Language of document : ECLI:EU:C:2007:689

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 20 novembre 2007 1(1)

Causa C-308/06

The International Association of Independent Tanker Owners e altri

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito)]

«Direttiva 2005/35/CE – Inquinamento provocato dalle navi – Negligenza grave – Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (Marpol)»





I –    Introduzione

1.        Nel procedimento in esame occorre verificare se le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/35/CE, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni (2), siano compatibili con norme di rango superiore.

2.        L’International Association of Independent Tanker Owners (Intertanko), l’International Association of Dry Cargo Shipowners (Intercargo), il Greek Shipping co-operation committee, il Lloyd’s Register e l’International Salvage Union (in prosieguo: i «ricorrenti») hanno presentato congiuntamente ricorso dinanzi alla High Court of Justice contro il Ministro dei Trasporti del Regno Unito a causa del previsto recepimento della direttiva. Le dette società sono importanti operatori dell’industria del trasporto marittimo. L’Intertanko, ad esempio, rappresenta quasi l’80% delle navi cisterna del mondo.

3.        È controversa la compatibilità degli artt. 4 e 5 della direttiva 2005/35 con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 (3) (in prosieguo: la «Convenzione sul diritto del mare»), cui la Comunità ha aderito nel 1998 (4), e con la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi del 1973 ed il suo protocollo del 1978 (5) (in prosieguo: la «Marpol 73/78»). Queste disposizioni disciplinano la responsabilità penale per i casi di scarico. I dubbi sorgono in particolare dalla circostanza che la direttiva, a prima vista, contiene un criterio di responsabilità più severo della Marpol 73/78. Ai sensi della direttiva, in particolare, è sufficiente la negligenza grave, mentre la Marpol 73/78 prevede almeno la temerarietà, nonché la consapevolezza della possibilità che si verifichi un’avaria.

4.        Si pone inoltre la questione della compatibilità del criterio di responsabilità della negligenza grave con il principio della certezza del diritto.

II – Contesto normativo

A –    Diritto comunitario

5.        La direttiva 2005/35 è basata sull’art. 80, n. 2, CE, fondamento normativo delle disposizioni per la navigazione marittima.

6.        I motivi dell’adozione della direttiva risultano, tra l’altro, dal suo secondo e terzo ‘considerando’:

«(2)      Le norme pratiche di tutti gli Stati membri per gli scarichi di sostanze inquinanti effettuati dalle navi si basano sulla convenzione Marpol 73/78; tuttavia tali norme sono quotidianamente ignorate da un numero molto elevato di navi che solcano le acque comunitarie, senza che alcuna azione correttiva sia intrapresa.

(3)      La convenzione Marpol 73/78 viene attuata in maniera diversa nei vari Stati membri ed è dunque necessario armonizzarne l’attuazione a livello comunitario; in particolare, le pratiche degli Stati membri in materia di sanzioni applicabili allo scarico di sostanze inquinanti effettuato dalle navi presentano notevoli divergenze».

7.        L’art. 3 disciplina l’ambito di applicazione della direttiva:

«(1)      La presente direttiva è applicabile, conformemente al diritto internazionale, agli scarichi di sostanze inquinanti:

a)      nelle acque interne, compresi i porti, di uno Stato membro, nella misura in cui è applicabile il regime Marpol;

b)      nelle acque territoriali di uno Stato membro;

c)      negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, come specificato nella parte III, sezione 2 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare, nella misura in cui uno Stato membro abbia giurisdizione su tali stretti;

d)      nella zona economica esclusiva o in una zona equivalente di uno Stato membro, istituita ai sensi del diritto internazionale;

e)      in alto mare.

(2)      La presente direttiva si applica agli scarichi di sostanze inquinanti di tutte le navi, a prescindere dalla bandiera, ad esclusione delle navi militari da guerra o ausiliarie o di altre navi possedute o gestite da uno Stato e impiegate, al momento, solo per servizi statali a fini non commerciali».

8.        Nel caso di specie viene messa in dubbio la legittimità degli artt. 4 e 5, i quali dispongono quanto segue:

«Articolo 4

Violazioni

Gli Stati membri provvedono affinché gli scarichi di sostanze inquinanti effettuati dalle navi in una delle aree di cui all’articolo 3, paragrafo 1, siano considerati violazioni se effettuati intenzionalmente, temerariamente o per negligenza grave. Tali violazioni sono considerate reati dalla decisione quadro 2005/667/GAI che completa la presente direttiva, e in presenza delle circostanze previste da tale decisione.

Articolo 5

Deroghe

(1)      Lo scarico di sostanze inquinanti in una delle aree di cui all’articolo 3, paragrafo 1 non è considerato una violazione se soddisfa le condizioni di cui all’allegato I, norme 9, 10, 11 a) o 11 c), o all’allegato II, norme 5, 6 a) o 6 c), della convenzione la Marpol 73/78.

(2) Lo scarico di sostanze inquinanti nelle aree di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere c), d) ed e), non è considerato una violazione da parte del proprietario, del comandante o dell’equipaggio posto sotto la responsabilità di quest’ultimo, se soddisfa le condizioni di cui all’allegato I, norma 11 b) o all’allegato II, norma 6 b), della convenzione la Marpol 73/78».

B –    Diritto internazionale

1.      La Convenzione sul diritto del mare

9.        La Convenzione sul diritto del mare contiene norme relative alla repressione dell’inquinamento ambientale marino.

10.      L’art. 211, n. 1, prima frase, prevede lo sviluppo di standard internazionali di tutela ambientale:

«Gli Stati, agendo tramite le competenti organizzazioni internazionali o una conferenza diplomatica generale, stabiliscono regole e norme internazionali atte a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino causato da navi, e favoriscono l’adozione, attraverso gli stessi canali e ogni qualvolta sia opportuno, di sistemi di canalizzazione del traffico intesi a ridurre al minimo il rischio di incidenti che possano provocare l’inquinamento dell’ambiente marino, incluse le coste, e danni conseguenti agli interessi connessi degli Stati costieri».

11.      L’art. 211, n. 5, stabilisce le competenze normative degli Stati costieri per la zona economica esclusiva:

«Gli Stati costieri, ai fini dell’applicazione prevista nella sezione 6, possono adottare nella propria zona economica esclusiva leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da navi, che si conformino e diano applicazione alle regole e norme internazionali generalmente accettate, stabilite attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica generale».

12.      Ai sensi dell’art. 42, n. 1, lett. b), per gli stretti valgono norme simili a quelle per la zona economica esclusiva:

«(1) Alle condizioni delle disposizioni della presente sezione, gli Stati rivieraschi possono emanare leggi e regolamenti relativi al passaggio in transito negli stretti, in merito a tutte o una qualsiasi delle seguenti materie:

         (…);

b)      prevenzione, riduzione e controllo dell’inquinamento, attraverso l’applicazione delle pertinenti norme internazionali relative allo scarico nello stretto di idrocarburi, residui di idrocarburi e altre sostanze nocive;

         (…)».

13.      In via di principio, l’art. 89 esclude le competenze normative dei singoli Stati per l’alto mare:

«Nessuno Stato può legittimamente pretendere di assoggettare alla propria sovranità alcuna parte dell’alto mare».

14.      Tuttavia, l’art. 218, n. 1, prevede la perseguibilità, da parte dello Stato del porto, delle attività di scarico:

«Quando una nave si trova volontariamente in un porto o presso un’installazione per l’ormeggio al largo di uno Stato, quest’ultimo può aprire un’inchiesta e, quando gli elementi di prova lo giustificano, può iniziare un procedimento in relazione a qualunque scarico riversato da quella nave al di fuori delle acque interne, del mare territoriale o della zona economica esclusiva dello Stato stesso, in violazione delle pertinenti regole e norme internazionali stabilite attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica generale».

15.      Nel mare territoriale vigono altre disposizioni. L’art. 2 disciplina la sovranità dello Stato costiero in tale ambito.

«(1)      La sovranità dello Stato costiero si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne e, nel caso di uno Stato-arcipelago, delle sue acque arcipelagiche, a una fascia adiacente di mare, denominata mare territoriale.

(2)      Tale sovranità si estende allo spazio aereo soprastante il mare territoriale come pure al relativo fondo marino e al suo sottosuolo.

(3)      La sovranità sul mare territoriale si esercita alle condizioni della presente convenzione e delle altre norme del diritto internazionale».

16.      L’art. 211, n. 4, contiene la disciplina generale delle disposizioni in materia di inquinamento nel mare territoriale:

«Gli Stati costieri, nell’esercizio della propria sovranità nel proprio mare territoriale, possono adottare leggi e regolamenti per prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento marino da parte di navi straniere, incluse le navi che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo. Tali leggi e regolamenti non debbono ostacolare il passaggio inoffensivo delle navi straniere, ai sensi della parte II, sezione 3».

17.      L’art. 21 stabilisce quali leggi e regolamenti sul passaggio inoffensivo può adottare lo Stato costiero:

«(1)      Lo Stato costiero può emanare leggi e regolamenti, conformemente alle disposizioni della presente convenzione e ad altre norme del diritto internazionale, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale, in merito a tutte o a una qualsiasi delle seguenti materie:

(…)

f)      preservazione dell’ambiente dello Stato costiero e prevenzione, riduzione e controllo del suo inquinamento;

(…)

(2)      Tali leggi e regolamenti non debbono interessare la progettazione, la costruzione, l’armamento o l’allestimento di navi straniere a meno che non diano attuazione a regolamenti o norme internazionali generalmente accettate.

(3)      (…)

(4)      Le navi straniere che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo nel mare territoriale si attengono a tali leggi e regolamenti e a tutte le norme internazionali generalmente accettate relative alla prevenzione degli abbordi in mare».

2.      La Marpol 73/78

18.      La Marpol 73/78 è stata stipulata nell’ambito dell’Organizzazione marittima internazionale (International Maritime Organisation; in prosieguo: l’«IMO»). Ad essa hanno aderito – per quanto rileva in questa sede – tutti gli Stati membri (6), mentre non è prevista l’adesione della Comunità (art. 13).

19.      L’art. 4 della Marpol 73/78 dispone quanto segue:

«(1)      Ogni violazione alle disposizioni della presente Convenzione è punita dalla legge dell’Autorità da cui dipende la nave in questione, qualunque sia il luogo in cui avviene l’infrazione. Se l’Autorità è informata di una tale infrazione ed è convinta che esistono prove sufficienti per permetterle di iniziare dei procedimenti per la presunta infrazione, essa inizia tali procedimenti al più presto possibile in conformità delle proprie leggi.

(2)      Ogni violazione alle disposizioni della presente Convenzione commessa sotto la giurisdizione di una Parte della Convenzione è punita dalle leggi di tale Parte. Ogniqualvolta abbia luogo una tale infrazione, la Parte deve:

(a)       iniziare dei procedimenti conformemente alle proprie leggi; o

(b)       fornire all’Autorità da cui dipende la nave tutte le informazioni e le prove che possono essere in suo possesso per dimostrare che è avvenuta un’infrazione.

(3)      Quando sono fornite all’Autorità da cui dipende la nave delle informazioni o delle prove relative ad un’infrazione della Convenzione da parte di una nave, tale Autorità informa al più presto lo Stato che ha fornito le informazioni o le prove, nonché l’Organizzazione, delle misure adottate.

(4)       (…)».

20.      L’art. 9 contiene disposizioni sul rapporto con altre convenzioni internazionali e sull’interpretazione della nozione di «giurisdizione».

«Articolo 9

(1)      (...)

(2)      Nessuna disposizione della presente Convenzione pregiudica la codificazione e l’elaborazione del diritto del mare da parte della Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare indetta in base alla Risoluzione 2750 C (XXV) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, né le rivendicazioni e le posizioni giuridiche presenti o future di ogni Stato riguardanti il diritto del mare e la natura e l’estensione della giurisdizione dello Stato rivierasco e dello Stato di bandiera.

(3)      Nella presente Convenzione, il termine “giurisdizione” viene interpretato conformemente al diritto internazionale in vigore al momento dell’applicazione o dell’interpretazione della presente Convenzione».

21.      Le disposizioni in materia di inquinamento da idrocarburi causato dalla navigazione sono contenute nell’allegato I della Marpol 73/78 (7). Le norme 9 e 10 prevedono limitazioni che vietano lo scarico in zone speciali all’interno di una distanza minima dalla terra ferma, o di quantità superiori a determinate misure (in termini di flusso istantaneo di scarico per miglio marino, di quantità totale o di contenuto di idrocarburi degli scarichi). Lo scarico in mare, da parte delle navi, di idrocarburi o di miscele di idrocarburi, pertanto, è vietato, a meno che non siano rispettate una serie di condizioni.

