Language of document : ECLI:EU:T:2019:310

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

8 maggio 2019 (*)

«Dumping – Importazioni di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Cina e della Russia – Dazio antidumping definitivo – Registrazione delle importazioni – Applicazione retroattiva del dazio antidumping definitivo – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/1329 – Informazione dell’importatore quanto alle pratiche di dumping e al pregiudizio – Ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni che potrebbe gravemente compromettere l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo – Articolo 10, paragrafo 4, lettere c) e d), del regolamento (UE) 2016/1036»

Nella causa T‑749/16,

Stemcor London Ltd, con sede a Londra (Regno Unito),

Samac Steel Supplies Ltd, con sede a Londra,

rappresentate da F. Di Gianni e C. Van Hemelrijck, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da J.‑F. Brakeland, N. Kuplewatzky, T. Maxian Rusche ed E. Schmidt, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Eurofer, Association européenne de l’acier, ASBL, con sede a Lussemburgo (Lussemburgo), rappresentata da O. Prost, A. Coelho Dias e S. Seeuws, avvocati,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento parziale del regolamento di esecuzione (UE) 2016/1329 della Commissione, del 29 luglio 2016, che riscuote il dazio antidumping definitivo sulle importazioni registrate di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa (GU 2016, L 210, pag. 27),

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M. Prek, presidente, E. Buttigieg (relatore) e B. Berke, giudici

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 23 ottobre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Stemcor London Ltd e la Samac Steel Supplies Ltd, ricorrenti, sono due società di diritto inglese che importano e commercializzano nell’Unione europea, in particolare, prodotti piatti di acciaio laminati a freddo, come quelli menzionati all’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione (UE) 2016/1329 della Commissione, del 29 luglio 2016, che riscuote il dazio antidumping definitivo sulle importazioni registrate di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa (GU 2016, L 210, pag. 27; in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

2        In seguito a una denuncia presentata il 1o aprile 2015 dall’Eurofer, Association européenne de l’acier, ASBL (in prosieguo: l’«Eurofer»), la Commissione europea ha pubblicato il 14 maggio 2015 l’avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa (GU 2015, C 161, pag. 9; in prosieguo: l’«avviso di apertura dell’inchiesta»), conformemente al regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea [(GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22), sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21; in prosieguo: il «regolamento di base»)].

3        L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o aprile 2014 e il 31 marzo 2015 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»), mentre l’esame delle tendenze al fine della valutazione del pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o gennaio 2011 e la fine del periodo dell’inchiesta.

4        In seguito a una richiesta presentata dall’Eurofer, la Commissione ha adottato, conformemente all’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento n. 1225/2009, il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2325, dell’11 dicembre 2015, che dispone la registrazione delle importazioni di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa (GU 2015, L 328, pag. 104), entrato in vigore il 13 dicembre 2015.

5        L’11 gennaio 2016, le ricorrenti hanno presentato alla Commissione osservazioni scritte sul regolamento di esecuzione 2015/2325. Esse hanno sostenuto che le condizioni per l’istituzione retroattiva di dazi antidumping sui prodotti interessati non erano soddisfatte e che la registrazione delle importazioni nonché l’istituzione retroattiva dei dazi in questione avrebbero comportato conseguenze pregiudizievoli significative per gli importatori e gli utenti dei prodotti interessati nell’Unione. Il 14 gennaio 2016, le ricorrenti sono state sentite nel corso di un’audizione organizzata a loro richiesta dalla Commissione.

6        Con il suo regolamento di esecuzione (UE) 2016/181, del 10 febbraio 2016, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa (GU 2016, L 37, pag. 1), la Commissione ha istituito un dazio antidumping provvisorio sui prodotti interessati a decorrere dal 13 febbraio 2016 e ha invitato le autorità doganali a cessare la registrazione delle importazioni dei prodotti interessati.

7        Il 17 febbraio 2016, la Commissione ha indirizzato alle ricorrenti nonché ad altri importatori una richiesta di informazioni riguardante i prodotti interessati importati tra il 1o aprile 2015 e il 31 gennaio 2016. Con lettere del 9 e del 17 marzo 2016, le ricorrenti hanno depositato le loro risposte alla richiesta di informazioni della Commissione.

8        Il 26 febbraio 2016, le ricorrenti sono state nuovamente sentite nel corso di un’audizione organizzata a loro richiesta dalla Commissione e hanno ribadito che le condizioni per l’istituzione retroattiva di dazi antidumping non erano soddisfatte.

9        L’8 giugno 2016, la Commissione ha informato le ricorrenti delle proprie conclusioni definitive nelle quali la medesima prevedeva di riscuotere retroattivamente un dazio antidumping definitivo sulle importazioni registrate.

10      Il 15 giugno 2016, le ricorrenti sono state sentite nel corso di un’audizione dinanzi al consigliere auditore e hanno contestato le conclusioni contenute nella comunicazione delle conclusioni definitive della Commissione.

11      Con il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1328, del 29 luglio 2016, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio istituito sulle importazioni di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa (GU 2016, L 210, pag. 1), la Commissione ha istituito un dazio antidumping definitivo sui prodotti interessati e ha deciso di riscuotere definitivamente il dazio provvisorio istituito sui medesimi prodotti. In pari data, la Commissione ha adottato, in applicazione dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento di base, il regolamento impugnato, il quale dispone la riscossione retroattiva del dazio antidumping definitivo sulle importazioni registrate conformemente al regolamento di esecuzione 2015/2325.

 Procedimento e conclusioni delle parti

12      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 ottobre 2016, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

13      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o marzo 2017, l’Eurofer ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione.

14      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 marzo 2017, le ricorrenti hanno chiesto che determinate informazioni contenute nell’atto introduttivo e nei suoi allegati fossero oggetto di un trattamento riservato nei confronti dell’Eurofer ove quest’ultima fosse stata ammessa a intervenire. Le ricorrenti hanno allegato a tale domanda una versione non riservata dei documenti summenzionati.

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 aprile 2017, le ricorrenti hanno chiesto che determinate informazioni contenute nel controricorso e nei suoi allegati fossero oggetto di un trattamento riservato nei confronti dell’Eurofer ove quest’ultima fosse stata ammessa a intervenire.

16      Con ordinanza del 3 maggio 2017, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento dell’Eurofer a sostegno delle conclusioni della Commissione e ha ordinato la comunicazione a quest’ultima delle versioni non riservate dei documenti in questione.

17      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 15 maggio 2017, le ricorrenti hanno chiesto che determinate informazioni contenute nella replica e nei suoi allegati fossero oggetto di un trattamento riservato nei confronti dell’Eurofer. Le ricorrenti hanno allegato a tale domanda una versione non riservata dei documenti summenzionati.

18      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 agosto 2017, le ricorrenti hanno formulato una domanda motivata, ai sensi dell’articolo 106 del regolamento di procedura del Tribunale, al fine di essere sentite nell’ambito della fase orale del procedimento.

19      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato, nei limiti in cui le riguarda;

–        condannare la Commissione alle spese.

20      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

21      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

22      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono tre motivi. Il primo motivo verte sull’interpretazione e sull’applicazione erronee della condizione secondo la quale l’importatore doveva essere «informato» della portata del dumping, prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base. Il secondo motivo verte sul fatto che la valutazione della condizione relativa a un «ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni», prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, sarebbe stata erroneamente basata su un periodo compreso tra l’intero primo mese successivo alla pubblicazione dell’apertura dell’inchiesta nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e l’intero ultimo mese precedente all’istituzione di misure provvisorie. Infine, il terzo motivo verte sull’interpretazione erronea della condizione che impone che l’ulteriore aumento delle importazioni possa «gravemente compromettere l’effetto riparatore», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base.

 Sul primo motivo, vertente sull’interpretazione e sull’applicazione erronee della condizione secondo la quale l’importatore doveva essere «informato» del dumping e della sua portata, prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base

 Sulla prima parte del primo motivo

23      Con la prima parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha disatteso l’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base nel ritenere che gli importatori fossero o avessero dovuto essere «informat[i] delle pratiche di dumping per quanto riguarda la loro portata e il pregiudizio presunto o accertato», ai sensi della medesima disposizione, per effetto della comunicazione della versione non riservata della denuncia dell’Eurofer e della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta.

