Language of document : ECLI:EU:C:2017:223

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 16 marzo 2017 (1)

Causa C98/15

María Begoña Espadas Recio

contro

Servicio Público de Empleo Estatal (SPEE)

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de lo Social No 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna)]

«Direttiva 79/7/CEE – Articolo 4, paragrafo 1 – Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Normativa nazionale relativa al calcolo della durata di una prestazione di disoccupazione – Mancata presa in considerazione dei giorni non lavorati – Discriminazione»






1.        Con la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, lo Juzgado de lo Social No 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna) chiede chiarimenti sull’interpretazione della direttiva 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (2), e della direttiva 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (3). In sostanza, il giudice del rinvio chiede anzitutto se una prestazione di disoccupazione finanziata con i contributi di una lavoratrice e del suo datore di lavoro rientri nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro. Esso chiede inoltre di precisare se, nel caso di una lavoratrice a tempo parziale impiegata in regime «verticale» presso i datori di lavoro (che lavora ad esempio per il 50% dell’orario rispetto ai lavoratori comparabili impiegati a tempo pieno, ripartendo le ore tra lunedì, martedì e mercoledì, senza lavorare il giovedì e il venerdì), le norme nazionali che escludono i giorni non lavorati dal calcolo del periodo totale per il quale dovrebbe essere corrisposta la prestazione di disoccupazione siano compatibili con l’accordo quadro e/o con la direttiva 79/7.

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 79/7

2.        Il secondo considerando della direttiva 79/7 afferma che occorre attuare il principio della parità di trattamento in materia di sicurezza sociale in primo luogo nei regimi legali che assicurano una protezione, tra l’altro, contro il rischio disoccupazione.

3.        Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 79/7, quest’ultima si applica in particolare ai lavoratori la cui attività si trova interrotta per disoccupazione involontaria. Rientrano nell’ambito di applicazione di detta direttiva, ad esempio, i regimi legali che assicurano una protezione contro la disoccupazione a norma dell’articolo 3.

4.        Secondo la definizione contenuta nell’articolo 4, paragrafo 1, il principio della parità di trattamento implica:

«l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:

–        il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi,

–        l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,

–        il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni».

 Direttiva 97/81

5.        Il 6 giugno 1997 le organizzazioni intercategoriali a carattere generale, l’Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro (UNICE), il Centro europeo dell’impresa pubblica (CCEP) e la Confederazione europea dei sindacati (CES), hanno concluso l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale (in prosieguo: l’«accordo quadro»), allo scopo, in particolare, di eliminare le discriminazioni verso i lavoratori a tempo parziale (4).

6.        L’accordo quadro è stato debitamente integrato nel diritto dell’Unione europea mediante la direttiva 97/81. L’articolo 1 di tale direttiva enuncia che essa è intesa ad attuare l’accordo quadro. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a detta direttiva al più tardi il 20 gennaio 2000 o procurare che entro tale data le parti sociali mettessero in atto le disposizioni necessarie mediante accordi. Il testo dell’accordo quadro è allegato alla menzionata direttiva (5).

7.        Il terzo paragrafo del preambolo dell’accordo quadro così recita:

«Il presente accordo riguarda le condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo parziale, riconoscendo che le questioni relative ai regimi legali di sicurezza sociale rinviano alle decisioni degli Stati membri (…)».

8.        L’oggetto dell’accordo quadro, quale definito alla clausola 1, lettera a), dello stesso, è quello «di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale».

9.        Conformemente alla clausola 2, paragrafo 1, l’accordo quadro si applica «ai lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro».

10.      Il lavoratore a tempo parziale è definito alla clausola 3, paragrafo 1, come «il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile».

11.      La clausola 4, intitolata «Principio di non‑discriminazione», enuncia al paragrafo 1 che, «[p]er quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive».

 Diritto spagnolo

12.      Il giudice del rinvio afferma che l’articolo 41 della Costituzione spagnola costituisce il fondamento del sistema di previdenza sociale nazionale, che è disciplinato principalmente dalla Ley General de la Seguridad Social (legge generale sulla previdenza sociale; in prosieguo: la «LGSS»), approvata con Real Decreto Legislativo (regio decreto legislativo) n. 1/94 del 20 giugno 1994. L’articolo 204 della LGSS prevede due tipi di tutela contro la disoccupazione: un livello contributivo e un livello di assistenza sociale. Il sistema è gestito dallo Stato e la tutela contro la disoccupazione è obbligatoria.

13.      L’articolo 210 della LGSS è intitolato «Durata della prestazione di disoccupazione». Il periodo di tempo durante il quale il lavoratore disoccupato percepisce la prestazione (in prosieguo: il «periodo della prestazione») viene determinato in base: i) al periodo di impiego per il quale il lavoratore ha versato contributi nei sei anni precedenti al mutamento della situazione giuridica da occupato a disoccupato, o ii) al momento in cui è cessato l’obbligo di versare i contributi. Il periodo contributivo espresso in giorni e il periodo corrispondente per il quale vengono erogate le prestazioni, parimenti espresso in giorni, sono determinati secondo una determinata scala. Così, ad esempio, per un periodo contributivo compreso tra 360 e 539 giorni, la prestazione viene erogata per 120 giorni, un periodo contributivo compreso tra 1 260 e 1 439 giorni dà diritto alla prestazione per 420 giorni e un periodo contributivo superiore a 2 160 giorni dà luogo al pagamento della prestazione per 720 giorni (durata massima del periodo per il quale può essere erogata la prestazione).

