Language of document : ECLI:EU:C:2010:14

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

14 gennaio 2010 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 2003/41/CE – Attività e supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali – Omessa trasposizione parziale entro il termine impartito – Mancanza di enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel territorio nazionale – Competenza degli Stati membri ad organizzare il proprio sistema previdenziale nazionale»

Nella causa C‑343/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 23 luglio 2008,

Commissione europea, rappresentata dalle sig.re M. Šimerdová e N. Yerrell, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica ceca, rappresentata dal sig. M. Smolek, in qualità di agente,

convenuta,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. J. N. Cunha Rodrigues, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dalla sig.ra P. Lindh, dai sigg. A. Rosas, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 settembre 2009,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 ottobre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il proprio ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo integralmente trasposto nel proprio ordinamento giuridico la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (GU L 235, pag. 10), e non avendo in particolare trasposto gli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, di tale direttiva, la Repubblica ceca è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della suddetta direttiva, e segnatamente del suo art. 22, n. 1.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

2        I ‘considerando’ primo, sesto, ottavo, nono, ventesimo, trentaseiesimo e trentasettesimo della direttiva 2003/41, adottata sulla base degli artt. 47, n. 2, CE, 55 CE e 95, n. 1, CE, sono così formulati:

«(1)      Un autentico mercato interno dei servizi finanziari è di fondamentale importanza per la crescita economica e per la creazione di posti di lavoro nella Comunità.

(…)

(6)      La presente direttiva rappresenta pertanto un primo passo nella direzione di un mercato interno degli schemi pensionistici aziendali e professionali organizzato su scala europea. Basando l’investimento dei capitali sul principio della “persona prudente” e permettendo agli enti di operare in ambito transfrontaliero, si incoraggia il riorientamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali contribuendo in tal modo al progresso economico e sociale.

(…)

(8)      La libera prestazione di servizi e la libertà di investimento, subordinata solo a requisiti prudenziali coordinati, dovrebbero essere assicurate agli enti che siano pienamente distinti da qualsiasi impresa promotrice e che operino secondo il principio di capitalizzazione al solo scopo di erogare prestazioni pensionistiche; ciò indipendentemente dal fatto che tali enti siano considerati come entità giuridiche.

(9)      In base al principio di sussidiarietà gli Stati membri dovrebbero conservare tutte le loro competenze per quanto concerne l’organizzazione dei loro sistemi pensionistici, nonché la definizione del ruolo di ciascuno dei tre “pilastri” del sistema previdenziale nei singoli Stati membri. Nell’ambito del secondo pilastro, essi dovrebbero inoltre conservare tutte le loro competenze per quanto riguarda il ruolo e le funzioni dei vari enti che offrono prestazioni pensionistiche aziendali o professionali, quali i fondi pensione per settore di attività, i fondi pensione aziendali e le imprese di assicurazione sulla vita. La presente direttiva non intende mettere in discussione tale prerogativa.

(…)

(20)      Gli enti pensionistici aziendali o professionali sono prestatori di servizi finanziari che si assumono una notevole responsabilità per quanto riguarda l’erogazione di prestazioni pensionistiche aziendali o professionali e di conseguenza dovrebbero soddisfare determinati requisiti prudenziali minimi per quanto concerne le loro attività e le condizioni per il funzionamento.

(…)

(36)      Fatto salvo il diritto nazionale della sicurezza sociale e del lavoro per quanto riguarda l’organizzazione dei sistemi pensionistici, compresa l’adesione obbligatoria e i risultati delle contrattazioni collettive, gli enti dovrebbero avere la possibilità di prestare i loro servizi in altri Stati membri. (…)

(37)      Il diritto di un ente di uno Stato membro di gestire uno schema pensionistico aziendale o professionale istituito in un altro Stato membro dovrebbe essere esercitato nel pieno rispetto del diritto della sicurezza sociale e del diritto del lavoro in vigore nello Stato membro ospitante nella misura in cui ciò sia pertinente alle pensioni aziendali e professionali, per esempio per quanto riguarda la definizione e l’erogazione di prestazioni pensionistiche nonché le condizioni per il trasferimento dei diritti pensionistici».

3        Secondo l’art. 1° della direttiva 2003/41, questa è diretta a disciplinare l’accesso alle attività svolte dagli enti pensionistici aziendali o professionali, nonché l’esercizio di tali attività.

