Language of document : ECLI:EU:C:2011:238

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

12 aprile 2011 (*)

«Proprietà intellettuale – Marchio comunitario – Regolamento (CE) n. 40/94 – Art. 98, n. 1 – Divieto di atti di contraffazione pronunciato da un tribunale dei marchi comunitari – Portata territoriale – Misure coercitive disposte insieme a tale divieto – Effetti nel territorio degli Stati membri diversi da quello di appartenenza del tribunale adito»

Nel procedimento C‑235/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia), con decisione 23 giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 29 giugno 2009, nella causa

DHL Express France SAS, già DHL International SA,

contro

Chronopost SA,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot, K. Schiemann, J.‑J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász, U. Lõhmus (relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón

cancelliere: sig. N. Nanchev, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 giugno 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Chronopost SA, dall’avv. A. Cléry, avocat;

–        per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Cabouat nonché dalla sig.ra B. Beaupère‑Manokha, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, dal sig. J. Möller e dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels, in qualità di agente;

–        per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Hathaway, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 ottobre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 98 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3288 (GU L 349, pag. 83; in prosieguo: il «regolamento n. 40/94»).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la DHL Express France SAS (in prosieguo: la «DHL Express France»), succeduta alla DHL International SA (in prosieguo: la «DHL International»), e la Chronopost SA (in prosieguo: la «Chronopost»), nella quale vengono in questione l’uso effettuato dalla società predetta dei marchi comunitario e francese WEBSHIPPING, di cui la Chronopost è titolare, nonché il divieto di tale uso e le misure coercitive disposte insieme a questo divieto.

 Contesto normativo

 Il regolamento n. 40/94

3        I ‘considerando’ secondo, quindicesimo e sedicesimo del regolamento n. 40/94 enunciano quanto segue:

«considerando che, per attuare i citati obiettivi comunitari, risulta necessaria un’azione della Comunità; che tale azione consiste nell’instaurazione di un regime comunitario dei marchi che conferisca alle imprese il diritto di acquisire, secondo una procedura unica, marchi comunitari che godano di una protezione uniforme e producano i loro effetti in tutto il territorio della Comunità; che il principio del carattere unitario del marchio comunitario così enunciato si applica salvo disposizione contraria del presente regolamento;

(...)

considerando che è indispensabile che le decisioni sulla validità e sulle contraffazioni dei marchi comunitari abbiano effetto e si estendano all’insieme della Comunità, essendo questo il solo mezzo per evitare decisioni contrastanti dei tribunali e dell’Ufficio [per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI)] e per impedire che venga pregiudicato il carattere unitario del marchio comunitario; che alle azioni in giustizia relative ai marchi comunitari si applicano le norme della convenzione di Bruxelles relativa alla competenza giurisdizionale e all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale [firmata il 27 settembre 1968 (GU 1972, L 299, pag. 32), “con gli emendamenti apportati dalle convenzioni relative all’adesione a tale Convenzione degli Stati aderenti alle Comunità europee” (in prosieguo: la “Convenzione di Bruxelles”)], salvo che il presente regolamento vi deroghi;

considerando che va evitato che siano rese sentenze contraddittorie in seguito ad azioni in cui siano implicate le stesse parti e che si svolgano per gli stessi fatti sulla base di un marchio comunitario e di marchi nazionali paralleli; che a tal fine, allorché le azioni si svolgono nello stesso Stato membro, i mezzi per raggiungere tale obiettivo vanno cercati nelle norme di procedura nazionali, lasciate impregiudicate dal presente regolamento, mentre, allorché le azioni si svolgono in Stati membri diversi, sembrano adatte delle disposizioni ispirate alle norme in materia di litispendenza e azioni connesse della summenzionata convenzione di Bruxelles».

4        L’art. 1, n. 2, del regolamento n. 40/94 così dispone:

«Il marchio comunitario ha carattere unitario. Esso produce gli stessi effetti in tutta la Comunità: esso può essere registrato, trasferito, formare oggetto di una rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e il suo uso può essere vietato soltanto per la totalità della Comunità. Tale principio si applica salvo disposizione contraria del presente regolamento».

5        L’art. 9 del citato regolamento, intitolato «Diritti conferiti dal marchio comunitario», prevede, al paragrafo n. 1, quanto segue:

«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a)      un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui [questo] è stato registrato;

b)      un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;

c)      un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi».

