Language of document : ECLI:EU:C:2002:27

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

JACOBS

presentate il 17 gennaio 2002 (1)

Causa C-291/00

S.A. Société LTJ Diffusion

contro

SA SADAS

1.
    Ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva sui marchi d'impresa (2) il titolare di un marchio di impresa registrato può vietare ai terzi di usare nel commercio un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato. Il Tribunal de Grande Instance (Tribunale) di Parigi desidera far stabilire se, a tale scopo, un segno possa essere considerato identico ad un marchio di impresa (a) se esso riproduce solo l'elemento distintivo del marchio o (b) se esso riproduce l'intero marchio con l'aggiunta di altri segni.

Ambito normativo

Legislazione comunitaria

2.
    L'art. 4, n. 1, della direttiva in parola dispone:

«Un marchio di impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo:

a)    se il marchio di impresa è identico a un marchio anteriore e se i prodotti o servizi per cui il marchio di impresa è stato richiesto o è stato registrato sono identici a quelli per cui il marchio di impresa anteriore è tutelato;

b)    se l'identità o la somiglianza di detto marchio di impresa col marchio di impresa anteriore e l'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi d'impresa può dar adito ad un rischio di confusione per il pubblico comportante anche un rischio di associazione fra il marchio di impresa ed il marchio di impresa anteriore».

3.
    Analogamente l'art. 5, n. 1, prevede:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)    un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)    un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa».

4.
    A questo proposito, il decimo ‘considerando’ del preambolo della direttiva stabilisce, fra l'altro, che:

«(...) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d'origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; (...) la tutela è accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; (...) è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione; (...) il rischio di confusione, la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall'associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati, costituisce la condizione specifica della tutela (...)».

5.
    Inoltre, benché non rilevino direttamente nella presente causa, si può notare che gli artt. 8, n. 1, lett. a), e 9, n. 1, lett. b), del regolamento sul marchio comunitario (3) contengono disposizioni sostanzialmente identiche a quelle, rispettivamente, degli artt. 4, n. 1, lett. a) e b), nonché 5, n. 1, lett. a) e b), della direttiva.

6.
    Quindi, una tutela assoluta è concessa ad un marchio di impresa sostanzialmente solo contro altri marchi o segni che siano identici ad esso ed utilizzati per prodotti che siano identici a quelli per i quali esso è stato registrato; altrimenti, deve essere dimostrato anche un rischio di confusione.

La legislazione francese

7.
    In Francia la normativa sui marchi di impresa è codificata nel Code de la Propriété Intellectuelle (Codice della proprietà intellettuale).

8.
    L'art. L.713-2 del detto codice vieta «la riproduzione, l'uso o l'apposizione di un marchio, anche con l'aggiunta di parole come “formula, stile, sistema, imitazione, genere o metodo”, nonché l'uso di un marchio riprodotto per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato».

9.
    L'art. L.713-3 dispone:

«Salvo che il proprietario li abbia autorizzati, sono vietati, se ciò può produrre un rischio di confusione nel pubblico:

a)    la riproduzione, l'uso o l'apposizione di un marchio, nonché l'uso di un marchio riprodotto, per prodotti o servizi simili a quelli per cui il marchio è stato registrato;

b)    l'imitazione di un marchio o l'uso di un marchio imitato, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui il marchio è stato registrato».

10.
    Tali articoli sono stati originariamente introdotti dalla legge 4 gennaio 1991, n. 91-7 (4), che è stata notificata dalle autorità francesi quale trasposizione della direttiva.

Procedura

11.
    LTJ Diffusion è una società francese che produce e vende svariati articoli di abbigliamento e simili con la denominazione commerciale «Arthur», registrata in Francia (ed anche a livello internazionale, per taluni paesi) come marchio di impresa figurativo in una forma distintiva, manoscritta, con un punto al di sotto della «A» iniziale, per prodotti della classe 25 nella classificazione di Nizza (5) (abbigliamento, calzature ed accessori per il capo). Essa utilizza tale denominazione per identificare sia gli articoli che i punti vendita in cui essi sono distribuiti.