4        L’art. 2 di tale direttiva dispone quanto segue:

«1.      La presente direttiva si applica agli enti pensionistici aziendali e professionali. (…)

2.      La direttiva non si applica:

a)      agli enti che gestiscono regimi di sicurezza sociale disciplinati dal regolamento (CEE) [del Consiglio 14 giugno 1971,] n. 1408[, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2)] e dal regolamento (CEE) [del Consiglio 21 marzo 1972,] n. 574[, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (GU L 74, pag. 1)];

b)      agli enti che rientrano nel campo di applicazione dell[a prima] direttiv[a del Consiglio 14 giugno 1973,] 73/239/CEE[, recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di accesso e di esercizio dell’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita (GU L 228, pag. 3), della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985,] 85/611/CEE[, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (o.i.c.v.m.) (GU L 375, pag. 3), della direttiva del Consiglio 10 maggio 1993,] 93/22/CEE[, relativa ai servizi d’investimento nel settore dei valori mobiliari (GU L 141, pag. 27), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000,] 2000/12/CE[, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU L 126, pag. 1), e della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 novembre 2002,] 2002/83/CE[, relativa all’assicurazione sulla vita (GU L 354, pag. 1)];

c)      agli enti che agiscono sulla base del principio della ripartizione;

d)      agli enti in cui i dipendenti delle imprese promotrici non hanno legalmente diritto a prestazioni e in cui l’impresa promotrice può svincolare [gli attivi] in qualunque momento senza dover necessariamente far fronte ai propri obblighi di erogare prestazioni pensionistiche;

e)      alle società che utilizzano sistemi fondati sulla costituzione di riserve contabili per l’erogazione di prestazioni pensionistiche ai loro dipendenti».

5        Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2003/41, gli Stati membri hanno facoltà di applicare talune disposizioni della medesima alle compagnie di assicurazione disciplinate dalla direttiva 2002/83/CE per quanto riguarda le loro attività nel settore delle pensioni aziendali e professionali.

6        A norma dell’art. 5 della direttiva 2003/41, gli Stati membri possono parimenti decidere di non applicare quest’ultima, in tutto o in parte, agli enti pensionistici aventi sede nel loro territorio che gestiscono schemi pensionistici che contano congiuntamente meno di cento aderenti in totale e, eventualmente, agli enti che gestiscono schemi pensionistici aziendali e professionali stabiliti per legge e garantiti da una pubblica autorità.

7        L’art. 6 di tale direttiva così dispone:

«(...), si intende per:

a)      “ente pensionistico aziendale o professionale” o “ente pensionistico”: un ente, a prescindere dalla sua forma giuridica, operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un’attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato:

–        individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore, o i loro rispettivi rappresentanti o

–        con lavoratori autonomi, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante,

e che esercita le attività direttamente connesse;

b)      “schema pensionistico”: un contratto, un accordo, un negozio fiduciario o un insieme di disposizioni che stabilisce le prestazioni pensionistiche erogabili e le condizioni per la loro erogazione;

c)      “impresa promotrice”: un’impresa o un altro organismo, a prescindere dal fatto che comprenda o sia composto da una o più persone giuridiche o fisiche che agiscono in qualità di datore di lavoro o in qualità di lavoratore autonomo oppure una loro combinazione, e che versa contributi ad un ente pensionistico aziendale o professionale;

(…)

i)      “Stato membro di origine”: lo Stato membro nel quale l’ente ha la sua sede legale e i suoi principali uffici amministrativi o, se non ha una sede legale, ha i suoi principali uffici amministrativi;

j)      “Stato membro ospitante”: lo Stato membro il cui diritto del lavoro e della previdenza e sicurezza sociale pertinente in materia di schemi pensionistici aziendali o professionali si applica al rapporto tra l’impresa promotrice e gli aderenti».

8        L’art. 8 della suddetta direttiva prevede che ciascuno Stato membro deve assicurare che vi sia una separazione giuridica tra l’impresa promotrice e l’ente pensionistico aziendale o professionale affinché, in caso di fallimento dell’impresa promotrice, gli attivi dell’ente pensionistico siano salvaguardati nell’interesse degli aderenti e dei beneficiari.

9        L’art. 9, n. 1, della direttiva in questione afferma che gli Stati membri devono provvedere affinché tutti gli enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel loro territorio rispettino determinate condizioni per l’esercizio dell’attività e, in particolare, affinché essi siano registrati in un registro nazionale dalla competente autorità di vigilanza o siano autorizzati, siano gestiti da persone in possesso dei requisiti di onorabilità e dotate di qualifiche ed esperienza professionali adeguate o che si avvalgono di consulenti che ne siano dotati, e siano sottoposti a regole adeguate. L’art. 9, n. 5, stabilisce che, per esercitare attività transfrontaliere, gli enti pensionistici aziendali o professionali devono ottenere l’autorizzazione preventiva delle autorità competenti dello Stato membro di origine.

10      Secondo l’art. 10 della direttiva 2003/41, ciascuno Stato membro stabilisce che tutti gli enti pensionistici aventi sede nel suo territorio redigano conti e relazioni annuali che tengano conto di ogni schema pensionistico gestito dall’ente.

11      Ai sensi dell’art. 12 di tale direttiva, ogni Stato membro provvede affinché tutti gli enti con sede nel suo territorio predispongano un documento scritto sui principi della propria politica d’investimento.

12      In forza dell’art. 13 della suddetta direttiva, ciascuno Stato membro provvede affinché le autorità competenti dispongano dei poteri e degli strumenti necessari a controllare le attività degli enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel suo territorio.