22.      L’allegato I, norma 11, stabilisce tuttavia eccezioni al divieto di scarico:

«Le norme 9 e 10 del presente allegato non si applicano

a)      allo scarico in mare di idrocarburi o di miscele di idrocarburi effettuato da una nave per assicurare la propria sicurezza o quella di un’altra nave, o salvare delle vite umane in mare; o

b)      allo scarico in mare di idrocarburi o di miscele di idrocarburi provenenti da un’avaria alla nave o al suo equipaggiamento:

i)      a condizione che siano state prese tutte le ragionevoli precauzioni dopo l’avaria o la scoperta dello scarico per impedire o ridurre tale scarico, e

ii)      tranne il caso in cui il proprietario o il comandante abbia agito con l’intenzione di provocare l’avaria o incautamente ((8))* e con la consapevolezza che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta; o

c)      allo scarico in mare di sostanze contenenti degli idrocarburi approvato dall’autorità, quando tali sostanze siano utilizzate per lottare contro un particolare caso di inquinamento al fine di ridurre i danni dovuti a tale inquinamento. Ogni scarico di tale natura dovrà essere sottoposto all’approvazione del governo sotto la cui giurisdizione sia previsto che lo scarico possa avvenire». (Nota 8 completata dalla redattrice).

23.      L’allegato II (9) della Convenzione la Marpol 73/78 contiene disposizioni che corrispondono a quelle dell’allegato I. Tali disposizioni, tuttavia, non valgono per gli idrocarburi o le miscele di idrocarburi, bensì per sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa. La norma 5 dell’allegato II vieta lo scarico di determinate sostanze in mare. La norma 6, lett. b), dell’allegato II stabilisce quanto segue:

«La norma 5 del presente allegato non si applica: 

(…)

b)      allo scarico in mare di sostanze liquide nocive o di miscele contenenti tali sostanze che derivano da avaria a una nave o al suo equipaggiamento,

i)      a condizione che dopo l’avaria o la scoperta dello scarico siano prese tutte le ragionevoli precauzioni per impedire o ridurre lo scarico; e

ii)      salvo quando l’armatore o il comandante abbia agito con l’intento di causare l’avaria o incautamente ((10)) ed essendo a conoscenza che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta». (Nota 10 completata dalla redattrice).

III – Domanda di pronuncia pregiudiziale

24.      La High Court of Justice, su domanda dei ricorrenti, sottopone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, con riferimento agli stretti utilizzati per la navigazione internazionale, alla zona economica esclusiva o zona equivalente di uno Stato membro e all’alto mare, l’art. 5, n. 2, della direttiva [2005/35] sia invalido, in quanto limita le eccezioni di cui all’allegato I, norma 11, lett. b), (…) e all’allegato II, norma 6, lett. b), della convenzione Marpol 73/78 al proprietario, al comandante e all’equipaggio.

2)      Se, con riferimento al mare territoriale di uno Stato membro:

a)      l’art. 4 della direttiva [2005/35] sia invalido, in quanto impone agli Stati membri di applicare il criterio della negligenza grave ai fini dell’accertamento della responsabilità in caso di scarico di sostanze inquinanti; e/o

b)      l’art. 5, n. 1, della direttiva [2005/35] sia invalido in quanto esclude l’applicazione delle eccezioni di cui all’allegato I, norma 11, lett. b), e all’allegato II, norma 6, lett. b), della convenzione Marpol 73/78.

3)      Se l’art. 4 della direttiva [2005/35], imponendo agli Stati membri di adottare norme nazionali che includano il criterio della negligenza grave ai fini dell’accertamento della responsabilità e che puniscano lo scarico nelle acque territoriali, leda il diritto di passaggio inoffensivo riconosciuto dalla convenzione [di Montego Bay] e, in tal caso, se l’art. 4 sia, sotto tale profilo, invalido.

4)      Se l’uso dell’espressione “negligenza grave” all’art. 4 della direttiva [2005/35] violi il principio della certezza del diritto e se, in tal caso, l’art. 4 sia, sotto tale profilo, invalido».

25.      Alla fase scritta del procedimento hanno partecipato i ricorrenti nella causa principale, il Regno di Danimarca, la Repubblica d’Estonia, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Malta, il Regno di Svezia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, nonché il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione delle Comunità europee. Alla fase orale del procedimento, svoltasi il 25 settembre 2007, hanno partecipato tutti i suddetti soggetti, ad esclusione del Regno di Danimarca e della Repubblica d’Estonia.

IV – Analisi giuridica

26.      Di seguito, innanzi tutto, verificherò (sub A) la fondatezza di alcuni dubbi in merito all’ammissibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale e alla competenza della Corte. In seguito, nell’ambito della soluzione del primo quesito, tratterò il criterio di responsabilità per attività di scarico al di fuori del mare territoriale, ossia nell’alto mare, negli stretti usati per la navigazione internazionale e nella zona economica esclusiva. Emergerà che, in questi ambiti marini, a causa dell’interazione con la Convenzione sul diritto del mare, la Marpol 73/78 stabilisce il criterio di responsabilità in modo definitivo (v. sub B). Per contro, nel mare territoriale, oggetto del secondo e del terzo quesito, la Marpol 73/78 svolge principalmente la funzione di standard minimo, vincolante solo per gli Stati membri, ma non per la Comunità, in particolare perché in questo ambito, che appartiene al territorio nazionale dello Stato costiero, la Convenzione sul diritto del mare non limita così fortemente la potestà normativa come in altri ambiti (v., nel prosieguo, sub C). Infine (sub D) occorre verificare se il criterio di responsabilità della negligenza grave sia compatibile con il principio della certezza del diritto.

A –    Ammissibilità del rinvio pregiudiziale

27.      Il governo francese solleva dubbi in merito all’ammissibilità del rinvio pregiudiziale. Diversamente dalla causa British American Tobacco (11), il giudice del rinvio non avrebbe dimostrato che oggetto della causa principale è la legittimità della prevista trasposizione della direttiva controversa. Inoltre, per quanto riguarda, per lo meno, la prima questione, non ci sarebbe discordanza tra le parti della causa principale.

28.      Queste obiezioni si basano sulla circostanza che alla Corte, in ipotesi eccezionali, spetta esaminare le condizioni in presenza delle quali è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (12). Da una giurisprudenza costante risulta che il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (13). Salvo che in tali ipotesi, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire sulle questioni pregiudiziali che vertono sull’interpretazione del diritto comunitario (14). In tale contesto, la nozione d’interpretazione include la verifica della validità (15).

29.      Il governo francese non fornisce alcun elemento dal quale emerga che le questioni pregiudiziali o la controversia oggetto della causa principale siano di natura ipotetica. Risulta piuttosto che la controversia nella causa principale è reale e che le questioni pregiudiziali hanno un’importanza centrale ai fini della risoluzione di tale controversia. Inoltre, la Corte non necessita di ulteriori indicazioni relative alla natura della causa principale per risolvere i quesiti pregiudiziali. Per contro, alla Corte è noto fin dalla causa British American Tobacco (16) che nel Regno Unito è possibile un ricorso contro il recepimento di una direttiva che può far sì che alla Corte siano poste domande sulla validità di tale direttiva. Pertanto, nonostante i dubbi del governo francese sulla sua ammissibilità, il rinvio pregiudiziale non può essere respinto.

30.      La Danimarca e il Consiglio mettono in dubbio la circostanza che la Corte sia competente a interpretare la Convenzione sul diritto del mare. La Convenzione è stata conclusa dalla Comunità e da tutti i suoi Stati membri in virtù di una competenza ripartita (17). Pertanto la Corte, in linea di massima, non è competente ad interpretare disposizioni che rientrano nella competenza esclusiva degli Stati membri. Solo in via eccezionale essa può essere autorizzata ad interpretare siffatte disposizioni per accertare se esse rientrino nella competenza esclusiva degli Stati membri (18).

31.      Tuttavia la Corte ha dichiarato che nel contesto specifico della Convenzione sul diritto del mare la constatazione di competenze ripartite è subordinata all’esistenza, nelle materie in cui rientrano le disposizioni della Convenzione di cui si tratta, di norme comunitarie, a prescindere dalla loro portata e dalla loro natura (19). In altre parole, nell’ambito della Convenzione sul diritto del mare sussiste, quanto meno, anche una competenza della Comunità per le questioni in essa disciplinate qualora esista un diritto comunitario rilevante, a prescindere dal fatto che le disposizioni comunitarie siano definitive o che rimanga spazio per la potestà normativa degli Stati membri.

32.      Pertanto, l’affermazione della Danimarca e del Consiglio secondo cui, nella causa in esame, la Corte non è competente, è inconferente. Occorre ritenere che le disposizioni della Convenzione sul diritto del mare rilevanti per la valutazione della direttiva 2005/35 ricadano in almeno una delle competenze della Comunità condivise con gli Stati membri. Altrimenti la direttiva dovrebbe essere già annullata per carenza di fondamento giuridico. Tuttavia, nessuna delle parti ha contestato il fondamento giuridico della direttiva.

33.      Di conseguenza, la Corte è competente ad interpretare le disposizioni in questione della Convenzione sul diritto del mare.

B –    Sulla prima questione: Responsabilità di persone non menzionate nella Marpol 73/78

34.      La prima questione riguarda la responsabilità di persone che non sono menzionate nella Marpol 73/78 per scarichi al di fuori del mare territoriale. I ricorrenti, la Grecia, Malta e Cipro ritengono che la normativa pertinente sia incompatibile con la Marpol 73/78.

35.      Di conseguenza, è necessario chiarire, innanzi tutto, se la Marpol 73/78 possa fungere da criterio per la legittimità della direttiva 2005/35 e se in tal caso, all’occorrenza, la Marpol 73/78 limiti la responsabilità per scarichi accidentali nella misura indicata dai ricorrenti.

1.      La Marpol 73/78 come criterio di legittimità della direttiva 2005/35

36.      Le parti indicano diverse ipotesi che possono indurre a ritenere che la Marpol 73/78 possa essere utilizzata come criterio di legittimità della direttiva 2005/35. Secondo la prima ipotesi, la Comunità potrebbe essere vincolata alla Marpol 73/78 in forza del diritto internazionale [in proposito, v. sub a)]. Nella seconda ipotesi, la Marpol 73/78 potrebbe vincolare indirettamente la Comunità in quanto la Convenzione sul diritto del mare limita le competenze normative della Comunità rinviando agli standard della Marpol 73/78 [v. sub b)]. Nella terza ipotesi, un vincolo alla Marpol 73/78 potrebbe risultare dal fatto che la direttiva 2005/35 dovrebbe armonizzare il recepimento di tale accordo a livello comunitario [v. sub. c)].

a)      Sul vincolo della Comunità alla Marpol 73/78 in forza del diritto internazionale

37.      Come fatto valere dal Consiglio e dalla Commissione, nella sentenza Peralta la Corte ha dichiarato che le disposizioni della Marpol 73/78 non sono vincolanti per la Comunità (20).

38.      Come già all’epoca di tale sentenza, anche oggi la Comunità non è parte della Marpol 73/78. La legittimità di un atto comunitario non dipende dalla sua conformità a una convenzione internazionale alla quale la Comunità non abbia aderito (21).

39.      Contrariamente a quanto affermano Cipro e il Regno Unito, neppure dalla sentenza Poulsen e Diva Navigation (22) risulta che la Comunità sia senz’altro vincolata da qualsiasi diritto internazionale. È vero che la Corte dichiara che le competenze della Comunità devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale, tuttavia le affermazioni riportate di seguito dimostrano che tale asserzione si riferisce al diritto internazionale consuetudinario (23). Nella causa in esame, tuttavia, non è presente alcun elemento che faccia ritenere che le disposizioni rilevanti della Marpol 73/78 codifichino il diritto internazionale consuetudinario.

40.      Non si può invece scartare di primo acchito una seconda ipotesi menzionata nella sentenza Peralta in merito al carattere vincolante della Marpol 73/78 nei confronti della Comunità, ossia quella dell’assunzione delle competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo d’applicazione di tale Convenzione (24). Tale tesi, sostenuta dai ricorrenti, fa riferimento alla giurisprudenza in materia di carattere vincolante del GATT prima che la Comunità vi aderisse (25). In tale occasione la Corte si era basata su una serie di argomenti.

41.      Il GATT è un accordo degli Stati membri già esistente al momento della fondazione della Comunità, tuttavia al momento della sentenza International Fruit Company le corrispondenti funzioni di politica commerciale erano già state integralmente trasferite alla Comunità. Pertanto, solo la Comunità poteva agire nell’ambito del GATT. Di conseguenza, con l’assenso degli Stati membri e degli altri Stati aderenti al GATT, la Comunità già interveniva in nome di tali Stati nell’ambito del GATT.

42.      Diversamente dal caso della politica commerciale, nella causa in esame non esiste in forza del Trattato una competenza esclusiva della Comunità a disciplinare la materia degli scarichi di sostanze nocive in mare. Tale competenza – che risulti dall’art. 80, n. 2, CE, politica dei trasporti, o dall’art. 175 CE, politica dell’ambiente – (26) è piuttosto di natura concorrente, ossia rimane in capo agli Stati membri fino a quando la Comunità non la esercita (27). È vero che la Comunità ha esercitato tale competenza al più tardi con l’adozione della direttiva 2005/35, non se ne può tuttavia evincere che in tal modo le relative competenze degli Stati membri le siano state interamente trasferite, perché la direttiva, ai sensi del suo art. 1, n. 2, stabilisce solamente standard minimi, che gli Stati membri possono superare nel rispetto del diritto internazionale.