14.      Ai sensi del paragrafo 1, regola quarta, della settima disposizione addizionale della LGSS, che stabilisce le norme applicabili ai lavoratori a tempo parziale, «per determinare i periodi di contribuzione e di computo della base di calcolo delle prestazioni di disoccupazione occorre fare riferimento alle disposizioni della normativa specifica applicabile». Tale normativa è contenuta nel Real Decreto 625/1985 de protección por desempleo (regio decreto 625/1985 sulla tutela contro la disoccupazione; in prosieguo: il «RD 625/1985»). L’articolo 3 di detto decreto stabilisce le modalità di calcolo del periodo per il quale deve essere erogata la prestazione. L’articolo 3, paragrafo 1, riguarda i lavoratori a tempo pieno. Tale disposizione così recita: «[l]a durata della prestazione di disoccupazione è determinata in base ai periodi di impiego per i quali sono stati versati contributi nei quattro anni precedenti alla situazione giuridica di disoccupazione o al momento in cui è cessato l’obbligo di versare i contributi». Per quanto riguarda i lavoratori a tempo parziale, l’articolo 3, paragrafo 4, dispone che, «[q]ualora gli accrediti contributivi corrispondano a un lavoro a tempo parziale, o al lavoro effettivo in caso di riduzione dell’orario di lavoro, ogni giorno lavorato è computato come un giorno di contribuzione, indipendentemente dall’orario di lavoro».

15.      Il giudice del rinvio osserva che, secondo la giurisprudenza nazionale, il motivo che giustifica la prestazione di disoccupazione è la perdita del lavoro. Per stabilire la durata del periodo in cui vengono erogate le prestazioni si deve tenere conto soltanto dei giorni nei quali il lavoratore ha effettivamente lavorato, sebbene i corrispondenti contributi previdenziali a copertura del rischio di disoccupazione siano stati versati per ogni giorno di ciascun mese per l’intero anno.

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

16.      La sig.ra María Begoña Espadas Recio (in prosieguo: la «sig.ra Espadas Recio») lavorava come addetta alle pulizie. A partire dal 23 dicembre 1999 ha lavorato ininterrottamente per successivi datori di lavoro. Il suo orario di lavoro era così strutturato: due ore e mezza il lunedì, mercoledì e giovedì di ogni settimana e quattro ore il primo venerdì di ogni mese. Pertanto, il suo orario di lavoro era strutturato in modo «verticale», nel senso che il lavoro a tempo parziale veniva svolto solo alcuni giorni alla settimana anziché essere ripartito su tutti i cinque giorni della settimana lavorativa (regime «orizzontale»). Il 29 luglio 2013 il rapporto di lavoro della sig.ra Espadas Recio è cessato.

17.      Il 30 settembre 2013 il Servicio Público de Empleo Estatal (Servizio pubblico statale per l’occupazione; in prosieguo: lo «SPEE») accoglieva la sua domanda di prestazioni di disoccupazione. Lo SPEE decideva di accordarle la prestazione inizialmente per un periodo di 120 giorni, compreso tra il 10 settembre 2013 e il 9 gennaio 2014 incluso, secondo una base di calcolo pari a EUR 6,10 al giorno. I giorni di contribuzione computati a favore della sig.ra Espadas Recio erano 452. Quest’ultima impugnava detta decisione, sostenendo di avere diritto alla prestazione per 720 giorni (senza contestare la base di calcolo della prestazione giornaliera percepita) (6). Con decisione del 9 dicembre 2013 lo SPEE accoglieva parzialmente il suo ricorso. Esso le riconosceva 420 giorni di prestazione di disoccupazione sulla base del suo orario di lavoro, calcolato in 8,5 ore settimanali.

18.      Richiamandosi al combinato disposto dell’articolo 210 della LGSS e dell’articolo 3, paragrafo 4, del RD 625/1985, lo SPEE riteneva che la durata della prestazione di disoccupazione dovesse essere calcolata in base al numero di giorni di contribuzione nei sei anni precedenti il mutamento della situazione della sig.ra Espadas Recio da occupata a disoccupata. Nel caso del lavoro a tempo parziale, ogni giorno effettivamente lavorato doveva essere considerato un giorno per il quale erano stati versati i contributi. Ne conseguiva che la sig.ra Espadas Recio aveva dimostrato di avere pagato i contributi per 1 387 giorni durante i sei anni precedenti alla sua situazione di disoccupazione. Pertanto, la durata della prestazione veniva fissata in 420 giorni. Lo SPEE non teneva conto della parte rimanente del periodo di sei anni in cui la sig.ra Espadas Recio e i suoi ex datori di lavoro avevano versato i contributi.

19.      È pacifico che se la sig.ra Espadas Recio avesse lavorato in regime «orizzontale», ossia 1,75 ore per cinque giorni alla settimana, per un totale di 8,5 ore, avrebbe avuto diritto alla prestazione di disoccupazione per il periodo massimo di 720 giorni.

