Language of document : ECLI:EU:C:2010:91

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

25 febbraio 2010 (*)

«Accordo di associazione CE‑Israele – Ambito di applicazione territoriale – Accordo di associazione CE‑OLP – Diniego di applicazione ai prodotti originari della Cisgiordania del regime tariffario preferenziale concesso a favore dei prodotti originari di Israele – Dubbi quanto all’origine dei prodotti – Esportatore autorizzato – Controllo a posteriori delle dichiarazioni su fattura da parte delle autorità doganali dello Stato di importazione – Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati – Principio dell’effetto relativo dei trattati»

Nel procedimento C‑386/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Finanzgericht Hamburg (Germania), con decisione 30 luglio 2008, pervenuta in cancelleria il 1° settembre 2008, nella causa

Firma Brita GmbH

contro

Hauptzollamt Hamburg-Hafen,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente della Terza Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász, J. Malenovský (relatore) e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 settembre 2009,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Firma Brita GmbH, dall’avv. D. Ehle, Rechtsanwalt;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra C. Tufvesson, dal sig. F. Hoffmeister e dalla sig.ra L. Bouyon, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 ottobre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995 (GU 2000, L 147, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo di associazione CE-Israele»), in considerazione dell’accordo euromediterraneo interinale di associazione sugli scambi e la cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), a beneficio dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dall’altra, concluso a Bruxelles il 24 febbraio 1997 (GU 1997, L 187, pag. 3; in prosieguo l’«accordo di associazione CE‑OLP»).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia in materia doganale tra la Firma Brita GmbH, sociétà di diritto tedesco, e lo Hauptzollamt Hamburg-Hafen (amministrazione doganale del porto di Amburgo), in merito alla decisione di quest’ultimo di negare alla ricorrente nella causa principale la concessione dell’importazione in regime preferenziale di beni prodotti in Cisgiordania.

 Contesto normativo

 La convenzione di Vienna

3        A termini dell’art. 1 della Convenzione di Vienna 23 maggio 1969, sul diritto dei trattati (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 1155, pag. 331; in prosieguo la «Convenzione di Vienna»), rubricato «Sfera di applicazione della presente convenzione», essa si applica ai trattati fra Stati.

4        L’art. 3 della Convenzione di Vienna, rubricato «Accordi internazionali che non rientrano nell’ambito della presente convenzione», così recita:

«Il fatto che la presente Convenzione non si applichi né ad accordi internazionali conclusi fra Stati ed altri soggetti di diritto internazionale e fra questi altri soggetti di diritto internazionale, né ad accordi internazionali che non sono stati conclusi per iscritto, non pregiudica:

(…)

b)      l’applicazione a questi accordi di qualsivoglia regola posta dalla presente Convenzione e alla quale essi fossero sottoposti in virtù del diritto internazionale indipendentemente dalla detta Convenzione;

(…)».

5        Ai sensi del successivo art. 31, rubricato «Regola generale di interpretazione»:

«1.      Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

2.      Ai fini dell’interpretazione di un trattato, (…)

3.      Si terrà conto, oltre che del contesto:

(…)

c)      di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.

(…)».

6        Il successivo art. 34, rubricato «Regola generale riguardante gli Stati terzi» così dispone:

«Un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso».

 L’accordo di associazione CE‑Israele

7        L’ accordo di associazione CE-Israele, approvato con la decisione del Consiglio e della Commissione 19 aprile 2000, 2000/384/CE, CECA (GU L 147, pag. 1), è entrato in vigore il 1° giugno 2000.

8        L’art. 6, n. 1, del detto accordo, collocato nel titolo II del medesimo, relativo alla libera circolazione delle merci, così recita:

«La zona di libero scambio tra la Comunità e Israele è consolidata secondo le modalità indicate nel presente accordo e secondo le disposizioni dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 e degli altri accordi multilaterali sugli scambi di merci allegati all’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (…)».

9        A termini del successivo art. 8, per quanto attiene ai prodotti industriali ai sensi dell’accordo medesimo e fatte salve le deroghe ivi previste, «[n]egli scambi tra la Comunità e Israele non sono ammessi dazi doganali all’importazione e all’esportazione, né oneri di effetto equivalente. (…)».

10      L’art. 75, n. 1, dell’accordo di associazione CE‑Israele così dispone:

«Ciascuna delle parti può sottoporre al consiglio di associazione qualsiasi controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione del presente accordo».

11      La sfera di applicazione territoriale dell’accordo di associazione CE‑Israele è definita al successivo art. 83 nei termini seguenti:

«Il presente accordo si applica ai territori in cui si applicano i trattati che istituiscono la Comunità europea e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, alle condizioni in essi indicate, da una parte, e al territorio dello Stato di Israele, dall’altra».

12      Il protocollo n. 4 allegato all’accordo di associazione CE‑Israele» (in prosieguo: il «protocollo CE-Israele») stabilisce le regole relative alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa.

13      A termini dell’art. 2, n. 2, di detto protocollo, sono considerati prodotti originari di Israele i prodotti totalmente ottenuti in Israele nonché quelli ivi ottenuti contenenti materiali non totalmente ottenuti sul suo territorio, a condizione che detti materiali siano stati oggetto in Israele di lavorazione o trasformazione sufficienti.

