Language of document : ECLI:EU:C:2014:2068

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

10 luglio 2014 (*)

«Rinvio pregiudiziale ‑ Direttiva 2004/38/CE – Articolo 16, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno permanente dei familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di paesi terzi ‑ Fine della vita comune dei coniugi – Convivenza immediata con altri partner durante il periodo di soggiorno ininterrotto di cinque anni – Regolamento (CEE) n. 1612/68 – Articolo 10, paragrafo 3 – Presupposti – Violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro – Esame della natura della violazione di cui trattasi – Necessità di un rinvio pregiudiziale»

Nella causa C‑244/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court (Irlanda), con decisione del 19 aprile 2013, pervenuta in cancelleria il 30 aprile 2013, nel procedimento

Ewaen Fred Ogieriakhi

contro

Minister for Justice and Equality,

Irlande,

Attorney General,

An Post,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta (relatore), presidente di sezione, J. L. da Cruz Vilaça, G. Arestis, J.-C. Bonichot e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 marzo 2014,

considerate le osservazioni presentate:

–        per E. F. Ogieriakhi, da lui stesso;

–        per il Minister for Justice and Equality, l’Irlanda, l’Attorney General e l’An Post, da E. Creedon e B. Lydon, in qualità di agenti, assistite da R. Barron, SC, E. Brennan, BL, e R. Barrett, adviser;

–        per il governo ellenico, da T. Papadopoulou, in qualità di agente;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da J. Enegren, C. Tufvesson e M. Wilderspin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 maggio 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte, da un lato, sull’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche in GU L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34), nonché dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2) e, dall’altro, sulla determinazione degli effetti della presentazione, da parte di un giudice nazionale, di una domanda di pronuncia pregiudiziale riguardante il problema sostanziale del diritto di soggiorno permanente, nella valutazione, da parte del predetto giudice, della sussistenza di una violazione manifesta del diritto dell’Unione da parte dello Stato membro interessato, nell’ambito di un’azione di risarcimento per violazione di tale diritto dell’Unione.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che contrappone il sig. Ogieriakhi al Minister for Justice and Equality, all’Irlanda, all’Attorney General e all’An Post, in merito ad una domanda di risarcimento danni che egli ha presentato nei confronti di tale Stato membro, in base alla giurisprudenza derivante dalla sentenza Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428), a causa di un asserito inadempimento, da parte dell’Irlanda, degli obblighi ad essa incombenti, inerenti al recepimento della direttiva 2004/38.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’Unione

 La direttiva 2004/38

3        Ai sensi del considerando 17 della direttiva 2004/38:

«Un diritto di un soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento».

4        Sotto il titolo «Definizioni», l’articolo 2 della direttiva 2004/38 enuncia quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

1)      “cittadino dell’Unione”: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;

2)      “familiare”:

a)      il coniuge;

(...)

3)      “Stato membro ospitante”: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno».

5        L’articolo 3 della direttiva in parola, intitolato «Aventi diritto», al suo paragrafo 1 così dispone:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

6        Sotto il titolo «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», l’articolo 7 della medesima direttiva, ai suoi paragrafi 1 e 2, prevede quanto segue:

«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante (...)

(...)

2.      Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alla condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c)».

7        A norma dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva summenzionata:

«Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:

a)      il matrimonio o l’unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b); o

b)      il coniuge o partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l’affidamento dei figli del cittadino dell’Unione in base ad accordo tra i coniugi o i partner di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria; o

c)      situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno, o

d)      il coniuge o il partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o conviventi di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l’organo giurisdizionale abbia ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nello Stato membro ospitante, e fintantoché siano considerate necessarie.

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale».

8        Collocato nel capo IV della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno permanente», l’articolo 16 della direttiva medesima, a sua volta intitolato «Norma generale per i cittadini dell’Unione e i loro familiari», così recita:

«1.      Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

2.      Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante.

3.      La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

4.      Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi».

9        A termini dell’articolo 18 della medesima direttiva:

«Senza pregiudizio dell’articolo 17, i familiari del cittadino dell’Unione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, e all’articolo 13, paragrafo 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante».

 Il regolamento n. 1612/68

10      L’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 così dispone:

«1.      Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:

a)      il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;

b)      gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.

2.      Gli Stati membri favoriscono l’ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1.

3.      Ai fini dell’applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri».

 Il diritto irlandese

11      Il regolamento relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) del 2006 [European Communities (Free Movement of Persons) Regulations 2006, SI 2006, n. 656; in prosieguo: il «regolamento del 2006»] dà attuazione alle disposizioni della direttiva 2004/38 nel diritto irlandese.