20.      La sig.ra Espadas Recio ha adito il giudice del rinvio contestando la decisione dello SPEE nella parte relativa alla durata del periodo per il quale le è stata accordata la prestazione di disoccupazione. A suo parere, avendo lavorato per sei anni consecutivi, versando i contributi per 30 o 31 giorni al mese (per un totale di 2 160 giorni), avrebbe diritto a una prestazione della durata di 720 giorni, anziché alla prestazione di 420 giorni che le è stata riconosciuta. Essa afferma che, per stabilire la durata della prestazione, si dovrebbe tenere conto di ogni giorno per il quale sono stati pagati i contributi, e non solo dei giorni effettivamente lavorati. Diversamente, si determinerebbe non solo una doppia penalizzazione illogica nei suoi confronti in quanto lavoratrice a tempo parziale, contraria al principio di proporzionalità (7), ma anche una discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso.

21.      Il giudice del rinvio osserva che la Corte ha esaminato una questione analoga nella sentenza Bruno e Pettini (8). In quella causa, con riferimento alle pensioni di vecchiaia del personale di cabina dell’Alitalia, che erano disciplinate dal sistema previdenziale italiano, la Corte ha dichiarato che la clausola 4 dell’accordo quadro ostava a una normativa nazionale che, per i lavoratori a tempo parziale, escludeva i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento fosse giustificata da ragioni obiettive.

22.      Qualora l’accordo quadro non fosse applicabile, il giudice del rinvio considera che potrebbe sussistere una discriminazione fondata sul sesso contraria alla direttiva 79/7. La durata inferiore della prestazione prevista dalla disposizione nazionale controversa per i lavoratori a tempo parziale «verticale» rispetto ai lavoratori a tempo parziale «orizzontale» comporta una discriminazione indiretta fondata sul sesso, in quanto le norme applicate comportano conseguenze negative per tutte le donne lavoratrici. Secondo le statistiche annuali, la grande maggioranza dei lavoratori a tempo parziale in Spagna (tra il 70% e l’80%) è costituita da donne.

23.      Il giudice del rinvio chiede quindi una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1)      Se, in applicazione della giurisprudenza derivante dalla sentenza [Bruno e Pettini], si debba ritenere che la clausola 4 dell’[accordo quadro] sia applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella di cui all’articolo 210 della [LGSS], finanziata esclusivamente con i contributi versati dal lavoratore e dai suoi datori di lavoro e calcolata in base ai periodi di impiego per i quali sono stati versati contributi nei sei anni precedenti alla situazione legale di disoccupazione.

2)      In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se, in applicazione della giurisprudenza derivante dalla sentenza [Bruno e Pettini], la clausola 4 dell’[accordo quadro] debba essere interpretata nel senso che essa osta a una disposizione nazionale, quale l’articolo 3, paragrafo 4, del [RD 625/1985], richiamato dalla regola quarta della settima disposizione addizionale, paragrafo 1, della [LGSS], che, nei casi di lavoro a tempo parziale “verticale” (lavoro per tre soli giorni alla settimana), esclude, ai fini del calcolo della durata della prestazione di disoccupazione, i giorni non lavorati, sebbene siano stati versati i contributi corrispondenti a tali giorni, con conseguente riduzione della durata della prestazione riconosciuta.

3)      Se il divieto di discriminazione, diretta o indiretta, fondata sul sesso, di cui all’articolo 4 della direttiva 79/7, debba essere interpretato nel senso che esso osta o si oppone a una disposizione nazionale, quale l’articolo 3, paragrafo 4, del [RD 625/1985], che, nei casi di lavoro a tempo parziale “verticale” (lavoro per tre soli giorni alla settimana), esclude dal computo dei giorni di contribuzione i giorni non lavorati, con conseguente riduzione della durata della prestazione di disoccupazione».

24.      Hanno presentato osservazioni scritte il governo spagnolo e la Commissione europea. Entrambe le parti hanno presentato osservazioni orali all’udienza del 15 giugno 2016.

 Analisi

 Osservazioni preliminari

25.      È giurisprudenza costante che il diritto dell’Unione rispetta la competenza degli Stati membri ad organizzare i propri sistemi previdenziali e che, in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’Unione europea, spetta alla normativa di ciascuno Stato membro determinare le condizioni per la concessione delle prestazioni in materia previdenziale. Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione (9).

26.      Pertanto, la Spagna è legittimata, in linea di principio, a stabilire che la concessione e la durata delle prestazioni contributive di disoccupazione previste dal suo sistema previdenziale (finanziate congiuntamente dal lavoratore e dal datore di lavoro) dipendono dal periodo di contribuzione del lavoratore interessato ai sensi dell’articolo 210 della LGSS e dell’articolo 3 del RD 625/1985. Tuttavia, tali norme nazionali devono operare in modo conforme al diritto applicabile dell’Unione.