24      In primo luogo, le ricorrenti sostengono, infatti, basandosi su un’analisi comparativa di diverse versioni linguistiche della disposizione succitata, che il termine «presunto» si riferisce soltanto al termine «pregiudizio» e non anche al termine «dumping». Di conseguenza, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare, per quanto riguarda le pratiche di dumping controverse, che l’importatore era informato dell’esistenza «reale» delle medesime nonché della loro portata, cosa che essa non avrebbe fatto.

25      In secondo luogo, ritenere che l’importatore fosse informato del dumping e della sua portata per effetto della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta e dell’accesso alla versione non riservata della denuncia equivarrebbe a presumere «iuris et de iure», in ogni fattispecie, la circostanza che l’importatore ne fosse informato, una volta che il medesimo si sia iscritto in quanto interessato all’inchiesta, in conseguenza della semplice apertura della medesima, e quindi a privare l’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base di qualsiasi effetto utile. A ciò si aggiungerebbe che l’applicazione retroattiva dei dazi antidumping definitivi costituirebbe manifestamente una misura eccezionale, come risulterebbe in particolare dall’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento di base, e che, secondo una giurisprudenza costante, le eccezioni e le disposizioni che comportano conseguenze sfavorevoli nei confronti dei singoli andrebbero interpretate restrittivamente.

26      In terzo luogo, mere affermazioni non contraddittorie contenute in una denuncia nonché elementi di prova, prima facie, dell’esistenza di un dumping contenuti in un avviso di apertura di inchiesta non possono essere assimilati a elementi tali da rendere l’importatore informato della portata del dumping, i quali comporterebbero necessariamente valutazioni economiche complesse, e, pertanto, del livello atteso del dazio antidumping che potrebbe essere riscosso successivamente. Gli elementi di prova contenuti in una denuncia o in un avviso di apertura di inchiesta non sarebbero infatti elementi rappresentativi e affidabili, ma costituirebbero semplicemente un’apparenza molto vaga di un presunto dumping e non possono quindi fornire una base oggettiva per dimostrare che si era informati della portata del dumping, anche a voler ammettere che sia sufficiente che quest’ultimo possa essere solo presunto. Simili elementi rappresentativi e affidabili potrebbero presentarsi sotto forma di sintesi non riservate delle risposte fornite ai questionari dai produttori esportatori, consentendo all’importatore di comprendere che esiste un dumping e di valutarne la portata.

27      Le ricorrenti aggiungono che, per quanto riguarda la denuncia dell’Eurofer, gli indizi erano insufficienti, tenuto conto del loro carattere non rappresentativo, vago e in gran parte riservato. Secondo le ricorrenti, il calcolo del margine di dumping, nel caso delle importazioni russe, si basava su elementi di prova incompleti per determinare il valore normale e il prezzo all’esportazione. La denuncia in questione non conterrebbe neanche informazioni riguardanti la portata del presunto dumping per il produttore esportatore russo specifico presso il quale esse avrebbero acquistato i prodotti interessati durante il periodo di registrazione. Orbene, per soddisfare la condizione secondo la quale si doveva essere informati del dumping e della sua portata, prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base, gli importatori dovrebbero disporre di informazioni affidabili quanto alla portata del dumping praticato da ogni produttore esportatore cooperante. Sebbene i calcoli contenuti in una denuncia, che non sono mai basati su informazioni dettagliate, possano essere sufficienti per avviare l’apertura di un’inchiesta, essi sarebbero tuttavia insufficienti per dimostrare che si era informati della portata del dumping al fine di ricorrere al meccanismo eccezionale dell’applicazione retroattiva di dazi antidumping definitivi. A ciò si aggiungerebbe che le versioni non riservate delle risposte ai questionari presentate a nome dei produttori esportatori non avrebbero contenuto solide informazioni che potessero essere utilizzate per determinare i loro margini di dumping e che neanche il fascicolo conterrebbe simili informazioni. Al contrario, i produttori esportatori si sarebbero sempre fermamente opposti all’apertura dell’inchiesta.

28      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

29      L’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base prevede che può essere riscosso un dazio antidumping definitivo sui prodotti immessi in consumo non oltre 90 giorni prima della data di applicazione delle misure provvisorie e non prima dell’apertura dell’inchiesta, a condizione, in particolare, che il prodotto di cui trattasi sia stato oggetto nel passato di pratiche di dumping per un periodo prolungato o «l’importatore [fosse], oppure [avesse dovuto] essere, informato delle pratiche di dumping per quanto riguarda la loro portata e il pregiudizio presunto o accertato».

30      Occorre rilevare che, nella versione tedesca del regolamento di base, quest’ultima condizione è così formulata: «der Einführer nach dem Ausmaß des Dumpings und der angeblichen oder festgestellten Schädigung von dem Dumping Kenntnis hatte oder hätte haben müssen». Nella versione portoghese, è indicato che «o importador tivesse ou devesse ter tido conhecimento dessas práticas no que respeita à importância do dumping e do prejuízo alegados ou verificados» e, nella versione inglese, si legge che «the importer was aware of, or should have been aware of, the dumping as regards the extent of the dumping and the injury alleged or found».

31      Dall’esame di queste diverse versioni linguistiche della disposizione summenzionata emerge l’esistenza di difformità tra di esse. In tal senso, in particolare, le versioni tedesca e francese utilizzano i termini «presunto» e «accertato» al singolare, il che suggerirebbe che i termini in questione si riferiscano soltanto al pregiudizio e non anche alle pratiche di dumping o alla loro portata. Diversamente, la versione portoghese utilizza i termini «presunto» e «accertato» al plurale, il che suggerirebbe che i termini in questione si riferiscano alla portata del pregiudizio e delle pratiche di dumping. Infine, la versione inglese consente tanto un’interpretazione in base alla quale i termini «alleged» e «found» si riferiscono al solo pregiudizio quanto un’interpretazione in base alla quale i medesimi riguardano il pregiudizio e il dumping o anche la portata di questi ultimi.

32      Orbene, secondo una giurisprudenza costante, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo dell’Unione, la disposizione di cui è causa dev’essere interpretata in funzione della struttura e della finalità della normativa di cui essa fa parte (v. sentenza del 18 settembre 2014, Vueling Airlines, C‑487/12, EU:C:2014:2232, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

33      Dalla finalità e dalla struttura del regolamento di base, e in particolare dal considerando 17 e dall’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del medesimo, deriva che l’applicazione retroattiva dei dazi antidumping definitivi ha l’obiettivo di evitare che sia compromesso l’effetto riparatore delle misure definitive e che sia quindi pregiudicata l’efficacia delle medesime misure obbligando gli importatori che hanno accumulato scorte di merci dopo lo sdoganamento di vendere quelle importate durante il periodo di registrazione a prezzi non pregiudizievoli (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 6 giugno 2013, Paltrade, C‑667/11, EU:C:2013:368, punti 28 e 29, e del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 50). Alla luce dell’obiettivo summenzionato, si deve concludere che l’interpretazione delle ricorrenti, secondo la quale il fatto che gli importatori fossero informati deve essere dimostrato in relazione a un dumping «effettivo», e non soltanto «presunto», affinché la condizione di cui all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base sia soddisfatta, priverebbe di effetto utile l’articolo 10, paragrafo 4, del medesimo regolamento.

34      Come la Commissione ha giustamente osservato, infatti, l’esistenza «reale» delle pratiche di dumping è determinata solo alla fine dell’inchiesta, ossia in sede di adozione delle misure definitive. Pertanto, l’interpretazione proposta dalle ricorrenti porterebbe a dimostrare, in generale, il fatto che gli importatori erano informati soltanto dal momento dell’adozione delle misure definitive.

35      Orbene, va rilevato che il momento pertinente per valutare la circostanza che gli importatori erano «informat[i]», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, punto c), del regolamento di base, si colloca prima dell’adozione delle misure definitive, atteso che detta circostanza è necessaria per determinare il momento a decorrere dal quale si può valutare l’esistenza o no di un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni che potrebbe compromettere gravemente l’effetto riparatore delle misure definitive che saranno applicate successivamente.