14      Ai sensi dell’art. 17, n. 1, del protocollo medesimo:

«1.      I prodotti originari ai sensi del presente protocollo sono ammessi, all’importazione in una delle parti, a beneficiare dell’accordo, su presentazione:

a)      di un certificato di circolazione delle merci EUR.1 (…);

b)      nei casi indicati nell’articolo 22, paragrafo 1, di una dichiarazione (…) rilasciata dall’esportatore su una fattura, una bolletta di consegna od ogni altro documento commerciale (qui di seguito denominata “dichiarazione su fattura”) nella quale i prodotti in questione siano descritti in modo sufficientemente dettagliato da consentirne l’identificazione».

15      A termini del n. 1, lett. a), del successivo art. 22, rubricato «Condizioni per la compilazione di dichiarazione su fattura», la dichiarazione su fattura di cui all’art. 17, n. 1, lett. b), può essere compilata da un esportatore autorizzato ai sensi dell’art. 23 del protocollo stesso.

16      In virtù del medesimo art. 23, le autorità doganali dello Stato di esportazione possono autorizzare qualsiasi esportatore, denominato «esportatore autorizzato», che effettui frequenti esportazioni di prodotti ai sensi dell’accordo e che offra alle autorità doganali soddisfacenti garanzie per l’accertamento del carattere originario dei prodotti e per quanto riguarda gli altri requisiti di cui al protocollo medesimo, a compilare le dichiarazioni su fattura. Tali dichiarazioni attestano il carattere originario dei prodotti di cui trattasi e consentono, quindi, all’importatore di beneficiare del regime preferenziale previsto dall’accordo di associazione CE‑Israele.

17      Il successivo art. 32 disciplina la procedura di controllo della prova d’origine nei termini seguenti:

«1.      Il controllo a posteriori dei certificati di circolazione EUR.1 e delle dichiarazioni su fattura è effettuato per sondaggio o ogniqualvolta le autorità doganali dello Stato di importazione abbiano fondati dubbi sull’autenticità del documento, sul carattere originario dei prodotti o sull’adempimento delle altre condizioni richieste dal presente protocollo.

2.      Ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, le autorità doganali [dello Stato] di importazione rispediscono alle autorità doganali del paese di esportazione il certificato di circolazione EUR.1 e la fattura, se è stata presentata, o la dichiarazione su fattura o una copia di questi documenti, indicando, se del caso, i motivi di sostanza o di forma che giustificano un’inchiesta.

Esse forniscono, a sostegno della richiesta di controllo a posteriori, ogni documento o informazione che hanno potuto ottenere e che fa ritenere che le indicazioni riportate sul certificato di circolazione delle merci EUR.1 o sulla dichiarazione su fattura siano inesatte.

3.      Il controllo viene effettuato dalle autorità doganali [dello Stato] di esportazione. A tal fine, esse hanno la facoltà di richiedere qualsiasi prova e di procedere a qualsiasi controllo dei conti dell’esportatore, nonché a tutte le altre verifiche che ritengono utili.

4.      (…)

5.      I risultati del controllo devono essere comunicati entro il termine massimo di 10 mesi, alle autorità doganali che lo hanno richiesto, indicando chiaramente se i documenti sono identici, se i prodotti in questione possono essere considerati originari e se rispondono agli altri requisiti del presente protocollo.

(…)

6.      Qualora, in caso di dubbi fondati, non sia pervenuta alcuna risposta entro 10 mesi o qualora la risposta non contenga informazioni sufficienti per determinare l’autenticità del documento in questione o l’effettiva origine dei prodotti, le autorità doganali che hanno richiesto il controllo li escludono dal trattamento preferenziale, salvo casi di forza maggiore o circostanze eccezionali».

18      Per quanto attiene alla soluzione delle controversie, l’art. 33 del protocollo CE‑Israele così dispone:

«Le controversie riguardanti le procedure di controllo di cui all’articolo 32 che non sia possibile risolvere tra le autorità doganali che richiedono il controllo e le autorità doganali incaricate di effettuarlo, o che sollevano problemi di interpretazione del presente protocollo sono sottoposte al comitato di cooperazione doganale.

(…)».

19      Ai sensi del successivo art. 39, rubricato «Comitato di cooperazione doganale»:

«1.      È istituito un comitato di cooperazione doganale incaricato di assicurare la cooperazione amministrativa ai fini dell’applicazione corretta ed uniforme del presente protocollo e di assolvere ogni altro compito che possa venirgli affidato nel settore doganale.

2.      Il comitato è composto, da un lato, da esperti degli Stati membri e da funzionari dei servizi della Commissione delle Comunità europee che si occupano di problemi doganali e, dall’altro, da esperti designati da Israele».

 L’accordo di associazione CE‑OLP

20      L’accordo di associazione CE‑OLP, approvato con decisione del Consiglio 2 giugno 1997, 97/430/CE (GU L 187, pag. 1), è entrato in vigore il 1° luglio 1997.

