Language of document : ECLI:EU:F:2011:55

SENTENZA DEL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
DELL’UNIONE EUROPEA (Prima Sezione)

12 maggio 2011 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Ricorso per risarcimento danni – Regola di concordanza tra domanda, reclamo e ricorso in materia di risarcimento – Natura contraddittoria del procedimento – Utilizzo in giudizio di un documento riservato, classificato “UE riservato” – Responsabilità extracontrattuale delle istituzioni – Responsabilità per colpa – Nesso causale – Pluralità di cause del danno – Fatto di un terzo – Responsabilità oggettiva – Dovere di assistenza – Obbligo per un’istituzione di garantire la protezione del proprio personale – Assassinio di un funzionario e di sua moglie da parte di un terzo – Perdita di una possibilità di sopravvivenza»

Nella causa F‑50/09,

avente ad oggetto il ricorso proposto ai sensi degli artt. 236 CE e 152 EA,

Livio Missir Mamachi di Lusignano, residente in Kerkhove-Avelgem (Belgio), che agisce sia in nome proprio che in qualità di rappresentante legale degli eredi di Alessandro Missir Mamachi di Lusignano, suo figlio, ex funzionario della Commissione europea,

rappresentato dagli avv.ti F. Di Gianni, R. Antonini e N. Sibona,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata dalle sig.re L. Pignataro e B. Eggers, e dal sig. D. Martin, in qualità di agenti,

convenuta,


IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
(Prima Sezione),

composto dal sig. S. Gervasoni (relatore), presidente, dal sig. H. Kreppel e dalla sig.ra M.I. Rofes i Pujol, giudici,

cancelliere: sig. R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento ed in seguito alle udienze del 15 dicembre 2009 e dell’8 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con atto introduttivo pervenuto via fax alla cancelleria del Tribunale il 12 maggio 2009 (l’originale è stato depositato il 18 maggio seguente), il sig. Missir Mamachi di Lusignano chiede, in particolare, da un lato, l’annullamento della decisione 3 febbraio 2009, con cui la Commissione delle Comunità europee ha respinto la sua domanda di risarcimento dei danni materiali e morali derivanti dall’assassinio di suo figlio e di sua nuora, il 18 settembre 2006 a Rabat (Marocco), e, dall’altro, la condanna della Commissione a versare a lui ed agli aventi causa di suo figlio diversi importi a risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da detti assassinî.

 Contesto normativo

2        Ai sensi dell’art. 1 sexies, n. 2, dello Statuto del personale delle Comunità europee, nella versione applicabile alla controversia in esame (in prosieguo: lo «Statuto»):

«I funzionari in attività di servizio hanno diritto a condizioni di lavoro rispondenti a norme sanitarie e di sicurezza adeguate e almeno equivalenti ai requisiti minimi applicabili conformemente alle misure adottate in quest’ambito ai sensi dei trattati».

3        L’art. 24 dello Statuto dispone quanto segue:

«Le Comunità assistono il funzionario, in particolare nei procedimenti a carico di autori di minacce, oltraggi, ingiurie, diffamazioni, attentati contro la persona o i beni di cui il funzionario o i suoi familiari siano oggetto, a motivo della sua qualità e delle sue funzioni.

Esse risarciscono solidalmente il funzionario dei danni subiti in conseguenza di tali fatti, sempreché egli, intenzionalmente o per negligenza grave, non li abbia causati e non ne abbia potuto ottenere il risarcimento dal responsabile».

4        Ai sensi dell’art. 70, primo comma, dello Statuto:

«In caso di decesso di un funzionario, il coniuge superstite o i figli a carico godono della retribuzione complessiva del defunto sino alla fine del terzo mese successivo a quello del decesso».

5        L’art. 73, nn. 1 e 2, dello Statuto dispone quanto segue:

«1. Alle condizioni fissate da una regolamentazione adottata di comune accordo dalle istituzioni delle Comunità, previo parere del comitato dello statuto, il funzionario è coperto sin dal giorno della sua entrata in servizio contro i rischi di malattia professionale e i rischi d’infortunio. Egli è tenuto a contribuire, nei limiti dello 0,1% dello stipendio base, alla copertura dei rischi della vita privata.

I rischi non coperti sono precisati in tale regolamentazione.

2. Le prestazioni garantite sono le seguenti:

a)      in caso di decesso:

versamento alle persone sottoindicate di un capitale pari a [cinque] volte lo stipendio base annuo calcolato in base agli stipendi mensili attribuiti all’interessato nei dodici mesi precedenti l’infortunio:

–        al coniuge e ai figli del funzionario deceduto, secondo le norme del diritto di successione applicabile al funzionario; l’ammontare da versare al coniuge non può tuttavia essere inferiore al 25% del capitale;

–        in mancanza di persone della categoria suindicata, agli altri discendenti, secondo le norme del diritto di successione applicabile al funzionario;

–        in mancanza di persone delle due categorie suindicate, agli ascendenti, secondo le norme del diritto di successione applicabile al funzionario;

–        in mancanza di persone delle tre categorie suindicate, all’istituzione;

(…)

Alle condizioni fissate da questa regolamentazione, ai versamenti di cui sopra può essere sostituita una rendita vitalizia.

Le prestazioni sopra enumerate sono cumulabili con quelle previste nel capitolo 3. (...)».

6        La regolamentazione comune relativa alla copertura dei rischi di infortunio e di malattia professionale dei funzionari dell’Unione europea, adottata in applicazione dell’art. 73 dello Statuto (in prosieguo: la «regolamentazione comune»), prevede, al suo art. 7, n. 2, terzo trattino, che sono considerati infortuni ai sensi di detta regolamentazione comune «le conseguenze di aggressioni o di attentati contro la persona dell’assicurato, anche nel corso di scioperi o di tumulti, purché non risulti che l’interessato abbia partecipato volontariamente alle azioni violente di cui è stato vittima, escluso il caso di legittima difesa».

7        In forza dell’art. 76 dello Statuto, possono essere concessi doni, prestiti o anticipazioni a un funzionario, a un ex funzionario o agli aventi diritto di un funzionario deceduto, che si trovino in una situazione particolarmente difficile, soprattutto a seguito di una disabilità o una malattia grave o di lunga durata o a motivo della loro situazione familiare.

8        Ai sensi dell’art. 80, primo comma, dello Statuto:

«Quando il funzionario (...) sia deceduto senza lasciare un coniuge avente diritto a pensione di reversibilità, i figli riconosciuti a suo carico, ai sensi dell’articolo 2 dell’allegato VII, al momento del decesso hanno diritto a una pensione di orfano, alle condizioni previste dall’articolo 21 dell’allegato VIII».

9        L’art. 21 dell’allegato VIII dello Statuto dispone che la pensione per gli orfani è pari agli otto decimi della pensione di reversibilità cui avrebbe avuto diritto il coniuge superstite del funzionario e che essa è aumentata, per ciascun figlio a carico a cominciare dal secondo, di un importo pari al doppio dell’assegno per figli a carico.

10      L’allegato X stabilisce le disposizioni particolari e derogatorie applicabili ai funzionari con sede di servizio in un paese terzo. L’art. 5 di tale allegato dispone quanto segue:

«1. Quando l’istituzione mette a disposizione del funzionario un alloggio corrispondente al livello delle sue funzioni e alla composizione della famiglia a suo carico, il funzionario è tenuto a risiedervi.

2. Le modalità di applicazione del paragrafo 1 sono fissate, previo parere del comitato del personale, dall’autorità che ha il potere di nomina, che determina altresì le dotazioni di mobilio e altre attrezzature degli alloggi, in funzione delle condizioni prevalenti in ciascuna sede di servizio».

11      Secondo l’art. 25 dell’allegato X dello Statuto, il coniuge, i figli e le altre persone a carico del funzionario sono coperti da un’assicurazione contro gli infortuni che si possono verificare in uno dei paesi al di fuori dell’Unione figuranti su un elenco appositamente stabilito dall’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN»). La metà del premio necessario è a carico del funzionario e l’altra metà a carico dell’istituzione.

12      Il 26 aprile 2006, la Commissione ha adottato una decisione che istituisce una politica armonizzata in materia sanitaria e di sicurezza sul lavoro per il suo personale (in prosieguo: la «decisione 26 aprile 2006»).

13      Come emerge dalla motivazione di tale testo, sottoposto al collegio dei commissari per approvazione durante la riunione del 26 aprile 2006, detta decisione, adottata per rispondere, tra le altre, alle disposizioni del citato art. 1 sexies dello Statuto, mira a garantire e a preservare la salute e la sicurezza sul lavoro per tutto il personale e in tutti i servizi dell’istituzione, non solo in sede, bensì anche in tutti i siti all’interno o all’esterno dell’Unione. 

14      La decisione 26 aprile 2006 trova applicazione, in forza del suo art. 1, «in tutti i luoghi di lavoro dell’istituzione», luoghi definiti, ai sensi dell’art. 2, lett. a), di detta decisione, come luoghi «che ospitano posti di lavoro nei locali della Commissione e qualsiasi altro luogo all’interno di tali locali cui il personale ha accesso nell’ambito del suo lavoro». Essa contiene disposizioni di carattere generale, ispirate alla direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU L 183, pag. 1).

15      Durante il procedimento, dopo l’adozione delle misure istruttorie (v. punti 46‑48 della presente sentenza), il Tribunale ha potuto accertare che, per il 2006, la Commissione aveva adottato talune misure di sicurezza applicabili agli alloggi messi a disposizione del personale delle delegazioni della Commissione nei paesi terzi. Tali misure sono contenute in un documento classificato «UE riservato», di cui saranno ulteriormente esaminate la portata giuridica e le modalità di utilizzo in giudizio.

 Fatti

16      Entrato al servizio della Commissione come funzionario il 1° novembre 1993, Alessandro Missir Mamachi di Lusignano ha sposato nel 1995 Ariane Lagasse de Locht. La coppia ha avuto quattro figli, nati tra il 1996 e il 2002.

