Language of document : ECLI:EU:C:2017:797

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 24 ottobre 2017 (1)

Cause riunite C316/16 e C424/16

B

contro

Land Baden-Württemberg

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania)]

e

Secretary of State for the Home Department

contro

Franco Vomero

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione europea – Diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e soggiornare nel territorio dell’Unione – Protezione contro l’allontanamento – Soggiorno nello Stato membro ospitante durante i dieci anni che precedono la decisione di allontanamento – Cittadino dell’Unione non avente alcun legame con il proprio Stato membro d’origine – Interruzione della continuità del soggiorno per effetto di un periodo di detenzione – Reato commesso dopo un periodo di soggiorno di 20 anni – Nozione di “preciso momento in cui si pone il problema dell’allontanamento”»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑316/16 è stata presentata nell’ambito di un procedimento fra B., che è nato in Grecia nel 1989 e che dal 1993 vive in Germania con la madre, e il Land Baden‑Wurttemberg (Germania). Nel 2009, B. ha commesso un reato per il quale è stato condannato. La domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑424/16 scaturisce da una controversia fra il Secretary of State for the Home Department (ministro dell’Interno, Regno Unito) e il sig. Franco Vomero, cittadino italiano che dal 1985 abita nel Regno Unito e che, nel 2001, ha commesso un omicidio.

2.        È in tali contesti di fatto che gli interessati – in seguito ai loro periodi di detenzione – sono stati destinatari di provvedimenti di allontanamento posteriori alle condanne penali pronunciate per i reati summenzionati. A tal riguardo, i giudici del rinvio esprimono seri dubbi sull’applicabilità dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE (2), ai sensi del quale le persone che soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante i «precedenti dieci anni» beneficiano della protezione rafforzata contro l’allontanamento. Le presenti domande di rinvio pregiudiziale forniscono dunque alla Corte l’opportunità di esaminare l’espressione figurante all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 e di arricchire la sua recente giurisprudenza concernente la disposizione di cui trattasi.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», «[c]iascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro» se sono soddisfatte le condizioni previste in tale disposizione. Tali condizioni mirano, segnatamente, a garantire che un cittadino dell’Unione non divenga un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno.

4.        L’articolo 16 della direttiva 2004/38 compare nel capo IV, intitolato «Diritto di soggiorno permanente», e prevede quanto segue:

«1.      Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

(…)

3.      La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

4.      Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi».

5.        Il capo VI della direttiva 2004/38, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», ai suoi articoli 27 e 28, prevede quanto segue:

«Articolo 27

Principi generali

1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

(…)

Articolo 28

Protezione contro l’allontanamento

1.      Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

2.      Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

3.      Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

a)      abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o

b)      sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989».

B.      Diritto tedesco

6.        L’articolo 28 della direttiva 2004/38 è stato recepito nel diritto tedesco dall’articolo 6 del Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern (FreizügG/EU) (legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione), del 30 luglio 2004 (BGBl 2004 I, pag. 1950). Ai sensi di tale articolo, nella sua versione in vigore dal 28 agosto 2007:

«(1)       (…) solo per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica (articoli 45, paragrafo 3, e 52, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), può essere dichiarata la perdita del diritto di cui all’articolo 2, paragrafo 1, può essere ritirata l’attestazione relativa al diritto di soggiorno permanente e può essere revocata la carta di soggiorno o di soggiorno permanente. L’ingresso nel territorio può parimenti essere negato per i motivi menzionati alla prima frase. (…)

(2)      Una condanna penale non è sufficiente, di per sé, per giustificare le decisioni o le misure menzionate al paragrafo 1. Possono essere prese in considerazione le sole condanne penali non ancora cancellate dal casellario centrale, e soltanto nei limiti in cui le circostanze ad esse relative denotino un comportamento personale che rappresenta una minaccia reale per l’ordine pubblico. Deve trattarsi di una minaccia effettiva e sufficientemente grave, riguardante un interesse fondamentale della società.

(3)      Ai fini di una decisione in applicazione del paragrafo 1 occorre, in particolare, tenere conto della durata del soggiorno dell’interessato in Germania, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Germania, nonché dell’intensità dei suoi legami con il paese d’origine.

(4)      Una volta acquisito il diritto di soggiorno permanente, una dichiarazione in applicazione del paragrafo 1 può essere effettuata soltanto per motivi gravi.

(5)      Per quanto concerne i cittadini dell’Unione e i loro familiari che hanno soggiornato nel territorio federale negli ultimi dieci anni e per quanto riguarda i minori, la dichiarazione di cui al paragrafo 1 può essere effettuata solo per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Ciò non vale per i minori, qualora la perdita del diritto di soggiorno sia necessaria nell’interesse del bambino. Motivi imperativi di pubblica sicurezza possono sussistere solo qualora l’interessato sia stato condannato per uno o più reati dolosi, con sentenza passata in giudicato, ad una pena privativa della libertà o ad una pena rieducativa per minori di almeno cinque anni o qualora siano state disposte misure di custodia cautelare in occasione dell’ultima condanna definitiva, nel caso in cui venga messa in causa la sicurezza della Repubblica federale di Germania o l’interessato costituisca una minaccia terroristica».

C.      Diritto del Regno Unito

7.        Gli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38 sono stati recepiti nel sistema giuridico del Regno Unito dall’articolo 21 delle Immigration (European Economic Area) Regulations 2006 [regolamento del 2006 sull’immigrazione (Spazio economico europeo)] (SI 2006/1003).

III. Fatti all’origine dei procedimenti principali

A.      Causa C316/16, B

8.        B è nato in Grecia nel 1989. Nel 1993, all’età di tre anni, dopo la separazione dei suoi genitori, B è giunto in Germania con la madre, che lavora in tale Stato membro sin dal loro arrivo e che, oltre alla cittadinanza greca, possiede anche quella tedesca.

9.        All’età di otto anni, B è stato portato dal padre in Grecia per due mesi, contro la volontà della madre. Il suo ritorno in Germania ha avuto luogo solo dopo l’intervento delle autorità greche.

10.      Eccezion fatta per tale episodio e per alcuni brevi periodi di vacanza, a partire dal 1993 B ha soggiornato ininterrottamente in Germania. Lo stesso vale per la madre e gli altri familiari, inclusi i nonni, che vivono in Germania dal 1989, e per la zia.

11.      B ha frequentato l’asilo e la scuola e ha conseguito la licenza della scuola dell’obbligo (Hauptschulabschluss). Mentre padroneggia la lingua tedesca, le sue competenze linguistiche in greco si limitano a farsi capire oralmente in un registro linguistico di base.

12.      Nella sua domanda, il giudice del rinvio rileva che B presenta un disturbo antisociale della personalità e soffre inoltre, fin dall’infanzia, di una sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Per questo motivo, egli ha seguito varie volte un trattamento terapeutico e continua ad assumere farmaci.

13.      Con ordinanza del 7 novembre 2012 emessa dall’Amtsgericht Pforzheim (tribunale distrettuale di Pforzheim, Germania) nell’ambito di un procedimento penale semplificato, B si è visto infliggere una pena pecuniaria corrispondente a 90 giorni di detenzione, pari a circa EUR 3 000, per appropriazione indebita, estorsione, tentato ricatto e detenzione illegale dolosa di un’arma vietata.

14.      Il 10 aprile 2013, B ha rapinato una sala giochi, armato di una pistola caricata con proiettili di gomma, al fine, segnatamente, di procurarsi il denaro necessario al pagamento di detta ammenda.

15.      Con sentenza del 9 dicembre 2013, il Landgericht Karlsruhe (tribunale regionale di Karlsruhe, Germania) ha condannato B per estorsione aggravata in concorso con possesso doloso illegale di arma da fuoco e munizioni a una pena detentiva di cinque anni e otto mesi. Tale sentenza è passata in giudicato il 1o maggio 2014.

16.      A partire dal 12 aprile 2013, B è stato posto in stato di detenzione, ad eccezione del periodo dal 15 maggio 2013 al 12 agosto 2013, periodo durante il quale la sua pena è stata espiata mediante pena detentiva sostitutiva.

17.      Con decisione del 25 novembre 2014, l’ufficio stranieri competente ha accertato la perdita del diritto di ingresso e di soggiorno nel territorio tedesco di B, fondando la sua decisione sul fatto che erano soddisfatte le condizioni per la dichiarazione della perdita del diritto di ingresso e di soggiorno ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 5, della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, del 30 luglio 2004, in combinato disposto con l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Allo stesso tempo, nei confronti di B veniva pronunciato un divieto di ingresso e di soggiorno di una durata di sette anni a partire dal momento in cui avrebbe lasciato la Germania.

18.      B ha proposto un ricorso avverso la decisione del 25 novembre 2014 dinanzi al Verwaltungsgericht Karlsruhe (tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania), il quale ha annullato la decisione impugnata con ordinanza del 10 settembre 2015.

19.      Il giudice del rinvio, il Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (tribunale amministrativo superiore del Land Baden‑Württemberg, Germania), è stato investito dell’appello interposto avverso tale ordinanza dal Land del Baden-Wurttemberg. Nell’ambito del procedimento dinanzi al giudice del rinvio, il Land Baden‑Württemberg privilegia la tesi secondo la quale la dichiarazione della perdita del diritto di ingresso e di soggiorno è legittima, mentre B sostiene che il reato commesso non integra «motivi imperativi di pubblica sicurezza» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, e che, avendo soggiornato in Germania dall’età di tre anni e non avendo legami con la Grecia, egli beneficia della protezione rafforzata contro l’allontanamento prevista da tale disposizione.

