Language of document : ECLI:EU:C:2010:114

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

4 marzo 2010 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 92/43/CEE – Art. 6, nn. 2 e 3 – Trasposizione non corretta – Zone speciali di conservazione – Conseguenze significative di un progetto sull’ambiente – Carattere “non perturbatore” di talune attività – Valutazione delle incidenze sull’ambiente»

Nella causa C‑241/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 2 giugno 2008,

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia e dal sig. J.‑B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica francese, rappresentata dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A.‑L. During, in qualità di agenti,

convenuta,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.‑C. Bonichot, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Seconda Sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, K. Schiemann, P. Kūris e L. Bay Larsen (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 giugno 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il proprio ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo adottato tutte le misure legislative e regolamentarie necessarie ai fini della corretta trasposizione dell’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7; in prosieguo: la «direttiva habitat»), la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma di tale direttiva.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

2        L’art. 2, n. 3, della direttiva «habitat» dispone che le misure adottate a norma della direttiva medesima tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali.

3        L’art. 6, nn. 2‑4, della direttiva «habitat» così recita:

«2.      Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.

3.      Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.

4.      Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

(…)».

 La normativa nazionale

4        L’art. L. 414‑1, n. 5, del Codice dell’ambiente (Code de l’environnement) così dispone:

«I siti Natura 2000 costituiscono oggetto di misure destinate a conservare o a ripristinare in uno stato favorevole al loro mantenimento a lungo termine gli habitat naturali e le popolazioni delle specie di fauna e di flora selvatiche che hanno giustificato la loro delimitazione. I siti Natura 2000 costituiscono parimenti oggetto di opportune misure di prevenzione al fine di evitare il degrado dei medesimi habitat naturali e le perturbazioni idonee ad incidere in modo significativo sulle stesse specie.

Tali misure sono definite di concerto, segnatamente, con le amministrazioni territoriali competenti e i relativi gruppi di interesse nonché con i rappresentanti dei proprietari, gestori e utenti dei terreni e delle aree compresi nel sito.

Esse tengono conto delle esigenze economiche, sociali, culturali e di difesa, nonché delle particolarità regionali e locali. Esse sono adeguate alle specifiche minacce gravanti su tali habitat naturali e sulle dette specie. Esse non comportano il divieto di attività antropiche qualora queste non abbiano conseguenze significative sul mantenimento o sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente di questi habitat naturali e di queste specie. La pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate alle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività che perturbano o che hanno conseguenze analoghe.

Le misure vengono adottate nell’ambito delle convenzioni o degli statuti previsti dall’art. L. 414‑3 ovvero in applicazione delle disposizioni legislative o regolamentari, segnatamente di quelle relative ai parchi nazionali, ai parchi naturali marini, alle riserve naturali, ai biotipi o ai siti protetti».

5        L’art. L. 414‑2, n. 1, primo comma, del Codice dell’ambiente prevede che, per ogni singolo sito Natura 2000, un documento degli obiettivi definisca gli orientamenti di gestione, le misure previste dall’art. L. 414‑1, le modalità di loro attuazione e le disposizioni finanziarie di accompagnamento.

6        L’art. L. 414‑3, n. 1, del detto codice così recita:

«Ai fini dell’applicazione del documento degli obiettivi, i titolari di diritti reali e personali aventi ad oggetto terreni ricompresi nel sito nonché i lavoratori e utenti delle aree marine situate nel sito stesso possono concludere contratti con l’autorità amministrativa, denominati “contratti Natura 2000”. (…)

Il contratto Natura 2000 comporta un insieme di impegni conformi agli orientamenti e alle misure definiti dal documento degli obiettivi, relativo alla conservazione e, eventualmente, al ripristino degli habitat naturali e delle specie che hanno giustificato l’istituzione del sito Natura 2000. (…)

(…)».

