Language of document : ECLI:EU:C:2014:2463

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

18 dicembre 2014 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Licenziamento – Motivo – Obesità del lavoratore – Principio generale di non discriminazione in ragione dell’obesità – Insussistenza – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di ogni discriminazione fondata su un handicap – Sussistenza di un “handicap”»

Nella causa C‑354/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Retten i Kolding (Danimarca), con decisione del 25 giugno 2013, pervenuta in cancelleria il 27 giugno 2013, nel procedimento

Fag og Arbejde (FOA), che agisce per conto di Karsten Kaltoft,

contro

Kommunernes Landsforening (KL), che agisce per conto del Billund Kommune,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, K. Jürimäe, J. Malenovský, M. Safjan (relatore) e A. Prechal, giudici,

avvocato generale: N. Jääskinen

cancelliere: C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 giugno 2014,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il Fag og Arbejde (FOA), che agisce per conto di K. Kaltoft, da J. Sand, advokat;

–        per la Kommunernes Landsforening (KL), che agisce per conto del Billund Kommune, da Y. Frederiksen, advokat;

–        per il governo danese, da C. Thorning e M. Wolff, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da M. Clausen e D. Martin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 luglio 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dei principi generali del diritto dell’Unione e della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Fag og Arbejde (FOA), un sindacato di lavoratori, che agisce per conto del sig. Kaltoft, e la Kommunernes Landsforening (KL) (associazione nazionale dei comuni danesi), che agisce per conto del Billund Kommune (Comune di Billund, Danimarca), in merito alla legittimità del licenziamento del sig. Kaltoft, asseritamente fondato sull’obesità dello stesso.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’Unione

3        A tenore dei considerando 1, 11, 12, 15, 28 e 31 della direttiva 2000/78:

«(1)      Conformemente all’articolo 6 [TUE], l’Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni a tutti gli Stati membri e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [firmata a Roma il 4 novembre 1950], e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

(...)

(11)      La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone.

(12)      Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere pertanto proibita in tutta la Comunità. (...)

(...)

(15)      La valutazione dei fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione diretta o indiretta è una questione che spetta alle autorità giudiziarie nazionali o ad altre autorità competenti conformemente alle norme e alle prassi nazionali. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione indiretta sia stabilita con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica.

(...)

(28)      La presente direttiva fissa requisiti minimi, lasciando liberi gli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli. L’attuazione della presente direttiva non può servire da giustificazione per un regresso rispetto alla situazione preesistente in ciascuno Stato membro.

(...)

(31)      Le norme in materia di onere della prova devono essere adattate quando vi sia una presunzione di discriminazione e, nel caso in cui tale situazione si verifichi, l’effettiva applicazione del principio della parità di trattamento richiede che l’onere della prova sia posto a carico del convenuto. Non incombe tuttavia al convenuto provare la religione di appartenenza, le convinzioni personali, la presenza di un handicap, l’età o l’orientamento sessuale dell’attore».

4        L’articolo 1 di tale direttiva enuncia quanto segue:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, [l’]handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

5        L’articolo 2, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva, così dispone:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(...)».

6        L’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della medesima direttiva così prevede:

«Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

(...)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».

7        L’articolo 5 della direttiva 2000/78 è così formulato:

«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».

8        L’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva dispone che:

«Gli Stati membri possono introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste nella presente direttiva».

9        L’articolo 10, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento.

2.      Il paragrafo 1 si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere disposizioni in materia di prova più favorevoli alle parti attrici».

 Il diritto danese

10      La direttiva 2000/78 è stata trasposta nell’ordinamento danese con la legge n. 1417, che modifica la legge relativa al principio di non discriminazione sul mercato del lavoro (lov nr. 1417 om ændring af lov om forbud mod forskelsbehandling på arbejdsmarkedet m. v.), del 22 dicembre 2004.

11      Tale legge, nella versione pubblicata con il decreto di consolidazione n. 1349, del 16 dicembre 2008 (in prosieguo: la «legge antidiscriminazione»), al suo articolo 1, paragrafo 1, enuncia quanto segue:

«Si intende per discriminazione ai sensi della presente legge qualsiasi atto di discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza, il colore, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche, l’orientamento sessuale, l’età, l’handicap, la cittadinanza, o l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o etnico».

12      L’articolo 2, paragrafo 1, di detta legge così prevede:

«È vietata qualsiasi discriminazione da parte di un datore di lavoro in occasione dell’assunzione, del licenziamento, del trasferimento o della promozione di dipendenti o candidati ad un lavoro, o della fissazione delle loro condizioni retributive o di lavoro».