13      Gli artt. 15‑18 della medesima direttiva stabiliscono che gli Stati membri di origine debbono provvedere affinché gli enti pensionistici aziendali o professionali, rispettivamente, costituiscano riserve tecniche sufficienti in relazione ai vari schemi pensionistici, dispongano di attivi sufficienti a copertura di tali riserve nonché di attivi supplementari che servano da margine di sicurezza, e investano i propri attivi conformemente al principio della «persona prudente».

14      L’art. 20, nn. 1‑4, della direttiva 2003/41 dispone quanto segue:

«1.      Fatta salva la legislazione nazionale in materia di sicurezza sociale e di lavoro per quanto riguarda l’organizzazione dei sistemi pensionistici, compresa l’adesione obbligatoria e i risultati delle contrattazioni collettive, gli Stati membri consentono alle imprese aventi sede nel loro territorio di promuovere enti pensionistici aziendali o professionali autorizzati in altri Stati membri. Essi consentono inoltre a detti enti pensionistici autorizzati nel loro territorio di accettare come promotori imprese aventi sede nel territorio di altri Stati membri.

2.      Un ente pensionistico che desideri accettare come promotore un’impresa promotrice avente sede nel territorio di un altro Stato membro è soggetto a un’autorizzazione preventiva da parte dell’autorità competente del proprio Stato membro di cui all’articolo 9, paragrafo 5. Esso dà notificazione della propria intenzione di accettare come promotore un’impresa con sede nel territorio di un altro Stato membro alle autorità competenti dello Stato membro di origine in cui è autorizzato.

3.      Gli Stati membri esigono che l’ente pensionistico con sede nel loro territorio, che proponga di avere come promotore un’impresa avente sede nel territorio di un altro Stato membro, alleghi le informazioni seguenti alla notificazione di cui al paragrafo 2:

a)      il nome dello Stato membro o degli Stati membri ospitanti;

b)      il nome dell’impresa promotrice;

c)      le caratteristiche principali dello schema pensionistico che deve essere gestito per l’impresa promotrice.

4.      Se le autorità competenti dello Stato membro d’origine ricevono la notifica di cui al paragrafo 2, sempreché non abbiano motivo di dubitare che la struttura amministrativa o la situazione finanziaria dell’ente pensionistico, ovvero l’onorabilità e la professionalità o l’esperienza delle persone che gestiscono l’ente pensionistico siano compatibili con le operazioni proposte nello Stato membro ospitante, comunicano alle autorità competenti dello Stato membro ospitante le informazioni di cui al paragrafo 3 entro tre mesi dal loro ricevimento e ne informano debitamente l’ente pensionistico».

15      L’art. 22, n. 1, primo comma, di tale direttiva così dispone:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 23 settembre 2005. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

16      In virtù dei nn. 3 e 4 di detto articolo, gli Stati membri possono, a determinate condizioni, posporre fino al 23 settembre 2010 l’applicazione di talune disposizioni previste dagli artt. 17 e 18 della suddetta direttiva agli enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel loro territorio.

 La normativa nazionale

17      La direttiva 2003/41 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico ceco con legge 24 maggio 2006, n. 340, relativa alle attività degli enti pensionistici aziendali o professionali degli Stati membri dell’Unione europea e recante modifica della legge n. 48/1997, relativa all’assicurazione malattia pubblica, recante modifica e integrazione di varie leggi correlate.

 Il procedimento precontenzioso

18      In data 11 luglio 2006, la Repubblica ceca ha informato la Commissione di avere trasposto nel proprio ordinamento giuridico interno la direttiva 2003/41, tramite la legge n. 340/2006.

19      Il 18 ottobre 2006 la Commissione, in applicazione dell’art. 226 CE, ha inviato alla Repubblica ceca una lettera di diffida in cui dichiarava che gli artt. 1‑5, 8, 9, 13 e 15‑21 della suddetta direttiva non erano stati trasposti, o lo erano stati solo in parte.

20      Nella propria risposta del 18 dicembre 2006, la Repubblica ceca ha in sostanza spiegato che, in considerazione del fatto che nel proprio territorio non ha sede alcuno degli enti pensionistici aziendali o professionali contemplati dalla direttiva 2003/41, la legge n. 340/2006 si è limitata a trasporre le disposizioni della direttiva dirette a consentire l’esercizio, da parte di enti pensionistici aziendali o professionali stabiliti in altri Stati membri, di attività transfrontaliere consistenti nell’erogazione di servizi destinati al territorio ceco e, in tal modo, a consentire alle imprese con sede in quest’ultimo territorio di contribuire agli schemi pensionistici proposti da tali enti. La Repubblica ceca rammentava in proposito che gli Stati membri, in forza dell’art. 137, n. 4, primo trattino, CE, possono scegliere liberamente come organizzare il proprio sistema nazionale di sicurezza sociale.

21      Non essendo soddisfatta da tale risposta, la Commissione, in data 23 marzo 2007, ha inviato alla Repubblica ceca un parere motivato, invitandola a adottare, entro il termine di due mesi dal ricevimento di detto parere, i provvedimenti necessari per trasporre integralmente la direttiva 2003/41 e, in particolare, i suoi artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, come stabilito dall’art. 22, n. 1, della stessa.

