Language of document : ECLI:EU:C:2019:481

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

12 giugno 2019 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Marchi – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 4, paragrafo 1, lettera b) – Rischio di confusione – Impressione complessiva – Marchio anteriore registrato con l’apposizione di una clausola di disclaimer – Effetti di una simile clausola di disclaimer sulla portata della tutela del marchio anteriore»

Nella causa C‑705/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Svea hovrätt, Patent- och marknadsöverdomstolen (Corte d’appello di Stoccolma in qualità di corte d’appello della proprietà intellettuale e degli affari economici, Svezia), con decisione del 20 novembre 2017, pervenuta in cancelleria il 15 dicembre 2017, nel procedimento

Patent- och registreringsverket

contro

Mats Hansson,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, C. Lycourgos, E. Juhász, M. Ilešič (relatore) e I. Jarukaitis, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: C. Strömholm, amministratrice

considerate le osservazioni presentate:

–        per il Patent- och registreringsverket, da K. Isaksson, M. Nowicka e M. Ahlgren, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da K. Simonsson, É. Gippini Fournier, E. Ljung Rasmussen e G. Tolstoy, in qualità di agenti,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 dicembre 2018,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 marzo 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Patent- och registreringsverket (Ufficio per la proprietà intellettuale, Svezia; in prosieguo: il «PRV») e il sig. Mats Hansson, cittadino svedese, relativamente al diniego di registrazione del segno denominativo «ROSLAGSÖL» come marchio nazionale.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        I considerando 4, 6, 8, 10 e 11 della direttiva 2008/95 così recitavano:

«(4)      Non appare necessario procedere a un ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in tema di marchi di impresa. È sufficiente limitare il ravvicinamento alle disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno.

(…)

(6)      Gli Stati membri dovrebbero mantenere inoltre la piena libertà di fissare le disposizioni procedurali relative alla registrazione, alla decadenza o alla nullità dei marchi di impresa acquisiti attraverso la registrazione. Spetta loro, ad esempio, stabilire la forma delle procedure di registrazione e di nullità, decidere se debbano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione o nella procedura di nullità ovvero in entrambe, o ancora, qualora possano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione, prevedere una procedura di opposizione o un esame d’ufficio, ovvero entrambi. (…)

(…)

(8)      La realizzazione degli obiettivi perseguiti presuppone che l’acquisizione e la conservazione del diritto sul marchio di impresa registrato siano in linea di massima subordinate, in tutti gli Stati membri, alle stesse condizioni. (…)

(…)

(10)      È fondamentale, per agevolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, procurare che i marchi di impresa registrati abbiano negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri la medesima tutela; ciò non priva tuttavia gli Stati membri della facoltà di tutelare maggiormente i marchi di impresa che abbiano acquisito una notorietà.

(11)      La tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa dovrebbe essere assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno, nonché tra i prodotti o servizi. La tutela dovrebbe essere accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi. È indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione; il rischio di confusione, la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati, dovrebbe costituire la condizione specifica della tutela. La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare le norme procedurali nazionali alle quali spetta disciplinare i mezzi grazie a cui può essere constatato il rischio di confusione, e in particolare l’onere della prova».

4        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95:

«1.      Sono esclusi dalla registrazione o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

(…)

c)      i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che nel commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio».

5        L’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva enuncia quanto segue:

«1.      Un marchio di impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo:

(…)

b)      se l’identità o la somiglianza di detto marchio di impresa col marchio di impresa anteriore e l’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi di impresa può dar adito a un rischio di confusione per il pubblico comportante anche un rischio di associazione tra il marchio di impresa e il marchio di impresa anteriore».

6        L’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della suddetta direttiva è così formulato:

«1.      Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

(…)

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa».

7        L’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della stessa direttiva prevede quanto segue:

«1.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

(…)

b)      di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio».

8        La direttiva 2008/95 è stata abrogata a decorrere dal 15 gennaio 2019 dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), entrata in vigore il 12 gennaio 2016. Tenuto conto della data della domanda di registrazione di cui trattasi nel procedimento principale, il presente rinvio pregiudiziale deve tuttavia essere esaminato alla luce delle disposizioni della direttiva 2008/95.