12      L’articolo 12 del suddetto regolamento provvede al recepimento dell’articolo 16 della direttiva in parola.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13      Il sig. Ogieriakhi, cittadino nigeriano, è giunto in Irlanda nel maggio 1998, data in cui ha presentato domanda di asilo politico. Nel maggio 1999 ha contratto matrimonio con una cittadina francese, la sig.ra Georges. In seguito al loro matrimonio, egli ha ritirato la sua domanda d’asilo e ha ottenuto un titolo di soggiorno per il periodo dall’11 ottobre 1999 all’11 ottobre 2000. Alla scadenza di tale periodo, egli ha chiesto il rinnovo del suo titolo di soggiorno il quale gli è stato concesso per il periodo dall’11 ottobre 2000 all’11 ottobre 2004.

14      Nel corso del periodo compreso tra il 1999 e il 2001, il sig. Ogieriakhi e la sua coniuge hanno convissuto presso vari indirizzi a Dublino (Irlanda), in abitazioni in locazione.

15      Poco dopo il mese di agosto 2001, la sig.ra Georges ha lasciato il domicilio coniugale per convivere con un altro uomo. Il sig. Ogieriakhi ha in seguito lasciato a sua volta tale domicilio per convivere con una cittadina irlandese, la sig.ra Madden, con la quale ha avuto un figlio nato nel dicembre 2003. È pacifico che, a partire dal 2002, la sig.ra Georges non è affatto intervenuta nella fornitura o messa a disposizione di un alloggio per il sig. Ogieriakhi.

16      Nel periodo compreso tra il mese di ottobre 1999 e il mese di ottobre 2004, e ad eccezione di un mese, la sig.ra Georges ha lavorato o percepito prestazioni di previdenza sociale, subordinate alla condizione che essa cerchi un’occupazione. Nel dicembre 2004, essa ha lasciato l’Irlanda ed è tornata definitivamente in Francia.

17      Il divorzio tra il sig. Ogieriakhi e la sig.ra Georges è stato pronunciato nel gennaio 2009. Nel luglio dello stesso anno il sig. Ogieriakhi ha sposato la sig.ra Madden. Egli ha successivamente ottenuto la cittadinanza irlandese per naturalizzazione nel 2012.

18      Nel settembre 2004 il sig. Ogieriakhi ha chiesto il rinnovo del suo titolo di soggiorno. Tale domanda è stata tuttavia respinta in quanto il sig. Ogieriakhi non poteva dimostrare che, in tale periodo, la sig.ra Georges esercitava i diritti derivantile dal Trattato UE lavorando o risiedendo in tale Stato, poiché le prove di cui disponeva il Minister for Justice and Equality indicavano che essa era tornata a Parigi (Francia), nel dicembre 2004, per svolgervi un’attività lavorativa.

19      Dopo la scadenza del termine di recepimento della direttiva 2004/38, verso la metà del 2007, il sig. Ogieriakhi ha presentato domanda per ottenere un titolo di soggiorno permanente in Irlanda, in quanto aveva compiuto un periodo di soggiorno legale ininterrotto di 5 anni, ovvero dal 1999 al 2004, a motivo del suo matrimonio con la sig.ra Georges in tale periodo.

20      La suddetta domanda è stata respinta nel settembre 2007 dal Minister for Justice and Equality che ha ritenuto che il sig. Ogieriakhi non godesse di un diritto di soggiorno in Irlanda, in forza delle disposizioni del regolamento del 2006, per mancanza di prove che, nel periodo di cui trattasi, la sua coniuge esercitasse ancora, in tale Stato membro, i diritti derivantile dal Trattato.

21      Nell’ottobre 2007, il sig. Ogieriakhi è stato licenziato dal suo impiego di smistatore di posta presso l’An Post (società postale dello Stato) con la motivazione che egli non beneficiava di alcun diritto di soggiorno in Irlanda.

22      Ritenendo di aver acquisito un diritto di soggiorno permanente in tale Stato, il sig. Ogieriakhi ha proposto ricorso avverso la decisione del Minister for Justice and Equality, il quale è stato respinto dalla High Court nel gennaio 2008, adducendo che il regolamento del 2006 non era applicabile ai soggiorni anteriori alla data della sua entrata in vigore.