22      Con lettera del 24 luglio 2007, tale Stato membro ha risposto al parere motivato ribadendo che l’obbligo di trasporre la suddetta direttiva non può pregiudicare il diritto degli Stati membri di definire i principi fondamentali del proprio sistema nazionale di sicurezza sociale.

23      Non trovando soddisfacente questa risposta, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

 Sul ricorso

 Sulla ricevibilità

24      Con il presente ricorso, la Commissione chiede, come risulta dalle conclusioni ivi formulate, che si dichiari che la Repubblica ceca è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 2003/41, non avendo «in particolare» trasposto gli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della medesima.

25      A tale riguardo, occorre ricordare che la Corte può esaminare d’ufficio se ricorrano i presupposti contemplati dall’art. 226 CE perché sia proposto un ricorso per inadempimento (sentenze 31 marzo 1992, causa C‑362/90, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑2353, punto 8; 15 gennaio 2002, causa C‑439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑305, punto 8, e 4 maggio 2006, causa C‑98/04, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑4003, punto 16).

26      Orbene, dall’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte e dalla giurisprudenza ad esso relativa emerge che il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi e che tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso si basa devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (v. sentenze 26 aprile 2007, causa C‑195/04, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I‑3351, punto 22 e la giurisprudenza citata, e 21 febbraio 2008, causa C‑412/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑619, punto 103).

27      Nel caso di specie, deve rilevarsi che, nella parte in cui, utilizzando l’espressione «in particolare» nelle conclusioni del proprio ricorso, la Commissione intende comprendervi disposizioni della direttiva 2003/41 ulteriori rispetto a quelle che costituiscono espressamente oggetto del ricorso, quest’ultimo non soddisfa i suddetti requisiti, poiché in esso non sono precisati né gli estremi di dette ulteriori disposizioni né i motivi per cui la Repubblica ceca sarebbe inadempiente rispetto all’obbligo di trasposizione entro il termine impartito.

28      Conseguentemente, il presente ricorso è ricevibile solamente nella parte riguardante l’asserita omessa trasposizione, da parte della Repubblica ceca, degli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41.

 Nel merito

29      È pacifico che gli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41 non sono stati trasposti dalla Repubblica ceca nel termine prescritto dalla direttiva o entro la scadenza del termine impartito nel parere motivato. Tale Stato membro, che non invoca il beneficio della proroga parziale prevista dall’art. 22, nn. 3 e 4, della suddetta direttiva con riferimento a talune disposizioni degli artt. 17 e 18 della medesima, riconosce infatti che le disposizioni che formano espressamente oggetto del ricorso non sono state attuate nel suo ordinamento giuridico interno entro i termini sopraindicati. Orbene, nessuna disposizione della direttiva 2003/41 contempla la facoltà per gli Stati membri, o per alcuni di essi, di astenersi da una siffatta trasposizione.

30      La Repubblica ceca ritiene tuttavia di non essere tenuta a trasporre le disposizioni della direttiva 2003/41 menzionate esplicitamente nel ricorso, perché, qualora le trasponesse, sarebbe obbligata a modificare i principi fondamentali del proprio sistema nazionale di previdenza sociale – la cui organizzazione, a norma dell’art. 137, n. 4, primo trattino, CE rientra fra le competenze degli Stati membri – introducendo nel proprio sistema di pensioni di vecchiaia uno schema pensionistico aziendale o professionale, mentre un simile schema non è previsto dalla normativa nazionale.

31      La Repubblica ceca deduce al riguardo che il proprio sistema pensionistico prevede solamente due componenti costituiti, rispettivamente, dal primo e dal terzo pilastro dei sistemi pensionistici. Il primo pilastro, disciplinato dalla legge n. 155/1995 sull’assicurazione pensione, sarebbe costituito dalla pensione legale, generale e obbligatoria per tutti gli aderenti, e farebbe parte del sistema nazionale di previdenza sociale. Quanto al terzo pilastro, disciplinato dalla legge n. 42/1994 sull’assicurazione pensione complementare che gode di un contributo statale, esso sarebbe rappresentato dai contratti individuali di assicurazione pensione conclusi dagli aderenti, su base volontaria, con i fondi pensione istituiti ai sensi di tale legge. L’adesione a detti fondi non sarebbe collegata a un lavoro, a un datore di lavoro o all’esercizio di un’attività autonoma. Per contro, il sistema pensionistico ceco non comprenderebbe il secondo pilastro, rappresentato dalle pensioni complementari erogate in relazione ad un’attività professionale, dipendente o autonoma.

32      Così, la Repubblica ceca sottolinea che, in base alla normativa nazionale attualmente in vigore, un ente pensionistico aziendale o professionale non può stabilirsi nel territorio ceco al fine di esercitarvi tale attività, poiché quest’ultima contravverrebbe alle disposizioni di legge che disciplinano l’esercizio di un’attività professionale sul mercato finanziario e potrebbe essere perseguita in sede amministrativa o penale. Inoltre, non vi sarebbero né una volontà politica né una disponibilità economica sufficienti ad introdurre uno schema pensionistico aziendale o professionale nello Stato membro in questione.