7        A termini dell’art. L. 414‑4, n. 1, del detto codice:

«I programmi o i progetti relativi a lavori, opere o realizzazioni soggetti ad un regime di autorizzazione o di approvazione amministrativa e la cui esecuzione sia tale da incidere in modo notevole su un sito Natura 2000, sono oggetto di una valutazione della loro incidenza relativamente agli obiettivi di conservazione del sito. Nel caso di programmi previsti da disposizioni legislative e regolamentari e per i quali non sia necessario uno studio di impatto ambientale, la valutazione è effettuata secondo la procedura di cui agli artt. L 122‑4 e segg. del presente codice.

I lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000 sono dispensati dalla procedura di valutazione menzionata al comma precedente».

8        A norma dell’art. R 414‑21, n. 3, punto 1, del Codice dell’ambiente, il richiedente deve indicare i motivi per i quali non esiste un’altra soluzione soddisfacente ai fini della realizzazione del piano del progetto quando questo possa produrre effetti dannosi notevoli sullo stato di conservazione degli habitat naturali e delle specie.

 La fase precontenziosa del procedimento

9        Il 18 ottobre 2005, la Commissione trasmetteva alla Repubblica francese una lettera di diffida in cui esprimeva le proprie perplessità quanto alla conformità della normativa francese con l’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva «habitat».

10      La Commissione, non ritenendo convincente la risposta delle autorità francesi del 7 febbraio 2006, trasmetteva alla Repubblica francese, in data 15 dicembre 2006, un parere motivato, invitando il detto Stato membro ad adottare le misure necessarie a conformarvisi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Le autorità francesi rispondevano al detto parere motivato con lettera 28 febbraio 2007.

11      Il 2 giugno 2008, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

 Sul ricorso

 Quanto all’art. 6, n. 2, della direttiva habitat

 Sulla ricevibilità

12      Si deve rilevare che, se è pur vero che la legge 30 dicembre 2006, n. 2006‑1772, sulle acque e sugli ambienti acquatici (GURF del 31 dicembre 2006, pag. 20285), ha modificato le disposizioni nazionali di cui trattasi, le modifiche introdotte, come sottolineato dalla Commissione senza essere contraddetta in merito dalla Repubblica francese, non cambiano sostanzialmente le dette disposizioni e restano irrilevanti con riguardo agli addebiti formulati dalla Commissione nella lettera di diffida e nel parere motivato.

13      Ne consegue che gli addebiti relativi alla non conformità dell’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, terzo e quarto periodo, del Codice dell’ambiente sono ricevibili.

 Sul primo addebito, attinente all’applicazione non differenziata del criterio relativo alle «conseguenze significative» sul degrado degli habitat e alla perturbazione delle specie

–       Argomenti delle parti

14      La Commissione sostiene che l’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, terzo periodo, del Codice dell’ambiente, laddove dispone che le attività antropiche sono vietate nei siti Natura 2000 solamente qualora abbiano conseguenze significative sul mantenimento o sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat naturali e delle specie, applichi il criterio relativo alle «conseguenze significative» indistintamente tanto al degrado degli habitat quanto alla perturbazione delle specie risultando, conseguentemente, impreciso e meno restrittivo rispetto al dettato dell’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat». Infatti, quest’ultima disposizione esigerebbe che gli Stati membri adottino opportune misure al fine di evitare, nelle zone speciali di conservazione, da un lato, il degrado degli habitat naturali e degli habitat delle specie e, dall’altro, le perturbazioni delle specie laddove presentino conseguenze significative con riguardo agli obiettivi della direttiva stessa. In altri termini, le perturbazioni delle specie che, nella maggior parte dei casi, sono limitate nel tempo potrebbero essere tollerate sino ad un certo livello, a differenza del degrado degli habitat, che può essere definito quale degrado fisico incidente sugli habitat medesimi e che sarebbe sistematicamente vietato, atteso che l’esposizione di un habitat a pericoli sarebbe più grave rispetto alla perturbazione di una specie.

15      Ancorché la Commissione riconosca che l’art. L. 414‑1, n. 5, primo comma, del Codice dell’ambiente operi, conformemente all’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat», la distinzione tra la necessità di evitare il degrado degli habitat e quella di evitare le perturbazioni nei confronti delle specie, atteso che il criterio relativo alle «conseguenze significative» è previsto unicamente per queste ultime, l’istituzione contesta tuttavia alla normativa francese di cui trattasi di non operare tale distinzione nella parte in cui disciplina specificamente, all’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, del Codice dell’ambiente, le attività antropiche, le quali possono essere vietate dalle autorità competenti solamente qualora producano conseguenze significative.