23      Il sig. Ogieriakhi non ha immediatamente interposto appello contro tale decisione. Tuttavia, in seguito alla sentenza Lassal (C‑162/09, EU:C:2010:592), da cui risulta che è lecito ritenere che un soggiorno anteriore al 2006, in linea di principio, soddisfi il criterio di un soggiorno continuativo di cinque anni, egli ha chiesto alla Supreme Court di beneficiare di una proroga del termine di impugnazione per consentirgli di interporre appello dinanzi ad essa. Con decisione del 18 febbraio 2011, la Supreme Court ha respinto tale istanza rilevando, tuttavia, che il Minister for Justice and Equality aveva accettato di riesaminare la sua precedente decisione e che il sig. Ogieriakhi poteva esperire tutte le azioni da lui ritenute utili, comprese quelle fondate sul diritto dell’Unione.

24      In seguito al riesame della sua decisione del settembre 2007, in data 7 novembre 2011 il Minister for Justice and Equality ha concesso al sig. Ogieriakhi un diritto di soggiorno permanente in quanto egli era in possesso di tutti i requisiti rilevanti previsti dal regolamento del 2006.

25      Richiamandosi alla giurisprudenza derivante dalla sentenza Francovich e a. (EU:C:1991:428), il sig. Ogieriakhi ha quindi esperito un’azione di risarcimento dinanzi alla High Court al fine di essere risarcito del danno subito a causa dell’asserita mancanza di un corretto recepimento delle disposizioni della direttiva 2004/38 nel diritto nazionale. In particolare, tale domanda è basata sulle perdite subite dal sig. Ogieriakhi in seguito alla risoluzione del suo contratto di lavoro, avvenuta in data 24 ottobre 2007 con la motivazione che egli non godeva più di un diritto di soggiorno in Irlanda.

26      Nell’istruire tale causa, il giudice del rinvio ha ritenuto che il ricorso presentato dal sig. Ogieriakhi in base alla giurisprudenza derivante dalla sentenza Francovich e a. (EU:C:1991:428), per erroneo recepimento del diritto dell’Unione (e che riguardava altresì l’erronea applicazione del suddetto diritto), fosse subordinato alla condizione che il sig. Ogieriakhi dimostrasse di aver beneficiato, alla data del suo licenziamento dall’An Post nell’ottobre 2007, di un diritto di soggiorno per un periodo ininterrotto di almeno cinque anni (tutto o in parte, prima o dopo il 2006) e, inoltre, che tale diritto di soggiorno derivasse dal diritto dell’Unione.

27      Ciò premesso, la High Court ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se si possa affermare che il coniuge di un cittadino dell’Unione, il quale all’epoca non era a sua volta cittadino di uno Stato membro, abbia “soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante” ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (…), in una situazione in cui la coppia aveva contratto matrimonio nel maggio del 1999, il diritto di soggiorno era stato concesso nell’ottobre del 1999 e i coniugi avevano concordato, al più tardi all’inizio del 2002, di vivere separati ed entrambi avevano iniziato a vivere con conviventi diversi alla fine del 2002.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, e tenendo presente che il cittadino di un paese terzo che rivendichi un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, [della direttiva 2004/38], sulla base di un soggiorno continuativo di cinque anni antecedente al 2006, deve altresì dimostrare, tra l’altro, la conformità di tale soggiorno ai requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (...) n. 1612/68, se il fatto che, nel corso di detto asserito periodo di cinque anni, il cittadino dell’Unione abbia lasciato il domicilio coniugale e il cittadino del paese terzo abbia successivamente iniziato la convivenza con un’altra persona, in un nuovo domicilio coniugale che non è stato fornito né messo a disposizione dall’(ex) coniuge cittadino dell’[Unione], significhi che i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68 non sono soddisfatti.

3)      In caso di risposta affermativa alla prima questione e di risposta negativa alla seconda questione, se, ai fini della valutazione se uno Stato membro abbia erroneamente trasposto, o non abbia altrimenti adeguatamente applicato, i requisiti di cui all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il fatto che il giudice nazionale, chiamato a conoscere di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, abbia ritenuto necessario proporre un rinvio pregiudiziale sulla questione sostanziale della titolarità del diritto di soggiorno permanente del ricorrente costituisca, di per sé, un elemento che tale giudice può prendere in considerazione nel determinare se la violazione del diritto dell’Unione fosse evidente».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle questioni prima e seconda

28      Con le sue prime due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che si deve considerare che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente, previsto da tale disposizione, il cittadino di un paese terzo il quale, per un periodo continuativo di cinque anni antecedente alla data di recepimento della suddetta direttiva, abbia soggiornato in uno Stato membro, in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione lavoratore nel medesimo Stato membro, sebbene, nel corso del suddetto periodo, i coniugi abbiano deciso di separarsi, abbiano iniziato a convivere con altri partner e l’alloggio occupato dal suddetto cittadino non sia stato ormai più fornito né messo a disposizione di quest’ultimo dal suo coniuge cittadino dell’Unione.