43.      A prescindere dalla circostanza che, nel frattempo, la competenza comunitaria sia o meno divenuta esclusiva, si può dubitare anche del fatto che una tale assunzione di funzioni, avvenuta mediante l’esercizio di competenze, sia sufficiente per affermare che esiste un vincolo ad obblighi di diritto internazionale degli Stati membri. L’assunzione delle funzioni di politica commerciale, di cui si tratta nel GATT, era comunque espressamente riconosciuta nel Trattato. La sentenza Peralta parla ad esempio di un’assunzione «in base al Trattato» (28). Inoltre, in un caso simile, la Corte ha escluso il vincolo alla convenzione di Monaco di Baviera 5 ottobre 1973, sulla concessione di brevetti europei (29), sebbene la sua trasposizione fosse stata parzialmente armonizzata (30) da parte della direttiva 98/44 (31), oggetto di verifica.

44.      Per di più, non è stato fatto valere che con la Marpol 73/78 la Comunità agisca in qualità di successore degli Stati membri o che tale modo di agire abbia avuto il consenso delle altre parti dell’Accordo, come è accaduto nell’ambito del GATT. La Comunità ha semplicemente lo status di osservatore all’interno dell’IMO, nella cui competenza rientra la Marpol 73/78.

45.      Pertanto, il vincolo della Comunità alla Marpol 73/78 non può essere fondato sull’assunzione di funzioni degli Stati membri.

b)      Sul rinvio della Convenzione sul diritto del mare alla Marpol 73/78

46.      Come sostenuto dalla maggior parte delle parti già nella fase scritta del procedimento, la Marpol 73/78 potrebbe essere stata incorporata nel diritto comunitario come parametro di controllo mediante la Convenzione sul diritto del mare.

47.      Ai sensi dell’art. 300, n. 7, CE gli accordi conclusi alle condizioni indicate in tale articolo sono vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri. La Convenzione sul diritto del mare è stata firmata dalla Comunità e in seguito ratificata con la decisione 98/392. Per costante giurisprudenza, ne consegue che le disposizioni di tale Convenzione formano parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario (32).

48.      Gli accordi internazionali conclusi dalla Comunità prevalgono sui testi di diritto comunitario derivato (33). La Corte, quindi, controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie con riferimento alle disposizioni di siffatti accordi. Tuttavia, essa effettua tale controllo alla condizione che tale tipo di applicazione non sia escluso né dalla natura né dalla struttura dell’accordo. In ogni caso, se i singoli vogliono farvi riferimento, le disposizioni in questione devono apparire, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (34).

49.      Secondo il governo francese ed il Consiglio, ai quali si sono aggiunti, nella fase orale del procedimento, i governi italiano, spagnolo, svedese ed il Parlamento, entrambe le condizioni ostano a che i singoli facciano appello alla Convenzione sul diritto del mare.

50.      Tale atteggiamento sorprende alla luce dell’attuale giurisprudenza della Corte. In particolare, è rilevante la sentenza Poulsen e Diva Navigation, che aveva ad oggetto la possibilità che ad un comandante danese di una nave immatricolata a Panama potesse essere opposto un divieto di pesca contenuto in un regolamento comunitario. In questo caso, la Corte ha considerato la Convenzione sul diritto del mare come espressione del diritto internazionale consuetudinario già prima della sua entrata in vigore, per constatare l’attribuzione esclusiva della nave allo Stato di cui batte bandiera (35) e per escludere l’applicazione del divieto di pesca a tale nave nella zona economica esclusiva e nel mare territoriale (36). Pertanto, in linea di principio, la Corte ha riconosciuto già in tale occasione che i singoli possono richiamarsi a norme sancite dalla Convenzione sul diritto del mare. Nel corso della fase orale del procedimento, i ricorrenti hanno giustamente sottolineato che sarebbe assolutamente incomprensibile privarli di tale possibilità dopo l’entrata in vigore della Convenzione sul diritto del mare.

51.      Anche la giurisprudenza successiva all’entrata in vigore della Convenzione sul diritto del mare non contiene alcun indizio in tal senso. La Corte ha ricavato la responsabilità di diritto internazionale pubblico dello Stato di bandiera dall’art. 94 della Convenzione sul diritto del mare (37) e ha recentemente delimitato l’ambito di applicazione territoriale della sesta direttiva IVA (38) sulla scorta delle disposizioni in materia di diritti di sovranità degli Stati nelle varie zone del mare (39). Queste disposizioni sono rilevanti anche nella causa in esame.

52.      In questi casi, la Corte non ha tuttavia né verificato la natura e la struttura della Convenzione sul diritto del mare, né accertato se le disposizioni in esame appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise. Di conseguenza, nel caso di specie devono essere verificate le obiezioni contro l’applicazione delle disposizioni della Convenzione sul diritto del mare.

53.      Uno dei motivi più importanti cui fa riferimento il Consiglio consiste nel fatto che, a suo avviso, gli Stati terzi non utilizzano la Convenzione sul diritto del mare nell’ordinamento interno. In particolare, la risoluzione in sede giudiziale di questioni relative all’interpretazione della Convenzione sul diritto del mare, a suo parere, sarebbe, in generale, evitata. Anche se tale osservazione corrispondesse al vero, di per sé ciò non osterebbe all’applicazione nell’ambito del diritto comunitario (40). Occorre invece analizzare la Convenzione sul diritto del mare.

54.      In considerazione della natura e della struttura della Convenzione sul diritto del mare, il Consiglio evidenzia come essa sia orientata in particolare verso questioni globali, che dovrebbero essere disciplinate a livello interstatale e secondo il principio di reciprocità. Inoltre, si tratterebbe di questioni territoriali e di funzioni che spettano agli Stati in quanto tali. Infine, secondo il Consiglio, la Convenzione sul diritto del mare prevederebbe diversi procedimenti per la composizione delle controversie, che attribuirebbero agli Stati aderenti una certa flessibilità.

55.      In breve, questa argomentazione è diretta ad applicare alla Convenzione sul diritto del mare la giurisprudenza relativa alla particolare natura degli accordi GATT e OMC. Tuttavia, l’argomento relativo alla reciprocità è, in particolare, in contrasto con la natura di «costituzione del mare» più volte associata alla Convenzione sul diritto del mare nel corso della fase orale del procedimento. Secondo il suo quarto ‘considerando’, la Convenzione è diretta a stabilire un oggettivo «ordine giuridico per i mari e per gli oceani che faciliti le comunicazioni internazionali e che favorisca gli usi pacifici dei mari e degli oceani, l’utilizzazione equa ed efficiente delle loro risorse (…)».

56.      Il riferimento all’uso pacifico è proprio diretto anche ai singoli che partecipano al traffico marittimo, il che è evidenziato dalla normativa in materia di navigazione non militare. Essa viene tradizionalmente esercitata, per la maggior parte, da privati che hanno un interesse vitale al rispetto, da parte degli Stati, delle disposizioni in materia di traffico marittimo sancite dalla Convenzione sul diritto del mare. Si tratta, ad esempio, della disciplina, che sarà trattata nel prosieguo, relativa al passaggio inoffensivo, ma anche, più in generale, delle norme sulle competenze in materia di inquinamento provocato dalle navi.

57.      I mezzi per la composizione delle controversie previsti dalla Convenzione sul diritto del mare non impediscono alla Corte di avvalersi delle disposizioni della Convenzione per verificare la legittimità del diritto comunitario derivato. Tali disposizioni, infatti, non fondano alcuna competenza esclusiva di altre istituzioni ad interpretare la Convenzione sul diritto del mare. Al contrario, la libertà degli Stati contraenti, sottolineata dal Consiglio, di concordare liberamente tra loro il procedimento per la soluzione delle controversie, ai sensi dell’art. 280 della Convenzione sul diritto del mare, esclude l’esistenza di competenze esclusive (41).

58.      Diversamente da quanto sostenuto da alcune parti, la «flessibilità» o, per meglio dire, la possibilità di scegliere tra diversi procedimenti per la composizione delle controversie non costituisce un indizio della flessibilità delle altre disposizioni della Convenzione sul diritto del mare. Né le norme sulla composizione delle controversie né alcuna altra disposizione della Convenzione sul diritto del mare conferiscono in forma generale agli Stati contraenti flessibilità o la possibilità di allontanarsi dalle disposizioni della Convenzione.

59.      La Convenzione sul diritto del mare, pertanto, costituisce un criterio per valutare la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. I limiti entro i quali i singoli possono avvalersene possono quindi risultare solo dalla disposizione rilevante caso per caso. Essa deve apparire, dal punto di vista del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa.

60.      La causa in esame non ha ad oggetto le competenze degli Stati membri ad adottare norme per le navi che battono la loro bandiera. La prima questione riguarda piuttosto le disposizioni contenute nell’art. 4 e nell’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35 per quanto riguarda tutte le attività inquinanti causate dalle navi negli stretti, nella zona economica esclusiva e nell’alto mare, indipendentemente dal fatto che tali navi battano o meno una bandiera della Comunità. La Corte ha già riconosciuto che la competenza normativa in queste zone, vale a dire fuori del territorio di uno Stato membro, deve essere determinata in base alla Convenzione sul diritto del mare (42). Le disposizioni rilevanti ai fini della soluzione della prima questione sono gli artt. 87, 89, 218, n. 1, 55, 58 e 211, n. 5, nonché 42, n. 1, lett. b), della Convenzione sul diritto del mare.

61.      Nell’alto mare, l’art. 87, n. 1, lett. a), garantisce la libertà di navigazione. L’art. 89, in sostanza, vieta agli Stati di assoggettare alla propria sovranità qualsivoglia parte dell’alto mare. Quando, tuttavia, una nave si trova volontariamente in un porto o presso un’installazione per l’ormeggio al largo di uno Stato, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 218, n. 1, può aprire un’inchiesta. Quando gli elementi di prova lo giustificano, lo Stato del porto può iniziare un procedimento in relazione a qualunque scarico riversato da quella nave al di fuori delle acque interne, del mare territoriale o della zona economica esclusiva dello Stato stesso, a condizione che tale scarico sia avvenuto in violazione delle pertinenti regole e norme internazionali stabilite attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica generale (43). Tale procedimento presuppone che lo Stato interessato possa infliggere una sanzione per siffatti scarichi in alto mare.

62.      Ai sensi dell’art. 58, n. 1, della Convenzione sul diritto del mare anche nella zona economica esclusiva vale la libertà di navigazione. La giurisdizione dello Stato costiero su tale zona è funzionale e, ai sensi dell’art. 55 della Convenzione sul diritto del mare, limitata alle competenze attribuitegli dalla Convenzione sul diritto del mare (44). A norma dell’art. 211, n. 5, gli Stati costieri, ai fini dell’applicazione prevista nella sezione 6 della Convenzione sul diritto del mare, possono adottare nella propria zona economica esclusiva leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da navi. Tali atti devono conformarsi e dare applicazione alle regole e norme internazionali generalmente accettate, stabilite attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica.

63.      Gli stretti percorsi per la navigazione internazionale sono soggetti, a causa di tale funzione, a particolari disposizioni della parte III della Convenzione sul diritto del mare. In forza dell’art. 42, n. 1, lett. b), gli Stati rivieraschi possono emanare leggi e regolamenti relativi al passaggio in transito negli stretti, in materia di prevenzione, riduzione e controllo dell’inquinamento, attraverso l’applicazione delle pertinenti norme internazionali relative allo scarico nello stretto di idrocarburi, residui di idrocarburi e altre sostanze nocive.

64.      Pertanto, da queste disposizioni emerge chiaramente che la Comunità, nell’esercizio delle competenze che ha assunto dagli Stati membri, può prevedere l’applicazione di sanzioni contro gli scarichi nelle zone di mare in questione quando essi violino le norme internazionali generalmente accettate.

65.      Tali disposizioni non sono incondizionate in quanto presuppongono l’adozione dei corrispondenti standard internazionali. La Commissione obietta però, a buon diritto, che tale condizione è soddisfatta dalla Marpol 73/78. Come emerge, in particolare, dal secondo ‘considerando’, nonché dall’art. 1, n. 1, della direttiva 2005/35, le norme internazionali generalmente accettate sono i precetti della Marpol 73/78. Nessuna delle parti ha affermato che tali precetti non sono sufficientemente incondizionati e precisi.

66.      La questione della diretta applicabilità delle disposizioni controverse e quella – correlata – della loro qualità di fonte di diritti per i singoli non sono determinanti ai fini della risposta alla domanda di pronuncia pregiudiziale. Anche i fondamenti giuridici dei Trattati, sostanzialmente, non sono direttamente applicabili nel senso che i singoli possano ricavarne diritti o conseguenze giuridiche loro favorevoli. Tuttavia, i singoli possono mettere in dubbio la legittimità di disposizioni del diritto derivato contestando il loro fondamento giuridico (45). È ciò che accade in questa fattispecie: occorre verificare se, in forza della Convenzione sul diritto del mare, la Comunità sia autorizzata ad adottare le disposizioni controverse della direttiva 2005/35.