17      Promosso al grado A 7 nel 1996 e al grado A 6 nel 2002, Alessandro Missir Mamachi di Lusignano ha partecipato, tra l’altro, dal 2001 al 2005, ai negoziati di adesione tra l’Unione europea e la Repubblica di Turchia, nell’unità «Turchia» della direzione generale (DG) «Allargamento».

18      A partire dal 28 agosto 2006, Alessandro Missir Mamachi di Lusignano è stato assegnato alla delegazione della Commissione a Rabat, in qualità di consigliere politico e diplomatico. Prima del suo trasferimento, egli aveva segnalato che sua moglie ed i suoi figli l’avrebbero accompagnato in detta destinazione. Invitato a partecipare a sessioni di informazione organizzate per i funzionari impiegati in delegazione nei paesi terzi ed attinenti, tra l’altro, ai problemi della sicurezza nelle diverse sedi di assegnazione, egli non vi ha assistito. Le parti non hanno fornito al Tribunale elementi sufficienti per consentirgli di determinare quali fossero i motivi di tale assenza, in particolare se essa fosse dovuta ad un impedimento di natura professionale.

19      Tra il 28 e il 31 agosto 2006, la famiglia Missir Mamachi di Lusignano ha alloggiato in albergo e, a partire dal 1° settembre, provvisoriamente, in una casa ammobiliata presa in locazione dalla delegazione della Commissione, nella rue Lailak, n. G 2, Settore 16, nel quartiere Hay Riad di Rabat. Il contratto di locazione tra il proprietario di tale casa e la Commissione era stato stipulato l’8 agosto 2006 per una durata iniziale di tre mesi ed aveva preso effetto il 15 agosto 2006, prima dell’arrivo a Rabat della famiglia Missir Mamachi di Lusignano.

20      Nella notte tra il 17 ed il 18 settembre 2006, verso mezzanotte e mezza, un rapinatore si è introdotto nella casa, scivolando tra le sbarre di una finestra del piano terra che affacciava su una delle facciate laterali. Bruscamente svegliato dalla presenza del rapinatore nella camera matrimoniale, al primo piano, Alessandro Missir Mamachi di Lusignano ha sorpreso l’intruso che stava rovistando nella stanza. Il malfattore ha quindi colpito con diverse coltellate il funzionario, lasciandolo sul pavimento. La moglie del sig. Missir Mamachi di Lusignano, anch’essa sveglia, è stata pugnalata alla schiena e pare sia deceduta molto rapidamente a causa delle lesioni riportate. Dopo aver immobilizzato ed imbavagliato il capofamiglia, l’intruso ha fatto una doccia ed ha ottenuto dal funzionario, gravemente ferito, il codice della sua carta di credito. Infine, il funzionario è deceduto a causa delle lesioni. L’assassino ha risparmiato i bambini. Egli ha lasciato i luoghi verso le quattro del mattino, a bordo dell’autovettura della famiglia Missir Mamachi di Lusignano, portando con sé diversi oggetti, tra i quali un televisore.

21      Il 19 settembre 2006 la polizia marocchina ha arrestato Karim Zimach, il quale ha confessato, durante il suo interrogatorio preliminare, di essere l’autore del duplice omicidio dei coniugi Missir Mamachi di Lusignano, perpetrato nella notte tra il 17 ed il 18 settembre. Karim Zimach è stato dichiarato colpevole di tali fatti e condannato alla pena capitale con sentenza 20 febbraio 2007 della sezione penale di primo grado della corte d’appello di Rabat, confermata in appello da una sentenza 18 giugno 2007 della sezione di appello penale della stessa corte. Va rilevato che, dal 1993, anno dell’ultima esecuzione di un condannato a morte in Marocco, le autorità di tale Stato non hanno più eseguito una tale condanna.

22      La Commissione si è costituita parte civile dinanzi alla giustizia penale marocchina. Con la citata sentenza, la sezione penale di primo grado della corte d’appello di Rabat ha dichiarato ricevibile l’azione civile della Commissione ed ha condannato Karim Zimach a versare un dirham simbolico all’Unione europea.

23      In seguito alla tragica scomparsa dei loro genitori, i quattro figli di Alessandro Missir Mamachi di Lusignano sono stati posti sotto la tutela dei loro nonni, tra i quali il ricorrente, con ordinanza 24 novembre 2006 del giudice di pace di Kraainem (Belgio).

24      Dal 1° ottobre al 31 dicembre 2006, la Commissione ha proceduto al versamento dovuto ai sensi dell’art. 70, primo comma, dello Statuto.

25      La Commissione ha altresì versato ai figli ed eredi del funzionario deceduto l’importo di EUR 414 308,90 a titolo di capitale-decesso, conformemente all’art. 73 dello Statuto, nonché l’importo di EUR 76 628,40, a causa del decesso del coniuge, ai sensi dell’art. 25 dell’allegato X dello Statuto.

26      Inoltre, la Commissione ha riconosciuto ai quattro figli, a partire dal 1° gennaio 2007, il diritto alla pensione di orfano prevista all’art. 80 dello Statuto e all’assegno scolastico di cui all’allegato VII dello Statuto.

27      Peraltro, Commissione ha concesso al funzionario deceduto una promozione post mortem al grado A*11, primo scatto, con effetto retroattivo al 1° settembre 2005. Tale promozione è stata presa in considerazione ai fini del calcolo della pensione di orfano e del capitale-decesso.

28      Peraltro, con decisione 14 maggio 2007, adottata sul fondamento dell’art. 76 dello Statuto, la Commissione ha accordato a ciascuno dei figli, fino all’età di 19 anni, un aiuto mensile straordinario per ragioni sociali, pari all’importo di un assegno per figlio a carico.

29      Il 18 settembre 2007, ricorrenza del duplice assassinio dei coniugi Missir Mamachi di Lusignano, la Commissione, su iniziativa della DG «Allargamento», ha organizzato una cerimonia nei suoi locali in omaggio ai defunti. Durante tale cerimonia, è stata dedicata una sala riunioni alla memoria del funzionario deceduto ed è stata scoperta una lapide recante il suo nome.

30      Con lettera 25 febbraio 2008, inviata al presidente della Commissione, il ricorrente, dopo aver ringraziato la Commissione per la cerimonia del 18 settembre 2007, ha innanzitutto comunicato il proprio dissenso sull’entità degli importi versati ai suoi quattro nipoti e la propria insoddisfazione sul fatto che la Commissione si fosse rifiutata di autorizzare l’assunzione permanente di una governante o un ausilio famigliare, reso a suo avviso indispensabile dall’età dei bambini e dei loro nonni. Il ricorrente ha poi chiesto se la Commissione avesse già avviato negoziati con il Marocco affinché quest’ultimo versasse un risarcimento adeguato, superiore al solo dirham accordato a titolo simbolico all’Unione europea dalla giustizia marocchina. Infine, il ricorrente ha attirato l’attenzione del presidente della Commissione sulla risposta fornita il 6 agosto 2007 dalla sig.ra Ferrero-Waldner, commissario incaricato delle relazioni esterne, ad un’interrogazione scritta del sig. Coûteaux, membro del Parlamento europeo (interrogazione scritta del 25 giugno 2007, P‑3367/07, GU C 45 del 16 febbraio 2008, pag. 179), relativa all’«omicidio di un funzionario della Direzione generale per le relazioni esterne in Marocco» (in prosieguo: la «risposta scritta del 6 agosto 2007»). Secondo il ricorrente, le misure di sicurezza adeguate, normalmente previste dalla Commissione e ricordate nella risposta del commissario incaricato delle relazioni esterne, non sarebbero state adottate prima del duplice assassinio. La Commissione si sarebbe quindi resa colpevole di gravi negligenze, che giustificano il versamento ai figli minorenni di un risarcimento equivalente almeno alla totalità degli stipendi che il funzionario assassinato avrebbe percepito fino alla data presunta del suo pensionamento, nel 2032, pari a 26 annualità di stipendio.

31      Con lettera dell’11 giugno 2008, il sig. Kallas, vice presidente della Commissione, incaricato del personale, ha risposto al ricorrente. In tale lettera, il sig. Kallas sottolineava che non poteva essere constatato alcun comportamento negligente o colposo da parte delle autorità marocchine e che non erano soddisfatte le condizioni necessarie per avviare trattative diplomatiche con il Marocco al fine di ottenere un risarcimento. Egli vi segnalava che le misure di protezione del personale adottate dalla Commissione erano conformi alle condizioni di sicurezza relative alla delegazione di Rabat e che la domanda di risarcimento presentata a tale titolo dal ricorrente nella lettera del 25 febbraio 2008 non poteva essere accolta. Precisava inoltre che i versamenti già effettuati dalla Commissione (EUR 490 937,30 a titolo di capitale-decesso e di assicurazione contro gli infortuni, EUR 4 376,82 al mese per le pensioni di orfano e per gli assegni scolastici, EUR 2 287,19 al mese – compreso l’abbattimento fiscale – per gli assegni per i figli a carico, e EUR 1 332,76 al mese come aiuto straordinario, pari ad un assegno supplementare per figlio a carico a favore di ciascun figlio) erano stati calcolati correttamente.

32      Tuttavia, nella stessa lettera dell’11 giugno 2008, il commissario ha informato il ricorrente che la Commissione, tenendo conto delle circostanze particolarmente tragiche di tale caso, aveva deciso di adottare una misura supplementare e di aumentare, in via eccezionale, gli importi versati in applicazione dell’art. 76 dello Statuto. Con decisione 4 luglio 2008, a ciascuno dei nipoti è stato quindi concesso, a partire dal 1° agosto 2008 e fino all’età di 19 anni, un importo mensile corrispondente a due assegni per figlio a carico. Considerata tale decisione, il versamento mensile della Commissione ai figli del funzionario deceduto ammonta ad un importo superiore agli EUR 9 800 (EUR 9 862 nel febbraio 2009).