29      In via preliminare, va ricordato che la Corte ha dichiarato che, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, previsto dall’articolo 16 della direttiva 2004/38, devono essere presi in considerazione periodi di soggiorno ininterrotto di cinque anni conclusi prima della data di recepimento di tale direttiva, vale a dire il 30 aprile 2006, conformemente a strumenti di diritto dell’Unione antecedenti a tale data (sentenza Lassal, EU:C:2010:592, punto 40).

30      A tal riguardo, va rilevato che i termini «strumenti di diritto dell’Unione antecedenti» alla direttiva 2004/38, di cui trattasi al punto 40 della sentenza Lassal (EU:C:2010:592), devono essere intesi nel senso che fanno riferimento ad atti che tale direttiva ha codificato, rivisto ed abrogato (sentenza Alarape e Tijani, C‑529/11, EU:C:2013:290, punto 47).

31      Inoltre, la Corte ha anche statuito che solo i periodi di soggiorno che soddisfano le condizioni previste dalla direttiva 2004/38 possono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione, da parte dei familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, del diritto di soggiorno permanente ai sensi della citata direttiva (sentenza Alarape e Tijani, EU:C:2013:290, punto 42).

32      Ne consegue che, qualora il periodo di soggiorno ininterrotto di cinque anni venga compiuto in tutto o in parte prima del termine ultimo di recepimento della direttiva 2004/38, al fine di poter fare valere il diritto di soggiorno permanente in base all’articolo 16, paragrafo 2, della summenzionata direttiva tale periodo deve soddisfare sia i requisiti previsti dalla predetta direttiva che quelli previsti dal diritto dell’Unione in vigore nel periodo in cui è stato effettuato tale soggiorno.

33      Orbene, poiché il regolamento n. 1612/68 costituisce la normativa in vigore all’epoca dei fatti, in un primo momento occorre esaminare se il periodo ininterrotto di cinque anni compiuto dal sig. Ogieriakhi soddisfi i requisiti previsti dalla direttiva 2004/38 e, in seguito, se il suddetto periodo soddisfi anche quelli previsti dal suddetto regolamento.

34      A tal riguardo, va rilevato che, in sede di esame dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 la Corte ha statuito che l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dipende in ogni caso dal fatto che, da un lato, il cittadino stesso soddisfi i requisiti stabiliti dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva in parola e che, dall’altro, i familiari di cui trattasi abbiano soggiornato con il suddetto cittadino durante il periodo in questione (sentenza Alarape e Tijani, EU:C:2013:290, punto 34).

35      Nel procedimento principale, non è stato contestato che, durante tutto il periodo considerato, la sig. ra Georges fosse in possesso dei requisiti di cui all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

36      Orbene, nei limiti in cui l’articolo 16, paragrafo 2, della suddetta direttiva subordina l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, da parte dei familiari di un cittadino dell’Unione, alla condizione di avere soggiornato «con» quest’ultimo legalmente e in via continuativa per cinque anni, si pone la questione se la separazione dei coniugi durante il periodo considerato, vista la mancanza non soltanto di una coabitazione bensì soprattutto di un’effettiva comunanza di vita coniugale, impedisca di considerare soddisfatto il suddetto requisito.

37      Sul punto va rilevato che la Corte ha dichiarato che il vincolo coniugale non può considerarsi sciolto fintantoché la competente autorità non vi abbia posto fine e che ciò non avviene nel caso dei coniugi che vivono semplicemente separati, neppure qualora abbiano intenzione di divorziare in seguito, in modo tale che il coniuge non deve necessariamente convivere in permanenza con il cittadino dell’Unione per essere titolare di un diritto derivato di soggiorno (sentenze Diatta, 267/83, EU:C:1985:67, punti 20 e 22, nonché Iida, C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 58).

