Language of document : ECLI:EU:C:2004:715

Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate l'11 novembre 2004 (1)



Causa C-209/03



The Queen

su domanda di Dany Bidar

contro

London Borough of Ealing

Secretary of State for Education


(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla High Court of Justice of England and Wales)


«Domanda di pronuncia pregiudiziale – High Court of Justice of England and Wales, Queen's Bench Division (Administrative Court) – Interpretazione dell'art. 12 CE – Accesso all'istruzione universitaria – Aiuto agli studenti sotto forma di prestiti a tasso agevolato (“student loan”) – Disposizione che limita la concessione di tali prestiti agli studenti stabilitisi nel territorio nazionale»






I – Introduzione

1.       Nelle sentenze 21 giugno 1988, Lair e Brown, la Corte ha dichiarato che, allo stato di sviluppo in cui si trovava il diritto comunitario all’epoca dei fatti, un sussidio accordato agli studenti per le spese di mantenimento e di formazione, a differenza dell’aiuto concesso per coprire le spese necessarie per l’accesso all’istruzione, esulava, in linea di principio, dal campo d’applicazione del Trattato CEE  (2) . Alla luce dell’evoluzione del diritto comunitario successiva alla suddetta data, con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale la High Court of Justice of England and Wales, Queen’s Bench Division Administrative Court (Tribunale di secondo grado d’Inghilterra e del Galles per questioni di diritto amministrativo), in sostanza chiede alla Corte se i sussidi per spese di mantenimento concessi agli studenti sotto forma di borse di studio o di prestiti continuino a restare esclusi dalla sfera di applicazione del Trattato CE con riferimento all’art. 12 CE e, in caso di soluzione negativa, a quali condizioni gli Stati membri possano limitare l’accesso a detto sussidio.

II – Normativa pertinente

A – Diritto comunitario

2.       Nel caso di specie, le disposizioni di diritto comunitario pertinenti sono gli artt. 12 e 18, n. 1, del Trattato CE, nonché l’art. 3 della direttiva 93/96, relativa al diritto di soggiorno degli studenti (in prosieguo: la «direttiva 93/96»)  (3) .

«Articolo 12

Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

(…)

Articolo 18

1. Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso».

Preambolo della direttiva 93/96, settimo ‘considerando’

«Considerando che nell’attuale situazione del diritto comunitario un aiuto accordato agli studenti ai fini del loro sostentamento non rientra, come risulta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nel campo d’applicazione del trattato [CEE] ai sensi dell’articolo 7 [divenuto art. 12 CE]».

Art. 3 della direttiva 93/96

«La presente direttiva non costituisce per gli studenti che beneficiano del diritto di soggiorno la base per un diritto al pagamento di borse di mantenimento da parte dello Stato membro ospitante».

B – Diritto nazionale

3.       La normativa nazionale pertinente è contenuta negli Education (Student Support) Regulations 2001 (regolamento del 2001 in materia di aiuti agli studi; in prosieguo: il «regolamento in materia di aiuti agli studi»). Ai sensi del regolamento in materia di aiuto agli studi, i sussidi per i costi di sostentamento vengono concessi agli studenti sotto forma di prestiti per le spese di mantenimento. L’entità del prestito dipende da una serie di fattori, quali, ad esempio, se lo studente abiti con i genitori ovvero se viva a Londra o altrove. Lo studente può ottenere automaticamente il 75% dell’importo massimo del prestito disponibile, mentre la possibilità di ottenere il restante 25% dipende dalla situazione economica dello studente, dei genitori o del convivente. Il prestito viene concesso ad un tasso di interesse legato al tasso di inflazione ed è, pertanto, inferiore al tasso di interesse normalmente applicato per un prestito al consumo. Il prestito è rimborsabile successivamente alla conclusione degli studi, sempre che il reddito dello studente sia superiore a GBP 10 000. In tal caso, lo studente versa annualmente il 9% della quota di reddito eccedente GBP 10 000, sino al completo rimborso del prestito.

4.       Ai sensi del regolamento, i cittadini di uno Stato membro possono ottenere la concessione di un prestito solamente a condizione:

1) che risiedano stabilmente nel Regno Unito ai sensi del diritto nazionale (Immigration Act 1971), vale a dire che

soggiornino abitualmente nel Regno Unito senza limitazioni temporali del permesso di soggiorno;

al primo giorno dell’anno accademico del proprio corso di studi, soggiornino in Inghilterra o nel Galles

e abbiano soggiornato nel Regno Unito nei tre anni precedenti il primo giorno dell’anno accademico;

o

2) che lo studente sia un lavoratore migrante dello Spazio economico europeo avente diritto al sostegno ai sensi dell’art. 7, nn. 2 o 3, del regolamento (CEE) del Consiglio n. 1612/68, come esteso per effetto dell’accordo SEE concluso ad Oporto il 2 maggio 1992.

Una persona si considera stabilmente residente solo qualora abbia soggiornato nel Regno Unito per quattro anni. Il tempo impiegato per frequentare un corso di studi a tempo pieno non viene preso in considerazione ai fini del calcolo del periodo di soggiorno.

III – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

5.       Il sig. Dany Bidar è un cittadino francese, nato a Parigi nell’agosto 1983. Dal fascicolo emerge che nell’agosto 1998 egli si è trasferito nel Regno Unito insieme alla sorella e alla madre, che all’epoca era gravemente malata, per stare con la nonna. In seguito alla morte della madre, avvenuta nel dicembre 1999, la nonna veniva nominata tutrice del sig. Bidar. Questi frequentava il liceo a Londra, dove si diplomava nel giugno 2001 e conseguiva le qualifiche necessarie per iscriversi all’università nel Regno Unito. In tale periodo veniva mantenuto dalla nonna e non presentava richieste di assistenza sociale. Poiché intendeva iscriversi ad un corso universitario nell’anno accademico con inizio nel settembre 2001, il sig. Bidar chiedeva al London Borough of Ealing un finanziamento per tali studi. Gli veniva accordato un sussidio per le rette universitarie, ma non un prestito per le spese di mantenimento, in quanto egli non era «stabilmente residente» nel Regno Unito, non avendo ancora completato il periodo di soggiorno di quattro anni richiesto dalla normativa nazionale. Egli infatti, in quanto studente, non poteva acquisire lo status richiesto, dato che il periodo impiegato per frequentare un corso di studi a tempo pieno non è riconosciuto a tal fine. Il sig. Bidar iniziava i suoi studi di economia nel settembre 2001 presso lo University College London.

6.       Egli impugnava la decisione con cui gli era stato negato un prestito per studenti per le spese di mantenimento, facendo valere che la condizione della residenza stabile prevista dal regolamento costituisce una discriminazione ai sensi dell’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 18 CE. Il convenuto nel procedimento principale sostiene che il sussidio per le spese di mantenimento esula dall’ambito di applicazione dell’art. 12 CE, come ha confermato la Corte nelle sentenze Lair e Brown. Tuttavia, considerata l’evoluzione del diritto comunitario successiva a tali pronunce, in particolare le disposizioni in materia di cittadinanza e di istruzione nel Trattato CE introdotte dal Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° novembre 1993, la High Court ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte, in forza dell’art. 234 CE, le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.
Se, in considerazione delle sentenze della Corte di giustizia 21 giugno 1988, causa 39/86, Lair (Racc. pag. 3161) e causa 197/86, Brown (Racc. pag. 3205) ed alla luce degli sviluppi del diritto comunitario, ivi compresa l’introduzione dell’art. 18 CE e riguardo alle competenze attribuite all’Unione europea nel settore dell’istruzione, i sussidi per spese di mantenimento concessi agli studenti di corsi di insegnamento superiore, vale a dire i sussidi concessi sotto forma di (a) prestiti sovvenzionati, ovvero (b) borse di studio, continuino a restare esclusi dalla sfera di applicazione del Trattato, riguardo all’art. 12 CE ed al divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità.

2.
In caso di soluzione negativa a parte della questione sub 1 e qualora i sussidi al mantenimento degli studenti, concessi sotto forma di prestiti o borse di studio, dovessero ora ricadere nella sfera dell’art. 12 CE, quali siano i criteri che il giudice nazionale deve applicare al fine di accertare se i requisiti ai quali è subordinata la concessione di tali sussidi si fondino su considerazioni obiettivamente giustificate non fondate sulla nazionalità.

3.
In caso di soluzione negativa a parte della questione sub 1), se sia consentito invocare l’art. 12 CE al fine di ottenere la concessione di un sussidio per spese di mantenimento a decorrere da una data anteriore alla emananda pronuncia della Corte nella specie e, in caso affermativo, se possa essere fatta eccezione per coloro che, prima di tale data, abbiano adito le vie legali».

7.       Hanno presentato osservazioni scritte ai sensi dell’art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia la ricorrente nel procedimento principale, i governi di Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito, nonché la Commissione. All’udienza del 28 settembre 2004 hanno presentato ulteriori osservazioni il sig. Bidar, i governi del Regno Unito e dei Paesi Bassi e la Commissione.

8.       Il 16 giugno 2004, la Corte ha rivolto alcuni quesiti scritti al governo del Regno Unito per ottenere chiarimenti sulla condizione in base alla quale una persona, per accedere ad un prestito per studenti, deve «soggiornare abitualmente» nel Regno Unito o nello Spazio economico europeo, a seconda che si tratti rispettivamente di un non lavoratore o di un lavoratore. Le risposte a detti quesiti sono pervenute alla Corte il 21 luglio 2004.

IV – Contesto generale: la normativa vigente

A – Diritto comunitario e sussidi per le spese di studio

9.       Per inquadrare le questioni sollevate dalla High Court in una prospettiva più ampia, può essere utile esaminarle avendo riguardo alle modalità con cui il diritto comunitario ha disciplinato fino ad ora l’accesso degli studenti al sostegno finanziario per le spese di studio concesso dallo Stato membro ospitante. A tale proposito si debbono distinguere due elementi. Il primo è l’oggetto del sostegno finanziario, che riguarda la portata ratione materiae del Trattato CE. Il secondo è la qualità in base alla quale le persone possono accedere a detto sostegno, ovvero la portata ratione personae del Trattato CE.