12.
    La SADAS è una società che svolge un'attività commerciale di vendita per corrispondenza; vende in particolare abbigliamento per bambini inclusa una gamma denominata «Arthur et Félicie», denominazione che essa ha registrato in Francia come marchio di impresa costituito da parole, per prodotti in una serie di classi, compresa la classe 25, e per il quale essa ha richiesto la registrazione come marchio comunitario. Dai documenti prodotti dalla LTJ Diffusion emerge che il formato grafico in cui tale marchio è utilizzato dalla SADAS non riproduce il tipo di carattere manoscritto in cui è registrato il marchio «Arthur».

13.
    La LTJ Diffusion contesta l'uso da parte della SADAS del marchio «Arthur et Félicie», che essa considera infrangere il proprio marchio «Arthur», così come ha contestato altri marchi che includono tale nome. Essa si è opposta con successo alla registrazione in Francia, da parte di un'altra società, del marchio «Arthur et Nina» per abbigliamento, calzature ed accessori per il capo, e la sua opposizione alla registrazione richiesta dalla SADAS di «Arthur et Félicie» come marchio comunitario è al momento pendente dinanzi alla commissione di ricorso dell'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l'«UAMI»). Tuttavia, le sue opposizioni alla registrazione come marchi comunitari di altri due marchi figurativi che includevano la parola «Arthur» è stata rigettata dalla prima commissione di ricorso dal momento dell'introduzione della presente procedura (6).

14.
    Nella sua azione in giudizio dinanzi al Tribunal de Grande Instance, la LTJ Diffusion contesta l'uso da parte della SADAS del suo marchio francese registrato «Arthur et Félicie», nonché la validità di tale registrazione (7). Essa si basa essenzialmente sugli artt. L.713-2 e L.713-3 del Codice francese della proprietà intellettuale ed in particolare sul modo in cui il primo è stato interpretato nella giurisprudenza e dalla dottrina, nel senso che esso disciplina anche i casi in cui sia riprodotto un elemento distintivo di un marchio complesso, o in cui tale elemento distintivo oppure l'intero marchio sia riprodotto con aggiunte ritenute senza effetti sulla sua identità (8). La SADAS impugna tale interpretazione in quanto in contrasto con le disposizioni della direttiva.

15.
    Il giudice a quo ha sospeso il procedimento e richiede una pronuncia in via pregiudiziale sulla seguente questione:

«Se il divieto previsto dall'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri [in materia di marchi d'impresa], riguardi la sola riproduzione identica, senza alcuna aggiunta od omissione, del segno o dei segni costitutivi di un marchio oppure possa estendersi a:

1)    la riproduzione dell'elemento distintivo di un marchio composto da una serie di segni;

2)    la riproduzione integrale dei segni che costituiscono il marchio allorché vi siano aggiunti nuovi segni».

16.
    Sono state presentate osservazioni scritte dalle parti nella causa principale, dal governo del Regno Unito e dalla Commissione, ciascuno dei quali, unitamente al governo francese, ha esposto osservazioni orali in udienza.

Analisi

Ambito e contesto della questione

- La direttiva

17.
    Come è stata formulata, la questione del giudice a quo si riferisce esclusivamente al diritto del titolare di un marchio di impresa nazionale di vietare l'uso di un segno identico a tale marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per i quali esso è stato registrato [art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva].

18.
    In tale contesto, si può notare che il disposto della normativa francese differisce sensibilmente da quello della direttiva che essa dovrebbe a quanto pare trasporre. Ciò può essere motivo di confusione per i giudici francesi e rendere più difficile applicare tale normativa in conformità alla direttiva. Tuttavia, è evidente, per il diritto comunitario, che un giudice nazionale, il quale si trovi a dover interpretare tale legislazione nazionale, deve farlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva in questione, per conseguire il risultato da questa perseguito (9). Tale principio non è contestato nella presente causa.