21      L’art. 3 di tale accordo così recita:

«La Comunità e l’Autorità palestinese istituiscono progressivamente una zona di libero scambio (…) secondo le disposizioni dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 e degli altri accordi multilaterali sugli scambi di merci allegati all’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (…)».

22      I successivi artt. 5 e 6 così dispongono:

«Articolo 5

Negli scambi tra la Comunità e la Cisgiordania e la Striscia di Gaza non si introducono nuovi dazi doganali all’importazione, né alcun altro onere di effetto equivalente.

Articolo 6

I prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza possono essere importati nella Comunità in esenzione da dazi doganali e da qualsiasi altro onere di effetto equivalente, nonché in esenzione da restrizioni quantitative e da qualsiasi altra misura di effetto equivalente».

23      Per quanto attiene alla sfera di applicazione territoriale dell’accordo medesimo, il successivo art. 73 prevede quanto segue:

«Il presente accordo si applica, da una parte, ai territori in cui si applica il trattato che istituisce la Comunità europea, alle condizioni in esso indicate e, dall’altra, al territorio della Cisgiordania e della Striscia di Gaza».

24      Il protocollo n. 3 allegato all’accordo di associazione CE‑OLP (in prosieguo: il «protocollo CE‑OLP») stabilisce le regole relative alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa.

25      A termini dell’art. 2, n. 2, del detto protocollo, sono considerati prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza i prodotti interamente ottenuti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza nonché quelli ivi ottenuti in cui siano incorporati materiali non interamente ottenuti sul loro territorio, a condizione, peraltro, che detti materiali siano stati ivi oggetto di lavorazione o trasformazione sufficienti.

26      Il successivo art. 15, n. 1, dichiara che i prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza beneficiano delle disposizioni dell’accordo di associazione CE‑OLP all’importazione nella Comunità su presentazione di un certificato di circolazione delle merci EUR.1 ovvero, nei casi di cui all’art. 20, n. 1, del protocollo medesimo, di una dichiarazione rilasciata dall’esportatore su fattura, una bolletta di consegna o qualsiasi altro documento commerciale che descriva i prodotti in questione in maniera sufficientemente dettagliata da consentirne l’identificazione. Tale dichiarazione è denominata «dichiarazione su fattura».

27      Il successivo art. 16, n. 1, dispone che il certificato di circolazione delle merci EUR.1 viene rilasciato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione. A termini del n. 4 dell’articolo medesimo, tale certificato viene rilasciato dalle autorità doganali della Cisgiordania e della Striscia di Gaza qualora i prodotti in questione possano essere considerati prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza rispondendo agli altri requisiti previsti dal protocollo medesimo.

28      Ai sensi del successivo art. 20, n. 1, lett. a), relativo alle condizioni per la compilazione di una dichiarazione su fattura, tale dichiarazione può essere compilata da un esportatore autorizzato ai sensi dell’art. 21 del protocollo medesimo. A termini del n. 2 dello stesso art. 20, la dichiarazione su fattura può essere compilata se i prodotti di cui trattasi possono essere considerati prodotti originari della Comunità, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, rispondendo agli altri requisiti previsti dal protocollo.

29      Il successivo art. 21, relativo agli esportatori autorizzati, prevede, al n. 1, che le autorità doganali dello Stato di esportazione possono autorizzare a compilare dichiarazioni su fattura qualsiasi esportatore che effettui frequenti esportazioni di prodotti ai sensi dell’accordo e che offra alle autorità doganali soddisfacenti garanzie per l’accertamento del carattere originario dei prodotti e per quanto riguarda l’osservanza degli altri requisiti previsti dal protocollo stesso.

 Causa principale e questioni pregiudiziali

30      La ricorrente nella causa principale, la Firma Brita GmbH, ha sede in Germania. Essa importa apparecchi per la preparazione di acqua frizzante con relativi accessori e sciroppi, prodotti da un fornitore israeliano, la Soda-Club Ltd, il cui stabilimento di produzione è situato a Mishor Adumin, in Cisgiordania, ad est di Gerusalemme. La Soda‑Club Ltd è un esportatore autorizzato ai sensi dell’art. 23 del protocollo CE‑Israele.

31      Nel corso del primo semestre del 2002, la ricorrente nella causa principale chiedeva l’immissione in libera pratica di merci importate, presentando complessivamente oltre sessanta dichiarazioni in dogana. Quale paese di origine di tali merci essa indicava «Israele» e chiedeva l’applicazione del regime tariffario preferenziale previsto dall’accordo di associazione CE‑Israele sulla base di dichiarazioni su fattura compilate dal fornitore che confermavano trattarsi di prodotti originari di Israele.

32      L’amministrazione doganale tedesca concedeva provvisoriamente la preferenza tariffaria richiesta avviando, peraltro, un procedimento di controllo a posteriori. Su richiesta delle autorità doganali tedesche, l’amministrazione doganale israeliana rispondeva nei seguenti termini: «Dalla nostra verifica risulta che le merci in questione sono originarie di un’area soggetta alla giurisdizione doganale di Israele. In quanto tali, si tratta di prodotti originari ai sensi dell’accordo di associazione CE‑Israele e hanno diritto al trattamento preferenziale previsto da tale accordo».

