Language of document : ECLI:EU:C:2012:283

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

10 maggio 2012 (*)

«Articoli 3 CE, 10 CE, 43 CE, 49 CE e 81 CE – Libertà di stabilimento ‑ Libera prestazione dei servizi – Direttiva 2006/123/CE – Articoli 15 e 16 – Concessione di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi o di altre entrate degli enti locali – Normativa nazionale – Capitale sociale minimo – Obbligo»

Nelle cause riunite da C‑357/10 a C‑359/10,

aventi ad oggetto talune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con decisioni del 20 ottobre 2009, pervenute in cancelleria il 19 luglio 2010, nel procedimento

Duomo Gpa Srl (C‑357/10),

Gestione Servizi Pubblici Srl (C‑358/10),

Irtel Srl (C‑359/10)

contro

Comune di Baranzate (C‑357/10 e C‑358/10),

Comune di Venegono Inferiore (C‑359/10),

con l’intervento di:

Agenzia Italiana per le Pubbliche Amministrazioni SpA (AIPA),

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da J. N. Cunha Rodrigues, presidente di Sezione, U. Lõhmus, A. Rosas, A. Ó Caoimh (relatore) e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: P. Cruz Villalón

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il Comune di Baranzate, da A. Soncini, avvocato;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. De Bellis, avvocato dello Stato;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da C. M. Wissels e Y. de Vries, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Zadra e I.V. Rogalski, nonché da S. La Pergola, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 novembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli articoli 3 CE, 10 CE, 43 CE, 49 CE e 81 CE nonché degli articoli 15 e 16 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376, pag. 36, in prosieguo: la «direttiva sui servizi»).

2        Tali domande sono state presentate nell’ambito di tre controversie tra, rispettivamente, la Duomo Gpa Srl (in prosieguo: la «Duomo») e la Gestione Servizi Pubblici Srl (in prosieguo: la «GSP») ed il Comune di Baranzate, nonché la Irtel Srl (in prosieguo: la «Irtel») ed il Comune di Venegono Inferiore, per quanto riguarda la loro esclusione da talune gare d’appalto, controversie in cui la controinteressata è l’Agenzia Italiana per le Pubbliche Amministrazioni SpA (in prosieguo: l’«AIPA»).

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

3        A termini dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva sui servizi, quest’ultima stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi.

4        Secondo l’articolo 3, paragrafo 3, di detta direttiva, gli Stati membri ne applicano le disposizioni nel rispetto delle norme del trattato che disciplinano il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei servizi.

5        L’articolo 15 della direttiva sui servizi compare al capo III di quest’ultima, intitolato «Libertà di stabilimento dei prestatori».

6        L’articolo 16 di tale direttiva compare al capo IV di quest’ultima, intitolato «Libera circolazione dei servizi».

7        A norma degli articoli 44 e 45 della direttiva sui servizi, quest’ultima è entrata in vigore il 28 dicembre 2006 e doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 28 dicembre 2009.

 La normativa nazionale

8        Il titolo III del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, recante istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali (supplemento ordinario n. 252 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale n. 298 del 23 dicembre 1997), riguarda il riordino della disciplina dei tributi locali.

9        L’articolo 52 di detto decreto così prevede:

«1.      Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.

(...)

5.      I regolamenti, per quanto attiene all’accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate, sono informati ai seguenti criteri:

(...)

b)      qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, a:

1)      i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53, comma 1;

2)      gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;

3)      le società a capitale interamente pubblico (...)».

10      L’articolo 32, comma 7 bis, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (supplemento ordinario n. 263 alla GURI n. 280 del 29 novembre 2008) aggiunto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 (supplemento ordinario n. 14 alla GURI n. 22 del 28 gennaio 2009) e successivamente modificato dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, (GURI n. 49, del 28 febbraio 2009) (in prosieguo la «disposizione di cui trattasi nelle cause principali») ha il seguente tenore letterale:

«La misura minima di capitale richiesto alle società, ai sensi del comma 3 dell’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, per l’iscrizione nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni è fissata in un importo non inferiore a 10 milioni di euro interamente versato. Dal limite di cui al precedente periodo sono escluse le società a prevalente partecipazione pubblica. È nullo l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario suddetto. I soggetti iscritti nel suddetto albo devono adeguare alla predetta misura minima il proprio capitale sociale. In ogni caso, fino all’adeguamento essi non possono ricevere nuovi affidamenti o partecipare a gare a tal fine indette».

