Language of document : ECLI:EU:C:2003:225

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

F.G. JACOBS

presentate il 10 aprile 2003 (1)

Causa C-191/01 P

Wm Wrigley Jr Company

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni, modelli)

1.
    Dopo la sentenza nella causa Baby-Dry (2), viene chiesto nuovamente alla Corte di pronunciarsi, in sede di impugnazione (3), in merito alla corretta interpretazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sul marchio comunitario (4). Ai sensi di tale disposizione, i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare le caratteristiche del prodotto interessato sono esclusi dalla registrazione in quanto marchio comunitario.

2.
    Si tratta di decidere, nella fattispecie, se il termine «Doublemint», usato per della gomma da masticare, rientri o meno in tale categoria. L'esame di tale questione offre alla Corte l'opportunità di chiarire, perfezionare e ampliare le indicazioni già fornite sull'interpretazione della medesima disposizione nella causa Baby-Dry. Detta opportunità è tanto più ben accetta in quanto, a mio parere, gli effetti di tale sentenza sono stati largamente fraintesi.

Normativa rilevante (5)

3.
    L'art. 4 del regolamento sul marchio comunitario stabilisce quanto segue:

«Possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma dei prodotti o del loro confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese».

4.
    Ai sensi dell'art. 7:

«1.    Sono esclusi dalla registrazione:

a)    i segni che non sono conformi all'articolo 4;

b)    i marchi privi di carattere distintivo;

c)    i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire, per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

(...)

2.    Il paragrafo 1 si applica anche se le cause d'impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità.

3.    Il paragrafo 1, lettere b), c) e d) non si applica se il marchio ha acquistato, per tutti i prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all'uso che ne è stato fatto».

5.
    A tenore dell'art. 12 del regolamento sul marchio comunitario:

«Il diritto conferito dal marchio comunitario non consente al titolare di impedire ai terzi l'uso in commercio:

(...)

b)    di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o servizio;

(...)

purché questo uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale».

Domanda di registrazione e procedimento in primo grado nel caso in oggetto

6.
    Il 29 marzo 1996 la Wm Wrigley Jr Company (in prosieguo: la «Wrigley») presentava all'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni, modelli) (in prosieguo: l'«Ufficio») una domanda di registrazione del vocabolo «Doublemint» come marchio comunitario per taluni prodotti, gomma da masticare in particolare, in una serie di classi dell'Accordo di Nizza (6).

7.
    All'udienza del presente procedimento di impugnazione, la Wrigley ha dichiarato che la sua domanda di marchio comunitario era diretta a consolidare il proprio «portafoglio» di registrazioni nazionali per lo stesso marchio negli Stati membri e che la registrazione veniva richiesta sostanzialmente per la gomma da masticare, mentre la richiesta per le altre categorie veniva effettuata in vista di possibili estensioni delle sue attività commerciali (7).

8.
    L'esaminatore dell'Ufficio respingeva la domanda, sostenendo che il marchio «consiste esclusivamente nel vocabolo “Doublemint”, che può essere utilizzato in commercio per designare le caratteristiche del prodotto. Il termine “doublemint” può essere definito come l'associazione di due tipi di menta, la menta piperita e la menta verde, che di per sé costituisce un gusto particolare. Il marchio è descrittivo di prodotti che possono avere il sapore di due tipi di menta».

9.
    Il 16 giugno 1999, la prima commissione di ricorso dell'Ufficio respingeva il ricorso presentato dalla Wrigley contro la decisione dell'esaminatore. Secondo la commissione, «Doublemint» era una combinazione di due vocaboli inglesi, senza aggiunta di alcun elemento di fantasia o immaginario, ed era descrittivo di talune caratteristiche dei prodotti in questione, in particolare della loro composizione e del loro sapore di menta, indicando immediatamente ai potenziali consumatori che i prodotti in oggetto contengono menta due volte più del normale o che hanno il sapore di due tipi di menta. La commissione riteneva pertanto che «Doublemint» non potesse essere registrato come marchio comunitario, in forza dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94. Il fatto che non esista un sintagma «doublemint» veniva considerato irrilevante, poiché un neologismo non viene posto in essere semplicemente combinando un aggettivo comune e un sostantivo comune.

10.
    La commissione inoltre non attribuiva rilievo al fatto che sia l'espressione «double» sia l'espressione «mint» hanno significati alternativi. Nel valutare se un marchio sia descrittivo, non è possibile applicare meccanicamente le definizioni del dizionario senza considerare la realtà commerciale o il contesto in cui il marchio dev'essere usato. Un consumatore che veda la scritta «doublemint» su un pacchetto di gomme da masticare o in una pubblicità di gomme da masticare penserà che il prodotto contenga una grande quantità di menta o che ha sapore di menta.

11.
    Il 1° settembre 1999 la Wrigley si rivolgeva al Tribunale di primo grado. Nella sentenza impugnata, il Tribunale sottolineava che, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione i segni che, per la loro natura puramente descrittiva, sono inadatti a distinguere i prodotti di un'impresa da quelli di un'altra impresa. Per contro, i segni o le indicazioni il cui significato supera il carattere esclusivamente descrittivo possono essere registrati come marchi comunitari (8).

12.
    Il Tribunale riteneva che il vocabolo «Doublemint» non fosse puramente descrittivo. Utilizzato in senso elogiativo, l'aggettivo «double» ha un carattere insolito rispetto ad altri termini inglesi quali «much», «strong», «extra», «best» o «finest» (molto, forte, extra, il migliore o superiore). Se combinato con la parola «mint», esso acquista per il potenziale consumatore due significati distinti: «menta due volte più del normale» o «con il sapore di due tipi di menta». Inoltre, «mint» è un termine generico, che comprende la menta verde, la menta piperita e altre erbe culinarie; di conseguenza, esistono diverse possibilità di combinare due tipi di menta e ciò con intensità di sapori variate per ciascuna combinazione (9).

13.
     Secondo il Tribunale, per un consumatore medio di espressione inglese i numerosi significati del vocabolo «Doublemint» s'impongono di per sé, quantomeno in maniera associativa o allusiva, privando così il suddetto termine di qualsiasi funzione descrittiva ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94. Per un consumatore che non padroneggi sufficientemente la lingua inglese, invece, il vocabolo controverso avrà un significato vago e di fantasia (10).

14.
    La conclusione del Tribunale era che «Doublemint», rapportato ai prodotti considerati dalla domanda di registrazione, possedeva un senso equivoco e suggestivo che dava adito a interpretazioni diverse e non consentiva al pubblico interessato di scoprire immediatamente e senza alcun'altra riflessione la descrizione di una caratteristica dei prodotti in oggetto (11). Poiché non si trattava di un vocabolo esclusivamente descrittivo (12), la sua registrazione non poteva essere negata. La decisione della commissione di ricorso veniva quindi annullata. Contro tale annullamento l'Ufficio proponeva il ricorso in oggetto, depositato il 20 aprile 2001.

Giurisprudenza: sentenze Chiemsee e Baby-Dry

15.
    Due pronunce della Corte hanno una rilevanza particolare nel caso in oggetto: si tratta delle sentenze Windsurfing Chiemsee (13) e Baby-Dry (14).

16.
    La causa Windsurfing Chiemsee verteva sull'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva sui marchi d'impresa (15), identico nel tenore letterale all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento, ma applicabile ai marchi d'impresa nazionali anziché comunitari. Una delle questioni sollevate era se il termine «Chiemsee», nome di un lago della Baviera, potesse essere registrato come marchio di abbigliamento sportivo venduto in loco o se, trattandosi di un termine di origine geografica, ne fosse esclusa la registrazione in forza dell'art. 3, n. 1, lett. c), in particolare alla luce del principio di diritto tedesco del Freihaltebedürfnis (letteralmente, imperativo di disponibilità), in base al quale la registrazione viene negata solo quando sussiste un imperativo concreto, attuale o serio di mantenere un termine a disposizione anche di altri operatori commerciali.