33      Con lettera 6 febbraio 2003, le autorità doganali tedesche chiedevano all’amministrazione doganale israeliana, a titolo complementare, se le merci di cui trattasi fossero state prodotte negli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme est o sulle alture del Golan. Tale lettera restava senza risposta.

34      Con decisione 25 settembre 2003, le autorità doganali tedesche negavano quindi il beneficio del trattamento preferenziale precedentemente concesso, sulla base del rilievo che non risultava accertato con certezza che le merci importate ricadessero nella sfera di applicazione dell’accordo di associazione CE‑Israele. Conseguentemente, veniva deciso di procedere al recupero a posteriori dei dazi doganali, per un importo complessivo di EUR 19 155,46.

35      La ricorrente nella causa principale, vistosi respinto il reclamo da essa proposto, adiva quindi il Finanzgericht Hamburg (commissione tributaria di Amburgo) con ricorso diretto all’annullamento di tale decisione. Il giudice del rinvio ritiene che la soluzione della controversia dipenda dall’interpretazione dell’accordo di associazione CE‑Israele, del protocollo CE‑Israele e dell’accordo di associazione CE‑OLP.

36      Ciò premesso, il Finanzgericht Hamburg decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, tenuto conto del fatto che per i prodotti originari del territorio dello Stato di Israele e della Cisgiordania è previsto un trattamento preferenziale da due accordi pertinenti nella specie – vale a dire l’[accordo CE‑Israele] e l’[accordo CE‑OLP] –, all’importatore di una merce originaria della Cisgiordania debba sempre essere accordato il trattamento preferenziale richiesto, ancorché venga prodotto solo un certificato ufficiale dell’origine israeliana delle merci.

In caso di soluzione negativa della prima questione:

2)      Se, ai sensi dell’[accordo CE‑Israele], l’autorità doganale di uno Stato membro che non abbia avviato il procedimento di controllo di cui all’art. 32 del Protocollo n. 4 di tale accordo sia tenuta, nei confronti di un importatore che chieda la concessione del trattamento preferenziale per merci importate nel territorio della Comunità, ad accettare la prova d’origine fornita dalle autorità israeliane, nel caso in cui non nutra altri dubbi sul carattere originario dei prodotti se non quello che la merce provenga da un territorio che è solo sotto il controllo israeliano – vale a dire in base all’accordo [israelo-palestinese del 1995] –, e sempreché non sia stato attuato un procedimento ai sensi dell’art. 33 del Protocollo n. 4 dell’[accordo CE‑Israele].

In caso di soluzione negativa della seconda questione:

3)      Se l’autorità doganale dello Stato membro di importazione, nel caso in cui, in seguito alla sua richiesta di controllo ai sensi dell’art. 32, n. 2, del Protocollo n. 4 dell’[accordo CE‑Israele], le autorità israeliane abbiano (solo) confermato che le merci sono state prodotte in un territorio soggetto alla competenza doganale israeliana e che, quindi, sono di origine israeliana, e allorché l’ulteriore richiesta di precisazioni dell’autorità doganale dello Stato di importazione sia rimasta senza risposta, possa già per questo motivo negare il trattamento preferenziale, restando irrilevante, in particolare, l’effettiva origine della merce.

In caso di soluzione negativa della terza questione:

4)      Se, ai sensi dell’[accordo CE‑Israele], l’autorità doganale [dello Stato membro di importazione] possa senz’altro negare il trattamento preferenziale qualora – come nel frattempo accertato – la merce sia originaria della Cisgiordania, ovvero se il trattamento preferenziale debba essere accordato ai sensi dell’[accordo CE‑Israele] anche per merci di tale origine, quantomeno finché non sia stato esperito il procedimento di composizione delle controversie ai sensi dell’art. 33 del Protocollo n. 4 dell’[accordo CE‑Israele] in merito all’interpretazione della nozione, contenuta nell’accordo, di “territorio dello Stato di Israele”».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e sulla quarta questione

37      Con la prima e con la quarta questione pregiudiziale, che appare opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se le autorità doganali dello Stato membro di importazione possano negare la concessione del beneficio del trattamento preferenziale istituito dall’accordo di associazione CE‑Israele quando le merci interessate siano originarie della Cisgiordania.

38      Si deve rilevare, in limine, che la risposta a tali quesiti dipende strettamente dall’interpretazione da dare all’art. 83 dell’accordo di associazione CE‑Israele, che ne definisce la sfera di applicazione territoriale.

39      A tal riguardo, si deve rammentare che un accordo con uno Stato terzo concluso dal Consiglio dell’Unione europea, ai sensi degli artt. 217 TFUE e 218 TFUE, costituisce, per quanto riguarda l’Unione, un atto compiuto da una delle sue istituzioni ai sensi dell’art. 267, primo comma, lett. b), TFUE, che le disposizioni di un siffatto accordo formano, dal momento della sua entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario e che, nell’ambito di questo ordinamento, la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’accordo stesso (v., in tal senso, sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc. pag. 3719, punto 7, e 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke, Racc. pag. I‑3655, punto 41). Inoltre, l’accordo di associazione CE‑Israele, concluso tra due soggetti di diritto internazionale pubblico, è disciplinato dal diritto internazionale e, più in particolare, dal punto di vista della sua interpretazione, dal diritto internazionale dei trattati.