13      L’articolo 2 bis della stessa legge così dispone:

«Il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione. Detto obbligo non sorge se esso genera oneri finanziari sproporzionati per il datore di lavoro Tali oneri non risultano sproporzionati allorché sono compensati in modo sufficiente da misure pubbliche».

14      L’articolo 7, paragrafo 1, della legge antidiscriminazione enuncia quanto segue:

«Le vittime di violazioni delle disposizioni di cui agli articoli da 2 a 4 possono ottenere un risarcimento».

15      L’articolo 7 bis di tale legge così dispone:

«Allorché persone che si ritengono lese (v. articoli da 2 a 4) espongono fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16      Il 1° novembre 1996, il Billund Kommune, un’amministrazione pubblica danese, ha assunto il sig. Kaltoft con contratto a tempo determinato, in qualità di babysitter per occuparsi di bambini nella propria abitazione.

17      Il Billund Kommune ha poi assunto il sig. Kaltoft con contratto a tempo indeterminato, in qualità di babysitter, a far data dal 1° gennaio 1998. Il sig. Kaltoft ha esercitato tale funzione per circa quindici anni.

18      Fra le parti del procedimento principale è pacifico che, durante l’intero periodo nel corso del quale il sig. Kaltoft è stato alle dipendenze del Billund Kommune, questi fosse «obeso», ai sensi della definizione fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), essendo l’obesità iscritta nella categoria E66 della classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati dell’OMS (CIM 10).

19      Il sig. Kaltoft ha cercato di perdere peso e il Billund Kommune, nell’ambito della sua politica sanitaria, gli ha fornito assistenza finanziaria tra il gennaio 2008 e il gennaio 2009 affinché potesse frequentare corsi di fitness o praticare altre attività fisiche. Il sig. Kaltoft ha perso peso e lo ha ripreso in seguito, come avvenne in occasione dei precedenti tentativi.

20      A marzo 2010, il sig. Kaltoft ha ripreso il suo lavoro di babysitter dopo aver usufruito di un congedo di un anno, per motivi familiari. In seguito ha ricevuto diverse visite inaspettate da parte della responsabile degli assistenti all’infanzia, che desiderava informarsi sulla sua perdita di peso. Durante tali visite, la responsabile degli assistenti all’infanzia ha potuto constatare che il peso del sig. Kaltoft era rimasto pressoché invariato.

21      In ragione del calo del numero di bambini nel Billund Kommune, il sig. Kaltoft si è dovuto occupare, a partire dalla trentottesima settimana del 2010, solo di tre bambini anziché di quattro, numero per cui egli aveva ricevuto un’abilitazione.

22      Secondo la decisione di rinvio, agli ispettori degli educatori alle dipendenze del Billund Kommune è stato chiesto di proporre il nome di un babysitter da licenziare e la responsabile degli assistenti all’infanzia, alla luce delle proposte ricevute, ha deciso che la persona interessata sarebbe stata il sig. Kaltoft.

23      Il 1° novembre 2010, il sig. Kaltoft è stato informato per telefono che il Billund Kommune intendeva procedere al suo licenziamento, circostanza che ha comportato l’attuazione del procedimento di consultazione applicabile al licenziamento dei dipendenti pubblici.

24      In seguito, quello stesso giorno, durante un colloquio con la responsabile degli assistenti all’infanzia e in presenza della rappresentante del personale, il sig. Kaltoft ha domandato il motivo per cui fosse il solo babysitter ad essere licenziato. Le parti nel procedimento principale concordano sul fatto che durante tale riunione si è discusso dell’obesità del sig. Kaltoft. Per contro, esse non concordano sul motivo per il quale l’obesità del sig. Kaltoft è divenuta oggetto di discussione in tale riunione, così come controvertono sulla misura in cui l’obesità del medesimo sia stata un elemento preso in considerazione nel processo decisionale che ha condotto al suo licenziamento.

25      Con lettera del 4 novembre 2010, il Billund Kommune ha formalmente notificato al sig. Kaltoft la sua intenzione di licenziarlo e l’ha invitato a sottoporre, all’occorrenza, osservazioni a tale riguardo. In detta lettera, è stato comunicato al sig. Kaltoft che il licenziamento previsto interveniva «a seguito di una precisa valutazione basata su un calo del numero dei bambini, da cui il calo del carico di lavoro, comportante serie ricadute finanziarie sul servizio di babsyitting e sulla sua organizzazione».