67.      Ma anche se la Corte considerasse i diritti dei singoli come requisito necessario per l’applicazione delle suddette disposizioni in qualità di criterio di legittimità, il risultato non sarebbe diverso. Già nella sentenza Poulsen e Diva Navigation (46) essa ha infatti fatto riferimento alla libertà di navigazione ai sensi degli artt. 87, n. 1, lett. a), e 58, n. 1, della Convenzione sul diritto del mare. La Comunità può intervenire su tali diritti fuori del mare territoriale solo se la Convenzione sul diritto del mare le attribuisce una competenza normativa.

68.      Dato che, ai sensi della Convenzione sul diritto del mare, al di fuori del mare territoriale sono ammissibili solo normative in materia di scarichi che attuino la Marpol 73/78, la Comunità non può adottare, per le zone del mare in questione, normative che si spingano oltre (47).

69.      Per contro, non è convincente la tesi dell’Italia secondo la quale, nonostante tali norme, al di fuori del mare territoriale potrebbero essere adottate e applicate disposizioni di tutela più rigorose. È vero che gli Stati devono tutelare l’ambiente marino, come emerge, in particolare, dall’art. 192 della Convenzione sul diritto del mare. Tale missione, tuttavia, al di fuori del mare territoriale viene concretizzata dalle suddette disposizioni, che conferiscono efficacia agli standard internazionali comuni elaborati ai sensi dell’art. 211, n. 1. Questo rinvio agli standard comuni è giustificato dal fatto che misure unilaterali potrebbero ostacolare eccessivamente la navigazione internazionale. Quanto detto vale in particolare nell’alto mare, dove sarebbe immaginabile l’applicazione parallela di una serie di standard di tutela differenti.

70.      In tal modo, tramite il rinvio alle dette disposizioni della Convenzione sul diritto del mare, la Marpol 73/78, al di fuori del mare territoriale, diventa un criterio di valutazione della direttiva 2005/35. In tali condizioni occorre tenere presente che nelle dette zone, secondo la Convenzione sul diritto del mare, sono ammissibili unicamente normative che corrispondono alla Marpol 73/78, ossia che applicano le norme di tutela in essa stabilite. Per converso, in tali zone sono inammissibili normative che vadano oltre la Marpol 73/78.

c)      Sull’attuazione della Marpol 73/78

71.      Infine, i ricorrenti sostengono in particolare che la direttiva 2005/35 va valutata alla luce della Marpol 73/78 poiché la direttiva dovrebbe armonizzare il recepimento dell’accordo negli Stati membri. In questa sede vaglierò tale ipotesi in via subordinata, per il caso in cui la Corte non utilizzi la Convenzione sul diritto del mare come criterio di legittimità della direttiva.

72.      Come sottolineano i ricorrenti, nonché i governi danese, greco, maltese, svedese e cipriota, esiste una serie di elementi dai quali risulta che la direttiva 2005/35 non deve allontanarsi dalla Marpol 73/78. A norma del suo l’art. 1, n. 1, il suo scopo è di recepire nel diritto comunitario le norme internazionali in materia di inquinamento provocato dalle navi. Dal secondo ‘considerando’ emerge che tali norme si basano sulla convenzione Marpol 73/78, cui la direttiva, all’art. 2, n. 1 (48), opera un rinvio dinamico. L’attuazione di tale convenzione da parte degli Stati membri, secondo il terzo ‘considerando’, dovrebbe essere armonizzata dalla direttiva. In particolare, ai sensi del quindicesimo (49) ‘considerando’, dovrebbero essere istituite sanzioni per le violazioni contro queste norme internazionali. Per contro, nel testo della direttiva 2005/35 non sono presenti riferimenti espressi alla volontà di allontanarsi dalla Marpol 73/78.

73.      La tesi secondo cui la Comunità è vincolata dall’attuazione di obblighi di diritto internazionale si basa anche su una giurisprudenza elaborata in relazione al GATT. È vero che, tenuto conto della loro natura e della loro economia, il GATT e gli accordi OMC non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie (50), tuttavia, solo nel caso in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto in tali ambiti, ovvero nel caso in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni di tali accordi, spetta alla Corte controllare la legittimità dell’atto comunitario controverso alla luce delle dette norme (51).

74.      Questa giurisprudenza si basa tuttavia sul fatto che il GATT e l’accordo OMC formano parte del diritto comunitario, per cui, in via di principio, sono vincolanti per la Comunità (52). Per quanto riguarda invece l’attuazione della Marpol 73/78 da parte della direttiva 2005/35, non esiste alcun obbligo assunto dalla Comunità.

75.      Tuttavia la Corte ha quano meno alluso al fatto che la direttiva 98/44 deve essere controllata alla luce della Convenzione sulla concessione di brevetti europei (53), sebbene ad essa non partecipi la Comunità, ma solo gli Stati membri (54). Come motivo di tale controllo essa ha indicato che era stato sostenuto che la direttiva stabiliva obblighi in capo agli Stati membri il cui adempimento avrebbe violato i loro obblighi di diritto internazionale, mentre la direttiva, in base al suo stesso dettato, non dovrebbe incidere sui detti obblighi (55).

76.      Non vedo però un fondamento giuridico per il controllo del diritto derivato sulla scorta di obblighi di diritto internazionale degli Stati membri che la Comunità non ha assunto. Tale controllo si porrebbe del resto in contrasto con l’asserzione, contenuta nella stessa sentenza, secondo cui la Comunità non è vincolata dagli obblighi di diritto internazionale degli Stati membri (56).

77.      Di conseguenza, la Comunità può, in linea di principio, obbligare gli Stati membri ad adottare provvedimenti in contrasto con i loro obblighi di diritto internazionale. Ciò emerge già dall’art. 307 CE, che disciplina i conflitti tra il diritto comunitario ed i trattati internazionali stipulati anteriormente. Anche quando inizialmente gli obblighi degli Stati membri derivanti da trattati stipulati anteriormente non danno luogo a conflitti con il diritto comunitario, gli Stati membri devono comunque adottare tutti i provvedimenti atti a porre fine a tali conflitti. Tale circostanza può persino condurre alla denuncia di trattati internazionali (57). In linea di massima, gli Stati membri non possono opporre al diritto comunitario trattati stipulati dopo l’adesione (58).

78.      Un conflitto tra il diritto comunitario e gli obblighi di diritto internazionale degli Stati membri conduce però sempre a problemi ed è atto a pregiudicare l’efficacia pratica delle disposizioni in questione del diritto comunitario e/o del diritto internazionale. Pertanto è ragionevole, e richiesto dal principio di lealtà comunitaria, impegnarsi per evitare conflitti, in particolare nell’ambito dell’interpretazione delle disposizioni in questione. Ciò vale soprattutto quando, come in questo caso, gli atti comunitari sono diretti all’attuazione armonizzata di obblighi di diritto internazionale degli Stati membri.

79.      Tuttavia, dagli accordi stipulati dagli Stati membri e non assunti dalla Comunità non possono derivare altri obblighi in capo a quest’ultima. Pertanto, neppure la finalità di attuazione propria della direttiva 2005/35 produce la conseguenza che la Marpol 73/78 possa essere utilizzata come parametro della sua legittimità.

2.      Sulla compatibilità dell’art. 4, in combinato disposto con l’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35 con la Convenzione sul diritto del mare in relazione con la Marpol 73/78

80.      La prima questione riguarda la compatibilità dell’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35 con la Marpol 73/78.

81.      La direttiva 2005/35 stabilisce innanzi tutto, all’art. 4, criteri di responsabilità generali, validi per chiunque, tra i quali, in particolare, la responsabilità per negligenza grave. All’art. 5, n. 2, essa limita questo criterio di responsabilità, facendo tuttavia espresso riferimento alle corrispondenti disposizioni della Marpol 73/78 per il proprietario, il comandante o l’equipaggio posto sotto la responsabilità di quest’ultimo. Questa limitazione vale in particolari zone del mare, ossia negli stretti, nella zona economica esclusiva e nell’alto mare. Solo queste zone marine sono oggetto della prima questione, mentre non lo è il mare territoriale da ascriversi al territorio dello Stato costiero, che tratterò in seguito nel contesto dell’esame della seconda e della terza questione. Più esattamente, la detta questione si estende anche alla validità dell’art. 4, dato che l’annullamento del solo l’art. 5, n. 2, non garantirebbe l’efficacia delle disposizioni della Marpol in questione, ma la ridurrebbe ulteriormente.

82.      La norma 9 dell’allegato I della Marpol 73/78 e la norma 5 dell’allegato II vietano gli scarichi. Tali divieti, tuttavia, non valgono quando sono applicabili le eccezioni di cui alle norme 11 o 6 degli allegati. Ai sensi della lett. b), sub ii), di queste norme, i divieti non sono applicabili per gli scarichi provenenti da un’avaria alla nave o al suo equipaggiamento, a meno che l’armatore o il comandante abbia agito con l’intento di causare l’avaria o temerariamente ed essendo a conoscenza che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta.

83.      Dalla mera comparazione del disposto di queste due norme con la direttiva 2005/35 emergono due differenze fondamentali. In primo luogo, ai sensi della Marpol 73/78 il comportamento di persone diverse dal proprietario e dal comandante in caso di scarico dovuto ad un danno risulta assolutamente irrilevante. Lo scarico risulta vietato se una di queste due persone ha agito con l’intento di causare l’avaria, o temerariamente ed essendo a conoscenza che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta. Per contro, ai sensi dell’art. 4 della direttiva, in linea di principio chiunque può essere responsabile di uno scarico. In secondo luogo, il criterio della responsabilità personale per aver agito – ex art. 4 della direttiva – intenzionalmente, temerariamente o per negligenza grave, secondo la sua stessa formulazione, non coincide con quello stabilito dalla Marpol 73/78.

a)      Sulla responsabilità di persone diverse dal comandante e dal proprietario

84.      Sulla base di un’interpretazione effettuata unicamente sulla scorta del tenore della disposizione, la direttiva va oltre la Marpol 73/78 quando, in caso di avaria, considera sufficiente il comportamento di persone diverse dal capitano e dal proprietario per applicare il divieto di scarico. Alcune parti hanno sostenuto che prevedere una responsabilità di queste altre persone per gli scarichi è in contrasto con gli obblighi internazionali della Comunità.

85.      Si potrebbe condividere la tesi del Parlamento secondo cui la Marpol 73/78 nulla dice in merito alle altre persone. In tal modo, tuttavia, sarebbe escluso solo un conflitto con la Marpol 73/78. La Comunità rimarrebbe pur sempre vincolata alle disposizioni della Convenzione sul diritto del mare, che per le zone marine in oggetto ammette solo, per tutte le persone, normative che realizzano le norme di tutela della Marpol 73/78. La Comunità, pertanto, non sarebbe libera di disciplinare discrezionalmente altri casi in queste aree. Ciò le sarebbe vietato.

86.      Basarsi strettamente sul tenore della Marpol 73/78 condurrebbe però – come sottolineano giustamente, in particolare, la Danimarca, la Francia, il Consiglio e la Commissione – a risultati assurdi. Risulterebbero ammissibili addirittura anche gli scarichi dovuti al danneggiamento intenzionale della nave o del suo equipaggiamento, a patto che né il comandante né il proprietario abbiano agito intenzionalmente o temerariamente.

87.      Pertanto, la Marpol 73/78 non deve essere interpretata in maniera isolata, sulla scorta del suo tenore. Occorre invece tener conto delle sue finalità e della sua funzione nel contesto della Convenzione sul diritto del mare. Lo scopo principale della Marpol 73/78, come risulta dal suo quarto ‘considerando’, è di eliminare definitivamente l’inquinamento intenzionale e di ridurre al massimo quello accidentale.

88.      Le eccezioni di cui alla norma 11, lett. b), sub ii), dell’allegato I e alla norma 6, lett. b), sub ii), dell’allegato II della Marpol 73/78 devono innanzi tutto stabilire il criterio di diligenza da osservare per evitare l’inquinamento accidentale. Se ogni Stato determinasse un proprio criterio di colpa e tali norme valessero nell’alto mare addirittura cumulativamente, sarebbe difficile per la navigazione stabilire le responsabilità di ciascuno.

89.      Non risulta però alcuna finalità della Marpol 73/78 che richieda o anche solo spieghi come mai solamente il comandante e il proprietario debbano evitare l’inquinamento accidentale. È vero che entrambi questi soggetti sono responsabili della nave nel suo complesso, tuttavia non si può escludere, in via generale, che anche altri soggetti siano a loro volta responsabili e causino avarie aventi come conseguenza uno scarico.

90.      Le pertinenti disposizioni della Convenzione sul diritto del mare dovrebbero anche rendere possibile l’efficace tutela dell’ambiente marino. Tale obiettivo deve essere conseguito sulla base di norme internazionali comuni, in modo da renderne prevedibili i requisiti per la navigazione. A tal fine non è necessario limitare la responsabilità al comandante e al proprietario.

91.      L’esclusione della responsabilità di qualsiasi altra persona condurrebbe inoltre ad un risultato completamente diverso da quello di cui all’art. III, n. 4, seconda frase, della Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi del 29 novembre 1969 (59) nella versione del Protocollo del 1992 (60). Diversamente dalla Marpol 73/78, questa disposizione prevede espressamente che, in linea di principio, dal punto di vista civilistico risponde solamente il proprietario, ma non una serie di altri soggetti, come, ad esempio, l’equipaggio, il noleggiatore, o chi presta servizio per la nave. Questi soggetti, tuttavia, rispondono civilmente quando hanno agito intenzionalmente, o in modo temerario, o nella consapevolezza che ne sarebbe derivato probabilmente un danno.