33      Secondo la Repubblica ceca, dato che l’art. 137, n. 4, primo trattino, CE lascia agli Stati membri la competenza a definire la struttura fondamentale del loro sistema nazionale di sicurezza sociale, non può pretendersi una trasposizione della direttiva 2003/41 che comprometterebbe l’esercizio effettivo del diritto garantito dal diritto primario. Orbene, poiché le disposizioni di tale direttiva espressamente contemplate dal presente ricorso impongono precisamente obblighi agli Stati membri nel cui territorio hanno sede enti pensionistici aziendali o professionali, la loro trasposizione comporterebbe inevitabilmente la definizione del quadro normativo necessario per il funzionamento delle imprese del settore pensionistico professionale stabilite nel territorio della Repubblica ceca e, conseguentemente, la creazione, fattuale e giuridica, di un secondo pilastro in detto Stato membro, il che inciderebbe sensibilmente sull’equilibrio finanziario globale del sistema nazionale delle pensioni di vecchiaia.

34      A titolo esemplificativo, la Repubblica ceca richiama l’art. 9, n. 1, della direttiva 2003/41, che prevede l’obbligo per gli Stati membri di registrare in un registro nazionale gli enti pensionistici aziendali o professionali aventi sede nel loro territorio, o di autorizzarli. Infatti, l’istituzione di un registro o di un sistema di autorizzazione adeguati richiederebbe necessariamente l’adozione della corrispondente normativa. Non sarebbe possibile l’adozione isolata di siffatta normativa senza che sia istituita la pensione aziendale o professionale come sistema complesso, in altri termini senza definire, ad esempio, i diritti e gli obblighi delle parti contraenti.

35      La Repubblica ceca precisa di essere consapevole del fatto che, in via generale, gli enti pensionistici aziendali o professionali non possono essere confusi con il secondo pilastro dei sistemi pensionistici. Nondimeno, tali enti rappresenterebbero un elemento essenziale di questo pilastro e la creazione di un contesto normativo per la loro istituzione comporterebbe necessariamente modifiche agli stessi sistemi pensionistici.

36      La Repubblica ceca sottolinea, peraltro, che la trasposizione effettuata con la legge n. 340/2006 consegue l’obiettivo a cui mira la direttiva 2003/41. Infatti, la legge in questione trasporrebbe tutte le disposizioni relative all’erogazione transfrontaliera di servizi pensionistici aziendali o professionali da parte di enti stabiliti in altri Stati membri, così permettendo alle imprese con sede nel suo territorio di contribuire agli schemi pensionistici proposti da tali enti e, nel contempo, consentendo a questi ultimi di proporre i servizi opportuni in Repubblica ceca.

37      Se ne evince che, con la riferita argomentazione, la Repubblica ceca intende in sostanza giustificare l’omessa trasposizione delle disposizioni della direttiva 2003/41 in questione con la circostanza, da un lato, che nessun ente pensionistico aziendale o professionale ha sede nel suo territorio a causa del divieto al loro stabilimento previsto dal diritto nazionale e, dall’altro, che la trasposizione di tali disposizioni la costringerebbe a modificare il proprio sistema di pensioni di vecchiaia nazionale mediante l’introduzione di un secondo pilastro, mentre l’art. 137, n. 4, primo trattino, CE riconosce agli Stati membri la competenza ad organizzare i propri sistemi nazionali in materia.

38      Occorre pertanto esaminare se tali considerazioni, attinenti rispettivamente al diritto nazionale e al diritto comunitario, siano idonee a giustificare l’omessa trasposizione delle disposizioni della direttiva 2003/41 che sono espressamente oggetto del presente ricorso.

39      A tale proposito, per quanto riguarda l’asserita circostanza dell’inesistenza di enti pensionistici aziendali o professionali con sede nella Repubblica ceca, si deve ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, l’inesistenza, in un determinato Stato membro, di una particolare attività presa in considerazione da una direttiva non può esonerare questo Stato dall’obbligo che gli incombe di adottare provvedimenti legislativi o regolamentari che assicurino un’adeguata trasposizione dell’insieme delle disposizioni di tale direttiva (sentenze 16 novembre 2000, causa C‑214/98, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑9601, punto 22; 13 dicembre 2001, causa C‑372/00, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑10303, punto 11; 30 maggio 2002, causa C‑441/00, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑4699, punto 15, e 8 giugno 2006, causa C‑71/05, Commissione/Lussemburgo, punto 12).

40      Infatti, sia il principio della certezza del diritto sia la necessità di assicurare la piena applicazione delle direttive, in diritto e non solamente in fatto, esigono che tutti gli Stati membri riproducano le prescrizioni della direttiva in questione in un quadro normativo chiaro, preciso e trasparente, che preveda disposizioni vincolanti nel settore che essa ha ad oggetto (v., in tal senso, sentenze 15 marzo 1990, causa C‑339/87, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑851, punti 22 e 25, nonché Commissione/Grecia, cit., punto 23).