20.      Il giudice del rinvio ritiene, da parte sua, che, nella specie, l’atto commesso da B non possa essere considerato un motivo imperativo di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. In tal senso, da un lato, qualora B beneficiasse della protezione ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, egli non potrebbe essere allontanato dal territorio. Dall’altro, tale giudice esprime dubbi concernenti la possibilità di concedere tale protezione a B dal momento che questi, in linea di principio, era detenuto dal 12 aprile 2013.

B.      Causa C424/16, Vomero

21.      Il sig. Vomero, convenuto nel procedimento principale, è un cittadino italiano nato nel 1957 e trasferitosi nel Regno Unito con la moglie, di cittadinanza britannica, il 3 marzo 1985. La coppia si è sposata qualche mese dopo l’ingresso nel territorio del Regno Unito, ove il sig. Vomero lavorava saltuariamente e si occupava dei cinque figli comuni.

22.      Nel 1998, la coppia si è separata, il sig. Vomero ha lasciato il domicilio coniugale e si è poi trasferito dal sig. Edward Mitchell.

23.      Il 1o marzo 2001, il sig. Vomero ha ucciso il sig. Mitchell. Nel 2002, egli è stato condannato ad otto anni di reclusione per omicidio. La sua liberazione è avvenuta nel luglio del 2006.

24.      Con decisione del 23 marzo 2007, confermata il 17 maggio 2007, il ministro dell’Interno ha deciso di allontanare il sig. Vomero, in conformità alle disposizioni del regolamento del 2006 sull’immigrazione (Spazio economico europeo). In vista del suo allontanamento, egli è rimasto in stato di detenzione fino al dicembre 2007.

25.      Prima di essere portata dinanzi alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito), la causa è stata trattata dall’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [tribunale superiore (Sezione immigrazione ed asilo), Regno Unito] e dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Regno Unito). Essa è stata sospesa due volte in attesa della pronuncia delle sentenze della Corte del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13) e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9). In tale intervallo di tempo, il sig. Vomero ha commesso altri reati per i quali è stato condannato.

26.      Il giudice del rinvio ritiene che il sig. Vomero non avesse acquisito il diritto di soggiorno permanente prima di essere oggetto di un provvedimento di allontanamento. Tuttavia, tale giudice osserva che il sig. Vomero soggiornava nel territorio del Regno Unito dal 3 marzo 1985, il che consente di presumere che lo stesso abbia soggiornato nello Stato membro ospitante «i precedenti dieci anni» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Se così fosse, il sig. Vomero non potrebbe essere oggetto di una decisione di allontanamento, a meno che quest’ultima non sia fondato su motivi imperativi di pubblica sicurezza.

IV.    Procedimenti e questioni pregiudiziali

27.      È in tali contesti che i giudici del rinvio hanno sottoposto le loro questioni pregiudiziali alla Corte nelle due cause di cui trattasi.

28.      Nella causa C‑316/16, il Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:

«1)      Se sia escluso a priori che la comminazione e la successiva esecuzione di una pena detentiva possano condurre a ritenere interrotti i legami di integrazione di un cittadino dell’Unione entrato nello Stato membro ospitante all’età di tre anni con la conseguenza che non sussiste un soggiorno continuativo di dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 e non debba pertanto essere garantita la protezione contro l’allontanamento ai sensi della suddetta disposizione, nel caso in cui il cittadino dell’Unione, dopo il suo ingresso in detto Stato membro ospitante all’età di tre anni, abbia ivi trascorso tutta la sua vita, non abbia più alcun legame con lo Stato membro di cui possiede la cittadinanza e il reato che ha portato alla comminazione e all’esecuzione della pena detentiva sia stato commesso solo dopo un soggiorno di vent’anni.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione: se nello stabilire se l’esecuzione di una pena detentiva conduca all’interruzione dei legami di integrazione occorra non tener conto della pena detentiva comminata per il reato su cui si basa l’allontanamento.

3)      In caso di risposta negativa alla prima e alla seconda questione: in base a quali criteri occorre stabilire se il cittadino dell’Unione interessato, in un caso del genere, benefici comunque della protezione contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

4)      In caso di risposta negativa alla prima e alla seconda questione: se vi siano prescrizioni vincolanti di diritto dell’Unione in merito alla determinazione del “preciso momento in cui si pone il problema dell’allontanamento” e rispetto al quale deve essere compiuto una valutazione complessiva della situazione del cittadino dell’Unione interessato per verificare in che misura la discontinuità del soggiorno negli ultimi dieci anni prima del suo allontanamento gli impediscano di beneficiare della protezione rafforzata contro l’allontanamento».

29.      Nella causa C‑424/16, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) sottopone alla Corte le seguenti questioni:

«1)      Se la protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 dipenda dal possesso di un diritto di soggiorno permanente ai sensi [dell’articolo] 16 e [dell’articolo] 28, paragrafo 2[, della direttiva 2004/38].

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, si sottopongono anche le questioni che seguono: se il periodo di soggiorno per i precedenti dieci anni, cui fa riferimento l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), [della direttiva 2004/38] sia

a)      un semplice periodo di calendario calcolando a ritroso dalla data rilevante (nella fattispecie quella della decisione di allontanamento), che comprende qualsiasi periodo di assenza o di detenzione,

b)      un periodo potenzialmente non continuativo, ottenuto calcolando a ritroso dalla data rilevante e sommando tra loro i periodi in cui la persona di cui trattasi non era assente o in prigione, per arrivare, se possibile ad un totale di dieci anni di soggiorno precedente;

3)      quale sia il rapporto tra il criterio del periodo di soggiorno di dieci anni, cui si riferisce l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), [della direttiva 2004/38] e la valutazione complessiva di un legame di integrazione».

30.      B, i governi tedesco e del Regno Unito, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte nella causa C‑316/16. Il sig. Vomero, il governo del Regno Unito, nonché i governi danese, irlandese, ellenico, olandese e la Commissione hanno presentato le loro osservazioni scritte nella causa C‑424/16. Le due cause sono state riunite ai fini della trattazione orale. Le parti che hanno depositato le loro osservazioni nel corso della fase scritta del procedimento, ad eccezione dei governi ellenico e olandese, erano parimenti presenti all’udienza tenutasi il 17 luglio 2017.

V.      Analisi

A.      Sulla prima questione pregiudiziale nella causa C424/16: se il diritto di soggiorno permanente sia una condizione preliminare per beneficiare della protezione rafforzata prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38

1.      Considerazioni preliminari

31.      Con la prima questione pregiudiziale sollevata nella causa C‑424/16, il giudice del rinvio desidera sapere, in sostanza, se un cittadino dell’Unione, prima di beneficiare della protezione contro l’allontanamento prevista all’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, debba necessariamente avere acquisito un diritto di soggiorno permanente in conformità alle modalità descritte all’articolo 16 di tale direttiva, il quale garantisce, a sua volta, la protezione contro l’allontanamento prevista all’articolo 28, paragrafo 2, di detta direttiva.

32.      Rilevo che tale questione viene sollevata unicamente nella causa C‑424/16, in quanto il giudice del rinvio ha indicato che il sig. Vomero non ha acquisito un diritto di soggiorno permanente, circostanza che spetta a tale giudice verificare prima di adottare la sua decisione finale nel rispetto del diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte. Secondo il giudice del rinvio, tale constatazione è fondata sul fatto che il sig. Vomero è stato in carcere fra il 2001 e il 2006, nonché sull’interpretazione data dalla Corte nella sua giurisprudenza, segnatamente nelle sentenze Dias (3) e Onuekwere (4).

33.      Tuttavia, occorre rilevare che, nel caso dei cittadini degli Stati terzi che soddisfano la condizione della durata minima di presenza sul mercato del lavoro in uno Stato membro, ossia coloro che traggono i loro diritti dalla decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, la Corte ha sostenuto che il loro diritto di soggiorno, come corollario del diritto di accedere al mercato del lavoro, non subisce un pregiudizio a causa della detenzione (5). La Corte ha adottato tale posizione facendo riferimento al testo delle disposizioni di tale decisione, che non consente di limitare il diritto di soggiorno salvo in caso di assenza o per motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità (6). Tuttavia, nella sentenza Dias (7), la Corte ha ritenuto che una disposizione simile della direttiva 2004/38, ossia il suo articolo 16, paragrafo 4, potesse essere applicata in via analogica ai periodi anteriori a quelli che ricadono nella direttiva 2004/38 che non costituiscono un soggiorno legale ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale direttiva (8). Orbene, da un lato, nella sentenza Dias (9) la Corte mirava soprattutto a porre rimedio ad una lacuna della direttiva 2004/38 e ad una situazione che poteva verificarsi solo anteriormente a tale direttiva (10). Dall’altro, la summenzionata giurisprudenza riguarda l’incidenza della detenzione sul godimento dei diritti acquisiti dopo alcuni anni di presenza sul mercato del lavoro, mentre la sentenza Onuekwere (11) verte sulla fase dell’acquisizione di un diritto. Di conseguenza, la motivazione principale della Corte nella sentenza Onuekwere (12), secondo la quale la considerazione dei periodi di detenzione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente sarebbe in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2004/38, non è trasponibile al caso della perdita di tale diritto, in quanto, se del caso, si tratta di un cittadino dell’Unione che trae conseguenze favorevoli non direttamente dai periodi di detenzione bensì dai periodi di soggiorno anteriori nel territorio dello Stato membro.

34.      Per quanto riguarda la questione se l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente costituisca una condizione preliminare per la concessione della protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, due posizioni distinte sono state presentate dal giudice del rinvio, in quanto i suoi membri non hanno raggiunto l’unanimità sulla prima questione pregiudiziale. Una siffatta dissonanza caratterizza parimenti le posizioni delle parti.