36      Parimenti, risulta chiaramente che prendere in considerazione un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni a decorrere soltanto dall’istituzione dei dazi definitivi impedirebbe qualsiasi possibilità di ricorrere all’applicazione retroattiva dei dazi definitivi e che una simile interpretazione sarebbe, pertanto, priva di senso.

37      Alla luce di quanto precede, si deve concludere che la tesi sostenuta dalle ricorrenti a sostegno di un’interpretazione restrittiva della disposizione in questione, nella misura in cui porterebbe a prendere in considerazione solo l’ipotesi in cui l’importatore era o avrebbe dovuto essere informato di un dumping «effettivo», non può essere accolta e che i termini «presunto» o «accertato» devono intendersi come riferiti sia alla portata del dumping sia a quella del pregiudizio al fine di garantire l’effetto utile della disposizione in parola.

38      La suddetta interpretazione è peraltro corroborata dalla genesi della disposizione in questione, introdotta nel regolamento (CE) n. 3283/94 del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 1994, L 349, pag. 1), quale risulta dal documento COM (94) 414 def. della Commissione, del 5 ottobre 1994, intitolato «Atti legislativi per l’attuazione dell’Uruguay Round». Alla pagina 158 di tale documento, infatti, la Commissione osserva che «[s]i propone (articolo 10.4 della proposta) (…) che la “consapevolezza” [delle pratiche di dumping da parte dell’importatore] sia accertata quando i margini di dumping “asseriti o riscontrati” sono elevati».

39      In risposta alla censura delle ricorrenti, secondo la quale ritenere che l’importatore fosse informato della portata del dumping sulla base della versione non riservata della denuncia e dell’avviso di apertura dell’inchiesta equivarrebbe a presumere sistematicamente e «iuris et de iure» la circostanza di esserne informati, laddove occorrerebbe procedere a un’interpretazione restrittiva dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento di base in quanto eccezione al principio di irretroattività dei dazi antidumping, occorre ricordare in limine che spetta all’autorità incaricata dell’inchiesta dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentano di concludere che l’importatore era informato o avrebbe dovuto essere informato della portata del dumping e del pregiudizio presunti o accertati e che spetta quindi al giudice dell’Unione verificare se l’autorità incaricata dell’inchiesta abbia dimostrato l’esistenza dei medesimi elementi oggettivi (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 16 maggio 2013, Hardimpex, C‑444/12, non pubblicata, EU:C:2013:318, punti 28 e 29).

40      Orbene, nel caso di specie risulta che l’avviso di apertura dell’inchiesta, pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 14 maggio 2015, e la versione non riservata della denuncia, trasmessa alle ricorrenti già dal 18 maggio 2015, come confermato dalla Commissione in risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, contengono una serie di affermazioni e di elementi di prova che sostengono e indicano la portata del dumping e del pregiudizio presunti.

41      Anzitutto, per quanto riguarda le esportazioni dalla Cina, dai paragrafi 58 e 59 della versione non riservata della denuncia emerge, in particolare, che il risultato del calcolo effettuato dal denunciante indica una media ponderata del margine di dumping del 28% e che, di conseguenza, il livello di dumping è considerevole e ben superiore alla soglia de minimis stabilita nel regolamento di base.

42      Per quanto riguarda le esportazioni dalla Russia, dai paragrafi 89 e 90 della versione non riservata della denuncia emerge che il risultato del calcolo effettuato dal denunciante indica un margine di dumping tra il 10‑15% e il 20‑25% e che, di conseguenza, il livello di dumping è considerevole e ben superiore alla soglia de minimis stabilita nel regolamento di base.

43      Per quanto riguarda poi il pregiudizio, che è oggetto del punto 5 della denuncia, risulta, in particolare, dai punti 82, 83, 128, 133, 134 e 147 della versione non riservata della denuncia che esistono elementi di prova prima facie dell’esistenza di pratiche di dumping da parte dei produttori esportatori russi e cinesi di alcuni prodotti piatti di acciaio laminati a freddo che hanno arrecato un pregiudizio all’industria dell’Unione, il che giustificherebbe dunque l’apertura di un’inchiesta antidumping da parte della Commissione e l’imposizione di dazi antidumping il prima possibile.

44      Risulta altresì dai punti 3 e 4 dell’avviso di apertura dell’inchiesta che «i margini di dumping calcolati risultano rilevanti per i paesi interessati» e che «[g]li elementi di prova addotti dal denunciante indicano che il volume e i prezzi delle importazioni del prodotto in esame hanno avuto, tra l’altro, ripercussioni negative sulle quantità vendute, sul livello dei prezzi praticati e sulla quota di mercato detenuta dall’industria dell’Unione, che hanno compromesso gravemente l’andamento generale, la situazione finanziaria e la situazione occupazionale di quest’ultima».

45      Pertanto, la Commissione poteva legittimamente dedurre che le ricorrenti, che sono professionisti accorti, erano informate o avrebbero dovuto essere informate della portata del dumping e del pregiudizio presunti sin dal momento in cui sono venute a conoscenza della denuncia e dell’avviso di apertura dell’inchiesta, senza che tale presunzione sia per questo «iuris et de iure», giacché il fatto che le ricorrenti ne erano informate è stato dedotto sulla base di elementi oggettivi, come si evince altresì dai punti da 53 a 55 infra, e esso non avrebbe potuto essere dimostrato, in particolare, se i margini di dumping presunti fossero stati bassi, se il fascicolo si fosse basato unicamente su un rischio di pregiudizio oppure se la denuncia non avesse soddisfatto le condizioni previste nel regolamento di base, il che avrebbe potuto consentire all’importatore di contestare l’apertura dell’inchiesta e di addurre che la condizione secondo la quale si doveva essere informati non era soddisfatta, come la Commissione ha giustamente rilevato.

46      Inoltre, va ricordato che l’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento di base subordina la riscossione retroattiva dei dazi definitivi, che è concepita come un’eccezione al principio di irretroattività dei dazi antidumping, al ricorrere di varie condizioni cumulative. Occorre, in primo luogo, infatti, che le importazioni siano state preliminarmente sottoposte a registrazione, il che impone già in questa fase che la domanda di registrazione sia debitamente motivata, in secondo luogo, che la Commissione abbia dato agli importatori la possibilità di presentare le loro osservazioni, in terzo luogo, che il prodotto di cui trattasi sia stato oggetto nel passato di pratiche di dumping per un periodo prolungato o che l’importatore fosse informato, o avesse dovuto essere informato, delle pratiche di dumping per quanto riguarda la loro portata e il pregiudizio presunto o accertato e, in quarto luogo, che, oltre al livello delle importazioni che hanno cagionato un pregiudizio nel periodo dell’inchiesta, si sia rilevato un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni che, alla luce della collocazione nel tempo e del volume, nonché di altre circostanze, abbia potuto gravemente compromettere l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo da applicare.

47      Di conseguenza, come rilevato al considerando 41 del regolamento impugnato, sarebbe errato sostenere che, ammettendo che si possa essere informati della portata del dumping e del pregiudizio presunti sulla base della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta e dell’accesso alla denuncia, l’istituzione retroattiva dei dazi sia possibile in ogni singola inchiesta antidumping.

48      Inoltre, accogliere un’interpretazione così restrittiva come quella proposta dalle ricorrenti rischierebbe di rendere eccessivamente difficile l’applicazione retroattiva dei dazi antidumping definitivi e, pertanto, di non permettere di garantire l’applicazione efficace delle misure definitive. Ciò avverrebbe in particolare se si accogliesse l’argomento delle ricorrenti secondo il quale gli elementi di prova contenuti in una denuncia o un avviso di apertura di inchiesta non sono in ogni caso «né rappresentativi né affidabili» al fine di dimostrare che si è informati della portata del dumping.

49      Anzitutto, né il regolamento di base né l’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 GATT (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»), contenuto nell’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), richiedono «elementi di prova affidabili e rappresentativi» per dimostrare che gli importatori erano informati.

