché sia garantita una tutela giurisdizionale effettiva, l’eventuale decisione di rigetto di tale organismo andrebbe considerata una decisione ai sensi dell’articolo 288, quarto comma, TFUE, impugnabile dal destinatario mediante il ricorso di annullamento di cui alla prima ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Nel quadro di tale ricorso, facendo appello all’articolo 277 TFUE, sarebbe possibile eccepire in via incidentale l’illegittimità dell’atto legislativo dell’Unione su cui si fonda la decisione.

123. Nei casi urgenti è possibile la concessione di una tutela giurisdizionale provvisoria, sia dinanzi ai giudici dell’Unione (articolo 278 TFUE e 279 TFUE) che dinanzi ai giudici nazionali (87). Tale circostanza è stata giustamente evidenziata dal Consiglio in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte.

124. Tutto sommato, perciò, l’argomentazione dei ricorrenti in merito alle esigenze di un’effettiva tutela giurisdizionale deve essere respinta.

3.      Conclusione intermedia

125. Il secondo motivo risulta pertanto interamente infondato.

C –    Terzo motivo

126. Nel terzo motivo si eccepisce lo snaturamento dei mezzi di prova. I ricorrenti contestano al Tribunale di aver «presentato in maniera errata (…) snaturandoli» gli argomenti da loro avanzati in primo grado.

127. Da un lato i ricorrenti ritengono che il Tribunale, nel punto 47 dell’ordinanza impugnata, abbia erroneamente attribuito loro l’affermazione secondo cui la distinzione tra gli atti legislativi e quelli regolamentari consisterebbe nell’aggiungere l’aggettivo qualificativo «legislativi» dopo il termine «atti» riferito alle prime due possibilità previste dall’articolo 263, quarto comma, TFUE (88). In tal modo, a loro giudizio, il Tribunale avrebbe confuso gli argomenti dei ricorrenti con quelli del Parlamento e del Consiglio.

128. D’altro lato i ricorrenti contestano al Tribunale di aver loro attribuito, nel punto 48 dell’ordinanza impugnata, l’affermazione secondo cui gli Stati membri erano intenzionati a limitare la portata dell’ultima ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, ai soli atti delegati di cui all’articolo 290 TFUE.

1.      Ricevibilità

129. Gli organi dell’Unione che sono parti nel procedimento contestano già immediatamente la ricevibilità del motivo in esame, osservando che qui non si tratta di prove che avrebbero potuto essere snaturate bensì tutt’al più di argomentazioni giuridiche.

130. Questo rilievo non coglie nel segno. Alla Corte come grado di appello spetta il compito di verificare non solo se nel provvedimento di primo grado il Tribunale abbia snaturato fatti o mezzi di prova, ma anche se abbia snaturato le argomentazioni delle parti (89).

131. I ricorrenti hanno peraltro indicato in modo sufficientemente preciso in quale parte dell’ordinanza impugnata localizzano l’asserito snaturamento e in che cosa secondo loro consisterebbe.

132. Il terzo motivo è pertanto ricevibile.

2.      Fondatezza

133. Per l’esame della fondatezza del terzo motivo può servire come punto di partenza la giurisprudenza costante in materia di snaturamento dei mezzi di prova. Secondo quest’ultima sussiste uno snaturamento solo se, senza che occorra assumere nuove prove, la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta evidentemente inesatta (90).

134. Se si traspone tale giurisprudenza agli argomenti dedotti dalle parti in primo grado, si deve presumere che vi sia stato snaturamento solo se è evidente che il Tribunale li abbia fraintesi o riprodotti in modo distorto (91). Di seguito verificherò se ciò avvenga nei punti censurati (47 e 48) dell’ordinanza impugnata.

a)      Punto 47 dell’ordinanza impugnata

135. Fa da sfondo al punto 47 dell’ordinanza impugnata una questione controversa dibattuta tra le parti nel procedimento: se, in virtù di qualsivoglia ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, possa essere consentito alle persone fisiche e giuridiche di proporre ricorso contro atti legislativi. Nel procedimento di primo grado il Parlamento e il Consiglio hanno argomentato che tali ricorsi potessero essere ammessi non in base alla terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, bensì in base alla prima e alla seconda (92). In risposta la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti hanno contestato ai due organi europei di aver interpretato il termine «atti» nel senso di «atti legislativi» nella prima e nella seconda ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE (93).

136. È questa presentazione degli argomenti del Parlamento e del Consiglio da parte della Inuit Tapiriit Kanatami e degli altri ricorrenti che il Tribunale designa «l’argomento dei ricorrenti» nel punto 47 dell’ordinanza impugnata. In quel brano, dunque, il Tribunale non sostiene che siano gli stessi ricorrenti a interpretare il termine «atti» nel senso di «atti legislativi», ma si limita ad analizzare le presunte conseguenze che, agli occhi dei ricorrenti, gli argomenti del Parlamento e del Consiglio sono destinati a produrre. Ciò che il Tribunale respinge nel punto 47 dell’ordinanza impugnata è solo tale interpretazione degli argomenti della controparte ad opera della Inuit Tapiriit Kanatami e degli altri ricorrenti.