35.      Secondo la prima di tali posizioni, assunta in sostanza dai governi irlandese, ellenico, olandese e del Regno Unito, nonché dalla Commissione, la protezione contro l’allontanamento viene accordata ai cittadini dell’Unione per fasi successive. Di conseguenza, l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente – con i benefici derivanti dall’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 – costituisce una condizione preliminare per il godimento della protezione rafforzata, prevista all’articolo 28, paragrafo 3, di tale direttiva.

36.      La seconda posizione, privilegiata dal sig. Vomero e dal governo danese, è fondata sull’idea secondo cui l’articolo 28, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/38, istituisce due regimi distinti di protezione contro l’allontanamento. Di conseguenza, un cittadino dell’Unione non deve necessariamente beneficiare della protezione risultante dal diritto di soggiorno permanente in forza dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 al fine di rivendicare la protezione contro l’allontanamento sul fondamento dell’articolo 28, paragrafo 3, di tale direttiva.

2.      Sul carattere graduale dei livelli di protezione contro l’allontanamento nell’ambito della direttiva 2004/38

37.      La posizione secondo la quale l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente è una condizione preliminare per beneficiare della protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, è riconducibile all’idea più generale di un sistema di protezione a carattere progressivo.

38.      La direttiva 2004/38 adotta tale logica segnatamente alla luce della gravità della minaccia alla pubblica sicurezza, la quale giustifica restrizioni al diritto di libera circolazione e di soggiorno.

39.      Anzitutto, in conformità all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, un cittadino dell’Unione, in linea di principio, non può essere allontanato dal territorio dello Stato membro ospitante se non per «motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». Inoltre, secondo l’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, un cittadino dell’Unione, titolare di un diritto di soggiorno permanente, non può essere allontanato dal territorio dello Stato membro ospitante se non per «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». Infine, secondo l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, un cittadino che abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, a meno che la decisione non sia adottata per «motivi imperativi di pubblica sicurezza». La Corte ha già statuito che quest’ultima nozione è notevolmente più restrittiva di quella di «motivi gravi» ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo (13).

40.      Ne consegue che l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 assicura un livello di protezione contro l’allontanamento superiore a quello previsto all’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva, il quale, a sua volta, offre un livello di protezione più elevato di quello previsto all’articolo 28, paragrafo 1, di detta direttiva.

3.      Questione se i livelli di protezione contro l’allontanamento siano proporzionali al grado di integrazione nello Stato membro ospitante

41.      Come ho appena illustrato, il livello di protezione contro l’allontanamento è crescente per natura nel sistema previsto dalla direttiva 2004/38. Tuttavia, nella causa C‑424/16, il giudice del rinvio non si interroga sul livello graduale di protezione contro l’allontanamento, bensì chiede, piuttosto, se le condizioni previste per beneficiare di ciascun livello di tale protezione siano organizzate in modo sequenziale.

42.      Il grado di integrazione di un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante costituisce un elemento chiave del sistema di protezione contro l’allontanamento previsto dalla direttiva 2004/38, dal momento che il livello di tale protezione è proporzionale all’intensità dell’integrazione di tale cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante. L’esistenza di un siffatto rapporto è segnalata al considerando 23 della direttiva 2004/38, secondo il quale occorre limitare la portata delle misure di allontanamento dei cittadini dell’Unione conformemente al principio di proporzionalità, al fine di tenere conto di diversi elementi fattuali, fra cui il «grado d’integrazione della persona interessata». Il considerando 24 della stessa direttiva conferma tale approccio, precisando che «quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l’allontanamento».

43.      Il legislatore ha inoltre deciso di introdurre, all’articolo 16, paragrafo 1, e all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, criteri che consentano di valutare il grado di integrazione nello Stato membro ospitante in funzione della durata del soggiorno nel suo territorio. Il soggiorno cosiddetto «legale» di cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante consente di acquisire un diritto di soggiorno permanente, il quale è accompagnato dalla protezione contro qualsiasi decisione di allontanamento previsto all’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, mentre, in forza dell’articolo 28, paragrafo 3, di tale direttiva, il soggiorno durante «i precedenti dieci anni» conferisce una protezione ancora più elevata.

44.      Inoltre, l’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, enuncia che, in linea di principio, la continuità della residenza che precede l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore qualora siano giustificate dai motivi previsti da tale disposizione. L’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva 2004/38, indica poi che il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi.

45.      Orbene, secondo una giurisprudenza costante, le condizioni e le modalità di acquisizione e di perdita di un diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2004/38 non possono essere indistintamente trasposte all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva.

46.      Da un lato, la Corte ha già ritenuto che un periodo di detenzione interrompa la continuità del soggiorno legale necessario all’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 (14), mentre, nel caso del soggiorno di dieci anni previsto all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, secondo la sentenza G. (15), un siffatto periodo privativo della libertà è idoneo ad interrompere la continuità del soggiorno solo «in linea di principio» (16).

47.      Dall’altro, nella sentenza Tsakouridis (17), la Corte era già stata interpellata sulla possibilità di applicare per analogia le condizioni relative alla perdita del diritto di soggiorno, previste all’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva 2004/38, per valutare in che misura le assenze dal territorio dello Stato membro ospitante nel corso dei precedenti dieci anni impedissero l’ottenimento della protezione rafforzata prevista all’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva in parola. La Corte si è pronunciata contro tale approccio, affermando che le autorità nazionali sono tenute a procedere ad una valutazione complessiva per determinare se i legami di integrazione precedentemente creati con lo Stato membro ospitante siano stati interrotti (18).

48.      La summenzionata giurisprudenza si riflette nelle osservazioni scritte della Commissione, la quale ha ipotizzato talune situazioni nelle quali un individuo presente nel territorio dello Stato membro ospitante per dieci anni non aveva acquisito un diritto di soggiorno permanente. La prima situazione ipotizzata dalla Commissione, la quale rispecchia il ragionamento svolto dalla Corte nella sentenza Tsakouridis (19), riguarda una persona che ha soggiornato legalmente nello Stato membro ospitante per almeno dieci anni, quest’ultima ha lavorato per quattro anni nello Stato membro ospitante ed è successivamente rientrata nel suo Stato membro d’origine per sette mesi, per poi tornare a lavorare per tre anni nello Stato membro ospitante; dopo essere ritornata nuovamente nel suo Stato membro d’origine, essa è rientrata nello Stato membro ospitante, ove ha ripreso il lavoro. La seconda fattispecie presa in considerazione dalla Commissione riflette la sentenza G. (20) e riguarda una persona che ha soggiornato nello Stato membro ospitante per almeno dieci anni e ha ivi lavorato nel corso di tutto questo periodo; tale soggiorno è stato caratterizzato da brevi periodi di detenzione.

49.      Tuttavia, rilevo che, nelle sentenze Tsakouridis e G., gli interessati non avevano perso il loro diritto di soggiorno permanente (21). Di conseguenza, nel rispondere alle questioni pregiudiziali in queste due cause, la Corte è partita dalla premessa secondo la quale il beneficio della protezione prevista all’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, non veniva messo in discussione.

50.      Inoltre, nella sentenza Tsakouridis (22), la Corte non ha affermato in modo esplicito che solo i periodi di assenza dal territorio dello Stato membro ospitante più lunghi di quelli indicati all’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva 2004/38 erano idonei ad interrompere la continuità del soggiorno dei precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, cosicché la persona oggetto di un provvedimento di allontanamento potrebbe beneficiare della protezione rafforzata ai sensi di quest’ultima disposizione e, al contempo, essere privata di un diritto di soggiorno permanente. L’analisi di tale sentenza consente di ritenere che la Corte prendesse piuttosto in considerazione l’ipotesi contraria. Secondo il contesto fattuale esposto dal giudice del rinvio, il sig. Panagiotis Tsakouridis ha lasciato il territorio dello Stato membro ospitante soltanto due volte, una prima volta per circa sei mesi e mezzo, e una seconda volta per poco più di sedici mesi. D’altronde, nella sentenza Tsakouridis(23), la Corte ha affermato che qualora «si dovesse accertare che una persona nella situazione del sig. Tsakouridis, che ha acquisito un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante, non soddisfa il requisito di soggiorno stabilito all’art[icolo] 28, [paragrafo] 3, della direttiva 2004/38, una misura di allontanamento potrebbe eventualmente essere giustificata in presenza di “gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”, come previsto dall’art[icolo] 28, [paragrafo] 2, della direttiva 2004/38».

51.      Inoltre, non si evince dalla direttiva 2004/38, e segnatamente dal combinato disposto del suo articolo 14, paragrafo 2, e del suo articolo 7, paragrafo 1, che il diritto di soggiornare legalmente nel territorio di un altro Stato membro per un periodo superiore a tre mesi possa essere limitato in funzione dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente. Pertanto, è possibile soggiornare legalmente in maniera non continuativa nel territorio di uno Stato membro per un periodo eccedente i dieci anni senza avere acquisito un diritto di soggiorno permanente. Tuttavia, tale possibilità non dovrebbe comportare necessariamente la concessione della protezione contro l’allontanamento prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

52.      La Corte ha già affermato nella sentenza Lassal (24) che l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente è subordinata all’integrazione nello Stato membro ospitante. A tal riguardo, nelle sentenze Dias (25) e Onuekwere (26), la Corte ha parimenti affermato che il grado di integrazione di un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante è fondato non solo su elementi spaziali e temporali, ma anche su elementi qualitativi.