19.
    La risposta allo specifico quesito del giudice a quo è relativa anche ai motivi in base ai quali la registrazione di un marchio di impresa può essere rifiutata o dichiarata nulla ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. a), dal momento che il criterio di identità - fra marchi, o fra marchio e segno - è comune ad entrambi i contesti e il sistema della direttiva richiede un'interpretazione uniforme. (Vorrei sottolineare che la nozione di identità in esame si riferisce solo a quella fra marchi, o fra marchio e segno; nel caso di determinazione dell'identità fra prodotti o servizi - questione che non è stata sollevata nella presente causa - diverse considerazioni possono rivestire importanza).

20.
    Ad ogni modo, la pronuncia della Corte non inciderà né sul diritto di vietare l'uso di un segno identico laddove beni o servizi non siano identici ma solo simili, né sulla possibilità di escludere o dichiarare nulla la registrazione nelle medesime circostanze [artt. 4, n. 1, lett. b), e 5, n. 1, lett. b), della direttiva]. In tali casi, in cui debba accertarsi l'esistenza di un rischio di confusione per il pubblico, il fatto che il marchio ed il segno, o i due marchi, siano essi stessi identici piuttosto che simili non ha alcuna importanza, cosicché i contorni precisi della distinzione fra identità e somiglianza non incideranno sul risultato.

- Il regolamento

21.
    Inoltre, come rilevato in precedenza, il regolamento sul marchio comunitario utilizza, agli artt. 8, n. 1, lett. a), e 9, n. 1, lett. a), lo stesso criterio che appare agli artt. 4, n. 1, lett. a), e 5, n. 1, lett. a), della direttiva ed in contesti esattamente equivalenti. Tuttavia, per quanto riguarda le decisioni adottate dall'UAMI, la LTJ Diffusion sostiene che i due insiemi di norme dovrebbero essere interpretati diversamente.

22.
    Essenzialmente essa sostiene, in primo luogo, che non può riconoscersi all'UAMI l'autorità di vincolare i giudici nazionali, in secondo luogo, che in generale le direttive ed i regolamenti non possono essere interpretati nello stesso modo poiché differiscono quanto alla [loro] natura e alle circostanze in cui vengono applicati ed, in terzo luogo, che una direttiva il cui scopo è solo una parziale armonizzazione delle leggi nazionali, il che lascia spazio per criteri diversi, non può essere interpretata allo stesso modo di un regolamento il cui scopo è quello di instaurare un regime comunitario unico ed uniforme.

23.
    Non sono convinto da tali argomenti.

24.
    Sebbene convenga sul fatto che le decisioni adottate dagli organi dell'UAMI nell'ambito del regolamento non possano vincolare i giudici nazionali per quanto riguarda l'interpretazione della direttiva, ciò non significa che tali decisioni debbano necessariamente essere ignorate; esse possono non di meno avere un'autorità persuasiva allorché sono conformi alle pronunce di questa Corte.

25.
    Né tanto meno concordo sul fatto che una direttiva ed un regolamento che utilizzano gli stessi criteri e lo stesso linguaggio in contesti paralleli debbano essere interpretati diversamente semplicemente perché sono di natura diversa. Al contrario, allorché il legislatore comunitario si preoccupa di esprimersi in tal modo - come ha chiaramente fatto nel settore dei marchi di impresa - è invece molto forte la presunzione secondo cui le due misure debbano intendersi come soggette alla stessa interpretazione. Il fatto che esse saranno applicate in situazioni giuridiche e fattuali diverse non attenua tale presunzione.