10.     Le questioni deferite dalla High Court sono intese principalmente a verificare se le borse di studio o i prestiti (sovvenzionati) concessi dalle autorità nazionali agli studenti a copertura delle spese di mantenimento, diverse dalle spese di istruzione, attualmente rientrino nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE, con riferimento al divieto di discriminazione in base alla nazionalità sancito dall’art. 12 CE. Sin dalla sentenza della Corte nella causa Gravier  (4) è pacifico che, rientrando l’accesso alla formazione volta all’acquisizione di un titolo qualificante all’esercizio di un’attività professionale nell’ambito di applicazione del Trattato CE, i cittadini degli Stati membri hanno diritto alla parità di trattamento in relazione a tutte le condizioni cui detto accesso è subordinato. Ciò implica non solo che non si possono fare distinzioni tra gli studenti nazionali e gli studenti di altri Stati membri per quanto riguarda le spese di iscrizione ed altre spese relative ai corsi, ma anche che i sussidi a copertura di tali spese devono essere accessibili alle stesse condizioni per gli studenti di tutti gli Stati membri  (5) . In base a questo principio, il sig. Bidar ha effettivamente ottenuto un sussidio per le spese di frequenza del suo corso di studi allo University College London.

11.     Nella giurisprudenza che tratta espressamente tale questione, invece, il sussidio per le spese di mantenimento è stato considerato escluso dal campo di applicazione ratione personae del Trattato CE(E) per le persone non qualificabili come lavoratori ai sensi dell’art. 39 CE. Si è ritenuto che questa materia rientri, da un lato, «nella politica dell’istruzione, in quanto tale non soggetta alla competenza delle istituzioni comunitarie» e, dall’altro, «nella politica sociale, di competenza degli Stati membri quando non sia disciplinata da specifiche disposizioni del Trattato CEE»  (6) .

12.     Pertanto, poiché dallo status di una persona ai sensi del diritto comunitario dipende l’insorgere del diritto ai sussidi e ad altri vantaggi sociali concessi dallo Stato membro ospitante, occorre distinguere tra le varie qualifiche con cui i cittadini degli Stati membri che intendono seguire un corso di studi in uno Stato membro diverso da quello d’origine possono soggiornare in detto Stato. A tale proposito si deve distinguere tra persone economicamente attive (lavoratori subordinati e autonomi) e i loro figli, da un lato, e persone economicamente non attive, dall’altro.

13.     Se uno studente possiede lo status di lavoratore ai sensi dell’art. 39 CE, ha diritto, in forza dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68  (7) , agli stessi vantaggi sociali concessi dallo Stato membro ospitante ai cittadini nazionali. La Corte ha confermato in varie occasioni che i sussidi concessi per il mantenimento e la formazione, allo scopo di compiere studi universitari volti all’acquisizione di un titolo qualificante all’esercizio di un’attività professionale, costituiscono un vantaggio sociale ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento citato  (8) .

14.     Nell’ambito delle controversie in questo settore generalmente si sono dovuti fissare quelli che si potrebbero definire i limiti esterni della nozione di lavoratore comunitario, dato il carattere spesso marginale del lavoro svolto  (9) . La Corte ha anche esaminato la situazione di una persona che aveva posto fine ad un rapporto di lavoro per intraprendere un corso di studi. Nella specie, ha dichiarato che un lavoratore mantiene il proprio status allorché intraprende un corso di studi a tempo pieno se vi è continuità fra l’attività lavorativa precedentemente svolta e il corso di studi, a meno che il lavoratore migrante sia divenuto disoccupato non per sua volontà  (10) .

15.     A termini dell’art. 12 del regolamento n. 1612/68, i figli dei lavoratori migranti fruiscono di un identico trattamento per quanto riguarda i vantaggi sociali concessi ai cittadini e diretti ad agevolare la formazione  (11) . Ciò vale anche nel caso in cui il lavoratore sia tornato nel paese d’origine e il figlio non possa continuare i suoi studi a causa della mancanza di coordinamento dei titoli di studio  (12) ovvero il figlio intenda seguire un corso di studi nel proprio paese d’origine, se i cittadini dello Stato membro ospitante possono fruire di un sussidio per gli studi compiuti al di fuori di detto Stato  (13) .

16.     Dalla sentenza della Corte nella causa Meeusen  (14) emerge che le suesposte considerazioni si applicano, mutatis mutandis, ai lavoratori autonomi e ai loro figli.

17.     Nell’ambito della categoria degli studenti economicamente non attivi occorre distinguere tra persone che si spostano in un altro Stato membro esclusivamente o principalmente per seguirvi corsi di studio e persone che si spostano in uno Stato membro per altri motivi e in seguito decidono di intraprendere gli studi nello Stato membro ospitante.

18.     La posizione degli studenti del primo gruppo, che si spostano in un altro Stato membro per seguire un corso completo di studi, è stata disciplinata dalla direttiva 93/96, la quale assicura che detti studenti fruiscano di un diritto di soggiorno per la durata degli studi, conformemente alla giurisprudenza della Corte  (15) . Essa prevede inoltre che gli Stati membri possano esigere dagli studenti cittadini di un altro Stato membro che vogliano fruire del diritto di soggiorno nel loro territorio, innanzitutto, che assicurino all’autorità nazionale interessata di disporre dei mezzi necessari per evitare che, durante il loro soggiorno, divengano un onere per l’assistenza sociale dello Stato membro ospitante, che siano inoltre iscritti in un istituto riconosciuto per seguirvi, a titolo principale, una formazione professionale e che dispongano, infine, di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante  (16) . Inoltre, in quella che può essere considerata la codificazione delle sentenze della Corte nelle cause Lair e Brown, l’art. 3 della direttiva 93/96 dispone espressamente che tale direttiva non costituisce per gli studenti che beneficiano del diritto di soggiorno la base per un diritto al pagamento di borse di mantenimento.

19.     Il secondo gruppo, quello delle persone economicamente non attive, è composto da soggetti che sono arrivati in uno Stato membro non come lavoratori o come studenti che intendono intraprendere un corso di formazione, ma come cittadini dell’Unione europea che esercitano il diritto di circolazione e soggiorno garantito dall’art. 18 CE e regolamentato più in dettaglio dalla direttiva 90/364  (17) . A differenza delle persone che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 93/96, i cittadini dell’Unione che esercitano il loro diritto di spostarsi in un altro Stato membro e di rimanervi conservano il diritto di soggiorno fintantoché soddisfano le condizioni stabilite dalla direttiva 90/364. A tal fine, le loro motivazioni sono irrilevanti.

20.     Se una persona appartenente a questa seconda categoria decide di compiere i suoi studi nello Stato membro ospitante, dalla giurisprudenza Gravier e Raulin emerge chiaramente che essa ha diritto ad un sussidio per le spese di accesso all’istruzione. Nel caso di specie questo punto è pacifico e, come detto, il sig. Bidar ha ricevuto sostegno economico a tale scopo. Tuttavia, poiché nella direttiva 90/364 manca una disposizione equivalente all’art. 3 della direttiva 93/96, la situazione, per quanto riguarda il diritto al sussidio per spese di mantenimento degli studenti che soggiornano già nello Stato membro ospitante in qualità di cittadini dell’Unione europea, rimane terreno inesplorato. Per fare chiarezza e colmare questa lacuna della direttiva 90/364 in relazione alla posizione giuridica dei cittadini dell’Unione che si trovano in tale situazione, occorre fare riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia di cittadinanza dell’Unione ai sensi degli artt. 17 CE e 18 CE e vantaggi sociali.

B – Cittadinanza e vantaggi sociali: la giurisprudenza

21.     In varie occasioni la Corte ha avuto modo di chiarire se l’art. 18 , n. 1, CE conferisca ai cittadini dell’Unione europea il diritto di fruire di vantaggi sociali di varia natura. Mi riferisco in particolare alle sentenze Martínez Sala, Grzelczyk, D’Hoop, Collins e Trojani  (18) .

22.     Nelle pronunce relative all’art. 18, n. 1, CE, la Corte ha ripetutamente sottolineato che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, che consente a coloro che si trovino nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla nazionalità e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico  (19) . I cittadini che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro possono avvalersi dell’art. 12 CE in tutte le situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto comunitario  (20) . Tra queste situazioni rientrano quelle che implicano l’esercizio di libertà fondamentali garantite dal Trattato CE o del diritto di circolare e soggiornare liberamente in un altro Stato membro, conferito dall’art. 18, n. 1, CE. Inoltre tale diritto di soggiorno è riconosciuto direttamente ad ogni cittadino dell’Unione da una disposizione chiara e precisa del Trattato, come ha dichiarato la Corte nella sentenza Baumbast  (21) . Esso pertanto può essere fatto valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali.

23.     Nella prima sentenza relativa a questa materia, Martínez Sala, la Corte ha dichiarato «che un cittadino dell’Unione europea che (…) risiede legalmente nel territorio dello Stato membro ospitante può avvalersi dell’art. [12] del Trattato in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione ratione materiae del diritto comunitario, ivi compresa la situazione in cui tale Stato membro ritardi o rifiuti di concedergli una prestazione che viene attribuita a chiunque risieda legalmente nel territorio di tale Stato, per il motivo che non è in possesso di un documento che non è richiesto ai cittadini di questo stesso Stato e il cui rilascio può essere ritardato o rifiutato dalla sua amministrazione»  (22) . Poiché l’indennità di educazione controversa era soggetta all’applicazione sia del regolamento n. 1408/71  (23) che del regolamento n. 1612/68, ed era quindi compresa nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE, la sig.ra Martínez Sala aveva diritto a tale prestazione alle stesse condizioni applicate ai cittadini tedeschi.