6        L’art. 14 del medesimo regolamento recita:

«1.      Gli effetti del marchio comunitario sono disciplinati esclusivamente dalle disposizioni del presente regolamento. Inoltre, le contraffazioni di un marchio comunitario sono soggette alle norme nazionali riguardanti le contraffazioni di un marchio nazionale conformemente al disposto del titolo X.

(...)

3.      Le norme di procedura applicabili sono determinate conformemente alle disposizioni del titolo X».

7        Il titolo X del regolamento n. 40/94, intitolato «Competenza e procedura concernenti le azioni giudiziarie relative ai marchi comunitari», comprende gli artt. 90‑104.

8        L’art. 90 del suddetto regolamento, riguardante l’applicazione della Convenzione di Bruxelles, dispone quanto segue:

«1.      Salvo disposizione contraria del presente regolamento, alle procedure concernenti i marchi comunitari e le domande di marchio comunitario nonché alle procedure concernenti le azioni simultanee o successive promosse sulla base di marchi comunitari e di marchi nazionali si applica la [Convenzione di Bruxelles].

2.      Per quanto riguarda le procedure derivanti dalle azioni e domande di cui all’articolo 92:

a)      non si applicano gli articoli 2 e 4, l’articolo 5, paragrafi 1, 3, 4 e 5 e l’articolo 24 della [Convenzione di Bruxelles];

b)      si applicano gli articoli 17 e 18 di tale Convenzione entro i limiti previsti dall’articolo 93, paragrafo 4, del presente regolamento;

c)      le disposizioni del titolo II di detta Convenzione, che si applicano alle persone domiciliate in uno Stato membro, si applicano anche alle persone che, pur non avendo domicilio in uno Stato membro, vi hanno una stabile organizzazione».

9        L’art. 91 del citato regolamento, dal titolo «Tribunali dei marchi comunitari», stabilisce, al paragrafo n. 1, quanto segue:

«Gli Stati membri designano nei rispettivi territori un numero per quanto possibile ridotto di tribunali nazionali di prima e di seconda istanza, qui di seguito denominati “tribunali dei marchi comunitari”, che svolgeranno le funzioni ad essi attribuite dal presente regolamento».

10      Ai sensi dell’art. 92 del medesimo regolamento, intitolato «Competenza in materia di contraffazione e di validità»:

«I tribunali dei marchi comunitari hanno competenza esclusiva:

a)      per tutte le azioni in materia di contraffazione e – qualora siano previste dalla legislazione nazionale – per le azioni relative alla minaccia di contraffazione di marchi comunitari;

b)      per azioni di accertamento di non contraffazione qualora siano previste dalla legislazione nazionale;

(...)».

11      L’art. 93 del regolamento n. 40/94, intitolato «Competenza internazionale», prevede quanto segue:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente regolamento e quelle della [Convenzione di Bruxelles] applicabili in virtù dell’articolo 90, le procedure derivanti dalle azioni e domande di cui all’articolo 92 vengono avviate dinanzi ai tribunali dello Stato membro in cui il convenuto ha il domicilio o, se quest’ultimo non ha il domicilio in uno degli Stati membri, dello Stato membro in cui ha una stabile organizzazione.

2.      Se il convenuto non ha né il domicilio né una stabile organizzazione in uno degli Stati membri, dette procedure vengono avviate dinanzi ai tribunali dello Stato membro in cui l’attore ha il domicilio o, se quest’ultimo non ha il domicilio in uno degli Stati membri, dello Stato membro in cui ha una stabile organizzazione.

3.      Se né il convenuto né l’attore hanno tale domicilio o tale stabile organizzazione, dette procedure vengono avviate dinanzi ai tribunali dello Stato membro in cui l’[UAMI] ha sede.

4.      Nonostante le disposizioni dei paragrafi 1, 2 e 3:

a)      è applicabile l’articolo 17 della [Convenzione di Bruxelles] se le parti convengono che sia competente un altro tribunale dei marchi comunitari;

b)      è applicabile l’articolo 18 della medesima Convenzione se il convenuto compare dinanzi a un altro tribunale dei marchi comunitari.