26.
    Vero è che la direttiva non cerca di standardizzare tutte le norme nazionali sui marchi di impresa, ma semplicemente di ravvicinare quelle disposizioni che hanno un'incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno (10). Tuttavia, la Corte ha statuito che gli artt. 5-7 della direttiva realizzano un'armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio e che essi definiscono pertanto i diritti di cui godono i titolari di marchi all'interno della Comunità (11).

27.
    Inoltre, poiché la registrazione come marchio comunitario deve essere esclusa allorché esso è in contrasto con un marchio nazionale anteriore (12) ma, se valida, conferisce al titolare dei diritti che possono essere fatti valere in tutta la Comunità contro coloro che usino segni identici o somiglianti, è chiaro che il funzionamento del mercato interno sarebbe seriamente messo a repentaglio se i diritti conferiti in ciascun caso dovessero differire in modo significativo.

28.
    In via di principio, quindi, sono dell'avviso che le rilevanti norme parallele della direttiva e del regolamento debbano essere interpretate nello stesso modo.

- Osservazioni conclusive sulla portata e sul contesto

29.
    Infine, potrebbe sembrare che la questione del giudice a quo, in ragione dell'uso che esso fa dei termini «riproduzione», «omissione» e «aggiunta», contempli semplicemente una situazione in cui un contraffattore cerchi in modo specifico di sfruttare un marchio anteriore tramite imitazione, manipolazione o modificazione. Tuttavia, occorre rilevare che la protezione accordata in base alla direttiva non dipende in alcun modo da un simile comportamento, ma trova applicazione anche laddove il contrasto sia il risultato fortuito dell'ignoranza e della completa buona fede.

30.
    Le circostanze rilevanti sono pertanto quelle in cui un segno e un marchio di impresa registrato, o due marchi registrati, sono utilizzati per prodotti o servizi identici, con la conseguenza che il titolare del marchio (anteriore) può esercitare i suoi diritti conformemente alla direttiva senza bisogno di provare alcun rischio di confusione nel pubblico. In tali circostanze, cosa occorre per stabilire se il marchio ed il segno, o i due marchi, siano identici piuttosto che meramente simili?

Significato di «identico»

31.
    I principi sembrano chiari.

32.
    Tutte le parti che hanno presentato osservazioni, ad eccezione della LTJ Diffusion, hanno sostenuto un'interpretazione restrittiva del termine «identico» nel contesto di cui trattasi, ed io concordo. Come sottolinea in particolare la Commissione, sarebbe molto difficile conciliare un'interpretazione ampia con le definizioni che il dizionario dà di tale parola che, in qualunque lingua, sottolineano l'esatta identità delle cose confrontate. Inoltre - aspetto forse più importante - solo un'interpretazione restrittiva risulta coerente con il sistema, la genesi ed il contesto delle norme di cui trattasi.

33.
    Gli artt. 4, n. 1, lett. a), e 5, n. 1, lett. a), della direttiva conferiscono diritti assoluti ai titolari di un marchio di impresa laddove gli elementi rilevanti siano tutti identici; gli artt. 4, n. 1, lett. b), e 5, n. 1, lett. b), conferiscono diritti che dipendono dall'esistenza di un rischio di confusione qualora alcuni elementi siano meramente simili. Il decimo ‘considerando’ del preambolo chiarisce che la tutela del marchio di impresa deve essere intesa come assoluta nel caso di identità, ma che il rischio di confusione è la condizione specifica perché la tutela si applichi in caso di somiglianza. Tale assoluta, incondizionata tutela - che, come sottolinea la Commissione, lascia poca se non nessuna discrezionalità ai giudici nazionali - non dovrebbe evidentemente essere estesa al di là di quelle situazioni per le quali essa è stata prevista se deve essere realizzato lo scopo di assicurare il libero commercio e una concorrenza non falsata nel mercato interno (13).