9        L’articolo 37, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione europea] (GU 2009, L 78, pag. 1), che è succeduto all’articolo 38, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), redatto in termini identici, prevedeva quanto segue:

«Quando il marchio contiene un elemento che è privo di carattere distintivo e l’inclusione di questo elemento nel marchio può creare dubbi sull’estensione della protezione del marchio, [l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO)] può richiedere, come condizione per la registrazione del marchio, una dichiarazione in cui il richiedente si impegni a non invocare diritti esclusivi su tale elemento. Questa dichiarazione è pubblicata simultaneamente alla domanda o, secondo i casi, alla registrazione del marchio [dell’Unione europea]».

10      Il regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, recante modifica del regolamento n. 207/2009, che modifica il regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 e che abroga il regolamento (CE) n. 2869/95 della Commissione relativo alle tasse da pagare all’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli) (JO 2015, L 341, pag. 21) ha abrogato il suddetto articolo 37, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

 Diritto svedese

11      Conformemente all’articolo 6 del capitolo 1 della varumärkslagen (2010:1877) (legge n. 1877 del 2010 sui marchi; in prosieguo: la «legge del 2010»), il diritto esclusivo conferito a un marchio si ottiene mediante la sua registrazione.

12      L’articolo 10, primo comma, punto 2, del suddetto capitolo 1 della legge del 2010 prevede che il diritto esclusivo conferito a un marchio registrato comporti che nessuno, eccetto il titolare, può, senza il consenso di quest’ultimo, usare nel commercio un segno il quale, a causa della sua identità o della sua somiglianza con il marchio e a causa dell’identità o della somiglianza dei prodotti contrassegnati dal marchio, può dar adito, per il pubblico di riferimento, a un rischio di confusione che comprende il rischio di avere l’impressione di associare l’utilizzatore del segno al titolare del marchio.

13      L’articolo 5 del capitolo 2 della legge del 2010 precisa che una delle condizioni generali per la registrazione richieste da tale capitolo consiste nel fatto che il marchio deve essere dotato di carattere distintivo per i prodotti o i servizi da esso contraddistinti.

14      Ai sensi dell’articolo 8, primo comma, punto 2, del capitolo 2 della legge del 2010, un marchio è escluso dalla registrazione in considerazione della sua somiglianza con un marchio anteriore e dell’identità o della somiglianza dei prodotti o dei servizi contraddistinti dai due marchi, qualora sussista un rischio di confusione che comprenda il rischio di avere l’impressione di associare l’utilizzatore del marchio al titolare del marchio registrato.

15      L’articolo 12, primo comma, del capitolo 2 della legge del 2010 prevede che, se un marchio contiene un elemento che non può essere registrato in sé e se esiste un rischio manifesto che la registrazione possa dar luogo a incertezze sulla portata del diritto esclusivo, tale elemento possa essere escluso dalla protezione al momento della sua registrazione, mediante una rinuncia.

16      Ai sensi del secondo comma del predetto articolo 12, qualora in un momento successivo detto elemento soddisfi i presupposti per la registrazione, sarà consentita la registrazione di tale elemento o dell’intero marchio, nell’ambito di una nuova domanda di registrazione, senza una simile rinuncia.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

17      Nel 2007 la società svedese Norrtelje Brenneri Aktiebolag ha fatto registrare, per bevande alcoliche rientranti nella classe 33 ai sensi dell’Accordo di Nizza, del 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, come marchio nazionale il seguente segno denominativo e figurativo (in prosieguo: il «marchio anteriore»):

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18      Tale registrazione è accompagnata da una clausola di disclaimer che specifica che la «registrazione non conferisce un diritto esclusivo sul vocabolo “RoslagsPunsch”». L’inserimento di detta clausola di disclaimer è stata richiesta dal PRV come condizione per la registrazione del marchio anteriore, in quanto il termine «Roslags» rinvia a una regione della Svezia e il termine «Punsch» descrive uno dei prodotti interessati da tale registrazione.

