CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO MENGOZZI
presentate il 17 aprile 2012 (1)
Causa C‑355/10
Parlamento europeo
contro
Consiglio dell’Unione europea
«Ricorso di annullamento – Decisione 2010/252 – Competenze di esecuzione – Limiti – Regolamento (CE) n. 562/2006 – Codice frontiere Schengen – Sorveglianza di frontiera»
1. Nel presente giudizio, il Parlamento europeo chiede alla Corte di annullare la decisione 2010/252/UE del Consiglio, del 26 aprile 2010, che integra il codice frontiere Schengen (2) per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (in prosieguo: la «decisione impugnata») (3). In caso di accoglimento del ricorso, il Parlamento chiede che gli effetti della decisione impugnata siano mantenuti fino alla sua sostituzione.
I – Contesto normativo e decisione impugnata
2. Il codice frontiere Schengen (in prosieguo: il «CFS») stabilisce, tra l’altro, le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (articolo 1, secondo comma). Ai sensi del suo articolo 3, lettera b), esso si applica «senza pregiudizio dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento».
3. La nozione di «frontiere esterne» è definita all’articolo 2, punto 2, come «le frontiere terrestri, comprese quelle fluviali e lacustri, le frontiere marittime e gli aeroporti, i porti fluviali, marittimi e lacustri degli Stati membri, che non siano frontiere interne». Il medesimo articolo 2 definisce, al punto 10, le «verifiche di frontiera» come «le verifiche effettuate ai valichi di frontiera al fine di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzati ad entrare nel territorio degli Stati membri o autorizzati a lasciarlo». Quanto alla nozione di «sorveglianza di frontiera», essa è definita, all’articolo 2, punto 11, come «la sorveglianza delle frontiere tra i valichi di frontiera e la sorveglianza dei valichi di frontiera al di fuori degli orari di apertura stabiliti, allo scopo di evitare che le persone eludano le verifiche di frontiera».
4. Il titolo II del CFS, intitolato «Frontiere esterne», si compone di quattro capi. Il capo II detta disposizioni volte a disciplinare le verifiche di frontiera sulle persone da parte delle guardie di frontiera, la sorveglianza di frontiera e il respingimento.
5. Le disposizioni relative alla sorveglianza di frontiera sono contenute all’articolo 12. I paragrafi 1‑4 di tale articolo, che definiscono lo scopo della sorveglianza, i poteri delle guardie di frontiera e le modalità di esercizio della sorveglianza, sono redatti come segue:
«1. La sorveglianza si prefigge principalmente di impedire l’attraversamento non autorizzato della frontiera, di lottare contro la criminalità transfrontaliera e di adottare misure contro le persone entrate illegalmente.
2. Le guardie di frontiera si servono di unità fisse o mobili per effettuare la sorveglianza di frontiera. Tale sorveglianza viene effettuata in modo da impedire alle persone di eludere le verifiche ai valichi di frontiera o da dissuaderle dal farlo.
3. La sorveglianza tra i valichi di frontiera è effettuata da guardie di frontiera in numero e con metodi adatti ai rischi e alle minacce esistenti o previsti. Essa comporta cambiamenti frequenti ed improvvisi dei periodi di sorveglianza, in modo che chi attraversa senza autorizzazione la frontiera corra il rischio costante di essere individuato.
4. La sorveglianza è effettuata da unità fisse o mobili che svolgono i loro compiti pattugliando o appostandosi in luoghi riconosciuti come sensibili o supposti tali allo scopo di fermare le persone che attraversano illegalmente la frontiera. La sorveglianza può essere effettuata facendo ricorso anche a mezzi tecnici, compresi dispositivi elettronici».
6. Il paragrafo 5 dell’articolo 12, come modificato dall’articolo 1, punto 1, del regolamento n. 296/2008 (4), recita:
«5. Possono essere adottate misure di sorveglianza supplementari. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali del presente regolamento, completandolo, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 33, paragrafo 2» (5).
7. L’articolo 33, paragrafo 2, del CFS, anch’esso modificato dal regolamento n. 296/2008, dispone:
«Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano l’articolo 5 bis, paragrafi da 1 a 4, e l’articolo 7 della decisione 1999/468/CE [recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (in prosieguo: la «decisione comitologia») (6)], tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa».
8. L’articolo 5 bis della decisione comitologia, introdotto dalla decisione 2006/512/CE (7), disciplina un nuovo tipo di modalità d’esercizio delle competenze di esecuzione, denominato «procedura di regolamentazione con controllo». Tale procedura è seguita per l’adozione di misure di portata generale intese a modificare elementi non essenziali di un atto di base adottato secondo la procedura di cui all’articolo 251 CE, eventualmente sopprimendo taluni di questi elementi o completando l’atto con nuovi elementi non essenziali (terzo considerando della decisione 2006/512 e articolo 2, paragrafo 2, della decisione comitologia).
9. La decisione impugnata è stata adottata sulla base dell’articolo 12, paragrafo 5, del CFS, seguendo la procedura prevista al paragrafo 4 dell’articolo 5 bis della decisione comitologia, che si applica nel caso in cui le misure progettate dalla Commissione non sono conformi al parere del comitato istituito in base al paragrafo 1 del medesimo articolo o in assenza di suo parere (8). In base a tale procedura, la Commissione sottopone al Consiglio una proposta relativa alle misure da adottare e la trasmette al tempo stesso al Parlamento [articolo 5 bis, paragrafo 4, lettera a)]. Se il Consiglio prevede di adottare le misure proposte, le sottopone al Parlamento [articolo 5 bis, paragrafo 4, lettera d)], il quale, «deliberando a maggioranza dei membri che lo compongono entro un termine di quattro mesi dalla trasmissione della proposta conformemente alla lettera a), può opporsi all’adozione delle misure in questione, adducendo a motivo della sua opposizione il fatto che le misure proposte eccedono le competenze di esecuzione previste dall’atto di base o che le misure non sono compatibili con il fine o il contenuto dell’atto di base o non rispettano i principi di sussidiarietà e di proporzionalità» [articlo 5 bis, paragrafo 4, lettera e)]. Se il Parlamento si oppone le misure non sono adottate [articolo 5 bis, paragrafo 4, lettera f)]. In caso contrario le misure sono adottate dal Consiglio [articolo 5 bis, paragrafo 4, lettera g)].
10. Emerge dai considerando secondo e undicesimo della decisione impugnata che quest’ultima si prefigge come obiettivo l’adozione di norme supplementari per la sorveglianza delle frontiere marittime da parte delle guardie di frontiera nelle operazioni coordinate dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (in prosieguo: l’«Agenzia» o «Frontex»), istituita dal regolamento (CE) n. 2007/2004 (in prosieguo: il «regolamento Frontex») (9). Essa consta di due articoli e di un allegato diviso in due parti, intitolate, la prima, «Regole per le operazioni alle frontiere marittime coordinate dall’Agenzia» e, la seconda, «Orientamenti per le situazioni di ricerca e soccorso e per lo sbarco nell’ambito di operazioni alle frontiere marittime coordinate dall’Agenzia». In base all’articolo 1, «la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa tra Stati membri coordinata dall’Agenzia (…) è disciplinata dalle regole stabilite nella parte I dell’allegato. Tali regole e gli orientamenti non vincolanti stabiliti nella parte II dell’allegato costituiscono parte integrante del piano operativo predisposto per ciascuna operazione coordinata dall’Agenzia».
