Language of document : ECLI:EU:C:2018:547

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate il 4 luglio 2018 (1)

Causa C220/18 PPU

ML

con l’intervento di:

Generalstaatsanwaltschaft Bremen

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo – Motivi di rifiuto dell’esecuzione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Divieto di trattamenti inumani o degradanti – Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente»






1.        Nel presente rinvio pregiudiziale vengono sollevate nuovamente questioni concernenti un mandato d’arresto europeo (MAE) in seguito all’interpretazione della decisione quadro 2002/584/GAI (2) da parte della Corte nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (3).

2.        Il giudice del rinvio chiede alla Corte di fornire ulteriori chiarimenti in merito all’orientamento contenuto in tale sentenza, segnatamente per il caso in cui le (eventuali) violazioni del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti negli istituti penitenziari dello Stato emittente del MAE siano suscettibili di rimedio da parte degli organi giudiziari di tale Stato.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

3.        L’articolo 4 sancisce:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

2.      Decisione quadro

4.        I considerando 5, 6, 8, 10 e 12 sono del seguente tenore:

«(5)      (…) l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. (…)

(6)      Il mandato d’arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria.

(…)

(8)      Le decisioni relative all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo devono essere sottoposte a un controllo sufficiente, il che implica che l’autorità giudiziaria dello Stato membro in cui la persona ricercata è stata arrestata dovrà prendere la decisione relativa alla sua consegna.

(…)

(10)      Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, [UE divenuto, in seguito a modifica, articolo 2 TUE], constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, [UE divenuto, in seguito a modifica, articolo 7, paragrafo 2, TUE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo.

(…)

(12)      La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [UE] e contenuti nella Carta (…), segnatamente il capo VI. Nessun elemento della presente decisione quadro può essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato d’arresto europeo qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. (…)»

5.        L’articolo 1 dispone:

«1.      Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

2.      Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

3.      L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro».

6.        L’articolo 5 sancisce:

«L’esecuzione del mandato d’arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione può essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione ad una delle seguenti condizioni:

(…)

2)      Se il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita, l’esecuzione di tale mandato può essere subordinata alla condizione che lo Stato membro emittente preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena comminata – su richiesta o al più tardi dopo 20 anni – oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite.

3)      Se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente».

7.        Ai sensi dell’articolo 6:

«1.      Per autorità giudiziaria emittente si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente che, in base alla legge di detto Stato, è competente a emettere un mandato d’arresto europeo.

2.      Per autorità giudiziaria dell’esecuzione si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione che, in base alla legge di detto Stato, è competente dell’esecuzione del mandato di arresto europeo.

3.      Ciascuno Stato membro comunica al Segretariato generale del Consiglio qual è l’autorità competente in base al proprio diritto interno».

8.        L’articolo 7 recita:

«1.      Ciascuno Stato membro può designare un’autorità centrale o, quando il suo ordinamento giuridico lo prevede, delle autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti.

2.      Uno Stato membro può, se l’organizzazione del proprio sistema giudiziario interno lo rende necessario, affidare alla (alle) propria (proprie) autorità centrale (centrali) la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa.

Lo Stato membro che voglia avvalersi delle facoltà descritte nel presente articolo comunica al Segretariato generale del Consiglio le informazioni relative all’autorità centrale (alle autorità centrali) designata(e). Dette indicazioni sono vincolanti per tutte le autorità dello Stato membro emittente».

9.        Ai sensi dell’articolo 15:

«1.      L’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro.

2.      L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell’esigenza di rispettare i termini fissati all’articolo 17.

3.      L’autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all’autorità giudiziaria dell’esecuzione».

B.      Diritto tedesco. Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (4)

10.      La decisione quadro è stata recepita nell’ordinamento giuridico tedesco dagli articoli da 78 a 83, lettera k), modificati (5), dell’IRG.

11.      Ai sensi dell’articolo 29, comma 1, dell’IRG, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema, Germania) decide in merito all’ammissibilità della consegna qualora l’imputato non abbia acconsentito alla stessa.

12.      L’articolo 73 dell’IRG prevede:

«In mancanza di una richiesta in tal senso, l’assistenza giudiziaria e la trasmissione di informazioni sono illegittime se contrastano con principi essenziali dell’ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta ai sensi delle parti ottava, nona e decima, l’assistenza giudiziaria è illegittima se contrasta con i principi sanciti dall’articolo 6 [TUE]».

II.    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13.      Il 31 ottobre 2017, il Nyiregyházai járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) emetteva un MAE ai fini dell’esecuzione della condanna di un anno e otto mesi di reclusione inflitta a ML, cittadino ungherese, ritenuto colpevole dei reati di lesioni, danni, truffa e furto, con sentenza pronunciata (in absentia) il 14 settembre 2017.

14.      Il medesimo giudice ungherese aveva emesso precedentemente, in data 2 agosto 2017, un altro MAE volto a ottenere la consegna di ML ai fini di sottoporlo a giudizio per i fatti riguardo ai quali sarebbe stato successivamente condannato.

15.      L’Amtsgericht Bremen (Tribunale circoscrizionale di Brema, Germania) ha disposto l’arresto di ML il 12 dicembre 2017. Tuttavia, ML era già detenuto dal 23 novembre dello stesso anno, in esecuzione del primo MAE.

16.      Con ordinanza del 19 dicembre 2017, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema), dopo aver revocato l’arresto eseguito in attuazione del primo MAE, ha disposto l’arresto di ML ai fini di dare esecuzione al MAE del 31 ottobre 2017.

17.      ML si è opposto alla sua consegna alle autorità ungheresi, richiedendo la presentazione di una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte. Prima di pronunciarsi sulla consegna, l’autorità giudiziaria ha richiesto ulteriori chiarimenti.

18.      Nell’ambito del primo MAE, il Ministero della Giustizia ungherese aveva già trasmesso all’Hanseatisches Oberlandesgericht di Brema (Tribunale superiore del Land di Brema) informazioni riguardo agli istituti penitenziari in cui ML sarebbe stato detenuto, garantendo che in nessun caso sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

19.      Sulla base di tali informazioni, il giudice dell’esecuzione, con decisione del 9 gennaio 2018, dichiarava che la detenzione di ML in uno degli istituti penitenziari indicati dal Ministero della Giustizia ungherese non presentava difficoltà. Tuttavia, nutriva dubbi in merito alle condizioni di altri istituti penitenziari, indicati anch’essi da tale Ministero come possibili strutture in cui l’interessato avrebbe potuto essere accolto, motivo per cui, in applicazione dei principi sull’esecuzione delle pene approvati dal Consiglio d’Europa nel 2006 (6) e delle regole minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite (7), rivolgeva alle autorità ungheresi una serie di quesiti (8).

20.      Nella risposta del Ministero della Giustizia ungherese del 12 gennaio 2018, si rilevava che il 25 ottobre 2016 erano entrate in vigore leggi atte a consentire ai detenuti di esperire mezzi di ricorso contro le loro condizioni di detenzione.