17.
    Al punto 25 della sentenza, la Corte ha dichiarato che «l'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle categorie di prodotti o servizi per le quali si chiede la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti, anche come marchi collettivi o all'interno di marchi complessi o grafici». Tuttavia, ai punti 29-35 essa concludeva che lo scopo era più ampio di quello del Freihaltebedürfnis nel diritto tedesco e che l'applicazione dell'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva non dipendeva dall'esistenza di un imperativo concreto, attuale o serio di lasciar libero un segno o un'indicazione, bensì piuttosto dal fatto che tale segno o indicazione «possano servire in commercio» a designare (nel caso di specie) la provenienza geografica.

18.
    Nella causa Baby-Dry veniva discussa l'interpretazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento riguardo ad un marchio avente caratteristiche in qualche modo analoghe a quelle di «Doublemint». In seguito al rifiuto di registrazione come marchio comunitario, il Tribunale di primo grado aveva sostanzialmente confermato il parere della commissione di ricorso secondo il quale, poiché i termini «baby» e «dry» possono entrambi essere utilizzati per designare caratteristiche dei pannolini per bambini, un marchio costituito unicamente da questi due vocaboli non poteva essere registrato per i suddetti prodotti, in forza dell'art. 7, n. 1, lett. c).

19.
    Nelle conclusioni da me presentate nel procedimento di impugnazione di tale sentenza dinanzi alla Corte, ho dichiarato, innanzi tutto, che un marchio comunitario può contenere termini descrittivi, ma non può essere costituito unicamente da essi (16). Inoltre, ho sottolineato che la marca «Baby-Dry» conteneva elementi aggiuntivi rispetto ai termini descrittivi «baby» e «dry», come la natura estremamente ellittica dell'indicazione, la sua struttura inusuale e la sua refrattarietà a qualunque analisi grammaticale intuitiva che ne renda immediatamente chiaro il significato. Infine, «Baby-Dry» era un vocabolo inventato, il che ne rendeva improbabile l'impiego in commercio come termine descrittivo, e poteva inoltre alludere a numerosi e assai diversi tipi di prodotto, perdendo il suo carattere descrittivo riguardo ai pannolini per bambini. L'aver omesso di prendere in considerazione questi elementi costituiva pertanto un errore di diritto (17).

20.
    Nella sentenza, la Corte ha dichiarato che lo scopo dell'art. 7, n. 1, lett. c), è di evitare che siano registrati come marchi segni o indicazioni che, data la loro identità con modalità abituali di designazione dei prodotti o dei servizi considerati o di loro caratteristiche, non consentirebbero di svolgere la funzione di identificazione dell'impresa che li immette nel mercato (18). Questi segni e indicazioni sono quelli che, in un uso normale dal punto di vista del consumatore, possono servire a designare tali prodotti o servizi direttamente o tramite la menzione di una delle loro caratteristiche essenziali. Un marchio che contenesse tali segni ed indicazioni non dovrebbe essere escluso dalla registrazione qualora contenga altri segni od altre indicazioni, ovvero se i segni e le indicazioni a carattere esclusivamente descrittivo siano presentati o disposti in modo da distinguere l'insieme ottenuto dalle modalità abituali di designazione dei prodotti o dei servizi considerati o delle loro caratteristiche essenziali (19).

21.
    Per quanto riguarda i marchi composti di parole, il carattere descrittivo dev'essere constatato non solo per ciascuno dei termini considerati separatamente, ma anche per l'insieme che essi compongono. Ogni scostamento percettibile nella formulazione del sintagma presentato per la registrazione rispetto alla terminologia impiegata, nel linguaggio corrente della categoria interessata di consumatori, per designare il prodotto od il servizio o le loro caratteristiche essenziali è atto a conferire a tale sintagma un carattere distintivo che gli permette d'essere registrato come marchio (20).

22.
    Poiché un sintagma è inidoneo alla registrazione come marchio comunitario se presenta un carattere unicamente descrittivo in una delle lingue usate nel commercio all'interno della Comunità, si poneva il problema se, dal punto di vista di un consumatore di lingua inglese, un sintagma come «Baby-Dry» potesse essere percepito come un modo normale per designare tale prodotto o per presentare le sue caratteristiche essenziali nel linguaggio comune. Anche se ciascuno dei due termini può far parte di espressioni proprie del linguaggio quotidiano per designare la funzione di pannolini per bambini, la loro giustapposizione, inusuale nella sua struttura, non costituisce un'espressione nota della lingua inglese per designare i pannolini o per presentare le loro caratteristiche essenziali. Il Tribunale aveva pertanto commesso un errore di diritto e tanto la sua sentenza quanto la decisione della commissione di ricorso sono state annullate (21).

Principali osservazioni presentate nel procedimento in oggetto

23.
    Sia il ricorso sia il controricorso nella causa in oggetto sono stati depositati nelle more tra la presentazione delle conclusioni e la pronuncia della sentenza nella causa Baby-Dry. Successivamente a tale sentenza, sia la Germania sia il Regno Unito hanno presentato memorie di intervento a sostegno dell'Ufficio.

24.
    Nel suo ricorso, l'Ufficio ammette che l'art. 7, n. 1, lett. c), non comprende il principio tedesco del Freihaltebedürfnis, ma ritiene che occorra tenere in considerazione la ratio, sottesa al suddetto principio, relativa al pubblico interesse. Esso respinge altresì l'idea che l'art. 12, lett. b), sia sufficiente a tutelare l'uso corretto di termini descrittivi quando vocaboli collegati vengono registrati come marchi: sarebbe pertanto necessario fare un cernita di questi marchi all'atto della registrazione.

25.
    Nel decidere se un marchio rientri nell'art. 7, n. 1, lett. c), il primo passo consiste nello stabilire se sia immediatamente (normalmente, spontaneamente) evidente per un consumatore medio il fatto che i termini impiegati hanno carattere descrittivo delle caratteristiche dei prodotti interessati. Il fatto che un termine possa avere più significati non è rilevante, dal momento che questi sono tutti descrittivi. Inoltre, non è necessario che un segno sia già impiegato in modo descrittivo in commercio, o che sia di fatto descrittivo, ma soltanto che sia idoneo ad essere utilizzato in tal modo e ad essere percepito dal consumatore interessato come descrittivo di una delle caratteristiche del prodotto. Il passo successivo consiste nel verificare se il marchio consista esclusivamente dei suddetti elementi descrittivi - in altre parole, se non sussistano altri elementi, in particolare figurativi, grammaticali o semantici, che possano rendere distintivo un segno altrimenti descrittivo.

26.
    Il Tribunale ha ragionato nel modo seguente: (i) i termini «double» e «mint» sono entrambi ambigui, e lo sono ancor più se combinati; (ii) i numerosi significati del sintagma «Doublemint» sono immediatamente evidenti per un consumatore medio di lingua inglese e non gli consentono quindi di scoprire immediatamente e senza alcun'altra riflessione la descrizione di una caratteristica; (iii) di conseguenza, il termine non può essere considerato come esclusivamente descrittivo.

27.
    Questo ragionamento è errato perché (i) l'ambiguità è inferiore a quanto suggerito; (ii) un consumatore medio di gomma da masticare non percepisce tale ambiguità come relativa al messaggio che descrive un sapore di menta in qualche modo raddoppiato; e (iii) il problema non è di verificare se il sintagma sia di per sé esclusivamente descrittivo, ma se sia composto esclusivamente di elementi che sono descrittivi.