11. La parte I dell’allegato detta, al punto 1, alcuni principi generali destinati, tra l’altro, a garantire che le operazioni di sorveglianza marittima si svolgano nel rispetto dei diritti fondamentali e del principio di non respingimento. Il punto 2 contiene disposizioni dettagliate in tema di intercettazione ed elenca le misure che possono essere adottate nel quadro dell’operazione di sorveglianza «nei confronti di navi o altre imbarcazioni che si ha fondato motivo di sospettare trasportino persone intenzionate a eludere i controlli ai valichi di frontiera» (punto 2.4). Le condizioni per l’adozione di tali misure variano a seconda che l’intercettazione dell’imbarcazione intervenga nelle acque territoriali o nella zona contigua di uno Stato membro (punto 2.5.1) oppure in alto mare (punto 2.5.2). La parte II dell’allegato detta, al punto 1, disposizioni per le unità partecipanti all’operazione di sorveglianza in situazioni di ricerca e di soccorso, incluso per quanto concerne le segnalazioni e la trasmissioni d’informazioni al centro di coordinamento del soccorso territorialmente competente e al centro di coordinamento dell’operazione, e definisce alcune condizioni per l’esistenza di un’emergenza (punto 1.4). Il punto 2 fissa orientamenti circa le modalità di sbarco delle persone intercettate o soccorse.
II – Procedura dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti
12. Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 12 luglio 2010, il Parlamento ha introdotto il ricorso oggetto del presente giudizio. La Commissione è intervenuta a sostegno del Consiglio. Gli agenti delle tre istituzioni sono stati sentiti all’udienza tenutasi il 25 gennaio 2012.
13. Il Parlamento chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata, decidere che gli effetti della stessa sono mantenuti fino alla sua sostituzione e condannare il Consiglio alle spese.
14. Il Consiglio chiede alla Corte di dichiarare il ricorso irricevibile o, a titolo subordinato, di respingerlo come infondato, e di condannare il Parlamento alle spese.
15. La Commissione chiede alla Corte di respingere il ricorso e di condannare il Parlamento alle spese.
III – Sul ricorso
A – Sulla ricevibilità
16. Il Consiglio eccepisce, a titolo principale, l’irricevibilità del ricorso. Esso sostiene che, astenendosi dall’esercitare il diritto di veto di cui all’articolo 5 bis, paragrafo 4, lettera e), della decisione comitologia, il Parlamento è decaduto dal diritto di contestare la decisione impugnata dinanzi alla Corte. Pur non essendo un atto del Parlamento, la decisione impugnata sarebbe in qualche sorta imputabile anche a questa istituzione, poiché è stata adottata anche grazie alla sua astensione. Il Parlamento non avrebbe dunque interesse ad agire nel quadro del presente ricorso, che si fonda sugli stessi motivi – superamento dei limiti delle competenze di esecuzione – che gli avrebbero consentito di opporsi all’adozione della decisione impugnata nell’ambito della procedura di regolamentazione con controllo.
17. L’eccezione è, a mio avviso, da respingere.
18. Come correttamente osservato dal Parlamento nel corso dell’udienza, il riconoscimento a quest’ultimo di un diritto pieno di ricorso, alla stessa stregua del Consiglio e della Commissione, costituisce un elemento cardine dell’architettura costituzionale dell’Unione e una delle tappe del processo di democratizzazione degli assetti istituzionali della stessa.
19. La Corte ha chiaramente affermato che l’esercizio del diritto di ricorso degli attori cosiddetti privilegiati non è subordinato alla prova dell’esistenza di un interesse ad agire (10), né è condizionato dalla posizione assunta dallo Stato membro (11) o dall’istituzione (12) in occasione della procedura di adozione dell’atto impugnato.
20. Nel quadro della procedura di regolamentazione con controllo, il Parlamento non ha l’obbligo di opporsi all’adozione dell’atto anche ove ritenga che sussistano i motivi di illegittimità che gli consentono l’esercizio del diritto di veto. La sua posizione può dipendere pertanto anche da valutazioni di carattere politico, come sembra essere avvenuto per la decisione impugnata (13), senza che ciò implichi la perdita del suo diritto di chiedere e ottenere l’annullamento dell’atto successivamente alla sua adozione. Al riguardo è inoltre appena il caso di rilevare che il controllo sulla legittimità di un atto attraverso l’esercizio di un diritto di veto nel corso della sua procedura di adozione, proprio perché quest’ultimo può essere subordinato a valutazioni di carattere politico, non può considerarsi sostitutivo del controllo in sede giudiziaria.
21. Il Consiglio precisa che il Parlamento manterrebbe il suo diritto di agire contro l’atto in questione, ma non per i motivi che gli avrebbero consentito di opporsi alla sua adozione. In concreto, una tale limitazione obbligherebbe il Parlamento a impugnare tale atto sul fondamento di motivi attinenti al merito delle misure di esecuzione che esso racchiude, senza che queste abbiano formato oggetto di un normale dibattito politico in sede legislativa.
22. Infine rilevo, a titolo sovrabbondante, che per l’esercizio del diritto di veto del Parlamento nel quadro della procedura di regolamentazione con controllo è richiesta una maggioranza (14) superiore a quella ordinariamente prevista per le deliberazioni del Parlamento (15) e che l’introduzione di un ricorso alla Corte di giustizia da parte del presidente del Parlamento a nome dello stesso, ove avvenga su raccomandazione della commissione competente, può essere deciso anche a prescindere da una votazione dell’assemblea parlamentare (16). Negare al Parlamento il diritto di introdurre un ricorso di annullamento contro un atto adottato nel quadro della procedura di regolamentazione con controllo, nonostante la posizione espressa nel corso di tale procedura, significa quindi, tra l’altro, privare la minoranza parlamentare di uno strumento di tutela.
23. Per l’insieme dei motivi sopra esposti, il ricorso deve, a mio avviso, essere dichiarato ricevibile.
B – Sul merito
24. Il Parlamento ritiene che la decisione impugnata ecceda i limiti delle competenze di esecuzione attribuite dall’articolo 12, paragrafo 5, del CFS e, pertanto, esorbiti dall’ambito di applicazione della sua base giuridica. In tale contesto esso avanza tre censure. In primo luogo, la decisione impugnata introdurrebbe nuovi elementi essenziali nel CFS. In secondo luogo, essa modificherebbe elementi essenziali del CFS. In terzo luogo, essa interferirebbe con il sistema creato dal regolamento Frontex. Dette censure sono di seguito distintamente esaminate.
25. Prima di procedere in tale esame, occorre tuttavia ripercorrere brevemente le tappe della giurisprudenza della Corte sulla portata e sui limiti delle competenze di esecuzione degli atti comunitari, per gli aspetti che rilevano nella presente fattispecie.