24.     La causa Grzelczyk riguardava uno studente francese che studiava in Belgio e, dopo aver provveduto egli stesso alle spese per il proprio mantenimento nei primi tre anni di studi, nel quarto e ultimo anno chiedeva il beneficio del minimo dei mezzi di sussistenza (minimex), in quanto la combinazione di lavoro e studi era troppo onerosa in detta fase del suo corso. Tale beneficio veniva prima concesso e poi revocato, in quanto il destinatario non era un lavoratore, bensì uno studente, e non era cittadino belga. Pur riconoscendo le condizioni cui l’art. 1 della direttiva 93/96 subordina il diritto degli studenti di soggiornare in un altro Stato membro e il fatto che, ai sensi dell’art. 3 di detta direttiva, gli studenti non hanno diritto a sussidi di mantenimento a carico dello Stato membro ospitante, la Corte ha osservato che nessuna disposizione della direttiva esclude i suoi beneficiari dalle prestazioni sociali  (24) . Sebbene ciò implicasse che il sig. Grzelczyk era divenuto un onere per l’assistenza sociale e quindi non soddisfaceva più una delle condizioni cui è subordinato il diritto di soggiorno, la Corte ha sottolineato che la direttiva 93/96 richiede solo che gli studenti dichiarino di disporre di risorse sufficienti all’inizio del loro soggiorno nello Stato membro ospitante e che la loro situazione finanziaria può cambiare per ragioni che prescindono dalla loro volontà. Il fatto che la direttiva miri ad evitare che gli studenti diventino un onere «eccessivo» per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante implica che essa «consente (…) una certa solidarietà finanziaria dei cittadini di tale Stato con quelli degli altri Stati membri, specie quando le difficoltà cui va incontro il beneficiario del diritto di soggiorno sono di carattere temporaneo»  (25) . Poiché la giurisprudenza precedente aveva stabilito che il minimex rientrava nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE e le norme che disciplinavano l’accesso al beneficio erano in contrasto con l’art. 12 CE, il sig. Grzelczyk aveva diritto al beneficio in questione.

25.     Nella causa D’Hoop, le autorità belghe avevano negato a una studentessa belga un’indennità di disoccupazione (concessa ai giovani che hanno completato gli studi e sono in cerca di prima occupazione) per la sola ragione che essa aveva completato gli studi secondari in Francia. Al riguardo la Corte ha dichiarato che subordinare la concessione dell’indennità alla condizione di avere ottenuto il diploma richiesto in Belgio svantaggia determinati cittadini nazionali per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libertà di circolazione al fine di seguire un corso di studi in un altro Stato membro. «Una disparità di trattamento di tal genere è contraria ai principi che sono alla base dello status di cittadino dell’Unione, cioè la garanzia di un medesimo trattamento giuridico nell’esercizio della propria libertà di circolazione»  (26) . La Corte ha tuttavia riconosciuto che, tenuto conto dell’obiettivo dell’indennità di facilitare ai giovani il passaggio dalla scuola al mercato del lavoro, è legittimo che il legislatore nazionale voglia essere sicuro dell’esistenza di un nesso reale tra chi richiede le dette indennità ed il mercato geografico del lavoro interessato. Tuttavia, un’unica condizione relativa al luogo di conseguimento del diploma di maturità presentava un carattere troppo generale ed esclusivo  (27) .

26.     La causa Collins era stata avviata da un cittadino irlandese che si era trasferito nel Regno Unito per cercarvi lavoro e al quale era stata negata un’indennità per persone in cerca di impiego in quanto non soggiornava abitualmente nel Regno Unito. Benché gli artt. 2 e 5 del regolamento n. 1612/68 non menzionino prestazioni di natura finanziaria a favore di persone che cercano di accedere al mercato del lavoro, la Corte ha osservato che occorreva interpretare dette disposizioni  (28) «alla luce di altre disposizioni del diritto comunitario, in particolare l’art. [12] del Trattato»  (29) . Essa ha quindi dichiarato che «[t]enuto conto dell’istituzione della cittadinanza dell’Unione e dell’interpretazione giurisprudenziale del diritto alla parità di trattamento di cui godono i cittadini dell’Unione, non si può più escludere dall’ambito di applicazione dell’art. [39, n. 2, CE], il quale è un enunciato del principio fondamentale della parità di trattamento garantito dall’art. [12] del Trattato, una prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso all’occupazione sul mercato del lavoro di uno Stato membro»  (30) . Come nella causa D’Hoop, la Corte ha riconosciuto che gli Stati membri possono stabilire condizioni per assicurare che esista un nesso reale tra chi richiede indennità che hanno il carattere di un vantaggio sociale ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 ed il mercato geografico del lavoro interessato. Il requisito del soggiorno può essere ritenuto adeguato allo scopo, ma non deve andare oltre quanto necessario per conseguirlo. In particolare, la sua applicazione dev’essere fondata su criteri chiari e conosciuti in anticipo e dev’essere prevista la possibilità di rimedi giurisdizionali  (31) .

27.     Infine, nella causa Trojani, a un cittadino francese che lavorava in un ostello dell’Esercito della Salvezza in Belgio in cambio di alloggio e di un po’ di denaro per le piccole spese era stata negata la prestazione belga minimex per gli stessi motivi addotti nella causa Grzelczyk: egli non possedeva la cittadinanza belga e non poteva beneficiare dell’applicazione del regolamento n. 1612/68. A tale proposito la Corte ha dichiarato che l’art. 18, n. 1, CE, in combinato disposto con la direttiva 90/364, non conferiva un diritto di soggiorno al ricorrente, data la sua mancanza di risorse. Egli tuttavia, essendo in possesso di un permesso di soggiorno e soggiornando legalmente in Belgio, poteva avvalersi del principio fondamentale della parità di trattamento sancito dall’art. 12 CE. La Corte ha quindi concluso che una normativa nazionale, qualora non accordi una prestazione di assistenza sociale ai cittadini dell’Unione non cittadini dello Stato membro nel cui territorio soggiornano legalmente, anche quando questi soddisfano i requisiti che sono richiesti ai cittadini di detto Stato, costituisce una discriminazione basata sulla cittadinanza vietata dall’art. 12 CE  (32) .

C – Cittadinanza e prestazioni sociali: quadro generale

28.     Se si considerano queste sentenze nel loro insieme, ne emergono alcuni principi relativi alla cittadinanza dell’Unione in quanto tale e, di conseguenza, al diritto dei cittadini dell’Unione a vantaggi non contributivi di natura sociale. Sottolineando il carattere fondamentale della cittadinanza dell’Unione, la Corte ha chiarito che essa non è semplicemente una nozione astratta o simbolica, bensì costituisce lo status di base di tutti i cittadini di Stati membri dell’Unione, che attribuisce determinati diritti e privilegi in altri Stati membri in cui essi soggiornano. In particolare, la cittadinanza dell’Unione conferisce ai cittadini di altri Stati membri il diritto di essere trattati alla pari dei cittadini dello Stato membro ospitante in relazione a situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione materiale del diritto comunitario. Il fatto che un cittadino dell’Unione compia gli studi in uno Stato membro diverso da quello di cui è cittadino non può, di per sé, privarlo della possibilità di avvalersi dell’art. 12 CE  (33) . Come emerge dalle sentenze sopra citate, vari vantaggi sociali che gli Stati membri in precedenza concedevano ai loro cittadini e alle persone economicamente attive ai sensi dei regolamenti n. 1612/68 o n. 1408/71 sono stati estesi ai cittadini dell’Unione che soggiornano legalmente nello Stato membro ospitante. Mi riferisco all’indennità di educazione della causa Martínez Sala, all’indennità minimex delle cause Grzelczyk e Trojani e all’indennità di disoccupazione giovanile della causa D’Hoop. In questi casi i vantaggi rientravano nell’ambito di applicazione di regolamenti comunitari in vigore e pertanto erano chiaramente inclusi nel campo di applicazione ratione materiae del Trattato.

29.     Per converso, è interessante osservare che nella causa Collins la Corte non ha collocato l’indennità per le persone in cerca di impiego richiesta dal ricorrente espressamente nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato. Nell’interpretare le disposizioni del regolamento n. 1612/68 riguardanti l’accesso all’occupazione in altri Stati membri, ha invece utilizzato la nozione di cittadinanza per ricondurla nell’ambito di applicazione del Trattato: «[t]enuto conto dell’istituzione della cittadinanza dell’Unione e dell’interpretazione giurisprudenziale del diritto alla parità di trattamento di cui godono i cittadini dell’Unione, non si può più escludere dall’ambito di applicazione dell’art. [39, n. 2, CE] (…) una prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso all’occupazione sul mercato del lavoro di uno Stato membro». In altre parole, sembrerebbe che la cittadinanza di per sé implichi che determinati vantaggi possano essere fatti rientrare nell’ambito di applicazione del Trattato se le prestazioni vengono concesse per scopi che coincidono con gli obiettivi perseguiti dalla legislazione comunitaria primaria o derivata.

30.     Dalla giurisprudenza emerge altresì che in queste situazioni il diritto alle prestazioni sociali dei cittadini che soggiornano legalmente nell’Unione non è assoluto e che gli Stati membri possono subordinarne la concessione a determinate condizioni obiettive, ossia non discriminatorie, per tutelare i propri legittimi interessi. Nelle due cause aventi ad oggetto vantaggi diretti ad agevolare l’accesso del beneficiario al mercato del lavoro, D’Hoop e Collins, la Corte ha riconosciuto che gli Stati membri possono imporre condizioni per assicurare che il richiedente presenti un nesso reale con il mercato del lavoro geograficamente rilevante. Tali condizioni devono essere applicate in conformità del fondamentale principio comunitario di proporzionalità.