34.
    Come ha evidenziato il governo francese in udienza, una tutela assoluta ed incondizionata in caso di identità non era prevista nella originaria proposta di direttiva della Commissione (14). In tale proposta il preambolo enunciava che «la tutela accordata ai marchi di impresa è strettamente legata alla nozione di somiglianza di segni, somiglianza di prodotti e servizi ed alla possibilità di confusione che ne può derivare». I diritti conferiti al titolare ai sensi dell'art. 3, n. 1, trovavano applicazione qualora marchi e segni, nonché prodotti o servizi, fossero identici o somiglianti e qualora vi fosse «un grave rischio di confusione» per il pubblico. E' stato nel 1985 che la proposta modificata (15) ha eliminato la condizione di un rischio di confusione nel caso di identità, in seguito, in particolare, al parere del Comitato economico e sociale (16) che aveva osservato: «Non è necessario un rischio di confusione perché l'uso di un marchio identico debba essere vietato (...) Nel caso di segni simili, è nell'interesse di tutti gli operatori economici concentrarsi sul rischio di confusione nel commercio (...)» (17).

35.
    La Commissione e il governo del Regno Unito, inoltre, hanno entrambi fatto riferimento all'art. 16, n. 1, dell'«Accordo TRIPs» (Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio) del 1994 (18), il quale è vincolante per la Comunità e dispone: «In caso di uso di un segno identico per prodotti o servizi identici, si presume che vi sia un rischio di confusione».

36.
    Tali considerazioni non fanno che confermare una conclusione che sembra essere dettata dalla semplice logica.

37.
    Allorché segni o marchi rigorosamente identici sono utilizzati nel commercio per prodotti o servizi identici, è difficile, se non impossibile, immaginare circostanze in cui ogni rischio di confusione possa essere escluso. In tali casi, sarebbe tanto superfluo quanto eccessivo richiedere la prova di tale rischio.

38.
    Ove tuttavia vi sia somiglianza piuttosto che identità, è ragionevole limitare i diritti del titolare del marchio di impresa ai casi in cui un rischio di confusione possa essere accertato, dal momento che, in mancanza di questo, il loro esercizio costituirebbe una restrizione alla libertà degli scambi e alla libera concorrenza, che non potrebbe essere giustificata dall'obiettivo fondamentale del diritto dei marchi di impresa di assicurare che un determinato marchio identifichi senza ambiguità una determinata provenienza (19).

39.
    Sono quindi dell'avviso che la tutela accordata ai titolari di marchi di impresa secondo le norme rilevanti in materia è essenzialmente basata sull'esistenza di un rischio di confusione, la cui prova è superflua allorché entrambi i marchi (o il marchio ed il segno) ed i prodotti interessati non sono meramente simili, ma identici. Gli artt. 4, n. 1, lett. a), e 5, n. 1, lett. a), della direttiva sono destinati a trovare applicazione solo in tali casi, poiché il rischio di confusione può essere presunto senza ulteriori accertamenti.

40.
    Ma ciò non indica ancora dove debba essere posto il confine tra la somiglianza e l'identità.

41.
    L'identità assoluta in ogni dettaglio è chiaramente disciplinata dagli artt. 4, n. 1, lett. a), e 5, n. 1, lett. a). E, in linea di principio, qualunque differenza, sia che si possa considerare nel senso che essa aggiunge, elimina o modifica un qualsiasi elemento, deve comportare la perdita dell'identità.

42.
    Tuttavia è stato giustamente puntualizzato nelle osservazioni presentate alla Corte che possono esservi lievi differenze tra marchi, tali per cui i due marchi non sono rigorosamente identici l'un con l'altro, ma resta non di meno difficile distinguerli l'uno dall'altro.

43.
    Concordo sul fatto che la nozione di identità, benché debba essere interpretata restrittivamente, dovrebbe tenere conto del fatto che il rischio di confusione non diminuisce, e si può quindi sicuramente presumere che esista, salvo che le differenze fra i due marchi, o fra marchio e segno, siano notevoli.