92.      Da ciò possono trarsi due conclusioni. In primo luogo, si può considerare che talune persone siano escluse dalla responsabilità per inquinamento da idrocarburi solo quando ciò sia espressamente stabilito, e, in secondo luogo, la responsabilità in caso di comportamento intenzionale o temerario, nella consapevolezza della possibilità del verificarsi di un’avaria, non è limitata al proprietario e al comandante.

93.      Pertanto, la norma 11, lett. b), sub ii), dell’allegato I e la norma 6, lett. b), sub ii), dell’allegato II devono essere intese nel senso che il comandante ed il proprietario sono ivi menzionati solo a titolo di esempio. Qualora, eccezionalmente, anche altre persone siano responsabili per scarichi dovuti ad avaria, varranno per loro le stesse condizioni vigenti per il comandante ed il proprietario.

94.      In tal modo, la direttiva 2005/35 non viola né la Marpol 73/78 né la Convenzione sul diritto del mare quando considera responsabili per gli scarichi dovuti ad avaria persone diverse dal comandante e dal proprietario.

b)      Sui criteri di responsabilità personale

95.      L’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35 sembra comunque produrre l’effetto che gli atti delle persone diverse dal proprietario, dal comandante o dai membri dell’equipaggio posto sotto la responsabilità di quest’ultimo non sono valutati in base al criterio che tali persone avessero intenzione di provocare l’avaria o abbiano agito temerariamente e con la consapevolezza che sarebbe probabilmente avvenuta un’avaria con conseguente scarico. La loro responsabilità viene piuttosto valutata sulla scorta dell’art. 4 della direttiva, ossia del fatto che lo scarico sia stato causato intenzionalmente, temerariamente o per negligenza grave. Ad avviso dei ricorrenti e di alcuni Stati membri tale criterio di responsabilità e più severo di quello della Marpol 73/78.

96.      Come già illustrato (61), la Convenzione sul diritto del mare vieta alla Comunità, nelle zone di mare interessate, di adottare criteri di responsabilità più rigorosi di quelli previsti dalla Marpol 73/78. Tale divieto deve valere in particolare per le persone diverse dal comandante e dal proprietario. Questi ultimi sono responsabili in particolar modo di evitare che sulla nave si verifichino avarie che possano provocare lo scarico di sostanze inquinanti: se essi sono responsabili solo quando agiscono intenzionalmente o temerariamente e con la consapevolezza che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta, alla luce del tenore della Marpol 73/78 le altre persone non possono essere assoggettate ad un criterio di responsabilità più rigoroso.

Sulla nozione di temerarietà di cui all’art. 4 della direttiva 2005/35

97.      La responsabilità per comportamento temerario a norma dell’art. 4 della direttiva 2005/35 potrebbe essere più rigorosa della Marpol 73/78 già per il fatto che nel detto articolo la consapevolezza della possibilità che l’avaria si verifichi non viene menzionata. A ciò occorre aggiungere che le versioni linguistiche della direttiva, per quel che riguarda questa nozione, non sono concordanti. In particolare per lo meno le versioni in greco, maltese e portoghese parlano chiaramente di mera negligenza (62), ossia una forma di colpa meno pesante rispetto alla negligenza grave. Inoltre, le nozioni utilizzate nei singoli ordinamenti giuridici per il concetto di temerarietà non sono sempre definite in maniera precisa. Nonostante le differenze tra le versioni linguistiche, l’art. 4 della direttiva 2005/35 deve essere interpretato in tutti gli Stati membri in modo univoco in base alla struttura generale e alla finalità della normativa (63).

98.      Poiché l’art. 4 della direttiva 2005/35, per lo meno nelle versioni linguistiche in inglese, francese e spagnolo – ossia nelle tre lingue comunitarie in cui la Marpol 73/78 è vincolante –, riproduce la terminologia della Marpol 73/78, occorre ritenere che il concetto di temerarietà debba corrispondere al criterio di responsabilità della Marpol 73/78 per i comportamenti non intenzionali.

99.      Questa lettura adempie altresì l’obbligo di interpretare le disposizioni del diritto comunitario derivato, per quanto possibile, in maniera conforme agli accordi internazionali della Comunità (64). Per quanto la direttiva, in altre versioni linguistiche, utilizzi altri concetti, essi devono comunque essere intesi in questo senso.

100. Nella Marpol 73/78 la responsabilità per scarichi non causati intenzionalmente è caratterizzata da due elementi distintivi: da una parte, la consapevolezza della possibilità del verificarsi di un’avaria e, dall’altra, la temerarietà. Il presupposto relativo alla suddetta consapevolezza chiarisce che – come accade in generale in caso di applicazione del criterio di responsabilità della temerarietà («recklessly») nei paesi angloamericani – l’autore dell’atto deve essere consapevole dei rischi del suo comportamento. Non basta che egli abbia potuto conoscere tali rischi (65).

101. Pertanto, la nozione di temerarietà di cui all’art. 4 della direttiva 2005/35 deve essere interpretata nel senso che il comportamento temerario presuppone la consapevolezza che potrebbe verificarsi un’avaria. Secondo tale interpretazione esso non è in contrasto con la Marpol 73/78 o con la Convenzione sul diritto del mare.

Sulla nozione di negligenza grave di cui all’art. 4 della direttiva 2005/35

102. Un elemento di contrasto con la Marpol 73/78 potrebbe comunque sussistere, posto che l’art. 4 della direttiva 2005/35 prevede la responsabilità per comportamento gravemente negligente.

103. Nei sistemi giuridici dei vari Stati membri la nozione di «negligenza grave» può avere significati molto diversi (66). Non ci è nota alcuna definizione di diritto comunitario. Tuttavia, la Corte ha sviluppato alcuni criteri per l’applicazione della nozione di «manifesta negligenza» ai sensi dell’art. 239, n. 1, secondo trattino, del codice doganale (67). Si tratta della complessità delle disposizioni il cui inadempimento fa sorgere l’obbligazione doganale, nonché dell’esperienza professionale e della diligenza dell’operatore economico (68).

104. L’esperienza professionale dell’operatore economico è un criterio soggettivo, mentre la diligenza riguarda il criterio che deve essere rispettato da tutti gli operatori economici (69). Pertanto, per negligenza grave si intende una violazione particolarmente pesante degli obblighi di diligenza. Per contro, la consapevolezza che possa verificarsi un danno non è necessariamente richiesta ai fini della negligenza grave. Inteso in tal modo, questo criterio di responsabilità sarebbe più rigoroso rispetto alla Marpol 73/78.

105. Occorre ritenere che questa interpretazione nel senso di un criterio più rigoroso corrisponda agli obiettivi del legislatore in occasione dell’adozione della direttiva 2005/35. Poiché egli ha introdotto, in aggiunta ai due criteri di responsabilità enunciati nella Marpol 73/78, la negligenza grave, sarebbe stato istituito un altro fondamento della responsabilità (70).

106. A favore di un inasprimento depone anche l’esenzione dalla responsabilità di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35, che fa rinvio alla Marpol 73/78. Tale eccezione, in pratica, risulta efficace solo quando per il gruppo di persone interessato vale un altro e più rigoroso criterio di responsabilità rispetto a quello della Marpol 73/78.

107. Tuttavia, le norme di diritto comunitario derivato devono essere interpretate, per quanto possibile, in maniera conforme agli accordi internazionali della Comunità. Tali accordi, infatti, ai sensi dell’art. 300, n. 7, CE, sono vincolanti per le istituzioni comunitarie. Il diritto secondario non li può violare, in quanto essi godono di prevalenza rispetto al diritto derivato (71).

108. Di conseguenza, occorre dare precedenza all’interpretazione conforme al diritto internazionale rispetto agli altri metodi interpretativi. Quest’obbligo è limitato solo da regole e principi sovraordinati agli obblighi di diritto internazionale della Comunità. Questi ultimi sono, ad esempio, i principi generali del diritto e, in particolare, il principio della certezza del diritto. Pertanto, un’interpretazione contra legem è esclusa (72).

109. La nozione di negligenza grave, in questo senso, può essere interpretata in modo restrittivo (73), così da non eccedere la Marpol 73/78. Come dimostrato da uno studio dei servizi di ricerca della Corte, il comportamento temerario con la consapevolezza che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta, come presuppone la Marpol 73/78, viene considerato in molti ordinamenti giuridici una forma di negligenza grave, che la direttiva 2005/35 fissa come criterio di responsabilità. In Germania si parlerebbe di «bewusste grobe Fahrlässigkeit» (negligenza grave con consapevolezza) (74). La violazione particolarmente grave dell’obbligo di diligenza, necessaria affinché sussista una negligenza grave, è pertanto limitata, ai sensi dell’allegato I, norma 11, lett. b), sub ii) e dell’allegato II, norma 6, lett. b), sub ii), della Marpol 73/78, al comportamento temerario nella consapevolezza dell’eventualità che l’avaria si verifichi.

110. Questa interpretazione non corrisponderebbe pienamente al tenore letterale della direttiva, in quanto la consapevolezza della possibilità che si verifichi l’avaria, di norma, non è necessaria per l’esistenza della negligenza grave. Tuttavia, essa rispetterebbe, in ogni caso, tale tenore. Al contempo, la portata della negligenza grave sarebbe individuabile in maniera molto più precisa, in quanto sarebbe attribuito un ruolo chiaramente minore alle circostanze estranee alla persona che ha causato il danno rispetto a quello attribuito allo stato soggettivo della consapevolezza.

111. Secondo questa interpretazione, richiesta dagli obblighi di diritto internazionale della Comunità, l’art. 4, in combinato disposto con l’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35, non eccede la Marpol 73/78, e pertanto la sua applicazione ad atti compiuti negli stretti, nella zona economica esclusiva e nell’alto mare non è in contrasto con la Convenzione sul diritto del mare.

112. Conseguentemente, dall’esame della prima questione pregiudiziale non è emerso nulla che possa mettere in discussione la validità delle disposizioni della direttiva 2005/35.

C –    Sulla seconda e terza questione: La responsabilità nel mare territoriale

113. La seconda e la terza questione riguardano il criterio di responsabilità della negligenza grave nel mare territoriale e, quindi, devono essere trattate congiuntamente.

114. Esse si basano sul fatto che, ai sensi degli artt. 4 e 5 della direttiva 2005/35, nel mare territoriale tutte le persone, ossia anche il proprietario, il comandante e l’equipaggio, sono sottoposte al criterio di responsabilità della negligenza grave. L’eccezione di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/35 vale infatti solo per le zone elencate nell’art. 3, n. 1, lett. c), d) ed e), vale a dire gli stretti, la zona economica esclusiva e l’alto mare, ma non per il mare territoriale, menzionato alla lett. b).

115. Le questioni sarebbero risolte se la nozione di negligenza grave per atti effettuati nel mare territoriale avesse lo stesso contenuto di quella per atti compiuti negli stretti, nella zona economica esclusiva e nell’alto mare. In tal caso, uno scarico effettuato per grave negligenza, in base alle considerazioni svolte fino ad ora, presupporrebbe la temerarietà nella consapevolezza della possibilità che si verifichi un’avaria. Questa interpretazione garantirebbe un’interpretazione uniforme della nozione di grave negligenza nell’ambito della direttiva 2005/35 ed escluderebbe, al contempo, qualsiasi conflitto con la Marpol 73/78.

116. Tuttavia, un’interpretazione restrittiva della nozione di negligenza grave al di fuori del mare territoriale risulta unicamente dallo sforzo di evitare una violazione degli obblighi di diritto internazionale della Comunità. Il tenore letterale, il contesto generale e gli indizi derivanti dal procedimento normativo depongono invece a favore di un’interpretazione più ampia del concetto di negligenza grave (75), consistente in una violazione grave degli obblighi di diligenza, tuttavia senza la consapevolezza della possibilità che si verifichi un’avaria.

117. Di conseguenza, l’applicazione di questa interpretazione restrittiva della nozione di grave negligenza al mare territoriale può essere giustificata solo se richiesta dagli obblighi di diritto internazionale della Comunità.

118. L’art. 2 della Convenzione sul diritto del mare stabilisce che la sovranità dello Stato costiero si estende al mare territoriale (n. 1) e deve essere esercitata secondo la Convenzione e le altre norme del diritto internazionale (n. 3). Ai sensi dell’art. 211, n. 4, gli Stati costieri, nell’esercizio della loro sovranità nel mare territoriale, possono adottare leggi e regolamenti per prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento marino da parte di navi straniere. Ciò vale espressamente anche per le navi che esercitano il diritto al passaggio inoffensivo. Tali leggi e regolamenti non debbono ostacolare il passaggio inoffensivo delle navi straniere, ai sensi della parte II, sezione 3, della Convenzione. A differenza di quanto disposto per le zone fuori del mare territoriale, manca qualsiasi rinvio a norme internazionali generalmente accettate.