21.      Tali informazioni sono state integrate dal Ministero della Giustizia ungherese, il 1o febbraio 2018, con il dato che l’imputato sarebbe stato accolto nel penitenziario di Budapest per un periodo da una a tre settimane, fatte salve circostanze ostative. In tale periodo di tempo, sarebbero state adottate misure non specificate in relazione all’esecuzione della consegna.

22.      Il 12 febbraio 2018, il giudice dell’esecuzione ha chiesto alcuni dettagli sulle condizioni del carcere di Budapest. Ha chiesto, inoltre, in quali altri istituti penitenziari avrebbe potuto essere accolto ML e su quale base concreta avrebbe potuto verificare le condizioni di detenzione ivi sussistenti. Le autorità ungheresi non hanno risposto a siffatta richiesta entro il termine fissato da detto giudice dell’esecuzione (28 febbraio 2018) (9).

23.      La Procura tedesca si è dichiarata favorevole all’esecuzione del MAE a cui ML si oppone. In tali circostanze, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema) ha sottoposto le seguenti questioni pregiudiziali, richiedendo l’adozione del procedimento d’urgenza:

«1)      Quale rilievo abbia, nell’ambito dell’interpretazione delle norme summenzionate, il fatto che nello Stato membro emittente ci siano mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi con riguardo alle loro condizioni di detenzione.

a)      Ove siano dedotte alle autorità giudiziarie dell’esecuzione prove dell’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente che colpiscono determinati gruppi di persone oppure determinati istituti penitenziari, se, nel rispetto delle norme summenzionate, già per la disponibilità di siffatti mezzi di ricorso debba essere escluso un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna in caso di sua estradizione, il quale osti all’ammissibilità di quest’ultima, senza che sia necessario un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione.

b)      Se sia rilevante a tal riguardo la circostanza che, in ordine a detti mezzi di ricorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo non abbia rinvenuto elementi a favore del fatto che tali rimedi non offrano ai reclusi prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione inadeguate.

2)      Qualora la risposta alla questione pregiudiziale sub 1) dovesse essere nel senso che l’esistenza di tali mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi non sia idonea ad escludere un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna senza un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione:

a)      Se le norme summenzionate debbano essere interpretate in modo tale che l’esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione si estenda a tutti gli istituti penitenziari o altre strutture carcerarie in cui la persona di cui è chiesta la consegna potrebbe essere eventualmente accolto. Se ciò trovi applicazione anche qualora si tratti di detenzione in determinati istituti penitenziari a titolo provvisorio oppure a fini di trasferimento. Oppure se l’esame possa limitarsi a quell’istituto penitenziario in cui la persona di cui è chiesta la consegna, in base a quanto indicato dalle autorità dello Stato membro emittente, dovrebbe essere probabilmente accolto per la maggior parte del periodo.

b)      Se sia a tal proposito necessario di volta in volta un esame completo delle rispettive condizioni di detenzione volto ad accertare sia la superficie dello spazio individuale per detenuto sia le altre condizioni della reclusione. Se occorra tener conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di cui alla decisione Muršić/Croazia (sentenza del [20] ottobre 2016, n. 7334/13 [CE:ECHR:2016:1020JUD000733413]) nella valutazione delle condizioni di detenzione così accertate.

3)      Qualora anche a la risposta alla questione pregiudiziale sub 2) fosse nel senso che occorre riconoscere un’estensione degli obblighi di esame delle autorità giudiziarie dell’esecuzione a tutti gli istituti penitenziari in questione:

a)      Se l’esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione possa non risultare necessario nel caso in cui lo Stato membro emittente garantisca, in generale, che la persona di cui è chiesta la consegna non correrà il rischio di un trattamento inumano o degradante.

b)      Oppure se, invece di un esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario in questione, la decisione delle autorità giudiziarie dell’esecuzione circa l’ammissibilità dell’estradizione possa essere condizionata al fatto che l’imputato non venga sottoposto ad un siffatto trattamento.

4)      Qualora anche la risposta alla questione pregiudiziale sub 3) fosse nel senso che le garanzie e le condizioni non sono idonee a rendere superfluo l’esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione:

a)      Se l’obbligo di esame delle autorità giudiziarie dell’esecuzione debba estendersi alle condizioni di detenzione di ciascuno dei possibili istituti penitenziari anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dello Stato membro emittente comunichino che la durata della reclusione in un determinato istituto della persona di cui è chiesta la consegna sarà limitata ad un periodo massimo di tre settimane, fatto salvo però il verificarsi di circostanze ostative.

b)      Se ciò trovi applicazione anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dell’esecuzione non possano sapere se tali dati siano stati dichiarati dall’autorità giudiziaria emittente ovvero se essi provengano da una delle autorità centrali dello Stato membro emittente le quali si siano attivate a seguito di richiesta di assistenza da parte dell’autorità giudiziaria emittente».

III. Il procedimento dinanzi alla Corte

24.      La decisione di rinvio è pervenuta alla Corte il 27 marzo 2018 ed è stata accolta la richiesta di adozione del procedimento pregiudiziale d’urgenza.

25.      Hanno presentato osservazioni scritte ML, i governi tedesco e ungherese, nonché la Commissione, che sono comparsi, unitamente al pubblico ministero tedesco e ai governi belga, danese, irlandese, spagnolo, olandese e rumeno, all’udienza pubblica svoltasi il 14 giugno del 2018.

IV.    Analisi

A.      Considerazioni preliminari

26.      Nella sentenza Aranyosi, che ha dato risposta a una questione pregiudiziale sollevata dal medesimo giudice che propone il presente rinvio, la Corte ha stabilito che gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro devono essere interpretati nel senso che «in presenza di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, se sussistono motivi seri e comprovati di ritenere che la persona colpita da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a causa delle condizioni di detenzione in tale Stato membro, corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in caso di consegna al suddetto Stato membro» (10).

27.      «A tal fine – prosegue la sentenza–, essa deve chiedere la trasmissione di informazioni complementari all’autorità giudiziaria emittente, la quale, dopo avere richiesto, ove necessario, l’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente (…) deve trasmettere tali informazioni entro il termine fissato nella suddetta domanda. L’autorità giudiziaria di esecuzione deve rinviare la propria decisione sulla consegna dell’interessato fino all’ottenimento delle informazioni complementari che le consentano di escludere la sussistenza di siffatto rischio. Qualora la sussistenza di siffatto rischio non possa essere esclusa entro un termine ragionevole, tale autorità deve decidere se occorre porre fine alla procedura di consegna» (11).

28.      L’Hanseatisches Oberlandesgericht di Brema (Tribunale superiore del Land di Brema) aveva chiesto, nel 2016, alla Corte di chiarire il suo orientamento sottoponendole una serie di domande supplementari. Tuttavia, non era stato possibile dare risposta a dette domande poiché il MAE era stato ritirato prima che la Corte si pronunciasse, il che aveva determinato l’archiviazione del procedimento pregiudiziale (12).