28.
    Secondo la Wrigley, una combinazione di vocaboli dev'essere valutata alla luce dell'art. 7, n. 1, lett. c), considerando se nella sua esatta formulazione essa formi un segno dotato di caratteristiche esclusivamente descrittive con riguardo ai prodotti o servizi di cui trattasi, ossia un segno che, in modo chiaro, inequivoco, pieno ed esclusivo, sia descrittivo di determinate caratteristiche. Un buon metodo è quello di verificare se la combinazione di vocaboli venga impiegata nel linguaggio comune per riferirsi ai prodotti o ad una loro caratteristica. Se non è così, questo indica che essa non consiste esclusivamente di segni che possono essere impiegati in commercio per indicare il tipo, la qualità, la quantità o qualunque altra caratteristica del prodotto di cui trattasi. Non è importante che ciascun elemento del sintagma possa di per sé sembrare appartenente al linguaggio quotidiano: il problema è se la combinazione sia stata o possa essere utilizzata come descrizione del prodotto e se un soggetto ragionevolmente informato, attento e prudente, ossia il consumatore medio, possa considerare il marchio proposto come una pura e semplice descrizione di una determinata caratteristica oppure, nell'ambito del linguaggio quotidiano e prescindendo da analisi grammaticali, come un termine di fantasia che come tale non fa parte del linguaggio comune.

29.
    Con riguardo alla gomma da masticare, si pone il problema se, nell'ottica del consumatore medio, il marchio in questione possa apparire come una marca sulla confezione o come una descrizione di determinate caratteristiche del prodotto. Se esso appare come un termine di fantasia, la cui struttura grammaticale non rende immediatamente chiaro il significato esatto, ovvero se permane una qualunque ambiguità sulle precise caratteristiche descritte, si tratterà di un vocabolo allusivo e non esclusivamente descrittivo.

30.
    Può essere che l'art. 7, n. 1, lett. c), non abbracci pienamente il concetto di Freihaltebedürfnis; esso però comprende la necessità che i vocaboli descrittivi vengano mantenuti liberamente disponibili. Tuttavia, ciò vale solo allorché sussista una necessità ragionevolmente chiara e prevedibile per i concorrenti di utilizzare quello specifico vocabolo per descrivere caratteristiche dei loro prodotti. In circa cento anni da quando «Doublemint» è stato registrato per la prima volta come marchio negli Stati Uniti, compresi molti anni di registrazione nella Comunità, nessun concorrente ha cercato di impiegare tale termine in maniera descrittiva: questo è un ottimo indizio del fatto che tale vocabolo non è unicamente descrittivo e non che non vi è bisogno che esso sia mantenuto di dominio pubblico.

31.
    Citando la sentenza impugnata e le conclusioni relative alla causa Baby-Dry, la Wrigley sostiene che la combinazione «Doublemint» è ellittica e non si presta ad un'analisi grammaticale intuitiva. Essa ha una molteplicità di significati di non facile interpretazione: non esiste uno modello di «menta singola» che possa fungere da unità di misura; la prima impressione di un consumatore medio è quella di una marca e non di una descrizione.

32.
    Secondo il governo tedesco «Doublemint» è un termine composto, conforme alle regole linguistiche - regole che sono sostanzialmente identiche in tedesco, ragion per cui il problema si pone anche riguardo ai consumatori di lingua tedesca, i quali potrebbero assimilare «Doublemint» all'equivalente tedesco «Doppelminze». Tale termine composito indica semplicemente in maniera oggettiva che i prodotti hanno un doppio (particolarmente forte) sapore di menta oppure contengono due varietà diverse di menta: in tal modo, esso è immediatamente descrittivo della loro composizione materiale. Il termine di fatto viene utilizzato in commercio, con questi significati, per descrivere una varietà di prodotti. Il fatto che si possa esitare riguardo a quale dei due significati ci si riferisce non è rilevante, poiché entrambi descrivono caratteristiche dei prodotti.

33.
    Il Regno Unito sostiene che lo scopo dell'art. 7, n. 1, lett. c), è di impedire che segni o indicazioni descrittivi di caratteristiche, o semplicemente idonei a siffatto uso descrittivo nell'impiego ordinario da parte di un consumatore medio, vengano utilizzati come marchi da un'unica impresa. Nel pubblico interesse, dovrebbero essere liberamente disponibili - e l'art. 12 non costituisce una tutela sufficiente, poiché esso non può impedire che il titolare di un marchio promuova ricorsi per contraffazione privi di fondamento, con notevoli costi per i concorrenti.

34.
    E' difficile conciliare la sentenza Baby-Dry con la sentenza Windsurfing Chiemsee. La Corte ora può voler chiarire che non è necessario che un termine venga usato comunemente in modo descrittivo perché ne sia esclusa la registrazione, ma che può bastare un ragionevole timore che esso venga in tal modo utilizzato in futuro. Inoltre, quando esistono più vocaboli idonei a descrivere le caratteristiche di un prodotto, la registrazione dovrebbe essere esclusa per ciascuno di tali termini.

35.
    Nella sentenza impugnata il regolamento sui marchi è stato erroneamente interpretato sotto quattro profili: (i) la prova che il termine consente al pubblico interessato di individuare, immediatamente e senza bisogno di riflettere ulteriormente, la descrizione delle caratteristiche del prodotto di cui trattasi non esiste nel regolamento ed è eccessivamente restrittiva; (ii) il concetto di «insolito» non dovrebbe essere utilizzato con riferimento all'aggettivo «double» - il criterio stabilito nel regolamento è se il segno sia descrittivo nell'uso normale da parte del consumatore medio; (iii) l'ambiguità di per sé non è sufficiente - un termine non cessa di essere descrittivo perché possiede più di un significato; (iv) il regolamento non richiede che il segno in questione sia esclusivamente descrittivo - «esclusivamente» qualifica «composti» - e un segno che abbia una portata descrittiva, pur non essendo esclusivamente descrittivo, non può essere registrato.

36.
    La Wrigley potrebbe comunque aver diritto alla registrazione sulla base dell'uso prolungato ed effettivo del segno, in forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento, quanto meno per la gomma da masticare, non invece per i «dolci» e il «cioccolato», per i quali essa ha pure chiesto la registrazione.

Valutazione

37.
    Ad un certo livello, la soluzione del ricorso in oggetto sembra pacifica. Com'è stato sottolineato in particolare dall'Ufficio e dal governo del Regno Unito, esistono due evidenti vizi nel ragionamento seguito dal Tribunale di primo grado, che rendono problematico confermare la sentenza impugnata (22).

38.
    In primo luogo, ai punti 31 e 32 della sentenza il Tribunale afferma che la decisione contestata dev'essere annullata perché il vocabolo «Doublemint» «non può essere qualificato come esclusivamente descrittivo», mentre ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), sono esclusi dalla registrazione i marchi «composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare (...) caratteristiche del prodotto o servizio» di cui trattasi.

39.
    In tale disposizione, l'avverbio «esclusivamente» qualifica il participio «composti»: esso si riferisce agli elementi di cui il marchio è costituito e non alla loro idoneità a designare caratteristiche. Perché la registrazione sia esclusa in forza dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi, tutti gli elementi debbono possedere siffatta capacità descrittiva: non è invece necessario che essi non abbiano altri significati, non descrittivi. Una decisione che ammetta la registrazione sulla base di quest'ultimo criterio nell'ambito dell'art. 7, n. 1, lett. c), è, prima facie, errata in diritto.

40.
    Appare comunque necessario esaminare la sentenza impugnata più approfonditamente prima di decidere se debba essere annullata per tale motivo. La succinta formulazione dei punti 31 e 32 può essere dovuta semplicemente ad un'infelice sintesi del criterio corretto. Maggiore importanza ha invece il ragionamento con il quale il Tribunale è pervenuto, nei suddetti punti, alle sue conclusioni.