119. I ricorrenti, Malta, la Grecia e Cipro ritengono che la responsabilità per negligenza grave violi il diritto al passaggio inoffensivo. Esse fanno riferimento, in particolare, all’art. 19, n. 2, lett. h), della Convenzione sul diritto del mare. Ai suoi sensi, il passaggio non è più inoffensivo quando la nave causa un inquinamento intenzionale e grave contrario alla Convenzione. Per questo, a loro avviso, la responsabilità per negligenza grave rimane esclusa.

120. Tuttavia, questo argomento non tiene conto del fatto che sono ammissibili anche discipline sulla tutela dell’ambiente in caso di passaggio inoffensivo. Come affermano, ad esempio, la Danimarca e l’Estonia, l’art. 21, n. 1, lett. f), della Convenzione sul diritto del mare chiarisce espressamente che lo Stato costiero può emanare leggi e regolamenti, conformemente alle disposizioni della Convenzione e ad altre norme del diritto internazionale, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale in merito alla preservazione dell’ambiente dello Stato costiero e alla prevenzione, riduzione e controllo del suo inquinamento. Ai sensi dell’art. 21, n. 4, le navi straniere, quando esercitano il diritto di passaggio, devono attenersi a tali leggi. Anche in questo caso, in linea di massima, non è previsto alcun vincolo alle norme internazionali generalmente accettate. Tale vincolo vale solo, a norma dell’art. 21, n. 2, per la costruzione, l’armamento o l’allestimento di navi straniere.

121. Nella fattispecie non è rilevante dove si situino i confini di tale competenza normativa dello Stato costiero. È possibile che essa non contempli le disposizioni in materia ambientale quando queste ultime impediscano completamente il passaggio. Le limitazioni della sovranità dello Stato costiero potrebbero anche riguardare l’imposizione di sanzioni nei confronti di navi in mare. Tuttavia, l’art. 4 della direttiva 2005/35 non si spinge così lontano; in particolare, non si vieta il passaggio, né vengono adottate specifiche misure di attuazione nei confronti delle navi di passaggio. Gli Stati membri devono piuttosto vietare determinati atti che non sono necessari per il passaggio. In tali limiti, il criterio di diligenza della Marpol 73/78, relativamente leggero, viene appena inasprito. Tale normativa può essere possibile con riferimento alla prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento ambientale ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. f), della Convenzione sul diritto del mare.

122. Diversamente da quanto sostenuto da Cipro, neppure il rinvio alle altre norme del diritto internazionale di cui agli artt  2, n. 3, e 21, n. 1, lett. f), della Convenzione sul diritto del mare ha la conseguenza di vincolare la Comunità, nel mare territoriale, alla Marpol 73/78. Posto che la Comunità non è parte contraente di questo accordo e che la Convenzione sul diritto del mare, per quanto riguarda il mare territoriale, non rinvia alla Marpol 73/78, esso non contiene, nei confronti della Comunità, alcuna altra norma di diritto internazionale (76).

123. Quindi, l’Estonia, la Danimarca, la Spagna, la Francia, la Svezia, il Regno Unito, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione affermano giustamente che la Convenzione sul diritto del mare, diversamente da ciò che accade per quanto riguarda le zone del mare considerate per rispondere alla prima domanda, non limita la competenza normativa in materia di tutela dell’ambiente all’interno del mare territoriale all’attuazione di norme internazionali generalmente accettate e in particolare all’attuazione della Marpol 73/78. A tale conclusione si giunge già per il fatto che il mare territoriale è parte del territorio dello Stato costiero e quest’ultimo, in linea di massima, non necessita di un conferimento della potestà normativa da parte della Convenzione sul diritto del mare.

124. I ricorrenti, Malta, la Grecia e Cipro affermano inoltre che la Marpol 73/78 vieta agli Stati contraenti dell’Accordo di adottare, anche nel mare territoriale, disposizioni più severe. La Marpol 73/78 sarebbe, a loro avviso, un accordo definitivo per quanto riguarda il perseguimento degli illeciti legati all’inquinamento ambientale dovuto agli scarichi provenienti da navi. Queste parti ritengono quindi che la Marpol 73/78 consenta gli scarichi che non sono vietati dall’Accordo.

125. Tuttavia questo argomento, secondo la tesi sostenuta in questa sede (77), non può mettere in discussione la validità della direttiva 2005/35 per il solo fatto che, secondo essa, la Marpol 73/78, senza un rinvio contenuto nella Convenzione sul diritto del mare, non vincola la Comunità. Solo in subordine, per il caso in cui la Corte, ispirandosi ad esempio alla sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, dovesse giungere ad una conclusione diversa, verificherò se la Marpol 73/78 richieda anche per gli atti compiuti fuori del mare territoriale un’interpretazione restrittiva come accade per il mare territoriale.

126. Dal testo della Marpol 73/78 non si evince che essa intend costituire una disciplina esaustiva degli scarichi di navi vietati anche per quanto concerne il mare territoriale. La Marpol 73/78 richiede che determinati scarichi siano vietati, controllati e perseguiti. Le disposizioni corrispondenti si trovano negli artt. 1, 4 e 6 dell’Accordo, nonché nella norma 9 dell’allegato I e nella norma 5 dell’allegato II. Come esposto nella domanda di pronuncia pregiudiziale, ma anche dai ricorrenti, da Malta e da Cipro, ai sensi dell’art. 14, n. 1, per gli Stati membri sono vincolanti, nella loro interezza, gli allegati I e II.

127. Queste disposizioni definiscono uno standard minimo obbligatorio per gli Stati aderenti alla Marpol 73/78 per quanto riguarda le disposizioni di tutela in materia di scarico di sostanze inquinanti in mare da parte delle navi. Come dimostrato sopra, tale standard minimo, in forza del combinato disposto con la Convenzione sul diritto del mare, diviene, nella zona economica esclusiva, negli stretti e nell’alto mare, l’unico standard di tutela ammissibile.

128. Tra le citate disposizioni della Marpol 73/78 ne esiste tuttavia solo una, ossia il divieto di scarico contenuto nella norma 9 dell’allegato I, che potrebbe essere intesa come espressa autorizzazione di determinati scarichi. Tale norma dispone infatti che viene vietato ogni scarico «tranne nel caso in cui siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni». Le dette condizioni riguardano lo scarico di limitate quantità di idrocarburi durante la navigazione, non vietato neppure dalla direttiva 2005/35, in quanto l’art. 5, n. 1, recepisce integralmente tale eccezione. Pertanto, in questa fattispecie non occorre decidere se la Marpol 73/78 consenta effettivamente questi scarichi.

129. Il criterio di responsabilità di cui alla norma 11, lett. b), sub ii), dell’allegato I della Marpol 73/78 svolge invece, dal punto di vista della tecnica normativa, una funzione del tutto diversa da quella dell’eccezione della norma 9. Quando il proprietario o il comandante non ha agito con l’intenzione di causare il danno, né in modo negligente e con la consapevolezza del fatto che l’avaria sarebbe probabilmente avvenuta, la norma 9 non è infatti applicabile. Lo stesso vale per quanto riguarda il rapporto tra la norma S dell’allegato II e la norma 6, lett. b), sub ii). Pertanto, visto quanto precede, la Marpol 73/78 non contiene alcuna disciplina degli scarichi causati da avaria. L’assenza di una disciplina, di norma, non può essere considerata un’autorizzazione.

130. Quindi, pur non emergendo un’autorizzazione, nel testo della Marpol 73/78 sono tuttavia presenti elementi secondo cui, in presenza di determinate circostanze, sarebbero ammissibili discipline più severe. In particolare, l’art. 9, n. 2, stabilisce espressamente che la Marpol 73/78 non pregiudica la giurisdizione (jurisdiction) dello Stato costiero, così come stabilita nell’ambito della Convenzione sul diritto del mare. Tuttavia, come già esposto, la Convenzione sul diritto del mare autorizza, nel mare territoriale, disposizioni di tutela più severe.

131. Inoltre, il secondo ‘considerando’ del preambolo della Marpol 73/78 afferma, tra l’altro, che gli scarichi per negligenza o accidentali costituiscono una grave forma di inquinamento. Sarebbe sorprendente che la Marpol 73/78 esentasse in ogni caso queste forme di scarico.

132. A ciò non osta la validità universale ai sensi del quinto ‘considerando’ del preambolo, sottolineata dai ricorrenti. Essa fa riferimento solamente alle sostanze considerate, ossia al completamento delle normative in materia di inquinamento causato da idrocarburi da parte di normative sullo scarico di sostanze chimiche. Tuttavia, da tale paragrafo non emerge nulla che consenta di capire se i criteri di responsabilità debbano valere in maniera esaustiva ed universale.

133. Sostenere, come fa la Grecia, che disposizioni di tutela più severe sono possibili solo quando la Marpol 73/78 le prevede espressamente sarebbe eccessivo. Anche se, come affermano la Grecia ed i ricorrenti, gli Stati contraenti non sono riusciti ad accordarsi su siffatta disciplina, più severa, ciò non significa affatto che essi, con la Marpol 73/78, abbiano concordato uno standard di tutela esaustivo per tutte le zone del mare.

134. È vero che, a suo tempo, stando a quanto affermano i ricorrenti, era stata respinta una proposta del Canada che andava nel senso di inserire nella Marpol 73/78 un’autorizzazione ad adottare norme più severe, tuttavia la Commissione sottolinea giustamente che già dal materiale relativo alla genesi normativa della Marpol 73/78 presentato dai ricorrenti emerge che la questione relativa a norme di tutela più rigorose, secondo numerosi partecipanti ai negoziati, doveva essere affrontata dalla Convenzione sul diritto del mare (78).

135. Quando si sono discusse norme più severe, nel corso dei negoziati agli Stati interessava sostanzialmente garantire che i requisiti per le navi stabiliti nella Marpol 73/78 non fossero inaspriti unilateralmente. Ora ciò è garantito, quanto al mare territoriale, da un rinvio operato dall’art. 21, n. 2, della Convenzione sul diritto del mare alle norme internazionali sulle navi, ossia, in particolare alla Marpol 73/78 (79). Per quanto riguarda i criteri di responsabilità, tuttavia, siffatto rinvio è assente.

136. Pertanto, anche la genesi normativa della Marpol 73/78 depone nel senso che quest’ultima non ha istituito un sistema esaustivo. Occorre piuttosto ritenere che le competenze dello Stato costiero discendono dalla Convenzione sul diritto del mare, che, per quanto riguarda il mare territoriale, non prevede alcun vincolo alla Marpol 73/78.

137. Di conseguenza, né la Convenzione sul diritto del mare né la Marpol 73/78 richiedono, nell’ambito del mare territoriale, un’interpretazione restrittiva della nozione di negligenza grave in conformità con lo standard di responsabilità ai sensi della norma 11, lett. b), sub ii), dell’allegato I e della norma 6, lett. b), sub ii), dell’allegato II della Marpol 73/78.

138. In conclusione, occorre constatare che dall’esame della seconda e della terza questione pregiudiziale non risulta alcun elemento che metta in discussione la validità delle disposizioni della direttiva 2005/35.

D –    Sulla quarta questione: Il principio della certezza del diritto

139. Con la quarta questione, il giudice del rinvio vuole sapere se l’utilizzo della nozione di negligenza grave di cui all’art. 4 della direttiva 2005/35 violi il principio della certezza del diritto. Egli paventa in particolare il rischio che gli Stati membri non recepiscano né applichino uniformemente tale nozione. A suo avviso sono necessari ulteriori elementi chiarificatori per guidare la prassi degli Stati membri.

140. Nessuna delle parti sembra contestare la nozione di negligenza grave quando essa viene intesa – come in questo caso per l’alto mare, gli stretti e la zona economica esclusiva – in conformità con la Marpol 73/78 come temerarietà nella consapevolezza che sarebbe probabilmente avvenuta un’avaria. Pertanto, anche il giudice del rinvio non dovrebbe sollevare obiezioni, in quanto il significato della negligenza grave viene chiaramente precisato mediante questa interpretazione.

141. Questa posizione è degna di nota, dato che anche la terminologia della Marpol 73/78 non garantisce un’applicazione uniforme all’interno della Comunità. Da un’analisi effettuata dai servizi di ricerca della Corte risulta infatti che il concetto di temerarietà non è noto in tutti gli ordinamenti giuridici della Comunità. A volte esso è stato recepito come negligenza grave. La trasposizione tedesca della Marpol 73/78 si avvale dello standard della negligenza semplice, sebbene nel diritto tedesco il criterio della temerarietà sia noto. La direttiva 2005/35, a fronte di tale stato disomogeneo, contribuisce, conformemente al suo terzo ‘considerando’, ad un’applicazione uniforme della Marpol 73/78 nella Comunità.

142. In questa fattispecie l’unica questione è quella se la nozione di negligenza grave, con riferimento ad atti compiuti nel mare territoriale, dove la sua interpretazione non è limitata al criterio di responsabilità della Marpol 73/78, sia compatibile con il principio della certezza del diritto.