53.      Sono consapevole che, in queste tre sentenze, le considerazioni della Corte vertono soprattutto sull’acquisizione del diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Tali sentenze non riguardano, perlomeno non direttamente, il periodo di soggiorno di dieci anni previsto all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva. Tuttavia, mi sembra che le considerazioni della Corte eccedano la portata dell’articolo 16 della direttiva 2004/38. Come ho già indicato al paragrafo 42 delle presenti conclusioni, il grado di integrazione è rilevante nel sistema di protezione contro l’allontanamento posto in essere in forza dell’articolo 28 della direttiva 2004/38.

54.      Alla luce di tali considerazioni, mi sembra che la protezione contro l’allontanamento prevista all’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nonché la protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, siano concesse in funzione del grado di integrazione richiesto. La sola differenza fra queste due disposizioni risiede nel grado di integrazione richiesto al fine della concessione di un determinato livello di protezione, essendo quest’ultimo il risultato combinato degli stessi fattori. Di conseguenza, non è possibile beneficiare del livello di protezione superiore senza aver prima raggiunto il grado di integrazione che consente di beneficiare della protezione del livello inferiore.

4.      Sull’argomento della coerenza per il carattere sequenziale dei livelli di protezione contro l’allontanamento nell’ambito della direttiva 2004/38

55.      Gli insegnamenti tratti dall’analisi globale della direttiva 2004/38 confortano la posizione appena illustrata.

56.      Nel sistema previsto dalla direttiva 2004/38, la protezione contro l’allontanamento di cui all’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva, costituisce uno dei vantaggi tratti dal godimento di un diritto di soggiorno permanente (27). L’incidenza dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente sulla situazione giuridica di un cittadino di un altro Stato membro nel territorio dello Stato membro ospitante si manifesta segnatamente, da un lato, attraverso l’accesso in linea di principio incondizionato a taluni aiuti finanziari (28) e, dall’altro, attraverso la liberalizzazione delle condizioni che dovrebbero essere soddisfatte per soggiornare legalmente in tale territorio. Più precisamente, risulta dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, che il diritto di soggiorno permanente non è subordinato alle condizioni di cui al capo III di tale direttiva. Ricordo che tali condizioni mirano, segnatamente, a garantire che un cittadino dell’Unione non divenga un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno. Discende dalle disposizioni di cui trattasi che il titolare di un diritto di soggiorno permanente potrebbe costituire un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante e non potrebbe essere allontanato dal territorio di tale Stato membro (29).

57.      È in tale contesto che la tesi secondo la quale il diritto di soggiorno permanente non costituisce una condizione preliminare per il beneficio della protezione contro l’allontanamento di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 comporta conseguenze paradossali. Infatti, in tal caso, un cittadino dell’Unione potrebbe essere allontanato unicamente per motivi imperativi di pubblica sicurezza e, al contempo, potrebbe essere allontanato qualora divenga un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante; ciò renderebbe il sistema di protezione contro l’allontanamento previsto dalla direttiva 2004/38 manifestamente incoerente.

58.      È vero che dal considerando 16 della direttiva 2004/38 risulta che, per stabilire se il beneficiario di una prestazione di assistenza sociale costituisca un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, quest’ultimo, prima di adottare una misura di allontanamento, deve «tener conto della durata del soggiorno» nonché «della situazione personale» del medesimo. Inoltre, la constatazione secondo la quale un cittadino dell’Unione costituisce un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante – con conseguente perdita del diritto di soggiorno – deve essere preceduta da un esame accurato, il quale tenga conto di un insieme di elementi sotto il profilo del principio di proporzionalità (30). Cionondimeno, tali misure tese al rispetto del principio di proporzionalità non equivalgono al diritto di soggiorno permanente, il quale – sulla base dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 – esclude sistematicamente la possibilità di allontanare un individuo dal territorio dello Stato membro ospitante per motivi connessi al funzionamento del sistema di assistenza sociale.

59.      Alla luce di tali considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nella causa C‑424/16 dichiarando che l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 costituisce una condizione preliminare per beneficiare della protezione rafforzata in conformità all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva.

B.      Sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale nella causa C424/16: il metodo di calcolo del periodo corrispondente ai «precedenti dieci anni» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38

1.      Considerazioni preliminari

60.      Con la seconda questione pregiudiziale, sollevata nella causa C‑424/16 per il caso in cui la Corte dovesse rispondere negativamente alla prima questione, il giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sull’interpretazione dell’espressione «i precedenti dieci anni», di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Mi sembra che, con tale questione, il giudice del rinvio desideri in sostanza stabilire se i periodi di assenza e di detenzione possano essere considerati come periodi di soggiorno per calcolare i precedenti dieci anni, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

61.      Inoltre, con la terza questione pregiudiziale nella causa C‑424/16, il giudice del rinvio desidera determinare il rapporto esatto fra il criterio del periodo di dieci anni di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 e la valutazione complessiva di un legame di integrazione.

62.      Invocando il concetto della valutazione complessiva di un legame d’integrazione nella terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio sembra far valere un’incoerenza fra il criterio del periodo dei «precedenti dieci anni» di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, il quale è concreto e preciso, e la «valutazione complessiva di un legame d’integrazione», il quale costituisce un concetto giuridico molto più vago. Poiché tale valutazione complessiva viene effettuata quando il periodo dei «precedenti dieci anni», ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, viene intervallato da episodi di assenza o di detenzione, la seconda e la terza questione pregiudiziale devono essere esaminate congiuntamente.

2.      Sulla natura del periodo dei «precedenti dieci anni» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38

63.      Anzitutto, rilevo che, nella sentenza G. (31), la Corte ha già interpretato l’espressione dei «precedenti dieci anni» di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, indicando che il calcolo effettuato ai sensi di tale disposizione differisce da quello al quale si procede ai fini della concessione del diritto di soggiorno permanente, dal momento che il periodo di cui trattasi «deve essere, in linea di principio, continuativo e calcolato a ritroso, a partire dalla data della decisione di allontanamento della persona di cui trattasi» (32).

64.      Ne consegue che, contrariamente al diritto di soggiorno permanente, la protezione contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, non costituisce un diritto che, una volta acquisito, esplicherebbe effetti durevoli che sarebbero indipendenti dalla questione dell’allontanamento ed paragonabili a quelli descritti al paragrafo 56 delle presenti conclusioni. Tale protezione viene concessa a condizione che una persona abbia soggiornato nel territorio dello Stato membro ospitante per un periodo in linea di principio ininterrotto di dieci anni, circostanza che deve essere valutata ogniqualvolta venga sollevata la questione dell’allontanamento.

3.      Sull’integrazione dei periodi di assenza nel calcolo dei «precedenti dieci anni» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38

65.      La Corte ha interpretato il testo dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 nel senso che il periodo dei «precedenti dieci anni», in linea di principio, deve essere ininterrotto.

66.      Tuttavia, come osservato dall’avvocato generale Bot nelle sue conclusioni nella causa Tsakouridis (33), non si può imporre al cittadino dell’Unione un divieto totale di assenza, in quanto dissuadere i cittadini dell’Unione dall’avvalersi della propria libertà di circolazione perché una semplice assenza dal territorio dello Stato membro ospitante potrebbe incidere sul loro diritto a una protezione rafforzata contro l’allontanamento sarebbe contrario all’obiettivo di libera circolazione delle persone cui mira la direttiva 2004/38.

67.      Nello stesso ordine di idee, la Corte ha affermato, nella sentenza Tsakouridis (34), che, per stabilire entro quali limiti i periodi di non presenza nel territorio dello Stato membro ospitante impediscano alla persona interessata di beneficiare della protezione rafforzata prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, le autorità dello Stato membro ospitante sono tenute a prendere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, in particolare la durata di ciascuna delle assenze dell’interessato dallo Stato membro ospitante, la durata cumulata e la frequenza di tali assenze, nonché le ragioni che hanno indotto l’interessato a lasciare tale Stato membro. Secondo la Corte, occorre infatti verificare se le assenze in questione comportino lo spostamento verso un altro Stato del centro degli interessi personali, familiari o professionali dell’interessato (35). Tale posizione è basata sull’idea secondo cui un siffatto spostamento indica che i legami con lo Stato membro ospitante sono stati interrotti (36). Di conseguenza, un grado di integrazione trascurabile non giustifica la constatazione secondo la quale la continuità del soggiorno di dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 è stata mantenuta, cosicché una persona interessata può beneficiare della protezione rafforzata contro l’allontanamento.

68.      Mi sembra che il concetto della valutazione complessiva, effettuata unicamente allorché si pone la questione della continuità del soggiorno durante i precedenti dieci anni nell’ambito del procedimento di allontanamento, sia stato introdotto dalla Corte la fine di garantire che la protezione risultante dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 non sia illusoria o totalmente inefficace a causa di un requisito irrealistico, ossia la continuità incondizionata della presenza nello Stato membro ospitante nel corso dei precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Mi sembra che il riferimento al legame di integrazione consenta di attenuare i termini di tale disposizione, al fine di assicurare il godimento effettivo della libertà di circolazione.

69.      Pertanto, in caso di periodi di non presenza nel territorio dello Stato membro ospitante, al fine di stabilire entro quali limiti tali periodi interrompano il soggiorno e impediscano alla persona di cui trattasi di beneficiare della protezione rafforzata prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, occorre effettuare una valutazione complessiva dei legami di integrazione dell’interessato nello Stato membro ospitante.

4.      Sull’integrazione dei periodi di detenzione nel calcolo dei «precedenti dieci anni» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38

a)      Sull’incidenza dei periodi di detenzione sulla concessione della protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, alla luce delle sentenze Onuekwere e G.