16      La Repubblica francese fa valere che, a norma dell’art. L. 414‑1, n. 5, primo comma, del Codice dell’ambiente, dev’essere evitato, in ogni caso, il degrado degli habitat, conformemente alle esigenze fissate dall’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat». Tuttavia, l’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, del detto Codice consentirebbe di non opporre un divieto puro e semplice ad attività antropiche che non producano conseguenze significative sulla conservazione degli habitat. Tali attività, in virtù dell’art. L. 414‑1, n. 5, primo comma, del menzionato Codice potrebbero costituire oggetto di misure intese ad evitare degradi degli habitat nonché perturbazioni nei confronti delle specie.

17      Secondo la Repubblica francese, conciliando l’esigenza di conservazione degli habitat e delle specie con il mantenimento di attività antropiche che rispettino tale esigenza, l’art. L. 414-1, n. 5, terzo comma, del Codice dell’ambiente risulterebbe conforme agli obiettivi perseguiti dalla direttiva «habitat», nonché all’art. 2, n. 3, della medesima, a termini del quale le misure adottate devono tener conto delle esigenze economiche, sociali e culturali nonché delle particolarità regionali e locali. Per contro, la posizione della Commissione non sarebbe compatibile con le esigenze della detta direttiva.

–       Giudizio della Corte

18      L’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat» detta l’obbligo generale di adottare opportune misure di protezione, consistenti nell’evitare che si producano deterioramenti degli habitat nonché perturbazioni delle specie che possano avere conseguenze significative, con riguardo agli obiettivi della direttiva medesima.

19      Si deve rilevare, a tal riguardo, che l’art. L. 414‑1, n. 5, primo comma, del Codice dell’ambiente prevede che i siti Natura 2000 costituiscano oggetto di opportune misure di prevenzione per evitare il degrado degli habitat naturali e le perturbazioni idonee ad incidere in modo significativo sulle popolazioni delle specie di fauna e di flora selvatiche che hanno giustificato la delimitazione dei siti.

20      Per quanto attiene alle attività antropiche, l’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, del Codice dell’ambiente precisa che tali misure non devono comportare il divieto delle attività antropiche qualora queste non abbiano conseguenze significative sul mantenimento o sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente di tali habitat naturali e di tali specie.

21      A tal riguardo, si deve rilevare che il terzo comma del n. 5 dell’art. L. 414‑1 del Codice dell’ambiente dev’essere letto in combinato disposto con il primo comma di tale n. 5 ed alla luce di quest’ultimo.

22      Al fine di poter stabilire se l’addebito formulato dalla Commissione sia fondato, si deve rammentare che, secondo costante giurisprudenza, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Spetta, infatti, all’istituzione fornire alla Corte tutti gli elementi necessari affinché quest’ultima accerti l’esistenza dell’inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v., segnatamente, sentenza 11 dicembre 2008, causa C‑293/07, Commissione/Grecia, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

23      Orbene, nella specie, la Commissione si è limitata, in sostanza, a dedurre che, per garantire una trasposizione conforme all’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat», l’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, del Codice dell’ambiente deve vietare tutti i degradi, ancorché questi non producano conseguenze significative. Enucleando in tal modo la detta disposizione e non tenendo sufficientemente conto del contesto normativo immediato nel quale essa si colloca, la Commissione ha, segnatamente, omesso di dimostrare che le opportune misure adottate a norma dell’art. L. 414‑1, n. 5, primo comma, del detto Codice non consentano di evitare effettivamente il degrado degli habitat ai sensi dell’art. 6, n. 2, della detta direttiva.

24      Ciò premesso, non risulta provato che l’art. L. 414‑1, n. 5, del Codice dell’ambiente, complessivamente considerato, non costituisca trasposizione conforme dell’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat», nel senso prospettato dal primo addebito.