5.      Le procedure derivanti dalle azioni e domande di cui all’articolo 92, ad eccezione delle azioni di accertamento di non contraffazione di un marchio comunitario, possono parimenti essere avviate dinanzi ai tribunali dello Stato membro in cui l’atto di contraffazione è stato commesso o minaccia di essere commesso (...)».

12      L’art. 94 del citato regolamento, intitolato «Sfera di competenza», recita:

«1.      Un tribunale dei marchi comunitari la cui competenza si fonda sull’articolo 93, paragrafi da 1 a 4, è competente per:

–        gli atti di contraffazione commessi, o che si minaccia di commettere, nel territorio di qualsiasi Stato membro,

–        gli atti contemplati dall’articolo 9, paragrafo 3, seconda frase, commessi nel territorio di qualsiasi Stato membro.

2.      Un tribunale dei marchi comunitari la cui competenza si fonda sull’articolo 93, paragrafo 5, è competente soltanto per gli atti commessi o minacciati nel territorio dello Stato membro in cui è situato».

13      L’art. 97 del medesimo regolamento, intitolato «Diritto applicabile», ha il seguente tenore:

«1.      I tribunali dei marchi comunitari applicano le disposizioni del presente regolamento.

2.      Per tutte le questioni che non rientrano nel campo di applicazione del presente regolamento il tribunale dei marchi comunitari applica la legge nazionale, compreso il suo diritto internazionale privato.

3.      Se il presente regolamento non dispone altrimenti, il tribunale dei marchi comunitari applica le norme procedurali che disciplinano lo stesso tipo di azioni relative a un marchio nazionale nello Stato membro in cui tale tribunale è situato».

14      L’art. 98 del regolamento n. 40/94, intitolato «Sanzioni», così dispone:

«1.      Quando un tribunale dei marchi comunitari accerta che il convenuto ha contraffatto un marchio comunitario o commesso atti che costituiscono minaccia di contraffazione, emette un’ordinanza vietandogli, a meno che esistano motivi particolari che sconsiglino una siffatta decisione, di continuare gli atti di contraffazione o che costituiscono minaccia di contraffazione. Prende anche, in conformità della legge nazionale, le misure dirette ad assicurare l’osservanza del divieto.

2.      [Per tutto il resto], il tribunale dei marchi comunitari applica la legge dello Stato membro in cui sono stati commessi gli atti di contraffazione o che costituiscono minaccia di contraffazione, compreso il (...) diritto internazionale privato [di tale Stato]».

 Il regolamento (CE) n. 44/2001

15      Ai sensi dell’art. 68, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), tale regolamento ha sostituito, nei rapporti tra gli Stati membri, la Convenzione di Bruxelles. Il capo III di questo regolamento contiene le disposizioni disciplinanti il riconoscimento e l’esecuzione delle suddette decisioni.

16      L’art. 33, n. 1, del regolamento n. 44/2001, che sancisce il principio del riconoscimento delle decisioni, stabilisce che «[l]e decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento».

17      L’art. 38, n. 1, del medesimo regolamento così dispone:

«Le decisioni emesse in uno Stato membro e ivi esecutive sono eseguite in un altro Stato membro dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata».

18      Ai sensi dell’art. 49 del citato regolamento:

«Le decisioni straniere che [comminano una penalità coercitiva (astreinte)] sono esecutive nello Stato membro richiesto solo se la misura di quest’ultima è stata definitivamente fissata dai giudici dello Stato membro d’origine».

 La direttiva 2004/48/CE

19      L’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU L 157, pag. 45, e, per rettifica, GU L 195, pag. 16), dispone, sotto il titolo «Obbligo generale», quanto segue:

«1.      Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati.

2.      Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

20      La Chronopost è titolare dei marchi comunitario e francese corrispondenti al segno «WEBSHIPPING». Il marchio comunitario, depositato nell’ottobre 2000, è stato registrato il 7 maggio 2003, segnatamente per servizi di logistica e di trasmissione di informazioni, di telecomunicazioni, di trasporto su strada, di raccolta di posta, giornali e pacchi, nonché per servizi di gestione di corriere espresso.