 Cause principali e questioni pregiudiziali

11      All’origine delle cause C‑357/10 e C‑358/10 vi è il bando di gara del Comune di Baranzate, indetto nel febbraio 2009, per una procedura aperta concernente l’affidamento in concessione all’operatore con l’offerta economicamente più vantaggiosa, del servizio di gestione, accertamento e riscossione di talune imposte e di altri tributi locali per il periodo quinquennale compreso fra il 1° maggio 2009 e il 30 aprile 2014. Il valore dei servizi per l’intero periodo era stimato in EUR 57 000, IVA esclusa.

12      Sei imprese private, tutte stabilite in Italia, tra le quali la Duomo, la GSP e l’AIPA hanno presentato un’offerta. In data 1° e 3 aprile 2009, il Comune di Baranzate comunicava alla Duomo e alla GSP che la commissione di gara le aveva escluse dalla procedura di aggiudicazione per la mancanza del requisito previsto dalla disposizione di cui trattasi nelle cause principali, che aveva portato a dieci milioni di euro la misura minima del capitale interamente versato per l’iscrizione all’albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate degli enti locali. La gara veniva successivamente aggiudicata all’AIPA.

13      All’origine della causa C‑359/10 si trova un avviso di procedura aperta del 22 gennaio 2009 del Comune di Venegono Inferiore diretto ad indire una gara pubblica da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso in base alla minor percentuale di aggio offerto, concernente l’affidamento in concessione del servizio di accertamento e riscossione ordinaria e coattiva dell’imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni per il periodo quadriennale dal 23 febbraio 2009 al 31 dicembre 2012. Il valore dei servizi per la totalità del periodo era stimato in circa EUR 49 000, IVA esclusa.

14      Hanno presentato un’offerta cinque imprese, fra cui l’Irtel e l’AIPA, che risultavano, rispettivamente, al primo e al secondo posto della graduatoria provvisoria. Con decisione del 9 marzo 2009 l’ente appaltante escludeva l’Irtel Srl dalla procedura di aggiudicazione per mancato rispetto dei requisiti posti dalla disposizione di cui trattasi nelle cause principali. Il servizio in questione è stato successivamente aggiudicato all’AIPA.

15      La Duomo, la GSP e l’Irtel hanno proposto ricorso contro le decisioni di esclusione dalle menzionate procedure di aggiudicazione di cui trattasi nelle cause principali. Nella controversia all’origine della causa C‑357/10, la Duomo fa valere la violazione della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), nonché dei principi di parità di trattamento, e di concorrenza, in quanto le società a prevalente partecipazione pubblica godrebbero di un regime più favorevole.

16      Nelle controversie all’origine delle cause C‑358/10 e C‑359/10, la GSP e l’Irtel sostengono che la disposizione di cui trattasi nelle cause principali è incompatibile con gli articoli 3 CE, 10 CE, 43 CE, 49 CE, 81 CE, 82 CE, 86 CE e 90 CE, nonché con i principi di necessità, di razionalità e di proporzionalità derivanti dagli articoli 15 e 16 della direttiva sui servizi. A loro avviso, la normativa nazionale è contraria al diritto dell’Unione, in quanto introduce un requisito sproporzionato rispetto all’obiettivo che la normativa intende raggiungere e comporta una discriminazione in favore delle società a prevalente partecipazione pubblica nei limiti in cui a queste ultime non si applica la nuova soglia di capitale minimo.