44.
    Come deve essere allora messo in pratica tutto ciò? Come è possibile definire il confine tra ciò che è minimo o insignificante e ciò che è notevole o significativo? La SADAS ha addotto una serie di decisioni di giudici francesi in cui tale confine sembra essere stato esteso in maniera inaccettabile; per non citare che un esempio, sembra che «belle à craquer» sia stato ritenuto infrangere il marchio «elle», sulla base del fatto che esso riproduceva quest'ultimo per intero (20).

45.
    Tuttavia, citando una serie di esempi inglesi e scozzesi per illustrare il suo argomento, il Regno Unito ha messo in guardia la Corte dall'emettere un giudizio nella presente causa il quale potrebbe avere implicazioni impreviste in circostanze fattuali diverse. Esso ha fatto riferimento in generale alla difficoltà di stabilire a priori una norma dettagliata che delineerà sempre la distinzione appropriata fra il significativo e l'insignificante, ed in particolare al possibile uso di designazioni sfacciatamente imitative quali «Imitazione X» (ove «X» sia un marchio protetto). In tali casi, può risultare più problematico fornire la prova di un rischio di confusione - questione disciplinata nella legge francese ma non in causa nel presente procedimento (21). Esso consiglia pertanto l'adozione di un criterio generale che permetterà al giudice a quo di emettere un giudizio corretto nella presente causa, ma che non dovrebbe pregiudicare altri casi diversi, e possa essere affinato successivamente. In udienza, la Commissione ha assunto una posizione molto simile.

46.
    Tenuto conto di tutti questi elementi, a mio avviso in merito all'identità la Corte dovrebbe seguire la linea tracciata riguardo alla somiglianza in particolare dalla sua giurisprudenza nelle sentenze SABEL (22) e Lloyd (23), concentrandosi sulla necessità di una definizione globale degli aspetti visivi, uditivi (anche in vista di possibili nuovi tipi di marchi di impresa come i marchi aromatici, sensoriali o organolettici in senso ampio) o concettuali dei marchi o segni in questione e dell'impressione totale da questi creata, in particolare dai loro componenti distintivi e dominanti, nella percezione del consumatore medio, ovverosia un consumatore che possa essere considerato ragionevolmente informato, osservatore e cauto, pur dovendo spesso affidarsi ad un'immagine imperfetta di un marchio che egli ha tenuto in mente. Ciò significa non che la nozione di identità possa essere attenuata, ma che deve essere definita su tale base.

47.
    Un marchio ed un segno, o due marchi, saranno quindi sempre identici qualora, alla luce di una simile definizione, qualunque differenza sia minima e totalmente insignificante, cosicché il consumatore medio non trovi nessuna differenza rilevante fra entrambi; altrimenti, essi possono essere considerati tutt'al più simili.

48.
    Non è necessario né opportuno, nel contesto della presente causa, esprimere un punto di vista definitivo sul trattamento a tal proposito di un segno come «Imitazione X», nel quale l'elemento «X» considerato isolatamente può essere identico ad un marchio anteriore, mentre «Imitazione X» non lo è. In tali casi, come ho rilevato, potrebbe essere difficile stabilire un rischio di confusione per il pubblico, data la chiara negazione di identità con «X». L'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva potrebbe quindi non applicarsi e, se tali casi andassero anche al di là della portata dell'art. 5, n. 1, lett. a), sembrerebbe difficile impedire ciò che sembra un flagrante abuso. Tuttavia, si può verificare che il consumatore medio percepisca una designazione quale «Imitazione X» non come segno autonomo, bensì come il marchio «X» accompagnato da un elemento estraneo.