1. La giurisprudenza sulla portata e sui limiti delle competenze di esecuzione degli atti comunitari
26. La portata e i limiti delle competenze di esecuzione della Commissione sono stati definiti dalla Corte in una giurisprudenza inaugurata negli anni ‘70 con la sentenza Köster (17). Nella causa che ha dato origine a tale sentenza, la Corte era stata invitata a pronunciarsi in via pregiudiziale, tra l’altro, sulla legittimità del procedimento del comitato di gestione istituito da un regolamento in materia agricola. In tale occasione, essa chiariva che, in base alla distinzione, voluta dallo stesso Trattato, tra atti che trovano direttamente la loro base giuridica in quest’ultimo e misure destinate alla loro esecuzione, il legislatore è legittimato a fissare nei primi i «punti essenziali dell’emananda disciplina», lasciando alle seconde l’adozione delle «disposizioni di attuazione» destinate «alla realizzazione pratica dei principi» contenuti nell’atto di base (18). Nella sentenza Rey Soda, la Corte precisava che la nozione di «attuazione» va interpretata in senso lato (19). Tale conclusione deriva, secondo la Corte, sia dal tenore dell’allora vigente articolo 155 TCE (divenuto articolo 211 CE) e dall’economia del Trattato, sia da «esigenze concrete». Secondo la Corte, in determinati settori, quali la politica agricola comune, il Consiglio può essere indotto ad attribuire alla Commissione «ampie facoltà di valutazione e d’azione». In siffatti casi, quando cioè il Consiglio abbia attribuito ampi poteri alla Commissione, i limiti della competenza di quest’ultima devono essere definiti, secondo la Corte, non tanto in funzione del significato letterale della delega, quanto con riferimento agli obiettivi generali essenziali dell’atto di base (20). Nella sentenza Zuckerfabrik Franken (21), interpretando i limiti di una delega di poteri da esercitare mediante la procedura del comitato di gestione, contenuta in un regolamento in materia di organizzazione comune dei mercati agricoli, la Corte affermava che, in base a detta delega, la Commissione era autorizzata «ad adottare tutti i provvedimenti necessari (22) o utili per l’attuazione della disciplina di base, purché (…) non (…) contrastanti con tale disciplina o con le norme d’applicazione stabilite dal Consiglio». In altre pronunce, la Corte ha precisato che la Commissione è tenuta ad agire entro i limiti che possono inferirsi dal sistema complessivo e dalle finalità dell’atto di base (23), nonché dalle disposizioni dello stesso (24).
27. Nell’ambito della politica agricola comune, a partire dalla citata sentenza Rey Soda, la Corte ha riconosciuto ampi poteri di esecuzione alla Commissione, in considerazione del particolare ruolo che essa riveste in tale settore, quale unico soggetto in grado di «seguire costantemente ed attentamente l’andamento dei mercati agricoli e di agire con la necessaria tempestività» (25). Al di fuori di tale settore, o di settori affini, la giurisprudenza della Corte è tuttavia più restrittiva. Nella sentenza Vreugdenhil (26), in materia di tariffa doganale comune, la Corte ha precisato che «un’interpretazione in senso lato dei poteri della Commissione può ammettersi unicamente nell’ambito di applicazione delle discipline dei mercati agricoli» (27).
28. Nella sentenza Germania/Commissione (28) la Corte ha fornito precisazioni sulla nozione di «elementi essenziali» di una data normativa (29), la definizione dei quali spetta al legislatore. La causa che ha dato origine a tale pronuncia aveva ad oggetto un ricorso diretto a contestare la legittimità di un sistema di sanzioni da applicare nel quadro di un regime di aiuti comunitari, introdotto dalla Commissione in virtù di una delega del Consiglio. La Germania sosteneva che tali sanzioni dovevano considerarsi come componenti essenziali della disciplina del settore in causa, poiché incidevano sui diritti fondamentali dei singoli. Essa sosteneva altresì che le misure contestate non miravano a dare esecuzione alla normativa di base, ma a completarla. La Corte rispondeva che la qualificazione di «essenziale» doveva ritenersi «riservata alle disposizioni che hanno ad oggetto di tradurre gli orientamenti fondamentali della politica comunitaria» e che, nella specie, tale qualificazione non spettava a sanzioni destinate ad assicurare la buona gestione finanziaria dei fondi diretti a realizzare tali orientamenti. In una sentenza di qualche anno successiva la Corte qualificava come «non essenziale» una disposizione contenuta in un regolamento del Consiglio relativo al programma TACIS, la quale consentiva di modificare una soglia senza procedere alla consultazione del Parlamento, poiché non «pregiudicava (…) l’economia generale» del regolamento in causa (30). Più di recente, la Corte ha accolto il ricorso presentato dal Parlamento contro una decisione della Commissione con cui si approvava un progetto relativo alla sicurezza delle frontiere nelle Filippine, nel quadro dell’aiuto finanziario e tecnico e della cooperazione economica con i paesi in via di sviluppo dell’Asia. In tale sentenza la Corte ha ritenuto che l’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata, vale a dire la lotta al terrorismo e alla criminalità internazionale, non rientrasse negli «obiettivi» del regolamento cui la decisione dava attuazione, né avesse con essi un «nesso diretto» (31).
29. Dalla giurisprudenza suesposta emerge che i limiti delle competenze di esecuzione vanno definiti, anzitutto, con riferimento alle caratteristiche della politica di cui trattasi e al margine d’azione più o meno ampio riconosciuto alla Commissione nell’attuazione della stessa. I suddetti limiti sono inoltre da individuare in base al tenore della disposizione di delega, al contenuto e alle finalità dell’atto di base nonché al suo sistema complessivo. La definizione dei suddetti limiti, come pure la determinazione del carattere essenziale o non essenziale degli elementi della normativa di base introdotti o modificati con l’atto di esecuzione (32), lungi dall’esaurirsi in una meccanica trasposizione delle formule impiegate dalla giurisprudenza, deve scaturire da una valutazione condotta alla luce di tutti gli elementi sopra indicati.
2. Applicazione nel caso di specie dei principi tratti dalla suesposta giurisprudenza
30. I diversi elementi menzionati nel paragrafo che precede saranno qui di seguito esaminati nel contesto del ricorso oggetto del presente giudizio.
a) Considerazioni relative alla materia in cui si inseriscono l’atto di base e la decisione impugnata
31. Nell’approntare strumenti di controllo delle frontiere esterne e di contrasto dell’immigrazione clandestina, il legislatore dell’Unione è chiamato a operare scelte delicate, che possono avere forti ripercussioni sulle libertà individuali e incidere sul rispetto dei diritti umani, sugli obblighi internazionali degli Stati membri e sulle relazioni di questi e dell’Unione con Stati terzi. Ciò vale non solo per la definizione degli orientamenti essenziali della politica di gestione delle frontiere, ma anche per la determinazione delle misure volte a dare attuazione a tali orientamenti. Si giustifica quindi che, in tale ambito, l’esercizio delle competenze di esecuzione sia maggiormente inquadrato rispetto a settori più largamente tecnici e che, conseguentemente, il margine d’azione della Commissione sia meno esteso (33).
32. Per tali motivi, ritengo che il rinvio che il Consiglio fa alla giurisprudenza della Corte richiamata sopra e all’ampiezza dei poteri di esecuzioni che questa riconoscerebbe alla Commissione vada, nella specie, considerato con estrema cautela.
b) Sull’oggetto e sulla portata delle competenze di esecuzione previste dall’articolo 12, paragrafo 5, del CFS
33. Al riguardo, giova anzitutto rilevare che la versione italiana dell’articolo 12, paragrafo 5, del CFS menziona la possibilità di adottare «misure di sorveglianza supplementari», mentre altre versioni linguistiche comportano una formulazione che si riferisce più specificamente a misure supplementari che regolamentano l’esercizio della sorveglianza (34).
34. Ciò premesso, e indipendentemente dal tenore letterale della disposizione in parola, l’oggetto della delega in essa prevista sembra doversi effettivamente intendere come vertente sulle modalità pratiche relative all’attuazione della sorveglianza. In tal senso militano sia il preambolo del CFS (35) che quello del regolamento n. 296/2008 (36) – il quale ha modificato l’articolo 12, paragrafo 5, del CFS introducendo il riferimento alla procedura di regolamentazione con controllo ‑ nonché i lavori preparatori del CFS (37). Sul punto mi sembra, peraltro, che vi sia un sostanziale accordo tra Parlamento e Consiglio.