137. Date queste premesse, non si può contestare al Tribunale di avere evidentemente frainteso o riprodotto in modo distorto l’argomento dei ricorrenti nel punto 47 dell’ordinanza impugnata. Sono anzi gli stessi ricorrenti a muovere dal presupposto di una lettura evidentemente inesatta del brano controverso dell’ordinanza.

b)      Punto 48 dell’ordinanza impugnata

138. Le cose stanno diversamente per il punto 48 dell’ordinanza impugnata, in cui il Tribunale osserva che, «contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti», gli Stati membri non intendevano limitare la portata dell’ultima parte di frase dell’articolo 263, quarto comma, TFUE ai soli atti delegati di cui all’articolo 290 TFUE.

139. In quel brano dell’ordinanza, dunque, il Tribunale sostiene che, nel procedimento di primo grado, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti abbiano fatto valere che gli Stati membri intendevano limitare la portata dell’ultima parte di frase dell’articolo 263, quarto comma, TFUE ai soli atti delegati di cui all’articolo 290 TFUE.

140. Con tale formulazione il Tribunale ha riprodotto l’argomentazione avanzata dai ricorrenti in primo grado in modo evidentemente distorto. In realtà, infatti, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti non hanno affermato in alcuna fase del procedimento che fosse intenzione degli Stati membri far rientrare nell’ultima parte di frase dell’articolo 263, quarto comma, TFUE i soli atti delegati di cui all’articolo 290 TFUE. Peraltro, ciò sarebbe anche stato in pieno contrasto con la domanda da loro avanzata nella controversia in esame.

141. In entrambi i gradi di giudizio, invece, i ricorrenti hanno costantemente difeso l’opinione secondo cui il Trattato di Lisbona avrebbe dovuto impiegare la nozione di «atto delegato» di cui all’articolo 290 TFUE, al posto di quella di «atti regolamentari», se avesse perseguito lo scopo di limitare l’ambito di applicazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE agli atti non legislativi (94).

142. Di conseguenza, nel punto 48 dell’ordinanza impugnata il Tribunale ha snaturato l’argomento avanzato dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti.

143. Naturalmente tale snaturamento non deve necessariamente comportare la revoca del provvedimento reso in primo grado dal Tribunale (95), come ha evidenziato giustamente il Parlamento.

144. Soprattutto nella fattispecie la revoca dell’ordinanza impugnata sembra inopportuna, giacché la presentazione marginalmente inesatta dell’argomento dei ricorrenti non ha avuto effetti di alcun tipo sul provvedimento del Tribunale. Il Tribunale invece, come tutte le altre parti nel procedimento, ha mosso dal presupposto che la definizione di «atti regolamentari» fosse più ampia di quella di «atto delegato» di cui all’articolo 290 TFUE.

145. Ciò trova espressione anche nel controverso punto 48 dell’ordinanza impugnata, laddove il Tribunale, riguardo all’ultima parte dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, afferma che «l’obiettivo degli Stati membri non era limitare la portata di tale disposizione ai soli atti delegati ai sensi dell’art. 290 TFUE, bensì, più in generale, agli atti regolamentari».

146. Di conseguenza, l’eccezione sollevata dai ricorrenti sul punto 48 dell’ordinanza impugnata, seppure corretta nel merito, è in definitiva improduttiva di effetti (in francese: «inopérant») (96).

3.      Conclusione intermedia

147. Tutto sommato, pertanto, anche il terzo motivo è infondato.

D –    Sintesi

148. Poiché nessuno dei motivi prospettati dai ricorrenti conduce a esito positivo, l’impugnazione nel suo complesso deve essere respinta.

V –    Spese

149. Qualora l’impugnazione venga respinta, come propongo nel caso di specie, la Corte statuisce sulle spese (articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura), in conformità di quanto specificato in dettaglio negli articoli 137‑146, in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, di tale regolamento (97).

150. Dal combinato disposto dell’articolo 138, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura si evince che la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda; quando vi siano più parti soccombenti, la Corte decide sulla ripartizione delle spese. Poiché il Parlamento e il Consiglio ne hanno fatto domanda e i ricorrenti con rispettive argomentazioni sono risultati soccombenti, questi ultimi devono essere condannati al pagamento delle spese. Avendo presentato il ricorso congiuntamente, saranno tenuti a pagarle in solido tra loro (98).

151. Sulle spese della Commissione si deve statuire in deroga a quanto sopra. Tale organo, che si era associato al procedimento di primo grado quale interveniente a fianco del Parlamento e del Consiglio, ha partecipato anche al procedimento di impugnazione per iscritto e oralmente. Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 4, seconda frase, del regolamento di procedura, la Corte può condannare una parte così configurata a sopportare le proprie spese.