41      Un tale obbligo incombe agli Stati membri al fine di prevenire ogni modifica delle circostanze in essi esistenti in un determinato momento e al fine di garantire che tutti i soggetti di diritto nella Comunità, ivi compresi quelli degli Stati membri in cui una determinata attività prevista da una direttiva non esiste, conoscano, in ogni circostanza, in modo chiaro e preciso i loro diritti ed obblighi (v., in tal senso, citate sentenze Commissione/Grecia, punto 27; Commissione/Irlanda, punto 12; 30 maggio 2002, Commissione/Regno Unito, punto 16, e Commissione/Lussemburgo, punto 13).

42      Secondo la giurisprudenza, la trasposizione di una direttiva non si impone solo laddove essa sia priva d’oggetto per ragioni geografiche (v. citate sentenze Commissione/Irlanda, punto 13, e 30 maggio 2002, Commissione/Regno Unito, punto 17).

43      Nel caso di specie, si deve rilevare che, come in particolare emerge dai ‘considerando’ primo, sesto e ottavo della direttiva 2003/41, quest’ultima, adottata sulla base degli artt. 47, n. 2, CE, 55 CE e 95 CE, è diretta ad istituire un mercato interno degli schemi pensionistici professionali nell’ambito del quale devono essere assicurate la libera prestazione di servizi e la libertà di investimento agli enti pensionistici aziendali o professionali.

44      In tale prospettiva, l’art. 20, n. 1, della direttiva 2003/41 dispone che gli Stati membri devono, da un lato, consentire alle imprese aventi sede nel loro territorio di promuovere enti pensionistici aziendali o professionali autorizzati in altri Stati membri e, dall’altro, permettere agli enti pensionistici autorizzati nel loro territorio di accettare come promotori imprese aventi sede in altri Stati membri.

45      Ai fini dell’esercizio di siffatte attività transfrontaliere, la direttiva 2003/41 obbliga gli Stati membri, come emerge dai ‘considerando’ settimo e ventesimo, a sottoporre gli enti pensionistici aziendali o professionali a regole prudenziali minime per quanto concerne le loro attività e condizioni di funzionamento, volte a garantire un elevato livello di sicurezza per i futuri pensionati che saranno beneficiari delle loro prestazioni.

46      Tali disposizioni consistono in particolare, ai sensi degli artt. 8, 9, 13 e 15‑18 della direttiva 2003/41, rispettivamente nella separazione giuridica tra gli enti pensionistici aziendali o professionali e le loro imprese promotrici, affinché, in caso di fallimento di queste ultime, gli attivi degli enti pensionistici siano salvaguardati, in condizioni di esercizio dell’attività destinate ad assicurare l’affidabilità degli enti pensionistici aziendali o professionali, come la registrazione in un registro nazionale o l’autorizzazione, la gestione da parte di persone in possesso dei requisiti di onorabilità, l’adozione di regole di funzionamento adeguate, la costituzione di riserve tecniche certificate da uno specialista e la fornitura di informazioni agli aderenti, in un elenco di informazioni da fornire alle autorità competenti, nonché nella presentazione e nella gestione di fondi sufficienti a coprire le loro passività.

47      Peraltro, l’art. 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41 stabilisce il procedimento che un ente pensionistico aziendale o professionale autorizzato in uno Stato membro deve seguire qualora intenda erogare i propri servizi in un altro Stato membro, nonché il ruolo delle autorità competenti in una simile eventualità. In particolare, il n. 2 di tale articolo, così come l’art. 9, n. 5, della direttiva in esame, dispongono che gli enti pensionistici aziendali o professionali che intendono esercitare simili attività transfrontaliere devono ottenere l’autorizzazione previa delle autorità competenti dello Stato membro d’origine, vale a dire di quello nel cui territorio gli enti hanno la loro sede legale e/o i loro principali uffici amministrativi.

48      Ne deriva che, come rilevato dalla Repubblica ceca, le disposizioni della direttiva 2003/41 contemplate espressamente dal presente ricorso, vale a dire i suoi artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, impongono in sostanza obblighi agli Stati membri nel cui territorio hanno sede enti pensionistici aziendali o professionali.

49      È vero che, secondo detto Stato membro, nessun ente pensionistico aziendale o professionale può legittimamente avere sede nel suo territorio.

50      Tuttavia, come afferma la giurisprudenza citata ai punti 39‑41 della presente sentenza, e in mancanza di una ragione geografica tale da privare completamente di oggetto la trasposizione delle disposizioni in questione, ciò che rileva è che, nell’ipotesi in cui la Repubblica ceca eventualmente decidesse di integrare il proprio sistema pensionistico nazionale con uno schema pensionistico professionale rientrante nel secondo pilastro, tutti i soggetti di diritto all’interno di tale Stato membro conoscano i propri diritti ed obblighi, al pari degli altri soggetti di diritto all’interno della Comunità.