35. La loro posizione diverge invece, oltre che sulla possibilità di qualificare come semplici «modalità pratiche» le misure contenute nella decisione impugnata, anche, più in generale, sul margine d’azione conferito alla Commissione, vale a dire sulla portata della delega. Il Parlamento ritiene, in sostanza, che l’articolo 12, paragrafo 5, autorizzi unicamente l’adozione di misure di carattere essenzialmente tecnico. Il Consiglio osserva invece che il legislatore ha scelto di non precisare il contenuto e la natura delle norme da adottare, conferendo perciò ampi poteri di esecuzione alla Commissione.
36. La tesi del Parlamento mi sembra interpretare la portata della delega di cui trattasi in termini eccessivamente restrittivi. In effetti, come correttamente sottolineato dal Consiglio, sia l’impiego di una formulazione generica, sia la scelta di una procedura di comitologia che consente di adottare misure che modificano l’atto di base, sebbene si accompagni a un controllo più penetrante sulle modalità di esercizio delle competenze di esecuzione, costituiscono indici dell’intenzione di conferire un certo margine d’azione alla Commissione.
c) Sulle finalità e sull’economia generale della normativa di base
37. Il Consiglio osserva che, nel sistema del CFS, la verifica alle frontiere costituisce l’elemento essenziale della politica di controllo alle frontiere esterne e che, per tale ragione, il legislatore, nel quadro della procedura di cui all’articolo 251 CE, avrebbe deciso di disciplinarla in modo esaustivo, prevedendo che talune modalità della stessa non potessero essere adottate o modificate se non mediante la procedura di regolamentazione con controllo. Al contrario, in materia di sorveglianza delle frontiere, il legislatore si sarebbe limitato a dettare gli obiettivi della stessa e le modalità di base, conferendo alla Commissione un ampio margine d’azione nell’adottare misure supplementari.
38. Diversi elementi mi inducono a non condividere il punto di vista espresso dal Consiglio.
39. In primo luogo, emerge in particolare dalla proposta di regolamento della Commissione che l’impianto del CFS è dovuto in gran parte al fatto che in esso confluiscono norme già adottate nel quadro di strumenti giuridici diversi quali, segnatamente, la Convenzione Schengen (38) e il Manuale comune per le frontiere esterne (39). Tali strumenti prevedevano già una disciplina dettagliata delle verifiche di frontiera e regolamentavano talune modalità di applicazione delle stesse. L’insieme di tale normativa è confluita in parte nell’articolato del CFS e in parte nei suoi allegati.
40. In secondo luogo, la tesi secondo cui nell’economia del CFS la sorveglianza riveste un ruolo in qualche sorta ancillare o secondario rispetto alle verifiche di frontiera non sembra trovare conferma nel preambolo del CFS. In particolare, l’ottavo considerando, dopo aver precisato che il controllo di frontiera comprende le verifiche sulle persone ai valichi di frontiera e la sorveglianza tra tali valichi, giudica «necessario stabilire le condizioni, i criteri e le regole dettagliate volti a disciplinare sia le verifiche ai valichi di frontiera sia la sorveglianza». Il diciassettesimo considerando, che riguarda l’attribuzione di competenze di esecuzione alla Commissione, non fa alcuna distinzione tra verifiche e sorveglianza, ma si riferisce più generalmente all’«opportunità di prevedere una procedura che consenta alla Commissione di adeguare talune modalità pratiche del controllo di frontiera».
41. Infine, emerge dagli atti che hanno preceduto e preparato l’adozione del CFS oltre che, più in generale, da diversi altri strumenti della politica di controllo delle frontiere, primo fra tutti il regolamento Frontex, di cui si dirà meglio in seguito, che la sorveglianza è una delle componenti essenziali di tale politica (40). Lo stesso articolo 77, paragrafo 1, lettera b), TFUE prevede che l’Unione «sviluppa una politica volta a assicurare il controllo delle persone e la sorveglianza dell’attraversamento delle frontiere esterne», attribuendo uguale peso a entrambi gli aspetti di tale politica.
42. Ciò detto, ritengo sia da respingere anche l’argomento, fortemente difeso in udienza dall’agente del Consiglio, secondo cui, alla luce dell’economia generale del CFS e del margine di azione di cui gode la Commissione, quest’ultima sarebbe autorizzata, nell’esercizio delle sue competenze di esecuzione, ad adottare ogni misura giudicata opportuna e utile al perseguimento degli obiettivi assegnati alla sorveglianza di frontiera dal CFS, e non contraria a disposizioni dello stesso.
43. Un tale argomento si basa sulla premessa che, in quanto destinate a disciplinare talune modalità pratiche di attuazione della sorveglianza, le misure da adottarsi in forza dell’articolo 12, paragrafo 5, del CFS non toccano, quasi per definizione, elementi essenziali della normativa di base, in quanto tali riservati al legislatore.
44. Per i motivi che ho già in parte avuto modo di esporre al paragrafo 38, non considero condivisibile una tale premessa. Qui basti aggiungere che l’attuazione pratica dell’obiettivo di prevenzione dell’attraversamento non autorizzato delle frontiere può, in concreto, implicare scelte capaci di caratterizzare profondamente la politica d’immigrazione di un determinato ordinamento giuridico. Si pensi, ad esempio, all’ambito dei poteri conferiti alle guardie di frontiera, all’autorizzazione all’uso della forza, alla presa in considerazione o meno della situazione individuale delle persone che tentano, o si sospetta tentino, di attraversare illegalmente la frontiera, alla natura delle misure da adottare nei loro confronti una volta fermate, alle modalità del loro allontanamento, e, più in generale, all’esigenza di rendere l’insieme delle misure di contrasto all’immigrazione clandestina conforme alle disposizioni in materia di diritti umani (41).
45. Contrariamente al Consiglio, non ritengo pertanto che i limiti delle competenze di esecuzione di cui all’articolo 12, paragrafo 5, del CFS siano individuabili unicamente in base agli obiettivi generali della sorveglianza fissati in tale disposizione.
46. È alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono che si deve ora procedere all’esame delle censure formulate dal Parlamento.
3. Sulla prima censura, secondo cui la decisione impugnata introduce nuovi elementi essenziali nel CFS
a) Argomenti delle parti
47. In primo luogo, il Parlamento fa valere che il punto 2.4 della parte I dell’allegato della decisione impugnata, in tema di intercettazione, prevede l’adozione di misure che vanno al di là di quanto autorizzato dall’articolo 12 CFS a titolo dell’attività di sorveglianza e conferisce alle guardie di frontiera, in tale ambito, poteri particolarmente estesi, che implicano l’esercizio di un ampio margine di discrezionalità. A titolo di esempio, il Parlamento menziona la possibilità di «sequestrare la nave e fermare le persone a bordo» ovvero di «condurre la nave o le persone a bordo in un paese terzo o altrimenti consegnare la nave o le persone a bordo alle autorità di un paese terzo» [punto 2.4, lettere d) e f)]. Secondo il Parlamento, l’articolo 12, paragrafo 5, del CFS autorizza unicamente l’adozione di misure di ordine tecnico o pratico, come emerge in particolare dal diciassettesimo considerando del CFS e dal preambolo del regolamento n. 296/2008.