152. Come risulta dalla formulazione («può»), quest’ultima disposizione non esclude affatto che, qualora opportuno, la Corte statuisca a volte diversamente e condanni il ricorrente soccombente a sopportare le spese dell’interveniente della controparte in primo grado, se le domande da questo avanzate – come quelle della Commissione – sono state accolte nel procedimento di impugnazione (99). Nella fattispecie mi sembra però opportuno attenersi alla norma dettata dall’articolo 184, paragrafo 4, seconda frase, del regolamento di procedura. Il procedimento di impugnazione in esame, infatti, è servito a chiarire una questione di principio che riveste un notevole interesse istituzionale per la Commissione, ben al di là del caso concreto. Sotto questo profilo è del tutto equo che sopporti le proprie spese.

153. Per quanto riguarda, infine, il Regno dei Paesi Bassi, comparso anch’esso in primo grado quale interveniente a fianco del Parlamento e del Consiglio, non può essere condannato a sopportare spese, contrariamente alla domanda dei ricorrenti, perché non ha partecipato al procedimento di impugnazione (articolo 184, paragrafo 4, prima frase, del regolamento di procedura).

VI – Conclusione

154. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco pertanto alla Corte di statuire quanto segue:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Commissione europea sopporta le proprie spese.

3)      Per il resto le spese processuali sono poste a carico dei ricorrenti in solido tra loro.



1 –      Lingua originale: il tedesco.


2 – Sentenza del 15 luglio 1963, Plaumann/Commissione (25/62, Racc. pag. 213).


3 –      Sentenza del 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (C‑50/00 P, Racc. pag. I‑6677).


4 – Sentenza del 1° aprile 2004, Commissione/Jégo‑Quéré (C‑263/02 P, Racc. pag. I‑3425).


5 – La Corte si dovrà occupare fra breve nella causa C‑274/12 P (Telefónica/Commissione) delle misure di esecuzione cui si fa del pari riferimento all’articolo 263, quarto comma, TFUE.


6 –      Regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, sul commercio dei prodotti derivati dalla foca (GU L 286, pag. 36).


7 – Gli Inuit sono un’etnia aborigena vivente preminentemente nelle regioni artiche e subartiche nel Canada centrale e nordorientale, in Alaska, in Groenlandia e in parti della Russia. La nozione di eschimese(i) talvolta utilizzata nel linguaggio comune indica, oltre agli Inuit, anche altre etnie artiche.


8 – Ordinanza del Tribunale del 6 settembre 2011, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (T‑18/10, Racc. pag. II‑5599).


9 – Il sig. Efstathios Andreas Agathos figurava fra i ricorrenti in prime cure, ma non si è unito alla presente impugnazione.


10 – Causa Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione (T‑526/10) pendente dinanzi al Tribunale.


11 – Regolamento (UE) n. 737/2010 della Commissione, del 10 agosto 2010, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio sul commercio dei prodotti derivati dalla foca (GU L 216, pag. 1).


12 – L’articolo 289, paragrafo 3, TFUE definisce gli atti legislativi come «gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa».


13 – Sullo stato delle opinioni v., ex multis, Dougan, M., «The Treaty of Lisbon 2007: Winning minds, not hearts», Common Market Law Review 45 (2008), pagg. 617‑703 (677 e segg.); Lenaerts, K., «Le traité de Lisbonne et la protection juridictionnelle des particuliers en droit de l’Union», Cahiers de droit européen 2009, pagg. 711‑745 (725 e segg.); Görlitz, N./Kubicki, P., «Rechtsakte “mit schwierigem Charakter”», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht 2011, pagg. 248‑254 (250 e seg.); Herrmann, C., «Individualrechtsschutz gegen Rechtsakte der EU “mit Verordnungscharakter” nach dem Vertrag von Lissabon», Neue Zeitschrift für Verwaltungsrecht 2011, pagg. 1352‑1357 (1354 e segg.); Mazák, J., «Locus standi v konaní o neplatnosť: Od Plaumannovho testu k regulačným aktom», Právník 150 (2011), pagg. 219‑231 (223); Schwarze, J., «Rechtsschutz Privater gegen Rechtsakte mit Verordnungscharakter gemäß Art. 263, Abs. 4 Var. 3 AEUV», in: Müller‑Graff, P.‑C./ Schmahl, S./Skouris, V. (a cura di), Europäisches Recht zwischen Bewährung und Wandel – Festschrift für DieterH.Scheuing, Baden‑Baden 2011, pagg. 190‑207 (199 e segg.); Everling, U., «Klagerecht Privater gegen Rechtsakte der EU mit allgemeiner Geltung», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht 2012, pagg. 376‑380 (378 e segg.); Wathelet, M./Wildemeersch, J., «Recours en annulation: une première interprétation restrictive du droit d’action élargi des particuliers?», Journal de droit européen 2012, pagg. 75‑79 (79).


14 – Punto 56 dell’ordinanza impugnata; v. in via complementare anche i punti 42, 43 e 45.