29.      In questa (terza) circostanza, il giudice a quo chiede, in concreto, che la Corte interpreti gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro, in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta, con riguardo al «procedimento di esame stabilito dalla Corte (…) nella sentenza pronunciata nelle cause Aranyosi e Căldăraru (…) avente ad oggetto le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione» (13).

30.      Prima di passare all’esame delle questioni sottoposte, non è superfluo ricordare che la decisione quadro è intesa a sostituire il sistema di estradizione tradizionale, caratterizzato da una significativa componente politica di opportunità, con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie, fondato sul principio del reciproco riconoscimento e che si basa sull’elevato livello di fiducia tra gli Stati membri (14).

31.      Il riconoscimento reciproco, «il quale costituisce la “pietra angolare” della cooperazione giudiziaria, implica, a norma dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, che gli Stati membri sono tenuti, in linea di principio, a dar corso ad un mandato d’arresto europeo» (15). A sua volta, tale principio «si basa (…) sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri circa il fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta» (16).

32.      I principi del riconoscimento reciproco e della fiducia reciproca rivestono un’importanza fondamentale per il diritto dell’Unione, in quanto, come affermato dalla Corte nella sentenza Aranyosi, citando il parere 2/13 (17), «consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne», dato che, «specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di detti Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo» (18).

33.      Pertanto, al di fuori dei casi di non esecuzione obbligatoria tassativamente elencati all’articolo 3 della decisione quadro e di quelli di non esecuzione facoltativa previsti dagli articoli 4 e 4 bis della medesima decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta, in linea di principio, a dare esecuzione al MAE, senza poterlo subordinare a condizioni diverse da quelle di cui all’articolo 5 della decisione quadro.

34.      Di conseguenza, «mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione di tale mandato è concepito come un’eccezione che dev’essere oggetto di interpretazione restrittiva» (19).

35.      Il legislatore dell’Unione ha disposto che l’attuazione del meccanismo del MAE «può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo [2 TUE], constatata dal Consiglio in applicazione dell’[articolo 7, paragrafo 1, TUE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo» (20).

36.      Tuttavia, dalla sentenza Aranyosi emerge che, oltre all’ipotesi cui ho appena fatto riferimento (vale a dire, a parte il caso in cui il Consiglio abbia constatato formalmente, ex articolo 7 TUE, una grave e persistente violazione dei valori e dei diritti sanciti all’articolo 2 TUE), il diritto dell’Unione consente la non attuazione di un MAE in altri casi specifici, in via eccezionale. L’analisi della seconda, terza e quarta questione pregiudiziale permetterà di valutare la portata di tale eccezione.

1.      Sull’incidenza dei mezzi di ricorso offerti dallo Stato membro emittente (prima questione pregiudiziale)

37.      L’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema) sottopone la sua prima questione inquadrandola in un contesto di fatto molto preciso: ove le autorità giudiziarie dell’esecuzione dispongano di «prove dell’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente che colpiscono determinati gruppi di persone oppure determinati istituti penitenziari».

38.      Partendo da questa premessa, il giudice a quo chiede «che incidenza abbiano i mezzi di ricorso che lo Stato membro emittente offre alla persona detenuta per quanto riguarda le sue condizioni di detenzione».

39.      Ritengo che, con questo approccio, il giudice del rinvio potrebbe trovare, da solo, la risposta che chiede alla Corte. Se «i mezzi di ricorso [offerti] dallo Stato membro emittente» fossero sufficienti ad escludere il rischio di trattamenti inumani o degradanti, non si potrebbe più parlare dell’«esistenza di carenze sistemiche o generalizzate».

40.      A mio parere, la situazione presentata dal giudice del rinvio non corrisponde esattamente a quella che ha dato luogo alla sentenza Aranyosi:

—      Allora (2015) il giudice del rinvio sosteneva di essere convinto, sulla base delle informazioni disponibili, che sussistevano indizi probatori che il sig. Aranyosi avrebbe potuto essere sottoposto a condizioni detentive contrarie all’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») e all’articolo 6 TUE, in particolare a causa del sovraffollamento degli istituti penitenziari (21).

—      Attualmente (2018), il contesto è mutato e, giustamente per aggiornare(22) gli elementi di valutazione ai fini della conferma o modifica della convinzione maturata a suo tempo, il giudice del rinvio ha richiesto ulteriori informazioni alle autorità ungheresi. Alla luce delle informazioni ottenute, detto giudice ritiene opportuno considerare un nuovo fattore rilevante, vale a dire l’introduzione di mezzi di ricorso che non erano disponibili nello Stato emittente al momento della presentazione della questione pregiudiziale risolta nella sentenza Aranyosi (23).

41.      La (nuova) informazione fornita al giudice a quo dalle autorità ungheresi sottolinea che in data 25 ottobre 2016 sono state emanate talune disposizioni legislative che consentono ai detenuti di denunciare le loro condizioni di detenzione. Secondo l’ordinanza di rinvio, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha affermato di non aver rinvenuto elementi attestanti che tali rimedi non offrono prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione, così da renderle conformi al divieto di trattamenti inumani o degradanti (24).

42.      In tal senso, in base alla sentenza della Corte EDU del 14 novembre 2017 (25),citata dal giudice del rinvio, «non vi è alcuna prova che [le nuove misure adottate dal legislatore ungherese] non offrano prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione inadeguate e non siano in grado di fornire ai detenuti un’effettiva possibilità di rendere tali condizioni coerenti con i requisiti di cui all’articolo 3 della Convenzione» (26), essendo esplicitamente garantito il controllo giurisdizionale della condotta dell’autorità penitenziaria (27).

43.      Il fatto che dal 2016 la normativa ungherese preveda un meccanismo di ricorso che consente ai detenuti di invocare la tutela dell’autorità giudiziaria nei confronti di condizioni di detenzione inadeguate dovrebbe essere sufficiente, qualora siffatto meccanismo funzionasse adeguatamente, per escludere carenze sistemiche o generalizzate nel sistema penitenziario nazionale, per quanto concerne la garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti. La fiducia reciproca che, come menzionato anteriormente, è alla base del sistema del MAE e, con esso, della ragion d’essere del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, depone in tal senso.

44.      Potrebbe accadere, tuttavia, che la nuova normativa abbia solo un carattere simbolico, più che effettivo, in modo da non implicare una tutela adeguata. Se così fosse, visto il «carattere assoluto del diritto garantito dall’articolo 4 della Carta» (28), si imporrebbe la sua tutela da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione non appena «dispon[ga] di elementi che attestano un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dei detenuti nello Stato membro emittente» (29).

45.      Al fine di valutare la reale applicazione di tale meccanismo di tutela, ricordo che, secondo la sentenza Aranyosi, gli «elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente (…) possono risultare in particolare da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte EDU, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite» (30).