41.
    Il ragionamento consiste essenzialmente nel fatto che «double» non è un termine elogiativo abituale e che, combinato con il vocabolo «mint», possiede due significati distinti, mentre il termine «mint» di per sé comprende diverse varietà di una determinata pianta. La molteplicità di significati dei due termini combinati è immediatamente evidente per un consumatore medio di lingua inglese, e per questo motivo non è possibile che la loro combinazione abbia una funzione descrittiva. Il sintagma «Doublemint» è pertanto equivoco e suggestivo e non consente al pubblico interessato di scoprire immediatamente e senza alcun'altra riflessione la descrizione di una caratteristica dei prodotti di cui trattasi.

42.
    Qui troviamo il secondo e più grave vizio della sentenza impugnata. Il fatto che i termini «double» e «mint», se combinati, diano origine ad una molteplicità di possibili significati - equivoci o suggestivi che siano - non priva necessariamente la combinazione stessa della sua idoneità ad essere impiegata in commercio per indicare le caratteristiche di un prodotto (come la gomma da masticare).

43.
    Si può subito pensare a molti altri esempi di caratteristiche generali per le quali può essere necessaria un'ulteriore definizione affinché il consumatore sappia con certezza a cosa si riferiscono ma che, ciononostante, rimangono con evidenza caratteristiche del prodotto in questione. Per fare solo un esempio, qualificare un prodotto come «naturale» significa sicuramente far riferimento ad una delle sue caratteristiche, lasciando però al consumatore molti dubbi riguardo all'esatta natura di tale caratteristica, salvo fornire ulteriori dettagli. Infatti, è relativamente difficile trovare «indicazioni che possono servire per designare caratteristiche» che non richiedano, a certi livelli, ulteriori precisazioni.

44.
    Quanto al termine «double», anche se forse non è un termine elogiativo abituale, non è affatto insolito come qualificazione rafforzativa di una caratteristica di un prodotto, nel qual contesto anch'esso può difettare di precisione senza conferire una diversa natura all'intera espressione. Per esempio, può accadere che un consumatore continui a non essere sicuro se un cioccolato al liquore «double» contenga due diversi tipi di liquore (e/o cioccolato) oppure se contenga due volte più liquore (e/o cioccolato) rispetto ad un livello di riferimento generico; tuttavia, lo stesso consumatore sarà praticamente certo del fatto che gli viene indicato che una caratteristica del prodotto (l'ingrediente liquore o cioccolato) è stata in qualche modo raddoppiata o duplicata, anche se non è precisamente o letteralmente così. Il termine in questione può quindi servire in commercio ad indicare tale caratteristica.

45.
    Il problema se una determinata espressione possa servire in commercio a designare le caratteristiche di un particolare prodotto è un problema di fatto, e la Corte non è competente ad annullare una pronuncia del Tribunale su una questione di fatto. Inoltre, possono esistere casi in cui il numero di significati che si possono attribuire ad un termine composto è molto elevato, e l'unico idoneo ad indicare le caratteristiche di un prodotto è particolarmente oscuro e, conseguentemente, di uso improbabile.

46.
    Tuttavia, l'assunto su cui si basa la sentenza impugnata è che la «molteplicità di possibili combinazioni semantiche» impedisce automaticamente che un vocabolo (composto) designi le caratteristiche di un prodotto o di più prodotti per i quali si domanda la registrazione. Tale assunto costituisce un'interpretazione della regola di diritto di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi. A mio avviso, si tratta di un'affermazione generale chiaramente errata.

47.
    Va sottolineato che lo stesso Tribunale l'ha considerata errata nella sentenza Truckcard (23), nella quale ha dichiarato che «per rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, è sufficiente che un segno verbale, almeno in uno dei suoi potenziali significati, designi una caratteristica dei prodotti e dei servizi interessati». Inoltre, il numero di combinazioni semantiche cui si riferisce il Tribunale nel caso in oggetto è ridotto, e nessuna di esse è oscura nel designare le caratteristiche della gomma da masticare.

48.
    La sentenza impugnata potrebbe pertanto essere annullata per questo motivo.

49.
    Nel caso in cui la sentenza fosse annullata, sarebbe ancora necessario decidere se vada accolto o respinto il ricorso iniziale proposto dalla Wrigley al Tribunale. A tal fine, occorre prendere in esame altri argomenti sollevati che, su taluni punti, potrebbero necessitare di una precisazione della sentenza Baby-Dry.

I limiti del «carattere descrittivo»

50.
    La locuzione «carattere descrittivo» viene comunemente usata per indicare l'idoneità di un vocabolo a designare in commercio le caratteristiche di un prodotto, nell'ambito dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi. Si tratta di una comoda abbreviazione di questo concetto, anche se può essere forse preferibile tenere a mente la sostanza dell'esatto criterio, come io stesso tenterò di fare.

51.
    Nelle mie conclusioni relative alla causa Baby-Dry (24) ho sostenuto che l'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi, il quale esclude la registrazione dei segni composti unicamente di elementi che possono essere impiegati in commercio per indicare prodotti o loro caratteristiche, dovrebbe essere interpretato indipendentemente dall'art. 7, n. 1, lett. b), il quale esclude la registrazione di segni privi di carattere distintivo.

52.
    Questa opinione non è condivisa da tutti. Anche se il Tribunale ha tentato di seguire il medesimo approccio, considerando che i due tipi di criteri si accavallano ma restano indipendenti (25), sembra che la Corte, ai punti 40 e 44 della sentenza Baby-Dry, li abbia in qualche modo assimilati.

53.
    Vero è che un termine che può servire in commercio a designare le caratteristiche di un prodotto è quasi certamente privo di carattere distintivo. Tuttavia, continuo a ritenere preferibile non combinare i due criteri, né considerarli come intrinsecamente interdipendenti, nell'ambito normativo del regolamento sul marchio comunitario.

54.
    Non approfondirò oltre la questione, dato che nel caso in oggetto non si discute del rifiuto di registrare il vocabolo «Doublemint» perché manca il carattere distintivo di cui all'art. 7, n. 1, lett. b).

55.
    E' anche vero che la Wrigley ha dichiarato che i consumatori di fatto percepiscono il termine come identificativo di una marca di gomma da masticare, non come descrittivo del suo sapore. Questo argomento, tuttavia, di per sé è di scarso rilievo quanto al problema se «Doublemint» consista esclusivamente di termini che in commercio possono servire a designare una o più caratteristiche di un prodotto. Esso invece potrebbe essere assai importante per l'altro mezzo, plausibile ma di tutt'altra natura, che non è stato sollevato nel procedimento in oggetto, e secondo il quale «Doublemint» ha acquisito carattere distintivo per la marca di gomme da masticare della Wrigley in seguito all'uso che ne è stato fatto, per cui la registrazione potrebbe ben essere possibile in forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento sui marchi.

56.
    Un problema ancor più rilevante nel procedimento in oggetto è se, come la Wrigley sostiene, il contenuto semantico riconosciutamente impreciso di «Doublemint» possa estrometterlo dall'ambito del carattere descrittivo [ossia, dell'art. 7, n. 1, lett. c)] e farlo invece rientrare in quello del carattere semplicemente allusivo o suggestivo.

57.
    E' evidente che occorre tracciare una linea tra i termini che possono essere usati per designare prodotti o loro caratteristiche e quelli che sono semplicemente evocativi di tali caratteristiche. Questi ultimi possono essere registrati e sono ovviamente di grande valore per il titolare del marchio.

58.
    Meno evidente è invece dove esattamente questa linea debba essere tracciata. In ogni caso, vi sarà un momento in cui dev'essere presa una decisione individuale. Si possono però suggerire alcune indicazioni generali.

59.
    Innanzi tutto, è importante non perdere di vista qual è il problema da risolvere: riguardo al prodotto o ai prodotti per i quali si chiede la registrazione, il segno o l'indicazione possono servire in commercio per designare le caratteristiche di cui all'art. 7, n. 1, lett. c)?