19      Con atto introdotto il 16 dicembre 2015, il sig. Hansson ha chiesto al PRV la registrazione del segno denominativo «ROSLAGSÖL» come marchio nazionale per prodotti rientranti nella classe 32 ai sensi dell’Accordo di Nizza e, segnatamente, per bevande analcoliche e birre.

20      Con decisione del 14 luglio 2016, il PRV ha respinto detta domanda di registrazione adducendo la sussistenza di un rischio di confusione tra detto segno e il marchio anteriore. Il PRV ha constatato che i segni in conflitto iniziano con il termine descrittivo «Roslags». Il fatto che essi contengano ulteriori vocaboli o elementi figurativi non attenuerebbe affatto la somiglianza, poiché il vocabolo «Roslags» costituirebbe un elemento dominante dei due segni. Inoltre, i segni riguarderebbero prodotti identici o simili che possono essere distribuiti attraverso gli stessi circuiti di vendita e rivolgersi alla medesima clientela.

21      Il sig. Hansson ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Patent- och marknadsdomstolen (tribunale della proprietà intellettuale e degli affari economici, Svezia), facendo valere l’assenza di qualsiasi rischio di confusione tra i segni in questione. Per quanto riguarda l’incidenza della clausola di disclaimer relativa al marchio anteriore sull’esito del ricorso, il PRV ha dedotto dinanzi a detto giudice che l’elemento di un marchio che è stato escluso dalla tutela mediante una clausola di disclaimer deve, in linea di massima, essere considerato privo di carattere distintivo. Nel caso di specie, la registrazione del marchio anteriore sarebbe stata accordata con una simile rinuncia in base al fatto che detto marchio contiene un termine descrittivo di una regione geografica, ossia «Roslags».

22      Orbene, la prassi del PRV relativa al carattere non distintivo di nomi geografici sarebbe, nel frattempo, cambiata, tra l’altro al fine di attuare le indicazioni di cui ai punti 31 e 32 della sentenza del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee (C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230). Il termine «Roslags» potrebbe ormai essere registrato, di per sé, come marchio e sarebbe dotato di carattere distintivo per i prodotti controversi nel caso di specie, tanto che potrebbe persino dominare l’impressione complessiva del marchio anteriore. Da una valutazione globale dei segni in conflitto emergerebbe quindi che, a causa dell’elemento comune «Roslags», il pubblico di riferimento potrebbe avere l’impressione che i prodotti contraddistinti da tali segni abbiano la medesima origine commerciale.

23      Il Patent- och marknadsdomstolen (tribunale della proprietà intellettuale e degli affari economici), contrariamente a quanto sostenuto dal PRV, ha accolto il ricorso del sig. Hansson e ha approvato la registrazione del suo segno come marchio, constatando l’assenza di un rischio di confusione. Tale giudice ha anche precisato che, nonostante la clausola di disclaimer, i termini interessati da quest’ultima devono essere presi in considerazione nell’ambito della valutazione di detto rischio, potendo incidere sull’impressione complessiva generata dal marchio anteriore e, pertanto, sulla portata della tutela di quest’ultimo. Secondo detto giudice, tale clausola avrebbe lo scopo di precisare che il diritto esclusivo derivante dalla registrazione del marchio anteriore non riguardava i termini oggetto della stessa in quanto tali.

24      Il PRV ha interposto appello avverso la sentenza del giudice di primo grado dinanzi allo Svea hovrätt, Patent- och marknadsöverdomstolen (Corte d’appello di Stoccolma in veste di corte d’appello della proprietà intellettuale e degli affari economici, Svezia).

25      Tale giudice spiega che, a suo avviso, la direttiva 2008/95 e la relativa giurisprudenza confermano che le norme sostanziali relative alla protezione di un marchio nazionale sono, in via di principio, pienamente armonizzate a livello del diritto dell’Unione, mentre le norme procedurali rientrano nella competenza degli Stati membri. Pertanto, esso si chiede se una norma nazionale che consente di introdurre una clausola di disclaimer possa essere qualificata come «regola procedurale», sebbene abbia l’effetto di modificare i criteri sui quali si basa la sua valutazione complessiva al fine di esaminare il rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della suddetta direttiva.