33      Con lettera del 10 settembre 2008, il ricorrente ha presentato un reclamo contro la lettera dell’11 giugno 2008, sul fondamento dell’art. 90, n. 2, dello Statuto. In tale reclamo, egli ha sostenuto che la responsabilità della Commissione era sorta per colpa, a causa di inadempimenti del suo obbligo di protezione del suo personale. Egli vi ha altresì sostenuto che la responsabilità della Commissione sarebbe sorta anche senza colpa, a causa del danno causato da un atto lecito. Infine, in via subordinata, egli ha fatto valere l’art. 24 dello Statuto, in forza del quale le Comunità sono tenute a risarcire in solido il danno causato da un terzo a uno dei propri agenti.

34      Con decisione 3 febbraio 2009 l’APN ha respinto tale reclamo.

 Conclusioni delle parti e procedimento

35      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione dell’APN 3 febbraio 2009;

–        condannare la Commissione alla corresponsione, in favore degli aventi causa del sig. Alessandro Missir Mamachi di Lusignano:

–        la somma di EUR 2 552 837,96 corrispondente a 26 annualità di stipendio del funzionario assassinato, da rivalutare in funzione delle prospettive di carriera dello stesso, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito;

–        la somma di EUR 250 000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima prima della sua morte;

–        la somma di EUR 1 276 512 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dai figli della vittima in quanto testimoni del suo tragico assassinio;

–        condannare la Commissione alla corresponsione della somma di EUR 212 752 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal ricorrente in quanto padre della vittima;

–        condannare la Commissione alla corresponsione degli «interessi compensatori e degli interessi di mora nel frattempo maturati»;

–        condannare la Commissione alle spese.

36      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

37      Il ricorrente ha precisato la portata delle sue domande risarcitorie durante l’udienza del 15 dicembre 2009, producendo due tabelle. La Commissione non si è opposta al fatto che tali documenti fossero versati al fascicolo. La prima tabella riepiloga le domande risarcitorie del ricorrente. Emerge da tale tabella una rivalutazione dell’importo del danno materiale fatto valere. Tale importo, provvisoriamente stimato nel ricorso in EUR 2 552 837,96 viene portato, alla luce di elementi numerici prodotti dalla Commissione nel proprio controricorso e tenendo conto delle promozioni che il figlio del ricorrente avrebbe potuto ottenere sino alla fine della carriera, ad un importo globale di EUR 3 975 329. Con la seconda tabella, il ricorrente sostiene che tra le somme che la Commissione ha versato e verserà in futuro agli aventi causa del funzionario deceduto, solo l’importo di EUR 414 308 assegnato in forza dell’art. 73 dello Statuto può essere analizzato come versamento a risarcimento del danno subito dagli eredi del funzionario, poiché gli altri importi versati menzionati dalla Commissione costituiscono soltanto, secondo il ricorrente, prestazioni aventi carattere di assistenza sociale.

38      Nella relazione preparatoria d’udienza, il Tribunale ha indicato alle parti che, per esaminare il problema se la Commissione avesse debitamente assolto l’obbligo di garantire la sicurezza del figlio del ricorrente e della famiglia di quest’ultimo, occorreva fare riferimento all’art. 1 sexies, n. 2, dello Statuto, il quale rinvia, per quanto riguarda le «norme di sicurezza adeguate», ai requisiti minimi applicabili ai sensi delle misure adottate in tali settori in applicazione dei trattati, fra le quali rientrano quelle contenute nella direttiva 89/391. Il Tribunale ha invitato le parti ad esporre, nei loro argomenti, quale fosse a loro avviso l’incidenza di tali disposizioni sull’analisi delle condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione nella presente controversia.

39      Nella stessa relazione preparatoria d’udienza, tra l’altro, il Tribunale ha altresì chiesto alla Commissione di precisare quale fosse il livello di rischio accertato dai suoi servizi nel 2006 per i funzionari assegnati al Marocco e se dal livello di rischio fissato per tale Paese derivassero particolari misure di sicurezza, ai sensi delle direttive interne alla DG «Relazioni esterne» o di altri testi. Il ricorrente ha infatti sostenuto nei propri atti (lettera del 25 febbraio 2008, reclamo del 10 settembre 2008 e ricorso), facendo riferimento alla risposta scritta del 6 agosto 2007 della sig.ra Ferrero-Waldner ad un’interrogazione di un membro del Parlamento, che talune misure di sicurezza e di protezione erano previste e applicabili negli alloggi del personale delle delegazioni della Commissione nei paesi terzi e che tali misure non erano state rispettate nel caso di specie. Inoltre, in una relazione allegata al ricorso, redatta il 4 ottobre 2006 da due responsabili dei servizi incaricati della sicurezza per la DG «Relazioni esterne» e per la DG «Personale e amministrazione» (in prosieguo: la «DG Admin»), inviati a Rabat poco dopo l’assassinio del figlio e della nuora del ricorrente, si legge quanto segue: «le condizioni di sicurezza relative alla delegazione di Rabat ed agli alloggi del personale sono definite di gruppo [III], da diversi mesi. Ciò impone quindi la vigilanza degli alloggi del personale assegnato all’estero».

40      Durante l’udienza del 15 dicembre 2009, la Commissione non ha direttamente risposto, nei propri argomenti, ai due quesiti che le erano stati posti, menzionati alla prima frase del punto precedente. Essa ha sottolineato che la risposta scritta del 6 agosto 2007 sarebbe intervenuta quasi un anno dopo il duplice assassinio, per chiarire la tipologia delle misure previste nelle delegazioni nel 2007, e non sarebbe quindi rilevante nel presente fascicolo.

41      In risposta ad un quesito del Tribunale che l’interrogava sull’esistenza di regole interne relative alle misure di sicurezza applicabili ai funzionari delle delegazioni assegnati nei paesi terzi nel 2006, la Commissione ha risposto che non sussisteva in tale settore alcun testo a carattere vincolante e che l’obbligo dell’istituzione di garantire la protezione del suo personale assegnato in tali delegazioni derivava solo dal principio di buona amministrazione, in quanto l’istituzione dispone in tale ambito di un ampio margine discrezionale. La Commissione ha ritenuto che la direttiva 89/391 riguardasse il solo luogo di lavoro dei lavoratori e che, di conseguenza, essa non potesse essere rilevante nella presente controversia, attinente alla sicurezza dell’alloggio privato del funzionario. La Commissione ha precisato che la decisione 26 aprile 2006 avrebbe avuto ad oggetto la «trasposizione» di tale direttiva nei suoi servizi. Peraltro, in risposta ad altri quesiti, la Commissione ha insistito sul fatto che l’obbligo di adottare talune misure di protezione non riguardava l’alloggio privato dei funzionari delle delegazioni.

42      Il dibattimento ha fatto poi emergere, da un lato, che i servizi della Commissione redigono una graduatoria, sulla base di un insieme di criteri, dei paesi terzi in cui hanno sede le delegazioni, secondo il livello di rischio (modesto, medio o elevato) presentato dagli Stati di cui trattasi e, dall’altro, che il Marocco era classificato al livello di rischio «elevato» per il 2006. La Commissione ha anche ammesso che nelle delegazioni interessate avrebbero dovuto essere adottate ed attuate particolari misure di sicurezza adeguate al livello di rischio «elevato».

43      Una parte dell’udienza del 15 dicembre 2009 si è tenuta a porte chiuse, conformemente alla domanda della Commissione, senza che il ricorrente sollevasse obiezioni. Durante tale parte dell’udienza, la Commissione ha fornito taluni chiarimenti complementari al Tribunale e al ricorrente, senza però menzionare i testi o i documenti, indipendentemente dal loro valore giuridico o dalla loro forma (decisioni, direttive interne, raccomandazioni, ecc.), relativi alle misure di sicurezza di cui al punto precedente. La Commissione ha anche attestato ispezioni e verifiche di sicurezza che sarebbero state condotte nel primo semestre del 2006 a Rabat, e che avrebbero riguardato solo i locali della delegazione, ad esclusione dei 18 alloggi «permanenti» messi a disposizione dei funzionari della delegazione.

44      Ritenendo di non essere stato sufficientemente edotto dalle risposte fornite dalla Commissione durante l’udienza, il Tribunale, con ordinanza 22 gennaio 2010, le ha chiesto di produrre i testi o i documenti, indipendentemente dal loro valore giuridico o dalla loro forma, che precisano quali misure di sicurezza fossero raccomandate/previste/prescritte nel 2006 per la delegazione di Rabat, in corrispondenza con il livello di rischio allora accertato per il Marocco, gli eventuali rapporti relativi alle ispezioni e alle verifiche condotte a Rabat nel primo semestre del 2006 o i documenti che attestano il contenuto e le risultanze di tali ispezioni e verifiche, il contratto di locazione dell’alloggio provvisorio stipulato tra la Commissione ed il proprietario di tale alloggio, nonché la decisione 26 aprile 2006.

45      Con lettera del 12 febbraio 2010, la Commissione ha prodotto i documenti richiesti, precisando che uno di essi – una nota del 6 giugno 2006 indirizzata dal capo della delegazione in Marocco al direttore della direzione «Servizio esterno», incaricato dei problemi di sicurezza per la DG «Relazioni esterne», che trasmette a quest’ultimo, in allegato, il rapporto di missione del responsabile della sicurezza regionale – avrebbe dovuto essere reso accessibile ai soli avvocati del ricorrente esclusivamente nei locali della cancelleria del Tribunale e senza possibilità di trarne copia. In tale stessa lettera, la Commissione ha menzionato l’esistenza di due altri documenti i quali, essendo classificati «UE riservato», a suo avviso non potevano essere prodotti e non erano comunque rilevanti per la soluzione della controversia, ma che essa si dichiarava pronta a comunicare al solo Tribunale e a condizione che fossero rigorosamente rispettate misure di sicurezza assolutamente equivalenti alle misure di sicurezza fissate dalla decisione della Commissione 29 novembre 2001, 2001/844/CE, CECA, Euratom, che modifica il regolamento interno della Commissione (GU L 317, pag. 1).