70.      Secondo la Corte, l’irrogazione, da parte del giudice nazionale di una pena detentiva senza sospensione è idonea a dimostrare il mancato rispetto, da parte della persona interessata, dei valori sanciti dalla società dello Stato membro ospitante nel diritto penale di quest’ultimo (37). Inoltre, tale mancato rispetto è a sua volta il motivo che giustifica la constatazione secondo la quale i periodi di detenzione, da un lato, non devono essere presi in considerazione né ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente (38) né ai fini della concessione della protezione rafforzata prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 e, dall’altro, in linea di principio, interrompono la continuità del soggiorno, ai sensi di quest’ultima disposizione (39). A tal riguardo, la Corte ritiene che presupporre che un soggetto condannato possa ricavare da periodi di detenzione il diritto alla protezione prevista all’articolo 28, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/38 sarebbe manifestamente in contrasto con l’obiettivo perseguito da tale direttiva (40). Inoltre, in merito alla questione entro quali limiti la discontinuità del soggiorno durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento dell’interessato impedisca a quest’ultimo di beneficiare della protezione rafforzata, occorre ogni volta procedere ad una valutazione complessiva della situazione dell’interessato, nel preciso momento in cui si pone il problema dell’allontanamento (41).

71.      Ritorno anzitutto brevemente sulla mia analisi contenute nei paragrafi 63 e 64 delle presenti conclusioni, secondo la quale, nell’ambito dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, la concessione della protezione rafforzata contro l’allontanamento dipende dalla risposta alla questione se il cittadino dell’Unione abbia soggiornato nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento. In tal senso, qualora venga accertato che tale periodo è stato continuativo, tutti gli episodi di assenza o di detenzione nel corso dei precedenti dieci anni sono considerati periodi di soggiorno ai sensi di tale disposizione. Di conseguenza, non mi sembra possibile sostenere che, da un lato, un periodo di detenzione non interrompa la continuità del soggiorno ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, e che, dall’altro, allo stesso tempo, tale periodo non debba essere preso in considerazione al fine di dimostrare che un cittadino dell’Unione ha soggiornato nel territorio dello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni (42).

72.      La constatazione della Corte richiamata al paragrafo 70 delle presenti conclusioni, concernente l’incidenza di un periodo di detenzione sulla concessione della protezione contro l’allontanamento, merita alcune precisazioni.

73.      In primo luogo, da un lato, mi sembra poco probabile che un cittadino dell’Unione possa costituire una minaccia per un interesse fondamentale della società – fatto che motiverebbe la sua espulsione – senza aver commesso un reato talmente grave da giustificare la condanna ad una pena detentiva. In tal senso, la grande maggioranza delle persone interessate dalla protezione contro l’allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, prevista all’articolo 28 della direttiva 2004/38, quantomeno nei sistemi in cui le misure di allontanamento sono posteriori alla condanna penale, si trova in stato detentivo allorché si pone la questione dell’allontanamento, oppure ha scontato recentemente la pena della reclusione. L’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, verrebbe ampiamente privato della sua sostanza qualora l’irrogazione di una pena detentiva impedisse in maniera sistematica la concessione della protezione prevista da tale disposizione.

74.      Dall’altro, un cittadino dell’Unione può essere condannato ad una pena detentiva anche per un reato colposo. È dubbio che tale situazione possa essere assimilata ad un’inosservanza dei valori sanciti dal diritto penale, inosservanza la quale può caratterizzare un reato doloso. Inoltre, taluni Stati membri hanno previsto la possibilità di infliggere una pena privativa della libertà di breve durata per i reati minori. Il fatto di trarre le stesse conseguenze per la continuità del soggiorno, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, dal periodo iniziale di una pena inflitta per un reato grave e da un periodo di detenzione relativamente breve inflitto per un reato minore, sarebbe contrario al principio di proporzionalità. Infine, non mi sembra che l’esecuzione di una pena detentiva pronunciata in caso di condanna ingiustificata sia idonea ad interrompere la continuità del soggiorno, dal momento che, in una fattispecie del genere, non si tratta di un reato commesso e debitamente accertato nell’ambito del procedimento penale. Pertanto, anche supponendo che i periodi di detenzione siano idonei ad impedire la concessione della protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, ne consegue che l’esame del reato che ha portato alla condanna e all’esecuzione di una pena privativa della libertà costituisce un elemento che non deve essere ignorato allorché viene presa la decisione di concedere tale protezione rafforzata.

75.      In secondo luogo, è il reato stesso ad essere diretto contro i valori sanciti dal diritto penale dello Stato membro ospitante. L’irrogazione di una pena detentiva porta unicamente alla presunzione che il condannato abbia commesso un reato grave.

76.      Orbene, se il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza Dias (43), menzionato al punto 25 della sentenza Onuekwere (44), il quale trova riscontro ai punti 31 e 32 della sentenza G. (45), fosse direttamente applicabile nel contesto dei soggetti detenuti, si dovrebbe ritenere che il periodo di presenza nel territorio dello Stato membro ospitante, il quale inizia al momento della commissione del reato, interrompa la continuità del soggiorno. Ricordo che nella sentenza Dias (46), in relazione alla situazione giuridica anteriore alla direttiva 2004/38, la Corte ha applicato in via analogica le norme concernenti l’incidenza delle assenze sulla perdita di un diritto di soggiorno al periodo di presenza nel territorio dello Stato membro ospitante senza diritto di soggiorno. A tal riguardo, la Corte ha ritenuto che la decisione di soggiornare senza titolo metta in discussione il legame di integrazione fra la persona interessata e lo Stato membro di cui trattasi, dal momento che l’integrazione non si spiega esclusivamente con elementi temporali e spaziali, bensì anche con elementi qualitativi (47). Di conseguenza, in tale ordine di idee, siffatti elementi corrispondono al rispetto dei valori sanciti nell’ordinamento giuridico nazionale.

77.      Pertanto, si deve ritenere che, nelle sentenze Onuekwere (48) e G. (49), la Corte abbia assimilato l’interruzione della continuità del soggiorno non al reato in sé, bensì all’irrogazione di una pena detentiva, il che impedisce alle autorità nazionali competenti a statuire in merito all’allontanamento di pronunciarsi sulla responsabilità penale e sulle sue conseguenze al di là dei procedimenti penali.

78.      In terzo luogo, se, di norma, l’assenza di un’integrazione di qualità induce a ritenere che periodi di presenza nel territorio dello Stato membro ospitante interrompano la continuità del soggiorno ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, ci si può quindi chiedere per quale motivo il grado di integrazione di un cittadino dell’Unione nel corso dei precedenti dieci anni non venga esaminato ogniqualvolta venga sollevata la questione del suo allontanamento, anche se questi non si è mai trovato in stato di detenzione.

79.      Di conseguenza, non sono convinto che sia unicamente il mancato rispetto dei valori sanciti nell’ordinamento giuridico nazionale a giustificare la constatazione secondo la quale i periodi di detenzione interrompono automaticamente la continuità del soggiorno ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

b)      Sulla continuità del soggiorno quale condizione della protezione rafforzata contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38

80.      Come ho già osservato ai paragrafi da 66 a 68 delle presenti conclusioni, la valutazione complessiva dei legami di integrazione viene effettuata unicamente qualora la continuità del soggiorno ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 venga messa in discussione. Se tale continuità non viene messa in discussione, il grado di integrazione acquistato nel corso del periodo dei precedenti dieci anni di cui a tale disposizione è presunto.

81.      A tal riguardo, rilevo che, nella sentenza Tsakouridis (50), il giudice del rinvio chiedeva entro quali limiti le assenze dal territorio dello Stato membro ospitante durante il periodo di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 impedissero alla persona interessata di beneficiare della protezione rafforzata prevista da tale disposizione. Orbene, in seguito a un periodo di assenza dal territorio dello Stato membro ospitante, il sig. Tsakouridis era stato oggetto di un rientro forzato in tale Stato membro al fine di scontarvi una pena detentiva inflitta dal giudice penale di detto Stato membro. La Corte ha affermato che tale circostanza e il periodo di detenzione possono essere presi in considerazione nella valutazione complessiva richiesta per determinare se i legami di integrazione precedentemente creati con lo Stato membro ospitante siano stati interrotti (51). Pertanto, la Corte non ha privilegiato la tesi secondo la quale la detenzione interrompe la continuità del soggiorno dei precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Mi sembra che la Corte abbia piuttosto preso in considerazione la questione se un siffatto periodo di presenza forzata nel territorio dello Stato membro ospitante successiva ai periodi di assenza, contro la volontà del sig. Tsakouridis, consentisse di mettere in discussione la constatazione secondo la quale il centro dei suoi interessi personali, familiari o professionali era stato spostato verso un altro Stato membro a causa delle sue assenze dal territorio dello Stato membro ospitante (52).

82.      Peraltro, l’interpretazione appena suggerita mi sembra conforme a quella della Commissione (53). Infatti, ai sensi della sua comunicazione, «[d]i norma, ai fini del calcolo della durata del soggiorno ai sensi dell’articolo 28 [della direttiva 2004/38], gli Stati membri non sono obbligati a tenere conto del tempo effettivamente trascorso in carcere dall’interessato quando non sussiste alcun collegamento con lo Stato membro ospitante» (54). Potrebbe desumersene, a contrario, che la Commissione sia partita dalla premessa secondo la quale, qualora si ponga la questione del livello di protezione contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/38, i periodi di detenzione non sono irrilevanti, a condizione che si tratti di un cittadino dell’Unione ben insediato nello Stato membro ospitante.