26      Al riguardo, detto giudice si chiede se tale disposizione possa essere interpretata – segnatamente alla luce della giurisprudenza costante della Corte che esige che la valutazione del rischio di confusione sia fondata su un’impressione complessiva e che la percezione dei consumatori svolga un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio – nel senso che una clausola di disclaimer può influire su tale valutazione a causa del fatto che un elemento del marchio anteriore sia stato, al momento della sua registrazione, espressamente escluso dalla protezione mediante tale clausola di disclaimer, cosicché, nel valutare l’impressione complessiva, sia attribuita a tale elemento un’importanza minore rispetto a quella che gli sarebbe stata riconosciuta in assenza di una simile clausola.

27      Se la direttiva 2008/95 dovesse ostare a un simile approccio, si porrebbe allora la questione di sapere se essa ammetta che la clausola di disclaimer comporti che l’elemento cui si riferisce sia considerato elemento non oggetto della registrazione del marchio anteriore e quindi elemento che non abbia beneficiato della protezione di tale marchio, di modo che esso possa essere escluso dall’analisi del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva. Secondo il giudice del rinvio, sembrerebbe che l’EUIPO abbia seguito tale approccio nell’applicazione dell’articolo 37, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

28      Inoltre, tale giudice rileva che la giurisprudenza dei giudici nazionali non è uniforme quanto agli effetti della clausola di disclaimer, come prevista dal diritto nazionale, sull’analisi del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della suddetta direttiva.

29      Date tali circostanze, lo Svea hovrätt, Patent- och marknadsöverdomstolen (Corte d’appello di Stoccolma in veste di corte d’appello della proprietà intellettuale e degli affari economici) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso che nella valutazione complessiva di tutti i fattori rilevanti da compiersi ai fini della valutazione del rischio di confusione possa incidere la circostanza che un elemento di un marchio sia stato espressamente escluso dalla tutela alla registrazione, vale a dire che nella registrazione sia stata inclusa una c.d. clausola di disclaimer.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la clausola di disclaimer possa, in tal caso, pregiudicare la valutazione complessiva in modo tale che l’autorità competente prenda sì in considerazione l’elemento in esame attribuendogli tuttavia rilevanza più limitata ed escludendone, in tal modo, il carattere distintivo, sebbene l’elemento medesimo sia de facto dotato di carattere distintivo e dominante nel marchio precedente.

3)      In caso di risposta affermativa alla prima questione e di risposta negativa alla seconda questione, se la clausola di disclaimer possa, ciononostante, influire sulla valutazione in qualsiasi altro modo».

 Sulle questioni pregiudiziali

30      Con le questioni pregiudiziali, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso di ostare a una normativa nazionale che prevede una clausola di disclaimer avente l’effetto di escludere un elemento, oggetto di tale clausola, di un marchio complesso dall’analisi dei fattori rilevanti per l’accertamento della sussistenza di un rischio di confusione ai sensi di tale disposizione o di attribuire a un tale elemento, subito e per sempre, un’importanza limitata nell’ambito di tale analisi.

31      In via preliminare, occorre ricordare che la funzione essenziale di un marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli di distinguere senza confusione possibile tale prodotto o tale servizio da quelli di provenienza diversa (v., in tal senso, sentenze del 16 settembre 2004, SAT.1/UAMI, C‑329/02 P, EU:C:2004:532, punto 23, e dell’8 giugno 2017, W.F. Gözze Frottierweberei e Gözze, C‑689/15, EU:C:2017:434, punto 41).