50      Poi, la quantità e la qualità degli elementi di prova necessari affinché sia soddisfatta la condizione secondo la quale si deve essere informati, prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base, sono necessariamente inferiori a quelle imposte per una determinazione preliminare o definitiva dell’esistenza di un dumping, di un pregiudizio o di un nesso di causalità tra le importazioni asseritamente oggetto di dumping e il presunto pregiudizio.

51      Inoltre, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento di base, qualsiasi denuncia presentata alla Commissione deve contenere elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra le importazioni asseritamente oggetto di dumping e il presunto pregiudizio.

52      Infine, a norma dell’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento di base, la Commissione esamina, per quanto possibile, l’esattezza e l’adeguatezza degli elementi di prova contenuti nella denuncia, per determinare se siano sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta. Se essa invece ritiene gli elementi forniti siano insufficienti per giustificarne l’avvio, la denuncia è respinta, conformemente all’articolo 5, paragrafo 7, del medesimo regolamento.

53      Nel caso di specie, in primo luogo, si deve constatare che la versione non riservata della denuncia contiene le informazioni richieste all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento di base, vale a dire informazioni sull’esistenza del dumping di cui sarebbero oggetto i prodotti interessati, del pregiudizio che ne deriva e del nesso di causalità tra le importazioni asseritamente oggetto di dumping e il presunto pregiudizio. Inoltre, come rilevato ai punti 41 e 42 supra, la versione non riservata della denuncia indica margini di dumping elevati, stimati al 28% per le importazioni dalla Cina e fino al 20‑25% per le importazioni dalla Russia.

54      In secondo luogo, dall’avviso di apertura dell’inchiesta emerge che la Commissione ha esaminato l’esattezza e l’adeguatezza degli elementi di prova contenuti nella denuncia, conformemente all’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento di base, al fine di determinare se vi fossero elementi di prova sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta. In seguito a tale esame, essa ha concluso che gli elementi di prova erano sufficienti.

55      In terzo luogo, nell’avviso di apertura dell’inchiesta è parimenti riportato che «i margini di dumping calcolati risultano rilevanti per i paesi interessati» e che «[g]li elementi di prova addotti dal denunciante indicano che il volume e i prezzi delle importazioni del prodotto in esame hanno avuto, tra l’altro, ripercussioni negative sulle quantità vendute, sul livello dei prezzi praticati e sulla quota di mercato detenuta dall’industria dell’Unione, che hanno compromesso gravemente l’andamento generale, la situazione finanziaria e la situazione occupazionale di quest’ultima».

56      Alla luce delle considerazioni che precedono, è necessario concludere che, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, gli elementi di prova contenuti nella versione non riservata della denuncia e nell’avviso di apertura dell’inchiesta erano sufficienti nella specie perché gli importatori, i quali sono professionisti accorti, fossero informati della portata del dumping presunto, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento di base, dal momento dell’apertura dell’inchiesta, e che gli argomenti delle ricorrenti basati sull’insufficienza degli indizi contenuti nella versione non riservata delle risposte ai questionari presentati a nome dei produttori esportatori, oltre a essere dedotti per la prima volta in sede di replica, devono essere respinti in quanto inoperanti.

57      La conclusione suesposta non è messa in discussione dall’affermazione generica delle ricorrenti, secondo la quale, prendendo in considerazione gli elementi numerici da esse prodotti dinanzi al Tribunale e che riguardano denunce che hanno dato luogo all’apertura di inchieste antidumping in un passato recente, risulta che i margini di dumping asseriti inizialmente nelle denunce possono differire in modo significativo dai margini definitivi accertati al termine delle medesime inchieste, sicché i margini di dumping asseriti in una denuncia non possono in nessun caso costituire una base affidabile per comprovare che gli importatori erano informati della portata del dumping.

58      Senza che sia necessario esaminare la domanda della Commissione diretta alla rimozione dei suddetti elementi numerici dal fascicolo in assenza di spiegazioni soddisfacenti delle ricorrenti sulla regolarità della loro produzione, è infatti sufficiente rilevare, da un lato, che, come giustamente osservato dalla Commissione, è normale che i calcoli presentati in una denuncia non corrispondano necessariamente a quelli effettuati dalla medesima istituzione in seguito a svariati mesi di inchiesta approfondita e, dall’altro, che, come rilevato ai punti da 50 a 52 supra, la quantità e la qualità degli elementi di prova necessari affinché sia soddisfatta la condizione secondo la quale si deve essere informati, prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base, sono necessariamente inferiori a quelle imposte per una determinazione preliminare o definitiva dell’esistenza di un dumping, di un pregiudizio o di un nesso di causalità, sebbene qualsiasi denuncia debba contenere inoltre elementi di prova di cui la Commissione esamina, per quanto possibile, l’esattezza e l’adeguatezza per determinare se gli elementi in questione siano sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta.

59      Stante quanto precede, occorre respingere la prima parte del primo motivo.

 Sulla seconda parte del primo motivo

60      Con la seconda parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono che da un’interpretazione letterale e sistematica dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base e da un’interpretazione della medesima disposizione in relazione alla struttura e al contesto del regolamento di base, nonché alla luce dell’accordo antidumping, si evince che la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che ogni importatore era o avrebbe dovuto essere realmente informato del fatto che le importazioni erano state oggetto di dumping e della sua portata, anziché limitarsi a dedurre a tale riguardo una presunzione «iuris et de iure» riguardante tutti gli importatori in questione.

61      Le ricorrenti sostengono altresì che la conoscenza di mere affermazioni congetturali è manifestamente insufficiente per dimostrare che la condizione prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base è soddisfatta, tenuto conto della circostanza che tale criterio è volto a garantire il rispetto dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento. Orbene, i principi in questione non sarebbero rispettati se l’importatore non era a conoscenza di informazioni e di dati affidabili quanto al livello del dumping, atteso che il medesimo importatore non può prevedere, quando importa prodotti sottoposti a registrazione, l’importo del dazio definitivo che egli rischia di dover versare vari mesi più tardi e prendere, di conseguenza, una decisione ben motivata. In più, dal momento che l’«esposizione massima» dell’importatore ai dazi successivamente applicati non è nota prima della formulazione di conclusioni provvisorie, ciò contrasterebbe parimenti con il principio della certezza del diritto.

62      Per quanto riguarda i presunti legami delle ricorrenti con il maggior produttore esportatore cinese dei prodotti interessati incluso nel campione, che implicherebbero, secondo la Commissione, che per le ricorrenti la questione dell’essere informate del dumping e della sua portata non si pone neppure, queste ultime sostengono che i legami in questione sono irrilevanti, in quanto, da un lato, esse non hanno importato, durante il periodo di registrazione, i prodotti interessati dalla Cina e, dall’altro, la Commissione non ha dimostrato la fondatezza della propria affermazione secondo la quale esse disponevano di «informazioni di prima mano» per via dei medesimi legami.

63      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

64      Per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che ogni importatore era o avrebbe dovuto essere «realmente» informato dell’esistenza del dumping e della sua portata, è sufficiente ricordare che l’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base prevede espressamente che è sufficiente che l’importatore «[avesse dovuto] essere(…) informato» della portata del dumping e del pregiudizio presunti, il che non richiede pertanto che si provi che il medesimo fosse «realmente» informato. Orbene, nel caso di specie, come è stato dimostrato ai punti da 40 a 58 supra, la Commissione poteva legittimamente ritenere che le ricorrenti fossero informate o avessero dovuto essere informate della portata del dumping e del pregiudizio presunti per effetto della comunicazione della versione non riservata della denuncia e della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta, senza che sia nemmeno necessario esaminare l’argomento della Commissione secondo il quale, nel caso di specie, le ricorrenti disponevano, in ogni caso, di tutte le informazioni necessarie perché si potesse dimostrare il fatto che esse erano informate delle presunte pratiche di dumping sulla sola base dell’esistenza dei legami tra le stesse e il maggior produttore esportatore cinese.