25      Conseguentemente, il primo addebito dev’essere respinto.

 Sul secondo addebito, relativo all’affermazione generale del carattere non perturbatore di talune attività

–       Argomenti delle parti

26      La Commissione sostiene che l’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, quarto periodo, del Codice dell’ambiente, che prevede che la pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate alle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività che perturbano o che hanno conseguenze analoghe, non garantisca una trasposizione chiara, precisa e completa dell’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat». Infatti, la conformità ad una normativa, senza che sia fornita la garanzia che essa tenga conto delle esigenze specifiche di un determinato sito, non potrebbe legittimare a priori l’affermazione generale che tali attività non presentano effetti perturbatori.

27      La Commissione ritiene, in particolare, che il documento degli obiettivi, al quale il potere regolamentare fa rinvio, non sia idoneo a tener conto delle esigenze specifiche di un determinato sito, considerato che tale documento, redatto su base contrattuale, non è volto a disciplinare attività quali la caccia o la pesca e non presenta alcun carattere vincolante, non essendo accompagnato da nessuna sanzione.

28      La Repubblica francese sostiene di aver correttamente trasposto l’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat» sancendo il principio secondo il quale le attività acquicole e venatorie, laddove siano praticate in conformità alle leggi e regolamenti in vigore, non producono effetti perturbatori e, conseguentemente, si presume che esse siano compatibili con gli obiettivi di conservazione perseguiti nell’ambito della rete ecologica europea Natura 2000.

29      La Repubblica francese, pur riconoscendo che il documento degli obiettivi non comporta misure regolamentari direttamente applicabili, sottolinea che le misure regolamentari necessarie, specifiche per un determinato sito, vengono successivamente approvate con decisione delle autorità competenti, ad integrazione della normativa generale esistente. Essa indica, inoltre, che la normativa generale delle attività di pesca e venatoria può riguardare territori circoscritti e delimitati secondo criteri ecologici e dar luogo alla fissazione di quote di prelievi.

–       Giudizio della Corte

30      Si deve rammentare, in primo luogo, che, secondo la giurisprudenza della Corte, il n. 2 dell’art. 6 della direttiva «habitat» ed il successivo n. 3 mirano a garantire lo stesso livello di protezione (v., in tal senso, sentenze 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelsbeschermingsvereniging, Racc. pag. I‑7405, punto 36, nonché 13 dicembre 2007, causa C‑418/04, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑10947, punto 263).

31      Occorre rilevare, in secondo luogo, che, per quanto attiene all’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», la Corte ha già avuto modo di affermare che la possibilità di esentare, in termini generali, talune attività, conformemente alla normativa in vigore, dalla necessità di una valutazione delle incidenze sul sito interessato non è conforme a tale disposizione. Infatti, una siffatta esenzione non è idonea a garantire che tali attività non pregiudichino l’integrità del sito protetto (v., in tal senso, sentenza 10 gennaio 2006, causa C‑98/03, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑53, punti 43 e 44).

32      Conseguentemente, tenuto conto del livello di analoga protezione previsto dal n. 2 dell’art. 6 della direttiva «habitat» e dal successivo n. 3, l’art. L. 414‑1, n. 5, terzo comma, quarto periodo, del Codice dell’ambiente, laddove dichiara in termini generali che talune attività, come la caccia e la pesca, non sono fonte di perturbazioni, può essere considerato conforme all’art. 6, n. 2, della detta direttiva solamente qualora sia garantito che tali attività non generino alcuna perturbazione idonea ad incidere in modo significativo sugli obiettivi della detta direttiva.

33      La Repubblica francese afferma, a tal riguardo, che per ogni sito viene sviluppato un documento degli obiettivi che serve da fondamento ai fini dell’adozione di misure specifiche volte a tener conto delle esigenze ecologiche proprie del sito medesimo. Essa aggiunge, inoltre, che l’esercizio delle attività in questione conformemente alla normativa generale ad esse applicabile consentirebbe di tener conto dei territori circoscritti e delimitati secondo criteri ecologici o di fissare quote di prelievi.