32      La direttiva 2008/95, che ai sensi del suo articolo 1 si applica in particolare ai marchi di impresa di prodotti o di servizi oggetto di una registrazione o di una domanda di registrazione in uno Stato membro, procede, conformemente ai suoi considerando 4, 6, 8 e 10, a un ravvicinamento delle disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno. Come precisato nei citati considerando, è fondamentale, a tal fine, fare in modo che i marchi registrati godano della medesima tutela nella legislazione di tutti gli Stati membri e che l’acquisizione del diritto sul marchio registrato sia di regola subordinata, in tutti gli Stati membri, alle stesse condizioni, lasciando al contempo a questi ultimi la libertà di fissare le disposizioni procedurali relative, in particolare, alla registrazione di detti marchi.

33      A tal proposito, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 precisa che il marchio registrato conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha, in particolare, il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza con tale marchio e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti da detto marchio e da detto segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra tale segno e il marchio registrato.

34      L’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 prevede invece che un marchio sia escluso dalla registrazione o, se registrato, possa essere dichiarato nullo se l’identità o la somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e l’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi può dar adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione con il marchio anteriore.

35      Le citate disposizioni mirano in tal modo a tutelare gli interessi individuali dei titolari di marchi anteriori e garantiscono la funzione di origine del marchio in caso di rischio di confusione (v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2005, Medion, C‑120/04, EU:C:2005:594, punti da 24 a 26, e del 22 ottobre 2015, BGW, C‑20/14, EU:C:2015:714, punto 26).

36      Orbene, né queste stesse disposizioni né alcun’altra disposizione della direttiva 2008/95 contengono l’obbligo o il divieto per gli Stati membri di introdurre nel loro diritto nazionale disposizioni che prevedano che la registrazione di un segno come marchio possa essere accompagnata da una clausola di disclaimer. Le suddette disposizioni non precisano neppure gli effetti di una simile clausola sull’esame del rischio di confusione, ai sensi della citata direttiva.

37      Ciò premesso, occorre constatare, al pari dell’avvocato generale, ai paragrafi 22 e 24 delle sue conclusioni, che gli Stati membri restano, in via di principio, liberi di prevedere nel loro diritto nazionale disposizioni che autorizzano l’inserimento di clausole di disclaimer al momento della registrazione dei segni come marchi, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano depositate spontaneamente dal richiedente o su richiesta dell’ufficio nazionale competente per tale registrazione, purché dette clausole non pregiudichino l’effetto utile delle disposizioni della direttiva 2008/95 e, in particolare, la tutela offerta ai titolari di marchi anteriori contro la registrazione di marchi che possono generare un rischio di confusione tra i consumatori o gli utenti finali.

38      Inoltre, gli effetti di tali clausole non possono portare a contraddire gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2008/95, richiamati ai considerando 8 e 10 della medesima, e che consistono nel garantire che l’acquisizione del diritto sul marchio registrato sia, in via di principio, subordinata in tutti gli Stati membri alle stesse condizioni e nell’assicurare la parità di tutela offerta dai marchi nella legislazione di tutti gli Stati membri (v., per analogia, sentenze del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a., C‑348/04, EU:C:2007:249, punti 58 e 59; del 19 giugno 2014, Oberbank e a., C‑217/13 et C‑218/13, EU:C:2014:2012, punti 66 e 67, nonché del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punti 30 e 32).

39      Nel caso di specie, il giudice del rinvio espone tre effetti possibili della clausola di disclaimer, quale prevista dal diritto nazionale, sull’analisi della sussistenza di un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95. Per tale giudice, secondo una prima interpretazione del diritto nazionale, l’elemento, oggetto di una simile clausola di disclaimer, di un marchio complesso sarebbe escluso dall’analisi del rischio di confusione. Secondo una seconda interpretazione del diritto nazionale, un siffatto elemento sarebbe sicuramente preso in considerazione nell’ambito di tale analisi, tuttavia con limitata rilevanza nonostante, in realtà, esso sia l’elemento distintivo e dominante di detto marchio. Una terza interpretazione consisterebbe, sostanzialmente, nell’affermare che occorre tener conto di un simile elemento in detta analisi seguendo i principi applicabili all’analisi del rischio di confusione sviluppati nella giurisprudenza costante della Corte.