49.
    Il giudice a quo dovrebbe pertanto identificare in primo luogo cos'è percepito dal consumatore medio, ragionevolmente informato, osservatore e cauto come marchi rilevanti, o il marchio ed il segno rilevanti, e quindi procedere al giudizio globale sopra descritto al fine di determinare se sussista il rischio che entrambi siano percepiti come identici o meramente simili. Nel primo caso, i diritti del titolare del marchio di impresa potranno essere automaticamente invocabili, mentre, nel secondo, sarà necessario accertare ulteriormente se vi sia un rischio di confusione.

50.
    Non spetta alla Corte applicare tali criteri ai fatti di causa nel procedimento principale, dal momento che la definizione in parola può richiedere una specifica familiarità con situazioni nazionali. Tuttavia, suggerisco che la riproduzione del marchio di impresa «Arthur» della LTJ Diffusion nella stessa forma distintiva, ma senza il punto sotto la «A» iniziale, possa in effetti essere stato percepito dal consumatore medio come identico all'originale (essendo la modifica minima e totalmente insignificante), mentre l'uso di una forma decisamente diversa e/o l'aggiunta di un altro nome potrebbe essere considerato soltanto come simile (essendo tali modifiche sostanziali, quanto meno unitamente considerate).

51.
    Tale tesi - che sembra essere ampiamente sostenuta anche da coloro che hanno presentato osservazioni nella presente causa, ad eccezione della LTJ Diffusion - non è indebitamente restrittiva dei diritti del titolare del marchio di impresa. Anche nel caso in cui il rapporto fra marchi, o fra marchio e segno, non riesca a corrispondere a tale definizione relativamente ristretta di identità, sarà sempre possibile per costui far valere i propri diritti accertando un rischio di confusione. E se un simile rischio non sussiste, allora non vi sarà di regola alcun fondato motivo che gli consenta di impedire la registrazione o l'uso del segno contestato (24).

52.
    In tale contesto, non mi convincono le tesi della LTJ Diffusion secondo cui la sua più ampia interpretazione, da essa preferita, accorderebbe alle imprese più piccole una maggiore protezione contro «l'imperialismo» delle società più grandi. Al contrario, ci si potrebbe attendere che la possibilità di estendere un'assoluta, incondizionata tutela, al di là di ciò che è strettamente identico, sarebbe sfruttato senza remore in primo luogo da quelle imprese che detengono il maggior potere economico. A tal proposito, come ho ricordato nelle mie conclusioni nella causa Procter & Gamble (25), un giudice inglese ha una volta osservato che «Gli operatori facoltosi normalmente sono ansiosi di recintare parte del grande patrimonio comune della lingua inglese e di impedire al pubblico attuale e futuro l'accesso al recinto» (26).

Conclusione

53.
    Alla luce di quanto sopra considerato, sono dell'avviso che la Corte dovrebbe fornire al Tribunal de Grande Instance di Parigi la seguente risposta:

La nozione di identità fra marchio e segno di cui all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 89/104/CEE include la riproduzione identica senza alcuna aggiunta, omissione o modifica, se non quelle minime o totalmente insignificanti.

Per pronunciarsi su tali casi, il giudice a quo deve in primo luogo individuare cosa è percepito, come marchio e segno rilevanti, dal consumatore medio, ragionevolmente informato, osservatore e cauto, e quindi definire globalmente gli aspetti visivi, uditivi ed altri elementi sensoriali o concettuali del marchio e del segno in questione, nonché l'impressione complessiva da questi creata, in particolare dai loro componenti distintivi e dominanti, al fine di determinare se i due segni distintivi siano percepiti da un tale consumatore come identici, nel senso che qualsiasi differenza è minima o totalmente insignificante, o se gli stessi siano percepiti piuttosto come simili, nel senso che le differenze sono maggiori.


1: -     Lingua originale: l'inglese.


2: -     Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989 L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).


3: -     Regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994 L 11, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»).


4: -     JORF del 6.1.1991, pag. 316; v. art. 15 (I) e (II).