31.     Come detto, un cittadino dell’Unione, per poter accedere alle prestazioni sociali, deve anche soggiornare legalmente nello Stato membro ospitante. Conformemente alle direttive 90/364 e 93/96, il cittadino o studente dell’Unione deve disporre di risorse sufficienti per evitare di divenire un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante e deve avere un’adeguata copertura assicurativa per le spese di malattia. Anche in questo caso, le condizioni e i limiti debbono essere applicati in conformità dei principi generali del diritto comunitario, in particolare del principio di proporzionalità  (34) . Nella sentenza Grzelczyk la Corte ha dichiarato che la condizione secondo cui un cittadino dell’Unione non deve diventare un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante, nelle circostanze del caso di specie, non impediva all’interessato di accedere ad una prestazione sociale. Neanche il fatto che l’art. 3 della direttiva 93/96 escluda il diritto degli studenti a borse di mantenimento impediva al ricorrente di percepire l’indennità minimex. La nozione di «onere eccessivo» è chiaramente flessibile e, secondo la Corte, implica che la direttiva 93/96 consente una certa solidarietà finanziaria tra gli Stati membri nel fornire assistenza ai cittadini di altri Stati membri che soggiornano legalmente nel loro territorio. Poiché questo stesso principio costituisce il fondamento delle condizioni imposte dalla direttiva 90/364, non vi è alcun motivo per ritenere che la detta solidarietà finanziaria non si applichi anche in tale contesto.

32.     Sorge la questione del significato dell’espressione «una certa» solidarietà finanziaria. È chiaro che la Corte non prevede che gli Stati membri offrano ai cittadini dell’Unione che entrano e soggiornano nel loro territorio l’intera gamma dei loro sistemi di assistenza sociale. Accogliere questa tesi significherebbe ignorare uno dei fondamenti delle direttive in materia di soggiorno. Ritengo che anche in questo caso si tratti di un richiamo all’osservanza del principio di proporzionalità nell’applicazione delle condizioni nazionali cui è subordinato l’accesso all’assistenza sociale. Da un lato, gli Stati membri hanno diritto di assicurarsi che le prestazioni sociali che essi mettono a disposizione vengano concesse per i fini cui sono destinate. Dall’altro, devono consentire ai cittadini dell’Unione che hanno soggiornato legalmente nel loro territorio per un certo periodo di tempo di accedere in modo paritario a dette prestazioni qualora soddisfino le condizioni oggettive stabilite per i cittadini nazionali. A tale proposito, gli Stati membri devono garantire che i criteri e le condizioni cui è subordinata l’erogazione delle prestazioni non costituiscano una discriminazione diretta o indiretta tra i loro cittadini e gli altri cittadini dell’Unione, che siano chiari, adeguatamente commisurati allo scopo della prestazione e conosciuti in anticipo e che sia prevista la possibilità di rimedi giurisdizionali  (35) . A quanto precede aggiungerei che tali criteri e condizioni devono anche essere applicabili con sufficiente flessibilità, per tenere conto delle specifiche circostanze individuali dei richiedenti, qualora il diniego della prestazione possa pregiudicare ciò che nel diritto costituzionale tedesco viene definito «Kernbereich», ovvero il nucleo essenziale di un diritto fondamentale conferito dal Trattato, quali i diritti sanciti dall’art. 18, n. 1, CE. È interessante osservare che detto principio è stato inserito nell’art. II-112 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, incorporata nel progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa  (36) . Detta disposizione prevede che eventuali limitazioni dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. L’art. II-105 della Carta garantisce ai cittadini dell’Unione la libertà di circolazione e il diritto di soggiornare nel territorio degli Stati membri in termini sostanzialmente identici all’art. 18 n. 1, CE.

33.     In altre parole, vi è stato un netto sviluppo della cittadinanza dell’Unione (artt. 17 CE e 18, n. 1, CE) e del parallelo divieto di discriminazione in base alla nazionalità (art. 12 CE), che sono divenuti il fondamento del diritto ad ottenere determinate prestazioni sociali negli Stati membri in cui i cittadini dell’Unione soggiornano legalmente. Come ho rilevato al paragrafo 29, sebbene fosse richiesto che le prestazioni rientrassero espressamente nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato, nella causa Collins la Corte ha chiaramente ammesso che tale condizione è soddisfatta se la prestazione di cui trattasi è stata istituita per scopi che coincidono con gli obiettivi di diritto comunitario primario e derivato. Le persone che si sono spostate in un altro Stato membro e, almeno inizialmente, hanno soddisfatto le condizioni relative alla residenza stabilite dalle direttive in materia di soggiorno, ma si sono successivamente trovate nella necessità di richiedere assistenza economica, possono ottenere tale assistenza alla pari dei cittadini dello Stato membro ospitante, fatte salve le limitazioni e le condizioni stabilite dal legislatore comunitario. Dette limitazioni e condizioni devono essere applicate in modo tale che il risultato finale non risulti sproporzionato rispetto agli scopi perseguiti. Inoltre tale risultato non deve comportare una discriminazione del cittadino dell’Unione non obiettivamente giustificata nel caso in cui egli si trovi nelle stesse circostanze materiali di un cittadino dello Stato membro ospitante e sia sufficientemente integrato nella vita sociale di detto Stato. A tale proposito, a seconda della natura delle prestazioni interessate, gli Stati membri possono stabilire le condizioni oggettive necessarie a garantire che la prestazione venga erogata a persone la cui situazione presenti un nesso sufficiente con il loro territorio.

V – Questioni pregiudiziali

A – Sulla prima questione: cittadinanza e sussidio di mantenimento

34.     La prima questione deferita dalla High Court è intesa a stabilire se l’aiuto finanziario concesso dagli Stati membri agli studenti per le spese di mantenimento continui a restare escluso dalla sfera di applicazione del Trattato CE con riferimento all’art. 12 CE, tenuto conto dell’introduzione dell’art. 18 CE nel Trattato CE e degli sviluppi intervenuti nel settore dell’istruzione successivamente alle sentenze della Corte nelle cause Lair e Brown.

35.     Il sig. Bidar osserva, in primo luogo, che egli dev’essere considerato uno studente cittadino dell’Unione che ha soggiornato legalmente nel Regno Unito per oltre tre anni prima di intraprendere il suo corso di studi. Di conseguenza, non si troverebbe nella posizione di un cittadino dell’Unione soggetto all’applicazione della direttiva 93/96. Poiché la competenza dell’Unione è stata estesa al settore dell’istruzione, l’ambito di applicazione materiale del Trattato non è circoscritto alle questioni connesse all’accesso alla formazione, ma include anche materie correlate all’incentivazione della mobilità degli studenti, compresa l’erogazione di sussidi per le spese di mantenimento. Secondo il sig. Bidar, la sentenza Grzelczyk conferma che la sentenza della Corte nella causa Brown è stata superata dalla predetta evoluzione del diritto comunitario. Il sig. Bidar osserva che, quand’anche si ritenesse che egli rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 93/96, le condizioni stabilite da tale direttiva non sono tassative e devono essere applicate in conformità dei principi generali del diritto comunitario, in particolare del principio di proporzionalità. A tale proposito rileva che la sua formazione è già strettamente connessa al sistema di istruzione del Regno Unito. Infine, deduce che la distinzione tra sussidio per il pagamento delle tasse scolastiche, da un lato, e borse di studio e prestiti sovvenzionati, dall’altro, è artificiosa, in quanto in entrambi i casi il diniego costituirebbe per gli studenti un ostacolo all’esercizio del diritto alla libera circolazione.

36.     Per quanto riguarda lo status personale del sig. Bidar, il governo del Regno Unito osserva che, dinanzi al giudice nazionale, egli ha fatto valere la direttiva 93/96 e pertanto non potrebbe essere considerato «stabilmente residente» nel Regno Unito. Il governo tedesco aggiunge che, chiedendo un prestito già prima di iniziare gli studi, il sig. Bidar si sarebbe privato della possibilità di acquisire il diritto di soggiorno ai sensi della direttiva 93/96 e di avvalersi del combinato disposto degli artt. 18 CE e 12 CE.

37.     Tutti i governi degli Stati membri che hanno presentato osservazioni scritte e la Commissione ritengono che l’aiuto finanziario per le spese di mantenimento concesso agli studenti esuli ancora dall’ambito di applicazione del Trattato CE. A sostegno di questa tesi sono stati dedotti vari argomenti, tra cui l’introduzione dell’art. 149 CE, che riconosce la responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione dei sistemi di istruzione. A loro parere, la disposizione comprende i regimi di aiuti agli studenti. Essi osservano che il diritto di soggiorno conferito dall’art. 18, n. 1, CE è soggetto alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso. L’art. 3 della direttiva 93/96 determinerebbe l’esclusione di un diritto degli studenti migranti a borse di mantenimento che, a loro parere, è stata confermata dalla Corte nella sentenza Grzelczyk. È stato fatto riferimento anche alla direttiva 2004/38, sul diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri  (37) , che dev’essere recepita dagli Stati membri entro il 30 aprile 2006. L’art. 24, n. 2, di tale direttiva dispone espressamente che prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, un diritto che si ottiene dopo un periodo ininterrotto di cinque anni di soggiorno legale nello Stato membro ospitante, detto Stato non è tenuto ad attribuire aiuti di mantenimento agli studi, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o che non siano loro familiari.

38.     Più in generale, il governo austriaco osserva che l’Accordo europeo sul mantenimento delle borse di studio versate a studenti che proseguono i loro studi all’estero, concluso nel quadro del Consiglio d’Europa nel 1969, si basa sul principio secondo cui lo Stato d’origine è responsabile per il pagamento delle borse di studio e che, qualora anche lo Stato ospitante ne fosse responsabile, vi sarebbe un rischio di duplicazione dei pagamenti. Analogamente, il governo olandese rileva che, data la mancanza di coordinamento a livello comunitario in questo settore, la commistione dei principi dello Stato d’origine e dello Stato ospitante potrebbe avere effetti negativi. Anche i governi danese e finlandese fanno riferimento ai possibili effetti di una soluzione negativa della prima questione sulle loro normative in materia di sussidi di mantenimento per studenti.