65      In risposta all’argomento delle ricorrenti secondo il quale la versione non riservata della denuncia e l’avviso di apertura dell’inchiesta, che conterrebbero solo «mere affermazioni non contraddittorie», non possono essere assimilati a elementi tali da rendere gli importatori informati della portata del dumping e, pertanto, del livello atteso del dazio antidumping che potrebbe essere riscosso successivamente, il che sarebbe in contrasto con i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, occorre anzitutto rinviare alla valutazione risultante dai punti da 40 a 58 supra per quanto riguarda gli elementi di prova contenuti nella versione non riservata della denuncia e nell’avviso di apertura dell’inchiesta, da cui emerge che gli elementi in questione erano sufficienti per dimostrare che le ricorrenti, in quanto professionisti accorti, erano informate o avrebbero dovuto essere informate della portata del dumping presunto ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base.

66      Per quanto riguarda più nello specifico la censura relativa alla mancata osservanza dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, occorre rammentare che gli importatori sono formalmente avvertiti, mediante il regolamento che sottopone le importazioni a registrazione, dell’eventualità di un’applicazione retroattiva dei dazi antidumping definitivi sulle importazioni registrate e che è impossibile determinare, in una fase anteriore alle misure provvisorie, l’importo massimo del dazio antidumping che potrà essere applicato retroattivamente, non potendo il dazio antidumping definitivo, da parte sua, essere superiore al dazio antidumping provvisorio, come risulta dall’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento di base. Inoltre, come emerge dal considerando 15 del regolamento di esecuzione 2015/2325, quest’ultimo prevede già un importo stimato dei dazi che potrebbero essere riscossi in futuro. Premesso ciò, le ricorrenti non possono invocare una qualsiasi violazione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento per il solo motivo che esse non disponevano di informazioni e di dati sufficientemente affidabili quanto al livello di dumping importando prodotti durante il periodo di registrazione e, pertanto, non potevano valutare l’importo del dazio definitivo che avrebbero rischiato di essere invitate a pagare retroattivamente.

67      Stante quanto precede, occorre respingere la seconda parte del primo motivo e, pertanto, il primo motivo nel suo complesso, in quanto la Commissione non è incorsa in errore nel concludere, al considerando 40 del regolamento impugnato, che gli importatori erano o avrebbero dovuto essere informati del dumping e del pregiudizio presunti al momento della comunicazione della versione non riservata della denuncia e della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta nella Gazzetta ufficiale.

 Sul secondo motivo, vertente su un’erronea valutazione della condizione relativa a un «ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni», prevista all’articolo 10, paragrafo 4, lettera d) del regolamento di base

68      Con il secondo motivo, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha disatteso l’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base ponendo a confronto, ai fini dell’applicazione della medesima disposizione, le importazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta, vale a dire tra l’aprile 2014 e il marzo 2015, con quelle avvenute tra l’intero primo mese successivo alla pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta nella Gazzetta ufficiale e l’intero ultimo mese precedente all’istituzione di misure provvisorie, vale a dire tra il giugno 2015 e il gennaio 2016, laddove la Commissione avrebbe dovuto porre a confronto le importazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta con quelle avvenute durante il solo periodo di registrazione, vale a dire tra il dicembre 2015 e il febbraio 2016, conformemente al sistema in due fasi che prevede prima la registrazione, poi la riscossione retroattiva di dazi unicamente qualora la registrazione non abbia consentito di ridurre considerevolmente le importazioni e di preservare l’effetto riparatore dei dazi definitivi.

69      Secondo le ricorrenti, infatti, l’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, letto alla luce della sua finalità, richiede un rigoroso nesso di causalità tra le importazioni registrate e le importazioni che si ritiene compromettano gravemente l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo da applicare. Orbene, decidere di procedere a una riscossione retroattiva dei dazi sulla base dell’andamento delle importazioni avvenute prima del periodo di registrazione infirmerebbe il nesso in questione. Pertanto, il confronto pertinente sarebbe quello tra il livello delle importazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta e quello delle importazioni effettuate durante il periodo della registrazione, il che sarebbe stato peraltro confermato dalla prassi precedente della Commissione. In assenza di un sostanziale aumento delle importazioni durante il periodo di registrazione, l’istituzione retroattiva di dazi definitivi non può consentire di raggiungere l’obiettivo volto a impedire che l’effetto riparatore dei dazi definitivi sia gravemente compromesso. Nel caso di specie, un simile confronto avrebbe peraltro rivelato l’assenza di aumento sostanziale delle importazioni e, pertanto, che la condizione di cui all’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base non era soddisfatta.

70      Le ricorrenti contestano altresì l’affermazione dell’interveniente secondo cui gli importatori in questione avrebbero aumentato esponenzialmente le importazioni nei nove mesi successivi all’apertura dell’inchiesta, caratterizzati da un aumento del consumo nell’Unione. Le ricorrenti aggiungono che l’interveniente non tiene conto del lasso di tempo trascorso tra l’ordine dei prodotti e il loro sdoganamento effettivo per la loro immissione in libera pratica nell’Unione, che giustifica l’arrivo dei prodotti interessati nel mercato dell’Unione durante i primi mesi successivi alla pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta sebbene siano stati ordinati molto prima di detta pubblicazione.

71      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

72      L’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base richiede, ai fini dell’applicazione retroattiva di un dazio antidumping definitivo, che, «oltre al livello delle importazioni che hanno cagionato un pregiudizio nel periodo dell’inchiesta, si rilev[i] un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni» che, «alla luce della collocazione nel tempo», del volume nonché di altre circostanze, potrebbe gravemente compromettere l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo da applicare.

73      Anzitutto, si deve rilevare che la disposizione summenzionata non indica alcun periodo specifico per determinare l’esistenza di un «ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni», ma si limita a fare riferimento alla loro «collocazione nel tempo». Tuttavia, va constatato che l’impiego da parte del legislatore dell’avverbio «oltre», in riferimento alle importazioni che hanno cagionato un pregiudizio nel periodo dell’inchiesta, e dell’aggettivo «ulteriore», in merito al sostanziale aumento delle importazioni, indica che il livello delle importazioni avvenute durante il periodo dell’inchiesta deve essere posto a confronto con il livello delle importazioni effettuate durante il periodo successivo allo stesso periodo di inchiesta, senza che la disposizione in parola limiti in alcun modo il periodo da prendere in considerazione a quello della registrazione delle importazioni.

74      Come ha giustamente rilevato la Commissione, il periodo rilevante per la valutazione dell’«ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, deve poter comprendere il tempo trascorso dalla pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta, poiché è a partire da tale momento che gli importatori erano stati informati della possibilità che venissero successivamente applicati dazi con effetto retroattivo sulle importazioni registrate e che potevano quindi essere tentati di importare massicciamente i prodotti interessati in previsione della futura istituzione di tali dazi. La Commissione era pertanto legittimata a porre a confronto, nel caso di specie, le importazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta con quelle avvenute tra l’intero primo mese successivo alla pubblicazione dell’apertura dell’inchiesta e l’intero ultimo mese precedente all’istituzione delle misure provvisorie.

75      Inoltre, gli effetti delle importazioni effettuate durante il periodo di registrazione non possono essere distinti con certezza dagli effetti di quelle effettuate prima dello stesso periodo, in quanto le importazioni a basso prezzo entrate nell’Unione durante il periodo di registrazione possono aggiungersi a una scorta accresciuta di prodotti precedentemente accumulata, in un momento in cui gli importatori erano già informati della possibilità che potessero essere applicati retroattivamente dazi antidumping sulle importazioni registrate, contribuendo in tal modo a compromettere gravemente l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo da applicare.

76      Peraltro, neanche l’articolo 10.6 dell’accordo antidumping prevede un periodo specifico per valutare l’esistenza di «importazioni massicce (…) avvenute in un periodo relativamente breve». Al punto 7.167 della sua relazione del 28 febbraio 2001, nella controversia «Stati Uniti – Misure antidumping su alcuni prodotti in acciaio laminati a caldo originari del Giappone» (WT/DS 184/R), il panel dell’OMC ha osservato, a proposito dell’articolo 10.7 del suddetto accordo che autorizza l’adozione di talune misure in qualsiasi momento dopo l’apertura dell’inchiesta, che «[era] possibile prendere in considerazione importazioni massicce che non [erano] state effettuate in tempore non suspectu, ma in un momento in cui era divenuto notorio che un’inchiesta era imminente, per valutare se si [potessero] imporre misure ai sensi dell’articolo 10.7», precisando al contempo che non affrontava «la questione se ciò fosse adeguato ai fini della determinazione finale di applicare retroattivamente dazi in forza dell’articolo 10.6». Come ha giustamente rilevato la Commissione, la succitata relazione avvalora la tesi secondo la quale, ai fini dell’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera c), del regolamento di base, a essere determinante è la circostanza che l’importatore fosse informato dell’apertura dell’inchiesta, il che implica che le importazioni effettuate prima del periodo di registrazione sono rilevanti per valutare l’esistenza di un «ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni» ai sensi della disposizione in parola.