40      Il diritto internazionale dei trattati è stato codificato, sostanzialmente, nella Convenzione di Vienna. Essa si applica, a termini del suo art. 1, ai trattati conclusi tra Stati. Tuttavia, ai sensi del successivo art. 3, lett. b), il fatto che essa non si applichi ad accordi internazionali conclusi tra Stati ed altri soggetti di diritto internazionale non pregiudica l’applicazione a tali accordi di qualsivoglia regola dettata dalla detta Convenzione alla quale essi fossero soggetto in virtù del diritto internazionale, indipendentemente dalla Convenzione medesima.

41      Ne consegue che le regole contenute nella Convenzione di Vienna si applicano ad un accordo concluso tra uno Stato ed un’organizzazione internazionale, quale l’accordo di associazione CE‑Israele, nella misura in cui tali regole costituiscono espressione del diritto internazionale generale di natura consuetudinaria. L’accordo di associazione CE‑Israele dev’essere conseguentemente interpretato alla luce di tali regole.

42      La Corte ha inoltre già avuto modo di affermare che, sebbene non vincolanti per la Comunità e per tutti gli Stati membri di questa, varie disposizioni della Convenzione di Vienna rispecchiano le norme del diritto internazionale consuetudinario che, in quanto tali, vincolano le istituzioni della Comunità e fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario (v., in tal senso, sentenza Racke, cit., punti 24, 45 e 46; v. parimenti, per quanto attiene al riferimento alla Convenzione di Vienna nell’ambito dell’interpretazione di accordi di associazioni conclusi dalle Comunità europee, sentenze 2 marzo 1999, causa C‑416/96, El‑Yassini, Racc. pag. I‑1209, punto 47, nonché 20 novembre 2001, causa C‑268/99, Jany e a., Racc. pag. I‑8615, punto 35 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

43      A termini dell’art. 31 della Convenzione di Vienna, un trattato dev’essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo. A tal riguardo, si dovrà tener conto, oltre che del contesto, di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.

44      Tra tali regole pertinenti, invocabili nell’ambito dei rapporti tra le parti dell’accordo di associazione CE‑Israele, figura il principio di diritto internazionale generale dell’effetto relativo dei trattati, secondo cui i trattati non devono né nuocere né operare a vantaggio di soggetti terzi («pacta tertiis nec nocent nec prosunt»). Tale principio di diritto internazionale generale trova specifica espressione nell’art. 34 della Convenzione di Vienna, in virtù del quale un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso.

45      Da tali considerazioni preliminari risulta che l’art. 83 dell’accordo di associazione CE‑Israele, che definisce la sfera di applicazione territoriale dell’accordo medesimo, dev’essere interpretato in termini conformi al principio «pacta tertiis nec nocent nec prosunt».

46      A tal riguardo, è pacifico che le Comunità europee hanno concluso in successione due accordi di associazione euromediterranei, il primo con lo Stato di Israele, il secondo con l’OLP, agente per conto dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

47      I due accordi di associazione hanno ciascuno una sfera di applicazione territoriale propria: l’art. 83 dell’accordo di associazione CE‑Israele dispone che esso si applica al «territorio dello Stato di Israele»; l’art. 73 dell’accordo di associazione CE‑OLP afferma che esso si applica al «territorio della Cisgiordania e della Striscia di Gaza».

48      Ciò premesso, i due accordi di associazione perseguono un obiettivo identico – contemplato, rispettivamente, all’art. 6, n. 1, dell’accordo di associazione CE‑Israele e all’art. 3 dell’accordo di associazione CE‑OLP –, vale a dire l’istituzione e/o il consolidamento di una zona di libero scambio tra le parti, e presentano lo stesso oggetto – definito, per i prodotti industriali, rispettivamente, all’art. 8 dell’accordo di associazione CE‑Israele e agli artt. 5 e 6 dell’accordo di associazione CE‑OLP –,vale a dire l’eliminazione dei dazi doganali, delle restrizioni quantitative e delle altre misure di effetto equivalente negli scambi commerciali tra le parti di ciascuno dei detti accordi.

49      Riguardo ai metodi di cooperazione amministrativa, per quanto attiene, da un lato, all’accordo di associazione CE‑Israele, dalle disposizioni degli artt. 22, n. 1, lett. a), e 23, n. 1, del protocollo CE‑Israele emerge che la dichiarazione su fattura, necessaria ai fini dell’esportazione in regime preferenziale, viene compilata da un esportatore autorizzato dalle «autorità doganali [dello Stato] di esportazione».