48. In sede di replica, il Parlamento precisa che le regole sull’intercettazione contenute nella decisione impugnata esulano dall’ambito sia materiale che geografico della nozione di «sorveglianza di frontiera» come definita dall’articolo 2, punto 11, del CFS. In particolare, rinviando alla definizione della nozione di «frontiere marittime esterne» contenuta nella decisione 574/2007 (42), il Parlamento osserva che il CFS non autorizza l’adozione di misure di sorveglianza destinate ad applicarsi in alto mare.
49. In secondo luogo, il Parlamento fa valere che le disposizioni della parte II dell’allegato, relative alle situazioni di ricerca e soccorso, si pongono anch’esse al di fuori dell’ambito dell’attività di sorveglianza come definito dall’articolo 12 del CFS. Inoltre, tali disposizioni creerebbero nuovi obblighi o nuove regole in diritto dell’Unione che non possono essere definiti quali «elementi non essenziali» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della decisione comitologia. Al riguardo, il Parlamento menziona l’obbligo per le unità partecipanti di «prestare assistenza a qualunque nave o persona in pericolo in mare» (punto 1.1) e la regola secondo cui deve essere privilegiato lo sbarco nel paese terzo da cui è partita la nave che trasporta le persone interessate (punto 2.1, secondo comma). Il Parlamento sottolinea inoltre che, contrariamente a quanto sembra emergere dall’intitolazione della parte II dell’allegato, gli orientamenti in essa definiti non possono essere considerati non vincolanti, poiché, a norma dell’articolo 1, seconda frase, della decisione impugnata, tali orientamenti «costituiscono parte integrante del piano operativo predisposto per ciascuna operazione coordinata dall’Agenzia».
50. Il Consiglio replica che il punto 2.4 della parte I dell’allegato della decisione impugnata elenca misure che possono essere adottate nel corso di operazioni di sorveglianza o che sono comunque conformi a convenzioni internazionali. Tali misure non sarebbero contrarie agli obiettivi della sorveglianza definiti all’articlo 12 CFS. Quanto all’allegazione del Parlamento contenuta nella replica, secondo cui le regole in materia di intercettazione esulano dall’ambito di applicazione materiale e geografico della nozione di sorveglianza, il Consiglio ne eccepisce anzitutto l’irricevibilità, in quanto formulata tardivamente. Tali argomenti sarebbero inoltre infondati. In primo luogo, la definizione della nozione di «frontiere marittime esterne» contenuta nella decisione 574/2007, cui si riferisce il Parlamento, non sarebbe applicabile nel contesto del CFS. In secondo luogo, in assenza di una definizione espressa, la sorveglianza delle frontiere marittime dovrebbe considerarsi estesa anche a operazioni condotte in alto mare, poiché solo una tale interpretazione, peraltro compatibile con le disposizioni di diritto internazionale applicabili, segnatamente il Protocollo di Palermo (43), consentirebbe di assicurare l’effetto utile dell’articolo 12 CFS. Per il resto, il Parlamento non avrebbe fornito sufficienti ragioni per considerare che le attività di sorveglianza in alto mare non rientrano nell’ambito di applicazione materiale della nozione di sorveglianza di cui all’articolo 12 CFS.
51. Per quanto concerne le linee direttrici contenute nella parte II dell’allegato, il Consiglio ne sottolinea anzitutto il carattere non vincolante, che sarebbe chiaramente desumibile dal testo delle stesse e dalla decisione impugnata nel suo complesso. Relativamente alla loro portata, esso osserva che gli obblighi degli Stati membri in materia di ricerca e salvataggio sono regolamentati da convenzioni internazionali. Le linee direttrici in questione assicurerebbero un’interpretazione coerente delle disposizioni di tali convenzioni, applicabile qualora la necessità di prestare assistenza a un’imbarcazione in difficoltà, attività che il Consiglio riconosce non potersi qualificare come di sorveglianza in senso stretto, si crei nel corso di un’operazione di sorveglianza coordinata dall’Agenzia. Tuttavia, gli Stati membri sarebbero liberi di non seguire una tale interpretazione e di inserire nel piano operativo concordato con l’Agenzia misure diverse.
52. La Commissione ritiene che il potere di completare un atto attraverso l’aggiunta di nuovi elementi non essenziali implichi l’autorizzazione a stabilire obblighi supplementari e a regolamentare nuove attività, nei limiti in cui queste ultime siano necessarie o utili all’esecuzione dell’atto di base e non siano ad esso contrarie.
53. Secondo la Commissione, la decisione impugnata è necessaria, o quanto meno utile, a realizzare l’obiettivo di impedire il passaggio non autorizzato della frontiera enunciato all’articolo 2, punto 11, e all’articolo 12 del CFS. Tale sarebbe la finalità delle disposizioni della decisione impugnata relative al pattugliamento in alto mare. La Commissione sottolinea inoltre che nessuna disposizione del CFS esclude l’applicazione di quest’ultimo alle operazioni di sorveglianza in acque internazionali. Peraltro, l’allegato VI del CFS, il quale autorizza verifiche di frontiera nel porto di uno Stato terzo o in corso di traversata, confermerebbe che l’ambito di applicazione geografico del CFS si estende anche ad attività condotte fuori del territorio degli Stati membri, a condizione che esse rientrino nell’ambito di applicazione materiale di tale atto, ad esempio nella nozione di sorveglianza. Al riguardo, la Commissione ritiene che il Parlamento adotti un’interpretazione eccessivamente restrittiva della «nozione di sorveglianza». Secondo la Commissione l’intercettazione rientra nella nozione di sorveglianza quando ha a oggetto imbarcazioni di cui si sospetta l’intenzione di entrare nel territorio dell’Unione sottraendosi ai controlli di frontiera. La sorveglianza non si limiterebbe dunque a un’attività meramente passiva, come attesterebbe peraltro l’articolo 12, paragrafo 4, del CFS, che autorizza a «fermare le persone». Del pari, la Commissione ritiene che le attività di ricerca e salvataggio condotte nel corso di operazioni di sorveglianza rientrino nella nozione di sorveglianza. In proposito, essa osserva che, spesso, è la stessa operazione di sorveglianza a provocare le operazioni di ricerca e salvataggio, quando, a seguito dell’intercettazione, l’imbarcazione viene, di proposito, fatta colare a picco.
b) Analisi
54. Deve anzitutto respingersi l’eccezione d’irricevibilità sollevata dal Consiglio contro l’allegazione, contenuta nella replica, secondo cui le regole in materia di intercettazione esulano dall’ambito di applicazione materiale e geografico della nozione di sorveglianza. Contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, si tratta, in effetti, di un’argomento che amplia, sviluppandoli, i motivi già esposti nell’atto introduttivo del ricorso e non di un motivo nuovo tardivamente invocato. Ricordo peraltro che i motivi d’incompetenza, in quanto motivi di ordine pubblico, possono essere rilevati d’ufficio (44).
55. Per quanto concerne il merito, occorre esaminare se, come sostiene il Parlamento, con la decisione impugnata il Consiglio abbia ecceduto le competenze di esecuzione di cui all’articolo 12, paragrafo 5, del CFS, disciplinando elementi essenziali della normativa di base. In particolare, il Parlamento sostiene, in primo luogo, che la decisione impugnata prevede misure che non rientrano nell’ambito di applicazione materiale della nozione di sorveglianza ai sensi del CFS.
56. La «sorveglianza di frontiera» è definita, all’articolo 2, punto 11, del CFS, come «la sorveglianza delle frontiere tra i valichi di frontiera e la sorveglianza dei valichi di frontiera al di fuori degli orari di apertura stabiliti, allo scopo di evitare che le persone eludano le verifiche di frontiera». L’articolo 12, paragrafo 1, del CFS precisa che «la sorveglianza si prefigge principalmente di impedire l’attraversamento non autorizzato della frontiera, di lottare contro la criminalità transfrontaliera e di adottare misure contro le persone entrate illegalmente».