39.     In primo luogo, si deve rilevare che la soluzione della prima questione della High Court dipende dalla situazione di fatto del caso di specie. Sebbene la questione sia se il sussidio concesso agli studenti per le spese di mantenimento attualmente rientri nell’ambito di applicazione del Trattato CE, è fondamentale individuare la normativa alla luce della quale detta questione dev’essere esaminata. Da un lato, il Regno Unito in particolare afferma che, essendo il sig. Bidar cittadino di un altro Stato membro che si trova nel Regno Unito per seguirvi un corso universitario, egli rientra esclusivamente nell’ambito di applicazione della direttiva 93/96. Il sig. Bidar, dall’altro lato, fa valere di avere già soggiornato nel Regno Unito per tre anni prima di iniziare gli studi e di avervi anche compiuto gli studi secondari. A tale proposito, afferma di trovarsi nella stessa situazione di fatto della sig.ra D’Hoop e di dover essere considerato un cittadino dell’Unione che ha esercitato il suo diritto di spostarsi in un altro Stato membro ai sensi dell’art. 18, n. 1, CE. Ciò implica che la questione relativa al suo diritto ad un prestito di mantenimento per studenti dovrebbe essere esaminata alla luce di detta disposizione del Trattato, in combinato disposto con l’art. 12 CE. A mio parere, dai fatti esposti al paragrafo 5 emergono gravi indizi in base ai quali il sig. Bidar rientrerebbe in realtà nella seconda categoria e soddisferebbe i requisiti richiesti dalla direttiva 90/364. Tuttavia, poiché spetta al giudice del rinvio accertare i fatti e stabilire di conseguenza le norme applicabili al caso di specie, esaminerò entrambe le ipotesi.

40.     L’art. 18, n. 1, CE subordina i diritti dei cittadini dell’Unione a circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato CE e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso. Per quanto riguarda gli studenti, la loro situazione è disciplinata dalla direttiva 93/96. Detta direttiva si applica agli studenti che si sono trasferiti in un altro Stato membro per seguirvi un corso di studi. In altre parole, seguire un corso di studi nello Stato membro ospitante è il motivo per cui essi esercitano i diritti loro conferiti dall’art. 18, n. 1, CE. Gli studenti che si trovano in questa situazione devono soddisfare le condizioni già ricordate al paragrafo 18, supra, in particolare per quanto riguarda la loro indipendenza economica. Essi non devono diventare un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante e, a termini dell’art. 3 della direttiva 93/96, non hanno diritto a borse di mantenimento.

41.     Nella sentenza Grzelczyk la Corte ha confermato questi principi, ma ne ha mitigato la rigidità alla luce delle circostanze del caso di specie. Pur escludendo il diritto ad una borsa di mantenimento, ha dichiarato che la direttiva taceva quanto alla possibilità di beneficiare di una prestazione di sicurezza sociale, come un’indennità minima di sussistenza. Inoltre, sebbene la direttiva sia diretta ad evitare che gli studenti diventino un onere eccessivo per le finanze pubbliche, la Corte ha dichiarato che tale principio non deve essere applicato in senso assoluto, ma va interpretato nel senso che, in determinati casi, come quello del sig. Grzelczyk, che si era trovato in difficoltà economiche nell’ultimo anno di studi, gli Stati membri devono accettare una certa solidarietà finanziaria, prestando assistenza ai cittadini degli altri Stati membri.

42.     Se il sig. Bidar dev’essere considerato uno studente soggetto esclusivamente all’applicazione della direttiva 93/96, è evidente che l’art. 3 della direttiva comporta un grave ostacolo per il suo accesso ad una borsa di mantenimento nel Regno Unito. Tuttavia, ciò di cui si discute non è il diritto ad una borsa di mantenimento, bensì il diritto ad un prestito (sovvenzionato) che copra le spese di sostentamento. I prestiti agli studenti non sono espressamente menzionati dall’art. 3 della direttiva 93/96 e pertanto, tenuto conto del fatto che ora essi sono stati espressamente esclusi dalla parallela disposizione della direttiva 2004/38, cioè l’art. 24, n. 2, se ne può dedurre che il diritto a detti prestiti non è escluso dall’art. 3 della direttiva 93/96.

43.     Ciò detto, per stabilire se gli studenti provenienti da altri Stati membri debbano avere accesso a prestiti per le spese di mantenimento ci si deve basare sul principio generale dell’art. 1 della direttiva 93/96, secondo cui gli studenti, per acquisire il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante, devono dichiarare di disporre di risorse sufficienti ad evitare che, durante il soggiorno, essi divengano un onere per l’assistenza sociale. Come ha dichiarato la Corte nella sentenza Grzelczyk, la direttiva richiede solo una dichiarazione dello studente in tal senso all’inizio del suo soggiorno nello Stato membro. Vi sono due motivi per chiedersi se questa condizione si applichi anche ai prestiti agli studenti per le spese di mantenimento. Il primo è che tali prestiti generalmente non rientrano nell’assistenza sociale degli Stati membri e infatti la Corte, nella sentenza Grzelczyk, ha appunto formulato questa distinzione. Il secondo è che, sebbene i prestiti in questione vengano normalmente concessi a condizioni non di mercato e in alcuni casi con rinuncia al rimborso, l’onere per le finanze pubbliche determinato da tali condizioni è inferiore rispetto a quello delle prestazioni che non devono essere rimborsate.

44.     Nondimeno, dalla condizione di base è chiaro che gli studenti devono disporre di risorse sufficienti al loro arrivo nello Stato membro ospitante e non possono chiedere un prestito (sovvenzionato) per le spese di mantenimento. L’effetto cumulativo dei prestiti concessi a tali condizioni, come quelli previsti dal regolamento in materia di aiuti agli studi, costituisce un onere gravoso per le finanze pubbliche, come risulta anche dalle informazioni fornite su questo punto dal giudice nazionale  (38) . Ciò giustifica il fatto che i prestiti siano trattati alla stessa stregua delle borse di mantenimento ai fini dell’art. 3 della direttiva 93/96.

45.     Tuttavia si potrebbe individuare un’eccezione a tale regola e, infatti, il governo dei Paesi Bassi ha anche osservato che determinate circostanze eccezionali possono giustificare un’applicazione meno rigorosa dell’art. 3. Alla luce delle considerazioni svolte ai paragrafi 31 e 32, supra, secondo cui le condizioni prescritte dalla direttiva 93/96 devono essere applicate in conformità dei principi generali del diritto comunitario, in particolare del principio di proporzionalità, si deve assicurare che venga rispettato il nucleo essenziale dei diritti fondamentali conferiti dall’art. 18, n. 1, CE. Ad esempio, uno studente che in un primo tempo rispondeva alle condizioni di base prescritte dalla direttiva può incontrare difficoltà economiche in una fase successiva dei suoi studi. In tali circostanze, ritengo che debba trovare applicazione la logica della sentenza Grzelczyk. Conformemente a detta sentenza, se un cittadino dell’Unione, in qualità di studente, ha diritto, in forza degli artt. 18, n. 1, CE e 12 CE, ad un’indennità minima di sussistenza nel suo ultimo anno di studi alla pari dei cittadini dello Stato membro nel caso in cui la sua situazione finanziaria si sia modificata dopo l’inizio degli studi, non vi è alcun motivo per escludere i cittadini dell’Unione che si trovino in una situazione analoga, ai sensi delle predette disposizioni, dallo strumento meno oneroso del prestito per studenti. In queste circostanze eccezionali il principio della solidarietà finanziaria tra i cittadini degli Stati membri implica che, una volta che uno studente abbia iniziato un corso di studi in un altro Stato membro e ne abbia raggiunto un determinato stadio, detto Stato deve consentirgli di completare il corso garantendogli l’assistenza finanziaria cui hanno accesso i cittadini nazionali.

46.     La seconda situazione da esaminare si fonda sulla presunzione che il sig. Bidar non debba essere considerato alla stregua di uno studente che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/96, bensì come un cittadino dell’Unione che ha esercitato il suo diritto di circolare e soggiornare nel territorio di un altro Stato membro. Occorre quindi esaminare se, in seguito all’introduzione delle norme relative alla cittadinanza dell’Unione e all’istruzione, la portata del Trattato CE attualmente si estenda al sostegno finanziario concesso dagli Stati membri agli studenti per le spese di mantenimento.

47.     Nelle sentenze del 21 giugno 1988, la Corte ha dichiarato che, allo stato di sviluppo del diritto comunitario all’epoca, gli aiuti per il mantenimento e per gli studi concessi agli studenti che non possedevano la qualità di lavoratore o uno status connesso a tale qualifica, in linea di principio esulavano dall’ambito di applicazione del Trattato CE(E), con riferimento all’art. 12 CE. Ciò si spiegava con il fatto che detti aiuti dovevano essere considerati, da un lato, come una questione di politica dell’istruzione che di per sé non rientra tra le materie di competenza delle istituzioni comunitarie e, dall’altro, come una questione di politica sociale che rientra nella competenza degli Stati membri nella misura in cui non è disciplinata da specifiche disposizioni del Trattato CE(E).

48.     Successivamente alle sentenze sopra citate, il Trattato di Maastricht ha introdotto nel Trattato CE alcune disposizioni in materia di istruzione. Gli artt. 3, n. 1, lett. q), CE, e 149 CE attualmente costituiscono il fondamento dell’azione comunitaria in questo settore. L’ambito di applicazione di tali disposizioni è limitato. L’azione intrapresa dalla Comunità in questo campo si limita a promuovere la cooperazione tra gli Stati membri sotto vari aspetti, compresa la mobilità di studenti e insegnanti. L’armonizzazione è espressamente esclusa. Pur rendendo possibile l’adozione di talune misure di incentivo nel settore dell’istruzione, le norme del Trattato relative a questa materia si basano sul principio secondo cui gli Stati membri restano responsabili per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione dei sistemi di istruzione.

49.     Non sono convinto che il sussidio per le spese di mantenimento debba ancora essere considerato escluso dall’ambito di applicazione del diritto comunitario solo perché dev’essere inteso come un aspetto della «organizzazione dei sistemi di istruzione». Ciò che rileva in questo contesto è che, pur conferendo poteri limitati alle istituzioni comunitarie, le disposizioni citate consentono effettivamente alla Comunità di adottare misure al fine di agevolare la mobilità degli studenti, tra le quali rientrano gli aiuti finanziari per le spese di mantenimento. Di conseguenza, sono ora soggette alla «competenza delle istituzioni comunitarie» non solo la politica dell’istruzione di per sé, ma anche le misure finanziarie adottate per agevolare la mobilità degli studenti. Nella sentenza Grzelczyk anche la Corte ha considerato rilevanti questi sviluppi intervenuti dopo la sentenza Brown  (39) .