50      Per quanto attiene, dall’altro, all’accordo di associazione CE‑OLP, dalle disposizioni degli artt. 20, n. 1, lett. a), e 21, n. 1, del protocollo CE‑OLP risulta che la dichiarazione su fattura, necessaria ai fini dell’esportazione in regime preferenziale, viene compilata da un esportatore autorizzato dalle «autorità doganali [dello Stato] di esportazione». Inoltre, l’art. 16, n. 4, del protocollo CE-OLP prevede che solo le «autorità doganali della Cisgiordania e della Striscia di Gaza» sono autorizzate a rilasciare un certificato di circolazione delle merci EUR.1 qualora i prodotti di cui trattasi possano essere considerati prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

51      Dalle suesposte considerazioni risulta che le «autorità doganali dello Stato di esportazione», ai sensi dei due menzionati protocolli, dispongono, nella propria rispettiva sfera di giurisdizione territoriale, di una competenza esclusiva ai fini del rilascio dei certificati di circolazione delle merci EUR.1 ovvero ai fini dell’autorizzazione degli esportatori stabiliti sul territorio soggetti alla loro amministrazione.

52      Pertanto, interpretare l’art. 83 dell’accordo di associazione CE‑Israele nel senso che le autorità israeliane sarebbero investite di competenze doganali riguardo ai prodotti originari della Cisgiordania si risolverebbe nell’imporre alle autorità doganali palestinesi l’obbligo di non esercitare le competenze loro peraltro attribuite dalle menzionate disposizioni CE‑OLP. Una siffatta interpretazione, avente l’effetto di creare un obbligo per un soggetto terzo senza il suo consenso, si porrebbe in contrasto con il principio di diritto internazionale generale «pacta tertiis nec nocent nec prosunt», quale codificato all’art. 34 della Convenzione di Vienna.

53      Ne consegue che l’art. 83 dell’accordo di associazione CE‑Israele dev’essere interpretato nel senso che i prodotti originari della Cisgiordania non ricadono nella sfera di applicazione territoriale del detto accordo e non possono quindi beneficiare del regime preferenziale dal medesimo istituito.

54      Ciò premesso, le autorità doganali tedesche potevano legittimamente negare la concessione del beneficio del trattamento preferenziale previsto dall’accordo di associazione CE‑Israele alle merci di cui trattasi sulla base del rilievo che esse erano originarie della Cisgiordania.

55      Sempre riguardo alla prima questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se le autorità doganali dello Stato di importazione possano concedere il beneficio di un trattamento preferenziale qualora tale trattamento sia previsto dai due accordi considerati, vale a dire l’accordo di associazione CE‑Israele e l’accordo di associazione CE‑OLP, qualora sia pacifico che le merci di cui trattasi siano originarie della Cisgiordania e venga prodotto un solo certificato formale dell’origine israeliana. Il detto giudice si chiede, in particolare, in qual misura possa essere ammesso un concorso di qualificazioni, lasciando aperta la questione relativa all’individuazione di quale dei due accordi sia applicabile nella specie e se la prova dell’origine debba essere prodotta dalle autorità israeliane o palestinesi.

56      Ammettere un siffatto concorso di qualificazioni, fondato unicamente sui rilievi che i due accordi in esame prevedono un trattamento preferenziale e che il luogo di origine delle merci viene accertato mediante altri mezzi di prova, si risolverebbe nel negare, in termini generali, la necessità di disporre, per poter beneficiare di un trattamento preferenziale, di una valida prova dell’origine proveniente dall’autorità competente dello Stato di esportazione.

57      Orbene, tanto dall’art. 17 del protocollo CE‑Israele quanto dall’art. 15 del protocollo CE‑OLP risulta che i prodotti originari delle parti contraenti necessitano di una prova dell’origine al fine di poter beneficiare del trattamento preferenziale. Tale esigenza di una valida prova dell’origine proveniente dall’autorità competente non può essere considerata quale semplice formalità che possa restare inosservata per quanto il luogo di origine possa essere comunque accertato mediante altri mezzi di prova. A tal riguardo, la Corte ha già avuto modo di affermare che non possono essere considerati validi i certificati rilasciati da autorità diverse da quelle segnatamente indicate nell’accordo di associazione (sentenza 5 luglio 1994, causa C‑432/92, Anastasiou e a., Racc. pag. I‑3087, punti 37‑41).

58      Alla luce delle suesposte considerazioni, la prima e la quarta questione pregiudiziale devono essere risolte nel senso che le autorità doganali dello Stato membro di importazione possono negare la concessione del beneficio del trattamento preferenziale istituito dall’accordo di associazione CE‑Israele quando le merci di cui trattasi siano originarie della Cisgiordania. Inoltre, le autorità doganali dello Stato membro di importazione non possono procedere ad un concorso di qualificazioni lasciando aperta la questione dell’individuazione dell’accordo applicabile nella specie, vale a dire l’accordo di associazione CE‑Israele ovvero l’accordo di associazione CE‑OLP, e la questione se la prova dell’origine debba provenire dalle autorità israeliane o palestinesi.