77      Inoltre, per quanto riguarda l’affermazione delle ricorrenti, secondo la quale la Commissione dovrebbe essere autorizzata a prendere in considerazione, ai fini della valutazione dell’esistenza di un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni, le sole importazioni sulle quali la stessa potrebbe successivamente istituire dazi con effetto retroattivo, occorre rilevare che la limitazione dell’effetto retroattivo a quelle che sono state oggetto di una registrazione conformemente all’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento di base mira a preservare i diritti della difesa degli importatori autorizzando la Commissione a istituire retroattivamente dazi antidumping sui prodotti importati unicamente dopo che gli importatori sono stati avvertiti che una simile eventualità si sarebbe potuta verificare per quanto riguarda i prodotti che sono registrati e che essi hanno avuto la possibilità di presentare le loro osservazioni conformemente all’articolo 10, paragrafo 4, lettera b), del regolamento di base, ma non implica che le importazioni effettuate prima del periodo di registrazione, le quali non possono essere oggetto di dazi antidumping, non avrebbero effetti pregiudizievoli o che, in generale, sarebbero irrilevanti ai fini della valutazione dell’esistenza di un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni.

78      Infine, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo cui il lasso di tempo trascorso tra l’ordine dei prodotti interessati e il loro sdoganamento effettivo per la loro immissione in libera pratica giustificherebbe in ogni caso l’arrivo dei prodotti interessati nel mercato dell’Unione durante i primi mesi successivi alla pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta, è sufficiente rilevare che le ricorrenti non dimostrano, con prove concrete e precise, tale affermazione, mentre, come emerge in particolare dai considerando 33, 50 e 51 del regolamento impugnato, è pacifico che più di un milione di tonnellate di prodotti interessati sono stati immessi in libera pratica tra l’avviso di apertura dell’inchiesta e l’inizio del periodo di registrazione durante il quale le importazioni di cui trattasi sono ammontate a circa 165 000 tonnellate. Pertanto, anche l’argomento in esame deve essere respinto.

79      Alla luce di quanto precede, occorre respingere il secondo motivo.

 Sul terzo motivo, vertente sull’interpretazione erronea della condizione secondo la quale l’ulteriore aumento delle importazioni deve poter «gravemente compromettere l’effetto riparatore» del dazio antidumping definitivo da applicare, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base

 Sulla prima parte del terzo motivo

80      A sostegno della prima parte del terzo motivo, le ricorrenti adducono che la Commissione ha erroneamente effettuato una valutazione globale dei dati relativi a vari importatori al fine di verificare se le importazioni potessero «gravemente compromettere l’effetto riparatore» del dazio antidumping definitivo da applicare, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, laddove essa avrebbe dovuto effettuare un’analisi individuale della condotta di ciascun importatore, cooperante o non cooperante, per accertare se questi avesse realizzato un accumulo di scorte e, di conseguenza, se le importazioni avessero potuto contribuire alla presunta «grave compromissione» degli effetti riparatori dei dazi antidumping definitivi. Tenuto conto del carattere dissuasivo della riscossione retroattiva dei dazi antidumping, sarebbe necessario stabilire la responsabilità personale di ciascun importatore e l’obiettivo perseguito potrebbe essere raggiunto soltanto se gli importatori in questione fossero ancora in possesso delle scorte. Orbene, secondo le ricorrenti, se la Commissione avesse effettuato una valutazione individuale della situazione di ciascun importatore, essa avrebbe concluso che le ricorrenti non avevano accumulato scorte prima e durante il periodo di registrazione e avrebbe persino constatato che le loro scorte erano notevolmente diminuite. Le ricorrenti avrebbero rivenduto la quasi totalità dei prodotti soggetti a registrazione prima dell’adozione dei dazi antidumping definitivi.

81      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

82      L’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base subordina l’applicazione retroattiva di un dazio antidumping definitivo alla condizione che si rilevi «un ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni che, alla luce della collocazione nel tempo e del volume, nonché di altre circostanze, potrebbe gravemente compromettere l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo da applicare».

83      Occorre ricordare che l’applicazione retroattiva di un dazio antidumping definitivo mira a garantire che l’effetto riparatore del medesimo dazio non sia gravemente compromesso e che, pertanto, l’industria dell’Unione non subisca un pregiudizio ulteriore. In considerazione di tale finalità, risulta chiaramente che la valutazione della condizione relativa alla constatazione secondo la quale l’ulteriore aumento delle importazioni potrebbe «gravemente compromettere l’effetto riparatore» del dazio antidumping definitivo segue la stessa logica di quella alla base della valutazione del pregiudizio cagionato all’industria dell’Unione.

84      Orbene, la Corte ha dichiarato che il pregiudizio subìto da un’industria stabilita nell’Unione a seguito di importazioni effettuate a prezzi di dumping doveva essere valutato globalmente, senza che fosse necessario, né del resto possibile, determinare in che misura tale pregiudizio fosse imputabile a ciascuna delle società responsabili (sentenza del 7 maggio 1987, Nachi Fujikoshi/Consiglio, 255/84, EU:C:1987:203, punto 46).

85      La Corte ha altresì dichiarato che gli effetti di importazioni provenienti da diversi paesi terzi dovevano essere valutati globalmente e che era giustificato consentire alle autorità dell’Unione di esaminare l’effetto dell’insieme di tali importazioni sull’industria dell’Unione e, di conseguenza, adottare i provvedimenti adeguati nei confronti di tutti gli esportatori, anche se il volume delle esportazioni di ciascun singolo esportatore era relativamente modesto (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 1988, Technointorg/Commissione, 294/86 e 77/87, EU:C:1988:470, punti 40 e 41).

86      Di conseguenza, l’«ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, deve essere valutato globalmente al fine di determinare se le importazioni, considerate nel loro insieme, possano compromettere gravemente l’effetto riparatore dei dazi definitivi e creare quindi un ulteriore pregiudizio per l’industria dell’Unione, senza tener conto della situazione individuale e soggettiva degli importatori interessati.

87      Infine, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il regolamento impugnato non persegue un obiettivo «punitivo». Sebbene infatti, come sostengono queste ultime, l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento di base sancisca il principio di irretroattività delle misure antidumping, varie disposizioni del regolamento di base derogano al medesimo principio autorizzando, a certe condizioni, l’applicazione di misure antidumping a prodotti immessi in libera pratica prima dell’entrata in vigore del regolamento che le istituisce, che sono state registrate in conformità all’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento di base, al solo scopo di evitare che l’effetto riparatore delle misure definitive sia gravemente compromesso e che le misure in questione siano quindi vanificate (v., in tal senso, sentenze del 6 giugno 2013, Paltrade, C‑667/11, EU:C:2013:368, punti 28 e 29, e del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 50). Simili misure retroattive sono accessorie rispetto al regolamento di esecuzione 2016/1328, adottato a seguito dell’inchiesta antidumping, di cui esse condividono la natura e che non riveste un carattere «punitivo» o penale (v., a quest’ultimo riguardo, sentenza del 12 ottobre 1999, Acme/Consiglio, T‑48/96, EU:T:1999:251, punto 30).

88      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere la prima parte del terzo motivo.