50.     Pertanto l’introduzione delle disposizioni in materia di istruzione è indicativa del fatto che i sussidi per le spese di mantenimento ora rientrano nell’ambito di applicazione materiale del Trattato CE. Inoltre si deve osservare che, rispetto alla situazione esistente nel 1988, durante la vigenza del Trattato CEE, il Trattato CE conferisce i diritti fondamentali a circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri non solo ai cittadini economicamente attivi degli Stati membri, ma anche ai loro cittadini economicamente non attivi. Vero è che l’esercizio di tali diritti è stato sottoposto a limiti e condizioni e a misure adottate per agevolarlo, tra cui rientrano, come hanno ripetutamente sottolineato le parti che hanno presentato osservazioni, le condizioni relative all’indipendenza finanziaria dei cittadini dell’Unione economicamente non attivi. Tuttavia, da quanto precede non discende che i vantaggi sociali di vario tipo, compreso il sostegno finanziario per le spese di mantenimento, esulino per loro natura dall’ambito di applicazione del Trattato. A tale proposito, è sufficiente fare riferimento alla succitata giurisprudenza in materia di cittadinanza dell’Unione e vantaggi sociali. Il fatto che le direttive adottate per agevolare l’esercizio dei diritti conferiti dall’art. 18, n. 1, CE, possano stabilire norme per l’accesso alle prestazioni fornite dagli Stati membri o persino escludere tale accesso non implica che detti vantaggi esulino dalla sfera di applicazione del Trattato.

51.     Per molto tempo i sussidi di mantenimento sono stati considerati un vantaggio sociale rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68  (40) . Nella sentenza Lair, la Corte ha osservato che un tale sussidio è, specialmente dal punto di vista del lavoratore, particolarmente idoneo a contribuire alla sua qualificazione professionale e a facilitare la sua promozione sociale  (41) . Più in generale, nella sentenza Echternach e Moritz la Corte ha ritenuto che la parità di trattamento di cui godono i lavoratori per quanto riguarda i vantaggi attribuiti ai loro familiari contribuisce all’integrazione dei suddetti lavoratori nella vita sociale del paese ospitante, conformemente agli obiettivi della libera circolazione dei lavoratori  (42) . Poiché è pacifico che un vantaggio di questo tipo rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE riguardo ai lavoratori, e considerata la logica della giurisprudenza citata, ritengo che sarebbe artificioso sottrarre il vantaggio in questione dall’ambito di applicazione del Trattato riguardo ad altre categorie di persone che attualmente vi rientrano a loro volta. La questione se queste categorie di persone abbiano diritto ai detti vantaggi dev’essere tenuta distinta dalla questione se il vantaggio di per sé rientri nell’ambito di applicazione del Trattato.

52.     Inoltre è importante tenere conto dell’evoluzione, descritta supra, della giurisprudenza in materia di diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione di cui all’art. 18, n. 1, CE, a partire dalla sentenza della Corte nella causa Martínez Sala. Oltre al fatto che i cittadini dell’Unione hanno diritto, nelle materie che rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato, ad un trattamento identico a quello dei cittadini dello Stato membro ospitante in cui soggiornano legalmente, la cittadinanza di per sé può costituire un motivo per ricondurre determinate materie in tale ambito, se gli obiettivi perseguiti dalla misura nazionale coincidono con quelli perseguiti dal Trattato o dalla legislazione derivata, come emerge dalla sentenza nella causa Collins. La Corte ha già riconosciuto che vantaggi come quello oggetto della causa citata contribuiscono all’integrazione dei beneficiari nella vita sociale dello Stato membro ospitante, in conformità degli obiettivi della libera circolazione dei lavoratori. Poiché le disposizioni relative alla cittadinanza mirano, analogamente, a facilitare la libera circolazione delle persone economicamente non attive, ciò costituisce un ulteriore motivo per ritenere che queste ultime rientrino nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE.

53.     Pertanto concludo che la prima questione deferita dalla High Court dev’essere risolta negativamente, vale a dire nel senso che, in seguito all’introduzione degli artt. 17 e segg., relativi alla cittadinanza dell’Unione, e considerata l’evoluzione della competenza dell’Unione europea nel settore dell’istruzione, i sussidi per le spese di mantenimento concessi agli studenti che frequentano corsi universitari, sotto forma di prestiti sovvenzionati o di borse di studio, non esulano più dall’ambito di applicazione del Trattato CE con riferimento all’art. 12 CE e al divieto di discriminazione in base alla nazionalità.

B – Sulla seconda questione, relativa ai motivi che giustificano una disparità di trattamento

54.     Con la seconda questione, la High Court chiede alla Corte quali criteri debba applicare il giudice nazionale per stabilire se le norme che disciplinano l’accesso al sussidio di mantenimento si basino su condizioni obiettivamente giustificabili non dipendenti dalla nazionalità. Tale questione si basa sul presupposto che le condizioni stabilite nel regolamento in materia di aiuti agli studi riguardo all’accesso a tale sussidio da parte dei cittadini dell’Unione che non possiedono la qualità di lavoratore o uno status connesso a tale qualifica costituiscono una discriminazione ai sensi dell’art. 12 CE.

55.     Per accedere al sussidio di mantenimento, i cittadini dell’Unione economicamente non attivi devono essere «stabilmente residenti» nel Regno Unito ai sensi della legge nazionale in materia di immigrazione. I periodi necessari per frequentare corsi di studio a tempo pieno non vengono presi in considerazione ai fini del calcolo del periodo di residenza stabile. La stabilità della residenza può essere dimostrata anche con il possesso di un permesso di soggiorno. La stessa condizione della «residenza stabile» non si applica ai cittadini britannici, i quali devono solo essere stati regolarmente residenti nel Regno Unito nei tre anni precedenti l’inizio degli studi. A tale proposito sottolineo soltanto che, essendo le condizioni di accesso più onerose per i cittadini dell’Unione che soggiornano legalmente nel Regno Unito rispetto ai cittadini britannici, ciò costituisce una palese discriminazione indiretta in base alla nazionalità ai sensi dell’art. 12 CE. Pertanto occorre esaminare se tale disparità di trattamento sia giustificata in base al diritto comunitario.

56.     Il sig. Bidar e i governi di Regno Unito, Austria e Germania affermano che una disparità di trattamento di questo tipo può essere giustificata da considerazioni oggettive indipendenti dalla cittadinanza degli interessati e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito dall’ordinamento nazionale. I governi di Regno Unito, Germania, Austria e Paesi Bassi, nonché la Commissione, sostengono inoltre che gli Stati membri possono assicurarsi che esista un nesso reale tra lo studente e lo Stato membro o il suo mercato del lavoro o che sussista un grado sufficiente di integrazione nella vita sociale. A tale proposito, il governo finlandese fa riferimento ad un nesso strutturale e reale permanente con la società dello Stato membro in cui vengono compiuti gli studi. Il Regno Unito deduce che uno Stato membro può legittimamente accertarsi che i genitori dello studente abbiano contribuito, o che gli studenti stessi possano verosimilmente contribuire, con il proprio lavoro e quindi attraverso la tassazione, in misura sufficiente a giustificare la concessione di prestiti sovvenzionati. Richiamandosi alle conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa Collins, i governi di Austria, Germania e Paesi Bassi aggiungono che gli Stati membri hanno un legittimo interesse ad evitare lo sfruttamento abusivo dei loro regimi di aiuti agli studenti. Quanto al requisito della proporzionalità, vari governi e la Commissione affermano che un periodo minimo di soggiorno è al contempo necessario e appropriato. Per stabilire quale periodo possa considerarsi adeguato, fanno riferimento al periodo di cinque anni necessario per acquisire il diritto di soggiorno permanente stabilito all’art. 16 della direttiva 2004/38.

57.     Nelle conclusioni che ho presentato il 27 febbraio 2003 nella causa Ninni‑Orasche  (43) ho già avuto modo di esprimere il mio parere in merito alle circostanze in cui i cittadini hanno diritto alla parità di trattamento ai sensi degli artt. 18, n. 1, CE e 12 CE per quanto riguarda l’accesso al sostegno finanziario per le spese di studio. I fatti di causa erano equiparabili a quelli della presente controversia, ma si differenziavano per il fondamento del diritto di soggiorno e per le particolari circostanze in cui si trovavano gli interessati. Tuttavia, la valutazione giuridica dei motivi che giustificano una disparità di trattamento è sostanzialmente la stessa.

58.     Come la Corte ha dichiarato in varie occasioni  (44) , e come affermano tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte e orali, la disparità di trattamento può essere giustificata solo se basata su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, e adeguatamente commisurata allo scopo legittimamente perseguito dall’ordinamento nazionale. A questo proposito, la Corte ha ammesso che è legittimo che il legislatore nazionale voglia essere sicuro dell’esistenza di un nesso reale tra chi richiede indennità che hanno il carattere di un vantaggio sociale ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 ed il mercato geografico del lavoro interessato  (45) .

59.     In dette cause i vantaggi sociali, l’indennità di disoccupazione giovanile nella causa D’Hoop e l’indennità per persone in cerca di lavoro nella causa Collins, erano intesi a fornire sostegno economico ai beneficiari che si trovassero in una fase di passaggio dallo studio al lavoro o fossero comunque effettivamente in cerca di un impiego. Nella causa Collins la Corte ha statuito che una condizione relativa alla residenza, in linea di principio, è proporzionata al fine di garantire che esista un nesso sufficiente con il mercato del lavoro nazionale, ma essa non può andare oltre quanto necessario a conseguire tale obiettivo. I criteri adottati per applicare questa condizione devono essere chiari e conosciuti in anticipo e dev’essere prevista la possibilità di rimedi giurisdizionali. Qualora sia richiesto un periodo di residenza per soddisfare la detta condizione, «essa non deve andare oltre quanto necessario affinché le autorità nazionali possano assicurarsi che l’interessato cerchi realmente un impiego sul mercato del lavoro dello Stato membro ospitante»  (46) . Nella sentenza D’Hoop, la Corte ha dichiarato che la condizione del conseguimento del diploma di maturità in Belgio per avere accesso all’indennità di disoccupazione giovanile presentava «un carattere troppo generale ed esclusivo», in quanto «privilegia indebitamente un elemento che non è necessariamente rappresentativo del grado reale ed effettivo di collegamento tra chi richiede le indennità di disoccupazione giovanile ed il mercato geografico del lavoro, escludendo ogni altro elemento rappresentativo»  (47) .