60.
    Inoltre, se si considerano la giurisprudenza del Tribunale e le decisioni delle commissioni di ricorso - e di fatto quella di molte giurisdizioni nazionali - diventa evidente che i criteri che sono stati regolarmente applicati, sebbene espressi in formulazioni differenti, rientrano in una serie di categorie omogenee. Non intendo qui di seguito innovare o migliorare questi criteri, ma piuttosto suggerire uno schema entro il quale essi possono essere fatti rientrare, in modo da agevolare la valutazione.

61.
    Sembra ovvio che non esiste una netta distinzione tra indicazioni che designano una caratteristica ed altre che semplicemente vi alludono in modo evocativo. Non esiste un punto preciso in cui un termine all'improvviso passa da una categoria all'altra, ma piuttosto una scala non fissa tra i due estremi, e spesso sarà necessario un elemento di valutazione soggettiva per stabilire a quale dei due estremi il termine è più vicino. Alla luce della prassi e della giurisprudenza esistenti, e al fine di stabilire un grado di oggettività leggermente superiore, suggerirei di valutare una proposta di marchio sotto tre angolazioni, anche se non pretendo che questo elenco abbia carattere definitivo o esaustivo.

62.
    La prima angolazione riguarda il modo in cui un termine si riferisce al prodotto o ad una delle sue caratteristiche. Più la relazione è fattuale ed oggettiva, maggiori saranno le possibilità che il termine venga impiegato come una designazione in commercio: la registrazione sarà allora esclusa in forza dell'art. 7, n. 1, lett. c). Al contrario, più la relazione è di fantasia e soggettiva, maggiori saranno le possibilità che il termine possa essere registrato.

63.
    La seconda angolazione riguarda il modo in cui un termine viene percepito: con quale immediatezza il messaggio viene tramesso? Più il termine è ordinario, definito e comune, più prontamente il consumatore potrà cogliere la designazione di una caratteristica e, conseguentemente, maggiori saranno le possibilità che il termine sia inidoneo alla registrazione come marchio. Se invece è necessaria l'abilità di un appassionato di enigmistica per individuare una qualunque connessione con la caratteristica indicata, le ragioni per rifiutare la registrazione saranno assai deboli.

64.
    La terza angolazione riguarda la rilevanza della caratteristica rispetto al prodotto, soprattutto per il consumatore. Se la caratteristica designata è essenziale o centrale per il prodotto, o se è di particolare importanza per la scelta del consumatore, il diniego di registrazione si imporrà come necessario. Se invece la designazione di una caratteristica è puramente incidentale o arbitraria, tale necessità sarà molto meno evidente.

65.
    Sottolineo però che il problema della precisione, accuratezza o correttezza di fatto solitamente non ha rilievo per l'esame da nessuna delle suddette angolazioni. Come ho già precisato, in pratica qualunque designazione delle caratteristiche di un prodotto può essere precisata maggiormente, ed è ovvio che le descrizioni utilizzate in commercio possono essere menzognere pur continuando a servire per designare le caratteristiche del prodotto - in effetti, è proprio per questo motivo che le descrizioni fuorvianti sono in genere vietate.

66.
    Dopo aver valutato separatamente il marchio candidato alla registrazione sotto ciascuna delle tre angolazioni prospettate, occorre prendere la decisione definitiva. Non si possono dettare regole assolute, ma in generale sembra plausibile che un marchio debba essere escluso dalla registrazione, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), quando, in complesso, sembra essere prossimo all'estremo di «non registrabilità» della scala, tenuto conto delle suddette tre angolazioni oppure se, anche soltanto da una di esse, il marchio appaia particolarmente vicino a quell'estremo (26).

67.
    Applicando questo tipo di ragionamento al termine «Doublemint», la mia conclusione è che l'argomento della Wrigley dovrebbe essere respinto. In primo luogo, il termine composto è un riferimento fattuale ed oggettivo ad un sapore di menta in qualche modo raddoppiato; in secondo luogo, esso è immediatamente percepibile in quanto tale; e, in terzo luogo, questo sapore costituisce una caratteristica saliente del prodotto. L'impossibilità di individuare la varietà o le varietà particolari della menta in questione, così come di capire le modalità esatte del raddoppiamento, non cambia il fatto che il termine designa la caratteristica della «doppia menta».

La frase «composti esclusivamente da» nell'art. 7, n. 1, lett. c)

68.
    La Wrigley, tanto in primo grado quanto in sede di impugnazione, ha poi sostenuto che, mentre i termini «double» e «mint» possono essere utilizzati per designare caratteristiche della gomma da masticare, il sintagma «Doublemint» non è composto soltanto da questi due elementi. Essa fa notare che il termine non si trova nei dizionari, ma che si tratta di un'«invenzione lessicale» della stessa Wrigley (27). Inoltre, come «Baby-Dry», anche «Doublemint» possiede una «natura ellittica», una «struttura inusuale» ed è refrattario «a qualunque analisi grammaticale intuitiva» (28) e i due termini costituiscono una «giustapposizione inusuale nella sua struttura» (29). Secondo la Wrigley, questi sono elementi aggiuntivi che fanno parte del termine, con il risultato che quest'ultimo non è «composto esclusivamente» dagli elementi descrittivi «double» e «mint».

69.
    Come ho già dichiarato nelle conclusioni relative alla causa Baby-Dry, queste caratteristiche costituiscono elementi che dovrebbero essere presi in considerazione quando si valuta un marchio di cui si chiede la registrazione. Tuttavia, la semplice presenza di una o più di tali caratteristiche non implica necessariamente che la registrazione debba essere accordata. Occorre tenere in considerazione anche il grado di natura ellittica, di struttura inusuale e di refrattarietà a qualunque analisi grammaticale intuitiva.

70.
    Nel caso di «Doublemint», queste caratteristiche sono, a mio avviso, di gran lunga meno marcate che nel caso di «Baby-Dry».

71.
    Per un soggetto di lingua inglese, la peculiarità maggiore di «Baby-Dry» è data dall'inversione dell'ordine normale dei termini (30), tale da rendere necessario che il termine sia inserito in una frase più lunga perché acquisisca un senso grammaticale completo e immediato, dato che solo una frase più lunga appare adatta a designare un prodotto come i pannolini o una loro caratteristica.

72.
    «Doublemint», invece, non contiene un'inversione di questo tipo. Il fatto che un aggettivo qualificativo come «double» preceda una caratteristica come «mint» non è insolito dal punto di vista strutturale o sintattico. Né, di conseguenza, la combinazione risulta ellittica sotto il profilo grammaticale o refrattaria a qualsiasi analisi grammaticale intuitiva. Quel poco di carattere ellittico e di refrattarietà all'analisi che essa può presentare sono di ordine essenzialmente semantico più che grammaticale e, come ho già sottolineato, certamente non rendono il termine inidoneo a designare le caratteristiche del prodotto in questione. Infine, anche se «doublemint» come tale può non comparire nei dizionari, il grado di invenzione lessicale dispiegato nella sua creazione si limita, in sostanza, nell'eliminazione dello spazio tra due vocaboli che possono ben essere utilizzati congiuntamente in modo descrittivo.

73.
    Diventa qui rilevante quanto dichiarato dalla Corte al punto 40 della sentenza Baby-Dry: «Ogni scostamento percettibile nella formulazione del sintagma presentato per la registrazione rispetto alla terminologia impiegata, nel linguaggio corrente della categoria interessata di consumatori, per designare il prodotto od il servizio o le loro caratteristiche essenziali è atto a conferire a tale sintagma un carattere distintivo che gli permette d'essere registrato come marchio». Il problema che si pone è la portata precisa di «ogni scostamento percettibile», e potrebbe tornare utile alla Corte chiarire questo concetto nel caso di specie.