34      Occorre conseguentemente esaminare se siffatte misure o norme consentano effettivamente di garantire che le attività di cui trattasi non generino alcuna perturbazione idonea a produrre conseguenze significative.

35      Per quanto attiene al documento degli obiettivi, la Repubblica francese fa presente che esso non contiene misure regolamentari direttamente applicabili e che si tratta di uno strumento diagnostico che consente, sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili, di proporre alle autorità competenti le misure che consentano il raggiungimento degli obiettivi di conservazione previsti dalla direttiva «habitat». Essa aggiunge parimenti che, attualmente, solamente la metà dei siti è dotata di tale documento degli obiettivi.

36      Ne consegue che il documento degli obiettivi non può garantire sistematicamente e in ogni caso che le attività di cui trattasi non creino perturbazioni idonee ad incidere in modo significativo su detti obiettivi di conservazione.

37      Tale conclusione si impone, a fortiori, per quanto attiene alle misure specifiche volte a tener conto delle particolari esigenze ecologiche di un sito determinato, atteso che la loro adozione si fonda sul documento degli obiettivi.

38      Quanto alle norme generali applicabili alle attività in questione, si deve rilevare che, se è pur vero che tali norme possono certamente diminuire il rischio di perturbazioni significative, esse possono tuttavia escludere totalmente tale rischio solamente qualora prevedano imperativamente il rispetto dell’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat». Orbene, la Repubblica francese non afferma che ciò sia avvenuto nella specie.

39      Da tutte le suesposte considerazioni emerge che, prevedendo in termini generali che la pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate alle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e regolamenti vigenti non costituiscono attività perturbatrici o aventi effetti analoghi, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat».

 Quanto all’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat»

 Sul primo addebito, relativo all’esenzione dei lavori, delle opere o delle realizzazioni previste dai contratti Natura 2000 dalla procedura di valutazione delle incidenze sul sito

–       Argomenti delle parti

40      La Commissione contesta all’art. L. 414‑4, n. 1, secondo comma, del Codice dell’ambiente di non costituire corretta trasposizione dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat» nella parte in cui esonererebbe sistematicamente i lavori, le opere o le realizzazioni previste dai contratti Natura 2000 dalla procedura di valutazione delle incidenze sul sito prevista dal detto art. 6, n. 3.

41      Secondo la normativa francese, i contratti Natura 2000 verrebbero conclusi «ai fini dell’applicazione del documento degli obiettivi», il quale conterrebbe, in particolare, uno o più capitolati‑tipo applicabili ai contratti Natura 2000, precisando le corrette prassi da rispettare nell’esecuzione delle misure contrattuali, l’obiettivo perseguito e le specie e gli habitat interessati. Se è pur vero che tali contratti devono essere conformi al documento degli obiettivi, nulla lascia intendere, a parere della Commissione, che essi contengano esclusivamente misure direttamente connesse o necessarie alla gestione del sito.

42      La Repubblica francese riconosce che i lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000 sono esentati dalla procedura di valutazione delle incidenze sui siti e ritiene che l’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat» non imponga di sottoporre tali lavori, opere o realizzazioni alla detta procedura di valutazione atteso che, a suo parere, essi non pregiudicano in modo significativo il sito.

43      Infatti, i contratti Natura 2000 verrebbero conclusi, a termini dell’art. L. 414‑3 del Codice dell’ambiente, ai fini dell’applicazione del documento degli obiettivi e resterebbe escluso che essi possano contravvenire agli obiettivi di conservazione degli habitat e delle specie ovvero prevedere azioni non necessarie al soddisfacente stato di conservazione del sito.

–       Giudizio della Corte

44      Si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito ma idoneo a incidere sul sito medesimo in modo significativo deve costituire oggetto di opportuna valutazione delle sue incidenze su tale sito alla luce degli obiettivi di conservazione del medesimo.

45      A tal riguardo non è contestato che i lavori, le opere o le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000 possano essere qualificati come piani o progetti ai sensi del detto art. 6, n. 3.