60.     Nel caso del sussidio di mantenimento concesso agli studenti, sia esso in forma di prestito sovvenzionato o di borsa di studio, il nesso reale da accertare non è in primo luogo quello con il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante, anche se esso può costituire un elemento da prendere in considerazione. Il nesso in questione dev’essere cercato semmai nel grado di integrazione del richiedente nel sistema di istruzione e nella vita sociale  (48) . Ritengo che, se un cittadino dell’Unione ha compiuto gli studi secondari in uno Stato membro diverso da quello d’origine, che sono più adatti a prepararlo all’ingresso in un istituto di istruzione superiore o terziaria di detto Stato anziché di un altro paese, il nesso con il sistema di istruzione dello Stato membro ospitante è evidente. Nel valutare il grado di integrazione si deve necessariamente tenere conto delle circostanze particolari del caso del richiedente. Sotto questo profilo, occorre sottolineare che la situazione di un cittadino dell’Unione che si è trasferito ancora minorenne in un altro Stato membro, come persona a carico di un altro cittadino dell’Unione, dev’essere tenuta distinta da quella di altri cittadini dell’Unione che si sono spostati in un altro Stato membro da adulti per scelta propria. Le possibilità che un cittadino dell’Unione nella posizione del sig. Bidar si sia integrato nella vita sociale da giovane, avendo vissuto nello Stato membro ospitante sotto la tutela legale della nonna, che era già residente nel Regno Unito, e avendo compiuto gli studi secondari in detto Stato, devono essere considerate indubbiamente superiori a quelle di un cittadino dell’Unione arrivato in una fase più avanzata della sua vita.

61.     Ovviamente uno Stato membro deve stabilire, per motivi di certezza del diritto e di trasparenza, criteri formali in base ai quali accertare l’esistenza del diritto al sussidio di mantenimento e garantire che detto sussidio venga erogato a persone che presentano un nesso reale con il sistema di istruzione nazionale e con la società nazionale. A tale proposito, nella sentenza Collins la Corte ha riconosciuto che una condizione relativa alla residenza, in linea di principio, dev’essere ritenuta adeguata per accertare tale nesso, alle condizioni precisate nella sentenza stessa e ricordate al paragrafo 59, supra. Da tali condizioni si evince che la Corte ammette l’imposizione di un requisito relativo alla residenza quale punto di partenza per valutare la situazione individuale di un richiedente. Tuttavia, il fatto che la stessa Corte affermi che il periodo non deve eccedere quanto necessario per consentire alle autorità nazionali di accertare che una persona sia effettivamente in cerca di occupazione nel mercato del lavoro nazionale implica che ai fini della suddetta valutazione occorre poter prendere in considerazione altri fattori. Ciò trova conferma nelle considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza D’Hoop, secondo cui la condizione unica applicata dalle autorità nazionali in quel caso era troppo generale ed esclusiva e non consentiva di prendere in considerazione altri elementi rappresentativi. Infine, ritengo che se il risultato dell’applicazione di una condizione relativa alla residenza fosse l’esclusione dal diritto al sussidio di mantenimento di una persona che può dimostrare di avere un collegamento reale con il sistema di istruzione o con la vita sociale, tale risultato sarebbe contrario al principio di proporzionalità.

62.     Elementi aggiuntivi di cui si potrebbe tenere conto in un caso come quello in esame sono l’esigenza di garantire la continuità dei corsi di studi seguiti dal richiedente  (49) , la probabilità che egli entri effettivamente nel mercato del lavoro nazionale e la circostanza che non possa ottenere sussidi di mantenimento da altre fonti, quale lo Stato membro di cui è cittadino, in quanto non soddisfa più i criteri di accesso ivi applicati.

63.     A tale proposito si può inoltre rammentare che la Corte, nel contesto del regolamento n. 1612/68, ha dichiarato che la libera circolazione dei lavoratori dev’essere garantita nel rispetto della libertà e della dignità e di condizioni ottimali d’integrazione della famiglia del lavoratore comunitario nell’ambiente del paese ospitante  (50) . Non vi è alcun motivo per cui questo principio non debba essere applicato anche alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione.

64.     Tutti i governi che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento e la Commissione osservano che, a tenore dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38, gli Stati membri non sono tenuti ad attribuire aiuti di mantenimento per studenti a cittadini dell’Unione economicamente non attivi prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente. Detto status si raggiunge solo dopo cinque anni di residenza ininterrotta nello Stato membro ospitante. A prescindere dal fatto che detta direttiva è entrata in vigore il 30 aprile 2004, quindi dopo i fatti di causa, e che deve essere recepita entro il 30 aprile 2006, ritengo che la suddetta condizione debba essere applicata nel pieno rispetto dei diritti fondamentali conferiti direttamente dal Trattato CE ai cittadini dell’Unione. Ciò implica che le considerazioni svolte in precedenza in merito all’applicazione nei singoli casi di una condizione relativa alla residenza valgono per l’applicazione della condizione della residenza stabile quale prevista dal regolamento in materia di aiuti agli studi, e che per stabilire se esista o meno un nesso reale con il sistema di istruzione e con la vita sociale dello Stato membro ospitante si deve tenere conto di tutti gli elementi pertinenti. Non ritengo che ciò equivalga ad ignorare la condizione scelta dal legislatore comunitario. Semmai occorre garantire che detta condizione venga applicata in conformità con le disposizioni fondamentali del Trattato CE.

65.     Il governo del Regno unito afferma che è legittimo che uno Stato membro verifichi se i genitori dello studente hanno contribuito, o se gli studenti stessi possano verosimilmente contribuire, alle finanze pubbliche attraverso la tassazione in misura sufficiente a giustificare la concessione di sussidi di mantenimento. Con questo argomento si deduce l’esistenza di un nesso diretto o indiretto tra gli obblighi fiscali dei cittadini residenti in uno Stato membro e il diritto a vantaggi come quello in discussione nella fattispecie. Se portato alla sua logica conclusione, tale argomento implica che, se i genitori non hanno contribuito mediante tassazione o hanno fornito solo un contributo modesto, i loro figli non hanno diritto al sussidio di mantenimento, mentre tale diritto spetterebbe agli studenti i cui genitori abbiano contribuito in misura significativa. È improbabile che il Regno Unito possa realmente accettare la discriminazione sociale implicita in questa posizione. Inoltre, per quanto riguarda i prestiti controversi, è illogico pretendere che una persona abbia già contribuito alle finanze pubbliche prima di poter accedere ad un prestito che dovrà successivamente rimborsare, anche se sussiste un elemento di sovvenzione nelle condizioni del prestito. Pertanto questa giustificazione è intrinsecamente contraddittoria.

66.     Infine, vari governi che hanno presentato osservazioni hanno affermato che gli Stati membri hanno un legittimo interesse ad impedire lo sfruttamento abusivo dei loro regimi di aiuti agli studenti e a prevenire il «turismo sociale». Ritengo che ciò costituisca effettivamente un legittimo obiettivo degli Stati membri, ma le modalità con cui esso viene perseguito non devono essere tali da ledere i diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione che soggiornano legalmente nel loro territorio. Una semplice condizione relativa alla residenza è troppo poco selettiva per conseguire questo obiettivo. A mio parere, lo scopo può essere raggiunto verificando se il richiedente presenti o meno un nesso reale con il sistema di istruzione nazionale o con la vita sociale, come si è rilevato in precedenza.

67.     Queste considerazioni mi conducono alla seguente conclusione: qualora l’applicazione di una condizione di residenza stabile, come quella prevista dal regolamento in materia di aiuti agli studi, ad un cittadino dell’Unione che è sufficientemente integrato nella vita sociale dello Stato membro ospitante, la cui formazione è strettamente connessa al sistema di istruzione dello Stato membro e che si trova in una situazione equiparabile a quella di un cittadino dello Stato membro ospitante abbia l’effetto di negare a detto cittadino dell’Unione l’accesso ai sussidi per le spese di mantenimento, si configura una discriminazione ingiustificata ai sensi del combinato disposto degli artt. 12 CE e 18, n. 1, CE. In tali circostanze, il risultato dell’applicazione del requisito relativo alla residenza stabile non è proporzionato all’obiettivo perseguito, ossia che il sussidio di mantenimento venga concesso a coloro che presentano un nesso reale con il sistema di istruzione nazionale.

68.     Alle luce delle considerazioni che precedono, la seconda questione dev’essere risolta come segue. Le condizioni cui l’ordinamento nazionale subordina il diritto al sussidio concesso agli studenti per spese di mantenimento devono essere obiettivamente giustificate e indipendenti dalla nazionalità dei cittadini dell’Unione. Per verificare tale circostanza, il giudice nazionale deve accertare che le dette condizioni siano idonee a garantire l’esistenza di un nesso reale tra il cittadino dell’Unione che ha richiesto il sussidio e il sistema di istruzione e la vita sociale nazionali. Inoltre, le dette condizioni non devono andare al di là di quanto necessario per conseguire tale scopo.

C – Sulla terza questione: gli effetti nel tempo

69.     La terza questione riguarda l’efficacia nel tempo di una sentenza con cui la Corte dichiari che i sussidi per le spese di mantenimento, in forma di prestiti sovvenzionati o di borse di studio, rientrano attualmente nell’ambito di applicazione del Trattato CE con riferimento al divieto di discriminazione in base alla nazionalità di cui all’art. 12 CE.