40      Al riguardo occorre ricordare che costituisce un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, il rischio che il pubblico possa ritenere che i prodotti o i servizi controversi provengano dalla medesima impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate (v., in tal senso, sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 29, e dell’8 maggio 2014, Bimbo/UAMI, C‑591/12 P, EU:C:2014:305, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

41      Secondo costante giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un rischio di confusione dipende da numerosi fattori e, segnatamente, dalla notorietà del marchio nel mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio e il segno e tra i prodotti o servizi designati. Il rischio di confusione deve essere quindi valutato complessivamente, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie (v., in tal senso, sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 16; del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 18, nonché del 10 aprile 2008, adidas e adidas Benelux, C‑102/07, EU:C:2008:217, punto 29).

42      Tra tali fattori figura anche il carattere distintivo del marchio anteriore, che determina l’estensione della sua tutela. La Corte ha, infatti, già precisato che il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più il carattere distintivo di detto marchio risulta importante (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2016, BSH/EUIPO, C‑43/15 P, EU:C:2016:837, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

43      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione, e in particolare tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Pertanto, un debole grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa. L’interdipendenza tra tali fattori trova la sua espressione nel considerando 11 della direttiva 2008/95, secondo cui è indispensabile interpretare la nozione di «somiglianza» in relazione al rischio di confusione (v., in tal senso, sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 22 giugno1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 19).

44      Parimenti, secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto che un marchio sia dotato di un carattere distintivo debole non esclude un rischio di confusione, in particolare qualora esista una somiglianza dei segni e dei prodotti o servizi interessati (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2016, BSH/EUIPO, C‑43/15 P, EU:C:2016:837, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

45      Tale valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi. La percezione dei marchi che ha il consumatore medio dei prodotti o dei servizi di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. Al riguardo, il consumatore medio di solito percepisce un marchio come un tutt’uno e non si dedica ad esaminarne i vari dettagli (v., in tal senso, sentenze dell’11 novembre 1997, SABEL, C‑251/95, EU:C:1997:528, punto 23; del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 25, e del 22 ottobre 2015, BGW, C‑20/14, EU:C:2015:714, punto 35).

46      Alla luce di tali principi e di tutta la giurisprudenza ricordata ai punti da 40 a 45 della presente sentenza, è necessario osservare, in primo luogo, che una clausola di disclaimer prevista dal diritto nazionale avente l’effetto di escludere un elemento, oggetto di detta clausola, di un marchio complesso, a causa del suo carattere descrittivo o non distintivo, dall’analisi dei fattori pertinenti per dimostrare l’esistenza del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, sarebbe incompatibile con i requisiti di tale disposizione.

47      Una simile esclusione potrebbe, infatti, far sì che non siano correttamente valutati né la somiglianza tra i segni in conflitto né il carattere distintivo del marchio anteriore, il che comporterebbe una valutazione globale alterata del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 tanto più che tali fattori sono interdipendenti, come è stato precisato al punto 43 della presente sentenza, atteso che tale interrelazione mira, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue conclusioni, a rendere l’intero giudizio sul rischio di confusione quanto più possibile aderente all’effettiva percezione del pubblico di riferimento.

48      Per quanto riguarda a tal proposito, in primis, la valutazione della somiglianza tra i segni in conflitto, occorre ricordare che essa non può limitarsi a prendere in considerazione soltanto una componente di un marchio complesso e a confrontarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi controversi considerati ciascuno nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, BGW, C‑20/14, EU:C:2015:714, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

49      Occorre pertanto, in ciascun singolo caso, analizzare le componenti di un segno e il loro peso relativo nella percezione del pubblico al fine di determinare, a seconda delle circostanze particolari del caso di specie, l’impressione complessiva prodotta dai segni in questione nella memoria di detto pubblico (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, Bimbo/UAMI, C‑591/12 P, EU:C:2014:305, punti 34 e 36). Non può quindi ritenersi in anticipo e in maniera generale che gli elementi descrittivi di segni in conflitto debbano essere esclusi dalla valutazione della loro somiglianza (v., a tal proposito, ordinanza del 7 maggio 2015, Adler Modemärkte/UAMI, C‑343/14 P, non pubblicata, EU:C:2015:310, punto 38).