26      Il sig, Kaltoft non ha potuto farsi chiarire concretamente i motivi per i quali la scelta di licenziare un o una babysitter fosse caduta proprio su di lui. Egli è stato l’unico babysitter ad essere licenziato in ragione di una pretesa riduzione del carico di lavoro.

27      Poiché il Billund Kommune aveva concesso al sig. Kaltoft un termine per comunicare le sue osservazioni, questi, con lettera del 10 novembre 2010, ha espresso il convincimento che il suo licenziamento fosse motivato dalla sua obesità.

28      Con lettera del 22 novembre 2010, il Billund Kommune ha licenziato il sig. Kaltoft, indicando che tale licenziamento interveniva in seguito ad una «precisa valutazione basata su un calo del numero dei bambini». Il Billund Kommune non ha formulato alcuna osservazione sull’opinione espressa dal sig. Kaltoft, nella sua lettera del 10 novembre 2010, relativa all’effettivo motivo del licenziamento di quest’ultimo.

29      Il FOA, che agisce per conto del sig. Kaltoft, ha proposto un ricorso dinanzi al Retten i Kolding (Tribunale di Kolding) deducendo che, con il suo licenziamento, il sig. Kaltoft era stato vittima di discriminazione fondata sull’obesità, e che doveva ottenere un risarcimento a motivo di tale discriminazione.

30      Alla luce di quanto sopra, il Retten i Kolding ha deciso di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia contrario al diritto dell’Unione, come formulato, ad esempio, nell’articolo 6 TUE sui diritti fondamentali, in generale, o in particolare per un datore di lavoro del settore pubblico, discriminare in base all’obesità nel mercato del lavoro.

2)      Se un eventuale divieto di discriminazione in base all’obesità stabilito dal diritto dell’Unione sia direttamente applicabile fra un cittadino danese e il suo datore di lavoro, costituito da un’autorità pubblica.

3)      Qualora la Corte constati l’esistenza, nel diritto dell’Unione, di un divieto di discriminazione fondata sull’obesità nel mercato del lavoro, in generale, o in particolare per i datori di lavoro del settore pubblico, se la valutazione della questione se vi sia stata violazione, in tal caso, di un eventuale divieto di discriminazione fondata sull’obesità debba essere effettuata basandosi sull’onere della prova condiviso fra le parti, cosicché l’effettiva applicazione del divieto, nei casi in cui sia provata la discriminazione, richiede che l’onere della prova gravi sul datore di lavoro convenuto in giudizio (...).

4)      Se l’obesità possa essere considerata una disabilità rientrante nella tutela prevista dalla direttiva 2000/78 (...) e, in tal caso, quali criteri siano decisivi per stabilire se l’obesità di una persona comporti che detta persona è tutelata dal divieto di discriminazione in base alla disabilità stabilito da detta direttiva».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

31      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che sancisce un principio generale di non discriminazione in ragione dell’obesità, in quanto tale, in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

32      Secondo la giurisprudenza della Corte, nel novero dei diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione compare segnatamente il divieto generale di discriminazione e quest’ultimo vincola quindi gli Stati membri allorché la situazione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Chacón Navas, C‑13/05, EU:C:2006:456, punto 56).

33      Si deve in proposito constatare che nessuna disposizione dei Trattati UE e FUE contiene un divieto di discriminazione fondato sull’obesità in quanto tale. In particolare, né l’articolo 10 TFUE né l’articolo 19 TFUE fanno riferimento all’obesità.

34      Per quanto riguarda, più in particolare, l’articolo 19 TFUE, dalla giurisprudenza della Corte discende che tale articolo comporta unicamente un inquadramento delle competenze dell’Unione e che, dal momento che non riguarda la discriminazione fondata sull’obesità in quanto tale, non può quindi costituire un fondamento normativo di misure del Consiglio dell’Unione europea dirette a lottare contro tale discriminazione (v., per analogia, sentenza Chacón Navas, EU:C:2006:456, punto 55).

35      Il diritto derivato dell’Unione non sancisce neanch’esso un principio di non discriminazione a motivo dell’obesità per quanto riguarda l’occupazione e le condizioni di lavoro. In particolare, la direttiva 2000/78 non menziona l’obesità quale motivo di discriminazione.

36      Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte, l’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 non deve essere esteso per analogia al di là delle discriminazioni fondate sui motivi elencati tassativamente nell’articolo 1 di quest’ultima (v. sentenze Chacón Navas, EU:C:2006:456, punto 56, e Coleman, C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 46).