70.     Il sig. Bidar deduce che non vi è alcun motivo per limitare gli effetti nel tempo di una pronuncia in tal senso. I governi degli Stati membri che hanno presentato osservazioni riguardo a questo punto hanno sostenuto che è necessario imporre tale limitazione. Il governo del Regno Unito osserva che la limitazione nel tempo degli effetti di una sentenza viene disposta solo in via eccezionale, in particolare se sono soddisfatte due condizioni. In primo luogo, lo Stato membro dev’essere stato indotto ad un comportamento non conforme al diritto comunitario in ragione di un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata di disposizioni comunitarie, incertezza cui abbiano contribuito gli stessi comportamenti delle istituzioni comunitarie o di altri Stati membri. Il governo del Regno Unito afferma che una soluzione negativa della prima questione soddisferebbe tale condizione. In secondo luogo, deve sussistere un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute in particolare all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base di una normativa ritenuta validamente vigente. A tale proposito, il governo del Regno unito fa riferimento al calcolo effettuato nell’ordinanza di rinvio, secondo cui il costo implicato potrebbe ammontare a GBP 66 milioni per l’anno accademico 2000/2001. All’udienza è stato inoltre affermato che questa cifra, in seguito all’allargamento dell’Unione del 1° maggio 2004, potrebbe aumentare a GBP 75 milioni all’anno.

71.     La giurisprudenza relativa a questa materia è ben consolidata ed è stata riassunta dalla Corte nella sentenza Grzelczyk. La Corte ha ricordato che «l’interpretazione di una norma di diritto comunitario fornita dalla Corte si limita a chiarire e precisare il significato e la portata della norma stessa, quale avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore (…). Solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico comunitario, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata allo scopo di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede (…). Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione dell’efficacia nel tempo di tale sentenza (…). Infatti, la Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, quando, da un lato, vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute in particolare all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente, e quando, dall’altro, risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione (…)»  (51) .

72.     Iniziando da quest’ultimo aspetto, condivido gli argomenti del governo del Regno Unito, secondo cui una soluzione negativa della prima questione determina un nuovo e imprevisto sviluppo del diritto comunitario. A tale proposito si può ammettere che il regolamento in materia di aiuti agli studi tenesse conto dello stato del diritto comunitario precedente ad una sentenza della Corte in tal senso. Tuttavia, la mia soluzione della seconda questione limita in misura significativa la portata della soluzione della prima questione. Le cifre dedotte per dimostrare le ripercussioni finanziarie di una soluzione negativa della prima questione sembrano basate sulla presunzione che tutti i cittadini dell’Unione non qualificati ai sensi del regolamento n. 1612/68 avrebbero conseguentemente diritto a sussidi di mantenimento. Non è del tutto chiaro quale sarebbe l’impatto se potessero accedere a tale sussidio solo i cittadini dell’Unione che soggiornano legalmente nel territorio del Regno Unito e presentano un nesso reale con il sistema di istruzione e con la vita sociale di detto Stato. Tuttavia non è da escludere che questa interpretazione possa avere ripercussioni più profonde, risalenti fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni in materia di cittadinanza dell’Unione, il 1° novembre 1993, non solo nel Regno Unito, ma in tutti gli Stati membri. Ritengo pertanto che, nel caso in cui la Corte dichiari che la prima questione dev’essere risolta in senso negativo, sia giustificato limitare nel tempo gli effetti di questa sentenza applicandola ai soli rapporti giuridici costituiti a partire dalla data della pronuncia, fatti salvi i casi in cui prima di detta data siano state adite le vie legali al fine di impugnare decisioni con cui è stato negato il diritto al sussidio concesso agli studenti per spese di mantenimento.

VI – Conclusione

73.     Pertanto ritengo che la Corte debba risolvere come segue le questioni deferite dalla High Court of Justice of England and Wales, Queen’s Bench Division (Administrative Court):

1.      In seguito all’introduzione degli artt. 17 CE e segg., relativi alla cittadinanza dell’Unione, e considerata l’evoluzione della competenza dell’Unione europea nel settore dell’istruzione, i sussidi per le spese di mantenimento concessi agli studenti che frequentano corsi universitari, sotto forma di prestiti sovvenzionati o di borse di studio, non esulano più dall’ambito di applicazione del Trattato CE con riferimento all’art. 12 CE e al divieto di discriminazione in base alla nazionalità.

2.      Le condizioni cui l’ordinamento nazionale subordina il diritto ai sussidi concessi agli studenti per spese di mantenimento devono essere obiettivamente giustificate e indipendenti dalla nazionalità dei cittadini dell’Unione europea. Per verificare tale circostanza, il giudice nazionale deve accertare che le dette condizioni siano idonee a garantire l’esistenza di un nesso reale tra il cittadino dell’Unione europea che ha richiesto il sussidio e il sistema di istruzione e la vita sociale nazionali. Inoltre, dette condizioni non devono andare al di là di quanto necessario per conseguire tale scopo.

3.      L’art. 12 CE può essere invocato per far valere il diritto ad un sussidio per spese di mantenimento solo a partire dalla data della sentenza della Corte, eccetto nei casi in cui siano state adite le vie legali per lo stesso scopo prima di tale data.


1
Lingua originale: l'inglese.


2
Sentenze 21 giugno 1988, causa 39/86, Lair (Racc. pag. 3161, punto 15), e causa 197/86, Brown (Racc. pag. 3025, punto 18).


3
Direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 93/96/CEE, relativa al diritto di soggiorno degli studenti (GU 1993, L 317, pag. 59).


4
Sentenza 13 febbraio 1985, causa 293/83 (Racc. pag. 593).


5
V., ad esempio, sentenza 26 febbraio 1992, causa C‑357/89, Raulin (Racc. pag. I‑1027, punto 28).


6
V., ad esempio, sentenza Lair, cit. alla nota 2, punto 15.


7
Regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1268, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).


8
Sentenze Lair, cit. alla nota 2, punti 23, 24 e 28, e Brown, cit. alla nota 2, punto 25, nonché sentenza 26 febbraio 1992, causa C‑3/90, Bernini (Racc. pag. I‑1071, punto 23).


9
V., ad esempio, sentenze Brown, cit. alla nota 2, Raulin, cit. alla nota 5, e Bernini, cit. alla nota 8.


10
V. sentenza Lair, cit. alla nota 2, punto 37.


11
V., ad esempio, sentenze 15 marzo 1989, cause riunite 389/87 e 390/87, Echternach e Moritz (Racc. pag. 723), e 8 giugno 1999, causa C‑337/97, Meeusen (Racc. pag. 3289).


12
V. sentenza Echternach e Moritz, cit., punto 21.


13
Sentenza 13 novembre 1990, causa C‑308/89, Di Leo (Racc. pag. I‑4185, punto 15).


14
Cit. alla nota 11, punti 27‑29.


15
Sentenza Raulin, cit. alla nota 5, punti 33 e 34.


16
Art. 1 della direttiva, come riportato dalla Corte nella sentenza 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I‑6193, punto 38).


17
Direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE, relativa al diritto di soggiorno (GU L 180, pag. 26; in prosieguo: la «direttiva 90/364»).


18
Sentenze 12 maggio 1998, causa C‑85/96, Martínez Sala (Racc. pag. I‑2691); Grzelczyk, cit. alla nota 16; 11 luglio 2002, causa C‑224/98, D’Hoop (Racc. pag. I‑6191); 23 marzo 2004, causa C‑138/02, Collins (Racc. pag. I‑0000), e 7 settembre 2004, causa C‑456/02, Trojani (Racc. pag. I‑0000).


19
V., ad esempio, sentenza Grzelczyk, cit. alla nota 16, punto 31.


20
V., ad esempio, sentenza Martínez Sala, cit. alla nota 18, punto 63.


21
Sentenza 17 settembre 2002, causa C‑413/99 (Racc. pag. I‑7091, punto 84).


22
Punto 63.


23
Regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata ed aggiornata dal regolamento (CE) 2 dicembre 1996, n. 118 (GU 1997, L 28, pag. 1).


24
Sentenza Grzelczyk, cit. alla nota 16, punto 39.


25
Ibid., punto 44.


26
Sentenza D’Hoop, cit. alla nota 18, punto 35.


27
Ibid., punti 38 e 39.


28
Al punto 60, la Corte usa l’espressione «il principio», ma dal contesto risulta che l’oggetto di questa considerazione sono gli artt. 2 e 5.


29
Sentenza Collins, cit. alla nota 18, punto 60.


30
Ibid., punto 63.


31
Ibid., punti 67‑72.


32
Sentenza Trojani, cit. alla nota 18, punto 44.


33
Sentenza Grzelczyk, cit. alla nota 16, punto 36.


34
Sentenza Baumbast, cit. alla nota 21, punto 91.


35
Sentenza Collins, cit. alla nota 18, punto 72.


36
CIG 87/04 del 6 agosto 2004.


37
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, come emendata in GU 2004, L 229, pag. 35).


38
V. paragrafo 70 delle presenti conclusioni.


39
Sentenza Grzelczyk, cit. alla nota 16, punto 35.


40
Sentenze Lair e Brown, cit. alla nota 2, rispettivamente punti 24 e 25.


41
Sentenza Lair, ibid., punto 23.


42
Sentenza Echternach e Moritz, cit. alla nota 11, punto 20.


43
Causa C‑413/01, Ninni-Orasche (Racc. pag. I‑0000).


44
V., ad esempio, sentenze D’Hoop e Collins, cit. alla nota 18, rispettivamente punti 36 e 66.


45
V. sentenze D’Hoop e Collins, cit. alla nota 18, rispettivamente punti 38 e 67.


46
Sentenza Collins, ibid., punto 72.


47
Sentenza D’Hoop, ibid., punto 39.


48
V., per quanto riguarda i figli di lavoratori, sentenza Echternach e Moritz, cit. alla nota 11, punto 35.


49
Sentenza Echternach e Moritz, ibid., punto 22.


50
V. sentenze Di Leo, cit. alla nota 13, punto 13, Baumbast, cit. alla nota 21, punti 50 e 59, e 11 aprile 2000, causa C‑356/98, Kaba (Racc. pag. I‑2623, punto 20).


51
Sentenza Grzelczyk, cit. alla nota 16, punti 50-53.