46.      Orbene, i dati raccolti nel caso di specie consentono di concludere che i rimedi predisposti dal legislatore ungherese non costituiscono soluzioni teoriche o impraticabili, ma sono in grado di produrre effettive conseguenze pratiche.

47.      Così ha ritenuto, in primo luogo, la Corte EDU, quando ha dichiarato che le nuove norme non sono lettera morta, ma forniscono in maniera efficace la garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti.

48.      In secondo luogo, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nella sua decisione del giugno 2017 (31), ha accolto con favore l’impegno delle autorità ungheresi nel risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, constatando che le misure già adottate sembrano aver prodotto i primi risultati e auspicandosi che tali misure e altre che possano essere adottate in futuro aiutino le autorità nazionali a realizzare, caso per caso, azioni concrete ed efficaci per continuare ad affrontare il problema (32).

49.      Il giudice del rinvio riconosce che, alla luce della posizione sostenuta dalla Corte EDU, «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione potrebbe vedersi costretta ad ammettere che i nuovi mezzi di ricorso (…) escludono un rischio concreto che l’imputato sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti a causa delle condizioni della sua detenzione» (33). Tuttavia, nella misura in cui la Corte EDU si è riservata la facoltà di pronunciarsi su possibili violazioni dell’articolo 3 della CEDU qualora i mezzi di ricorso interni si rivelassero inefficaci, il giudice del rinvio ritiene che ciò suggerisce che tale tribunale non escluda in assoluto il rischio che l’imputato venga sottoposto a trattamenti disumani o degradanti (34).

50.      In realtà, la disponibilità espressa dalla Corte EDU a conoscere dei ricorsi che i detenuti vogliano eventualmente presentare qualora i loro ricorsi non trovino accoglimento davanti ai giudici nazionali non deve intendersi come una manifestazione di sfiducia generalizzata e in linea di principio nei confronti del sistema nazionale di garanzie. Si tratta, piuttosto, di un’osservazione volta a ricordare che, di fronte a decisioni giudiziarie interne che non pongano rimedio a concrete violazioni di diritti garantiti dalla CEDU, resta aperta la via del ricorso dinanzi alla stessa Corte EDU (35).

51.      Precisamente, in tale causa, la Corte EDU ha dichiarato che i rimedi introdotti in Ungheria con la riforma del 2016 dovevano essere esperiti dal sig. Domján, «e [da] chiunque altro nella sua posizione», prima di adire la Corte medesima (36). In tal modo, si ammette implicitamente l’efficacia potenziale di tali ricorsi per garantire la protezione della CEDU, senza dover adire la via di ricorso straordinaria che, per definizione, rappresenta la giurisdizione europea (37).

52.      È pur vero, come la Corte EDU avverte nel prosieguo, che essa può modificare il proprio orientamento «per quanto riguarda l’efficacia potenziale dei rimedi nazionali in oggetto, qualora la prassi delle autorità nazionali dimostri, a lungo termine, che ai detenuti viene negato il trasferimento e/o il risarcimento per motivi formali, che le procedure interne sono eccessivamente lunghe o che la giurisprudenza nazionale non si conforma ai requisiti della Convenzione».(38) Ma, finché non si verifica siffatto cambiamento, si deve presumere che i rimedi stabiliti nel 2016 siano efficaci.

53.      Di conseguenza, se la situazione penitenziaria si è evoluta favorevolmente nel senso suddetto; se esiste ora una normativa interna che garantisce la tutela giudiziaria effettiva dei detenuti rispetto a possibili violazioni dell’articolo 4 della Carta a causa delle condizioni della loro detenzione; e se tale normativa è efficace e non meramente formale o nominalistica, non è più possibile presumere aprioristicamente il concorso di «elementi oggettivi, attendibili, precisi (…) comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione».

54.      Ritengo che siffatta soluzione sia la più coerente con la sentenza Aranyosi, con i principi sottesi alla decisione quadro e con il rispetto dovuto agli organi giurisdizionali di ciascuno Stato (nella fattispecie, l’Ungheria), nei confronti dei quali non può sussistere, in maniera infondata, un sospetto di connivenza generalizzata nella violazione dell’articolo 4 della Carta quando emettono un MAE. Un sistema di cooperazione penale fondato sulla fiducia giudiziaria reciproca non può sopravvivere se i giudici dello Stato ricevente rispondono alle richieste effettuate da quelli dello Stato emittente come se la sensibilità di questi ultimi nel garantire la protezione dei diritti fondamentali fosse inferiore alla loro.

55.      In ogni caso, la ricezione di un MAE non può costituire il pretesto, per il giudice dell’esecuzione, per sottoporre a giudizio la qualità del sistema penitenziario dello Stato emittente nel suo complesso né per giudicarlo alla luce del proprio diritto nazionale. Il parametro di controllo non può essere altro che l’articolo 4 della Carta. Una garanzia minima, ma assoluta, al cui servizio deve essere predisposta una tutela giudiziaria effettiva, in grado di garantire una tutela reale ed efficace contro la tortura e i trattamenti inumani o degradanti.

56.      Il fatto che la Corte EDU abbia constatato che il nuovo sistema di ricorsi consente di offrire una simile tutela rappresenta, a mio parere, un elemento della massima rilevanza in sede di valutazione della situazione generale (primo passo della doppia verifica Aranyosi) delle condizioni di detenzione nello Stato emittente del MAE. Sarei quasi indotto ad affermare che rappresenta un fattore determinante ai fini della presente valutazione.

57.      Ciononostante, nella misura in cui, in ultima analisi, si tratta della garanzia di un diritto assoluto, al quale per sua stessa natura è opportuno fornire una protezione preventiva piuttosto che riparatoria, ritengo che, malgrado la sua importanza, l’esistenza di un regime di ricorsi effettivi potrebbe non essere sufficiente qualora il tribunale dell’esecuzione nutrisse dubbi fondati in merito all’eventualità che la persona di cui nella fattispecie è chiesta la consegna possa subire nell’immediato un trattamento inumano o degradante, indipendentemente dal fatto che tale pregiudizio venga successivamente riparato per mezzo di ricorsi giudiziari efficaci nello Stato emittente.

58.      Ciò posto, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in cui la recente introduzione di uno specifico sistema giudiziario di garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti durante la detenzione nello Stato emittente può non aver dispiegato tutti i suoi potenziali effetti fino al punto di aver reso eccezionale il rischio di una sua violazione, sarebbe giustificato se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione richiedesse informazioni in merito alle condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposta la persona di cui è chiesta la consegna (secondo passo della verifica Aranyosi).

2.      Sulla portata del controllo a carico dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione (seconda, terza e quarta questione)

59.      Il presupposto da cui partono tali questioni è che persisterebbe un grave rischio di violazione dell’articolo 4 della Carta qualora il giudice del rinvio acconsente a dare esecuzione al MAE.