74.
    L'avvocato generale Ruiz-Jarabo ha suggerito alcuni criteri chiarificatori in due recenti conclusioni (31). Egli ha sottolineato che l'aggettivo «percettibile» è un termine relativo e non va confuso con «minimo» (32). Per i marchi costituiti di parole egli ha suggerito che «una differenza venga considerata percettibile qualora riguardi elementi importanti della forma del segno o del suo significato. Per quanto concerne la forma, tale differenza può esistere sempreché, per il carattere inusuale o fantasioso della combinazione, il neologismo prevalga sulla somma dei suoi termini. Per quanto riguarda il significato, la differenza, per essere percettibile, dovrà presupporre che l'evocazione prodotta dal segno composto non coincida esattamente con la somma delle indicazioni degli elementi descrittivi» (33).

75.
    In un contesto differente, ancorché collegato, la Corte ha recentemente dichiarato che, ai fini dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva sui marchi, un segno può essere considerato identico ad un marchio qualora, considerato complessivamente, contenga differenze talmente minime da poter passare inosservate ad un consumatore medio (34).

76.
    Analogamente, qualunque differenza tra i termini utilizzati in un marchio di cui si chiede la registrazione e i termini che possono servire in commercio per designare le caratteristiche del prodotto in questione dev'essere più che minima perché la registrazione sia accettata. Se così non fosse, sarebbe possibile registrare qualsiasi marchio che, indipendentemente dagli scopi e intenti pratici, fosse costituito unicamente di termini che possono servire per designare le caratteristiche di un prodotto, salvo qualche minima differenza introdotta al solo scopo di ottenere la registrazione. Questo stato di cose sarebbe evidentemente contrario alla ratio dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi.

77.
    A mio avviso, tuttavia, il grado di differenza necessario per costituire un elemento aggiuntivo in un marchio, in modo che esso non risulti più composto esclusivamente di termini che possono servire in commercio per designare le caratteristiche del prodotto in oggetto, dev'essere maggiore di quello che fa sì che due marchi siano simili e non identici. Il riferimento dell'avvocato Ruiz-Jarabo ad «elementi importanti» della forma o del significato mi sembra quindi una formulazione appropriata, e i suoi ulteriori sviluppi insieme utili e pertinenti. Sotto un profilo leggermente diverso, mi permetto di suggerire che la differenza - ossia, l'aggiunta di almeno un elemento, o la sottrazione di un elemento significativo - dev'essere tale da rendere evidente tanto agli operatori commerciali (35) quanto ai consumatori che il marchio nel suo complesso non è idoneo, nel linguaggio commerciale comune, a designare le caratteristiche del prodotto di cui trattasi.

78.
    L'applicazione di tali criteri ad un caso specifico è necessariamente soggettiva, in certa misura, ma mi sembra che il confine da essi tracciato passi in mezzo ai casi «Baby-Dry» e «Doublemint». Le caratteristiche sintattiche insolite di «Baby-Dry» costituiscono un'aggiunta significativa ai termini lessicali impiegati nella sua composizione, il che non avviene nel caso di «Doublemint». Il primo sintagma, nella forma per la quale viene richiesta la registrazione, non è idoneo, nel linguaggio commerciale ordinario, a designare la natura o le caratteristiche dei pannolini, mentre il secondo si presta all'indicazione delle caratteristiche di prodotti che hanno sapore di menta o profumo di menta.

Il «punto di vista di un consumatore di lingua inglese»

79.
    Al punto 42 della sentenza Baby-Dry la Corte ha affermato che, per valutare un sintagma, ci si deve porre «dal punto di vista di un consumatore di lingua inglese». Nella valutazione di «Doublemint» ho seguito lo stesso criterio - così come ha fatto il Tribunale nella sentenza impugnata.

80.
    Sono stati però sollevati dei dubbi sulla validità di questo metodo (36). Si è fatto notare, ad esempio, che l'inversione dell'ordine normale delle parole nel caso di «Baby-Dry» potrebbe non apparire affatto insolito ad un soggetto di lingua neolatina, e di conseguenza, per questo consumatore, tale caratteristica non costituirebbe un elemento aggiuntivo rispetto ai termini descrittivi impiegati. Ai sensi dell'art. 7, n. 2, del regolamento sui marchi, la domanda dev'essere respinta anche se i motivi che impediscono la registrazione valgono solo per una parte della Comunità. Perciò suppongo che un segno dovrebbe essere valutato alla luce del modo in cui viene percepito dai consumatori in tutti gli Stati membri.

81.
    Sotto un profilo leggermente diverso, il governo tedesco ha sostenuto che nel procedimento di impugnazione in oggetto si dovrebbe tener conto dell'effetto che «Doublemint» ha su un consumatore di lingua tedesca, il quale potrebbe assimilare tale termine al neologismo tedesco «Doppelminze» e considerarlo così come descrittivo.

82.
    Di fatto, questi argomenti non hanno diretta pertinenza con l'approccio che ho adottato nelle presenti conclusioni, dato che la mia analisi porta a considerare che «Doublemint» è in effetti composto esclusivamente di termini che, dal punto di vista di un soggetto di lingua inglese, possono servire in commercio per designare le caratteristiche del prodotto di cui trattasi. Per lo stesso motivo, tuttavia, gli stessi argomenti avrebbero potuto essere di maggior rilievo se la mia analisi avesse condotto alla conclusione opposta. Potrebbe quindi essere utile esaminarli brevemente.

83.
    Innanzi tutto, è evidente che, quando si introduce una domanda di registrazione di un marchio composto da termini appartenenti ad una lingua utilizzata in commercio nella Comunità, il primo passo della valutazione ex art. 7, n. 1, lett. c), dev'essere effettuato dal punto di vista di un soggetto che abbia la suddetta lingua come lingua madre. Se in questa fase appare evidente che i termini possono essere impiegati in commercio per designare le caratteristiche dei prodotti di cui trattasi, non sarà necessario considerare la posizione di soggetti di madrelingua diversa (37).

84.
    Sia nel caso di Baby-Dry sia in quello di Doublemint, l'Ufficio (tanto l'esaminatore quanto la commissione di ricorso) ha deciso sulla base della lingua inglese. In nessuno dei due casi il Tribunale ha considerato la situazione - né gli era stato chiesto di farlo - dal punto di vista di soggetti di madrelingua diversa. Di conseguenza, non appare opportuno che la Corte, in sede di impugnazione, proceda ad un esame sotto tale punto di vista. Qualora ciò sia rilevante, sarà compito dell'Ufficio agire in tal senso, se la causa gli verrà rinviata.

85.
    Peraltro, in taluni casi può essere necessario che un segno composto di termini appartenenti ad una certa lingua venga valutato attraverso gli occhi (o le orecchie) di un consumatore comunitario che parla una lingua diversa.

86.
    Per esempio, la parola inglese «handy», che significa maneggevole, potrebbe essere considerata come un possibile marchio denominativo, o parte di un marchio, per un telefono cellulare. Tuttavia, poiché tale termine è comunemente utilizzato in Germania per designare un telefono cellulare, non potrebbe essere registrato come marchio comunitario. Analogamente, un termine tratto da una data lingua può assumere un significato o una connotazione diversi in un'altra: il vocabolo inglese «smoking» in inglese non designa una caratteristica dell'abito da sera formale maschile, mentre in francese, in tedesco o in italiano esso sta ad indicare quello che in inglese viene chiamato «dinner jacket» o «tuxedo» (per quanti chiamano i pannolini per bambini «diapers», all'americana).

87.
    Non è così, tuttavia (come è stato suggerito in relazione alla sentenza Baby-Dry) quando soggetti che parlano una certa lingua, i quali sanno che un termine appartiene ad una lingua diversa, possano non percepirne l'originalità nella seconda lingua perché applicano a tale termine caratteristiche della loro lingua madre. Non sembra opportuno assumere come parametro usuale un consumatore alle prese con una non perfetta conoscenza di una lingua straniera.