50      Per quanto riguarda, in secundis, il carattere distintivo del marchio anteriore, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la determinazione del carattere distintivo dipende in particolare dalle qualità intrinseche di tale marchio, ivi compresa la presenza o l’assenza di elementi descrittivi dei prodotti o dei servizi per i quali detto marchio è stato registrato (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punti 20, 22 e 23 e giurisprudenza ivi citata).

51      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, l’idoneità del segno a identificare i prodotti o i servizi, per i quali quest’ultimo è stato registrato come marchio, come provenienti da una determinata impresa deve essere valutata rispetto al segno nel suo insieme e quindi tenendo conto di tutte le componenti di quest’ultimo, cosicché l’esclusione di uno degli elementi del marchio anteriore dall’analisi del carattere distintivo di tale marchio può avere un’incidenza sulla portata della tutela dello stesso.

52      Occorre rilevare, in secondo luogo, che, per ragioni analoghe a quelle esposte ai punti da 48 a 51 della presente sentenza, una clausola di disclaimer, prevista dal diritto nazionale, avente l’effetto di attribuire subito e per sempre all’elemento, oggetto di tale clausola, di un marchio complesso un carattere non distintivo, così da risultare di scarsa importanza nell’ambito dell’analisi del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, sarebbe parimenti incompatibile con i requisiti di cui a tale disposizione.

53      A tal proposito si deve osservare, anzitutto, che gli elementi descrittivi, non distintivi o scarsamente distintivi di un marchio complesso, a prescindere dal fatto che siano o meno oggetto di una clausola di disclaimer come quella di cui trattasi nel procedimento principale, solitamente hanno un peso minore nell’analisi della somiglianza tra i segni rispetto agli elementi dotati di un carattere distintivo più forte, i quali hanno anche maggiore capacità di dominare l’impressione complessiva prodotta da tale marchio (v., a tal proposito, sentenza dell’11 novembre 1997, SABEL, C‑251/95, EU:C:1997:528, punto 23, e ordinanza del 27 aprile 2006, L’Oréal/UAMI, C‑235/05 P, non pubblicata, EU:C:2006:271, punto 43).

54      Tuttavia, la Corte ha già precisato che la singola valutazione di ciascun segno al fine di determinare l’impressione complessiva che ne deriva, come richiesta dalla giurisprudenza costante della Corte, deve essere compiuta in funzione delle circostanze particolari della fattispecie e non può essere considerata soggetta a presunzioni generiche (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, Bimbo/UAMI, C‑591/12 P, EU:C:2014:305, punto 36).

55      Poi, quando il marchio anteriore e il segno di cui si chiede la registrazione coincidono per un elemento di carattere distintivo debole o descrittivo in riferimento ai prodotti e servizi controversi, è vero che la valutazione globale del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, non porterà spesso ad accertare l’esistenza di detto rischio. Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’accertamento dell’esistenza di un tale rischio di confusione non può, data l’interdipendenza dei fattori pertinenti al riguardo, essere esclusa in anticipo e in ogni caso (v., a tal proposito, ordinanza del 29 novembre 2012, Hrbek/UAMI, C‑42/12 P, non pubblicata, EU:C:2012:765, punto 63, nonché sentenza dell’8 novembre 2016, BSH/EUIPO, C‑43/15 P, EU:C:2016:837, punti 48 e da 61 a 64).

56      Da quanto precede deriva che l’attribuzione a un elemento di un marchio complesso, oggetto di una clausola di disclaimer, di un carattere non distintivo e, pertanto, di un peso limitato nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, potrebbe ben corrispondere, in talune situazioni, alla percezione, da parte del pubblico di riferimento, dei segni in questione. Tuttavia, non sarà sempre questo il caso, così una clausola di disclaimer avente un tale effetto potrebbe portare alla registrazione di segni in grado di generare un rischio di confusione per detto pubblico ai sensi di tale disposizione.