27.      Il giudice del rinvio espone che la sig.ra Espadas Recio lavorava 8,5 ore alla settimana. Il suo orario di lavoro era ripartito su tre giorni e viene definito «verticale». Se avesse lavorato lo stesso numero totale di ore, ma con un orario strutturato in modo «orizzontale», le ore di lavoro sarebbero state 1,75 al giorno, per cinque giorni alla settimana. Si pone la questione se il divieto di discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro sia applicabile alla situazione della sig.ra Espadas Recio.

 Sulla prima e la seconda questione

28.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se la clausola 4 dell’accordo quadro sia applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella in discussione nel procedimento principale. In caso di risposta affermativa, occorre stabilire se l’accordo quadro osti alle disposizioni nazionali controverse. Secondo tali disposizioni, ai fini del calcolo del periodo per il quale viene erogata la prestazione di disoccupazione si tiene conto solo dei giorni effettivamente lavorati, anche qualora i contributi siano stati versati per tutti i giorni di ogni mese. Tale norma determina una riduzione della durata della prestazione di disoccupazione rispetto ai lavoratori a tempo parziale «orizzontale» o ai lavoratori a tempo pieno.

29.      Le due questioni sono strettamente connesse e pertanto le esaminerò congiuntamente.

30.      Il giudice del rinvio rileva che lo status di lavoratore a tempo parziale «verticale» della sig.ra Espadas Recio ha una duplice conseguenza. In primo luogo, essa percepisce prestazioni di importo inferiore rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, poiché, in qualità di lavoratore a tempo parziale, ha lavorato per un numero inferiore di ore settimanali. In secondo luogo, ai fini del calcolo della durata della prestazione non vengono computati tutti i giorni per i quali essa e i suoi ex datori di lavoro hanno effettivamente versato i contributi. Il diritto alla prestazione in discussione nel procedimento principale dipende dall’esistenza del rapporto di lavoro tra la sig.ra Espadas Recio e i suoi ex datori di lavoro, e il sistema delle prestazioni di disoccupazione si basa sui loro rispettivi contributi. In tale sistema, le considerazioni di politica sociale trovano espressione nella prestazione di assistenza sociale («non contributiva»), che è finanziata esclusivamente dallo Stato. Pertanto, il giudice del rinvio considera che la prestazione contributiva di disoccupazione è determinata essenzialmente da un rapporto di lavoro e solo in misura minore da considerazioni di politica sociale. Esso ritiene quindi che la sentenza della Corte nella causa Bruno e Pettini (10) sia applicabile per analogia alla prestazione contributiva di disoccupazione spagnola.

31.      La Commissione e la Spagna sostengono, al contrario, che la prestazione contributiva di disoccupazione prevista dal sistema spagnolo non rientra nella nozione di «condizioni di impiego» ai sensi della clausola 4, paragrafo 1, dell’accordo quadro.

32.      Anch’io sono di questo avviso.

33.      L’accordo quadro riguarda esclusivamente le «condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo parziale» (11). La Corte ha precisato che detta espressione comprende le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra il lavoratore e il datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale, meno dipendenti da un rapporto siffatto che da considerazioni di ordine sociale (12). Le questioni relative alle prestazioni previdenziali che non costituiscono una «retribuzione» ai sensi dell’articolo 157, paragrafo 2, TFUE rientrano nella competenza degli Stati membri. Pertanto, tali questioni esulano dall’ambito di applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4, paragrafo 1, dell’accordo quadro (sebbene possano ovviamente ricadere in quello di altre disposizioni di diritto dell’Unione). Pertanto, la qualificazione della prestazione contributiva di disoccupazione controversa dipende dal significato che il termine «retribuzione» assume nel diritto dell’Unione.

34.      Ai sensi dell’articolo 157, paragrafo 2, TFUE, per «retribuzione» si intende «il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo». Secondo una giurisprudenza consolidata, la nozione di «retribuzione» comprende «tutti i vantaggi, attuali o futuri, purché siano pagati, sia pure indirettamente, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo» (13). In tale contesto, la Corte ha statuito che la natura giuridica di detti vantaggi è irrilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 157 TFUE, quando essi vengano attribuiti in relazione all’impiego (14). La Corte ha inoltre dichiarato che, «benché numerosi tipi di vantaggi corrisposti da un datore di lavoro rispondano anche a considerazioni di politica sociale, la natura retributiva di una prestazione non può però essere messa in dubbio, quando il lavoratore ha diritto di ricevere dal suo datore di lavoro la prestazione di cui trattasi in forza dell’esistenza del rapporto di lavoro» (15). Tuttavia, se vantaggi aventi il carattere di regimi o prestazioni previdenziali non sono, in linea di principio, estranei alla nozione di retribuzione, non si possono tuttavia ricomprendere in questa nozione i regimi o le prestazioni previdenziali direttamente disciplinati dalla legge al di fuori di qualsiasi concertazione nell’ambito dell’impresa o della categoria professionale interessata e obbligatori per categorie generali di lavoratori (16).

35.      A mio avviso, il fatto che un datore di lavoro versi contributi a un regime che finanzia prestazioni di disoccupazione non implica necessariamente che la prestazione che ne risulta rientri nella nozione di retribuzione. Inoltre, il fatto che lo Stato eroghi una prestazione ai lavoratori disoccupati non significa che tali pagamenti debbano essere automaticamente qualificati come prestazioni previdenziali. In tale contesto, il criterio dell’impiego non può avere carattere esclusivo (17). Così, in riferimento al regime pensionistico in discussione nella causa Bruno e Pettini, la Corte ha dichiarato che «(…) considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica, o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o possono aver avuto un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori, se è direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e se il suo importo è calcolato in base all’ultima retribuzione (…)» (18).