15 – Ciò vale in particolare per le versioni tedesca («Verordnung» e «Rechtsakt mit Verordnungscharakter»), inglese («regulation» e «regulatory act»), francese («règlement» e «acte réglementaire»), greca («κανονισμός» e «κανονιστική πράξη»), irlandese («rialachán» e «gníomh rialúcháin»), italiana («regolamento» e «atto regolamentare»), lettone («regula» e «reglamentējošs akts»), lituana («reglamentas» e «reglamentuojančio pobūdžio teisės aktas»), maltese («regolament» e «att regolatorju»), portoghese («regulamento» e «ato regulamentar», o, secondo la vecchia ortografia, «acto regulamentar»), spagnola («reglamento» e «acto reglamentario») e ungherese («rendelet» e «rendeleti jellegű jogi aktus») dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.


16 – È così, ad esempio, per le formulazioni impiegate per tradurre rispettivamente «regolamento» e «atto regolamentare» nelle versioni bulgara («регламент» e «подзаконов акт»), danese («forordning» e «regelfastsættende retsakt»), estone («määrus» e «üldkohaldatav akt»), finlandese («asetus» e «sääntelytoimi»), olandese («verordening» e «regelgevingshandeling»), polacca («rozporządzenie» e «akt regulacyjny»), rumena («regulament» e «act normativ»), slovacca («nariadenie» e «regulačný akt»), slovena («uredba» e «predpis»), svedese («förordning» e «regleringsakt») e ceca («nařízení» e «akt s obecnou působností») dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.


17 – Giurisprudenza costante; v., ex multis, sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT e a. (283/81, Racc. pag. 3415, punti 18‑20).


18 –      Analogamente, nella sua sentenza del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, punto 135), la Corte fa uso dei documenti su cui si fonda il Trattato di Maastricht.


19 – Così ha affermato anche il Tribunale nella sentenza del 25 ottobre 2011, Microban International e a./Commissione (T‑262/10, Racc. pag. II‑7697, punto 32).


20 – In che misura soprattutto il diritto fondamentale a un ricorso giurisdizionale effettivo, sancito dall’Unione europea, renda necessaria un’interpretazione estensiva della nozione di «atti regolamentari» è oggetto della seconda parte del secondo motivo e dovrà essere approfondito in quel contesto (v. paragrafi 105‑124 delle presenti conclusioni).


21 –      Punto 56, seconda frase, dell’ordinanza impugnata.


22 –      Sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 (GU 2004, C 310, pag. 1).


23 – Adottato dalla Convenzione europea il 13 giugno e 10 luglio 2003, consegnato al presidente del Consiglio europeo a Roma il 18 luglio 2003.


24 – Segretariato della Convenzione europea, Relazione finale del circolo di discussione sul funzionamento della Corte di giustizia, 25 marzo 2003 (doc. CONV 636/03, punto 22), e Nota di trasmissione del Praesidum, 12 maggio 2003 (doc. CONV 734/03, pag. 20).


25 – Sembrano presentare differenze solo cinque versioni linguistiche, che nell’articolo 263, quarto comma, TFUE, per esprimere la nozione di «atto regolamentare» impiegano una formulazione («üldkohaldatav akt» nella versione estone, «reglamentuojančio pobūdžio teisės aktas» nella lituana, «regulačný akt» nella slovacca, «predpis» nella slovena e «akt s obecnou působností» nella ceca) che si differenzia da quella dell’articolo III‑365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale («õiguse üldakt» nella versione estone, «teisės aktas» nella lituana, «podzákonný právny akt» nella slovacca, «izvršilni akt» nella slovena e «podzákonný právní akt» nella ceca).


26 – Ciò è vero in particolare per le versioni bulgara («подзаконов акт»), tedesca («Rechtsakt mit Verordnungscharakter»), inglese («regulatory act»), francese («acte réglementaire»), greca («κανονιστική πράξη»), irlandese («gníomh rialúcháin»), italiana («atto regolamentare»), portoghese («ato regulamentar» o, secondo la vecchia ortografia, «acto regulamentar»), slovacca («regulačný akt»), spagnola («acto reglamentario») e ungherese («rendeleti jellegű jogi aktus») dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, e oltre a queste anche per le versioni lettone («reglamentējošs akts») e lituana («reglamentuojančio pobūdžio teisės aktas»). Sembrano per contro meno univoche, ad esempio, le versioni danese («regelfastsættende retsakt»), estone («üldkohaldatav akt»), finlandese («sääntelytoimi»), maltese («att regolatorju»), olandese («regelgevingshandeling»), polacca («akt regulacyjny»), rumena («act normativ»), svedese («regleringsakt»), slovena («predpis») e ceca («akt s obecnou působností»).


27 – V. al riguardo il mandato della Conferenza intergovernativa del 2007, fondato sugli indirizzi trasmessi dal Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 e trascritto letteralmente nel doc. 11218/07 del Consiglio del 26 giugno 2007. Nel punto 1 di tale mandato si legge che «il progetto costituzionale (…) è abbandonato».