46      Il Tribunale ha considerato che uno di tali documenti classificati «UE riservato», presentati dalla Commissione come l’«estratto relativo alle misure di sicurezza corrispondenti al gruppo III per gli alloggi definitivi del documento “norme e criteri” della DG ADMIN DS», poteva essere particolarmente rilevante per la soluzione della controversia. Di conseguenza, con ordinanza 17 marzo 2010, il Tribunale ha chiesto alla Commissione di produrre tale documento. In tale ordinanza, il Tribunale ha precisato le misure di sicurezza alle quali sarebbe stato subordinato l’accesso a tale documento, indicando segnatamente che soltanto il cancelliere ed i giudici membri del collegio giudicante sarebbero stati autorizzati a consultare il documento, esclusivamente nei locali della cancelleria in cui sarebbe stato custodito, e che né il ricorrente né il suo avvocato sarebbero stati autorizzati a consultare tale documento.

47      Nella sua ordinanza 17 marzo 2010, il Tribunale ha dichiarato che, qualora avesse previsto di basare la soluzione della controversia su tale documento, ci si sarebbe dovuti interrogare sulle modalità di applicazione nella fattispecie del principio del carattere contraddittorio del procedimento e delle disposizioni dell’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura, in quanto tale principio e tali disposizioni avrebbero potuto comportare che il ricorrente avesse accesso, quantomeno parzialmente, al detto documento. A tal riguardo, il Tribunale ha rilevato che il fatto che detto documento fosse classificato come «UE riservato», il livello di protezione meno elevato previsto dalla decisione 2001/844, non poteva costituire, di per sé, un motivo di rifiuto assoluto di comunicazione di questo documento al ricorrente. Infatti, il Tribunale ha, in primo luogo, constatato che i documenti classificati «UE riservato» non rientrano tra i documenti considerati «documenti sensibili» ai sensi dell’art. 9 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), e ne ha dedotto che ad un tale documento si può quindi applicare il regime di diritto comune istituito da tale regolamento, che prevede l’accesso ai documenti delle istituzioni, con riserva delle eccezioni menzionate all’art. 4 del detto regolamento. In secondo luogo, il Tribunale ha rilevato che la decisione 2001/844 prevede che un documento possa costituire oggetto di una decisione di declassamento o di declassificazione con il consenso dell’originatore.

48      Con lettera del 30 marzo 2010, alla personale attenzione del cancelliere del Tribunale, in busta sigillata e con ricevuta di ritorno, la Commissione ha trasmesso un documento composto da cinque pagine, che riunisce taluni estratti di un documento intitolato «Documento sulle Norme e i Criteri», edizione 2006 («N & C édition 2006/ DS3/A.W»; in prosieguo: il «documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza»), relativi alle misure di sicurezza applicabili, tra l’altro, agli alloggi messi a disposizione del personale delle delegazioni («staff houses»). In tale stessa lettera, la Commissione ha sottolineato che produceva detta lettera «esclusivamente affinché il Tribunale fosse in grado di verificarne il carattere riservato ai sensi dell’art. 44, n. 2, del regolamento di procedura». Essa ha ribadito che il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non le sembrava rilevante per la soluzione della controversia, segnatamente in quanto avrebbe riguardato la sola situazione degli alloggi definitivi – e non provvisori – messi a disposizione del personale delle delegazioni nei paesi terzi. La Commissione ha altresì sostenuto che era escluso, in ogni caso, che tale documento fosse declassificato e che fosse comunicato, anche parzialmente, al ricorrente, in quanto siffatta divulgazione poteva compromettere la sicurezza dei funzionari delle delegazioni nei paesi terzi. Essa ha altresì fatto valere che il regolamento n. 1049/2001 non era applicabile al presente procedimento e che, comunque, un rifiuto di comunicare tale documento al ricorrente sarebbe stato giustificato da considerazioni di sicurezza pubblica, conformemente all’art. 4, n. 1, di detto regolamento. La Commissione ha tuttavia osservato che, qualora il Tribunale avesse dovuto ritenere tale documento rilevante per la soluzione della controversia, esso avrebbe dovuto esaminare con la Commissione le modalità necessarie per conciliare il principio del contraddittorio con la tutela della riservatezza delle informazioni riportate in detto documento, «per esempio tramite la produzione di un sunto del documento (v. ordinanza della Corte 4 febbraio 1981, causa 155/79, AM & S/Commissione) che il solo avvocato del ricorrente potrebbe consultare secondo le modalità [previste] nella causa F‑2/07 [Matos Martins/Commissione, conclusa con sentenza del Tribunale 15 aprile 2010]».

49      La lettera del 30 marzo 2010 della Commissione è stata ricevuta dal cancelliere del Tribunale il 31 marzo 2010. I membri del collegio giudicante hanno consultato nei locali della cancelleria il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

50      L’avvocato del ricorrente ha consultato nella cancelleria del Tribunale il documento menzionato alla prima frase del punto 45 supra. L’avvocato del ricorrente non ha avuto accesso agli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

51      Con lettera del 12 aprile 2010, il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni sui documenti prodotti dalla Commissione in risposta all’ordinanza 22 gennaio 2010 e in particolare sul documento che aveva potuto consultare nella cancelleria del Tribunale. In tale lettera, il ricorrente ha sottolineato che tali documenti dimostravano l’esistenza di un obbligo di sicurezza a carico della Commissione, anche per gli alloggi provvisori del personale assegnato al Marocco e che, tra le misure che la Commissione era tenuta a prendere figurava in particolare un servizio permanente di vigilanza professionale da parte di una società specializzata. Una vigilanza siffatta non sarebbe stata predisposta nel caso di specie, pur essendo stata possibile in pochi giorni. Una siffatta misura di sicurezza avrebbe sicuramente dissuaso l’assassino dal commettere i suoi crimini ed avrebbe permesso, quantomeno, un intervento di soccorso urgente che avrebbe potuto salvare la vita del figlio del ricorrente.

52      Con ordinanza 20 maggio 2010, il Tribunale ha ordinato alla Commissione di produrre un altro estratto del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, relativo ai requisiti per l’installazione di inferriate («installation requirements for grids») applicabili agli alloggi del personale nelle delegazioni dei paesi terzi facenti parte del gruppo II e del gruppo III (corrispondenti rispettivamente ai livelli di rischio medio e elevato). In detta ordinanza, il Tribunale ha precisato che la produzione di tale documento e l’accesso a quest’ultimo sarebbero stati assoggettati alle medesime condizioni fissate nell’ordinanza del Tribunale 17 marzo 2010.

53      Con lettera del 2 giugno 2010, la Commissione ha presentato le proprie osservazioni sulla lettera del ricorrente del 12 aprile 2010. Nelle sue osservazioni (i cui punti 57‑60 sono stati comunicati al solo avvocato del ricorrente nei locali della cancelleria), la Commissione ha sottolineato che, per quanto riguarda gli alloggi privati dei funzionari assegnati in delegazione, essa gode di un ampio potere discrezionale ed ha soltanto un dovere generale di diligenza. La sua responsabilità extracontrattuale potrebbe sorgere solo in caso di violazione sufficientemente caratterizzata di una regola di diritto avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli. La decisione 26 aprile 2006 sarebbe applicabile ai soli luoghi di lavoro e non imporrebbe alcuna misura di sicurezza negli alloggi del personale assegnato alle delegazioni, indipendentemente dal loro carattere definitivo o provvisorio. L’unico testo relativo a misure di sicurezza per gli alloggi definitivi sarebbe il vademecum della DG «Relazioni esterne» allegato alla sua lettera del 12 febbraio 2010. Orbene, tale vademecum conterrebbe soltanto una generica raccomandazione di protezione delle residenze e/o degli alloggi di funzione all’attenzione dei capi di delegazione, lasciando all’amministrazione un ampio margine di valutazione delle modalità della sua attuazione. Poiché l’alloggio del figlio del ricorrente era solo un alloggio provvisorio, non sarebbe stata prevista alcuna particolare misura di sicurezza ai sensi di una regola di diritto. Inoltre, il figlio del ricorrente avrebbe accettato di occupare tale alloggio con la sua famiglia. In ogni caso, tale abitazione provvisoria sarebbe stata sicura e sarebbe stata munita di misure di sicurezza adeguate alla luce del modesto livello di criminalità di diritto comune accertato per il Marocco, segnatamente un servizio di vigilanza paragonabile a quello previsto per gli alloggi definitivi nel documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza. Anche supponendo che la Commissione abbia potuto incorrere in un’omissione, il ricorrente non dimostrerebbe che il danno è stato direttamente causato dalle inerzie contestate.

54      Con lettera dell’8 giugno 2010, la Commissione ha prodotto l’estratto del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza relativo ai requisiti per l’installazione di inferriate. In tale lettera la Commissione ha sottolineato che, contrariamente a quanto il Tribunale aveva rilevato nella sua ordinanza 20 maggio 2010, i requisiti per l’installazione di inferriate menzionati alla sezione 54.3 del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza trovano applicazione solo negli alloggi definitivi del personale delle delegazioni del gruppo III e non in quelli del gruppo II.

55      I membri del collegio giudicante hanno consultato l’estratto del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza relativo ai requisiti per l’installazione di inferriate nei locali della cancelleria.

56      Con lettera del 2 luglio 2010, il Tribunale ha segnalato alle parti che riteneva gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza rilevanti per la soluzione della controversia. Accogliendo la proposta formulata dalla Commissione nella sua lettera del 30 marzo 2010, esso ha informato le parti della propria intenzione di redigere un sunto di tali estratti e di versarli al fascicolo, precisando inoltre che tale sunto avrebbe contenuto talune sezioni di detto documento (riportate alle pagine 37, 140 e 142, cioè tre delle sette pagine comunicate dalla Commissione al Tribunale). Gli interessati sono stati invitati a trasmettere le loro osservazioni sulla lettera del 2 luglio 2010.