36.      Questi tre criteri devono essere applicati cumulativamente e sono pertinenti nel caso di specie. Sebbene l’interpretazione del diritto nazionale e la valutazione dei fatti spettino in definitiva al giudice del rinvio, la Corte può nondimeno fornire chiarimenti e indicazioni.

37.      Il giudice nazionale osserva che la prestazione di disoccupazione viene erogata a una specifica categoria di lavoratori, ossia «quelli che si trovano in una situazione legale di disoccupazione». Tuttavia, in altri passaggi dell’ordinanza di rinvio esso afferma che il fondamento costituzionale del sistema previdenziale spagnolo garantisce a tutti i cittadini assistenza e prestazioni sociali adeguate in situazioni di bisogno, specialmente in caso di disoccupazione (19). È difficile immaginare come «tutti i cittadini» possano costituire una categoria specifica di lavoratori. Semmai, i beneficiari della prestazione fanno parte di un gruppo che presenta le caratteristiche generali necessarie per avere diritto alla prestazione di cui trattasi, ossia possiedono lo status giuridico di disoccupato. Ciò è molto diverso dagli esempi di categorie specifiche di lavoratori individuate nella giurisprudenza della Corte, quali i dipendenti pubblici o il personale dei teatri (20).

38.      Il giudice del rinvio rileva che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro sono l’unica fonte di finanziamento della prestazione di disoccupazione controversa. Tuttavia, tali contributi sono versati conformemente alla normativa nazionale e non sono regolati da un accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore. Ciò sembra indicare che il sistema presenta più analogie con un regime previdenziale amministrato dallo Stato che non con una prestazione inclusa nella retribuzione corrisposta a un lavoratore in base a un accordo con il datore di lavoro o negoziata collettivamente per suo conto. Nella nozione di «condizioni di impiego» «non possono essere inclusi (…) i regimi o le prestazioni previdenziali (…) direttamente disciplinati dalla legge al di fuori di qualsiasi concertazione nell’ambito dell’impresa o della categoria professionale interessata e obbligatori per categorie generali di lavoratori» (21). Aggiungo che il RD 625/1985 (che stabilisce il periodo della prestazione) è una misura che è stata notificata alla Commissione dalle autorità spagnole ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (22). Tale notifica comporta il riconoscimento espresso, da parte del governo spagnolo, della qualifica di detta prestazione come prestazione di disoccupazione ai sensi del menzionato regolamento (23).

39.      Ne consegue, a mio avviso, che la clausola 4 dell’accordo quadro non è applicabile a una prestazione di disoccupazione come quella in discussione nel procedimento principale.

40.      Data la mia risposta alla prima questione, non occorre esaminare la seconda questione (la quale, in ogni caso, coincide sostanzialmente con la terza, che analizzerò qui di seguito).

41.      Pertanto, concludo che l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso non è applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella di cui all’articolo 210 della LGSS, finanziata esclusivamente con i contributi versati da una lavoratrice e dai suoi ex datori di lavoro.

 Sulla terza questione

42.      Con la terza questione il giudice del rinvio chiede se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 osti alle norme nazionali che disciplinano il calcolo del periodo durante il quale la prestazione viene erogata (in particolare l’articolo 3 del RD 625/1985), in quanto esse comportano una discriminazione fondata sul sesso.

43.      Prestazioni di disoccupazione come quelle in discussione nel procedimento principale rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 79/7, in quanto formano parte di un regime legale di tutela, tra l’altro, contro la disoccupazione, che è uno dei rischi elencati all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a). L’articolo 4, paragrafo 1, vieta le discriminazioni fondate sul sesso, in particolare per quanto riguarda le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.

44.      La norma di diritto nazionale controversa non è direttamente discriminatoria in quanto si applica indistintamente tanto ai lavoratori di sesso maschile quanto a quelli di sesso femminile. Tuttavia, è giurisprudenza costante che si ha discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 79/7 quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisce un numero molto più alto di donne che di uomini (24).

45.      Nell’ordinanza di rinvio il giudice nazionale osserva che la norma nazionale di cui trattasi – un periodo di prestazione più breve per i lavoratori a tempo parziale «verticale» rispetto ai lavoratori a tempo pieno – comporta conseguenze negative più per le donne che per gli uomini, poiché il 70%-80% circa dei lavoratori a tempo parziale è costituito da lavoratori di sesso femminile.

46.      Sebbene le norme nazionali in questione non distinguano tra uomini e donne, dalle statistiche fornite dal giudice del rinvio emerge che, tra i lavoratori svantaggiati, la quota dei lavoratori di sesso femminile è significativamente più elevata di quella dei lavoratori di sesso maschile. Pertanto, dette norme sono indirettamente discriminatorie ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7.