21      Risulta dal fascicolo che, in data 8 settembre 2004, la Chronopost, avendo constatato che uno dei suoi principali concorrenti, ossia la DHL International, utilizzava i segni «WEB SHIPPING», «Web Shipping» e/o «Webshipping» per designare un servizio di gestione di spedizioni per corriere espresso accessibile tramite la rete Internet, ha convenuto in giudizio la suddetta società, in particolare per contraffazione del marchio comunitario WEBSHIPPING, dinanzi al Tribunal de grande instance di Parigi (Francia), adito quale tribunale dei marchi comunitari ai sensi dell’art. 91, n. 1, del regolamento n. 40/94. Con sentenza in data 15 marzo 2006, tale tribunale ha, in particolare, condannato la DHL Express France, succeduta alla DHL International, per contraffazione del marchio francese WEBSHIPPING, del quale la Chronopost è titolare, senza però statuire sulla contraffazione del marchio comunitario.

22      Secondo la decisione di rinvio, la Cour d’appel di Parigi, statuendo in veste di tribunale dei marchi comunitari di secondo grado sull’appello proposto dalla Chronopost contro la pronuncia sopra citata, ha disposto a carico della DHL Express France, con sentenza 9 novembre 2007, un divieto, assistito da penalità coercitiva (astreinte), di prosecuzione dell’uso dei segni «WEBSHIPPING» e «WEB SHIPPING» effettuato per designare un servizio di gestione di corriere espresso accessibile in particolare tramite Internet, uso che il detto giudice ha qualificato come violazione del marchio comunitario e francese WEBSHIPPING.

23      La decisione di rinvio ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dalla DHL Express France contro la suddetta sentenza d’appello.

24      Tuttavia, nell’ambito del medesimo procedimento dinanzi alla Cour de cassation, la Chronopost ha proposto un ricorso incidentale con il quale sostiene che la sentenza 9 novembre 2007 viola gli artt. 1 e 98 del regolamento n. 40/94, in quanto il divieto, con annessa penalità coercitiva, di prosecuzione degli atti di contraffazione del marchio comunitario WEBSHIPPING, disposto dalla Cour d’appel di Parigi, non si estende all’intero territorio dell’Unione europea.

25      Secondo la Cour de cassation, risulta espressamente dalla motivazione della citata sentenza della Cour d’appel di Parigi che, sebbene tale decisione non abbia statuito espressamente sulla domanda volta ad ottenere l’emissione di un divieto, assistito da «astreinte», esteso all’intero territorio dell’Unione, il divieto con annessa penalità coercitiva pronunciato dal citato giudice d’appello deve essere considerato come riguardante soltanto il territorio francese.

26      La Cour de cassation, nutrendo dubbi in merito all’interpretazione, in tale contesto, dell’art. 98 del regolamento n. 40/94, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 98 del regolamento [n. 40/94] debba essere interpretato nel senso che il divieto pronunciato da un tribunale dei marchi comunitari ha effetto di pieno diritto sull’intero territorio [dell’Unione].

2)      In caso di soluzione negativa, se il tribunale dei marchi comunitari abbia il diritto di estendere specificamente tale divieto al territorio di altri Stati nei quali gli atti di contraffazione sono commessi o minacciano di essere commessi.

3)      In ogni caso, se le misure coercitive con cui il tribunale dei marchi comunitari, in applicazione del proprio diritto nazionale, ha corredato il divieto da esso pronunciato siano applicabili nel territorio degli Stati membri nei quali tale divieto produrrebbe il suo effetto.

4)      In caso contrario, se il tribunale dei marchi comunitari possa pronunciare una siffatta misura coercitiva, simile o diversa da quella che esso adotta in virtù del suo diritto nazionale, in applicazione del diritto nazionale degli Stati nei quali tale divieto avrebbe effetto».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Considerazioni preliminari

27      L’art. 98 del regolamento n. 40/94 riguarda, come risulta dal suo titolo, le sanzioni in caso di contraffazione di un marchio comunitario.

28      La prima frase dell’art. 98, n. 1, del citato regolamento prevede che, qualora accerti l’esistenza di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, il tribunale dei marchi comunitari adito emette un’ordinanza che ne vieta la prosecuzione. La seconda frase del medesimo art. 98, n. 1, dispone che tale tribunale è altresì tenuto ad adottare, in conformità della legge nazionale, le misure idonee ad assicurare l’osservanza del divieto emesso.

29      Ai sensi del paragrafo n. 2 del medesimo art. 98, il tribunale dei marchi comunitari applica, «[per tutto il resto], (...) la legge dello Stato membro in cui sono stati commessi gli atti di contraffazione o che costituiscono minaccia di contraffazione, compreso il (...) diritto internazionale privato [di tale Stato]».