37      Di conseguenza, l’obesità in quanto tale non può essere considerata un motivo che si aggiunge a quelli in base ai quali la direttiva 2000/78 vieta qualsiasi discriminazione (v., per analogia, sentenza Chacón Navas, EU:C:2006:456, punto 57).

38      Nel caso di specie, il fascicolo trasmesso alla Corte non contiene alcun elemento che consenta di ritenere che la situazione di cui trattasi nel procedimento principale, per il fatto di avere ad oggetto un licenziamento che si presume sia fondato sull’obesità in quanto tale, rientrerebbe nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

39      In tal senso, nemmeno le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sono applicabili a una tale situazione (v., in tal senso, sentenza Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punti 21 e 22).

40      Alla luce delle considerazioni sopra esposte, occorre risolvere la prima questione sottoposta dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso non sancisce alcun principio generale di non discriminazione a motivo dell’obesità, in quanto tale, per quanto riguarda l’occupazione e le condizioni di lavoro.

 Sulla seconda e sulla terza questione

41      Alla luce della risposta fornita per la prima questione, non occorre esaminare la seconda e la terza questione.

 Sulla quarta questione

42      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2000/78 debba essere interpretata nel senso che lo stato di obesità di un lavoratore possa costituire un «handicap», ai sensi di tale direttiva, e, in caso affermativo, secondo quali criteri un tale stato abbia per conseguenza che la persona interessata debba beneficiare della tutela conferita da detta direttiva contro la discriminazione fondata sulla disabilità.

 Sulla ricevibilità

43      Il governo danese sostiene che la quarta questione è irricevibile in quanto presenta carattere ipotetico. Infatti, dagli elementi fattuali illustrati dal giudice del rinvio non discenderebbe che il sig. Kaltoft non ha potuto svolgere le sue mansioni durante il periodo in cui è stato dipendente del Billund Kommune, e ancor meno che è stato considerato come affetto da un «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78. Pertanto, la risposta a tale questione non sarebbe utile alla soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

44      Inoltre, il governo danese rileva che la risposta alla quarta questione non dà adito ad alcun ragionevole dubbio, in quanto può essere chiaramente dedotta dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, alla luce del punto 47 della sentenza HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222), il giudice del rinvio potrebbe esso stesso pronunciarsi nel procedimento principale sulla definizione della nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78.

45      A tale riguardo, si deve ricordare che, nell’ambito del procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del giudizio, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire. La presunzione di rilevanza che si riconnette alle questioni sottoposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali può essere superata solo in casi eccezionali, qualora sia evidente che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenze Åkerberg Fransson, EU:C:2013:105, punti 39 e 40, nonché B., C‑394/13, EU:C:2014:2199, punto 19).

46      Nella presente fattispecie il giudice del rinvio nutre dubbi in merito all’interpretazione della nozione di «handicap», ai sensi della direttiva 2000/78, e, con la sua quarta questione, intende sapere se una tale nozione si applichi a un lavoratore in stato di obesità che è stato oggetto di un licenziamento.

47      In tale contesto non risulta manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione chiesta dal giudice del rinvio non sia necessaria al medesimo per dirimere la controversia di cui è investito.

48      Inoltre, non è in alcun modo fatto divieto al giudice nazionale di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale la cui risposta non dia adito a ragionevoli dubbi (v. sentenza Painer, C‑145/10, EU:C:2011:798, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

49      Pertanto, la quarta questione dev’essere ritenuta ricevibile.

 Nel merito

50      In via preliminare, si deve osservare che, come risulta dal suo articolo 1, la direttiva 2000/78 mira a tracciare un quadro generale per la lotta, in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, alle discriminazioni fondate su uno dei motivi menzionati in tale articolo, tra i quali compare l’handicap.

51      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga, in base, in particolare, alla disabilità.

52      In forza del suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), la direttiva 2000/78, nei limiti dei poteri conferiti all’Unione, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene in particolare alle condizioni di licenziamento.

53      In seguito alla ratifica, da parte dell’Unione, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata, a nome della Comunità europea, con la decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 (GU 2010, L 23, pag. 35), la Corte ha considerato che la nozione di «handicap» deve essere intesa, ai sensi della direttiva 2000/78, nel senso che essa si riferisce ad una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (v. sentenze HK Danmark, EU:C:2013:222, punti da 37 a 39; Z., C‑363/12, EU:C:2014:159, punto 76, e Glatzel, C‑356/12, EU:C:2014:350, punto 45).