47.      Tali norme operano chiaramente a svantaggio dei lavoratori a tempo parziale quale la sig.ra Espadas Recio. Il giudice del rinvio rileva che, se avesse lavorato a tempo pieno, essa avrebbe avuto diritto a una prestazione della durata massima di 720 giorni. Tale calcolo avrebbe tenuto conto del fatto che i contributi erano stati versati per ogni giorno lavorativo del mese nei sei anni precedenti alla sua situazione di disoccupazione (25). Se l’orario di lavoro della sig.ra Espadas Recio fosse stato strutturato in modo «orizzontale» (1,75 ore al giorno per cinque giorni alla settimana) essa avrebbe anche avuto diritto al pagamento della prestazione per tale periodo di durata massima. Mi chiedo se il fatto che le norme nazionali controverse abbiano conseguenze negative solo su un gruppo specifico di lavoratori a tempo parziale – quelli con un orario di lavoro strutturato in modo «verticale» – mi induca a modificare la mia opinione secondo cui le norme nazionali in parola determinano una discriminazione indiretta.

48.      La risposta è negativa.

49.      È vero che la Corte non ha condiviso le valutazioni dei giudici nazionali in alcune cause nelle quali le misure nazionali in questione riguardavano solo un gruppo specifico di lavoratori a tempo parziale. La Corte ha statuito che tali misure non comportavano una discriminazione indiretta in quanto i dati statistici relativi ai lavoratori a tempo parziale in generale non erano idonei a dimostrare (in mancanza di informazioni specifiche) che le donne costituivano l’ampia maggioranza del gruppo di lavoratori a tempo parziale individuato in quelle cause dai giudici nazionali (26).

50.      Così, la causa Cachaldora Fernández (27) verteva sulla determinazione della base di calcolo per una pensione di invalidità. La valutazione del giudice del rinvio poggiava sulla premessa secondo cui la disposizione nazionale discussa in quel procedimento riguardava un gruppo di lavoratori a tempo parziale, costituito in ampia maggioranza da lavoratori di sesso femminile, ma non si applicava a tutti i lavoratori a tempo parziale. La norma nazionale trovava applicazione solamente nei confronti dei lavoratori che conoscevano un’interruzione contributiva nel corso del periodo di riferimento di otto anni precedente alla data del fatto generatore dell’invalidità, qualora tale interruzione facesse seguito a un impiego a tempo parziale. Tuttavia, non era stato possibile individuare chiaramente il gruppo di lavoratori a tempo parziale. Non erano stati forniti alla Corte dati statistici che indicassero il numero di lavoratori a tempo parziale che avevano conosciuto un’interruzione contributiva o che tale gruppo era costituito principalmente da donne. Era inoltre stato accertato che, in realtà, taluni lavoratori a tempo parziale potevano beneficiare della norma nazionale discussa in quel procedimento (28). La Corte ha quindi considerato che le statistiche generali sulle quali si era basato il giudice nazionale non consentivano di concludere che il gruppo di lavoratori sfavoriti dalla normativa nazionale discussa nel procedimento principale fosse composto in maggioranza da lavoratori a tempo parziale e, in particolare, da lavoratori di sesso femminile.

51.      Nel caso della sig.ra Espadas Recio la situazione è diversa. La misura nazionale controversa comporta conseguenze negative per tutti i lavoratori a tempo parziale «verticale» e nulla sembra suggerire che alcuni lavoratori di tale gruppo possano essere avvantaggiati rispetto ai lavoratori a tempo pieno.

52.      Analogamente, nella causa Plaza Bravo (29), la misura nazionale controversa non si applicava a tutti i lavoratori a tempo parziale. Dal fascicolo non risultava chiaramente se i dati statistici relativi a un gruppo specifico di lavoratori interessati dalla disposizione nazionale discussa in quel procedimento consentissero di accertare che essa riguardava un numero molto più alto di donne che di uomini. Inoltre, era stato osservato che le norme controverse erano idonee a svantaggiare anche i lavoratori a tempo pieno. La Corte ha concluso che i dati statistici generali relativi alla categoria dei lavoratori a tempo parziale, complessivamente considerati, non consentivano di accertare che un numero molto più alto di donne che di uomini era interessato dalla disposizione nazionale controversa. Pertanto, la Corte non ha considerato che detta misura determinasse una discriminazione indiretta (30).

53.      Nel caso della sig.ra Espadas Recio, il giudice del rinvio spiega che i dati statistici relativi al lavoro a tempo parziale riguardano sia i lavoratori a tempo parziale «orizzontale», sia quelli a tempo parziale «verticale». Dalle informazioni concernenti i lavoratori a tempo parziale citate dal giudice del rinvio risulta che il 70%-80% di tali lavoratori con orario strutturato in modo «verticale» è costituito da donne. La stessa proporzione tra uomini e donne si registra tra i lavoratori il cui orario di lavoro a tempo parziale è strutturato in modo «orizzontale». Tali informazioni consentono di concludere che una percentuale più elevata di donne che di uomini risulta sfavorita dalla misura nazionale di cui trattasi. Inoltre, il giudice del rinvio non ha indicato che in alcuni casi le norme nazionali in questione potrebbero comportare per i lavoratori a tempo pieno gli stessi svantaggi che esse determinano per i lavoratori a tempo parziale.