17      Ciò premesso, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le due seguenti questioni pregiudiziali, redatte in termini identici nelle tre cause:

«1)      Se ostino alla corretta applicazione degli articoli 15 e 16 della direttiva [sui servizi] le disposizioni nazionali dell’art. 32, comma 7 bis, del [decreto legge] 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 e successivamente modificato dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, che prevedono, ad esclusione che per le società a prevalente partecipazione pubblica:

–        la nullità dell’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario del capitale sociale minimo di 10 milioni di euro interamente versato;

–        l’obbligo di adeguamento del proprio capitale sociale alla predetta misura minima da parte dei soggetti iscritti nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni ai sensi del comma 3 dell’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni;

–        il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale;

2)      se ostino alla corretta applicazione degli articoli 3 [CE], 10 [CE], 43 [CE], 49 [CE] e 81 CE le disposizioni nazionali dell’art. 32, comma 7 bis, del [decreto legge] 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 e successivamente modificato dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, che prevedono, ad esclusione che per le società a prevalente partecipazione pubblica:

–        la nullità dell’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario del capitale sociale minimo di 10 milioni di euro interamente versato;

–        l’obbligo di adeguamento del proprio capitale sociale alla predetta misura minima da parte dei soggetti iscritti nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni ai sensi del comma 3 dell’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni;

–        il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

18      Come emerge in particolare dai punti 11-14 della presente sentenza, i fatti all’origine della controversia si sono verificati durante un periodo precedente il 28 dicembre 2009, data ultima di trasposizione della direttiva sui servizi, conformemente all’articolo 44, paragrafo 1, di quest’ultima.

19      Pertanto, anche supponendo che tale direttiva debba essere considerata nel senso che compie un’armonizzazione completa ai sensi della giurisprudenza della Corte, tale circostanza non condurrebbe al risultato di impedire la rilevanza del diritto primario per il periodo precedente il termine di trasposizione di detta direttiva (v. in particolare, per analogia, sentenze del 5 aprile 1979, Ratti, 148/78, Racc. pag. 1629, punti 36 e 42‑44, nonché dell’11 maggio 1999, Monsees, C‑350/97, Racc. pag. I‑2921, punto 27).

20      Di conseguenza, nelle presenti cause occorre trattare in primo luogo la seconda questione sollevata, attinente all’interpretazione del diritto primario alla luce di fatti come quelli all’origine di dette controversie.

 Sulla seconda questione

21      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 3 CE, 10 CE, 43 CE, 49 CE e/o 81 CE debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale quale quella di cui trattasi nelle cause principali, la quale prevede:

–        l’obbligo, per gli operatori economici, salvo le società a prevalente partecipazione pubblica, di adeguare, se del caso, a dieci milioni di euro l’importo minimo di capitale sociale interamente versato al fine di essere abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni;

–        la nullità dell’affidamento di siffatti servizi ad operatori che non soddisfino tale requisito di capitale sociale minimo e

–        il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di tali servizi fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale.

22      Per la parte in cui la seconda questione pregiudiziale, come riformulata al punto precedente, riguarda un’interpretazione degli articoli 3 CE, 10 CE e 81 CE, occorre ricordare che l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Tali esigenze valgono in modo del tutto particolare nel settore della concorrenza, caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse (v., in particolare, sentenza dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C‑384/08, Racc. pag. I‑2055, punto 32 e giurisprudenza citata).

23      Orbene, nel caso di specie, le decisioni di rinvio non forniscono alla Corte gli elementi di fatto e di diritto che le consentirebbero di determinare le circostanze in cui una disposizione come quella di cui trattasi nelle cause principali potrebbero confliggere con i detti articoli. In particolare, tali decisioni non forniscono alcun chiarimento sul nesso, da esse menzionato, tra i detti articoli e le controversie principali o il loro oggetto.

24      Alla luce di tali considerazioni, la seconda questione sottoposta, nella parte in cui è diretta ad ottenere un’interpretazione degli articoli 3 CE, 10 CE e 81 CE, deve essere dichiarata irricevibile.

25      Per quanto riguarda l’interpretazione degli articoli 43 CE e 49 CE, dagli atti del fascicolo risulta che tutti gli elementi delle cause principali sono collocati all’interno di un solo Stato membro. In tali circostanze, occorre che la Corte verifichi la propria competenza nelle presenti cause a pronunciarsi sull’interpretazione di dette disposizioni (v., per analogia, sentenze del 31 gennaio 2008, Centro Europa 7, C‑380/05, Racc. pag. I‑349, punto 64, e del 22 dicembre 2010, Omalet, C‑245/09, Racc. pag. I‑1377, , punti 9‑10).