88.
    E' inoltre importante, a mio avviso, considerare che l'esistenza di un marchio costituito di termini tratti da una lingua non impedisce agli operatori commerciali che usano una lingua diversa di servirsi di termini con cui vorrebbero designare le caratteristiche dei loro prodotti nella loro propria lingua - fatto salvo, naturalmente, quanto ho poc'anzi detto a proposito dei termini che, almeno nella forma, sono comuni a più di una lingua.

89.
    Per esempio, a prescindere dal modo in cui la marca «Baby-Dry» può essere percepita da chi parla italiano, la gamma di termini italiani con cui i fornitori italiani di pannolini possono descrivere i loro prodotti non viene limitata dall'esistenza della suddetta marca più di quanto lo sarebbe la gamma di termini a disposizione di produttori inglesi o irlandesi di pannolini se esistesse una marca puramente descrittiva come (in italiano) «Pannolino». E' difatti per questo motivo, come sottolineato dall'agente dell'Ufficio in udienza, che molti uffici nazionali di marchi non tengono conto del significato che i vocaboli hanno in una lingua straniera quando esaminano una domanda per un marchio nazionale.

90.
    Pertanto, la valutazione ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), non si dovrebbe basare sul problema se in una parte della Comunità si possa ritenere che un termine appartenente ad una lingua usata in un'altra parte della Comunità (38) designi le caratteristiche di un prodotto, in modo che qualunque caratteristica innovativa o inusuale nella struttura grammaticale o semantica di un marchio dovrebbe superare il test del carattere innovativo e inusuale in entrambe le parti della Comunità.

Disponibilità per l'uso comune

91.
    Quest'ultima considerazione mi porta al problema dell'ampiezza con cui l'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi va interpretato alla luce dello scopo cui fa riferimento la sentenza Windsurfing Chiemsee, ossia che i segni e le indicazioni descrittive siano liberamente disponibili per essere utilizzati da tutti gli operatori commerciali in relazione con i prodotti interessati.

92.
    Nelle mie conclusioni relative alla causa Baby-Dry (39) ho seguito l'approccio per cui, nello schema del regolamento sul marchio comunitario, un marchio può contenere segni o indicazioni che designano caratteristiche di un prodotto, ma non può consistere esclusivamente di essi. Ai sensi dell'art. 12, lett. b), il marchio non può impedire che altri operatori commerciali usino gli stessi segni a fini descrittivi. Lo scopo dell'art. 7, n. 1, lett. c), è di evitare la registrazione di denominazioni commerciali descrittive che non possono beneficiare di alcuna tutela, anziché quello di impedire il monopolio di termini descrittivi comuni. Un'opinione assai simile è stata adottata dalla Corte al punto 37 della sentenza.

93.
    Nel caso in oggetto, tanto l'Ufficio quanto il governo del Regno Unito hanno espresso riserve su tale approccio, che è stato criticato anche dalla dottrina (40). Come è stato fatto notare, esso sembra distaccarsi da quanto la Corte ha dichiarato nella sentenza Windsurf Chiemsee, ossia che l'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva sui marchi «persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle categorie di prodotti o servizi per le quali si chiede la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti» e che l'art. 6, n. 1, lett. b) [che corrisponde all'art. 12, lett. b), del regolamento], non ha un peso decisivo su tale interpretazione.

94.
    Si potrebbe temere che l'approccio in questione possa compromettere l'equilibrio di poteri a favore di un titolare di un marchio che abbia ambizioni monopolistiche, il quale potrebbe far valere, o minacciare di far valere, i propri diritti contro un presunto «contraffattore» che intenda semplicemente usare termini descrittivi in modo descrittivo e onesto. Nella realtà, una difesa basata sull'art. 12, lett. b), potrebbe valere meno del suo preteso valore giuridico.

95.
    Questo rischio non può essere sottovalutato. Il titolare di un marchio che intenda monopolizzare non solo il proprio marchio ma anche l'area che lo circonda potrebbe minacciare ricorsi infondati contro un concorrente, il quale potrebbe capitolare piuttosto che sostenere i costi di un processo o i rischi di un esito sfavorevole.

96.
    Tuttavia, per le ragioni già esposte, non ritengo che la sentenza Baby-Dry, intesa correttamente, comprometta l'equilibrio nel senso suggerito, e al problema menzionato si potrà ovviare applicando il criterio dello «scostamento percettibile» di cui al punto 40 della sentenza Baby-Dry, come ho già suggerito, per cui un marchio è ammesso alla registrazione solo quando sia evidente, sia per gli operatori commerciali sia per i consumatori, che nel suo complesso esso non è idoneo, nel linguaggio commerciale comune, a designare le caratteristiche del prodotto in questione (41).

97.
    Sembra comunque evidente che nella sentenza Baby-Dry non vi era l'intenzione di discostarsi dal criterio seguito nella causa Windsurf Chiemsee, secondo il quale è interesse generale che i segni descrittivi possano essere liberamente utilizzati da tutti. Proprio recentemente la Corte, nel caso Linde (42), ha esplicitamente ribadito questa posizione.

Registrazione dei marchi nazionali e lista dei prodotti

98.
    Passo, infine, ai due argomenti sollevati dalla Wrigley in primo grado e che possono essere considerati sinteticamente: il fatto che esistano registrazioni del termine «Doublemint» negli Stati membri, in Australia e negli Stati Uniti d'America e il fatto che l'Ufficio abbia omesso di esaminare il termine in relazione alla lista esatta di prodotti per i quali la domanda era stata presentata.

99.
    Per quanto riguarda il primo punto, l'Ufficio non nega che sia suo dovere tener conto della registrazione negli Stati membri o negli Stati terzi come indice della possibilità di registrare, specie quando la lingua del paese di registrazione sia quella del marchio per cui la registrazione viene chiesta. Esso tuttavia sottolinea che questo indice non costituisce necessariamente una prova del fatto che il criterio di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), sia soddisfatto.

100.
    A tal proposito, farei notare che tutte le registrazioni richiamate sono state accordate per marchi figurativi (contenenti elementi aggiuntivi rispetto al termine «Doublemint») o (almeno in origine) in base a norme nazionali non soggette all'armonizzazione tramite la direttiva sui marchi (e che pertanto non costituiscono prova del fatto che il criterio di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento sui marchi è soddisfatto).

101.
    Inoltre, poiché è chiaro che la commissione di ricorso ha effettivamente esaminato l'argomento della Wrigley riguardo al primo punto, non vedo alcun problema nel respingerlo nel presente grado di giudizio.

102.
    Per quanto riguarda il secondo punto, è evidente che la commissione di ricorso ha considerato «Doublemint» alla luce della sua idoneità a designare il sapore come caratteristica di un prodotto. L'Ufficio, senza essere contraddetto, ha dichiarato che il procedimento in oggetto non riguarda la domanda di registrazione riguardo a prodotti rientranti nelle classi 25 e 28, per i quali il sapore non costituisce normalmente una caratteristica saliente. Quanto alle restanti classi di prodotti, sembrerebbe che soltanto i «cosmetici» della classe 3 non possano avere normalmente il sapore (di menta) come caratteristica. Essi potrebbero però avere la menta come altra caratteristica organolettica, e la valutazione, riguardo a questo aspetto, sarebbe identica.

Conclusione

103.
    Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco che la Corte voglia:

1)    annullare la sentenza del Tribunale nella causa T-193/99;

2)    respingere il ricorso nella stessa causa; e

3)    condannare la Wm Wrigley Jr Company a pagare le spese di entrambi i gradi di giudizio.


1: -     Lingua originale: l'inglese.


2: -     Sentenza 20 settembre 2001, causa C-383/99 P, Procter & Gamble/UAMI (Racc. pag. I-6251).


3: -     Contro la sentenza del Tribunale di primo grado 31 gennaio 2001, causa T-193/99, Wm Wrigley Jr Company/UAMI («Doublemint», Racc. pag. II-417: in prosieguo: la «sentenza impugnata»).