83.      Se l’integrazione, sulla quale è fondato un regime di protezione nei confronti delle misure di allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, è valutata in funzione della localizzazione del centro degli interessi personali, familiari o professionali di un cittadino dell’Unione nel territorio di uno Stato membro nell’esercizio della sua libertà di circolazione, il che implica l’esistenza di un legame concreto con tale Stato membro, la detenzione di tale cittadino consente di mettere in dubbio la sua integrazione in tale Stato membro. Una detenzione equivale ad una presenza forzata nel territorio dello Stato membro ospitante; ciò può rimettere in discussione la constatazione secondo la quale – riprendendo i termini della sentenza Tsakouridis (55) – il centro degli interessi è stato localizzato e mantenuto nel territorio dello Stato membro ospitante nell’esercizio della libertà di circolazione. Di conseguenza, in caso di detenzione, l’integrazione durante i precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), non può essere presunta e, di conseguenza, la continuità del soggiorno viene messa in discussione.

84.      Lo stesso vale, a maggior ragione, qualora il grado di integrazione venga valutato in funzione di elementi qualitativi, menzionati al paragrafo 76 delle presenti conclusioni, nonostante il fatto che, a mio avviso, tali elementi possano costituire indizi della localizzazione effettiva del centro degli interessi personali di un cittadino dell’Unione nel territorio dello Stato membro ospitante. Nel corso della detenzione, da un lato, l’integrazione nella società dello Stato membro ospitante può essere perturbata a causa della limitazione della libertà del cittadino dell’Unione. Dall’altro, la pena privativa della libertà che isola il delinquente dalla società rappresenta, in linea di principio, un’ultima ratio a disposizione degli Stati membri, l’unico vero e proprio mezzo pratico per proteggere la società da individui estremamente pericolosi. Di conseguenza, in linea di principio, i giudici penali dovrebbero privilegiare le pene non privative della libertà, e la pena detentiva dovrebbe essere inflitta solo al fine di sanzionare i comportamenti manifestamente inaccettabili per la società dello Stato membro ospitante. Ne consegue che l’irrogazione di una pena detentiva consente di presumere che l’individuo in questione abbia commesso un reato grave, cosicché è probabile che egli non rispetti i valori della società dello Stato membro ospitante.

85.      Alla luce di quanto precede, in caso di detenzione, deve essere effettuata una valutazione complessiva di tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, al fine di determinare se siano stati creati precedentemente legami di integrazione con lo Stato membro ospitante oppure se essi siano stati interrotti nel corso della detenzione, in modo che non possa essere accordata la protezione rafforzata prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

86.      Inoltre, contrariamente alle preoccupazioni espresse dal giudice del rinvio nell’ambito della terza questione pregiudiziale sollevata nella causa C‑424/16, non ravviso né la «tensione» fra il criterio enunciato all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 e la valutazione complessiva di un legame di integrazione, né l’assenza di chiarezza in relazione a tale valutazione complessiva. Tale valutazione viene effettuata unicamente allorché si pone la questione della continuità del soggiorno nel corso dei precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, al fine di stabilire se tale continuità sia stata mantenuta malgrado periodi di assenza o di detenzione.

87.      Alla luce di tali considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla seconda e alla terza questione pregiudiziale nella causa C‑424/16 che l’espressione «i precedenti dieci anni», di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, deve essere interpretata nel senso che essa riguarda un periodo ininterrotto, calcolato a ritroso a partire dal momento preciso in cui si pone il problema dell’allontanamento, comprendente eventualmente periodi di assenza o di detenzione, a condizione che uno di tali periodi di assenza o di detenzione non abbia avuto l’effetto di rompere i legami di integrazione con lo Stato membro ospitante.

C.      Sulle questioni pregiudiziali nella causa C316/16: gli aspetti integrati nell’ambito della valutazione complessiva dei legami di integrazione nello Stato membro ospitante

1.      Questione se lo stabilimento durevole nello Stato membro ospitante e l’assenza di qualsiasi legame con lo Stato membro d’origine siano due aspetti sufficienti a dimostrare che l’interessato può beneficiare della protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38

88.      Con la prima questione pregiudiziale nella causa C‑316/16, il giudice del rinvio chiede se possa essere respinta immediatamente la tesi secondo la quale la condanna e la successiva esecuzione di una pena privativa della libertà siano idonee a rompere i legami di integrazione nello Stato membro ospitante di un cittadino dell’Unione il quale, dopo il suo ingresso nel territorio di tale Stato membro all’età di tre anni, abbia ivi trascorso tutta la sua vita e non abbia più alcun legame con lo Stato membro di cui possiede la cittadinanza, allorché il reato che ha portato alla sua condanna e all’esecuzione di una pena privativa della libertà sia stato commesso dopo un soggiorno di 20 anni e, di conseguenza, la condizione del soggiorno continuativo durante i precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 non sia soddisfatta, e non debba pertanto essere garantita la protezione contro l’allontanamento ai sensi di tale disposizione.

89.      Mi sembra che, con tale questione, il giudice del rinvio intenda accertare, in sostanza, se lo stabilimento durevole nello Stato membro ospitante e l’assenza di qualsiasi legame con lo Stato membro della cittadinanza siano due aspetti sufficienti per dimostrare che l’interessato può beneficiare della protezione rafforzata ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38.

90.      È vero che la fattispecie di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, riguarda in particolare, come enunciato dal considerando 24 di tale direttiva, i cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato per tutta la vita nel territorio dello Stato membro ospitante. Un periodo significativo di soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante protegge pertanto contro l’allontanamento in modo rafforzato ai sensi di tale disposizione.

91.      Tuttavia, come affermato dalla Corte nella sentenza Tsakouridis (56) facendo riferimento al considerando 24 della direttiva 2004/38, nel caso del beneficio della protezione rafforzata contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, il criterio determinante risiede nella questione se il cittadino dell’Unione abbia soggiornato in tale Stato membro durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento.

92.      Tale periodo deve essere, in linea di principio, ininterrotto. Orbene, quando viene sollevata la questione del suo carattere continuativo, deve essere effettuata una valutazione complessiva al fine di stabilire se i legami di integrazione creati precedentemente con lo Stato membro ospitante siano stati interrotti, di modo che la protezione rafforzata verrà accordata o meno.

93.      A tal riguardo, si evince dalla giurisprudenza della Corte che nell’ambito di tale valutazione «complessiva» devono essere integrati, come indica il nome stesso, «tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie» (57). Come ho illustrato ai paragrafi 83 e 84 delle presenti conclusioni, l’integrazione di un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante si spiega con elementi temporali, spaziali e qualitativi. Di conseguenza, contrariamente all’ipotesi presa in considerazione nella prima questione pregiudiziale, la durata del soggiorno, quale criterio meramente temporale, non può essere l’unico criterio utilizzato al fine di valutare il grado dei legami di integrazione.

94.      Alla luce di quanto precede, la portata della valutazione complessiva effettuata al fine di stabilire se i legami di integrazione siano stati interrotti, non può essere limitata ai soli criteri dello stabilimento durevole nello Stato membro ospitante e dell’assenza di qualsiasi legame con lo Stato membro d’origine.

2.      Sull’integrazione del periodo di detenzione nell’ambito della valutazione complessiva della situazione dell’interessato nel contesto delle differenze fra i sistemi nazionali

a)      Considerazioni preliminari

95.      Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ritiene che i cittadini dell’Unione di cui trattasi, il cui allontanamento sia ordinato nel corso della detenzione, tramite una decisione amministrativa posteriore alla condanna penale, siano svantaggiati, senza che ciò sia oggettivamente giustificato, rispetto ai cittadini dell’Unione che abitano in uno Stato membro le cui autorità dispongano provvedimenti di allontanamento a titolo di pena o di misura accessoria.

96.      Con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se il diritto dell’Unione contenga disposizioni che consentano di determinare il «preciso momento in cui si pone il problema dell’allontanamento» (58), designante la data in cui deve essere effettuata una valutazione complessiva della situazione dell’interessato. Se del caso, spetterebbe agli Stati membri disporre modalità procedurali a tal riguardo, nel rispetto del principio dell’autonomia procedurale.

97.      Con questa quarta questione, il giudice del rinvio ritorna su una preoccupazione già espressa nell’ambito della seconda questione pregiudiziale. Esso ritiene che i diversi sistemi decisionali consentano di far variare il risultato della valutazione complessiva dei legami di integrazione in funzione del momento in cui la decisione di allontanamento viene presa. Nei sistemi in cui i provvedimenti di allontanamento vengono adottati al di fuori dell’ambito del procedimento penale, se l’autorità competente adotta un provvedimento di allontanamento rapidamente dopo la condanna, la durata della detenzione sarà probabilmente relativamente breve. Al contrario, se essa differisce l’adozione di un provvedimento di allontanamento, ciò può portare alla rottura dei legami di integrazione a causa di una durata prolungata della detenzione.

98.      Mi sembra che le preoccupazioni espresse nell’ambito della seconda e della quarta questione pregiudiziale trattino la stessa problematica. È vero che, con i dubbi espressi nella seconda questione, il giudice del rinvio si riferisce piuttosto alla portata temporale della valutazione complessiva dei legami di integrazione, chiedendosi se il periodo di detenzione debba esservi integrato, mentre, con la quarta questione, esso tenta di chiarire il momento determinante per valutare la situazione di fatto al fine di stabilire se l’interessato benefici della protezione rafforzata dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Orbene, non può escludersi che tale valutazione possa essere effettuata retrospettivamente, con riferimento al momento precedente l’esecuzione della pena detentiva, il che consentirebbe di ignorare l’incidenza di tale pena sui legami di integrazione e di evitare le complicazioni risultanti dalle differenze fra i sistemi nazionali. Se così fosse, la seconda questione pregiudiziale potrebbe costituire l’oggetto di un’analisi simile.

99.      In tal senso, con la seconda e con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiederebbe, in sostanza, se, secondo il diritto dell’Unione, il periodo di esecuzione di una pena privativa della libertà debba essere integrato nell’ambito della valutazione complessiva dei legami di integrazione.