 Sulla seconda e sulla terza questione

59      Con la seconda e con la terza questione, che appare opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se, nell’ambito della procedura prevista dall’art. 32 del protocollo CE‑Israele, le autorità doganali dello Stato di importazione siano vincolate dalla prova di origine presentata e dalla risposta delle autorità doganali dello Stato di esportazione. Detto giudice chiede parimenti se, ai fini della composizione della controversia sorta in occasione dei controlli delle dichiarazioni su fattura di cui trattasi, le autorità doganali dello Stato di importazione debbano sottoporre tale controversia, a norma dell’art. 33 del protocollo, al comitato di cooperazione doganale prima di adottare misure unilateralmente.

 Sulla questione se le autorità doganali dello Stato di importazione siano vincolate dalla risposta delle autorità doganali dello Stato di esportazione

60      Dall’art. 32 del protocollo CE‑Israele emerge che il controllo a posteriori delle dichiarazioni su fattura viene effettuato ogniqualvolta le autorità doganali dello Stato di importazione nutrano dubbi fondati per quanto attiene all’autenticità di tali dichiarazioni o al carattere originario dei prodotti di cui trattasi. Il controllo viene effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione. Le autorità doganali che abbiano chiesto il controllo vengono informate in ordine alle risultanze del controllo medesimo entro e non oltre il termine di dieci mesi. Tali risultanze devono indicare chiaramente se le dette dichiarazioni sono autentiche e se i prodotti di cui trattasi possono essere considerati prodotti originari. In caso di dubbi fondati e in assenza di risposta alla scadenza del termine di dieci mesi ovvero nel caso in cui la risposta non contenga informazioni sufficienti per determinare l’autenticità della dichiarazione in questione o l’origine effettiva dei prodotti, le autorità doganali dello Stato di importazione negano il beneficio del trattamento preferenziale.

61      Nell’ambito di analogo contesto giuridico, la Corte ha già avuto modo di affermare che da tali disposizioni emerge che la determinazione dell’origine delle merci si basa sulla ripartizione delle competenze fra le autorità doganali delle parti dell’accordo di libero scambio interessato, nel senso che l’origine viene accertata dalle autorità dello Stato di esportazione. Tale sistema è giustificato dal fatto che queste ultime si trovano nella posizione migliore per verificare direttamente i fatti che determinano l’origine (v., in tal senso, sentenza 12 luglio 1984, causa 218/83, Les Rapides Savoyards e a., Racc. pag. 3105, punto 26).

62      Tale meccanismo può peraltro funzionare solo qualora le autorità doganali dello Stato di importazione accettino le valutazioni legalmente effettuate dalle autorità doganali dello Stato di esportazione (v., in tal senso, sentenze Les Rapides Savoyards e a., cit., punto 27, e 9 febbraio 2006, cause riunite da C‑23/04 a C‑25/04, Sfakianakis, Racc. pag. I‑1265, punto 23).

63      Ne consegue che, nell’ambito di tale sistema di mutuo riconoscimento, le autorità doganali dello Stato di importazione non possono, unilateralmente, invalidare una dichiarazione su fattura compilata da un esportatore regolarmente autorizzato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione. Del pari, in caso di controllo a posteriori, queste stesse autorità sono vincolate dai risultati di un siffatto controllo (v., in tal senso, sentenza Sfakianakis, cit., punto 49).

64      Tuttavia, nella causa principale, il controllo a posteriori ex art. 32 del protocollo CE‑Israele non verteva sulla questione se i prodotti importati fossero stati interamente ottenuti in una determinata località o fossero stati ivi soggetti a lavorazione o trasformazione sufficienti per poter essere considerati originari della località medesima conformemente alle disposizioni del protocollo CE‑Israele. L’oggetto del controllo a posteriori riguardava il luogo di fabbricazione stesso dei prodotti importati al fine di accertare se tali prodotti ricadessero nella sfera di applicazione territoriale dell’accordo di associazione CE‑Israele. L’Unione esclude infatti i prodotti ottenuti nelle località collocate sotto amministrazione israeliana successivamente al 1967 dal beneficio del trattamento preferenziale definito nell’accordo.

65      Conformemente all’art. 32, n. 6, del protocollo CE‑Israele, qualora la risposta delle autorità doganali dello Stato di esportazione non contenga informazioni sufficienti ai fini della determinazione dell’effettiva origine dei prodotti, le autorità doganali di controllo devono negare il beneficio del trattamento preferenziale relativo ai prodotti stessi.

66      Orbene, dagli atti emerge che, nell’ambito del controllo a posteriori, le autorità doganali israeliane non hanno fornito alcuna precisa risposta alle lettere delle autorità doganali tedesche dirette a verificare se i prodotti di cui trattasi fossero stati fabbricati negli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme est o sulle alture del Golan. La lettera delle autorità doganali tedesche 6 febbraio 2003 è parimenti rimasta senza risposta.

67      Ciò premesso, si deve ritenere che la risposta delle autorità doganali israeliane non contenga informazioni sufficienti, ai sensi dell’art. 32, n. 6, del protocollo CE‑Israele, ai fini della determinazione dell’effettiva origine dei prodotti, ragion per cui l’affermazione delle autorità medesime secondo cui i prodotti interessati beneficerebbero del trattamento preferenziale dell’accordo di associazione CE‑Israele non vincola le autorità doganali dello Stato membro di importazione.