60.      Tuttavia, la Corte ha dichiarato nella causa Aranyosi che non era sufficiente l’accertamento di tale rischio,(39), ma che, «[u]na volta accertata la sussistenza di tale rischio, è poi anche necessario che l’autorità giudiziaria di esecuzione valuti, in modo concreto e preciso, se sussistono motivi gravi e comprovati di ritenere che l’interessato corra tale rischio a causa delle condizioni di detenzione previste nei suoi confronti nello Stato membro emittente» (40).

61.      È imprescindibile, pertanto, che, oltre a dare per comprovate le carenze sistemiche (generalizzate) negli istituti penitenziari dello Stato emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione verifichi «se, nelle circostanze della fattispecie, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che, in seguito alla sua consegna allo Stato membro emittente, tale persona corra un rischio concreto di essere sottoposta nello Stato membro di cui trattasi a un trattamento inumano o degradante (…)» (41).

62.      Il giudice del rinvio si attiene a tale criterio quando cerca di verificare a quali condizioni di detenzione sarebbe sottoposto ML e, a tal fine, richiede informazioni complementari (42). La sua verifica dovrebbe essere limitata, lo ribadisco, ai dati oggettivi e ragionevoli che possano venirgli forniti in relazione alle condizioni concrete e specifiche a cui sarebbe sottoposta tale persona. Non deve indagare, quindi, in questa fase, sulle condizioni generali esistenti nel sistema penitenziario dello Stato emittente.

63.      Il giudice del rinvio chiede, per il caso in cui disponga di prove di carenze sistemiche o generalizzate in tutti o in determinati istituti penitenziari, se possa escludere il rischio che ne consegue per l’integrità dell’imputato quando lo Stato emittente abbia offerto «una garanzia generale» che detta persona non sarà soggetta a tali trattamenti (43).

64.      Come riconosce lo stesso giudice del rinvio, la decisione quadro non contempla tale tipo di garanzie. Tantomeno autorizza ad esigerle. (44) Tuttavia, nella misura in cui ciò che è in discussione nel procedimento principale è l’esecuzione di uno specifico MAE e non la qualità del sistema penitenziario dello Stato emittente nel suo complesso, ritengo che, se le autorità di tale Stato si impegnano (45) a garantire che le condizioni effettive di detenzione dell’imputato non comportino un rischio concreto di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta a riconoscere a siffatto impegno la debita importanza. In quanto espressione di un obbligo assunto formalmente, siffatta garanzia potrà essere fatta valere, in caso di sua violazione, dinanzi all’autorità giudiziaria dello Stato emittente da parte dell’imputato.

a)      Sulla provenienza delle informazioni necessarie ai fini dell’accertamento delle condizioni di detenzione

65.      In via preliminare, si solleva la questione di quali informazioni possa utilizzare, a tali fini, il giudice dell’esecuzione e, in particolare, da quale autorità possa esigerle o riceverle.

66.      L’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro stabilisce che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve interagire, in linea di principio, con l’autorità giudiziaria che ha emesso il MAE. Il riconoscimento reciproco si crea, per l’appunto, attraverso il dialogo inter pares previsto da tale articolo, vale a dire tra l’autorità giudiziaria emittente, che emana il MAE, e quella di esecuzione, o di ricezione, che deve attuarlo (46).

67.      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della decisione quadro, gli Stati membri possono designare una o più autorità centrali «per assistere le autorità giudiziarie competenti» e alle quali si può altresì affidare, in conformità al paragrafo 2 di tale articolo, «la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa» (47).

68.      Tale aspetto è rilevante in quanto il giudice del rinvio si chiede se possa prendere in considerazione, ai fini della formulazione di un giudizio sulle condizioni di detenzione di ML in Ungheria, informazioni riguardo alle quali non è possibile verificare se provengano dalla stessa autorità giudiziaria dell’emissione o se siano state richieste da quest’ultima (48).

69.      Secondo l’ordinanza di rinvio, tali informazioni sarebbero state fornite dal Ministero della Giustizia ungherese, senza specificare se in modo diretto o per il tramite dell’autorità giudiziaria emittente. In questo secondo caso, logicamente, costituirebbero dati rilevanti per l’esecuzione del MAE dato che il loro valore giuridico deriva dal fatto che sono stati riconosciuti e avallati dal tribunale emittente.

70.      L’autorità giudiziaria emittente e quella dell’esecuzione sono gli unici protagonisti attivi nel trattamento del MAE. L’autorità dell’esecuzione deve quindi trasmettere le sue richieste di informazioni all’autorità emittente, che è tenuta a rispondervi (49). Questo ruolo principale delle autorità giudiziarie non osta alla funzione meramente ausiliaria che possono all’occorrenza svolgere le autorità centrali designate dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro (50).

71.      Pertanto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrà tenere conto delle informazioni che siano state fornite dall’autorità emittente o che, provenienti dall’autorità centrale (o da una delle autorità centrali) dello Stato di emissione, siano state fatte proprie e trasmesse dall’autorità giudiziaria emittente.

72.      Quanto precede non osta a che l’autorità giudiziaria di esecuzione si avvalga, altresì, di tutte le informazioni che possa raccogliere al fine di accertare l’esistenza di «elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati» (51) idonei a comprovare la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante.

73.      Tali ulteriori informazioni possono pervenirle nel corso della procedura interna di trattamento del MAE, su iniziativa della persona di cui è chiesta la consegna o del pubblico ministero, il quale, in Germania, funge da autorità giudiziaria dell’esecuzione (52). Tuttavia, così come tutte le informazioni ottenute in tali modi devono essere oggetto di valutazione prudente da parte di chi le richiede, (53) quelle fornite dal giudice dell’emissione ‑ direttamente o con l’assistenza della sua autorità ‑ non consentono un esame che vada oltre l’accertamento della loro provenienza, poiché in ordine al loro contenuto deve prevalere, in linea di principio, la fiducia che è alla base del riconoscimento reciproco.

b)      Sulla portata delle informazioni necessarie ai fini dell’accertamento delle condizioni di detenzione

74.      Secondo l’ordinanza di rinvio, decorso il termine fissato dal giudice del rinvio, questi non ha ricevuto tutte le informazioni che aveva richiesto (54). Si rende quindi necessario esaminare quali conseguenze potrebbe avere tale condotta (omissiva) da parte dell’autorità giudiziaria emittente.

75.      Prima di esprimere il mio parere in merito a tali conseguenze, è opportuno rilevare che la richiesta di informazioni deve essere limitata alle informazioni essenziali in ciascun caso. Le informazioni richieste servono a verificare se sussiste un rischio concreto che l’imputato venga sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. La richiesta non dovrebbe estendersi ad altre questioni, anche di carattere carcerario, che non si riferiscano strettamente a tale rischio specifico e che riguardino le condizioni di benessere più o meno elevate negli istituti penitenziari.