100. Secondo il giudice del rinvio, in un sistema come quello di cui trattasi nel procedimento principale, l’integrazione dell’esecuzione di una pena privativa della libertà avrebbe come effetto quello di privare i cittadini degli altri Stati membri del beneficio della protezione rafforzata contro l’allontanamento, prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, poiché la decisione amministrativa viene presa, in linea di principio, nel corso della detenzione della persona di cui trattasi, dopo che la continuità del soggiorno è stata interrotta a causa dell’esecuzione di una pena privativa della libertà.

101. Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che l’accertamento del momento determinante in cui si pone la questione dell’allontanamento non possa rientrare nell’ambito di applicazione del diritto procedurale nazionale, in quanto la determinazione di detto momento consente piuttosto di fissare il livello di protezione materiale di cui deve beneficiare il cittadino dell’Unione. Prendendo le mosse da tale premessa, il giudice del rinvio sembra ritenere che tale momento determinante, il quale assicurerebbe un’applicazione uniforme dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, è quello in cui viene presa la decisione dei giudici di merito sull’allontanamento.

102. I governi tedesco e del Regno Unito ritengono che la questione del momento determinante per valutare l’allontanamento da parte dei giudici amministrativi rientri nell’ambito di applicazione del diritto nazionale, mentre la Commissione, al pari del giudice del rinvio, sembra considerare che il momento decisivo per tale valutazione dovrebbe essere fissato in modo autonomo dal legislatore dell’Unione, come quello in cui le autorità giudiziarie statuiscono sulla decisione di allontanamento.

b)      Sulla coerenza fra la valutazione dei legami di integrazione e quella dell’attualità della minaccia per gli interessi dello Stato membro ospitante

103. Anzitutto, rilevo che il diritto dell’Unione non stabilisce né il tipo di sistema nell’ambito del quale devono essere adottati provvedimenti di allontanamento né il momento in cui le autorità nazionali devono prendere tali provvedimenti. Orbene, le condizioni alle quali i provvedimenti di allontanamento possono essere legittimamente presi sono specificate in modo esplicito nella direttiva 2004/38.

104. In conformità ad una consolidata giurisprudenza (59), ribadita dal legislatore dell’Unione più volte nella direttiva 2004/38 (60), la condizione relativa all’esistenza di un motivo attuale di allontanamento deve essere soddisfatta al momento dell’espulsione. Più specificamente, qualora si ponga la questione dell’allontanamento, occorre esaminare, come previsto dall’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il carattere attuale e reale dei motivi che lo giustificano.

105. Pertanto, anche se è vero che l’esecuzione della pena privativa della libertà, in linea di principio, è idonea a provocare l’interruzione del soggiorno dei precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, nei sistemi in cui i provvedimenti di allontanamento sono conseguenti alla condanna penale, sembra che, nel corso della detenzione, la minaccia generata dal soggetto detenuto per gli interessi dello Stato membro ospitante, in linea di principio, debba diminuire. Secondo la politica penale attuale degli Stati membri, l’irrogazione della pena privativa della libertà da parte dei giudici penali non consente unicamente di sanzionare il comportamento illecito, ma mira, da un lato, ad isolare il delinquente fino al momento in cui non costituisce più una minaccia per la società, e, dall’altro, a risocializzarlo affinché possa condurre una vita socialmente responsabile senza commettere reati dopo l’episodio di detenzione (61).

106. Per contro, nei sistemi in cui i provvedimenti di allontanamento vengono ordinati dai giudici penali a titolo di pena o di misura accessoria ad una pena detentiva, la continuità del soggiorno dei precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 non viene messa in discussione a causa della detenzione. Tuttavia, il livello della minaccia creata per gli interessi dello Stato membro ospitante viene valutata in funzione delle circostanze anteriori alla detenzione, vale a dire allorché la minaccia raggiunge il suo massimo livello. Il momento in cui il reato viene commesso è la manifestazione più flagrante di tale minaccia.

107. Sarebbe pertanto incoerente che, nei sistemi in cui i provvedimenti di allontanamento vengono presi su decisione amministrativa, l’attualità della minaccia gravante sugli interessi dello Stato membro ospitante venga valutata in funzione di circostanze sussistenti al momento dell’adozione del provvedimento di allontanamento, mentre il grado di integrazione, il quale determina il livello di protezione contro l’allontanamento, verrebbe valutato in maniera retrospettiva, con riferimento al momento anteriore.

c)      Sulla funzione della pena detentiva

108. Per quanto riguarda la preoccupazione del giudice del rinvio che, in un sistema come quello di cui trattasi nel procedimento principale, i cittadini degli altri Stati membri non potrebbero mai beneficiare della protezione rafforzata contro l’allontanamento qualora i legami di integrazione vengano valutati in funzione delle circostanze sussistenti durante la reclusione, mi sembra che, nel formulare i suoi dubbi, tale giudice parta dalla premessa secondo la quale un episodio di detenzione debba inevitabilmente condurre all’interruzione dei legami di integrazione nello Stato membro ospitante e, di conseguenza, all’interruzione della continuità del soggiorno ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

109. Orbene, mi sembra assolutamente realistico ammettere che la persona che sconta una pena detentiva di almeno cinque anni conservi i suoi legami con lo Stato membro ospitante, preservando legami familiari nel corso della sua detenzione.

110. Peraltro, l’esclusione del periodo di privazione della libertà nell’ambito di una siffatta valutazione complessiva sarebbe contraria alla politica penale attuale degli Stati membri, secondo la quale la risocializzazione del soggetto condannato che consenta al medesimo di ritrovare il proprio posto nella società dopo l’episodio detentivo costituisce la funzione fondamentale della pena. Se si dovesse considerare come una regola che non ammette alcuna eccezione il fatto che la detenzione interrompe i legami con lo Stato membro ospitante, l’individuo non sarebbe affatto indotto a cooperare con il sistema penitenziario incaricato della sua risocializzazione. Per contro, prendere in considerazione le circostanze sussistenti nel periodo della detenzione consente di tenere conto della dinamica del processo di risocializzazione del soggetto detenuto nel corso della sua reclusione, cosicché i suoi sforzi possono impedire l’ulteriore degradazione dei legami di integrazione nello Stato membro ospitante, mentre il suo inasprimento può avere gli effetti opposti su tali legami.

d)      Sulla duplice valutazione dei legami di integrazione

111. La questione se la condizione prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 sia soddisfatta, vale a dire se l’interessato abbia soggiornato durante i precedenti dieci anni nello Stato membro ospitante, si pone nel momento in cui l’autorità competente intende adottare il provvedimento di allontanamento.

112. Secondo l’analisi fornita dalla Corte nella sentenza I., nelle situazioni contemplate dall’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, occorre parimenti effettuare l’esame previsto all’articolo 28, paragrafo 1, di tale direttiva (62). Ai sensi di quest’ultima disposizione, prima di adottare una decisione di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene segnatamente conto – oltre che della durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, della sua età, del suo stato di salute e della sua situazione familiare e economica – della sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante. Ne consegue che, in conformità al testo dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, in combinato disposto con il considerando 23 della direttiva 2004/38, gli aspetti menzionati supra, i quali possono evolvere nel corso del tempo e sono integrati nell’ambito dell’esame effettuato prima dell’adozione di una decisione di allontanamento, devono essere valutati in funzione delle circostanze sussistenti nel momento in cui si pone la questione dell’allontanamento, nel rispetto del principio di proporzionalità.

113. Orbene, il giudice del rinvio osserva che i legami di integrazione dell’interessato possono essere valutati in maniera autonoma, da un lato, in conformità all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, prima di qualsiasi decisione di allontanamento e, dall’altro, nel corso della valutazione complessiva intesa a stabilire se la continuità del soggiorno durante i precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva sia stata mantenuta. Di conseguenza, secondo il giudice del rinvio, il grado di integrazione è idoneo ad essere sottoposto ad una duplice valutazione nell’ambito di un’unica decisione di allontanamento e ciò non è conforme agli obiettivi della direttiva 2004/38.

114. Anzitutto, rilevo che qualora sia accertato che «motivi imperativi di pubblica sicurezza» giustifichino l’allontanamento di un individuo, il fatto che egli soggiornasse o meno nello Stato membro ospitante durante i precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 non riveste più alcuna importanza, dal momento che la protezione assicurata da tale disposizione non tutela tale individuo contro l’allontanamento fondato su siffatti motivi. Di conseguenza, in una situazione del genere, occorre procedere all’esame di cui all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. In tale fase, può risultare che il provvedimento di allontanamento non possa essere adottato. Ne consegue che il grado di integrazione viene valutato una sola volta nell’ambito dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

115. Peraltro, in presenza di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, occorre valutare se l’individuo abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. In caso affermativo, l’allontanamento non può essere ordinato o, altrimenti, deve essere effettuato l’esame previsto all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

116. È vero che, in una situazione del genere, i legami di integrazione sembrano essere valutati in due occasioni. Tuttavia, non sono persuaso dalla tesi secondo la quale la duplice valutazione dei legami di integrazione non sarebbe conforme agli obiettivi della direttiva 2004/38.

117. Da un lato, mentre l’obiettivo della valutazione complessiva consiste nello stabilire se la continuità del soggiorno sia stata interrotta nei precedenti dieci anni, quello dell’esame effettuato in forza dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 è sapere se l’allontanamento sarà proporzionale alle circostanze attuali, accertate al momento in cui si pone la questione dell’allontanamento. Pertanto, il fatto che l’interessato sia riuscito a ricreare legami con lo Stato membro ospitante dopo che gli stessi sono stati interrotti nel corso dei precedenti dieci anni, può modificare il risultato dell’esame effettuato in forza dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Tuttavia, esso non può rimettere in discussione l’interruzione della continuità del soggiorno, cosicché la protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, non sarà accordata.