54      Tale nozione di «handicap» dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce non soltanto ad un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, ma altresì ad un ostacolo a svolgere una simile attività. Un’interpretazione diversa sarebbe incompatibile con la finalità di questa direttiva, che mira segnatamente a garantire che una persona con disabilità possa accedere ad un lavoro e/o svolgerlo (v. sentenza Z., EU:C:2014:159, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

55      Inoltre, sarebbe in contrasto con la finalità stessa della direttiva in parola, che è quella di realizzare la parità di trattamento, ammettere che essa possa applicarsi in funzione della causa dell’handicap (v. sentenza HK Danmark, EU:C:2013:222, punto 40).

56      Infatti, la nozione di «handicap», ai sensi della direttiva 2000/78, non dipende dalla questione relativa alla determinazione della misura in cui la persona abbia potuto o meno contribuire all’insorgenza del suo handicap.

57      Inoltre, la definizione della nozione di «handicap» ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2000/78 precede la determinazione e la valutazione delle misure di adattamento appropriate previste dall’articolo 5 di quest’ultima. Infatti, conformemente al considerando 16 della direttiva 2000/78, siffatte misure hanno lo scopo di tener conto dei bisogni dei disabili. Esse sono quindi la conseguenza e non l’elemento costitutivo della nozione di «handicap» (v., in tal senso, sentenza HK Danmark, EU:C:2013:222, punti 45 e 46). Pertanto, la mera circostanza che nei confronti del sig. Kaltoft non siano state adottate siffatte misure di adattamento non è sufficiente a ritenere che non possa essere un soggetto portatore di handicap ai sensi di tale direttiva.

58      Si deve constatare che lo stato di obesità non costituisce, in quanto tale, un «handicap», ai sensi della direttiva 2000/78, in quanto, per sua natura, non ha quale conseguenza necessaria l’esistenza di una limitazione come quella prevista al punto 53 della presente sentenza.

59      Per contro, nell’ipotesi in cui, in determinate circostanze, lo stato di obesità del lavoratore interessato comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e se tale limitazione è di lunga durata, una siffatta condizione può ricadere nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza HK Danmark, EU:C:2013:222, punto 41).

60      Tale sarebbe il caso, in particolare, se l’obesità del lavoratore ostacolasse la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori in ragione di una mobilità ridotta o dell’insorgenza, in tale persona, di patologie che le impediscono di svolgere il suo lavoro o che determinano una difficoltà nell’esercizio della sua attività professionale.

61      Nel caso di specie, come ha osservato il giudice del rinvio, è pacifico che il sig. Kaltoft era in stato di obesità durante l’intero periodo nel corso del quale è stato alle dipendenze del Billund Kommune, e quindi per un lungo periodo.

62      Spetta al giudice del rinvio verificare se, nel procedimento principale, nonostante il fatto che il sig. Kaltoft, come si è osservato al punto 17 della presente sentenza, abbia esercitato la propria attività lavorativa durante circa quindici anni, l’obesità di quest’ultimo ha determinato una limitazione che risponde ai presupposti previsti al punto 53 della presente sentenza.

63      Nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che l’obesità del sig. Kaltoft soddisfa i presupposti previsti al punto 53 della presente sentenza, si deve ricordare che, per quanto riguarda l’onere della prova applicabile, in conformità all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, gli Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento. Ai sensi del paragrafo 2 di detto articolo, il paragrafo 1 di quest’ultimo si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere disposizioni in materia di onere della prova più favorevoli alle parti attrici.

64      Tenuto conto delle considerazioni precedentemente esposte, occorre rispondere alla quarta questione sottoposta dichiarando che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che lo stato di obesità di un lavoratore costituisce un «handicap», ai sensi di tale direttiva, qualora determini una limitazione, risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori. È compito del giudice nazionale valutare se tali condizioni ricorrano nel procedimento principale.

 Sulle spese

65      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso non sancisce alcun principio generale di non discriminazione a motivo dell’obesità, in quanto tale, per quanto riguarda l’occupazione e le condizioni di lavoro.

2)      La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che lo stato di obesità di un lavoratore costituisce un «handicap», ai sensi di tale direttiva, qualora determini una limitazione, risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori. È compito del giudice nazionale valutare se tali condizioni ricorrano nel procedimento principale.

Firme


* Lingua processuale: il danese.