26      Infatti, una normativa nazionale come quella oggetto della causa principale, che, secondo il suo tenore letterale, si applica indistintamente agli operatori italiani e agli operatori degli altri Stati membri, deve, di norma, risultare conforme alle disposizioni relative alle libertà fondamentali garantite dal Trattato solo in quanto si applichi a situazioni che hanno un collegamento con gli scambi fra gli Stati membri (v. sentenze del 5 dicembre 2000, Guimont, C‑448/98, Racc. pag. I‑10663, punto 21; dell’11 settembre 2003, Anomar e a., C‑6/01, Racc. pag. I‑8621, punto 39 e la giurisprudenza citata; Centro Europa 7, cit., punto 65, nonché del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez, C‑570/07 e C‑571/07, Racc. pag. I‑4629, punto 40).

27      Tuttavia, come emerge in particolare dalle osservazioni scritte della Commissione europea, non si può affatto escludere nella fattispecie che imprese stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana siano state o siano interessate ad effettuare, in tale ultimo Stato membro, attività come quelle oggetto delle concessioni di cui trattasi nelle cause principali.

28      Peraltro, l’interpretazione degli articoli 43 CE e 49 CE chiesta dal giudice del rinvio può essergli utile qualora il diritto nazionale gli imponga di far beneficiare un operatore italiano degli stessi diritti di cui godrebbe un operatore di un altro Stato membro nella medesima situazione in base al diritto dell’Unione (v., per analogia, citate sentenze Centro Europa 7, punto 69, e la giurisprudenza citata, nonché Blanco Pérez e Chao Gómez, punto 39). Su tale punto, va osservato che nelle ordinanze di rinvio il giudice nazionale ha motivato la sua decisione di formulare questioni pregiudiziali rilevando che la legittimità della normativa in questione nelle cause principali dipende segnatamente dall’interpretazione degli articoli 43 CE e 49 CE che la Corte offrirà.

29      Pertanto, la Corte è competente a pronunciarsi sull’interpretazione di tali disposizioni.

30      Per quanto concerne la delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione dei principi della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento, occorre rilevare che l’elemento chiave consiste nell’accertare se l’operatore economico è stabilito o meno nello Stato membro in cui offre il servizio di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 30 novembre 1995, Gebhard, C‑55/94, Racc. pag. I‑4165, punto 22). Quando è stabilito nello Stato membro in cui offre il servizio, egli rientra nell’ambito di applicazione del principio della libertà di stabilimento, come definito all’articolo 43 CE. Quando, invece, l’operatore economico non è stabilito in tale Stato membro di destinazione, è un prestatore transfrontaliero che rientra nell’ambito di applicazione del principio della libera prestazione dei servizi previsto all’articolo 49 CE. (v. sentenza del 29 aprile 2004, Commissione/Portogallo, C‑171/02, Racc. pag. I‑5645, punto 24).

31      In tale contesto, la nozione di stabilimento implica che l’operatore offra i suoi servizi, in maniera stabile e continuativa, da un domicilio professionale nello Stato membro di destinazione. Costituiscono invece «prestazioni di servizi» ai sensi dell’articolo 49 CE tutte le prestazioni che non sono offerte in maniera stabile e continuativa dal domicilio professionale nello Stato membro di destinazione (v. sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 25, e la giurisprudenza citata)

32      Risulta altresì dalla giurisprudenza che nessuna disposizione del Trattato consente di determinare, in termini astratti, la durata o la frequenza a partire dalla quale la fornitura di un servizio o di un certo tipo di servizi non può più essere considerata prestazione di servizi, di modo che la nozione di «servizio» ai sensi del Trattato può comprendere servizi di natura molto diversa, ivi compresi i servizi la cui prestazione si estende per un periodo di tempo prolungato, persino di più anni (v. sentenze dell’11 dicembre 2003, Schnitzer, C‑215/01, Racc. pag. I‑14847, punti 30 e 31; Commissione/Portogallo, cit., punto 26; del 16 luglio 2009, von Chamier‑Glisczinski, C‑208/07, Racc. pag. I‑6095, punto 74, nonché del 26 ottobre 2010, Schmelz, C‑97/09, Racc. pag. I‑10465, punto 42).