118. Dall’altro, il grado di integrazione può non essere sufficientemente forte per assicurare la continuità del soggiorno ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, ma, allo stesso tempo, può rivelarsi sufficiente ad impedire l’allontanamento sulla base del principio di proporzionalità. Per contro, se il legame di integrazione venisse valutato una sola volta, una persona minacciata da un provvedimento di allontanamento non potrebbe trarre alcun vantaggio dalla sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante.

119. Di conseguenza, non vedo quali motivi siano idonei a giustificare la non integrazione della privazione della libertà, inflitta a causa del reato, nell’ambito della valutazione complessiva intesa a stabilire se la continuità del soggiorno sia stata mantenuta.

120. Alla luce di tali considerazioni, ritengo che il momento decisivo per la valutazione complessiva dei legami di integrazione nell’ambito della direttiva 2004/38 debba coincidere con il momento in cui le autorità statuiscono sulla decisione di allontanamento.

3.      Sugli aspetti rilevanti nell’ambito della valutazione complessiva intesa a stabilire se i legami di integrazione siano stati interrotti in seguito all’esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta per il reato che costituisce il motivo dell’allontanamento

121. Con la terza questione pregiudiziale nella causa C‑316/16, il giudice del rinvio si interroga in merito ai criteri rilevanti da applicare per valutare se i legami di integrazione siano stati mantenuti malgrado il periodo di detenzione, in modo che la protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 verrà accordata o meno.

122. Anzitutto, come ho illustrato al paragrafo 110 delle presenti conclusioni, escludere la valutazione delle circostanze che si verificano nel corso della detenzione sarebbe contrario alla politica penale attuale degli Stati membri e indebolirebbe la funzione prioritaria della pena detentiva.

123. A tal riguardo, il giudice del rinvio ribadisce che, nel diritto tedesco, la pena privativa della libertà mira a contribuire al reinserimento sociale del cittadino dell’Unione e a consentirgli di condurre una vita socialmente responsabile senza commettere reati. Partendo da tale premessa, il giudice del rinvio propone di tenere conto dei seguenti criteri nell’ambito di una valutazione complessiva, ossia la tipologia dell’esecuzione della pena, la riflessione sul reato commesso, la condotta generale nel corso della detenzione, l’accettazione e il compimento di percorsi terapeutici, l’inserimento professionale, la partecipazione a programmi di formazione scolastica e professionale e continuata, la partecipazione all’esecuzione della pena, nonché il mantenimento dei legami personali e familiari nello Stato membro ospitante.

124. I criteri specificati dal giudice del rinvio mi sembrano utili per valutare i legami di integrazione di una persona detenuta.

125. Inoltre, dalle mie osservazioni figuranti al paragrafo 74 delle presenti conclusioni discende che il reato che ha portato alla condanna e all’esecuzione di una pena privativa della libertà, nonché le circostanze nelle quali tale reato è stato commesso, costituiscono elementi rilevanti per valutare i legami di integrazione.

126. Infine, sono parimenti rilevanti taluni criteri senza rapporto diretto con la pena privativa della libertà. Si evince dalla sentenza G. che la durata del soggiorno nello Stato membro ospitante precedente la detenzione può essere presa in considerazione nella valutazione complessiva dei legami di integrazione (63). Pertanto, mi sembra che più i legami di integrazione sono forti, il che può essere accertato, segnatamente, in funzione delle circostanze anteriori alla detenzione, più il periodo che interrompe la continuità del soggiorno deve avere un carattere fortemente perturbatore perché l’interessato non benefici della protezione rafforzata contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

127. Ne consegue che, nel momento in cui si pone la questione dell’allontanamento, al fine di stabilire se i legami di integrazione creati in precedenza con lo Stato membro ospitante siano stati interrotti a causa di un periodo di detenzione, in modo che la protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, verrà accordata o meno, occorre procedere ad una valutazione complessiva in concreto che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, concernenti tutti i periodi di presenza nel territorio di tale Stato membro, inclusi i periodi di detenzione.

VI.    Conclusione

128. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni pregiudiziali sollevate dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) e dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito):

Nella causa C‑424/16:

1)      L’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2004/38/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, costituisce una condizione preliminare per il godimento della protezione rafforzata in conformità all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva.

2)      L’espressione «i precedenti dieci anni», figurante all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della suddetta direttiva 2004/38, deve essere interpretata nel senso che essa riguarda un periodo ininterrotto, calcolato a ritroso, a partire dal momento preciso in cui si pone il problema dell’allontanamento, comprendente eventualmente periodi di assenza o di detenzione, a condizione che uno di tali periodi di assenza o di detenzione non abbia avuto l’effetto di rompere i legami di integrazione nello Stato membro ospitante.

Nella causa C‑316/16:

Nel momento in cui si pone la questione dell’allontanamento, al fine di stabilire se la protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, come modificata dal regolamento n. 492/2011,verrà accordata o meno in seguito a un periodo di detenzione, occorre procedere ad una valutazione complessiva in concreto, che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, di tutti i periodi di presenza nel territorio di tale Stato membro, inclusi i periodi di detenzione, al fine di stabilire se un periodo di detenzione abbia avuto l’effetto di rompere i legami di integrazione con lo Stato membro ospitante nel corso dei precedenti dieci anni.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77), come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011 (GU 2011, L 141, pag. 1, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35 e GU 2007, L 204, pag. 28);(in prosieguo: la «direttiva 2004/38»).


3      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 57).


4      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 26).


5      V. sentenze dell’11 novembre 2004, Cetinkaya (C‑467/02, EU:C:2004:708, punti 38 e 39), nonché del 7 luglio 2005, Aydinli (C‑373/03, EU:C:2005:434, punto 32). Nel contesto della detenzione preventiva, seguita dalla condanna penale a pena privativa della libertà, con beneficio di sospensione condizionale, v. anche sentenza del 10 febbraio 2000, Nazli (C‑340/97, EU:C:2000:77, punti 40 e 41).


6      Sentenze dell’11 novembre 2004, Cetinkaya (C‑467/02, EU:C:2004:708, punto 38), e del 7 luglio 2005, Aydinli (C‑373/03, EU:C:2005:434, punto 28).


7      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 64).


8      Sentenza del 21 luglio 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 65).


9      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498).


10      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Dias (C‑325/09, EU:C:2011:86, paragrafo 102).


11      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑378/12, EU:C:2014:13).


12      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 26).


13      V., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 40).


14      Sentenza del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 31).


15      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9).


16      Sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 36).


17      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708).


18      Sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punti da 30 a 32). Sulle differenze fra le condizioni per l’ottenimento e la perdita del diritto di soggiorno permanente e quelle che si riferiscono alla protezione rafforzata contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a) della direttiva 2004/38, v. anche conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2013:640, paragrafo 28).


19      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708).


20      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9).


21      Sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punti 19 e 37) nonché del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 36).


22      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708).


23      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708, punti 37).


24      V. sentenza del 7 ottobre 2010 (C‑162/09, EU:C:2010:592, punto 37).


25      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 64).


26      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 25).


27      Dollat P., La citoyenneté européenne. Théorie et statuts, Bruylant, Bruxelles, 2008, pag. 278.


28      V. articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.


29      Lenaerts, K., «European Union Citizenship, National Welfare Systems and Social Solidarity», Jurisprudence, n. 18, 2011, pag. 409.


30      Sentenza del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punti da 69 a 75).


31      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9).


32      Sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punti 28 e 37). Il corsivo è mio.


33      C‑145/09, EU:C:2010:322, paragrafo 122.


34      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708).


35      Sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 33).


36      V., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 34).


37      Sentenze del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 26), e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 31).


38      Sentenza del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 26).


39      Sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 32).


40      Sentenze del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 26) e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 31).


41      Sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 35).


42      V., in tal senso, interpretazione dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 alla luce della sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 35) presentata dal giudice che ha proposto la domanda di pronuncia pregiudiziale in tale causa, l’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [tribunale superiore (Sezione immigrazione ed asilo), nella sua sentenza del 14 maggio 2014, [2014] UKUT 392 (IAC).


43      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498).


44      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑378/12, EU:C:2014:13).


45      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9).


46      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498).


47      V. sentenza del 21 luglio 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498, punti da 62 a 66).


48      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑378/12, EU:C:2014:13).


49      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9).


50      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708).


51      Sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 34).


52      Sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 33).


53      Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38 [COM(2009) 313 definitivo].


54      V. pag. 14.


55      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708).


56      Sentenza del 23 novembre 2010 (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 38). V. parimenti, in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 37).


57      V., in tal senso, sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 33) e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 36).


58      A tal riguardo, il giudice del rinvio fa riferimento alle summenzionate sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 32) e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 35).


59      V. sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (C‑30/77, ECLI:EU:C:1977:172, punto 28). V. parimenti sentenze del 22 maggio 1980, Santillo (131/79, EU:C:1980:131, punti 18 e 19), nonché del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri, (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti 78 e 79).


60      V., in tal senso, le mie conclusioni nella causa Petrea (C‑184/16, EU:C:2017:324, paragrafi 57 e 58).


61      A tal riguardo, v. paragrafi da 48 a 50 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:322). V. parimenti osservazioni dell’avvocato generale Bot al paragrafo 29 delle sue conclusioni nella causa Mantello (C‑261/09, EU:C:2010:501).


62      Sentenza del 22 maggio 2012 (C‑348/09, EU:C:2012:300, punti 32 e 34).


63      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 37).