38      Di conseguenza, la circostanza che nel periodo dall’11 ottobre 1999 all’11 ottobre 2004 i coniugi abbiano non soltanto cessato di vivere assieme, ma abbiano anche convissuto con altri partner, è priva di rilevanza ai fini dell’acquisizione, da parte del sig. Ogieriakhi, di un diritto di soggiorno permanente a norma dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

39      Infatti, poiché i coniugi sono rimasti sposati fino al gennaio 2009 nello Stato membro in cui la sig. ra Georges esercitava il suo diritto alla libera circolazione, non si può ipotizzare che nel periodo summenzionato il sig. Ogieriakhi abbia perso il suo status di coniuge di una cittadina dell’Unione che accompagna o raggiunge quest’ultima nello Stato membro ospitante, soddisfacendo quindi i criteri previsti dall’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva in parola.

40      Inoltre, tale interpretazione è conforme all’esigenza di non interpretare restrittivamente le disposizioni della direttiva 2004/38 e di non privarle della loro efficacia pratica. A tal riguardo, va rilevato che qualora l’articolo 16, paragrafo 2, della suddetta direttiva fosse oggetto di un’interpretazione letterale, il cittadino del paese terzo potrebbe essere reso vulnerabile da provvedimenti unilaterali adottati dal suo coniuge, il che sarebbe in contrasto con la ratio della direttiva in esame, uno dei cui obiettivi, ai sensi del suo considerando 15, è proprio quello di offrire una tutela giuridica ai familiari del cittadino dell’Unione che soggiornano nello Stato membro ospitante, al fine di consentire loro, in taluni casi e in presenza di determinate condizioni, di conservare il loro diritto di soggiorno esclusivamente su base personale.

41      Tuttavia, un’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 secondo la quale, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, l’obbligo di soggiornare con il cittadino dell’Unione può considerarsi assolto unicamente nel caso preciso in cui il coniuge che risiede con il cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante non abbia cessato ogni comunanza di vita coniugale con quest’ultimo, non risulta coerente con il summenzionato obiettivo di tale direttiva e segnatamente rispetto ai diritti che, in presenza di determinate condizioni vengono riconosciuti, in materia di soggiorno, dagli articoli 13 e 18 della suddetta direttiva, agli ex coniugi in caso di divorzio.

42      Infatti, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 49 a 53 delle sue conclusioni, una siffatta interpretazione comporterebbe l’applicazione di un regime più favorevole nei confronti dei cittadini dei paesi terzi interessati, in caso di divorzio, rispetto a quello applicabile in caso di separazione, quando invece, in quest’ultimo caso, il suddetto cittadino mantiene ancora il vincolo coniugale e, pertanto, continua ad essere familiare del cittadino dell’Unione ai sensi della direttiva 2004/38.

43      Per quanto riguarda le condizioni previste dal regolamento n. 1612/68, si pone segnatamente la questione se la condizione imposta al lavoratore cittadino di uno Stato membro, dall’articolo 10, paragrafo 3, del suddetto regolamento, di disporre di un alloggio per la propria famiglia, considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è stato occupato, sia soddisfatta qualora tale lavoratore abbia lasciato l’alloggio familiare e il coniuge sia andato a convivere con un altro partner in un nuovo alloggio, che non sia stato né fornito né messo a disposizione di tale coniuge dal lavoratore di cui trattasi.

44      A tal proposito, va rilevato che la Corte ha già avuto modo di precisare la portata dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68 alla luce della finalità perseguita da tale regolamento, ossia facilitare la libera circolazione dei lavoratori.

45      Difatti, al punto 18 della sentenza Diatta (EU:C:1985:67), la Corte ha statuito che il suddetto articolo, prevedendo che il familiare del lavoratore emigrante abbia il diritto di stabilirsi con quest’ultimo, non esige che il familiare di cui trattasi vi abiti in permanenza, ma unicamente che l’alloggio di cui il lavoratore dispone possa considerarsi normale per ospitare la sua famiglia, sicché l’obbligo dell’unicità dell’alloggio familiare permanente non può quindi ammettersi implicitamente.

46      Inoltre, la Corte ha rilevato che l’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68 deve essere interpretato nel senso che la condizione di disporre di un alloggio considerato normale si impone unicamente come condizione per ospitare ogni familiare presso il lavoratore (sentenza Commissione/Germania, 249/86, EU:C:1989:204, punto 12), sicché, ad ogni modo, l’osservanza di tale disposizione può essere valutata solo alla data in cui il cittadino del paese terzo ha iniziato una vita comune con il coniuge dell’Unione nello Stato membro ospitante, nel caso di specie, nel 1999.