143. Il principio della certezza del diritto esige, segnatamente, che la normativa sia chiara e precisa, affinché i destinatari possano conoscere senza ambiguità i propri diritti ed obblighi e regolarsi di conseguenza (80). Esso si concretizza, per quanto riguarda i reati e le sanzioni, tramite il principio di legittimità (nullum crimen, nulla poena sine lege), sancito, innanzi tutto, all’art. 7, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) (81). Tale principio implica che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Questa condizione è soddisfatta quando il soggetto di diritto può conoscere, in base al testo della disposizione rilevante e, nel caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici, gli atti e le omissioni che chiamano in causa la sua responsabilità penale (82).

144. La direttiva 2005/35, tuttavia, non deve soddisfare tale criterio, dato che essa, in quanto direttiva, non può contenere alcuna norma penale direttamente efficace  (83). Tali norme devono piuttosto essere adottate dagli Stati membri. Dato che le disposizioni della direttiva non sono sufficientemente precise da soddisfare i requisiti del principio di legittimità, spetta al legislatore nazionale, nel contesto del recepimento, individuare una soluzione, nel rispetto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico nazionale (84). In questo modo non viene messa in discussione la validità della direttiva, bensì la sua efficacia ai fini dell’armonizzazione.

145. Tuttavia, anche se si volesse applicare il principio di legittimità a disposizioni della direttiva non direttamente applicabili, l’art. 4 della direttiva 2005/35 soddisfarebbe i suoi requisiti. Esso richiede di determinare ed applicare nel mare territoriale il criterio di responsabilità della negligenza grave. È pacifico che almeno la nozione di negligenza è nota nei sistemi giuridici e può anche fondare, in varie forme, la punibilità. Risulta decisiva la violazione degli obblighi di diligenza, lamentata anche dai ricorrenti. Come ha concluso la Corte, sulla scorta del principio di manifesta negligenza, gli obblighi di diligenza devono essere doppiamente motivati: una prima volta sulla base di un criterio oggettivo che vale per le persone del gruppo interessato, una seconda volta in base a quanto ci si può attendere soggettivamente da chi compie l’atto, in particolare con riferimento alla sua esperienza (85).

146. Riguardo al traffico marittimo, in particolare al trasporto di sostanze pericolose, l’assunzione di siffatti obblighi di diligenza deve essere effettuata con grande cautela. In linea di principio, la società mette in conto i rischi connessi alle attività legali delle navi. Quindi, se gli obblighi di diligenza non sono stabiliti espressamente in specifici regolamenti, essi devono essere riconosciuti in maniera il più possibile unanime negli ambiti professionali (lege artis), prima di poter diventare penalmente rilevanti. Tale discorso vale in particolar modo nell’ambito dell’art. 4 della direttiva 2005/35, posto che il criterio di responsabilità della negligenza grave ivi utilizzato presuppone una violazione degli obblighi di diligenza più grave rispetto a quella della semplice negligenza.

147. Pertanto, per individuare gli obblighi di diligenza da applicare non basta prendere in considerazione la direttiva. Ciò non è neppure necessario per soddisfare il requisito della prevedibilità. La portata di tale nozione dipende in larga parte dal contenuto del testo di cui si tratta, dal settore interessato nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non impedisce che l’interessato sia portato a ricorrere a un illuminato parere legale al fine di valutare, in misura ragionevole in base alle circostanze, le conseguenze che possono risultare da un atto determinato. Ciò vale in particolare per chi svolge attività lavorative come i professionisti del traffico marittimo, abituati a dover dar prova di grande prudenza nello svolgimento del loro lavoro. Così ci si può attendere da loro una cura particolare nel valutare i rischi che esso comporta (86).

148. È vero che pertanto occorre ritenere che, in ultima analisi, solo i giudici possano delimitare con precisione gli obblighi di diligenza, ciò è tuttavia compatibile con l’art. 7 della CEDU. Questa disposizione non può essere intesa nel senso di escludere il graduale chiarimento delle disposizioni in materia di responsabilità penale, incluso lo sviluppo del diritto penale tramite l’interpretazione giurisprudenziale di caso in caso, sempre che tale sviluppo sia sufficientemente prevedibile e compatibile con l’essenza della fattispecie criminosa (87). Non mi è noto alcun caso in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia contestato l’applicazione della nozione di negligenza o di negligenza grave nel diritto penale.

149. Del resto, dai marinai ci si può aspettare che non lascino che i loro comportamenti si spingano ai confini di quanto penalmente ammissibile, ma piuttosto che prestino una diligenza maggiore rispetto a quanto richiesto dal diritto penale. Già i rischi per la salute, la vita, la nave e il suo carico connessi alla navigazione marittima ed evidenziati in udienza richiedono un comportamento di questo genere. Inoltre, per lo meno nel caso in cui si siano verificati danni dovuti ad inquinamento da idrocarburi, sussistono gravi rischi di responsabilità civile, in larga misura oggettiva, in forza della Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi  (88).

150. Per quanto riguarda il timore del giudice del rinvio di un’applicazione e di una trasposizione non uniformi negli Stati membri, occorre innanzi tutto ricordare che questi ultimi, ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva 2005/35, sono liberi di adottare norme di tutela più severe, in conformità con il diritto internazionale. La direttiva, pertanto, non stabilisce uno standard unitario ed esaustivo, bensì solo requisiti minimi che, per loro natura, non devono essere necessariamente recepiti uniformemente negli Stati membri.

151. Inoltre, il procedimento in esame contribuisce a precisare la nozione di negligenza grave di cui all’art. 4 della direttiva 2005/35. Se la Corte vorrà seguire la tesi qui sostenuta, sarà chiaro, in particolare, che nel mare territoriale detta nozione può avere un significato diverso rispetto a quello che ha in altre zone del mare, dove essa dev’essere interpretata conformemente alla Marpol 73/78.

152. I giudici degli Stati membri, ai sensi dell’art. 234 CE, possono sottoporre alla Corte ulteriori dubbi. In presenza di determinate condizioni, i giudici di ultima istanza sono addirittura obbligati a farlo, ad esempio quando la giurisprudenza delle corti supreme degli Stati membri diverga (89).

153. Questa garanzia giudiziale di uniforme recepimento ed applicazione della direttiva 2005/35 viene completata dal compito della Commissione, di cui all’art. 211 del Trattato, di vigilare sull’applicazione del diritto derivato e, all’occorrenza, ex art. 226 CE, di avviare la procedura di infrazione del Trattato.

154. Infine, neppure l’argomento fatto valere dai ricorrenti e dalla Grecia e relativo al possibile abuso di una responsabilità per negligenza grave in caso di gravi incidenti rappresenta una violazione del principio della certezza del diritto o del principio di legalità del diritto penale. Un abuso non può mai essere escluso con assoluta certezza. In particolare, i recenti esempi avvenuti in Francia e Spagna, portati come prova, dimostrano che non è necessario avvalersi della direttiva 2005/35 per sottoporre i lavoratori del mare ad un procedimento penale che essi considerano esagerato.

155. Non è necessario esaminare l’allegazione dei ricorrenti secondo cui sussisterebbe una carenza di motivazione, dato che il giudice del rinvio ha già respinto questo dubbio (90). Poiché la direttiva 2005/35 è un atto destinato ad un’applicazione generale, la sua motivazione può limitarsi a indicare la situazione complessiva che ha condotto alla sua adozione e gli obiettivi generali che essa si prefigge (91). Perciò, anche sotto questo profilo non sembra ravvisabile una carenza di motivazione.

156. Pertanto, anche dall’esame della quarta questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento che metta in dubbio la validità delle disposizioni della direttiva 2005/35.

V –    Conclusione

157. Di conseguenza, propongo alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale come segue:

Dall’esame delle questioni pregiudiziali non è emerso alcun elemento che osti alla validità della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/35/CE, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 255, pag. 11.


3  – Terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Official Documents, vol. XVII, 1984, Doc. A/Conf.62/122, pagg. 157-231.


4  – Decisione del Consiglio 23 marzo 1998, 98/392/CE, concernente la conclusione, da parte della Comunità europea, della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 e dell'accordo del 28 luglio 1994 relativo all'attuazione della parte XI della convenzione (GU L 179, pag. 1).


5 – Recueil des traités des Nations unies/UN Treaty Series,vol. 1341, n. 22484.


6 – Indicazioni provenienti dal sito internet dell’IMO, http://www.imo.org/Conventions/mainframe.asp?topic_id=248, visitato il 2 maggio 2007. L’allegato VI non è stato ancora ratificato dall’Austria, dalla Repubblica Ceca, dall’Irlanda, dall’Ungheria, da Malta, dal Portogallo e dalla Slovacchia. Inoltre, Malta non ha ancora ratificato neppure l’allegato IV.


7 – L’allegato è stato completato dalla risoluzione MEPC.117(52) del 15 ottobre 2004, che vi ha anche apportato modifiche strutturali ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2007. Le norme discusse in questa sede, 9, 10 e 11, non sono state modificate nel loro contenuto, ma la loro numerazione è cambiata, e sono divenute le norme 15, 34 e 4. Per semplicità viene utilizzata la numerazione precedente.


8 –      Le versioni linguistiche vincolanti utilizzano i seguenti termini: inglese: recklessly (incautamente, avventatamente, temerariamente); francese: témérairement (temerariamente); spagnolo: imprudencia temeraria (imprudentemente, avventatamente) e russo: самонадеянно (con supponenza, con sufficienza, con sfrontatezza). Nella traduzione ufficiale tedesca della convenzione Marpol, allegata al Bundesgesetzblatt 1996, II, pag. 18, e anche nella riproduzione delle corrispondenti norme della Marpol nell’allegato alla direttiva, a mio avviso tale concetto è erroneamente tradotto con «fahrlässig». Mi sembra più esatta la traduzione «leichtfertig», come, ad esempio, nell’art. 25 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 per l’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale (Prima convenzione per l’unificazione del diritto in materia di trasporto aereo privato) (Reichsgesetzblatt 1933, II, pag. 1039) nella versione del Protocollo d’emendamento della convenzione per l’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale conclusa all’Aja il 28 settembre 1955 (Bundesgesetzblatt 1958, II, pag. 292), che ha lo stesso tenore, e nell’art. 4 della Convenzione internazionale sulla limitazione di responsabilità per i crediti marittimi, firmata a Londra il 19 novembre 1976 (Bundesgesetzblatt 1986, II, pag. 786). Si veda anche il codice commerciale tedesco, art. 435.


*[N.d.T: La versione in italiano delle norme 6, lett. b), sub ii), e 11, lett. b), sub ii), della Marpol 73/78 (v. allegato I della direttiva      2005/35) traduce il termine «fahrlässig» con «incautamente». Posto che in queste conclusioni l’avvocato generale opta per l’espressione tedesca «leichtfertig», nel prosieguo utilizzerò il termine italiano «temerariamente» (salvo nelle citazioni). Quest'ultimo termine, peraltro, viene utilizzato anche nell’art. 4 della direttiva 2005/35 e, anche in tale sede, corrisponde al tedesco «leichtfertig»].


9 – L’allegato è stato completato e modificato dalla risoluzione del 15 ottobre 2004, MEPC.118(52), in vigore dal 1° gennaio 2007. La norma 6, in discussione in questa causa, è ora norma 3 e rappresenta una deroga a tutti i requisiti per lo scarico di una delle sostanze elencate all’allegato II. Per questioni di semplicità utilizzerò la versione e la numerazione precedente.


10 –      V. nota 8.


11 – Sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑491/01, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tabacco (Racc. pag. I‑11453).


12 – Sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C-295/04 a C-298/04, Manfredi e a. (Racc. pag. I‑6619, punto 27).


13 – V., tra l’altro, sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 61), e 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA (Racc. pag. I‑403, punto 24).


14 – V. sentenze Bosman (punto 59) nonché IATA e ELFAA (punto 24), citate alla nota 13.


15 – Sentenza IATA e ELFAA (citata alla nota 13), punto 24.


16 – Citata alla nota 11.


17 – Sentenza 30 maggio 2006, causa C‑459/03, Commissione/Irlanda (MOX-Plant) (Racc. pag.  I‑4635, punto 83).


18 – V. sentenza 11 settembre 2007, causa C‑431/05, Merck Genéricos - Produtos Farmacêuticos (Racc. pag. I‑7001, punto 33).


19 – Sentenza Commissione/Irlanda (MOX-Plant) (citata alla nota 17), punto 108.


20 – Sentenza 14 luglio 1994, causa C‑379/92, Peralta (Racc. pag. I‑3453, punto 16).


21 – Sentenza 9 ottobre 2001, causa C‑377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑7079, punto 52).


22 – Sentenza 24 novembre 1992, causa C‑286/90 (Racc. pag. I‑6019).


23 – Sentenza Poulsen e Diva Navigation (citata alla nota 22), punti 9 e segg. Quanto al vincolo al diritto internazionale consuetudinario v. anche sentenza 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke (Racc. pag. I‑3655, punto 45).


24 – Sentenza Peralta (citata alla nota 20).


25 – Sentenza 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72–24/72, International Fruit Company e a. (Racc. pag. 1219, punti 10 e segg.).


26 – V. le conclusioni dall'avvocato generale Mazák presentate il 28 giugno 2007, causa C‑440/05, Commissione/Consiglio (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafo 65).