51      Una simile evoluzione del sistema previdenziale nazionale non deve affatto essere considerata fuori discussione o meramente ipotetica, come invece pretende la Repubblica ceca, per la ragione che essa richiederebbe una modifica del quadro normativo applicabile e non solo l’eliminazione di un ostacolo di fatto. Infatti, ogni normativa può essere modificata. Nel caso di specie, del resto, dalle stesse memorie di tale Stato membro emerge che prima dell’adozione della direttiva 2003/41 sono stati elaborati progetti normativi diretti a introdurre nel sistema nazionale delle pensioni di vecchiaia un secondo pilastro, rispettivamente nel 1993, quando il Ministro del Lavoro e degli Affari sociali presentò un disegno di legge in tal senso al governo ceco, che infine operò una diversa scelta, vale a dire l’adozione di una legge sull’assicurazione pensione complementare che gode di un contributo statale, e nel 2001, allorché il suddetto governo presentò alla camera dei rappresentanti del Parlamento ceco un disegno di legge sull’assicurazione pensione professionale. Inoltre, all’udienza la Repubblica ceca ha ammesso che un siffatto secondo pilastro potrebbe in futuro essere introdotto, se si formasse una volontà politica in tal senso.

52      Ne consegue che, anche se, in base alla normativa nazionale applicabile, nessun ente pensionistico aziendale o professionale può legittimamente stabilirsi nel territorio della Repubblica ceca in mancanza di un secondo pilastro nel sistema pensionistico nazionale, tale Stato membro ha l’obbligo di trasporre integralmente le disposizioni degli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41, adottando e mettendo in vigore nel proprio ordinamento interno, ai sensi dell’art. 22, n. 1, primo comma, di quest’ultima, le norme legislative, regolamentari e amministrative a tal fine necessarie.

53      Al contrario di quanto afferma la Repubblica ceca, un simile obbligo di trasposizione non è tale da incidere sulla sua competenza in materia di organizzazione del suddetto sistema pensionistico nazionale e di conservazione dell’equilibrio finanziario di quest’ultimo, costringendola ad istituire, nell’ambito di detta trasposizione, siffatto secondo pilastro, in violazione delle prerogative riconosciutele dall’art. 137, n. 4, primo trattino, CE.

54      In primo luogo, infatti, la trasposizione nell’ordinamento interno delle disposizioni in questione della direttiva 2003/41 non obbliga affatto la Repubblica ceca a modificare il proprio sistema pensionistico nazionale.

55      A tale riguardo, l’affermazione della Repubblica ceca secondo cui una tale trasposizione comporta di per sé l’introduzione di un secondo pilastro nel proprio sistema pensionistico nazionale è erronea.

56      Secondo quanto illustrato da tale Stato membro in risposta ai quesiti scritti della Corte su questo punto, la creazione di un simile secondo pilastro, il quale rientra in un sistema complesso, richiede infatti l’adozione da parte del legislatore nazionale di una normativa interna completa, volta a determinare, in particolare, le condizioni necessarie ad istituire enti pensionistici aziendali o professionali nel proprio territorio, nonché le relazioni giuridiche intercorrenti sia tra il secondo pilastro e gli altri pilastri del sistema pensionistico nazionale, sia, nell’ambito di detto secondo pilastro, tra i diversi elementi che lo compongono, vale a dire i datori di lavoro, i lavoratori, gli organismi di controllo e di sorveglianza nonché, eventualmente, altri organismi statali.

57      Orbene, si deve constatare che né le disposizioni della direttiva 2003/41 espressamente menzionate nel presente ricorso né le altre sue disposizioni impongono agli Stati membri che sia emanata di una simile normativa.

58      Così, al contrario di quanto sostiene la Repubblica ceca, anche se la trasposizione nell’ordinamento interno dell’art. 9, n. 1, della direttiva 2003/41 certamente esige, in particolare, che tutti gli Stati membri prevedano nella propria normativa nazionale l’iscrizione in un registro o l’autorizzazione degli enti pensionistici aziendali o professionali, tale disposizione non contiene alcuna previsione che imponga ai suddetti Stati di consentire agli enti in questione di stabilirsi nel loro territorio.

59      Come si ricava dai punti 43‑47 della presente sentenza, la direttiva 2003/41 rappresenta infatti solamente un primo passo nella direzione di un mercato interno degli schemi pensionistici aziendali o professionali, attraverso la definizione su scala europea di regole prudenziali minime. Essa per contro non persegue l’obiettivo di armonizzare, anche solo parzialmente, i sistemi previdenziali nazionali obbligando gli Stati membri a modificare o abrogare le norme dei loro ordinamenti nazionali che definiscono l’organizzazione stessa di tali sistemi.

60      Così, al nono ‘considerando’, la direttiva in esame mette chiaramente in evidenza che, in base al principio di sussidiarietà, gli Stati membri conservano pienamente la responsabilità dell’organizzazione dei loro sistemi pensionistici nazionali nonché il potere di determinare il ruolo assegnato a ciascuno di questi pilastri, compreso quello affidato al secondo pilastro, e che la direttiva non può dunque in alcun modo incidere su tali prerogative.