30      Dall’inciso che introduce il paragrafo n. 2 dell’art. 98, letto alla luce del titolo di tale articolo, nonché dalle diverse versioni linguistiche di tale disposizione, segnatamente da quella francese («par ailleurs»), tedesca («in Bezug auf alle anderen Fragen»), spagnola («por otra parte») e inglese («in all other respects»), risulta che il paragrafo suddetto non riguarda le misure coercitive contemplate dal paragrafo n. 1 del medesimo articolo, che sono misure idonee a garantire il rispetto di un divieto di prosecuzione degli atti di contraffazione.

31      Pertanto, poiché le questioni sollevate dal giudice del rinvio vertono esclusivamente sul divieto di prosecuzione degli atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione e sulle misure coercitive dirette ad assicurare il rispetto di tale divieto, occorre ritenere che tali questioni abbiano ad oggetto l’interpretazione dell’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94.

 Sulla prima questione

32      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94 debba essere interpretato nel senso che il divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, emesso da un tribunale dei marchi comunitari, produce effetti di pieno diritto nell’intero territorio dell’Unione.

33      Occorre rilevare che la portata territoriale di un divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, ai sensi dell’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94, risulta determinata tanto dalla competenza territoriale del tribunale dei marchi comunitari che emette tale divieto, quanto dall’estensione territoriale del diritto esclusivo del titolare di un marchio comunitario pregiudicato dalla contraffazione o dalla minaccia di contraffazione – estensione che è quella risultante dal regolamento n. 40/94.

34      Per quanto riguarda, da un lato, la competenza territoriale del tribunale dei marchi comunitari, occorre anzitutto ricordare che, a norma dell’art. 14, nn. 1 e 3, del regolamento n. 40/94, le contraffazioni di un marchio comunitario sono soggette alle norme nazionali riguardanti le contraffazioni di un marchio nazionale, conformemente alle disposizioni del titolo X di tale regolamento. Le norme di procedura applicabili sono determinate conformemente alle disposizioni di tale titolo X, intitolato «Competenza e procedura concernenti le azioni giudiziarie relative ai marchi comunitari» e comprendente gli artt. 90‑104 del medesimo regolamento.

35      Ai sensi dell’art. 92, lett. a), del regolamento n. 40/94, i tribunali dei marchi comunitari hanno competenza esclusiva a pronunciarsi su tutte le azioni di contraffazione e – se consentite dalla legislazione nazionale – su quelle relative alla minaccia di contraffazione di un marchio comunitario.

36      Nel caso di specie, risulta dalle osservazioni scritte presentate dalla Chronopost dinanzi alla Corte che il tribunale dei marchi comunitari è stato adito sulla base dell’art. 93, nn. 1‑4, del regolamento n. 40/94. Secondo queste stesse osservazioni, la domanda intesa ad ottenere la cessazione della contraffazione o della minaccia di contraffazione non è fondata sul n. 5 del citato art. 93.

37      A norma dell’art. 93, nn. 1‑4, del regolamento n. 40/94, letto in combinato disposto con l’art. 94, n. 1, del medesimo regolamento, il tribunale dei marchi comunitari – istituito, a norma dell’art. 91 di tale regolamento, al fine di proteggere i diritti conferiti da un marchio comunitario – è competente, in particolare, a conoscere degli atti di contraffazione commessi, o che si minaccia di commettere, nel territorio di qualsiasi Stato membro.

38      Pertanto, un tribunale dei marchi comunitari, come quello adito nella causa principale, è competente a conoscere degli atti di contraffazione commessi, o che si minaccia di commettere, nel territorio di uno o più Stati membri, o addirittura in quello di tutti gli Stati membri. Di conseguenza, la competenza di detto tribunale può estendersi a tutto il territorio dell’Unione.

39      Dall’altro lato, il diritto esclusivo del titolare di un marchio comunitario, conferito ai sensi del regolamento n. 40/94, si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione, sul quale i marchi comunitari beneficiano di una protezione uniforme e producono i loro effetti.