57. Come correttamente sottolineato dal Consiglio e dalla Commissione, la sorveglianza è definita nel CFS essenzialmente attraverso i suoi obiettivi. In base a tale definizione, si delinea una nozione particolarmente ampia, capace di comprendere ogni misura diretta sia a evitare sia a prevenire l’elusione delle verifiche alle frontiere. D’altro canto, affinché le misure di sorveglianza siano efficaci, come richiesto dall’articolo 77, paragrafo 1, lettera b), TFUE, esse devono essere adattate sia al tipo di frontiera di cui trattasi sia al rischio concreto di immigrazione clandestina, che varia in funzione di molteplici fattori (geografici, economici, geopolitici, climatici, ecc.). Ne consegue che la nozione di sorveglianza deve essere interpretata in senso dinamico e flessibile e che il ventaglio delle misure che possono rivelarsi necessarie a perseguire gli obiettivi di cui all’articolo 12, paragrafo 1, del CFS è estremamente ampio e variabile.
58. Il Parlamento sostiene anche che il CFS prevede una sorveglianza essenzialmente passiva. Questa tesi non trova tuttavia conferma nel testo dell’articolo 12 del CFS, il quale, nell’annoverare tra gli obiettivi della sorveglianza l’adozione di misure nei confronti delle persone entrate illegalmente nel territorio dell’Unione, autorizza interventi che vanno al di là di una semplice attività di monitoraggio delle frontiere (45). Lo stesso dicasi per le misure a carattere preventivo o dissuasivo che non sembrano incontrare altro limite se non quello di collegarsi a un concreto rischio di elusione dei controlli alle frontiere.
59. In base a quanto precede, ritengo che la maggior parte delle misure di intercettazione elencate al punto 2.4 della parte I dell’allegato della decisione impugnata rientrino nella nozione di sorveglianza come delineata sopra. Nutro però dubbi sulla possibilità di considerare incluse in tale nozione le misure elencate alle lettere d) e f) di tale punto – che autorizzano le guardie di frontiera, rispettivamente, a «sequestrare la nave intercettata e fermare le persone a bordo» e a «condurre la nave o le persone a bordo in un paese terzo o altrimenti consegnare la nave o le persone a bordo alle autorità di un paese terzo» –, come anche le disposizioni in materia di ricerca e salvataggio e di sbarco inserite nella parte II dell’allegato della decisione impugnata, pur essendo dette misure e disposizioni dirette a portare a buon fine le operazioni di sorveglianza o a far fronte a situazioni sorte nel corso di tali operazioni (46).
60. Non occorre tuttavia prendere una posizione definitiva su tale punto. In effetti, come si desume dalle considerazioni svolte in precedenza, anche ove si dovesse ritenere che la decisione impugnata detta modalità pratiche di esercizio della sorveglianza nei limiti della definizione di tale nozione ai sensi del CFS, ciò non consentirebbe di escludere che tale decisione, come sostiene il Parlamento, disciplini elementi essenziali della normativa di base.
61. Considerato sia il settore in cui la disciplina in parola si inserisce, sia gli obiettivi e l’economia generale del CFS, in cui la sorveglianza figura quale componente fondamentale della politica di controllo delle frontiere, e nonostante il margine d’azione lasciato alla Commissione dall’articolo 12, paragrafo 5, ritengo che misure incisive quali quelle elencate al punto 2.4 della parte I dell’allegato della decisione impugnata, in particolare quelle che figurano alle lettere b), d), f) e g), nonché le disposizioni in materia di sbarco contenute nella parte II di tale allegato, disciplinino elementi essenziali della sorveglianza alle frontiere marittime esterne. Tali misure implicano opzioni in grado di incidere sulle libertà individuali delle persone e sui loro diritti fondamentali (ad esempio, le perquisizioni, il fermo, il sequestro della nave, ecc.), sulla possibilità che tali persone hanno di invocare e ottenere nell’Unione la protezione di cui sono eventualmente legittimate a beneficiare in virtù del diritto internazionale (è il caso delle regole in materia di sbarco, in assenza di precise indicazioni sul modo in cui le autorità devono tener conto della situazione individuale delle persone a bordo dell’imbarcazione intercettata) (47), nonché sulle relazioni dell’Unione o degli Stati membri partecipanti all’operazione di sorveglianza con gli Stati terzi coinvolti in tale operazione.
62. Un discorso analogo deve, a mio avviso, farsi per quanto riguarda le disposizioni della decisione impugnata volte a disciplinare l’intercettazione di imbarcazioni in alto mare. In effetti, per un verso, tali disposizioni autorizzano espressamente l’adozione delle misure menzionate al paragrafo precedente in acque internazionali, un’opzione che, nel contesto sopra descritto, ha carattere essenziale, e ciò indipendentemente dalla fondatezza della tesi del Parlamento, secondo cui l’ambito di applicazione geografico del CFS, per quanto concerne le frontiere marittime, è circoscritto al limite esterno delle acque territoriali degli Stati membri o della zona contigua e non si estende all’alto mare (48). Per altro verso, dette disposizioni, volte a garantire l’uniforme applicazione della normativa internazionale pertinente nel quadro delle operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime (49), se pure, come sostengono con forza il Consiglio e la Commissione, non creano, per gli Stati membri che partecipano a tali operazioni, obblighi, né conferiscono loro prerogative, diversi da quelli desumibili da detta normativa, tuttavia vincolano gli stessi a una particolare interpretazione di tali obblighi e prerogative, mettendo potenzialmente in gioco la loro responsabilità internazionale (50).
63. Due ulteriori rilievi militano in favore della conclusione cui sono giunto sopra.
64. In primo luogo, alcune delle disposizioni della decisione impugnata toccano problematiche che, oltre a essere sensibili, sono anche particolarmente controverse, quali, ad esempio, l’applicabilità del principio di non respingimento in acque internazionali (51) ovvero la determinazione del luogo in cui devono essere condotte le persone soccorse in base al regime introdotto dalla Convenzione SAR (52). Su tali problematiche, come emerge dalla proposta di decisione presentata dalla Commissione, sussiste una divergenza di vedute da parte degli Stati membri (53).
65. In secondo luogo, da un raffronto con la regolamentazione delle verifiche alle frontiere contenuta nel CFS emerge che la definizione delle modalità pratiche di esecuzione di tali verifiche, per quanto riguarda aspetti comparabili, mutatis mutandis, a quelli disciplinati nella decisione impugnata, è stata riservata al legislatore e ciò nonostante, nella proposta di regolamento, la Commissione avesse espresso un diverso avviso (54).
66. In base all’insieme delle disposizioni che precedono, ritengo che la decisione impugnata disciplini elementi essenziali della normativa di base ai sensi della giurisprudenza esposta ai paragrafi 26‑29 delle presenti conclusioni.
67. Pertanto, la prima censura del Parlamento deve, a mio avviso, essere accolta.
4. Sulla seconda censura, secondo cui la decisione impugnata modifica elementi essenziali del CFS
68. Nel quadro della sua seconda censura, il Parlamento fa valere che, nel prevedere che le guardie di frontiera possano ordinare all’imbarcazione intercettata di modificare la rotta per dirigersi verso una destinazione diversa dalle acque territoriali e condurre la nave o le persone a bordo in un paese terzo [punto 2.4, lettere e) e f), della parte I dell’allegato], la decisione impugnata modifica un elemento essenziale del CFS, vale a dire il principio, enunciato all’articolo 13, secondo cui «il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise».