33      Risulta da quanto precede che una disposizione come quella di cui trattasi nelle cause principali può in linea di principio rientrare nell’ambito di applicazione tanto dell’articolo 43 CE quanto dell’articolo 49 CE. Diverso sarebbe qualora, come suggerito dalla Commissione, la riscossione dei tributi locali non potesse essere realizzata, nella pratica, senza ricorrere ad uno stabilimento sul territorio nazionale dello Stato membro di destinazione. In ogni caso, spetterebbe al giudice nazionale accertare se questo sia il caso.

34      Di conseguenza, occorre esaminare alla luce degli articoli 43 CE e 49 CE, se i requisiti derivanti, esplicitamente o implicitamente, da una disposizione come quella di cui trattasi nelle cause principali rappresentino restrizioni alla libertà di stabilimento e/o alla libera prestazione dei servizi.

35      A tale riguardo, emerge dalla giurisprudenza che l’articolo 43 CE osta ad ogni provvedimento nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla nazionalità, possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato e che siffatti effetti restrittivi possono prodursi quando una società, a causa di una normativa nazionale, possa essere dissuasa dal creare in altri Stati membri entità subordinate, come un centro di attività stabile, nonché dall’esercitare le sue attività tramite tali entità (v., in particolare, sentenze Attanasio Group, cit., punti 43 e 44 nonché la giurisprudenza citata, e del 13 ottobre 2011, DHL International, C‑148/10, Racc. pag. I‑9543, punto 60).

36      Secondo costante giurisprudenza, l’articolo 49 CE impone non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (v., in particolare, sentenze del 25 luglio 1991, Säger, C‑76/90, Racc. pag. I‑4221, punto 12, nonché del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a., C‑403/08 e C‑429/08, Racc. pag. I‑9083, punto 85). In tale ottica, la Corte ha inoltre dichiarato che l’articolo 49 CE osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna a uno Stato membro (v., in particolare, sentenze del 5 ottobre 1994, Commissione/Francia, C‑381/93, Racc. pag. I‑5145, punto 17, nonché del 13 dicembre 2007, United Pan-Europe Communications Belgium e a., C‑250/06, Racc. pag. I‑11135, punto 30 e la giurisprudenza citata).

37      Nella fattispecie, secondo il giudice del rinvio, conformemente alla disposizione di cui trattasi nelle cause principali, per effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione di taluni tributi degli enti locali italiani, gli operatori economici stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana sono tenuti, esattamente come gli operatori privati stabiliti in Italia, a disporre di un importo minimo di capitale sociale interamente versato di EUR 10 milioni, se del caso adeguando il loro capitale a tale soglia per evitare che siano considerate nulle le concessioni eventualmente già accordate loro.

38      Un siffatto obbligo costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi. Infatti, da un lato esso implica una condizione di capitale sociale minimo (v. in particolare, per analogia, sentenze Commissione/Portogallo, cit., punti 53 e 54, nonché del 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, C‑514/03, Racc. pag. I‑963, punto 36) e dall’altro, come ha rilevato il governo olandese, esso costringe gli operatori privati che vogliano effettuare le attività in questione nelle cause principali a costituire persone giuridiche (v., per analogia, citate sentenze Commissione/Portogallo, punti 41 e 42, nonché Commissione/Spagna, punto 31). Pertanto, una disposizione come quella di cui trattasi nelle cause principali ostacola o scoraggia, ai sensi della giurisprudenza esposta ai punti 35 e 36 della presente sentenza, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi sancite rispettivamente dagli articoli 43 CE e 49 CE.

39      Di conseguenza, occorre esaminare in qual misura la disposizione di cui trattasi nelle cause principali possa essere ammessa ai sensi di una delle ragioni menzionate all’articolo 46 CE o giustificata conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (v. in particolare, per analogia, sentenze del 30 settembre 2003, Inspire Art, C‑167/01, Racc. pag. I‑10155, punto 107, nonché dell’8 settembre 2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, C‑42/07, Racc. pag. I‑7633, punto 55).