27 – V. sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio (AETR) (Racc. pag. 263, punti 17 e segg.) e parere 1/03 del 7 febbraio 2006 (Convenzione di Lugano, Racc. pag. I‑1145, punti 114 e segg.).


28 – Citata alla nota 20.


29 – Sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (citata alla nota 21), punto 52.


30 – V. il nono ‘considerando’ della direttiva 98/44.


31 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (GU L 213, pag. 13).


32 – Sentenza Commissione/Irlanda (citata alla nota 17), punto 82; v. anche sentenze IATA e ELFAA (citata alla nota 13), punto 36, nonché Merck (citata alla nota 18), punto 31.


33 – Sentenze 10 settembre 1996, causa C‑61/94, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑3989, punto 52); 1° aprile 2004, causa C‑286/02, Bellio F.lli (Racc. pag. I‑3465, punto 33), e IATA e ELFAA (citata alla nota 13, punto 35).


34 – Sentenze 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc. pag. 3719, punto 14; Racke (citata alla nota 23, punto 31), nonché IATA e ELFAA (citata alla nota 13), punto 39.


35 – Sentenza Poulsen e Diva Navigation (citata alla nota 22), punti 13 e 15.


36 – Ibidem, punto 25.


37 – Sentenza 28 aprile 2005, causa C‑410/03, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3507, punti 53 e segg.).


38 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), nella versione modificata dalla direttiva del Consiglio 3 dicembre 2002, 2002/93/CE (GU L 331, pag. 27).


39 – Sentenza 29 marzo 2007, causa C‑111/05, Aktiebolaget NN (Racc. pag. I‑2697, punti 57 e segg.).


40 – Sentenza 26 ottobre 1982, causa 104/81, Kupferberg (Racc. pag.  3641, punto 18).


41 – V. sentenza Kupferberg (citata alla nota 40), punto 20, sul particolare contesto istituzionale per l’attuazione di un accordo.


42 – Sentenza Aktiebolaget NN (citata alla nota 39), punto 59.


43 – Tale competenza, tuttavia, nella prassi degli Stati non è stata ancora esercitata, o lo è stata raramente, ed è controverso se essa sia riconosciuta come diritto internazionale consuetudinario. A favore sono Patricia Birnie e Alan Boyle, International Law & the Environment, 2° edizione, Oxford 2002, pag. 376; contro Farkhanda Zia-Mansoor, «International Regime and the EU Developments for Preventing and Controlling Vessel-Source Oil Pollution», European Environmental Law Review 2005, pag. 165 (170), e Alan Khee-Jin Tan, Vessel-Source Marine Pollution, Cambridge, 2006, pag. 221.


44 – V. sentenza Aktiebolaget NN (citata alla nota 39), punto 59.


45 – V., ad esempio, sentenze 14 dicembre 2004, causa C‑210/03, Swedish Match (Racc. pag. I‑11893, punti 27 e segg.), e 6 dicembre 2005, cause riunite C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, ABNA e a. (Racc. pag. I‑10423, punti 52 e segg.).


46 – Citata alla nota 22, punto 25.


47 – Ovviamente, le normative possono essere giustificate anche da altri standard internazionali, tuttavia, nella causa in esame, è rilevante solo la Marpol 73/78.


48 – Tale disposizione, nella versione linguistica tedesca, è incompleta e di difficile comprensione, in quanto manca la prima riga della definizione.


49 – Nella versione tedesca della direttiva esso è indicato, erroneamente, come quattordicesimo ‘considerando’, dato che l'autentico quattordicesimo ‘considerando’, sulla comitologia, nelle versione tedesca manca.


50 – Sentenze International Fruit Company (citata alla nota 25), punti 21 e segg.; 16 marzo 1983, causa 266/81, SIOT (Racc. pag. 731, punto 28); 5 ottobre 1994, causa C‑280/93, Germania/Consiglio (Racc. pag. I‑4973, punto 109); 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio (Racc. pag. I‑8395, punto 47); 12 marzo 2002, cause riunite C‑27/00 e C‑122/00, Omega Air e a. (Racc. pag. I‑2569, punto 93); 9 gennaio 2003, causa C‑76/00 P, Petrotub e Republica/Consiglio (Racc. pag. I‑79, punto 53); 30 settembre 2003, causa C‑93/02 P, Biret International/Consiglio (Racc. pag. I‑10497, punto 52); 1° marzo 2005, causa C‑377/02, Van Parys (Racc. pag. I‑1465, punto 39), e 27 settembre 2007, causa C‑351/04, Ikea Wholesale (Racc. pag. I‑7723, punto 29).


51 – Sentenze 22 giugno 1989, causa 70/87, Fediol/Commissione (Racc. pag. 1781, punti 19 e segg.); 7 maggio 1991, causa C‑69/89, Nakajima/Consiglio (Racc. pag. I‑2069, punto 31), nonché sentenze citate alla nota 50, Germania/Consiglio (punto 111), Portogallo/Consiglio (punto 49), Biret International (punto 53), e van Parys (punto 40).


52 – Sentenza International Fruit Company (citata alla nota 25), punti 10­13 e segg.. Oggi il carattere vincolante risulta dall’art. 300, n. 7, CE, in quanto la Comunità ha aderito all’accordo OMC.


53 – Sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (citata alla nota 21), punti 61 e segg..


54 – Sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (citata alla nota 21, punti 51 e seg.).


55 – Sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (citata alla nota 21), punti 55 e segg.. V. art. 1, n. 2, della direttiva 98/44.


56 – Sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (citata alla nota 21), punti 51 e segg..


57 – Sentenza 4 luglio 2000, causa C‑84/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑5215, punto 58).


58 – Sentenza 5 novembre 2002, causa C‑466/98, Commissione/Regno Unito (open skies) (Racc. pag. I‑9427, punti 26 e segg.). Tuttavia, ciò vale quando le corrispondenti competenze della Comunità già esistevano al momento della conclusione dell'accordo.


59 – La versione tedesca si trova nel Bundesgesetzblatt 1975, II, pag. 305.


60 – Il protocollo è pubblicato in GU 2004, L 78, pag. 32. La versione completa della Convenzione può essere reperita, ad esempio, in http://www.iopcfunds.org/npdf/Conventions%20English.pdf


61 – V. sopra, paragrafi 60 e segg.


62 – Greco: αμέλεια;maltese: b’mod imprudenti; portoghese: com mera culpa.


63 – V. ad esempio sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder (Racc. pag. 419, punto 3); 23 novembre 2006, causa C‑300/05, ZVK (Racc. pag. I‑11169, punto 16), e 14 giugno 2007, causa C‑56/06, Euro Tex (Racc. pag. I‑4383, punto 27).


64 – Sentenze Commissione/Germania (citata alla nota 33), punto 52; 14 luglio 1998, causa C‑341/95, Bettati (Racc. pag. I‑4355, punto 20); Bellio F.lli (citata alla nota 33), punto 33,, e 7 dicembre 2006, causa C‑306/05, SGAE (Racc. pag. I‑11519, punto 35).


65 – Tuttavia, ciò non esclude che la conoscenza da parte dell'autore dell'atto possa dedursi da circostanze oggettive in base alle quali si possa concludere che egli era consapevole dei rischi.


66 – Conclusioni dall'avvocato generale Léger presentate l’11 ottobre 2005, causa C‑173/03, Traghetti del Mediterraneo (Racc. pag. I‑5177, paragrafo 100).


67 – Regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1).


68 – Sentenza 11 novembre 1999, causa C‑48/98, Söhl & Söhlke (Racc. pag. I‑7877, punto 56).


69 – V. l’applicazione nella sentenza 13 marzo 2003, causa C‑156/00, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. I‑2527, punto 99).


70 – Per quanto riguarda il mare territoriale, ciò emerge dalla motivazione della Posizione comune (CE) del Consiglio 7 ottobre 2004, 3/2005, in vista dell'adozione della direttiva 2005/.../CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del....., relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni (GU L 2005, C 25E, pag. 29).


71 – Sentenze Commissione/Germania (citata alla nota 33), punto 52, e Bellio F.lli (citata alla nota 33), punto 33.


72 – V. sentenze 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino (Racc. pag. I‑5285, punti 44 e 47), in tema di interpretazione conforme ad una decisione quadro, e 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, punto 110), in tema di interpretazione conforme ad una direttiva.


73 – In tema di interpretazione restrittiva conforme ai diritti fondamentali, v. sentenza 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento/Consiglio (ricongiungimento familiare) (Racc. pag. I-5769, in particolare punti 97 e segg.).


74 – Wolfram Gass, in: Ebenroth/Boujong/Joost, Handelsgesetzbuch, 1ª edizione 2001, art. 435, punto 5.


75 – V. sopra, paragrafi 103 e segg.


76 – V. sopra, paragrafi 37 e segg.


77 – V. sopra, paragrafi 71 e segg.


78 – In questo senso anche Tan (citato alla nota 43, pag. 184 e segg.).


79 – Anche una memoria presentata congiuntamente da diversi Stati membri in un procedimento dinanzi alla Supreme Court americana, e menzionata dai ricorrenti, ha avuto ad oggetto requisiti più rigorosi per le navi e il loro equipaggio, ma non un criterio di responsabilità più severo (allegato 16 alla memoria dei ricorrenti). Questo procedimento riguardava la normativa più severa dello Stato federale Washington (v. la Petition for a Writ of Certiorari degli Stati Uniti nel procedimento n. 98-1701, United States of America v. Gary Locke e a., http://www.usdoj.gov/osg/briefs/1998/2pet/7pet/98-1701.pet.aa.pdf, pag. 9). Il fatto che in questa memoria venga sottolineata la necessità di norme uniformi per navi ed equipaggi non è però in contrasto con il fatto di essere favorevoli a criteri di responsabilità più severi.


80 – Sentenze 9 luglio 1981, causa 169/80, Gondrand Frères e Garancini (Racc. pag. 1931, punto 17); 13 febbraio 1996, causa C‑143/93, Van Es Douane Agenten (Racc. pag. I‑431, punto 27); 14 aprile 2005, causa C‑110/03, Belgio/Commissione (Racc. pag. I‑2801, punto 30), nonché IATA e ELFAA (citata alla nota 13), punto 67.


81 – V. anche sentenza 3 maggio 2007, causa C-303/05, Advocaten voor de Wereld (Racc. pag. I‑3633, punto 49), con rinvio alle sentenze 12 dicembre 1996, cause riunite C‑74/95 e C‑129/95, X (Racc. pag. I‑6609, punto 25), e 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione (Racc. pag. I‑5425, punti 215-219).


82 – Sentenza Advocaten voor de Wereld (citata alla nota 81), punto 50, con riferimento alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Coëme e a. c. Belgio, 22 giugno 2000 (Recueil des arrêts et décisions, 2000‑VII, pag. 1, § 145). V. anche sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo Achour c. Francia, 29 marzo 2006 (§ 41), e Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996 (Recueil des arrêts et décisions 1996-V, pag. 1627, § 29).


83 – V., in tema, sentenza X (citata alla nota 81), punti 24 e segg., con rinvio alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo 25 maggio 1993 (Kokkinakis c. Grecia, Serie A, n. 260-A, § 52), e 22 novembre 1995 (S. W. c. Regno Unito e C. R. c. Regno Unito, Serie A, nn. 335-B, § 35, e 335-C, § 33). V. anche sentenze della Corte 10 luglio 1984, causa 63/83, Kirk (Racc. pag. 2689, punto 22); 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 13); 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro (Racc. pag. I-4705, punto 42); 7 gennaio 2004, causa C-60/02, procedimento penale a carico di X (Racc. pag. I-651, punti 61 e segg.), e Dansk Rørindustri e a./Commissione (citata alla nota 81), punto 221. V. in proposito anche, in particolare, le mie conclusioni 10 giugno 2004, causa C-457/02, Niselli (Racc. pag. I-10853, paragrafi 53 e segg.), e 14 ottobre 2004, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi (Racc. pag. I-3565, paragrafi 140 e segg.).


84 – Sarebbe quindi auspicabile utilizzare direttamente la formulazione della Marpol 73/78 al posto dell'ambigua versione contenuta nell’art. 4 della direttiva 2005/35 per la responsabilità fuori del mare territoriale.


85 – V. sopra, paragrafo 103.


86 – V. sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione (citata alla nota 81), punto 219, con rinvio alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Cantoni (citata alla nota 82, § 35).


87 – Sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo S. W (citata alla nota 83, § 36); C. R. (citata alla nota 83, § 34); 22 marzo 2001, Streletz, Keßler e Krenz c. Germania (Recueil des arrêts et décisions, 2001-II, § 50), nonché 30 marzo 2004, Radio France e a. c. Francia (Recueil des arrêts et décisions, 2004-II, § 20).


88 – V. sopra, paragrafo 91.


89 – Sentenza 15 settembre 2005, causa C‑495/03, Intermodal Transports (Racc. pag. I‑8151, punti 38 e segg. e giurisprudenza ivi citata).


90 – Sentenza 11 novembre 1997, causa C‑408/95, Eurotunnel e a. (Racc. pag. I‑6315, punti 33 e segg.).


91 – Sentenza IATA e ELFAA (citata alla nota 13), punto 67.