28 – V. al riguardo nuovamente il mandato della Conferenza intergovernativa del 2007, in cui si afferma che le innovazioni risultanti dalla Conferenza intergovernativa del 2004 (sul Trattato costituzionale) dovranno essere integrate nei Trattati esistenti (punti 1 e 4 del mandato); nel comma introduttivo al punto 1 del mandato si afferma inoltre che quest’ultimo «costituirà la base e il quadro esclusivi dei lavori della [Conferenza intergovernativa]».


29 – Punto 3 del mandato della Conferenza intergovernativa del 2007.


30 – Punto 19, lettera v), del mandato della Conferenza intergovernativa del 2007 (il corsivo è mio).


31 – Le poche versioni linguistiche in cui l’articolo III‑365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale e l’articolo 263, quarto comma, TFUE presentano differenze (v. nota 25) non consentono di desumere una tendenza all’ampliamento della legittimazione attiva delle persone fisiche e giuridiche. Per tradurre «atto regolamentare» nell’articolo 263, quarto comma, TFUE, infatti, tali versioni impiegano una terminologia a volte più estensiva e altre volte più restrittiva rispetto al Trattato costituzionale.


32 – V. al riguardo nuovamente i documenti della Convenzione europea, cit. alla nota 24.


33 – Una tale procedura sui generis è prevista per esempio negli articoli 31 TFUE; 43, paragrafo 3, TFUE; 45, paragrafo 3, lettera d), TFUE; 66 TFUE; 103 TFUE; 109 TFUE e infine 215, paragrafi 1 e 2, TFUE.


34 – V. al riguardo nuovamente gli esempi, cit. alla nota 33.


35 –      V. supra, paragrafo 54 delle presenti conclusioni.


36 – Sentenza cit. alla nota 3.


37 – Sentenza cit. alla nota 4.


38 –      Per maggiori indicazioni al riguardo, v. paragrafi 116‑123 delle presenti conclusioni.


39 – Causa Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione (T‑526/10).


40 –      V. punti 85 e 86 e, in via complementare, punto 79 dell’ordinanza impugnata.


41 – V. in tal senso anche sentenza Microban International e a./Commissione, cit. alla nota 19 (punto 32).


42 – Sulla prima parte del primo motivo, v. paragrafi 30‑47 delle presenti conclusioni.


43 –      Punto 71 dell’ordinanza impugnata.


44 – Sentenze del 5 maggio 1998, Glencore Grain/Commissione (C‑404/96 P, Racc. pag. I‑2435, punto 41); del 13 marzo 2008, Commissione/Infront WM (C‑125/06 P, Racc. pag. I‑1451, punto 47), e del 2 luglio 2009, Bavaria e Bavaria Italia (C‑343/07, Racc. pag. I‑5491, punto 43).


45 – Secondo una giurisprudenza costante, per esempio, i giudici dell’Unione accettano la legittimazione dei concorrenti a proporre ricorso contro le decisioni della Commissione che autorizzano aiuti di Stato (v. sentenze della Corte del 28 gennaio 1986, Cofaz e a./Commissione, 169/84, Racc. pag. 391, e del 22 novembre 2007, Spagna/Lenzing, C‑525/04 P, Racc. pag. I‑9947, in cui l’interesse diretto è un presupposto scontato) e le decisioni che autorizzano concentrazioni di imprese (v. sentenze del Tribunale del 3 aprile 2003, BaByliss/Commissione, T‑114/02, Racc. pag. II‑1279, punto 89, e del 30 settembre 2003, ARD/Commissione, T‑158/00, Racc. pag. II‑3825, punto 60).


46 – Sentenze del 23 novembre 1971, Bock/Commissione (62/70, Racc. pag. 897, punti 6‑8); del 17 gennaio 1985, Piraiki‑Patraiki e a./Commissione (11/82, Racc. pag. 207, punti 8‑10), e del 5 maggio 1998, Dreyfus/Commissione (C‑386/96 P, Racc. pag. I‑2309, punto 44).


47 – Sotto questo aspetto il caso di specie si differenzia dalla causa Microban International e a./Commissione (sentenza cit. alla nota 19, in particolare punto 28), in cui non solo la commercializzazione di un additivo in quanto tale, ma anche il suo impiego nella fabbricazione di altri prodotti erano soggetti a restrizioni ai sensi delle normative dell’Unione.


48 –      Punto 82 dell’ordinanza impugnata.


49 – In risposta alla mia domanda in udienza, la sig.ra Aariak ha dichiarato di commercializzare gli abiti sul mercato interno europeo a volte di persona e altre volte tramite intermediari.


50 – Punto 82 in combinazione con i punti 76‑79 dell’ordinanza impugnata (v. in particolare l’ultima frase del punto 78).


51 – L’interesse diretto di un soggetto non dipende dalla possibilità di ricavare per se stesso dall’atto giuridico dell’Unione un comando, un divieto o un permesso. Tutt’al più nel caso del permesso può venire a mancare l’esigenza di tutela giurisdizionale per un ricorso di annullamento se e nella misura in cui il soggetto interessato non possa più conseguire vantaggi con il proprio ricorso.