76.      Orbene, tra le molteplici domande rivolte dal giudice dell’esecuzione a quello dell’emissione, alcune risultano di gran lunga eccessive ai fini della valutazione di un rischio di trattamento inumano o degradante. In tal senso, quelle relative alla possibilità di fumare, al lavaggio dei vestiti dei detenuti o all’installazione di barre o grate alle finestre delle celle (55), fra le altre, ritengo che vadano oltre quanto è indispensabile al fine di accertare la sussistenza di siffatto rischio.

77.      Analogamente, a mio parere, le informazioni richieste non devono riferirsi a tutti gli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, ma solo a quelli che accoglieranno l’imputato.

78.      Concordo su questo punto con la Commissione (56) e ritengo, come anche il governo tedesco (57), la cui posizione è stata adottata, durante l’udienza pubblica, dalla maggior parte dei governi che sono intervenuti, che si dovrebbe limitare la messa a fuoco agli effetti prevedibili della consegna che lo Stato membro dell’esecuzione poteva o doveva conoscere al momento di eseguirla. Ritengo che si tratti di un criterio ragionevole e in linea, altresì, con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per quanto riguarda la responsabilità dello Stato di esecuzione (58).

79.      Secondo tale prospettiva, il prevedibile comprende sia l’istituto penitenziario in cui, subito dopo la consegna, sarà accolto l’imputato, sia l’istituto al quale sarà trasferito per la successiva reclusione. (59) Gli altri istituti in cui, in futuro, potrebbe essere trasferito nel corso dell’esecuzione della condanna privativa della libertà (60) non rientrerebbero nell’ambito degli effetti prevedibili di cui può essere richiesta la conoscenza da parte dello Stato di esecuzione.

c)      Sugli effetti della mancata risposta del giudice emittente alle richieste di informazioni del giudice dell’esecuzione

80.      Se le informazioni richieste e non ricevute sono pertinenti ai fini dell’esclusione del rischio di trattamenti inumani o degradanti, il dovere di leale cooperazione e la diligenza nella gestione dei propri interessi devono indurre il giudice emittente del MAE a fornire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione tutte le informazioni da essa richieste.

81.      Se persistono i dubbi dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione a causa dell’assenza di informazioni complementari, laddove, ribadisco, le stesse siano indispensabili ai fini della sua valutazione, detta autorità può rinviare la sua decisione finale. Dico rinviare e non rifiutare poiché la dottrina stabilita nella causa Aranyosi non implica inevitabilmente che, in caso di accertamento di un rischio, non già generale e astratto, ma concreto e personale, di violazione dell’articolo 4 della Carta, l’autorità giudiziaria di esecuzione sia costretta a respingere la consegna dell’imputato.

82.      Infatti, la Corte ha dichiarato che, qualora il giudice dell’esecuzione accertasse, alla luce delle informazioni fornite, «che sussiste, rispetto alla persona oggetto del mandato d’arresto europeo, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante (…) l’esecuzione del mandato in parola deve essere rinviata ma non può essere abbandonata» (61).

83.      In tale eventualità, ciò che conta è, anzitutto, garantire il diritto alla libertà (articolo 6 della Carta) della persona di cui è chiesta la consegna, se è detenuto per effetto del MAE. (62) Tuttavia, le misure adottate a favore del diritto alla libertà non possono andare a scapito dell’esecuzione del MAE, fintantoché non venga adottata una decisione definitiva sull’esecuzione (63).

84.      La Corte aggiunge che «[q]ualora la sussistenza di siffatto rischio [di trattamento inumano o degradante] non possa essere esclusa entro un termine ragionevole, tale autorità deve decidere se occorre porre fine alla procedura di consegna» (64). Ritengo, pertanto, che la procedura non si concluda automaticamente dopo l’accertamento di tale rischio, ma che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa prendersi del tempo per decidere se la procedura è conclusa. A mio avviso, utilizzando l’espressione «porre fine alla procedura di consegna» al posto di «rifiutare o non eseguire il MAE», la Corte trasferisce, in una certa misura, la responsabilità della continuità della procedura all’autorità giudiziaria emittente che non risponde alle richieste di informazioni complementari.

85.      Ove non sia stato possibile escludere l’esistenza del rischio a causa della mancanza di risposta del giudice emittente alla richiesta di informazioni trasmessa dall’autorità di esecuzione, quest’ultima può comunicare alla predetta autorità giudiziaria informandola che, in tali condizioni, non darà ulteriore seguito alla procedura di consegna.

86.      In definitiva, l’organo giudiziario di esecuzione, prima di decidere di non continuare la procedura di consegna, deve valutare se, sulla base delle informazioni a sua disposizione, possa essere escluso il rischio di trattamenti inumani o degradanti: a) nell’istituto penitenziario in cui, secondo le autorità ungheresi, verrebbe accolto l’imputato subito dopo la sua consegna; e (b) nell’istituto penitenziario a cui sarebbe prevedibilmente trasferito per scontare la pena per cui è stato emesso il mandato di arresto.

87.      Siffatta valutazione, tuttavia, non può andare al di là delle circostanze strettamente necessarie ad escludere il rischio di un trattamento inumano o degradante, il quale non può essere aprioristicamente identificato con le condizioni di maggiore o minore benessere nell’istituto penitenziario.

V.      Conclusioni

88.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alle questioni sollevate dall’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema, Germania):

«Gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che:

1)      L’esistenza di ricorsi giurisdizionali interni che garantiscano in modo efficace, in concreto, la tutela del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti nelle condizioni di detenzione costituisce un fattore particolarmente rilevante ai fini dell’esclusione del rischio di subire tali trattamenti a causa di carenze sistemiche o generalizzate che colpiscano determinati gruppi di persone o determinati istituti penitenziari.

2)      In una situazione come quella discussa nel procedimento principale – in cui la recente introduzione di un sistema giudiziario di garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti a causa delle condizioni di detenzione nello Stato emittente può non aver dispiegato tutti i suoi potenziali effetti fino al punto di aver reso eccezionale il rischio di una sua violazione – è giustificato che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione richieda informazioni sulle condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposta la persona di cui è chiesta la consegna.

3)      L’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve altresì valutare, come fattore particolarmente rilevante, la garanzia che, nel singolo caso, abbia fornito l’autorità competente, amministrativa o giudiziaria, dello Stato emittente, mediante la quale si impegna ad assicurare che l’imputato non verrà sottoposto a trattamenti inumani o degradanti durante la sua detenzione. In quanto espressione di un obbligo assunto formalmente, siffatta garanzia può essere fatta valere, in caso di sua violazione, dinanzi all’autorità giudiziaria dello Stato emittente.

4)      Le informazioni rilevanti ai fini di valutare se l’imputato corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti a causa delle sue specifiche condizioni di detenzione, devono essere, in linea di principio, richieste alla e ricevute da parte dell’autorità giudiziaria emittente. Le informazioni riconosciute o avallate dall’autorità giudiziaria emittente devono avere la priorità nella valutazione che dev’essere effettuata dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

5)      Gli istituti penitenziari riguardo ai quali è opportuno raccogliere informazioni complementari sono quelli in cui sia probabile che la persona di cui è chiesta la consegna venga accolta per scontare la pena che gli è stata inflitta.