61      Nello stesso senso, l’art. 20, n. 1, della direttiva 2003/41 prevede inoltre, conformemente ai ‘considerando’ trentaseiesimo e trentasettesimo di quest’ultima, che le attività transfrontaliere degli enti pensionistici aziendali o professionali si esercitano fatta salva la legislazione in materia di sicurezza sociale e di lavoro degli Stati membri ospitanti relativa all’organizzazione dei sistemi previdenziali nazionali.

62      Conseguentemente, e al contrario di quanto la Commissione ha ugualmente suggerito nelle proprie memorie, la direttiva 2003/41, di per sé, non può assolutamente essere interpretata nel senso che essa obbligherebbe uno Stato membro il quale, come la Repubblica ceca, vieta lo stabilimento nel proprio territorio di enti pensionistici aziendali o professionali per mancanza di un secondo pilastro nel proprio sistema pensionistico nazionale ad abrogare tale divieto al fine di consentire ad enti pensionistici di stabilirsi nel suo territorio per erogare servizi che indubbiamente rientrano nel secondo pilastro dei sistemi nazionali delle pensioni di vecchiaia.

63      Certamente, un simile divieto posto dalla legislazione nazionale deve essere conforme alle norme relative alla libera circolazione previste dal Trattato CE, segnatamente alle disposizioni in materia di libertà di stabilimento, che comportano il divieto in via di principio delle restrizioni all’esercizio di tale libertà (v., in tal senso, in particolare, sentenze 16 maggio 2006, causa C‑372/04, Watts, Racc. pag. I‑4325, punto 92 e giurisprudenza ivi citata, nonché 11 settembre 2008, causa C‑228/07, Petersen, Racc. pag. I‑6989, punto 42), a meno che queste non possano essere giustificate in base ai motivi indicati dal Trattato o a ragioni imperative di interesse pubblico, che includono, in particolare, l’esistenza di un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale (v. in tal senso, in particolare, sentenze 28 aprile 1998, causa C‑158/96, Kohll, Racc. pag. I‑1931, punto 41, e 5 marzo 2009, causa C‑350/07, Kattner Stahlbau, Racc. pag. I‑1513, punto 85).

64      Tuttavia, al fine di valutare la fondatezza del presente ricorso, dal momento che quest’ultimo verte esclusivamente sull’inadempimento alle disposizioni della direttiva 2003/41 e non sull’eventuale violazione delle disposizioni del Trattato, mai richiamate dalla Commissione a sostegno della propria argomentazione, non occorre esaminare se il divieto, sancito dal diritto ceco, dello stabilimento di enti pensionistici aziendali o professionali nel territorio della Repubblica ceca sia contrario alle norme in materia di libera circolazione né, pertanto, esaminare in che misura tale Stato membro potrebbe essere obbligato ad introdurre eventualmente, al fine di conformarsi a dette norme, un secondo pilastro nel proprio sistema pensionistico nazionale.

65      In secondo luogo, si deve osservare che, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica ceca, l’obbligo di trasporre integralmente la direttiva 2003/41 mediante l’attuazione nell’ordinamento interno delle disposizioni di cui agli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva non viola affatto le disposizioni dell’art. 137, n. 4, primo trattino, CE.

66      Occorre in proposito rilevare che, ai sensi dell’art. 137, n. 4, primo trattino, CE, le disposizioni adottate a norma di tale articolo «non compromettono la facoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale e non devono incidere sensibilmente sull’equilibrio finanziario dello stesso».

67      Orbene, è necessario constatare, in primo luogo, che la direttiva 2003/41 su cui verte il presente ricorso non è stata adottata sul fondamento dell’art. 137 CE, che rappresenta il fondamento normativo nel Trattato per realizzare il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nel settore della politica sociale. Come già indicato al punto 43 della presente sentenza, fondamento normativo di tale direttiva sono infatti gli artt. 47, n. 2, CE, 55 CE e 95 CE, che sono diretti all’istituzione di un mercato interno mediante la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento.

68      In secondo luogo, la direttiva 2003/41, a norma del suo art. 2, n. 2, lett. a), non si applica agli enti che gestiscono regimi di previdenza sociale, con la conseguenza che le disposizioni stabilite da tale direttiva non incidono su siffatti enti.

69      Conseguentemente, occorre concludere che, non avendo adottato, entro il termine impartito, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie a conformarsi agli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva 2003/41, la Repubblica ceca è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 22, n. 1, di tale direttiva. Il ricorso è respinto quanto al resto.

 Sulle spese

70      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica ceca, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Non avendo adottato, entro il termine impartito, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie a conformarsi agli artt. 8, 9, 13, 15‑18 e 20, nn. 2‑4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, la Repubblica ceca è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 22, n. 1, di tale direttiva.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Repubblica ceca è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: il ceco.