46      Occorre quindi esaminare se i lavori, le opere o le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000 siano direttamente connessi o necessari alla gestione del sito in modo tale che la loro autorizzazione non sia soggetta all’obbligo di effettuare la valutazione delle incidenze prevista dall’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat».

47      Dall’art. L. 414‑3, n. 1, del Codice dell’ambiente emerge che il contratto Natura 2000 è concluso ai fini dell’«applicazione del documento degli obiettivi» e che esso contiene «un insieme di impegni conformi agli orientamenti e alle misure definiti dal documento degli obiettivi, relativo alla conservazione e, eventualmente, al ripristino degli habitat naturali e delle specie che hanno giustificato l’istituzione del sito Natura 2000».

48      A termini dell’art. L. 414‑2, n. 1, primo comma, del detto Codice, il documento degli obiettivi definisce, segnatamente, gli orientamenti di gestione nonché le misure di conservazione o di ripristino.

49      A parere della Repubblica francese, l’esenzione sistematica dei lavori, delle opere o delle realizzazioni previsti dal contratto Natura 2000 dall’obbligo di procedere alla valutazione delle incidenze sul sito, di cui all’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», è giustificata dall’idea che tali contratti, considerato che essi hanno ad oggetto la realizzazione degli obiettivi di conservazione e di ripristino previsti per il sito, sono direttamente connessi o necessari alla gestione del sito medesimo.

50      Una siffatta impostazione presupporrebbe, dunque, che le misure previste dai contratti Natura 2000, volte a realizzare gli obiettivi di conservazione e di ripristino, costituiscano parimenti, in ogni caso, misure direttamente connesse o necessarie alla gestione del sito.

51      Tuttavia, non può escludersi che lavori, opere o realizzazioni previsti da tali contratti, pur perseguendo l’obiettivo di conservazione o di ripristino di un sito, non siano peraltro direttamente connessi o necessari alla gestione del medesimo.

52      La Repubblica francese riconosce d’altronde, a tal riguardo, nell’ambito dell’addebito relativo all’applicazione indifferenziata del criterio relativo alle «conseguenze significative», che misure di conservazione di habitat possono rivelarsi favorevoli in taluni habitat interessati, ma comportare un degrado in altri tipi di habitat. Essa cita, a titolo di esempio, la salicultura, per le cui esigenze la creazione di bacini chiamati «occhielli» ai fini dell’attività industriale di produzione di sale comporta il degrado dell’habitat costituito dalle lagune, ancorché tale attività possa peraltro produrre effetti benefici per rigenerare l’ambiente grazie al mantenimento di taluni tipi di bacini.

53      Ne consegue che la determinazione degli obiettivi di conservazione e di rispristino nell’ambito di Natura 2000 può richiedere la necessità, come correttamente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle conclusioni, di dirimere conflitti tra finalità diverse.

54      Affinché la realizzazione degli obiettivi di conservazione previsti dalla direttiva «habitat» sia pienamente garantita, è quindi necessario che, a termini dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», ogni piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito, idoneo ad incidere sul medesimo in maniera significativa, costituisca oggetto di valutazione individuale delle sue incidenze sul sito di cui trattasi alla luce degli obiettivi di conservazione del medesimo.

55      Ne consegue che la sola conformità dei contratti Natura 2000 agli obiettivi di conservazione del sito non può essere considerata sufficiente, alla luce dell’art. 6, n., 3, della direttiva «habitat», al fine di dispensare sistematicamente i lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai detti contratti dalla valutazione delle incidenze sui siti.

56      Conseguentemente, esentando sistematicamente dalla procedura di valutazione delle incidenze sul sito i lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat».

 Sul secondo addebito, relativo all’esistenza di attività non soggette ad autorizzazione

–       Argomenti delle parti

57      La Commissione sostiene che l’art. L. 414‑4, n. 1, primo comma, del Codice dell’ambiente non sia conforme all’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat» nella parte in cui assoggetta alla procedura di valutazione delle incidenze sul sito, prevista da quest’ultima disposizione, unicamente le operazioni che costituiscano oggetto di autorizzazione o approvazione amministrativa. I programmi o progetti soggetti a un regime dichiarativo ne resterebbero esclusi. Orbene, questi ultimi produrrebbero conseguenze significative sul sito con riguardo agli obiettivi di conservazione, criterio determinante ai fini dell’applicazione dell’art. 6, n. 3, della detta direttiva.