40      Infatti, a norma dell’art. 1, n. 2, del citato regolamento, il marchio comunitario ha carattere unitario. Producendo gli stessi effetti in tutta l’Unione, esso può – giusta la disposizione suddetta – essere registrato, trasferito, formare oggetto di una rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità, e il suo uso può essere vietato, soltanto per la totalità dell’Unione. Tale principio si applica salvo disposizione contraria del regolamento stesso.

41      Risulta inoltre dal secondo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94 che l’obiettivo di quest’ultimo consiste nell’istituzione di un regime comunitario dei marchi, i quali godono di una protezione uniforme e producono i loro effetti in tutto il territorio dell’Unione.

42      Il carattere unitario del marchio comunitario risulta altresì dai ‘considerando’ quindicesimo e sedicesimo del medesimo regolamento. A tenore di essi, da un lato, è indispensabile che gli effetti delle decisioni sulla validità e sulle contraffazioni dei marchi comunitari si estendano a tutta l’Unione, al fine di evitare sia eventuali decisioni contrastanti dei tribunali e dell’UAMI sia lesioni del carattere unitario dei marchi comunitari, e, dall’altro, occorre evitare che siano rese sentenze contraddittorie in seguito ad azioni in cui siano implicate le stesse parti e che vengano instaurate per gli stessi fatti sulla base di un marchio comunitario e di marchi nazionali paralleli.

43      Inoltre, la Corte ha già statuito, al punto 60 della sentenza 14 dicembre 2006, causa C‑316/05, Nokia (Racc. pag. I‑12083), che l’obiettivo ricercato dall’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94 è quello di tutelare in modo uniforme su tutto il territorio dell’Unione il diritto conferito dal marchio comunitario dinanzi al rischio di contraffazione.

44      Pertanto, al fine di garantire tale protezione uniforme, il divieto di prosecuzione degli atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione emesso da un tribunale dei marchi comunitari competente deve, in via di principio, estendersi a tutto il territorio dell’Unione.

45      Se infatti, al contrario, la portata territoriale di tale divieto fosse limitata al territorio dello Stato membro in relazione al quale il tribunale suddetto ha accertato l’atto costituente contraffazione o minaccia di contraffazione, oppure fosse limitata al territorio degli Stati membri all’origine di tale accertamento, vi sarebbe il rischio che il contraffattore ricominci a sfruttare il segno in questione in uno Stato membro riguardo al quale il divieto non è stato pronunciato. Per di più, le nuove azioni giurisdizionali che il titolare del marchio comunitario sarebbe costretto ad intentare accrescerebbero, in misura proporzionale al loro numero, il rischio di decisioni contraddittorie riguardanti il marchio comunitario di cui trattasi, segnatamente a motivo della valutazione del rischio di confusione sotto il profilo fattuale. Orbene, una simile conseguenza si pone in contrasto tanto con l’obiettivo di protezione uniforme del marchio comunitario perseguito dal regolamento n. 40/94, quanto con il carattere unitario del marchio stesso, così come ricordati ai punti 40‑42 della presente sentenza.

46      Tuttavia, la portata territoriale del divieto può, in alcuni casi, essere sottoposta a restrizioni. Infatti, il diritto esclusivo del titolare del marchio comunitario, previsto dall’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, risulta conferito al fine di permettere a detto titolare di tutelare i propri interessi specifici in quanto tali, ossia allo scopo di assicurarsi che il marchio di cui trattasi possa adempiere le funzioni sue proprie. Pertanto, l’esercizio di tale diritto deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio (v., in tal senso, sentenza 23 marzo 2010, cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google, Racc. pag. I‑2417, punto 75 e la giurisprudenza ivi citata).

47      Ne consegue che, come osservato dalla Commissione europea, il diritto esclusivo del titolare di un marchio comunitario e, di conseguenza, l’estensione territoriale di tale diritto non possono andare al di là di quanto quest’ultimo consente al suo titolare al fine di tutelare il marchio da egli detenuto, ossia vietare unicamente qualsiasi uso idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio stesso. Pertanto, i comportamenti o i futuri comportamenti del convenuto – cioè del soggetto che effettua l’uso incriminato del marchio comunitario – che non comportino un pregiudizio per le funzioni del marchio comunitario non possono formare oggetto di divieto.