40      L’unico motivo di giustificazione fatto valere dinanzi alla Corte è la protezione della pubblica amministrazione dall’eventuale inadempimento da parte della società concessionaria in considerazione dell’elevato importo complessivo dei contratti di cui essa è titolare.

41      Su tale punto, emerge dalle osservazioni del Comune di Baranzate che i concessionari ricevono anticipatamente gli introiti tributari oggetto delle concessioni di cui trattasi nelle cause principali. Secondo tale comune, solo dopo detrazione di un aggio fissato, tali introiti devono essere trasferiti alla pubblica amministrazione alla fine del trimestre. Il Comune di Baranzate osserva che, dopo aver dedotto l’aggio, il profitto dei concessionari deriva dalle operazioni finanziarie realizzate con i fondi in loro possesso. Pertanto, i concessionari deterrebbero e gestirebbero milioni di euro che sono poi tenuti a versare alla pubblica amministrazione.

42      A tale riguardo, anche ammettendo che l’obiettivo esposto al punto 40 della presente sentenza possa essere considerato nel senso che costituisce un motivo imperativo di interesse generale e non un motivo di natura meramente economica (v., al riguardo, sentenze del 17 marzo 2005, Kranemann, C‑109/04, Racc. pag. I‑2421, punto 34 e la giurisprudenza citata, nonché del 16 febbraio 2012, Costa e Cifone, C‑72/10 e C‑77/10, punto 59), occorre rammentare che la giustificazione di una restrizione alle libertà fondamentali garantite dal Trattato presuppone che la misura in questione sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto è necessario per il suo raggiungimento (sentenza Attanasio Group, cit., punto 51 e la giurisprudenza citata). Inoltre, una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo addotto solo se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v., in particolare, sentenze del 10 marzo 2009, Hartlauer, C‑169/07, Racc. pag. I‑1721, punto 55, e Attanasio Group, cit., punto 51).

43      Orbene, come constata lo stesso giudice del rinvio, una disposizione come quella di cui trattasi nelle cause principali supera ampiamente l’obiettivo di tutelare la pubblica amministrazione dall’inadempimento dei concessionari.

44      Infatti, detto giudice ha rilevato che talune precauzioni previste dalla normativa italiana sono a suo avviso idonee a proteggere in maniera più proporzionata la pubblica amministrazione dall’inadempimento dei concessionari. La normativa italiana esige infatti, tra l’altro, la dimostrazione del possesso dei requisiti generali di partecipazione ad un bando di gara, tanto per la capacità tecnica quanto per quella finanziaria, nonché dell’affidabilità e della solvibilità. Il giudice del rinvio ha altresì menzionato a tal riguardo l’applicazione di soglie minime richieste del capitale sociale interamente versato della concessionaria parametrate in funzione del valore dei contratti di cui essa è effettivamente titolare.

45      Di conseguenza, è giocoforza constatare che una disposizione come quella di cui trattasi nelle cause principali comporta restrizioni sproporzionate e quindi non giustificate alle libertà sancite agli articoli 43 CE e 49 CE.

46      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione sottoposta che gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione, come quella di cui trattasi nelle cause principali, la quale preveda:

–        l’obbligo, per gli operatori economici, salvo le società a prevalente partecipazione pubblica, di adeguare, se del caso, a dieci milioni di euro l’importo minimo di capitale sociale interamente versato al fine di essere abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni;

–        la nullità dell’affidamento di siffatti servizi ad operatori che non soddisfino tale requisito di capitale sociale minimo e

–        il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di tali servizi fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale.

 Sulla prima questione

47      Alla luce della risposta fornita sulla seconda questione e considerati gli sviluppi riportati ai punti 18 e 19 della presente sentenza, non occorre trattare la prima questione.

 Sulle spese

48      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione, come quella di cui trattasi nelle cause principali, la quale preveda:

–        l’obbligo, per gli operatori economici, salvo le società a prevalente partecipazione pubblica, di adeguare, se del caso, a 10 milioni di euro l’importo minimo di capitale sociale interamente versato al fine di essere abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni;

–        la nullità dell’affidamento di siffatti servizi ad operatori che non soddisfino tale requisito di capitale sociale minimo e

–        il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di tali servizi fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.