5: -     V. l'Accordo di Nizza 5 giugno 1957 relativo alla classificazione internazionale di beni e servizi ai fini della registrazione di marchi, come modificato a Stoccolma il 14 luglio 1967, nonché a Ginevra il 13 maggio 1977, ed emendato il 28 settembre 1979.


6: -     Decisioni 25 luglio 2001 nella causa R 1196/2000-1, LTJ Diffusion/Moorbrook Textiles, e 3 ottobre 2001 nella causa R 433/2000-1, Marc Brown/LTJ Diffusion.


7: -     Risulta da quanto affermato in udienza che, al momento in cui «Arthur et Félicie» è stato registrato come marchio di impresa francese nel 1993, non vi era alcun mezzo procedurale esperibile da parte della LTJ Diffusion per opporsi alla registrazione.


8: -     Gli avvocati francesi fanno riferimento alle nozioni di «contrefaçon partielle» (contraffazione parziale) e di «adjonction inopérante» (aggiunta inefficace). Sia nella dottrina che nella giurisprudenza, l'origine di tali concetti è anteriore alla trasposizione della direttiva nel diritto francese.


9: -     V., ad esempio, con specifico riguardo alla direttiva, sentenza 16 luglio 1998, causa C-355/96, Silhouette International Schmied (Racc. pag. I-4799, punto 36).


10: -     V., in particolare, il terzo ‘considerando’ del preambolo della direttiva.


11: -     V., più recentemente, sentenza 20 novembre 2001 nelle cause riunite da C-414/99 a C-416/99, Davidoff e Levi Strauss (Racc. pag. I-8691, punto 39).


12: -     V. l'art. 8, n. 2, lett. a), sub ii), del regolamento; il contrario - ovverosia, che la registrazione come marchio nazionale deve essere esclusa se vi è contrasto con un marchio comunitario anteriore - discende ovviamente dall'art. 4, n. 1, della direttiva.


13: -     V. il primo ‘considerando’ del preambolo della direttiva.


14: -     GU 1980 C 351, pag. 1.


15: -     GU 1985 C 351, pag 4.


16: -     GU 1981 C 310, pag. 22.


17: -     Punto 4; corsivo nel testo originale.


18: -     Contenuto nell'Allegato I C dell'Accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio («l'Accordo OMC»), approvato a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE (GU 1994 L 336, pag. 1).


19: -     Per una più ampia esposizione su tale obiettivo, v., per esempio, sentenza 17 ottobre 1990, causa C-10/89, HAG GF, detta «HAG II» (Racc. pag. I-3711, punti 13 e 14).


20: -     Benché, in base a quanto sostenuto in udienza dal governo francese, tale orientamento giurisprudenziale sembra essere stato sostituito da una tendenza verso un'interpretazione più ristretta della nozione di identità.


21: -     Vi ho fatto riferimento, in circostanze leggermente diverse, al paragrafo 56 delle mie conclusioni 20 settembre 2001 nella causa C-2/00, Hölterhoff, riferendomi in quel caso alla frase finale dell'art. 6, n. 1, della direttiva e all'art. 3a, n. 1, lett. h), della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole (GU 1984 L 250, pag. 17), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, che modifica la direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa (GU 1997 L 290, pag. 18).


22: -     Sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL (Racc. pag. I-6191, punti 22 e 23).


23: -     Sentenza 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer (Racc. pag. I-3819, punti 18, 25 e 26).


24: -     Anche in questo caso, può essere invocata una maggiore tutela, ai sensi dell'art. 4, n. 4, lett. a), o 5, n. 2, della direttiva, per i marchi che godano di notorietà nello Stato membro interessato.


25: -     V. conclusioni 5 aprile 2001, paragrafo 77, nella causa C-383/99 P, nella quale la sentenza è stata resa il 20 settembre 2001.


26: -     «Perfection»: Joseph Crosfield & Sons' Application (1909), 26 RPC pagg. 837-854, Court of Appeal, per Cozens-Hardy, Master of the Rolls.