57      Con lettera del 9 luglio 2010, la Commissione ha preso atto della lettera del Tribunale del 2 luglio 2010 e ha precisato che, considerate le esigenze di protezione della sicurezza dei funzionari delle delegazioni nei paesi terzi da essa fatte valere nelle sue lettere del 30 marzo e dell’8 giugno 2010, essa poteva accettare soltanto che il sunto del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza facesse riferimento all’oggetto delle sezioni in questione di tale documento, ma non che esso contenesse estratti di detto documento. In risposta ad una domanda del Tribunale, la Commissione, con lettera del 22 settembre 2010, ha precisato cosa dovesse comprendere un sunto dell’«oggetto» delle sezioni rilevanti, fornendo un esempio di sunto possibile per la sezione 54.3, riportata alla pagina 140 del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

58      Con lettera del 13 luglio 2010, il ricorrente ha comunicato al Tribunale il proprio assenso alla proposta di redazione, da parte del Tribunale, di un sunto degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

59      Con lettera del 6 ottobre 2010, il Tribunale ha trasmesso alla Commissione un progetto di sunto delle sezioni rilevanti delle pagine 37, 140 e 142 del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, sunto non costituito da estratti del documento, bensì relativo all’oggetto di dette sezioni, come suggerito dalla Commissione.

60      Con lettera del 6 ottobre 2010 il Tribunale ha chiesto al ricorrente se desiderasse beneficiare dell’anonimato. Detta domanda è rimasta senza risposta.

61      Con lettera del 19 ottobre 2010, la Commissione ha comunicato le proprie osservazioni sul progetto di sunto, chiedendo al Tribunale di eliminare, dal titolo di detto progetto, la menzione della pagina 37 del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

62      Il Tribunale ha accolto tale domanda della Commissione ed ha redatto il sunto definitivo degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

63      Tale sunto è stato comunicato alla Commissione. Per quanto riguarda il ricorrente, detto sunto è stato portato a conoscenza solo del suo avvocato, nei locali della cancelleria del Tribunale, il 30 novembre 2010.

64      Alla luce degli elementi prodotti successivamente all’udienza del 15 dicembre 2009, il Tribunale ha ritenuto che fosse necessaria una seconda udienza.

65      Nella relazione preparatoria di tale seconda udienza, il Tribunale ha chiesto alle parti di concentrare l’esposizione dei loro argomenti sulle seguenti questioni:

«1/ Questioni di procedura:

a) Al momento della domanda di risarcimento presentata sulla base dell’art. 90, n. 1, dello Statuto, il ricorrente non ha chiesto il risarcimento di danni di natura morale. Se le sue domande risarcitorie in tal senso siano ricevibili dinanzi al Tribunale.

b) Se il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza rientri nel contesto normativo della controversia.

c) Se gli estratti di tale documento che, per legittime ragioni di sicurezza, possono essere comunicati al ricorrente solo sotto forma di breve sunto, possano nonostante tutto essere presi in considerazione dal Tribunale al fine di valutare se, nel caso di specie, la Commissione abbia agito con colpa. Se la ricerca di un giusto equilibrio tra la tutela della riservatezza di tale documento e il diritto del ricorrente ad un controllo giurisdizionale effettivo non comporti, nelle specifiche circostanze in esame, che il Tribunale deroghi all’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura (v., per analogia, Corte [eur. D.U., sentenza A e a. c. Regno Unito del 19 febbraio 2009, causa n. 3455/05], segnatamente i punti 205‑208).

2/ Questioni di merito:

a) Quale sia la portata giuridica del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

b) Se la Commissione abbia agito con colpa in sede di attuazione delle misure di sicurezza che erano applicabili all’alloggio provvisorio messo a disposizione del figlio del ricorrente.

c) Se sia certo il nesso di causalità tra un’eventuale colpa della Commissione e i danni lamentati.

d) Supponendo che la Commissione abbia agito con una colpa tale da far sorgere la propria responsabilità, se la Commissione possa essere considerata responsabile della totalità dei danni subiti o soltanto di una parte di essi, a causa dell’eventuale colpa delle vittime o di un fatto di terzi.

e) Se la parte del danno eventualmente legata direttamente alla colpa della Commissione sia stata sufficientemente risarcita dall’istituzione».

66      Prima dell’udienza, con lettera del 26 novembre 2010, la Commissione ha comunicato talune osservazioni sulla relazione preparatoria d’udienza, relative alla questione riportata al punto 1, lett. c), di detta relazione. Tra l’altro, essa ha sottolineato che, a suo avviso, il buon equilibrio tra la necessità di preservare la riservatezza del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza ed i diritti della difesa del ricorrente era stato trovato dal sunto redatto dal Tribunale. Quest’ultimo, quindi, non potrebbe fondare la propria analisi del fascicolo, salvo violando l’art. 44, n. 1, del proprio regolamento di procedura, su estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non menzionati in tale sunto. La Commissione si è dichiarata peraltro disposta, qualora il Tribunale avesse considerato che gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza da essa comunicatigli contenevano informazioni non menzionate nel sunto, ad analizzare la possibilità, per il Tribunale, di completare il sunto, prima della seconda udienza, continuando a ricercare il buon equilibrio tra la necessità di preservare la riservatezza del documento ed i diritti della difesa del ricorrente.

67      Con lettera indirizzata alle parti con fax del 2 dicembre 2010, il Tribunale ha precisato che nella presente controversia non si trattava di ricercare il buon equilibrio tra la preservazione della riservatezza del documento ed i diritti della difesa del ricorrente, bensì tra la preservazione della riservatezza del documento e le esigenze di una tutela giurisdizionale effettiva, poiché il ricorrente deve poter beneficiare di un controllo giurisdizionale effettivo allorché taluni documenti utili sono in possesso dell’amministrazione. Il Tribunale ha invitato le parti a fare riferimento, su tale problema, alle sentenze della Corte di giustizia 13 luglio 2006, causa C‑438/04, Mobistar (punto 40) e 14 febbraio 2008, causa C‑450/06, Varec (in particolare i punti 52, 53, e il dispositivo). Il Tribunale ha altresì chiesto alla Commissione di indicare, prima dell’udienza, se essa fosse disposta ad accettare che il sunto menzionasse quali misure di sicurezza (caratteristiche del servizio di vigilanza, del sistema di allarme, dei pulsanti antipanico, delle inferriate di protezione delle finestre) erano previste, nel documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, per gli alloggi del personale delle delegazioni del gruppo III di livello di rischio. Il Tribunale ha precisato che solo l’avvocato del ricorrente avrebbe avuto accesso a tale nuovo sunto.

68      Con lettera pervenuta nella cancelleria del Tribunale con fax del 3 dicembre 2010, la Commissione ha risposto di non essere disposta ad accettare che il sunto menzionasse le misure esatte di sicurezza previste nel documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

69      Con lettera pervenuta nella cancelleria del Tribunale con fax del 6 dicembre 2010, il ricorrente ha fatto valere che il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza era rilevante per la soluzione della controversia. Dopo aver rilevato che il sunto cui il proprio avvocato aveva avuto accesso riguardava solo l’oggetto di detto documento e non il contenuto delle misure di sicurezza ivi menzionate, il ricorrente ha chiesto di accedere agli estratti rilevanti di tale documento, quantomeno tramite il proprio avvocato, in nome del proprio diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e conformemente al principio di parità delle armi. Il ricorrente ha sottolineato che il livello di classificazione del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, il meno elevato nella classificazione prevista dalla decisione 2001/844, non sembrava poter giustificare il rifiuto all’accesso opposto dalla Commissione. In materia di diritto della concorrenza, i documenti classificati «UE riservato» sarebbero normalmente accessibili alle parti del procedimento, tramite l’adozione di misure di protezione necessarie (divieto di trarre fotocopie, accesso ai soli avvocati delle parti). Qualora ritenesse di non poter completare il sunto già redatto, né comunicare al ricorrente gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, il Tribunale dovrebbe pronunciarsi sulla controversia, fondandosi sulla giurisprudenza (citata sentenza Varec) della Corte di giustizia e in deroga all’art. 44, n. 1, del proprio regolamento di procedura, prendendo in considerazione gli estratti rilevanti di tale documento in suo possesso e non potrebbe accontentarsi del sunto.

70      La seconda udienza si è tenuta l’8 dicembre 2010. Durante l’udienza, la Commissione ha affermato che, qualora il Tribunale ritenesse il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza applicabile agli alloggi provvisori, essa non si opporrebbe al fatto che il Tribunale possa pronunciarsi sulla controversia prendendo in considerazione gli estratti rilevanti di tale documento, oltre al solo sunto.

 In diritto

I –  Sull’oggetto del ricorso

71      Sebbene il ricorrente concluda formalmente per l’annullamento della decisione dell’APN 3 febbraio 2009, occorre rammentare che una siffatta decisione, con cui l’amministrazione ha preso posizione sulle domande risarcitorie del ricorrente, è parte integrante del procedimento amministrativo che precede un ricorso per responsabilità proposto dinanzi al Tribunale ed ha il solo effetto di consentire al ricorrente di adire il Tribunale con una domanda di risarcimento. Di conseguenza, le domande di annullamento formulate dal ricorrente non possono essere valutate autonomamente rispetto alle domande di risarcimento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale di primo grado 18 dicembre 1997, causa T‑90/95, Gill/Commissione, punto 45).

72      Pertanto, il ricorso dev’essere analizzato ritenendo che abbia come solo oggetto il risarcimento dei danni che il ricorrente, il funzionario deceduto e i figli di quest’ultimo avrebbero subito a seguito dei comportamenti della Commissione.

II –  Sulla ricevibilità

A –  Argomenti delle parti

73      La Commissione solleva diverse eccezioni di irricevibilità.

74      In primo luogo, essa sostiene che, nella sua domanda di risarcimento del 25 febbraio 2008, presentata conformemente all’art. 90, n. 1, dello Statuto, il ricorrente ha limitato le proprie richieste al risarcimento di un danno materiale e non ha presentato alcuna richiesta di risarcimento di un danno morale. Il ricorso sarebbe quindi irricevibile nella parte in cui è diretto ad ottenere il risarcimento dei danni morali del funzionario deceduto, dei figli di quest’ultimo e del ricorrente.