54.      Ne consegue che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 osta a misure nazionali come quelle controverse, salvo che le medesime non risultino giustificate da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Ciò avviene se dette misure rispondono ad uno scopo legittimo di politica sociale, se sono idonee a raggiungere l’obiettivo da esse perseguito e se sono necessarie a tal fine (31).

55.      Nelle sue osservazioni scritte la Spagna non si è espressa riguardo alla possibile giustificazione di un’eventuale discriminazione fondata sul sesso. Tuttavia, all’udienza del 15 giugno 2016 il governo spagnolo ha confermato che le sue osservazioni relative alla giustificazione della discriminazione ai sensi dell’accordo quadro dovevano essere considerate parimenti applicabili alla discriminazione fondata sul sesso. A suo parere, il principio del «contributo al sistema previdenziale» fornirebbe una giustificazione obiettiva per un’eventuale discriminazione. Poiché il diritto alla prestazione di disoccupazione e la durata di tale prestazione dipendono esclusivamente dal periodo per il quale il lavoratore è stato occupato o è stato iscritto al sistema di previdenza sociale, sarebbe incompatibile con il principio di proporzionalità non tenere conto dei giorni effettivamente lavorati.

56.      Non condivido tale posizione.

57.      Il giudice del rinvio precisa che l’obiettivo della prestazione contributiva di disoccupazione è fornire al lavoratore risorse sostitutive della retribuzione che non viene più percepita (articolo 204 della LGSS).

58.      A mio parere, tale obiettivo può essere raggiunto tenendo conto di quanto segue: i) il periodo durante il quale il lavoratore e il suo datore di lavoro versano i contributi, ii) l’importo di detti contributi e iii) l’orario di lavoro del lavoratore interessato (se si tratti di un lavoratore a tempo parziale o a tempo pieno). Secondo le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, il sistema spagnolo sembra effettivamente tenere conto proprio di tali fattori per i lavoratori a tempo pieno e per i lavoratori a tempo parziale «orizzontale». Tutti i lavoratori (che abbiano versato i contributi per uno stesso periodo di tempo) ricevono la prestazione di disoccupazione per lo stesso periodo. Tuttavia, una persona che lavori con un orario pari al 50% del tempo pieno percepirà una prestazione proporzionalmente ridotta, che riflette i minori contributi versati in base alla retribuzione inferiore corrispondente al tempo parziale. Ciò è perfettamente coerente con il principio «prorata temporis» (32).

59.      Tuttavia, un lavoratore a tempo parziale «verticale» riceverà la prestazione per un periodo di tempo inferiore rispetto a un lavoratore a tempo pieno comparabile, anche qualora versi a sua volta i contributi per ogni giorno di tutti i mesi dell’anno. Il sistema tratta i due gruppi di lavoratori in modo diverso. Nel caso dei lavoratori a tempo parziale «verticale», esso dà rilevanza ai giorni effettivamente lavorati anziché al periodo di tempo che il lavoratore trascorre svolgendo il proprio lavoro nel corso di una settimana lavorativa.

60.      Ciò determina un’anomalia illogica e punitiva che svantaggia i lavoratori a tempo parziale «verticale». I lavoratori a tempo parziale che svolgono attività retribuite con compensi relativamente bassi, quali i lavori di pulizia, hanno poche possibilità di scelta riguardo alle loro condizioni di lavoro. Essi possono anche vedersi obbligati ad accettare un regime «verticale» che conviene al loro datore di lavoro solo per assicurarsi un impiego.

61.      Pertanto, concludo che l’articolo 4 della direttiva 79/7 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro la quale, nel caso di lavoro a tempo parziale «verticale» (lavoro svolto solo in alcuni giorni della settimana), esclude i giorni non lavorati dal calcolo dei giorni di contribuzione, con conseguente riduzione del periodo durante il quale viene erogata la prestazione di disoccupazione, quando la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale «verticale» è costituita da donne che subiscono le conseguenze negative di tali misure nazionali.

 Conclusione

62.      Sono pertanto del parere che la Corte debba rispondere alle questioni sollevate dallo Juzgado de lo Social No 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna) come segue:

«1)      L’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CEST, come modificata dalla direttiva 98/23/CE del Consiglio, del 7 aprile 1998, deve essere interpretato nel senso che esso non si applica a una prestazione contributiva di disoccupazione, come quella prevista dall’articolo 210 della Ley General de la Seguridad Social (legge generale spagnola sulla sicurezza sociale), finanziata esclusivamente con i contributi versati da una lavoratrice e dai suoi ex datori di lavoro.

2)      L’articolo 4 della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro la quale, nel caso di lavoro a tempo parziale “verticale” (lavoro svolto solo in alcuni giorni della settimana), esclude i giorni non lavorati dal calcolo dei giorni di contribuzione, con conseguente riduzione del periodo durante il quale viene erogata la prestazione di disoccupazione, quando la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale “verticale” è costituita da donne che subiscono le conseguenze negative di tali misure nazionali».


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Direttiva del Consiglio del 19 dicembre 1978 (GU 1979, L 6, pag. 24).