58      La Repubblica francese non contesta la fondatezza di tale addebito e si limita ad invocare le modifiche legislative da essa attuate al fine di conformarsi con la normativa comunitaria, modifiche introdotte per mezzo della legge 1° agosto 2008, n. 2008‑757, relativa alla responsabilità ambientale e a diverse disposizioni di adeguamento al diritto comunitario nel settore dell’ambiente (GURF del 2 agosto 2008, pag. 12361).

–       Giudizio della Corte

59      Si deve rammentare che, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in base alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v. sentenza 25 luglio 2008, causa C‑504/06, Commissione/Italia, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

60      Nella specie, la Repubblica francese non contesta che la disposizione nazionale di cui trattasi non costituisca corretta trasposizione dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», alla scadenza, il 15 febbraio 2007, del termine fissato nel parere motivato, ovvero anteriormente all’adozione della legge n. 2008‑757.

61      Ciò premesso, senza che occorra esaminare la conformità della legge n. 2008‑757 con la direttiva «habitat», è sufficiente rilevare che detta legge è stata emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato.

62      Conseguentemente, esentando sistematicamente dalla procedura di valutazione delle incidenze sul sito i programmi e i progetti di lavori, di opere o di realizzazioni soggetti a regime dichiarativo, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat».

 Sul terzo addebito, relativo all’assenza di esame di soluzioni alternative

–       Argomenti delle parti

63      La Commissione contesta all’art. R. 414‑21, n. 3, punto 1, del Codice dell’ambiente di non imporre al richiedente, nell’ambito dell’opportuna valutazione delle incidenze sul sito prevista dall’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», una descrizione delle varie soluzioni alternative che potrebbero essere prese in considerazione ai fini della realizzazione del piano o del progetto. Infatti, tale valutazione imporrebbe, da un lato, di procedere ad una descrizione delle varie soluzioni alternative esaminate e all’analisi del loro impatto sul sito e, dall’altro, che le pubbliche autorità, prima di potersi pronunciare sul fondamento del detto art. 6, n. 3, studino tali soluzioni, e ciò anche in assenza di pericolo per l’integrità del sito.

64      La Commissione ritiene che il solo obbligo imposto al richiedente di indicare i motivi per i quali non sussisterebbero altre soluzioni soddisfacenti non sia sufficiente a garantire l’esame di soluzione alternative nell’ambito della valutazione delle incidenze sul sito. La normativa francese non sarebbe, pertanto, conforme all’obbligo di verificare l’assenza di soluzioni alternative, risultante dall’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat».

65      La Repubblica francese deduce che la disposizione contestata costituisce corretta trasposizione dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat». Inoltre, la normativa francese indurrebbe, in realtà, il richiedente a studiare, descrivere e cartografare le soluzioni alternative e ad illustrare i vantaggi e gli inconvenienti di ogni singola soluzione, alla luce degli obiettivi di conservazione del sito.

66      La Repubblica francese precisa che, in ogni caso, al fine di eliminare qualsivoglia ambiguità al riguardo, i decreti di applicazione della legge n. 2008‑757 prevedono espressamente l’obbligo per il richiedente di descrivere le soluzioni alternative.

–       Giudizio della Corte

67      Con l’addebito in esame la Commissione sostiene che l’opportuna valutazione che deve essere effettuata ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat» debba parimenti contenere un esame delle soluzioni alternative.

68      Si deve rilevare, a tal riguardo, che tale addebito scaturisce da un’erronea lettura dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat» per quanto attiene sia alla nozione di opportuna valutazione sia alla fase procedurale nell’ambito della quale l’esame delle soluzioni alternative deve aver luogo.