69. La tesi del Parlamento si basa sulla premessa che il citato articolo 13 sia applicabile anche alla sorveglianza delle frontiere. Si oppongono a una tale interpretazione sia il Consiglio sia la Commissione, i quali ritengono che l’obbligo di adottare un provvedimento motivato in forza di tale disposizione sussista unicamente nel caso in cui il rifiuto d’ingresso nel territorio dell’Unione sia opposto a una persona che si è presentata regolarmente ai valichi di frontiera sottoponendosi alle verifiche disposte dal CFS.
70. La censura del Parlamento merita, a mio avviso, di essere respinta senza che sia necessario pronunciarsi in merito alla delicata questione dell’ambito di applicazione dell’articolo 13 del CFS, sulla quale la Corte sarà con tutta probabilità chiamata a statuire in futuro.
71. In effetti, come osserva il Consiglio, se è vero che tale disposizione non è espressamente richiamata nella decisione impugnata, niente consente tuttavia di escludere una sua applicazione nel contesto delle operazioni di sorveglianza da questa disciplinate. Una tale applicazione può forse dar luogo a difficoltà pratiche, ma non è impossibile, anche nelle situazioni menzionate dal Parlamento. Al riguardo rilevo peraltro che, in forza del punto 1.2 della parte I dell’allegato della decisione impugnata, le misure di cui al successivo punto 2.4 sono adottate nel rispetto del principio internazionale di non respingimento, anche ove l’intercettazione intervenga in alto mare. Le modalità di esecuzione di tali misure devono pertanto già consentire alle guardie di frontiera di effettuare i controlli necessari ad accertare che tale principio non sia violato (55).
72. Per quanto concerne l’argomento, avanzato dal Parlamento in sede di replica, secondo cui la decisione impugnata avrebbe quanto meno esteso l’ambito di applicazione materiale e geografico dell’articolo 13 rendendolo applicabile a situazioni precedentemente non coperte dal CFS, esso si confonde con gli argomenti a sostegno della prima censura. In proposito rinvio pertanto alle considerazioni già esposte nel quadro dell’esame di tale censura.
73. In base a quanto precede, ritengo che la seconda censura del Parlamento debba essere respinta in quanto infondata.
5. Sulla terza censura, secondo cui la decisione impugnata modifica il regolamento Frontex
a) Argomenti delle parti
74. Nel quadro della sua terza censura, il Parlamento sostiene che la decisione impugnata eccede l’ambito di applicazione dell’articolo 12, paragrafo 5, il quale non conferisce alla Commissione o al Consiglio il potere di dettare regole applicabili alle operazioni coordinate dall’Agenzia, i cui compiti e il cui funzionamento sono disciplinati dal regolamento Frontex. La decisione impugnata avrebbe invece come unico obiettivo quello di regolamentare le suddette operazioni, in tal modo creando obblighi non solo per gli Stati membri, ma anche per la stessa Agenzia. A titolo di esempio, il Parlamento osserva che, in forza dell’articolo 1 della decisione impugnata, le regole dettate nella parte I dell’allegato di tale decisione e gli orientamenti non vincolanti indicati nella parte II «costituiscono parte integrante del piano operativo predisposto per ciascuna operazione coordinata dall’Agenzia». Tale disposizione modificherebbe l’articolo 8 sexies, paragrafo 1, del regolamento Frontex, in base al quale «il direttore esecutivo [dell’Agenzia] e lo Stato membro richiedente concordano il piano operativo che definisce nel dettaglio le condizioni per l’invio delle squadre» (56). Inoltre, essa imporrebbe di inserire nel piano operativo regole relative alle modalità di sbarco delle persone intercettate o soccorse e modificherebbe sensibilmente il ruolo delle guardie di frontiera partecipanti all’operazione. In sede di replica il Parlamento aggiunge che la decisione impugnata estende l’ambito di applicazione territoriale del regolamento Frontex, come definito al suo articolo 1 bis, paragrafo 1.
75. Il Consiglio e la Commissione rilevano anzitutto che, in forza dell’articolo 16, paragrafo 1, del CFS, le operazioni di sorveglianza devono essere condotte dagli Stati membri in stretta cooperazione fra loro e che, come precisato al paragrafo 2 del medesimo articolo, tale cooperazione è coordinata dall’Agenzia Frontex. Un collegamento con il regolamento Frontex sarebbe dunque inevitabile. Essi escludono tuttavia che la decisione impugnata abbia come effetto di modificare tale regolamento. Essi osservano che l’inclusione delle regole contenute nella decisione impugnata nel piano operativo non implica una tale modifica, poiché tali regole, che fissano le modalità della sorveglianza, possono agevolmente rientrare negli elementi del piano elencati alle lettere c) o d) dell’articolo 8 sexies del regolamento Frontex (57). La Commissione aggiunge che destinatari della decisione impugnata sono unicamente gli Stati membri, ai quali incomberà, nel momento in cui sono chiamati a stabilire un piano operativo con l’Agenzia, fare in modo che l’allegato della decisione sia incluso in tale piano. La decisione impugnata non avrebbe pertanto alcuna incidenza sul funzionamento dell’Agenzia. Al contrario, sarebbe piuttosto il regolamento Frontex a determinare l’estensione dell’obbligo che la decisione impugnata pone a carico degli Stati membri. Infine, il Consiglio fa valere che, anche qualora si dovesse ritenere che la decisione impugnata modifichi le disposizioni degli articoli 8 sexies e 8 octies, aggiungendo nuovi elementi non essenziali, tale decisione non sarebbe perciò stesso illegittima, data la complementarietà del CFS e del regolamento Frontex, in quanto strumenti giuridici per l’attuazione della politica di gestione delle frontiere esterne di cui all’articolo 77 TFUE.
b) Analisi
76. Occorre anzitutto respingere l’argomento, avanzato a titolo subordinato dal Consiglio, secondo cui la decisione impugnata non sarebbe illegittima anche ove modificasse il regolamento Frontex. Come correttamente affermato dal Parlamento, nell’esercizio delle sue competenze di esecuzione la Commissione (o il Consiglio) non è abilitata a modificare un atto legislativo diverso dall’atto di base per il solo fatto che i due strumenti giuridici disciplinano aspetti diversi di una stessa questione e possono per certi versi considerarsi complementari. Sul punto concorda anche la Commissione.
77. È quindi necessario esaminare se, come sostiene il Parlamento, la decisione impugnata modifichi il regolamento Frontex o abbia come effetto di modificare elementi di tale regolamento.
78. Trai i due atti esiste indubbiamente un collegamento, come correttamente osservano sia il Consiglio che la Commissione. Il CFS e la regolamentazione adottata in esecuzione dello stesso hanno vocazione ad applicarsi anche a operazioni di sorveglianza condotte da Frontex e il ruolo dell’Agenzia nel coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne è espressamente riconosciuto all’articolo 16, paragrafo 2, del CFS.