52 – V. in tal senso la sentenza del 23 aprile 2009, Sahlstedt e a./Commissione (C‑362/06 P, Racc. pag. I‑2903, punti 22 e 23).


53 – Sentenze Plaumann, cit. alla nota 2 (pag. 238); Piraiki‑Patraiki e a./Commissione, cit. alla nota 46 (punto 11); Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 36); Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 45); del 13 dicembre 2005, Commissione/Aktionsgemeinschaft Recht und Eigentum (C‑78/03 P, Racc. pag. I‑10737, punto 33); Commissione/Infront WM, cit. alla nota 44 (punto 70), e del 9 giugno 2011, Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione (C‑71/09 P, C‑73/09 P e C‑76/09 P, Racc. pag. I‑4727, punto 52).


54 –      V. punti 89 e 90 dell’ordinanza impugnata.


55 – Esiste in tal senso una giurisprudenza costante, v. per esempio sentenze Plaumann/Consiglio, cit. alla nota 2 (pag. 238); Piraiki‑Patraiki e a./Commissione, cit. alla nota 46 (punto 14); del 29 gennaio 1985, Binderer/Commissione (147/83, Racc. 257, punto 13); del 24 febbraio 1987, Deutz e Geldermann/Consiglio (26/86, Racc. 941, punti 8 e 12); del 15 giugno 1993, Abertal e a./Commissione (C‑213/91, Racc. pag. I‑3177, punti 17, 19 e 20); del 22 novembre 2001, Antillean Rice Mills/Consiglio (C‑451/98, Racc. pag. I‑8949, punto 51), e Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punti 43 e 46).


56 –      V. al riguardo le considerazioni da me formulate sulla prima parte del primo motivo (paragrafi 26‑62 delle presenti conclusioni).


57 – V. al riguardo di nuovo il doc. CONV 636/03, cit. alla nota 24 (punti 17‑23) e il doc. CONV 734/03, cit. alla nota 24 (pagg. 20 e seg.).


58 –      La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata solennemente proclamata dapprima il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU 2000, C 364, pag. 1) e di nuovo il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (GU 2007, C 303, pag. 1; GU 2010, C 83, pag. 389; GU 2012, C 326, pag. 391).


59 –      Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («CEDU», siglata a Roma il 4 novembre 1950).


60 – Sentenze del 1° ottobre 1991, Vidrányi/Commissione (C‑283/90 P, Racc. pag. I‑4339, punto 29); del 9 dicembre 2004, Commissione/Greencore (C‑123/03 P, Racc. pag. I‑11647, punti 40 e 41); del 20 maggio 2010, Gogos/Commissione (C‑583/08 P, Racc. pag. I‑4469, punto 29), e del 20 gennaio 2011, General Química e a./Commissione (C‑90/09 P, Racc. pag. I‑1, punti 59‑62), nonché sentenze del 25 ottobre 2007, Komninou e a./Commissione (C‑167/06 P, punti 21‑28), e del 5 maggio 2011, Evropaïki Dynamiki/Commissione (C‑200/10 P, punti 33 e 43).


61 –      Sentenza del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione (C‑120/06 P e C‑121/06 P, Racc. pag. I‑6513, punto 96); del 16 luglio 2009, Commissione/Schneider Electric (C‑440/07 P, Racc. pag. I‑6413, punto 135), e del 5 luglio 2011, Edwin/HABM (C‑263/09 P, Racc. pag. I‑5853, punto 64).


62 – Nelle osservazioni depositate in primo grado in risposta ai motivi di irricevibilità, la problematica dei diritti fondamentali è trattata in cinque punti su 84 (cioè una pagina su 22), mentre nel ricorso di primo grado non è neanche toccata.


63 – V. al riguardo le considerazioni, immediatamente seguenti, da me formulate sulla seconda parte del secondo motivo (paragrafi 105‑124 delle presenti conclusioni).


64 – Il punto 51 dell’ordinanza impugnata cita la sentenza Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 36), e l’ordinanza del Tribunale del 9 gennaio 2007, Lootus Teine Osaühing/Consiglio (T‑127/05, punto 50).


65 – Solo come annotazione a margine, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli altri ricorrenti non citano minimamente l’articolo 13 della CEDU, neanche nel brano interessato della memoria da loro presentata in primo grado. Hanno quindi poco titolo per rimproverare al Tribunale di aver trascurato tale disposizione.


66 –      Sentenze del 7 giugno 2007, Wunenburger/Commissione (C‑362/05 P, Racc. pag. I‑4333, punto 80), e Gogos/Commissione, cit. alla nota 60 (punto 35).


67 – Sentenze del 15 maggio 1986, Johnston (222/84, Racc. pag. 1651, punto 18); Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 39); Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 29); del 13 marzo 2007, Unibet (C‑432/05, Racc. pag. I‑2271, punto 37); del 3 settembre 2008, Kadi e a./Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc. pag. I‑6351, punto 335), e del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, Racc. pag. I‑13849, punto 29).