47      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle prime due questioni dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che si deve considerare che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente, previsto da tale disposizione, il cittadino di un paese terzo il quale, nel corso di un periodo continuativo di cinque anni antecedente alla data di recepimento della suddetta direttiva, abbia soggiornato in uno Stato membro, in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione lavoratore nel medesimo Stato membro, anche qualora, nel corso del suddetto periodo, i coniugi abbiano deciso di separarsi, abbiano iniziato a convivere con altri partner e l’alloggio occupato dal suddetto cittadino non sia ormai più fornito né messo a disposizione di quest’ultimo dal suo coniuge cittadino dell’Unione.

 Sulla terza questione

48      Con la sua terza questione, in sostanza, il giudice del rinvio chiede se la circostanza che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, un giudice nazionale abbia ritenuto necessario porre una questione pregiudiziale, vertente sul diritto dell’Unione in esame nel procedimento principale, debba considerarsi un elemento decisivo al fine di determinare se sussista o meno una violazione manifesta di tale diritto da parte dello Stato membro.

49      In via preliminare, va ricordato che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati alle persone da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato (sentenze Francovich e a., EU:C:1991:428, punto 35; Brasserie du pêcheur e Factortame, C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 31, nonché British Telecommunications, C‑392/93, EU:C:1996:131, punto 38).

50      Del pari, va ricordato che la Corte ha anche statuito che un diritto al risarcimento è riconosciuto dal diritto dell’Unione qualora siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti alle persone, che si tratti di violazione sufficientemente qualificata e che sussista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, EU:C:1996:79, punto 51).

51      Per quanto riguarda la seconda condizione, la Corte, dopo avere rilevato che il criterio decisivo per considerare come sufficientemente qualificata una violazione del diritto dell’Unione è quello della violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro, dei limiti posti al suo potere discrezionale, ha indicato criteri di cui i giudici nazionali, unici competenti ad accertare i fatti di cui ai procedimenti principali e a qualificare le violazioni del diritto dell’Unione di cui trattasi, possono tenere conto, quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, EU:C:1996:79, punti 55, 56 e 58).

52      Tuttavia, la Corte ha ripetutamente dichiarato che i giudici nazionali hanno la più ampia facoltà di adire la Corte se ritengono che una causa pendente dinanzi ad essi sollevi questioni che richiedono un’interpretazione o un giudizio di validità delle disposizioni del diritto dell’Unione (sentenza Križan e a., C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 64).

53      Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, il semplice fatto di presentare una questione pregiudiziale non può limitare la libertà del giudice del merito. Invero, la risposta alla questione se una violazione del diritto dell’Unione sia stata sufficientemente qualificata deriva non dall’esercizio stesso della facoltà prevista dall’articolo 267 TFUE, bensì dall’interpretazione fornita dalla Corte.

54      Orbene, va evidenziato che la facoltà riconosciuta ai giudici nazionali di adire la Corte, qualora lo reputino necessario, al fine di ottenere l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, anche ove la questione posta sia già stata definita, sarebbe senza dubbio limitata se l’esercizio di una siffatta facoltà fosse decisivo per l’accertamento della sussistenza o meno di una violazione manifesta del diritto dell’Unione, al fine di determinare, eventualmente, la responsabilità dello Stato membro interessato per violazione del diritto dell’Unione. Pertanto, un siffatto effetto rimetterebbe in discussione il sistema, la finalità nonché le caratteristiche del procedimento di rinvio pregiudiziale.

55      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la circostanza che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, un giudice nazionale abbia ritenuto necessario porre una questione pregiudiziale, vertente sul diritto dell’Unione in esame nel procedimento principale, non deve essere considerata un elemento decisivo al fine di determinare se sussista o meno una violazione manifesta di tale diritto da parte dello Stato membro.

 Sulle spese

56      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che si deve considerare che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente, previsto da tale disposizione, il cittadino di un paese terzo il quale, nel corso di un periodo continuativo di cinque anni antecedente alla data di recepimento della suddetta direttiva, abbia soggiornato in uno Stato membro, in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione lavoratore nel medesimo Stato membro, anche qualora, nel corso del suddetto periodo, i coniugi abbiano deciso di separarsi, abbiano iniziato a convivere con altri partner e l’alloggio occupato dal suddetto cittadino non sia ormai più fornito né messo a disposizione di quest’ultimo dal suo coniuge cittadino dell’Unione.

2)      La circostanza che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, un giudice nazionale abbia ritenuto necessario porre una questione pregiudiziale, vertente sul diritto dell’Unione in esame nel procedimento principale, non deve essere considerata un elemento decisivo al fine di determinare se sussista o meno una violazione manifesta di tale diritto da parte dello Stato membro.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.