 Sulla seconda parte del terzo motivo

89      A sostegno della seconda parte del terzo motivo, in primo luogo, le ricorrenti sostengono che, al fine di determinare se l’effetto riparatore dei dazi antidumping definitivi da applicare sarebbe gravemente compromesso in assenza di riscossione retroattiva dei dazi antidumping in questione, la Commissione avrebbe dovuto porre a confronto le importazioni avvenute durante il periodo dell’inchiesta con quelle effettuate durante il periodo di registrazione e non con quelle avvenute tra la pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta e l’istituzione delle misure provvisorie, giacché, come esse hanno rilevato nell’ambito del secondo motivo, sono le importazioni avvenute durante il periodo di registrazione che dovevano in definitiva essere oggetto della riscossione retroattiva dei dazi. Le ricorrenti sostengono al riguardo che se la Commissione avesse effettuato un simile confronto, essa avrebbe concluso che le importazioni durante il periodo di registrazione non potevano essere tali da compromettere «gravemente» l’effetto riparatore dei dazi definitivi da applicare, in quanto, in particolare, le stesse erano diminuite rispetto alle importazioni effettuate durante il periodo di inchiesta, che non vi erano elementi di prova del fatto che erano state accumulate scorte di prodotti interessati durante il periodo di registrazione e che le ricorrenti avevano dimostrato di non avere in realtà effettuato un accumulo di scorte, che le importazioni rappresentavano meno dello 0,5% del consumo dei prodotti interessati nell’Unione, il quale era in aumento durante il periodo dell’inchiesta, e che il loro volume di 165 000 tonnellate era trascurabile rispetto a un mercato di oltre 37 000 000 tonnellate.

90      In secondo luogo, e in ogni caso, le ricorrenti rilevano, da un lato, che, nel periodo compreso tra la pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta fino all’istituzione di misure provvisorie, il volume medio mensile delle importazioni era soltanto di 31 761 tonnellate ulteriori rispetto a quello osservato durante il periodo dell’inchiesta e, dall’altro, che, durante gli undici mesi successivi al periodo dell’inchiesta, il calo dei prezzi medi mensili all’importazione dai paesi interessati era giustificato dal calo dei prezzi delle materie prime. Inoltre, esse precisano che i prodotti interessati non sono adatti all’immagazzinamento, il che implica che i prodotti importati dopo la pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta e durante il periodo di registrazione erano stati essenzialmente rivenduti addirittura prima dell’istituzione dei dazi antidumping definitivi. Infine, secondo le ricorrenti, per poter concludere che l’effetto riparatore dei dazi antidumping definitivi era gravemente compromesso, sarebbe stato necessario dimostrare che era insufficiente istituire simili dazi per il periodo previsto di cinque anni per poter conseguire l’obiettivo perseguito dai dazi antidumping definitivi in questione, vale a dire ripristinare condizioni di concorrenza eque.

91      Infine, in terzo luogo, le ricorrenti contestano alla Commissione, da un lato, il fatto di aver sostituito la condizione secondo la quale l’ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni doveva poter «gravemente compromettere l’effetto riparatore» del dazio antidumping da applicare con un «criterio di differimento» di tale effetto, che avrebbe una soglia nettamente inferiore in quanto consisterebbe solo nel sapere se, in assenza di riscossione retroattiva di dazi, l’effetto riparatore del dazio antidumping sarebbe solo differito, e, dall’altro lato, il fatto di non aver precisato la portata, la durata e le conseguenze del presunto differimento dell’effetto riparatore.

92      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

93      In primo luogo, in risposta all’argomento delle ricorrenti secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto tener conto delle sole importazioni avvenute durante il periodo di registrazione al fine di determinare se esse potessero compromettere gravemente l’effetto riparatore dei dazi definitivi da applicare, si deve anzitutto ricordare che, come rilevato al punto 77 supra, il fatto che la riscossione retroattiva dei dazi si applica soltanto nei confronti delle importazioni registrate al fine di rispettare i diritti della difesa non significa che le autorità incaricate dell’inchiesta debbano ignorare le importazioni effettuate prima del periodo di registrazione al fine di stabilire se l’effetto riparatore dei dazi definitivi possa essere compromesso.

94      Come rilevato ai punti da 72 a 78 supra, infatti, l’«ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, deve essere valutato dal momento in cui gli importatori erano informati della possibilità che venisse successivamente applicato un dazio antidumping sulle importazioni registrate e i medesimi hanno quindi potuto essere tentati di importare massicciamente i prodotti interessati in previsione della futura istituzione del dazio in questione, il che implica che occorre includere le importazioni effettuate dalla pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta al fine di determinare se esse, considerate insieme alle importazioni avvenute durante il periodo di registrazione, potessero compromettere l’effetto riparatore dei dazi definitivi da applicare. Pertanto, l’argomento in esame dev’essere respinto.

95      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo il quale, durante il periodo compreso tra la pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta fino all’istituzione di misure provvisorie, il volume medio mensile delle importazioni era soltanto di 31 761 tonnellate ulteriori rispetto a quello osservato durante il periodo dell’inchiesta, va rilevato, come ricordato al considerando 27 del regolamento impugnato, che il carattere «sostanziale» dell’aumento è determinato caso per caso, non solo effettuando un confronto tra le medie ponderate mensili delle importazioni avvenute durante il periodo dell’inchiesta e quelle avvenute durante il periodo compreso tra l’avviso di apertura dell’inchiesta e l’istituzione delle misure provvisorie, ma anche tenendo conto di tutte le altre considerazioni del caso, in particolare l’andamento del consumo complessivo dei prodotti interessati nell’Unione, l’evoluzione delle scorte e l’evoluzione delle quote di mercato. Un confronto tra le due medie mensili summenzionate è senz’altro un elemento importante, ma non necessariamente decisivo per determinare se l’ulteriore aumento delle importazioni sia «sostanziale». Di conseguenza, le ricorrenti errano nell’affermare che l’aumento delle importazioni non poteva in alcun caso essere qualificato come aumento sostanziale per il motivo che esso era di sole 31 761 tonnellate ulteriori rispetto alle importazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta, senza tener conto degli altri fattori pertinenti e necessari per la valutazione di cui trattasi.

96      In terzo luogo, per quanto riguarda le affermazioni delle ricorrenti secondo le quali, da un lato, durante il periodo compreso tra l’avviso di apertura dell’inchiesta e la fine del periodo di registrazione delle importazioni, il calo dei prezzi medi mensili all’importazione dai paesi interessati era giustificato dal calo dei prezzi delle materie prime e, dall’altro, i prodotti interessati non sono adatti all’immagazzinamento, occorre ricordare anzitutto che il Consiglio e la Commissione godono, nel settore delle misure di difesa commerciale, di un ampio potere discrezionale per via della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare, sicché il giudice dell’Unione è chiamato a svolgere soltanto un sindacato giurisdizionale limitato (v. sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punti 37 e 43 e giurisprudenza ivi citata).

97      Per quanto riguarda, da un lato, il calo dei prezzi delle materie prime, è stato constatato, al considerando 80 del regolamento impugnato, che il calo dei prezzi delle materie prime non può giustificare una riduzione dei prezzi di vendita superiore al 4%. Un confronto generale del prezzo medio all’importazione dai paesi interessati con il prezzo di vendita medio dell’industria dell’Unione durante il periodo dell’inchiesta e il periodo successivo all’inchiesta dimostra una sottoquotazione del 7% durante il periodo dell’inchiesta, che sale al 14% successivamente a detto periodo. Pertanto, le ricorrenti non possono sostenere che il calo dei prezzi medi mensili all’importazione dai paesi interessati fosse esclusivamente dovuto alla riduzione dei prezzi delle materie prime e che le importazioni in questione non potessero quindi compromettere gravemente l’effetto riparatore del dazio antidumping da applicare.