68 – Sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 44), e Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 30).


69 – V. al riguardo le sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (in particolare punti 37‑40), e Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punti 29 e 30).


70 – Tali spiegazioni [GU 2007, C 303, pag. 17 (punti 29 e seg.)] si esprimono come segue in merito all’articolo 47 della Carta: «(…) L’inserimento di questa giurisprudenza nella Carta non era inteso a modificare il sistema di controllo giurisdizionale previsto dai Trattati e, in particolare, le norme in materia di ricevibilità per i ricorsi diretti dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea. La Convenzione europea ha esaminato il sistema di controllo giurisdizionale dell’Unione, comprese le norme in materia di ricevibilità che ha confermato pur modificandole sotto taluni aspetti (cfr. articoli da [251 TFUE a 281 TFUE], in particolare [articolo 263, paragrafo 4, TFUE]) (…)».


71 – La forte affinità tra l’articolo 47 della Carta da un lato e gli articoli 6 e 13 della CEDU dall’altro trova chiara espressione nelle spiegazioni relative alla Carta, cit. alla nota 70. Anche la giurisprudenza della Corte in cui si è riconosciuto il diritto a un ricorso effettivo quale principio generale di diritto si fonda in modo assai determinante sulle due disposizioni della CEDU (v. al riguardo le sentenze cit. alla nota 67).


72 – I ricorrenti stessi non hanno citato neanche una sentenza pertinente della Corte europea dei diritti dell’uomo e, in seguito a domanda, hanno dovuto ammettere di non essere a conoscenza di una sentenza del genere.


73 –      V. al riguardo i paragrafi 39‑46 delle presenti conclusioni.


74 – Secondo comma della Dichiarazione 1 allegata all’Atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 (GU 2007, C 306, pag. 249; GU 2008, C 115, pag. 337; GU 2010, C 83, pag. 339; GU 2012, C 326, pag. 339).


75 – V. in tal senso la sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 45), nonché le sentenze del 27 febbraio 2007, Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio (C‑354/04 P, Racc. pag. I‑1579, punto 50, ultima frase), e Segi e a./Consiglio (C‑355/04 P, Racc. pag. I‑1657, punto 50, ultima frase).


76 – V. in tal senso sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 40); Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 30); del 30 marzo 2004, Rothley e a./Parlamento (C‑167/02 P, Racc. pag. I‑3149, punto 46), e del 6 dicembre 2005, Gaston Schul Douane‑expediteur (C‑461/03, Racc. pag. I‑10513, punto 22).


77 – V. in tal senso il parere della Corte 1/09 dell’8 marzo 2011 (Racc. pag. I-1137, punto 66); v. altresì le sentenze del 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e a. (C‑143/88 e C‑92/89, Racc. pag. I‑415, punto 16), e del 9 novembre 1995, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft e a. (C‑465/93, Racc. pag. I‑3761, punto 20), nonché la giurisprudenza cit. alla nota 76.


78 – Sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 40); Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 30); del 29 giugno 2010, E e F (C‑550/09, Racc. pag. I‑6213, punto 45), e Pringle, cit. alla nota 18 (punto 39).


79 – L’obbligo di rinvio non vale solo per i giudici di ultima istanza ma anche, alle condizioni elencate nella giurisprudenza Foto‑Frost (v. al riguardo sentenze del 22 ottobre 1987, Foto‑Frost, 314/85, Racc. pag. 4199, punti 12‑19, e Gaston Schul Douane‑expediteur, cit. alla nota 76, punto 22), per i giudici i cui provvedimenti possono ancora essere impugnati con strumenti di diritto interno.


80 – Così, per esempio, l’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni da lui presentate il 21 marzo 2002 nella causa Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (paragrafi 43 e 102).


81 – Ciò è riconosciuto tanto dalla Corte nella sua giurisprudenza (sentenza Unibet, cit. alla nota 67, punto 64) quanto dalla Convenzione europea (v. i documenti cit. alla nota 24).


82 – A tale possibilità fa già cenno la sentenza Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 35).


83 – Sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 40), e Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 30); in merito all’obbligo di rinvio cui sono soggetti i giudici nazionali in un caso del genere, v. la giurisprudenza Foto‑Frost, cit. alla nota 79.


84 – Esempi tratti dalla prassi giudiziale degli Stati membri si trovano nelle sentenze del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, Racc. pag. I‑403, punto 19); dell’8 giugno 2010, Vodafone e a. (C‑58/08, Racc. pag. I‑4999, punto 29), e del 9 novembre 2010, Schecke e Eifert (C‑92/09 e C‑93/09, Racc. pag. I‑11063, punto 28); esempi analoghi, ma relativi a direttive e alla loro trasposizione negli ordinamenti interni, si trovano nelle sentenze del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, Racc. pag. I‑11453, punto 24); del 6 dicembre 2005, ABNA e a. (C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, Racc. pag. I‑10423, punti 19, 25 e 34); dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, Racc. pag. I‑7027, punto 8), e del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, Racc. pag. I‑13755 punto 43).