75      In secondo luogo, per quanto riguarda il danno morale del funzionario deceduto, da un lato, l’art. 73 dello Statuto non menzionerebbe la vittima tra gli aventi diritto. La vittima non potrebbe quindi validamente far valere un danno nell’ambito di un’azione di responsabilità extracontrattuale fondata sull’art. 236 CE. Di conseguenza, poiché il funzionario deceduto non è titolare di alcun diritto ai sensi dell’art. 73 dello Statuto, nessun diritto potrà essere trasmesso al ricorrente, secondo il brocardo nemo dat quod non habet. Dall’altro, un’azione per risarcimento avviata sulla base dell’art. 236 CE consentirebbe solo di esigere un risarcimento complementare rispetto a quello previsto dall’art. 73 dello Statuto e sarebbe unicamente esperibile dalle persone che rientrano nell’ambito di applicazione personale di tale disposizione.

76      In terzo luogo, quanto al danno morale subito dal ricorrente, esso non sarebbe stato menzionato nel reclamo del 10 settembre 2008 e sarebbe quindi irricevibile. Inoltre, il ricorrente non sarebbe tra gli aventi diritto menzionati dall’art. 73 dello Statuto e non potrebbe quindi validamente far valere un danno nell’ambito della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 236 CE.

77      In quarto luogo, per quanto riguarda il danno morale subito dai figli del funzionario deceduto, esso non sarebbe ricevibile a sostegno di un ricorso per risarcimento fondato sull’art. 236 CE, dato che i figli della vittima non godono di un diritto ex art. 73 dello Statuto. Inoltre, il ricorrente non fornirebbe alcun inizio di prova del danno esistenziale subito.

78      In quinto luogo, l’argomento del ricorrente secondo cui il funzionario deceduto, se fosse vissuto, avrebbe lasciato ai propri figli un capitale ben maggiore rispetto alla somma versata dalla Commissione ai sensi dell’art. 73 dello Statuto non sarebbe accompagnato da alcun elemento di prova, e sarebbe privo di qualsiasi precisazione. Peraltro, il ricorrente non avrebbe attestato alcuna fonte alternativa di reddito (per esempio eventuali redditi da assicurazione sulla vita di cui fossero titolari il funzionario deceduto e sua moglie) che consenta di determinare il lucro cessante effettivamente subito dagli aventi diritto di cui è il legale rappresentante.

79      In sesto luogo, né il secondo, né il terzo motivo dedotti nel ricorso – rispettivamente, la responsabilità della Commissione anche senza colpa per atto lecito e la responsabilità ex art. 24 dello Statuto – sarebbero stati menzionati nella domanda di risarcimento del 25 febbraio 2008. Inoltre, tali due motivi non sarebbero accompagnati da alcun elemento che consenta di quantificare il danno fatto valere e non sarebbero oggetto di alcuna domanda nel ricorso. Tali motivi dovrebbero quindi essere dichiarati irricevibili.

80      Infine, il ricorrente non avrebbe prodotto alcun mandato degli altri tutori dei figli del funzionario deceduto, in base al quale egli sarebbe autorizzato a proporre il ricorso in nome e per conto di questi ultimi. Pertanto, egli non sarebbe legittimato ad agire.

B –  Giudizio del Tribunale

81      Occorre esaminare in primo luogo le eccezioni di irricevibilità menzionate ai punti 74‑77 della presente sentenza, tutte attinenti alle domande del ricorrente dirette ad ottenere il risarcimento dei danni morali.

82      A tal riguardo, va rammentato che, nel sistema dei mezzi di impugnazione previsto dagli artt. 90 e 91 dello Statuto, quando un ricorso è strettamente risarcitorio, nel senso che non contiene alcuna domanda diretta all’annullamento di un determinato atto, bensì è diretto esclusivamente al risarcimento di danni asseritamente causati da una serie di colpe o di omissioni che, in assenza di qualsiasi effetto giuridico, non possono essere qualificati come atti che arrecano pregiudizio, il procedimento amministrativo deve necessariamente, pena l’irricevibilità del ricorso ulteriore, iniziare con una domanda dell’interessato che invita l’APN a risarcire i danni lamentati e proseguire, eventualmente, con la presentazione di un reclamo nei confronti della decisione di rigetto della domanda (v., in particolare, sentenza del Tribunale di primo grado 13 luglio 1995, causa T‑44/93, Saby/Commissione, punto 31).

83      Peraltro, è giurisprudenza costante che le conclusioni presentate dinanzi al giudice dell’Unione devono avere il medesimo oggetto di quelle formulate nel reclamo e contenere soltanto censure che si basino sulla stessa causa di quelle esposte nel reclamo, atteso che tali censure possono, nella fase contenziosa, essere sviluppate mediante la deduzione di mezzi ed argomenti che, pur non figurando necessariamente nel reclamo, vi si ricolleghino tuttavia strettamente (v., ad esempio, sentenza della Corte 23 aprile 2002, causa C‑62/01 P, Campogrande/Commissione, punto 34).

84      Il Tribunale ha recentemente considerato che la nozione di «causa» doveva essere interpretata estensivamente (sentenza del Tribunale 1° luglio 2010, causa F‑45/07, Mandt/Parlamento, punto 119). Se è vero che tale orientamento giurisprudenziale è stato elaborato dal Tribunale a proposito di un ricorso di annullamento, ciò non esclude che esso sia applicabile in materia di risarcimento, a condizione di rispettare le specifiche caratteristiche di quest’ultimo contenzioso. Orbene, in materia strettamente risarcitoria, la nozione di «causa» non è definita con riferimento alle «contestazioni» ai sensi della giurisprudenza citata al punto precedente, bensì alle «voci di danni» fatte valere dal funzionario di cui trattasi nella sua domanda di risarcimento. Sono tali voci di danni che determinano l’oggetto del risarcimento richiesto dal funzionario e, di conseguenza, l’oggetto della domanda sulla quale deve pronunciarsi l’amministrazione.

85      Dalle considerazioni riportate ai tre punti precedenti emerge che le domande di risarcimento fondate sulle diverse voci di danni sono ricevibili dinanzi al Tribunale solo qualora siano state precedute, anzitutto, da una domanda, indirizzata all’amministrazione, avente il medesimo oggetto e fondata sulle medesime voci di danni, poi da un reclamo presentato avverso la decisione dell’amministrazione che statuisce, implicitamente o espressamente, su detta domanda.

86      Ciò non impedisce al funzionario interessato di adeguare l’importo delle pretese riportate nella sua domanda all’amministrazione, segnatamente qualora i suoi danni si aggravino ulteriormente o l’entità di tali danni possa essere conosciuta o valutata solo dopo la presentazione di detta domanda (v., in tal senso, sulla possibilità di quantificare un danno nella fase del ricorso, sentenza della Corte 23 settembre 2004, causa C‑150/03 P, Hectors/Parlamento, punto 62), ma a condizione che quest’ultima riportasse già le voci dei danni in forza delle quali egli chiede il risarcimento.

87      Nel caso di specie, se da un lato il ricorrente cerca di ottenere il risarcimento delle conseguenze dannose degli stessi fatti menzionati nella sua domanda del 25 febbraio 2008, dall’altro le sue domande risarcitorie sono fondate sulla riparazione di diversi danni morali che sarebbero stati causati, oltre che allo stesso ricorrente, a suo figlio deceduto nonché ai suoi nipoti.

88      Orbene, è pacifico che nella domanda risarcitoria contenuta nella sua lettera del 25 febbraio 2008, il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei soli danni materiali e non ha affatto dedotto le voci di danno morale fatte valere dinanzi al Tribunale.

89      È vero che, in seguito, con il suo reclamo il ricorrente ha chiesto non solo il risarcimento dei danni materiali, ma anche quello dei danni morali, il che ha consentito all’amministrazione di prendere posizione su tali voci di danni nella decisione di rigetto del reclamo, prima della proposizione del ricorso. Tuttavia, tale parte della decisione di rigetto del reclamo deve essere analizzata come la prima decisione adottata dall’amministrazione sulle dette voci di danno. Orbene, il ricorrente non ha presentato, come avrebbe dovuto fare, un reclamo nei confronti di quest’ultima decisione e non ha quindi rispettato il procedimento amministrativo in due fasi che condiziona la ricevibilità delle domande di risarcimento fondate su tali voci di danno.

90      Quanto all’argomentazione attinente alla sentenza della Corte 26 gennaio 1989, causa 224/87, Koutchoumoff/Commissione, sviluppata dal ricorrente durante la seconda udienza, essa non può essere accolta. Infatti, se è vero che la Corte ha ammesso, in tale sentenza, che un funzionario può presentare per la prima volta dinanzi al giudice domande di risarcimento, essa lo ha fatto perché la contestazione, esposta nel reclamo, della legittimità dell’atto che arrecava pregiudizio all’interessato poteva comportare una domanda di risarcimento del danno causato da tale atto. Orbene, la presente controversia ha carattere puramente risarcitorio e non si ricollega alla contestazione della legittimità di una decisione che arreca pregiudizio al ricorrente.

91      Di conseguenza, le domande dirette ad ottenere il risarcimento dei danni morali non possono che essere dichiarate irricevibili nel presente giudizio, senza che occorra esaminare le altre eccezioni di illegittimità sollevate in proposito.

92      In secondo luogo, per quanto riguarda gli argomenti della Commissione esposti al punto 78 della presente sentenza, il Tribunale ritiene che essi siano legati al problema di sapere se il ricorrente, considerati gli importi già versati dalla Commissione ai sensi delle prestazioni statutarie, abbia perduto qualsiasi interesse ad agire, problema che sarà successivamente analizzato nell’ambito dell’esame nel merito del primo motivo.