48      Di conseguenza, qualora il tribunale dei marchi comunitari adito in circostanze quali quelle di cui alla causa principale constati che gli atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario sono limitati ad un unico Stato membro o ad una parte del territorio dell’Unione – segnatamente a motivo del fatto che il soggetto richiedente il provvedimento di divieto ha circoscritto la portata territoriale della propria azione giudiziale nel libero esercizio del suo potere di fissarne l’ampiezza, oppure a motivo del fatto che il convenuto fornisce prove che dimostrano che l’uso del segno in questione non pregiudica o non è idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio, in particolare per motivi linguistici –, il tribunale suddetto deve limitare la portata territoriale del divieto che emette.

49      Infine, occorre precisare che la portata territoriale di un divieto di prosecuzione degli atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario può estendersi all’intero territorio dell’Unione. Per contro, a norma dell’art. 90 del regolamento n. 40/94, che disciplina l’applicazione della Convenzione di Bruxelles, letto in combinato disposto con l’art. 33, n. 1, del regolamento n. 44/2001, gli altri Stati membri sono in linea di principio tenuti a riconoscere e ad eseguire la decisione giurisdizionale, conferendo così a quest’ultima un effetto transfrontaliero.

50      Occorre pertanto risolvere la prima questione sollevata dichiarando che l’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94 deve essere interpretato nel senso che la portata di un divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, emesso da un tribunale dei marchi comunitari la cui competenza si fondi sugli artt. 93, nn. 1‑4, e 94, n. 1, di detto regolamento, si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione.

 Sulla seconda questione

51      Alla luce della soluzione fornita alla prima questione, non è necessario risolvere la seconda questione sottoposta dal giudice del rinvio.

 Sulla terza e sulla quarta questione

52      Con la sua terza e la sua quarta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 98, n. 1, seconda frase, del regolamento n. 40/94 debba essere interpretato nel senso che una misura coercitiva, quale ad esempio una penalità coercitiva (astreinte), disposta da un tribunale dei marchi comunitari in applicazione del proprio diritto nazionale, al fine di garantire il rispetto di un divieto, da esso emesso, di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione, è idonea a produrre effetti negli Stati membri diversi da quello cui detto giudice appartiene, ai quali si estende la portata territoriale di un divieto siffatto. In caso di soluzione negativa, il giudice del rinvio chiede se detto tribunale possa pronunciare una misura siffatta – simile o differente da quella che esso adotta a norma del proprio diritto nazionale – applicando il diritto nazionale dello Stato membro al cui territorio si estende la portata del citato divieto.

53      A questo proposito, da un lato, occorre ricordare che, per quanto riguarda il diritto applicabile alle misure coercitive, la Corte ha già statuito che il tribunale dei marchi comunitari adito ha l’obbligo di adottare le misure idonee a garantire l’osservanza del divieto da esso emesso scegliendole tra quelle previste dalla legislazione del proprio Stato membro di appartenenza (sentenza Nokia, cit., punto 49).

54      Dall’altro lato, occorre rilevare che eventuali misure coercitive, disposte dal tribunale dei marchi comunitari a norma del diritto nazionale dello Stato membro cui esso appartiene, sono in grado di soddisfare l’obiettivo in vista del quale esse vengono emanate – ossia quello di garantire il rispetto del divieto al fine di assicurare una protezione effettiva, nel territorio dell’Unione, del diritto conferito dal marchio comunitario dinanzi al rischio di contraffazione (v., in tal senso, sentenza Nokia, cit., punto 60) – soltanto se producono effetti nel medesimo territorio in cui produce effetti lo stesso provvedimento giurisdizionale di divieto.

55      Nella causa principale, il provvedimento di divieto emesso dal tribunale dei marchi comunitari è stato disposto da quest’ultimo unitamente ad una penalità coercitiva (astreinte) in applicazione del diritto nazionale. Affinché quest’ultima produca effetti nel territorio di uno Stato membro diverso da quello cui appartiene il tribunale che ha disposto tale misura coercitiva, un tribunale di questo diverso Stato membro che venga adito al riguardo deve, in conformità alle disposizioni del capo III del regolamento n. 44/2001, riconoscere e far eseguire la misura suddetta secondo le regole e le modalità previste dalla propria legislazione interna.