 Sull’obbligo di adire il comitato di cooperazione doganale

68      L’art. 33, primo comma, del protocollo CE‑Israele prevede che, qualora sorgano controversie nell’ambito dei controlli previsti dal precedente art. 32 o vengano sollevate questioni interpretative del protocollo medesimo, tali controversie vengono sottoposte al comitato di cooperazione doganale.

69      A termini dell’art. 39 del protocollo CE‑Israele, il comitato di cooperazione doganale è un organo amministrativo composto da esperti in materia doganale e da funzionari dei servizi della Commissione, degli Stati membri e dello Stato di Israele. Tale comitato è incaricato, nell’ambito delle disposizioni del protocollo medesimo, di assolvere qualsiasi compito di natura tecnica nel settore doganale. Conseguentemente, non può essere considerato competente a risolvere controversie vertenti su questioni di diritto come quelle relative all’interpretazione dell’accordo di associazione CE‑Israele stesso. A norma dell’art. 75, n. 1, dell’accordo di associazione CE‑Israele, tali controversie possono essere, per contro, sottoposte al consiglio di associazione.

70      In un caso come quello oggetto della causa principale, non si può ritenere che la risposta delle autorità doganali israeliane fornita nell’ambito della procedura di controllo a posteriori ex art. 32 del protocollo CE‑Israele sia all’origine di una controversia tra le parti contraenti in ordine all’interpretazione del protocollo medesimo. Infatti, da un lato, la risposta omette di fornire le informazioni richieste. Dall’altro, se, nella causa principale, la controversia è sorta nell’ambito del procedimento di controllo a posteriori avviato dalle autorità doganali dello Stato di importazione, essa non riguarda l’interpretazione del protocollo CE‑Israele, bensì la determinazione della sfera di applicazione territoriale dell’accordo di associazione CE‑Israele.

71      Ne consegue che, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, ognuna delle parti contraenti dispone della facoltà di sottoporre la questione di interpretazione relativa alla sfera di applicazione territoriale dell’accordo di associazione CE‑Israele al consiglio di associazione. Non è invece necessario adire il comitato di cooperazione doganale quando la questione interpretativa non ricada nella sfera di competenza del medesimo.

72      In ogni caso, per quanto, trattandosi di una controversia vertente sull’interpretazione dell’accordo di associazione stesso, fosse ipotizzabile adire il consiglio di associazione, si deve rammentare che, come la Corte ha già avuto modo di affermare, il fatto che non sia stato adito il comitato di associazione, emanazione del consiglio di associazione, non può valere come giustificazione per una deroga al sistema di cooperazione e al rispetto delle competenze attribuite dall’accordo di associazione (v., in tal senso, sentenza Sfakianakis, cit., punto 52).

73      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la seconda e la terza questione pregiudiziale devono essere risolte nel senso che, nell’ambito della procedura prevista dall’art. 32 del protocollo CE‑Israele, le autorità doganali dello Stato di importazione non sono vincolate dalla prova di origine presentata e dalla risposta delle autorità doganali dello Stato di esportazione qualora tale risposta non contenga informazioni sufficienti ai sensi dell’art. 32, n. 6, del protocollo CE‑Israele, ai fini della determinazione dell’effettiva origine dei prodotti. Inoltre, le autorità doganali dello Stato di importazione non sono tenute a sottoporre una controversia vertente sull’interpretazione della sfera di applicazione territoriale dell’accordo di associazione CE‑Israele al comitato di cooperazione doganale istituito dall’art. 39 del detto protocollo.

 Sulle spese

74      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      Le autorità doganali dello Stato membro di importazione possono negare la concessione del beneficio del trattamento preferenziale istituito dall’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995, quando le merci interessate siano originarie della Cisgiordania. Inoltre, le autorità doganali dello Stato membro di importazione non possono procedere ad un concorso di qualificazioni lasciando aperta la questione relativa all’individuazione di quale degli accordi considerati – vale a dire l’accordo di associazione CE‑Israele o l’accordo euromediterraneo interinale di associazione sugli scambi e la cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a beneficio dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dall’altra, concluso a Bruxelles il 24 febbraio 1997 – sia applicabile nella specie e la questione se la prova dell’origine debba essere fornita dalle autorità israeliane o palestinesi.

2)      Nell’ambito della procedura prevista dall’art. 32 del protocollo n. 4 allegato all’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, le autorità doganali dello Stato di importazione non sono vincolate dalla prova di origine presentata e dalla risposta fornita dalle autorità doganali dello Stato d’esportazione qualora tale risposta non contenga informazioni sufficienti ai sensi dell’art. 32, n. 6, del protocollo CE‑Israele, ai fini della determinazione dell’effettiva origine dei prodotti. Inoltre, le autorità doganali dello Stato di importazione non sono tenute a sottoporre una controversia vertente sull’interpretazione della sfera di applicazione territoriale dell’accordo di associazione CE‑Israele al comitato di cooperazione doganale istituito dall’art. 39 del detto protocollo.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.