93      In terzo luogo, per quanto riguarda le eccezioni di irricevibilità sollevate nei confronti del secondo e del terzo motivo del ricorso, menzionate al punto 79 della presente sentenza, occorre esaminare anzitutto, alla luce degli elementi di cui dispone il Tribunale per pronunciarsi nel merito della controversia e per ragioni attinenti alla buona amministrazione della giustizia, se la responsabilità dell’istituzione possa sorgere anche senza colpa a causa di un atto lecito, ovvero se essa possa essere fondata sulle disposizioni dell’art. 24 dello Statuto. Nel caso in cui il Tribunale ritenesse che le domande risarcitorie del ricorrente basate su tali due motivi non siano fondate e che il ricorso debba essere respinto, non sarebbe necessario esaminare tali eccezioni di irricevibilità (sentenza della Corte 26 febbraio 2002, causa C‑23/00 P, Consiglio/Boehringer, punto 52; sentenza del Tribunale di primo grado 22 maggio 2008, causa T‑250/06 P, Ott e a./Commissione, punti 75 e 76; sentenze del Tribunale 14 novembre 2006, causa F‑4/06, Villa e a./Parlamento, punto 21, e 20 gennaio 2009, causa F‑32/08, Klein/Commissione, punto 20).

94      In quarto e ultimo luogo, per quanto riguarda l’eccezione di irricevibilità attinente al fatto che il ricorrente non sarebbe legittimato ad agire in qualità di rappresentante legale degli aventi causa del funzionario deceduto, non avendo ottenuto il consenso degli altri loro tutori, va rilevato che il ricorrente, invitato con lettera del Tribunale 15 giugno 2010 a produrre un documento che provasse che agiva con il consenso di tali co-tutori, ha presentato, con lettera del 17 giugno seguente, il mandato sottoscritto da questi ultimi. Il Tribunale è quindi in grado di constatare, in applicazione dell’art. 36 del regolamento di procedura, che il ricorso è conforme ai requisiti dell’art. 35, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento. Tale eccezione di irricevibilità va quindi disattesa.

95      Anche supponendo che la mancata produzione di un siffatto mandato al momento della proposizione del ricorso non sia sanabile durante il procedimento, il Tribunale rammenta, comunque, che la Corte ha già dichiarato che il fatto che un ente non dimostri, alla luce del diritto nazionale, la propria capacità di stare in giudizio non la priva necessariamente della possibilità di adire il giudice dell’Unione (v., in tal senso, a proposito di una società in via di formazione la cui partecipazione ad un bando di gara e la cui validità dell’offerta erano state ammesse dalla Commissione, sentenza della Corte 28 ottobre 1982, causa 135/81, Groupement des Agences de voyages/Commissione).

96      Peraltro, nella fattispecie, la Commissione non ha affatto sostenuto, nella sua risposta al reclamo del ricorrente, che quest’ultimo poteva agire solo in accordo con gli altri co-tutori degli aventi causa del funzionario deceduto, sebbene il reclamo rappresentasse l’ultima tappa del procedimento prima dell’azione giudiziaria.

III –  Nel merito

A –  Sul primo motivo, attinente ad inadempimenti della Commissione del suo obbligo di garantire la protezione del suo funzionario

1.     Argomenti delle parti

97      Secondo il ricorrente la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Commissione, relativa all’illegittimità del comportamento di detta istituzione, è soddisfatta. Infatti, la Commissione sarebbe stata negligente nel rispetto dell’obbligo generale di sicurezza ad essa incombente in qualità di datore di lavoro, obbligo che discende direttamente dal dovere di assistenza previsto all’art. 24, primo comma, dello Statuto e che avrebbe una specifica portata per quanto riguarda i funzionari impiegati in un paese terzo e le loro famiglie.

98      La Commissione sarebbe venuta meno al suo obbligo di fornire un alloggio sicuro al funzionario deceduto ed alla sua famiglia, obbligo tanto più imperativo in quanto il funzionario è tenuto, conformemente all’art. 5, n. 1, dell’allegato X dello Statuto, a risiedere nell’alloggio che l’istituzione mette a sua disposizione. La negligenza della Commissione sarebbe dimostrata dal fatto che un semplice criminale improvvisato, per di più sotto l’effetto di alcool e stupefacenti, abbia potuto introdursi facilmente all’interno della casa occupata dal funzionario deceduto senza l’ausilio di alcuno strumento di scasso e senza incontrare alcun ostacolo. La Commissione non si sarebbe affatto assicurata che le sbarre alle finestre della sala da pranzo costituissero un ostacolo efficace. Orbene, esse sarebbero state inidonee a svolgere la loro funzione. Quanto alla circostanza che la finestra di tale stanza sarebbe stata aperta, essa non sarebbe dimostrata e, comunque, non potrebbe essere dedotta per esonerare la Commissione dalla sua responsabilità. Inoltre, la Commissione dovrebbe essere ritenuta responsabile per la mancata presenza della vigilanza notturna al momento dell’effrazione. Peraltro, non sarebbero state adottate misure poco onerose, ma efficaci, come l’inclusione di un sistema di allarme e/o di un pulsante antipanico, sebbene esse siano state presentate come misure di sicurezza «standard» dall’autore della risposta scritta del 6 agosto 2007.

99      Quanto al consenso manifestato dal funzionario deceduto al momento della messa a disposizione del suo alloggio provvisorio, esso non potrebbe in alcun modo esonerare la Commissione dai suoi obblighi in materia di sicurezza. Il figlio del ricorrente non avrebbe del resto scelto tale alloggio, preso in locazione dalla Commissione prima del suo arrivo a Rabat.

100    Il ricorrente precisa di non affermare affatto che la Commissione era tenuta a garantire una sicurezza assoluta al funzionario deceduto e alla sua famiglia, bensì solo che non sono state adottate quelle misure minime, effettive e ragionevoli che avrebbero potuto rappresentare una protezione concreta per l’incolumità di suo figlio e della famiglia di quest’ultimo.

101    La Commissione rammenta la giurisprudenza secondo cui un funzionario – o i suoi aventi causa – beneficiario delle prestazioni previste all’art. 73 dello Statuto può validamente avviare un’azione per responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’istituzione di cui trattasi solo qualora tali prestazioni non siano sufficienti a garantire la piena riparazione del danno subito. Detta giurisprudenza sarebbe applicabile alle altre prestazioni statutarie versate, nella presente controversia, agli aventi causa del funzionario deceduto. Orbene, il ricorrente, cui spetterebbe l’onere della prova, ometterebbe di dimostrare che gli importi versati dalla Commissione nella presente causa sono insufficienti a tal riguardo. La Commissione esprime quindi dubbi sull’interesse ad agire del ricorrente, almeno per quanto riguarda i danni morali lamentati. Per quanto riguarda il danno materiale, il ricorrente non avrebbe affatto tenuto conto, nel calcolo dei risarcimenti richiesti, delle prestazioni statutarie erogate agli aventi causa del funzionario deceduto, sebbene la giurisprudenza sopra menzionata escluda che un’azione complementare per responsabilità extracontrattuale conduca ad un duplice indennizzo degli stessi danni.

102    La Commissione non contesta il proprio obbligo generale di sicurezza in qualità di datore di lavoro, ma obietta di aver adottato adeguate misure di protezione rese necessarie dalla situazione, escludendo quindi di aver agito con colpa. Gli argomenti difensivi della Commissione su tali problemi sono stati esposti al punto 53 della presente sentenza. Peraltro, la Commissione ritiene che il solo responsabile dei danni lamentati dal ricorrente sia l’assassino stesso. Il figlio del ricorrente sarebbe altresì incorso in talune negligenze, che avrebbero contribuito al verificarsi dei danni, per esempio non partecipando, prima della sua partenza per il Marocco, alle sessioni di informazione sulla sicurezza organizzate dalla Commissione all’attenzione delle persone inviate in una delegazione di un paese terzo, e lasciando aperta una finestra del suo alloggio durante la notte del duplice assassinio.

103    Dopo aver preso visione, nei locali della cancelleria del Tribunale, del sunto degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, il legale del ricorrente ha sottolineato che tale documento aveva un carattere vincolante per la Commissione e che esso precisava le condizioni che la stessa istituzione aveva posto all’esercizio del proprio potere discrezionale. Egli ha altresì sostenuto che la Commissione, pur essendo cosciente dei rischi corsi dai propri funzionari impiegati in Marocco, non aveva rispettato alcuna delle misure prescritte da tale documento. Senza tale inadempimento della Commissione, il duplice assassinio non sarebbe stato commesso. Inoltre, se le misure di sicurezza previste nel documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza fossero state attuate, il figlio del ricorrente avrebbe potuto dare l’allarme e non soccombere alle proprie lesioni. Sarebbe quindi stato privato di una possibilità di sopravvivenza. Il nesso di causalità tra la colpa della Commissione e i danni sarebbe chiaramente dimostrato. La responsabilità della Commissione non sarebbe attenuata da una qualsivoglia colpa del funzionario assassinato.

104    La Commissione ha risposto che il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non era applicabile agli alloggi provvisori come quello messo a disposizione del figlio del ricorrente e che comunque esso conteneva solo raccomandazioni e non misure a carattere vincolante. L’amministrazione avrebbe quindi disposto di un ampio margine discrezionale nella fattispecie, i limiti del quale essa manifestamente non avrebbe superato, atteso che le misure di protezione attuate nel caso di specie erano sufficienti e ragionevoli.