69      Infatti, da un lato, secondo costante giurisprudenza, l’opportuna valutazione delle incidenze sul sito, che dev’essere effettuata a norma dell’art. 6, n. 3, implica che siano individuati, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche in materia, tutti gli aspetti del piano o progetto che possano, da soli o in combinazione con altri piani o progetti, pregiudicare gli obiettivi di conservazione di tale sito (sentenze Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, citata supra, punto 54, nonché Commissione/Irlanda, citata supra, punto 243). Tale valutazione non implica, quindi, un esame delle alternative ad un determinato piano o progetto.

70      Dall’altro, si deve rilevare che l’obbligo di esaminare le soluzioni alternative ad un piano o ad un progetto ricade nell’applicazione non del n. 3 dell’art. 6 della direttiva «habitat», bensì del n. 4 del medesimo articolo (v., in tal senso, sentenza 14 aprile 2005, causa C‑441/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑3043, punti 27 e segg.).

71      Infatti, conformemente all’art. 6, n. 4, della direttiva «habitat», l’esame previsto da tale disposizione, vertente, segnatamente, sull’assenza di soluzioni alternative, può essere effettuato solamente qualora le conclusioni risultanti dalla valutazione delle incidenze effettuata ai sensi del n. 3 dello stesso art. 6 siano negative e nell’ipotesi in cui il piano o il progetto debba essere nondimeno realizzato per ragioni imperative di rilevante interesse pubblico (v., in tal senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, citata supra, punti 26 e 27).

72      In tal senso, in esito alla valutazione delle incidenze effettuata ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat» e in caso di risultato negativo di tale valutazione, le autorità competenti possono scegliere di negare l’autorizzazione per realizzare tale progetto ovvero concederla ai sensi del successivo n. 4, purché sussistano le condizioni ivi previste (v. sentenza 26 ottobre 2006, causa C‑239/04, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑10183, punto 25, nonché, in tal senso, sentenza Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punti 57 e 60).

73      Ciò premesso, l’esame delle soluzioni alternative, esigenza enunciata all’art. 6, n. 4, della direttiva «habitat», non può costituire un elemento che le competenti autorità nazionali sono tenute a prendere in considerazione quando effettuano l’opportuna valutazione prevista dall’art. 6, n. 3 della direttiva medesima (v., in tal senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, citata supra, punto 28).

74      Ne consegue che la Commissione non può fondamentalmente sostenere la non conformità, sotto tal profilo, dell’art. R.414‑21, n. 3, punto 1, del Codice dell’ambiente con l’art. 6, n. 3, della direttiva «habitat».

75      Conseguentemente, l’addebito in esame non può essere accolto.

76      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve dichiarare che,

–        da un lato, prevedendo, in termini generali, che la pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate nelle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività perturbatrici o aventi conseguenze analoghe, e

–        dall’altro, esentando sistematicamente dalla procedura di valutazione delle incidenze sul sito i lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000, e

–        esentando sistematicamente da tale procedura i programmi e i progetti di lavori, di opere o di realizzazioni soggetti a regime dichiarativo,

la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, rispettivamente, dell’art. 6, n. 2, della direttiva «habitat» e dell’art. 6, n. 3, della direttiva medesima.

 Sulle spese

77      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

78      Nella specie, occorre tener conto del fatto che talune censure della Commissione non hanno trovato accoglimento.

79      La Repubblica francese dev’essere conseguentemente condannata a sopportare i due terzi delle spese e la Commissione è condannata a sopportare un terzo di esse.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La Repubblica francese,

–        da un lato, prevedendo, in termini generali, che la pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate nelle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività perturbatrici o aventi conseguenze analoghe, e,

–        dall’altro, esentando sistematicamente dalla procedura di valutazione delle incidenze sul sito i lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai contratti Natura 2000, e

–        esentando sistematicamente da tale procedura i programmi e i progetti di lavori, di opere o di realizzazioni soggetti a regime dichiarativo,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, rispettivamente, dell’art. 6, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e dell’art. 6, n. 3, della direttiva medesima.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Repubblica francese è condannata a sopportare due terzi delle spese. La Commissione europea è condannata a sopportare un terzo di esse.

Firme


* Lingua processuale: il francese.