6)      Se l’autorità giudiziaria emittente non fornisce all’autorità giudiziaria dell’esecuzione le informazioni dalla stessa richieste ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può comunicare all’autorità giudiziaria emittente che, in tali condizioni, non darà ulteriore seguito alla procedura di consegna».


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2      Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro»).


3      Cause C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198 (in prosieguo: la «sentenza Aranyosi»).


4      Legge sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, del 23 dicembre 1982 (in prosieguo: l’«IRG»).


5      La modifica è avvenuta per effetto della Europäisches Haftbefehlsgesetz (legge sul mandato d’arresto europeo), del 20 luglio 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1721).


6      Raccomandazione R(2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee (http://www.interiuris.org/archivos/REGLAS_PENITENCIARIAS_EUROPEAS.pdf).


7      Note come «Regole Nelson Mandela» (https://www.unodc.org/documents/justice-and-prison-reform/Brochure _on_the_The_UN_Standard_Minimum_the_Nelson_Mandela_Rules-S.pdf).


8      Il giudice richiedeva informazioni molto dettagliate sulle condizioni di detenzione, in concreto, riguardo a: le dimensioni e caratteristiche delle celle, l’assistenza medica, il regime di alimentazione, le condizioni di igiene, l’abbigliamento, il riscaldamento e la pulizia, le visite, le attività e il tempo libero, l’esistenza di episodi di violenza tra detenuti e l’uso di mezzi coercitivi da parte del personale penitenziario.


9      La Procura tedesca ha riconosciuto all’udienza che il 27 marzo 2018 le autorità ungheresi hanno ribadito, per iscritto, la garanzia menzionata al punto 18 delle presenti conclusioni.


10      Sentenza Aranyosi, dispositivo.


11      Ibidem.


12      La nuova causa Aranyosi II era rimasta quindi priva del suo oggetto, come dichiarato dalla Corte nell’ordinanza del 15 novembre 2017 Aranyosi (C‑496/16, non pubblicata EU:C:2017:866).


13      Ordinanza di rinvio, punto I, secondo paragrafo in fine.


14      Per tutte, la sentenza del 16 luglio 2015, Laningan (C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474), punto 27.


15      Sentenza del 25 gennaio 2017, Vilkas (C‑640/15, EU:C:2017:39), punto 68.


16      Sentenza Aranyosi, punto 77, con citazione di giurisprudenza.


17      Parere (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 191.


18      Sentenza Aranyosi, punto 78. In un altro ambito (quello del riconoscimento e dell’esecuzione di decisioni giudiziarie in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale), ma nello stesso senso, la Corte ha dichiarato che «i sistemi di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni emanate in uno Stato membro istituiti da detto regolamento [(CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU 2003, L 338, pag. 1)] sono fondati sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri in ordine al fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali siano in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta dei diritti fondamentali» (sentenza del 22 dicembre 2010, Aguirre Zarraga, C‑491/10 PPU, EU:C:2010:828, punto 70).


19      Sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski (C‑367/16, EU:C:2018:27), punto 48.


20      Considerando 10 della decisione quadro.


21      In tal senso, la sentenza Aranyosi, punti da 42 a 45.


22      La Corte ha chiarito nella sua risposta che «la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione» «deve (…) fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati» (sentenza Aranyosi, punto 89; il corsivo è mio).


23      Il governo ungherese contesta al giudice del rinvio di non aver ponderato adeguatamente, oltre all’introduzione di tali rimedi, i progressi compiuti nella situazione delle carceri ungheresi come risultato della diminuzione del numero dei detenuti, dell’aumento dei istituti penitenziari e del crescente impiego del regime di detenzione domiciliare (paragrafi 13 e 14 della memoria contenente osservazioni scritte).


24      Punto 30 dell’ordinanza di rinvio.


25      Corte EDU, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317.


26      Ibidem, punto 22.


27      Ibidem, punto 22 in fine. Nella stessa sentenza, la Corte EDU ha esaminato se le misure legislative del 2016 siano servite a porre rimedio in modo efficace alle carenze rilevate nel sistema penitenziario ungherese dalla sentenza del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria, CE: ECHR:2015:0310JUD001409712.


28      Sentenza Aranyosi, punto 86.


29      Sentenza Aranyosi, punto 88.


30      Sentenza Aranyosi, punto 89, il corsivo è mio.


31      Decisione adottata nella sua sessione n. 1288, tenutasi il 6 e 7 giugno 2017 (CM/Note/1288/H46-16). A tale decisione fa riferimento la Corte EDU nella sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, punto 23.


32      Il giudice del rinvio sostiene, nondimeno, che persiste la situazione di sovraffollamento (ritiene insufficiente la creazione, dal 2015, di oltre mille nuovi istituti penitenziari) e che non dispone di dati sull’incidenza della commutazione della pena della reclusione in arresti domiciliari (punto 28 dell’ordinanza di rinvio).


33      Ordinanza di rinvio, punto 34.


34      Ibidem, punto 35.


35      Come è noto, la Corte EDU può pronunciarsi solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne obbligatorie. Pertanto, ciascuna delle sue sentenze di accoglimento presuppone l’esistenza di una decisione giudiziaria interna che non sia servita a porre rimedio alla violazione accertata in via definitiva, senza che ciò comporti mettere in discussione l’efficacia pratica del sistema nazionale di garanzia dei diritti fondamentali nel suo complesso.


36      Corte EDU, sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, punto 35.


37      In tale causa, la Corte EDU ha segnalato che i ricorsi nazionali interposti dalla persona interessata erano ancora pendenti.


38      Corte EDU, sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, punto 38.


39      «L’accertamento della sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dovuto alle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente, di per sé, non può condurre al rifiuto di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo» (sentenza Aranyosi, punto 91).


40      Sentenza Aranyosi, punto 92; il corsivo è mio.


41      Sentenza Aranyosi, punto 94.


42      Si è attenuto pertanto al punto 95 della sentenza Aranyosi: «A norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro detta autorità [giudiziaria di esecuzione] deve chiedere all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente di fornire con urgenza qualsiasi informazione complementare necessaria per quanto riguarda le condizioni di detenzione previste nei confronti dell’interessato in tale Stato membro».


43      Punto 48, lettera c), dell’ordinanza di rinvio. In realtà, si trattava di una garanzia individuale, piuttosto che generale, poiché era specificatamente fornita in relazione a ML.


44      L’esecuzione del MAE può essere subordinata solo ad una delle condizioni specifiche di cui all’articolo 5 della decisione quadro (sentenze pronunciate “in absentia”, reclusione perpetua e cittadini o residenti dello Stato di esecuzione).