56      Nel caso in cui il diritto nazionale dello Stato membro chiamato a riconoscere e ad eseguire la decisione del tribunale dei marchi comunitari non preveda alcuna misura coercitiva analoga a quella ordinata dal tribunale dei marchi comunitari che ha pronunciato un divieto di prosecuzione degli atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione e che ha disposto congiuntamente tale misura coercitiva al fine di garantire il rispetto del divieto, il tribunale adito dello Stato membro in questione deve – come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni – realizzare l’obiettivo perseguito dalla citata misura coercitiva facendo ricorso alle pertinenti disposizioni del proprio diritto nazionale idonee a garantire in modo equivalente il rispetto del divieto inizialmente emanato.

57      Infatti, tale obbligo di realizzare l’obiettivo perseguito dalla misura suddetta costituisce il prolungamento dell’obbligo imposto ai tribunali dei marchi comunitari di adottare misure coercitive allorché emettono una decisione recante divieto di proseguire atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione. In assenza di tali obblighi correlati, un divieto di questo genere non potrebbe essere accompagnato da misure idonee a garantirne il rispetto e risulterebbe dunque, in larga misura, privo di effetto dissuasivo (v., in tal senso, sentenza Nokia, cit., punti 58 e 60).

58      A questo proposito, occorre ricordare che spetta ai giudici degli Stati membri, in applicazione del principio di leale cooperazione enunciato all’art. 4, n. 3, secondo comma, TUE, garantire la tutela giurisdizionale dei diritti di cui i singoli sono titolari in forza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet, Racc. pag. I‑2271, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata). A norma della stessa disposizione, gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. In particolare, ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2004/48, gli Stati membri sono tenuti a definire le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale contemplati dalla direttiva stessa, tra i quali figura, in particolare, il diritto dei titolari di marchi. Ai sensi del n. 2 del medesimo art. 3, tali misure, procedure e mezzi di ricorso devono essere effettivi, proporzionati e dissuasivi e devono altresì essere applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie dinanzi ad un eventuale uso abusivo.

59      Alla luce di quanto sopra esposto, occorre risolvere la terza e la quarta questione sollevate dichiarando che l’art. 98, n. 1, seconda frase, del regolamento n. 40/94 deve essere interpretato nel senso che una misura coercitiva, quale ad esempio una penalità coercitiva (astreinte), disposta da un tribunale dei marchi comunitari in applicazione del proprio diritto nazionale, al fine di garantire il rispetto di un divieto, da esso emesso, di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione, produce effetti negli Stati membri diversi da quello cui detto giudice appartiene – ai quali si estende la portata territoriale di un divieto siffatto – alle condizioni previste dal capo III del regolamento n. 44/2001 per quanto riguarda il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giurisdizionali. Nel caso in cui il diritto nazionale di uno di questi altri Stati membri non preveda alcuna misura coercitiva analoga a quella disposta dal suddetto tribunale, l’obiettivo cui si dirige tale misura dovrà essere perseguito dal tribunale competente del diverso Stato membro interessato facendo ricorso alle pertinenti disposizioni della propria legislazione interna idonee a garantire in modo equivalente il rispetto del divieto pronunciato.

 Sulle spese

60      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’art. 98, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3288, deve essere interpretato nel senso che la portata di un divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, emesso da un tribunale dei marchi comunitari la cui competenza si fondi sugli artt. 93, nn. 1‑4, e 94, n. 1, di detto regolamento, si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione europea.

2)      L’art. 98, n. 1, seconda frase, del regolamento n. 40/94, come modificato dal regolamento n. 3288/94, deve essere interpretato nel senso che una misura coercitiva, quale ad esempio una penalità coercitiva (astreinte), disposta da un tribunale dei marchi comunitari in applicazione del proprio diritto nazionale, al fine di garantire il rispetto di un divieto, da esso emesso, di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione, produce effetti negli Stati membri diversi da quello cui detto giudice appartiene – ai quali si estende la portata territoriale di un divieto siffatto – alle condizioni previste dal capo III del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, per quanto riguarda il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giurisdizionali. Nel caso in cui il diritto nazionale di uno di questi altri Stati membri non preveda alcuna misura coercitiva analoga a quella disposta dal suddetto tribunale, l’obiettivo cui si dirige tale misura dovrà essere perseguito dal tribunale competente del diverso Stato membro interessato facendo ricorso alle pertinenti disposizioni della propria legislazione interna idonee a garantire in modo equivalente il rispetto del divieto pronunciato. 

Firme


* Lingua processuale: il francese.