4: -     Regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).


5: -     Per un resoconto più approfondito del contesto di tali disposizioni, v. anche parr. 4-15 delle conclusioni da me presentate relativamente alla causa Baby-Dry.


6: -     Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, concernente la classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi. Come specificato nella domanda, la registrazione veniva richiesta per:

    «cosmetici, dentifrici, compresa la gomma da masticare per uso cosmetico (classe 3),

    prodotti farmaceutici, veterinari e igienici, compresa la gomma da masticare per uso medico e la gomma da masticare con additivi medicinali (classe 5),

    articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria (classe 25),

    giochi e giocattoli, articoli per la ginnastica e lo sport (compresi nella classe 28);

    decorazioni per alberi di Natale (classe 28),

    caffè, tè, cacao, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè, farina e preparati fatti di cereali, pane, biscotti, dolci, pasticceria e confetteria, caramelle, gelati; miele; sciroppo di melassa, lievito, polvere per fare lievitare, sale, senape; pepe, aceto, salse (condimenti), spezie; ghiaccio; confetteria e gomma da masticare senza additivi medicinali, confetteria compresa la gomma da masticare, gomma da masticare ricoperta di zucchero, gomma da masticare, confetteria non medicinale, cioccolato, zuccherini, caramelle (classe 30)».


7: -     Va sottolineato che secondo l'Ufficio, il quale sul punto non è stato contraddetto dalla Wrigley, il presente procedimento ha ad oggetto soltanto le domande di registrazione nelle classi 3, 5 e 30, e non quelle nelle classi 25 e 28.


8: -     Punto 20 della sentenza.


9: -     Punti 23-28.


10: -     Punto 29.


11: -     Punto 30.


12: -     Punto 31.


13: -     Sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I-2779).


14: -     Cit. alla nota 2. V. anche le conclusioni presentate dall'avvocato generale Ruiz-Jarabo nelle cause C-363/99, Koninklijke KPN Nederland («Postkantoor»), ancora in attesa di sentenza, e C-104/00 P, DKV Deutsche Krankenversicherung/UAMI («Companyline», Racc. pag. I-7561), cit. al paragrafo 74 delle presenti conclusioni.


15: -     Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).


16: -     Paragrafi 75-81.


17: -     Paragrafi 82-97.


18: -     Punto 37.


19: -     Punto 39.


20: -     Punto 40.


21: -     Punti 41-46.


22: -     Debbo a questo punto attirare l'attenzione su un possibile fraintendimento delle conclusioni da me presentate nella causa Baby-Dry. Al paragrafo 95 di tali conclusioni ho riassunto la sentenza Doublemint del Tribunale e al paragrafo 96 inizio affermando: «(...) questo tipo d'impostazione, che condivido, (...)». Quel che intendevo, però, era condividere un'interpretazione più ampia dell'art. 7, n. 1, lett. c), di cui si hanno esempi nelle numerose pronunce delle commissioni di ricorso e del Tribunale da me citate ai paragrafi 93-95, e non appoggiare lo specifico ragionamento o l'esito delle suddette cause.


23: -     Sentenza 20 marzo 2002, causa T-358/00, DaimlerChrysler/UAMI («Truckcard», Racc. pag. II-1993, punto 31).


24: -     Ai paragrafi 61-74.


25: -     V., per esempio, sentenze 26 ottobre 2000, causa T-345/99, Harbinger Corporation/UAMI («Trustedlink», Racc. pag. II-3525, punto 31), e 27 febbraio 2002, causa T-34/00, Eurocool Logistik/UAMI («Eurocool», Racc. pag. II-683, punto 25). V. anche le conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo nella causa Postkantoor, citata alla nota 14, paragrafo 40.


26: -     Questa impostazione dev'essere ovviamente corretto dal buon senso. Per esempio, per le gomme da masticare vendute in strisce, il termine «Two-Inch» può essere un riferimento puramente fattuale e facilmente comprensibile alla lunghezza della striscia, ma questa caratteristica può essere tanto marginale da superare di gran lunga le prime due scale.


27: -     V. la sentenza Baby-Dry, punto 44.


28: -     V. le conclusioni relative alla causa Baby-Dry, paragrafo 90.


29: -     V. sentenza Baby-Dry, punto 43.


30: -     Come sottolineato con grande erudizione in udienza dall'agente dell'Ufficio, si tratta di un'anastrofe. Vorrei però ribattere all'affermazione da lui fatta, forse per celia, secondo la quale anche «Advocate general» sarebbe un'anastrofe. In inglese, «Advocate General» fa parte di una serie di termini composti familiari e ben definiti, nei quali un sostantivo è seguito dall'aggettivo qualificativo. Solo alcuni tipi di designazione rientrano in questa categoria, e «Baby-Dry» non ne fa parte. Prendiamo ad esempio la famosa e causticamente concisa critica teatrale con cui Dorothy Parker metteva in ridicolo un'insolita inversione: «The House Beautiful is The Play Lousy» («la “Casa bella” è la “commedia scadente”», citata da varie fonti con leggere variazioni, apparentemente comparsa in origine sul The New Yorker nel 1933). Oserei dire che la Parker non avrebbe scelto la stessa formula per esprimere il suo scherno se la commedia si fosse intitolata «The Advocate General», per quanto scadente avesse potuto essere.


31: -     Relative alle sentenze Postkantoor e Companyline, entrambe cit. alla nota 14.


32: -     Conclusioni nella causa Companyline, paragrafo 50.


33: -     Conclusioni nella sentenza Postkantoor, paragrafo 70, con riferimento all'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva sui marchi.


34: -     Sentenza 20 marzo 2003, causa C-291/00, LTJ Diffusion.


35: -     Sembra infatti opportuno considerare un termine «che può essere impiegato in commercio» anche dal punto di vista degli operatori commerciali.


36: -     V., in particolare, le conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo nella sentenza Postkantoor, paragrafo 68 e nota 46; e Annette Kur, «Examining wordmarks after Baby-Dry. - Still [a] worthwhile exercise?», IPR-Info 2001, pagg. 12 e segg., in particolare pag. 14.


37: -     Si confronti, per quanto riguarda il carattere descrittivo, il punto 40 della sentenza Companyline.


38: -     E perché fermarsi alle lingue comunitarie?


39: -     Paragrafi 75-81.


40: -     V., per esempio, Tim Pfeiffer, Descriptive trade marks - The impact of the Baby-Dry case considered, [2002] E.I.P.R., pag. 373.


41: -     Occorre inoltre ricordare che la registrazione di un marchio contenente elementi che possono essere impiegati in commercio per designare le caratteristiche di un prodotto è esclusa, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), solo se esso è composto esclusivamente di tali elementi. L'Ufficio ha registrato un certo numero di marchi denominativi contenenti il termine «mint» per prodotti della classe 30, dove dev'essere chiaro che il termine si riferisce ad una caratteristica del prodotto. Esso ha inoltre registrato, come marchi figurativi, il «Wrigley's Spearmint Chewing Gum» e in effetti anche il «Wrigley's Doublemint Chewing Gum». In tutti questi casi sono presenti elementi aggiuntivi verbali e/o di altro tipo, il che rende possibile la registrazione. La presenza di questi elementi aggiuntivi e il fatto che termini come «mint», «spearmint» e «chewing gum» sono chiaramente idonei a designare le caratteristiche del prodotto, per cui qualunque uso descrittivo da parte dei concorrenti rientrerà, altrettanto chiaramente, nell'ambito dell'art. 12, lett. b), riduce drasticamente le probabilità che il titolare del marchio possa indulgere in intimidazioni del tipo sopra descritto o che un concorrente capitoli di fronte a una simile tattica.


42: -     Sentenza 8 aprile 2003, Linde e.a., cause riunite C-53/01 e C-55/01 (Racc. pag. I-3161, in particolare punti 73 e 74 e punto 2 del dispositivo).