3 –      Direttiva del Consiglio del 15 dicembre 1997 (GU 1998, L 14, pag. 9).


4 –      V. considerando da 8 a 12.


5 –      V. anche direttiva 98/23/CE del Consiglio, del 7 aprile 1998, che estende al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord la direttiva 97/81/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 131, pag. 10). Si tratta della versione della direttiva 97/81, come modificata dalla direttiva 98/23, applicabile ai fatti oggetto del procedimento principale.


6 –      Successivamente, lo SPEE ha proceduto a un riesame d’ufficio della base di calcolo della prestazione di disoccupazione giornaliera e ha deciso di aumentarla da EUR 6,10 a EUR 10,91 al giorno.


7 –      La sig.ra Espadas Recio sottolinea che l’importo giornaliero della prestazione di disoccupazione da lei percepito è già stato ridotto pro rata per tenere conto del fatto che essa lavorava a tempo parziale, e non a tempo pieno.


8 –      Sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e Pettini (C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329).


9 –      V. sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández (C‑527/13, EU:C:2015:215, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).


10 –      Sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e Pettini (C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329).


11 –      V. considerando da 8 a 12 della direttiva 97/81.


12 –      V. sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández (C‑527/13, EU:C:2015:215, punti 36 e 37).


13 –      V. sentenza del 5 novembre 2014, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑476/12, EU:C:2014:2332, punto 16). V. altresì sentenza del 17 maggio 1990, Barber (C‑262/88, EU:C:1990:209).


14 –      V. sentenza del 5 novembre 2014, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑476/12, EU:C:2014:2332, punto 17).


15 –      V. sentenza del 5 novembre 2014, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑476/12, EU:C:2014:2332, punto 18). V. anche sentenza del 1o aprile 2008, Maruko (C‑267/06, EU:C:2008:179, punti da 41 a 44).


16 –      V. sentenza del 29 novembre 2001, Griesmar (C‑366/99, EU:C:2001:648, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).


17 –      V. sentenza del 23 ottobre 2003, Schönheit e Becker (C‑4/02 e C‑5/02, EU:C:2003:583, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).


18 –      V. sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e Pettini (C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).


19 –      V. supra, paragrafo 12.


20 –      V., rispettivamente, sentenze del 23 ottobre 2003, Schönheit e Becker (C‑4/02 e C‑5/02, EU:C:2003:583), e del 1oaprile 2008, Maruko (C‑267/06, EU:C:2008:179). Al pari di quest’ultima sentenza, utilizzo l’espressione «personale dei teatri» per indicare tutto il personale impegnato nelle produzioni teatrali, e non solo gli attori.


21 –      V. sentenza del 22 novembre 2012, Elbal Moreno (C‑385/11, EU:C:2012:746, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).


22 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (GU 2004, L 166, pag. 1). L’articolo 9, paragrafo 1, di detto regolamento prevede che gli Stati membri devono notificare per iscritto alla Commissione le legislazioni in materia di sicurezza sociale che rientrano nell’ambito di applicazione del medesimo regolamento. Fra tali misure nazionali rientrano quelle che disciplinano le prestazioni di disoccupazione.


23 –      V. anche sentenza del 20 febbraio 1997, Martínez Losada e a. (C‑88/95, C‑102/95 e C‑103/95, EU:C:1997:69, punti da 17 a 20).


24 –      V., ad esempio, ordinanza del 17 novembre 2015, Plaza Bravo (C‑137/15, EU:C:2015:771, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).


25 –      La Spagna afferma che viene applicato un coefficiente dell’1,4% per allineare la situazione dei lavoratori a tempo parziale a quella dei lavoratori a tempo pieno ai fini del calcolo della durata delle prestazioni. Tuttavia, essa non ha fornito ulteriori informazioni circa le esatte modalità di funzionamento di tale meccanismo; ad ogni modo, si tratta di una questione di fatto il cui esame spetta al giudice del rinvio.


26 –      V., ad esempio, sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández (C‑527/13, EU:C:2015:215), e ordinanza del 17 novembre 2015, Plaza Bravo (C‑137/15, EU:C:2015:771).


27 –      Sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández (C‑527/13, EU:C:2015:215).


28 –      In tutti i casi in cui l’ultimo contratto che aveva preceduto la cessazione dell’attività professionale fosse un contratto a tempo pieno, ma in cui i lavoratori, per il resto del periodo di riferimento – o addirittura per l’intera carriera – avessero lavorato unicamente a tempo parziale, sarebbero risultati avvantaggiati, perché avrebbero percepito una pensione sopravvalutata rispetto ai contributi effettivamente versati.


29 –      Ordinanza del 17 novembre 2015, Plaza Bravo (C‑137/15, EU:C:2015:771).


30 –      Ordinanza del 17 novembre 2015, Plaza Bravo (C‑137/15, EU:C:2015:771, punti da 24 a 26 e 29).


31 –      V. sentenza del 22 novembre 212, Elbal Moreno (C‑385/11, EU:C:2012:746, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


32 –      V., ad esempio, sentenza del 5 novembre 2014, ÖsterreichischerGewerkschaftsbund (C‑476/12, EU:C:2014:2332, punti da 22 a 24 e giurisprudenza ivi citata).