79. Tuttavia, né tale disposizione né nessun’altra disposizione del CFS dettano regole, o autorizzano l’adozione di misure, volte a disciplinare la cooperazione operativa tra Stati membri nella gestione delle frontiere esterne della Comunità. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che l’articolo 66 CE, che conferiva al Consiglio il potere di adottare siffatte misure – e su cui si fonda il regolamento Frontex –, non figura tra le basi giuridiche del CFS (58). Inoltre, il CFS prevede l’obbligo per gli Stati membri di non interferire con il funzionamento di Frontex. Nell’autorizzare questi ultimi a continuare, al di fuori di Frontex, la cooperazione operativa con altri Stati membri e/o paesi terzi alle frontiere esterne, infatti, l’articolo 16, paragrafo 3, primo comma, del CFS pone come condizione che tale cooperazione integri l’azione dell’Agenzia e fa espressamente salve le competenze di quest’ultima. Peraltro, in forza del secondo comma della medesima disposizione, «gli Stati membri si astengono da qualsiasi attività che possa mettere a repentaglio il funzionamento dell’Agenzia o il raggiungimento dei suoi obiettivi» (59).
80. A fronte di quanto sopra rilevato, la decisione impugnata si prefigge quale obiettivo primario di adottare, «nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia e dell’ulteriore potenziamento di tale cooperazione», «norme supplementari per la sorveglianza delle frontiere marittime da parte delle guardie di frontiera» (secondo e undicesimo considerando) e dispone, al suo articolo 1, che tale sorveglianza «è disciplinata dalle regole stabilite nella parte I dell’allegato», prevedendo, a tal fine, che «tali regole e gli orientamenti non vincolanti stabiliti nella parte II dell’allegato costituiscono parte integrante del piano operativo predisposto per ciascuna operazione coordinata dall’Agenzia» (60).
81. È vero che, come fa osservare in particolare la Commissione, la decisione impugnata crea obblighi unicamente a carico degli Stati membri e non dell’Agenzia e, nella misura in cui il piano operativo deve essere concordato tra quest’ultima e lo Stato membro richiedente, in concreto può accadere che le disposizioni della decisione impugnata non vengano integrate nello stesso (61).
82. Ciò non toglie, tuttavia, che l’articolo 1 della decisione impugnata riduce notevolmente il margine d’azione dello Stato membro richiedente e, di riflesso, quello dell’Agenzia, potenzialmente interferendo in modo significativo con il funzionamento della stessa. Un esempio di quanto si afferma è dato dalle vicende legate all’intervento di Frontex sollecitato da Malta nel marzo 2011 nel contesto della crisi libica. La richiesta di Malta, tra l’altro, di non integrare nel piano operativo le linee direttrici contenute nella seconda parte dell’allegato della decisione impugnata ha incontrato l’opposizione di diversi Stati membri e ha comportato lunghe negoziazioni tra l’Agenzia e il governo maltese, impedendo l’avvio dell’operazione (62).
83. In concreto, l’allegato della decisione impugnata nel suo complesso, inclusi gli orientamenti non vincolanti – la cui forza obbligatoria, stante il tenore dell’articolo 1, è difficilmente contestabile (63) –, è percepito come facente parte delle misure comunitarie relative alla gestione delle frontiere esterne, di cui, conformemente all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento Frontex, l’Agenzia è tenuta a garantire un’applicazione semplificata e maggiormente efficace (64).
84. Peraltro, gli orientamenti non vincolanti contenuti nella parte II dell’allegato della decisione impugnata, relativi alle situazioni di ricerca e soccorso, disciplinano aspetti dell’operazione che non rientrano tra i compiti di Frontex. Come sottolineato dalla stessa Commissione nella proposta sulla base della quale è stata adottata la decisione impugnata, Frontex non è un un’agenzia SAR (65) e «il fatto che, nella maggior parte dei casi, le operazioni marittime da questa coordinate diventano operazioni di ricerca e salvataggio (…) le sottrae all’ambito di applicazione del coordinamento di Frontex» (66). Un discorso analogo vale per quanto riguarda le regole relative allo sbarco. Ciò nonostante, la decisione impugnata prevede che i suddetti orientamenti siano inseriti nel piano operativo.
85. Sulla base delle considerazioni svolte, ritengo che, disciplinando aspetti relativi alla cooperazione operativa tra Stati membri nella gestione delle frontiere esterne dell’Unione che rientrano nella sfera di applicazione del regolamento Frontex e, comunque, dettando regole che interferiscono con il funzionamento dell’Agenzia istituita da tale regolamento, la decisione impugnata ecceda i limiti delle competenze di esecuzione attribuite dall’articolo 12, paragrafo 5, del CFS.
86. Prima di concludere sul punto, giova tuttavia osservare che il contesto normativo al quale si applicano le considerazioni che precedono è stato modificato dal regolamento n. 1168/2011 (67). Tale regolamento ha, tra l’altro, inserito all’articolo 1, paragrafo 2, un espresso riferimento al CFS, ha aggiunto all’articolo 2, paragrafo 1, che definisce i compiti dell’Agenzia, una lettera d) bis, che prevede l’assistenza dell’Agenzia in «situazioni [che] possono comportare emergenze umanitarie e il soccorso in mare», nonché ha previsto, alla lettera j) del nuovo articolo 3 bis e dell’articolo 8 sexies, gli elementi da includere nel piano operativo in caso di operazioni in mare, tra i quali figurano «i riferimenti al diritto dell’Unione e internazionale in materia di intercettazione, soccorso in mare e sbarco».
87. Orbene, anche a supporre che una tale modifica legislativa debba essere presa in considerazione nel quadro del presente giudizio, ciò non pregiudica la conclusione cui sono giunto sopra. In effetti, anche dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 1168/2011, le misure volte a definire le modalità pratiche delle operazioni marittime coordinate da Frontex continuano a essere in concreto disciplinate per rinvio a un atto di esecuzione di un diverso strumento giuridico, esso stesso fondato su una base giuridica che non avrebbe consentito, di per sé sola, l’adozione di siffatte misure. Nel prevedere tali disposizioni, la decisione impugnata ha travalicato i limiti delle competenze di esecuzione attribuite dall’articolo 12, paragrafo 5, del CFS.
88. In conclusione, ritengo che anche la terza censura del Parlamento meriti di essere accolta.
C – Conclusioni sul ricorso
89. In base a quanto precede, il ricorso deve, a mio avviso, essere accolto, e la decisione impugnata deve essere annullata.
IV – Sulla domanda del Parlamento di mantenere gli effetti della decisione impugnata
90. Il Parlamento chiede alla Corte, ove disponga l’annullamento della decisione impugnata, di mantenerne gli effetti fino all’adozione di un nuovo atto, in forza del potere conferitole dall’articolo 264, secondo comma, TFUE. Tale disposizione, in base alla quale «la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi», è stata utilizzata anche per mantenere temporaneamente tutti gli effetti di un tale atto in attesa di una sua sostituzione (68).
91. Nella specie, l’annullamento puro e semplice della decisione impugnata priverebbe l’Unione di un importante strumento giuridico diretto a coordinare l’azione congiunta degli Stati membri nella gestione dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime dell’Unione e a rendere tale attività maggiormente conforme ai diritti umani e al regime di protezione dei rifugiati.
92. Per i motivi esposti ritengo che la domanda del Parlamento debba essere accolta e che gli effetti della decisione impugnata debbano essere mantenuti fino all’entrata in vigore di un atto adottato conformemente alla procedura legislativa ordinaria.
V – Conclusioni
93. Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di:
– respingere l’eccezione del Consiglio e dichiarare il ricorso ricevibile;
– accogliere il ricorso nel merito e annullare la decisione impugnata;
– dichiarare che gli effetti della stessa sono mantenuti fino all’entrata in vigore di un atto adottato conformemente alla procedura legislativa ordinaria.
– condannare il Consiglio alle spese e dichiarare che la Commissione sopporta le proprie spese.