57      In terzo luogo, occorre sottolineare che l’interpretazione accolta ai punti 46 e 52 della presente sentenza non può essere messa in discussione dal fatto che l’elemento cui si riferisce la clausola di disclaimer controversa nel procedimento principale sia, in forza del diritto nazionale e a causa del suo carattere descrittivo, escluso dalla protezione offerta a un marchio registrato, cosicché la sua presa in considerazione nell’analisi dei fattori pertinenti per accertare il rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, gli permetterebbe di beneficiare di una protezione di cui non può godere nel sistema di detta direttiva.

58      La constatazione dell’esistenza di un rischio di confusione comporta, infatti, unicamente la tutela di una determinata combinazione di elementi, senza tuttavia tutelare in quanto tale un elemento descrittivo facente parte di tale combinazione (v., per analogia, ordinanze del 15 gennaio 2010, Messer Group/Air Products and Chemicals, C‑579/08 P, non pubblicata, EU:C:2010:18, punti 73, e del 30 gennaio 2014, Industrias Alen/The Clorox Company, C‑422/12 P, EU:C:2014:57, punto 45). Di conseguenza, il titolare di un marchio complesso non può, in ogni caso, rivendicare un diritto esclusivo soltanto su un elemento di detto marchio, indipendentemente dal fatto che esso sia o meno oggetto di una clausola di disclaimer prevista dal diritto nazionale.

59      Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 26 e 50 delle sue conclusioni, la direttiva 2008/95 prevede garanzie sufficienti che mirano ad assicurare, da un lato, che i segni composti esclusivamente da segni o indicazioni di natura descrittiva di categorie di prodotti o di servizi per i quali si chiede la registrazione siano, in applicazione del suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), esclusi dalla registrazione o dichiarati nulli e possano quindi essere liberamente utilizzati da altri operatori economici.

60      Dall’altro lato, dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva risulta che, quando un segno è validamente registrato come marchio, il diritto esclusivo conferito da tale marchio non permette al titolare di quest’ultimo di vietare ai terzi l’uso, nel commercio, delle indicazioni di natura descrittiva per i prodotti e servizi interessati, fatto salvo il rispetto di talune condizioni (v., a tal proposito, sentenze del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee, C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punti 25 e 28; del 10 aprile 2008, adidas e adidas Benelux, C‑102/07, EU:C:2008:217, punti 46 e 47, nonché del 10 marzo 2011, Agencja Wydawnicza Technopol/UAMI, C‑51/10 P, EU:C:2011:139, punti da 59 a 62).

61      Inoltre, occorre precisare che detta interpretazione si inserisce nell’ambito del perseguimento degli obiettivi della direttiva 2008/95 ai quali si fa riferimento al punto 32 della presente sentenza, in quanto essa è diretta ad assicurare che la protezione di un marchio nazionale registrato contro un rischio di confusione sia garantita sulla base degli stessi criteri e quindi in modo uniforme in tutti gli Stati membri, in particolare tenendo conto della circostanza che molti Stati membri non prevedono la possibilità di registrare i segni come marchi con clausole del genere e che le condizioni per l’inserimento di tali clausole e i relativi effetti possono variare a seconda delle legislazioni di tali Stati membri.

62      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede una clausola di disclaimer che avrebbe l’effetto di escludere un elemento, oggetto di tale clausola, di un marchio complesso dall’analisi globale dei fattori pertinenti per accertare l’esistenza di un rischio di confusione ai sensi di tale disposizione o di attribuire a un tale elemento, subito e per sempre, un’importanza limitata nell’ambito di tale analisi.

 Sulle spese

63      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

L’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede una clausola di disclaimer che avrebbe l’effetto di escludere un elemento, oggetto di tale clausola, di un marchio complesso dall’analisi globale dei fattori pertinenti per accertare l’esistenza di un rischio di confusione ai sensi di tale disposizione o di attribuire a un tale elemento, subito e per sempre, un’importanza limitata nell’ambito di tale analisi.

Firme


*      Lingua processuale: lo svedese.