85 – Sentenza Unibet, cit. alla nota 67 (in particolare i punti 38‑44); v. anche sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. alla nota 3 (punto 42), e Commissione/Jégo‑Quéré, cit. alla nota 4 (punto 32).


86 –      V. articolo 41, paragrafi 1 e 4, della Carta dei diritti fondamentali e, in via complementare, l’articolo 24, paragrafo 4, TFUE.


87 – Sentenze Zuckerfabrik Süderdithmarschen e a., cit. alla nota 77 (punti 17, 20 e 23‑33), e Atlanta Fruchthandelsgesellschaft e a., cit. alla nota 77 (punti 24, 25 e 32‑51).


88 – Nella lingua processuale: «that the distinction between legislative and regulatory acts (…) consists of adding the qualifier ‘legislative’ to the word ‘act’ with reference to the first two possibilities covered by the fourth paragraph of Article 263 TFEU».


89 – Sentenza del 1° luglio 2010, Knauf Gips/Commissione (C‑407/08 P, Racc. pag. I‑6375, punti 30 e 31); analogamente, sentenze Commissione/Aktionsgemeinschaft Recht und Eigentum, cit. alla nota 53 (punti 44‑50), e del 29 novembre 2007, Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione (C‑176/06 P, punto 25).


90 – Sentenze del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, Racc. pag. I‑439, punto 37); del 22 novembre 2007, Sniace/Commissione (C‑260/05 P, Racc. pag. I‑10005, punto 37), e del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione (C‑413/08 P, Racc. pag. I‑5361, punto 17).


91 – V. le conclusioni da me presentate il 14 aprile 2011 nelle cause Solvay/Commissione (C‑109/10 P, Racc. pag. I‑10329, paragrafo 94), e Solvay/Commissione (C‑110/10 P, Racc. pag. I‑10439, paragrafi 126 e 131).


92 – V. in particolare il punto 17 dell’eccezione di irricevibilità presentata dal Parlamento e il punto 15 dell’eccezione di irricevibilità presentata dal Consiglio.


93 – V. in particolare il punto 30 della memoria depositata in primo grado dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti in risposta alle eccezioni di irricevibilità di Parlamento e Consiglio.


94 – In merito all’argomentazione avanzata in primo grado dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti, v. in particolare il punto 49 della memoria presentata in risposta alle eccezioni di irricevibilità di Parlamento e Consiglio; in merito all’argomentazione sostanzialmente identica avanzata nel procedimento di impugnazione, v. punto 53 delle presenti conclusioni.


95 – Sentenze del 1° giugno 2006, P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione (C‑442/03 P e C‑471/03 P, Racc. I‑4845, punti 133 e 134), e del 1° febbraio 2007, Sison/Consiglio (C‑266/05 P, Racc. I‑1233, punti 67‑72); in senso analogo, sentenza del Tribunale del 9 settembre 2010, Andreasen/Commissione (T‑17/08 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 76).


96 – In tal senso, sentenze del 9 giugno 1992, Lestelle/Commissione (C‑30/91 P, Racc. pag. I‑3755, punto 28); Kadi e a./Consiglio e Commissione, cit. alla nota 67 (punto 233), e FIAMM e a./Consiglio e Commissione, cit. alla nota 61 (punto 189).


97 – Secondo il principio generale per cui le nuove regole procedurali si applicano a tutte le controversie pendenti alla data in cui entrano in vigore (giurisprudenza costante, v. solo sentenza del 12 novembre 1981, Meridionale Industria Salumi e a., da 212/80 a 217/80, Racc. pag. 2735, punto 9), nella fattispecie la decisione sulle spese si basa sul regolamento di procedura della Corte del 25 settembre 2012, entrato in vigore il 1° novembre 2012 (in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, punti 83‑85). Nella sostanza, però, non vi sono differenze rispetto all’articolo 69, secondo comma, in combinato disposto con l’articolo 118 e l’articolo 122, primo comma, del regolamento di procedura della Corte del 19 giugno 1991.


98 –      Sentenza del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a. (C‑550/07 P, Racc. pag. I‑8301, punto 123); in senso analogo, sentenza del 31 maggio 2001, D e Svezia/Consiglio (C‑122/99 P e C‑125/99 P, Racc. pag. I‑4319, punto 65); in quest’ultimo caso D e il Regno di Svezia, pur avendo presentato addirittura due ricorsi separati, sono stati comunque condannati alle spese in solido.


99 – In tal senso v. per esempio sentenza del 19 luglio 2012, Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group (C‑337/09 P, punto 112); in quel caso il Consiglio e altri, ricorrenti soccombenti, sono stati condannati a sostenere le spese di Audace, interveniente della controparte in primo grado le cui domande erano state accolte nel procedimento di impugnazione.