45      L’impegno deve provenire dall’autorità competente in materia di istituti penitenziari che, normalmente, non sarà il giudice che ha disposto la condanna né quello che emette il MAE.


46      Rinvio alle mie conclusioni nella causa Poltorak (C‑452/16 PPU,, EU: C: 2016: 782), punto 43.


47      Ibidem punti da 44 a 50, sulla funzione meramente amministrativa di tali autorità.


48      Punto 59 dell’ordinanza di rinvio.


49      Richiamandosi, nuovamente, al punto 97 della sentenza Aranyosi: «A norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria di esecuzione può fissare un termine ultimo per la ricezione delle informazioni complementari richieste all’autorità giudiziaria emittente. Tale termine deve essere adattato al caso di specie, al fine di lasciare a quest’ultima autorità il tempo necessario per raccogliere dette informazioni, se necessario ricorrendo a tal fine all’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente (…). In forza dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, detto termine deve tuttavia tener conto della necessità di rispettare i termini fissati dall’articolo 17 della medesima decisione quadro. L’autorità giudiziaria emittente è tenuta a fornire tali informazioni all’autorità giudiziaria di esecuzione». Il corsivo è mio.


50      L’autorità designata in Ungheria è il Ministero della Giustizia, come emerge dalla comunicazione indirizzata dal governo ungherese al Segretariato generale del Consiglio, il 26 aprile 2004, ai sensi di quanto disposto nell’articolo 7, paragrafo 2, secondo comma, della decisione quadro (ST 8929 2004 INIT, del 27 aprile 2004).


51      Sentenza Aranyosi, punto 89.


52      In base alla nota trasmessa dal governo tedesco al Segretariato generale del Consiglio, il 7 agosto 2006 (ST 12509 2006 INIT, 7 settembre 2006), «le autorità giudiziarie competenti ai sensi dell’articolo 6 [della decisione quadro] sono i Ministeri della Giustizia della Federazione e degli Stati federati (Länder). Come regola generale, gli Stati federati hanno trasferito l’esercizio delle loro competenze derivanti dalla decisione quadro (…) relative all’ammissione dei requisiti presentati dinanzi a loro (articolo 6, paragrafo 2) alle Procure generali degli Stati federati». Non risulta che tale comunicazione sia stata modificata dopo la sentenza della Corte del 10 novembre 2016, Kovalkovas (C‑477/16 PPU, EU:C:2016:861), in cui è stato dichiarato che il Ministero della Giustizia della Lituania non può essere considerato come autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 6 della decisione quadro.


53      Il giudice del rinvio nel caso di specie assume altresì, in una certa misura, il ruolo di autorità giudiziaria dell’esecuzione, nonostante quanto indicato nella nota precedente, poiché interviene nella fase di ammissibilità del MAE, conformemente agli articoli 29 e 32 dell’IRG (punto 17 dell’ordinanza di rinvio). La dualità delle autorità coinvolte sembrerebbe ispirata alla stessa procedura e agli stessi principi che governano l’estradizione. Come già rilevato in un rapporto del 31 marzo 2009, presentato dal Consiglio agli Stati membri dopo il quarto ciclo di valutazioni reciproche sull’applicazione pratica dei MAE, le disposizioni dell’IRG in materia, anche dopo la riforma del 2006, «non aiutano a comprendere che la consegna sulla base di un MAE è non già una variante leggermente differente di estradizione tradizionale, bensì una nuova forma di assistenza fondata su principi completamente diversi (…) In tale situazione, gli esperti ritengono che sussiste il rischio che le autorità giudiziarie [tedesche] ricorrano alla normativa e giurisprudenza in materia di estradizione (…)» (ST 7058 2009 REV 2, del 30 aprile 2009, Evaluation report on the fourth round of mutual evaluations «The practical application of the European arrest warrant and corresponding surrender procedures between Member States», report on Germany, pag. 35).


54      Nel paragrafo 21 della sua memoria contenente osservazioni scritte, il governo ungherese contesta al giudice del rinvio di non aver atteso di ricevere la sua risposta.


55      Punto 10 dell’ordinanza di rinvio. V. la nota 8 delle presenti conclusioni.


56      Paragrafi da 14 a 19 delle memoria contenente osservazioni scritte.


57      Paragrafi da 19 a 20 della sua memoria contenente osservazioni scritte che fa riferimento alla raccomandazione del governo dei Paesi Bassi in occasione della causa Aranyosi II (ordinanza del 15 novembre 2017, Aranyosi, C‑496/16, non pubblicata, EU: C: 2017: 866).


58      Sentenze del 30 ottobre 1991, Vilvarajah e altri c. Regno Unito (ricorsi numero 13163/87, 13164/87, 13165/87, 13447/87 e 13448/87, CE:ECHR:1991:1030JUD001316387), e del 4 febbraio 2005, Mamatkulov e Askarov c. Turchia (ricorsi numero 46827/99 e 46951/99, CE:ECHR:2005:0204JUD004682799).


59      Il giudice del rinvio segnala che, secondo il Ministero della Giustizia ungherese, ML «sarebbe stato accolto, in un primo momento, per la durata della procedura di consegna, nel carcere della capitale Budapest e successivamente trasferito nel penitenziario regionale di Szombathely». Aggiunge che, «in base alle informazioni in suo possesso», il Collegio aveva già stabilito, il 9 gennaio 2018, che non avrebbe presentato difficoltà «un’esecuzione della pena nel previsto istituto penitenziario di Szombathely» (ordinanza di rinvio, punti 9 e 10). Ciò posto, il problema è circoscritto al tempo limitato di detenzione nella carcere di Budapest.


60      I fattori per l’assegnazione di un detenuto a un determinato centro penitenziario sono molto vari (periodo scontato della pena, situazione personale e familiare, trattamento carcerario ecc.) e difficili da valutare in anticipo.


61      Sentenza Aranyosi, punto 98. Il corsivo è mio.


62      La Corte insiste sul fatto che «l’autorità giudiziaria di esecuzione deve rispettare il requisito della proporzionalità, previsto dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, quanto alla limitazione di qualsiasi diritto o libertà riconosciuti da quest’ultima. Infatti, l’emissione di un mandato d’arresto europeo non può giustificare il protrarsi della detenzione dell’interessato senza alcun limite temporale» (sentenza Aranyosi, punto 101).


63      Laddove «l’autorità giudiziaria di esecuzione concluda (…) di essere tenuta a porre fine alla detenzione del ricercato, spetta allora alla medesima, in forza degli articoli 12 e 17, paragrafo 5, della decisione quadro, disporre, unitamente al rilascio provvisorio di tale persona, qualsiasi misura da essa ritenuta necessaria per evitare che quest’ultima si dia alla fuga e assicurarsi che permangano le condizioni materiali necessarie alla sua effettiva consegna fintantoché non venga adottata una decisione definitiva sull’esecuzione del [MAE]» (sentenza Aranyosi, punto 102; il corsivo è mio).


64      Sentenza Aranyosi, punto 104 in fine.