98      Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’affermazione secondo la quale i prodotti interessati non sono adatti all’immagazzinamento, occorre anzitutto rilevare che questa sola affermazione non è in grado di confutare la conclusione secondo la quale un accumulo di scorte ha effettivamente avuto luogo dopo l’apertura del procedimento. Come constatato al considerando 68 del regolamento impugnato, infatti, l’accumulo delle scorte spesso non è una pratica abituale e ha luogo quando si verificano particolari circostanze e/o aspettative del mercato, ad esempio per quanto riguarda i prezzi futuri dei prodotti in questione. Il fatto che un prodotto non venga solitamente immagazzinato non significa che non possano avere luogo accumuli di scorte quando tali circostanze e aspettative entrano in gioco. In più, in base ai dati forniti dagli importatori e/o utenti dei prodotti interessati, è stato appurato al considerando 52 del regolamento impugnato che, nel complesso per questi ultimi, le scorte alla fine del 2015 erano superiori del 22% rispetto a quelle della fine del 2014. Di conseguenza, in assenza di elementi di prova contro la conclusione che l’ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni potesse indicare un accumulo di ingenti scorte dei prodotti importati, circostanza che anche l’aumento delle scorte summenzionato a sua volta suggeriva, le ricorrenti non hanno dimostrato che la valutazione della Commissione fosse viziata da un errore manifesto.

99      In quarto luogo, l’argomento delle ricorrenti, secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che era insufficiente istituire dazi antidumping definitivi per il periodo previsto di cinque anni per poter ripristinare condizioni di concorrenza eque, dev’essere parimenti respinto. Va infatti ricordato che il periodo di cinque anni durante il quale le misure definitive sono di norma istituite non è definitivo, giacché i dazi definitivi possono, conformemente all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base, essere oggetto di un riesame intermedio dopo almeno un anno dall’istituzione delle suddette misure definitive, il che può pertanto portare alla soppressione dei dazi di cui trattasi in quanto essi restano in vigore solo per il tempo e nella misura necessari per agire contro dumping arrecante pregiudizio. Pertanto, l’applicazione retroattiva dei dazi antidumping definitivi non può essere subordinata a un simile requisito.

100    In quinto luogo, né il «criterio di differimento» utilizzato dalla Commissione per illustrare l’effetto cumulativo delle importazioni effettuate tra l’apertura dell’inchiesta e l’inizio del periodo di registrazione e di quelle effettuate durante il medesimo periodo né l’affermazione secondo la quale il regolamento impugnato non preciserebbe la portata, la durata e le ripercussioni del presunto differimento dell’effetto riparatore che deriverebbe dalla mancata applicazione retroattiva dei dazi antidumping sulle importazioni soggette alla registrazione possono inficiare la legittimità del regolamento impugnato. L’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, infatti, prevede solo che la Commissione determina l’ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni che, alla luce della loro collocazione nel tempo e del loro volume, nonché di altre circostanze, potrebbe gravemente compromettere l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo da applicare. Si ritiene quindi che siano le circostanze summenzionate, nelle quali si inserisce tale ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni, che compromettono gravemente il summenzionato effetto riparatore.

101    Orbene, come risulta, in particolare, dai considerando 31, da 50 a 53, 75, 76, da 79 a 81 e 84 del regolamento impugnato, la Commissione ha proceduto all’esame, oltre che dei fattori menzionati all’articolo 10, paragrafo 4, lettera d), del regolamento di base, in particolare del prezzo dei prodotti importati nonché delle scorte dei prodotti importati prima della registrazione.

102    In primo luogo, infatti, dal considerando 50 del regolamento impugnato risulta che, durante il periodo compreso tra l’intero primo mese successivo alla pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta e l’intero ultimo mese precedente all’istituzione delle misure provvisorie, il volume medio mensile delle importazioni dai paesi interessati è aumentato del 37% rispetto a quello del periodo dell’inchiesta. Inoltre, dal considerando 51 del regolamento impugnato emerge che, nel periodo compreso tra l’intero primo mese successivo all’apertura dell’inchiesta, includendo il mese durante il quale sono state istituite le misure provvisorie, il volume medio mensile delle importazioni dai paesi interessati è aumentato del 27% rispetto alla media mensile del periodo dell’inchiesta. La Commissione ne ha dedotto, al considerando 53 del regolamento impugnato, che si era verificato un sostanziale aumento del volume delle importazioni successivamente all’apertura dell’inchiesta.

103    In secondo luogo, tali importazioni sono avvenute dopo che gli importatori erano stati informati della possibilità che venissero successivamente applicati dazi antidumping con effetto retroattivo, il che coincide con il momento della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta e della comunicazione della versione non riservata della denuncia, e le stesse importazioni sono continuate fino all’istituzione delle misure provvisorie. Si tratta quindi di un periodo durante il quale sono state effettuate importazioni nonostante gli importatori fossero pienamente informati del fatto che era in corso un’inchiesta antidumping e della possibilità che venissero in seguito applicati dazi antidumping.

104    In terzo luogo, dal considerando 79 del regolamento impugnato risulta che, durante gli undici mesi successivi al periodo dell’inchiesta, i prezzi medi mensili delle importazioni dalla Cina e dalla Russia sono diminuiti rispettivamente del 13% e del 12% rispetto ai prezzi medi mensili delle importazioni durante il periodo dell’inchiesta. Come emerge dal punto 97 supra e come ricordato al considerando 80 del regolamento impugnato, se è vero che nello stesso periodo anche i prezzi delle materie prime sono diminuiti, tale circostanza non può tuttavia giustificare una riduzione dei prezzi di vendita superiore al 4%, sicché tale confronto dimostra una sottoquotazione del 7% durante il periodo dell’inchiesta, che sale al 14% successivamente al medesimo periodo. Inoltre, dal considerando 81 del regolamento impugnato risulta in particolare che, durante il periodo di registrazione, i prezzi medi all’importazione dalla Cina e dalla Russia sono diminuiti rispettivamente del 19% e del 24% rispetto ai prezzi medi mensili all’importazione durante il periodo dell’inchiesta. La Commissione ne ha dedotto allo stesso considerando che, per i due paesi congiuntamente, la sottoquotazione nel periodo di registrazione era ulteriormente aumentata raggiungendo in media quasi il 20%. Pertanto, si è verificato un ulteriore calo dei prezzi medi delle importazioni dai paesi interessati.

105    In quarto luogo, dal considerando 52 del regolamento impugnato risulta che le importazioni dei 22 importatori e/o utenti che hanno fornito informazioni sulle importazioni effettuate nel periodo successivo all’apertura dell’inchiesta rappresentavano solo il 46% del totale delle importazioni dai paesi interessati. Nel complesso le informazioni così ottenute mostrano, per tali importatori e/o utenti che hanno collaborato, un incremento del 22% delle scorte di prodotti interessati alla fine del 2015 rispetto alla fine del 2014. Il considerando 84 del regolamento impugnato riporta invece che ha necessariamente avuto luogo un accumulo di scorte in considerazione non soltanto di quanto constatato al considerando 52 del medesimo regolamento, ma anche per via del sostanziale aumento delle importazioni successivo al periodo dell’inchiesta rispetto al livello delle importazioni effettuate prima della pubblicazione dell’avviso di apertura dell’inchiesta.

106    Dai considerando 75 e 76 del regolamento impugnato risulta che questo ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni a prezzi persino inferiori a quelli praticati durante il periodo dell’inchiesta è coerente con un aumento del consumo dell’Unione nel mercato libero del 14% durante il periodo compreso tra l’aprile 2015 e il gennaio 2016, mentre i volumi delle vendite realizzate dai produttori dell’Unione sono rimasti stabili e hanno registrato solo un lieve aumento del 3%. Ciò ha comportato un’ulteriore diminuzione della quota di mercato dell’industria dell’Unione del 7% passando dal 71 al 64%.

107    Pertanto, la Commissione ha potuto giustamente concludere, in particolare ai considerando 86 e 94 del regolamento impugnato, che questo ulteriore e sostanziale aumento delle importazioni, considerato il loro volume, la loro collocazione nel tempo e altre circostanze, ossia il calo dei prezzi e l’aumento considerevole delle scorte, aveva avuto un ulteriore effetto negativo sui prezzi e sulla quota di mercato dell’Unione nell’industria dell’Unione e poteva dunque gravemente compromettere l’effetto riparatore del dazio antidumping definitivo.

108    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere la seconda parte del terzo motivo e, pertanto, il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

109    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione e l’interveniente ne hanno fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, sono condannate a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione e dall’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Stemcor London Ltd e la Samac Steel Supplies Ltd sopporteranno, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea e dall’Eurofer, Association européenne de l’acier, ASBL.

Prek

Buttigieg

Berke

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 maggio 2019.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.