2.     Giudizio del Tribunale

a)     Sull’obiezione formulata dalla Commissione, attinente al fatto che i danni lamentati sarebbero già stati interamente risarciti

105    In via preliminare, occorre esaminare se il ricorrente soddisfi la condizione di dimostrare un danno risarcibile, in mancanza della quale la sua azione risarcitoria dovrebbe essere respinta. La Commissione sostiene infatti che i danni lamentati dal ricorrente sono stati interamente risarciti dalle prestazioni statutarie versate agli aventi causa del funzionario deceduto. Mancherebbe quindi una delle condizioni cui è subordinato il sorgere della responsabilità dell’Unione, cioè la prova dell’esistenza di un danno non risarcito, di modo che il ricorso dovrebbe essere respinto d’acchito, senza che occorra analizzare se la Commissione abbia agito con colpa. Da parte sua, il ricorrente sostiene che le prestazioni statutarie, di carattere forfettario, sono totalmente insufficienti per assicurare l’adeguato risarcimento dei notevoli danni materiali e morali subiti nella presente causa, senza precedenti nella storia delle istituzioni dell’Unione. Si imporrebbe un risarcimento complementare, considerato il carattere eccezionale delle circostanze della controversia, sulla base della giurisprudenza (sentenza della Corte di giustizia 8 ottobre 1986, cause riunite 169/83 e 136/84, Leussink/Commissione).

106    A tal riguardo, è stato giudicato che, considerato il carattere forfettario delle prestazioni previste dallo Statuto a favore degli aventi causa di un funzionario deceduto, questi ultimi possono chiedere un risarcimento complementare all’istituzione qualora essa possa essere considerata responsabile del decesso del funzionario e le prestazioni statutarie non siano sufficienti per garantire l’integrale risarcimento del danno subito (v., in tal senso, sentenza Leussink/Commissione, cit., punto 13; sentenza della Corte 9 settembre 1999, causa C‑257/98 P, Lucaccioni/Commissione, punti 22 e 23).

107    Spetta direttamente alla parte che invoca la responsabilità dell’Unione fornire prove concludenti in ordine all’esistenza o alla portata del danno lamentato e dimostrare il nesso di causalità tra tale danno e il comportamento contestato alle istituzioni (v., in particolare, sentenze della Corte 21 maggio 1976, causa 26/74, Roquette frères/Commissione, punti 22 e 23, e 7 maggio 1998, causa C‑401/96 P, Somaco/Commissione, punto 71).

108    È vero che l’argomentazione della Commissione attinente al carattere sufficiente del risarcimento fornito dalle prestazioni statutarie sembra presentarsi come un’eccezione di irricevibilità, atteso che la Commissione sembra ritenere che il ricorrente non abbia più un interesse ad agire. Si potrebbe quindi considerare, conformemente ad una giurisprudenza costante, che spetta alla parte convenuta che solleva il difetto di interesse ad agire del ricorrente dimostrare che il ricorso va incontro ad un siffatto ostacolo alla sua ricevibilità.

109    Tuttavia, una siffatta interpretazione dell’argomentazione della Commissione non può essere accolta. La tesi della Commissione consiste infatti nel sottolineare che il ricorrente non soddisfa una delle condizioni di merito alle quali è subordinato il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, vale a dire la prova di un danno risarcibile. Orbene, dal momento che spetta al ricorrente dimostrare l’esistenza e la portata dei danni di cui chiede il risarcimento, è su di esso che ricade l’onere della prova che i danni lamentati non sono stati interamente risarciti dalle prestazioni statutarie (v., in tal senso, sentenza Lucaccioni/Commissione, cit., punto 16).

110    Nella fattispecie, il Tribunale ritiene che il ricorrente abbia fornito sufficienti elementi in tal senso.

111    Anzitutto, l’ipotesi su cui il ricorrente ha basato la stima dell’importo richiesto a titolo di danno materiale, la quale rappresenta una valutazione, quantomeno approssimativa, della perdita finanziaria subita dagli aventi causa del funzionario deceduto, presupponendo che quest’ultimo avrebbe potuto continuare la propria attività fino all’età pensionabile, appare plausibile e ragionevole, anche se è vero che il periodo così preso in considerazione è di 26 anni. L’importo di EUR 2 552 837,96 menzionato nel ricorso, corrispondente alla retribuzione che il figlio del ricorrente avrebbe percepito se fosse rimasto in attività fino all’età pensionabile non è quindi eccessiva a priori. D’altra parte, il ricorrente non ha presentato alcuna domanda per la perdita dei diritti a pensione che suo figlio avrebbe potuto acquistare durante lo stesso periodo, sebbene il giudice dell’Unione ammetta che tali diritti possano essere presi in considerazione nella valutazione di un danno materiale (v., sentenze del Tribunale di primo grado 5 ottobre 2004, causa T‑45/01, Sanders e a./Commissione, punto 167, e 12 luglio 2007, causa T‑45/01, Sanders e a./Commissione, punti 87‑90).

112    Occorre poi rilevare che l’importo così calcolato supera l’importo complessivo delle prestazioni statutarie che sono state e saranno versate dalla Commissione agli aventi causa del funzionario deceduto, anche nell’ipotesi, menzionata dalla Commissione al punto 54 del controricorso, in cui dette prestazioni siano versate fino al giorno in cui i figli orfani raggiungano i 26 anni di età (importo stimato, in tale ipotesi, in EUR 2 478 375,47).

113    Infine, l’importo di EUR 2 552 837,96 fatto valere dal ricorrente è stato rivalutato in un importo di quasi 4 milioni di euro nella tabella da esso comunicata durante la prima udienza, per tener conto, segnatamente, delle promozioni che suo figlio avrebbe a suo avviso ottenuto. È vero che tali promozioni presentano, per loro natura, un carattere ipotetico, dato che i funzionari non hanno diritto a siffatte evoluzioni di carriera. Inoltre, va sottolineato che la Commissione ha accordato al funzionario deceduto il beneficio eccezionale di una promozione postuma, presa in considerazione nel calcolo delle prestazioni statutarie versate agli aventi causa dell’interessato. Tuttavia, sembra ragionevole considerare che l’importo sopra menzionato di EUR 2 552 837,96 dovrebbe dare luogo a diverse maggiorazioni, collegate quantomeno ad avanzamenti nel grado che il funzionario deceduto avrebbe potuto ottenere in funzione della sua anzianità di servizio (per la determinazione più dettagliata dell’importo dei danni materiali, v. punti 199 e 200 della presente sentenza).

114    Alla luce degli elementi forniti dal ricorrente non si può escludere che, qualora la responsabilità della Commissione fosse interamente accertata per la totalità dei danni materiali subiti, le prestazioni statutarie versate agli interessati, tutti minorenni ed orfani di padre e di madre, siano insufficienti per garantire il pieno risarcimento dei notevoli danni materiali da essi subiti. Contrariamente a quanto fatto valere in udienza dalla Commissione, il fatto che gli importi versati mensilmente agli aventi causa del funzionario deceduto a titolo delle prestazioni statutarie superino l’importo della retribuzione che tale funzionario avrebbe ricevuto nel giugno 2009 non è idoneo a rimettere in discussione tale conclusione. Infatti, detta retribuzione avrebbe potuto essere versata al figlio del ricorrente, come già affermato, fino alla sua età pensionabile, cioè per un periodo più lungo di quello previsto per il versamento delle prestazioni statutarie ai suoi aventi causa.

115    La Commissione non può quindi sostenere che l’azione per risarcimento del ricorrente è destinata al rigetto in quanto il ricorrente non avrebbe dimostrato che i danni lamentati non sono stati interamente risarciti dalle prestazioni statutarie già riconosciute agli aventi causa di suo figlio.

b)     Sull’addebito attinente al fatto che la Commissione avrebbe commesso una colpa nell’obbligo di garantire la sicurezza del funzionario deceduto e della sua famiglia

 Sulle condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Commissione

116    Emerge da una giurisprudenza costante del giudice dell’Unione che una controversia tra un funzionario e l’istituzione presso cui presta o prestava servizio e vertente sul risarcimento di un danno, allorché trovi origine nel rapporto di impiego che vincola o vincolava l’interessato all’istituzione, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 236 CE e degli artt. 90 e 91 dello Statuto e non in quello degli artt. 235 CE e 288 CE (sentenze della Corte 22 ottobre 1975, causa 9/75, Meyer-Burckhardt/Commissione, punto 7; 17 febbraio 1977, causa 48/76, Reinarz/Commissione e Consiglio, punto 10; ordinanza della Corte 10 giugno 1987, causa 317/85, Pomar/Commissione, punto 7; sentenza della Corte 7 ottobre 1987, causa 401/85, Schina/Commissione, punto 9; ordinanza del Tribunale di primo grado 26 giugno 2009, causa T‑114/08 P, Marcuccio/Commissione, punti 12, 13 e 24; sentenza del Tribunale 11 maggio 2010, causa F‑30/08, Nanopoulos/Commissione, punti 130‑133, oggetto di un’impugnazione pendente dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, causa T‑308/10 P). Tale giurisprudenza è applicabile ad una controversia tra gli aventi causa di un funzionario deceduto o i loro legali rappresentanti e l’istituzione presso cui prestava servizio detto funzionario, atteso che siffatta controversia trova origine nel rapporto di impiego tra quest’ultimo e l’istituzione.

117    La responsabilità di un’istituzione, nell’ambito dell’art. 236 CE, presuppone il soddisfacimento di un insieme di condizioni, vale a dire l’esistenza di un’irregolarità o di un illecito commesso dall’istituzione, la certezza di un danno certo e valutabile nonché l’esistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno lamentato (v., in tal senso, sentenze del Tribunale di primo grado 13 dicembre 1990, causa T‑20/89, Moritz/Commissione, punto 19; 9 febbraio 1994, causa T‑82/91, Latham/Commissione, punto 72, e 21 febbraio 1995, causa T‑506/93, Moat/Commissione, punto 46). Queste condizioni devono essere cumulativamente soddisfatte: la mancanza di una di esse è sufficiente per respingere un ricorso per risarcimento danni (sentenza Lucaccioni/Commissione, cit., punto 14).

118    Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, che il Tribunale esaminerà in primo luogo, va sottolineato che, anche quando sia in discussione non la legittimità di un’attività decisionale, bensì, come nella fattispecie, il carattere colposo di un comportamento non decisionale, il giudice dell’Unione deve prendere in considerazione, tra gli elementi rilevanti del caso di cui è investito, il margine discrezionale di cui disponeva l’amministrazione al momento dei fatti controversi.

119    Allorché l’istituzione dispone di un ampio margine discrezionale, in particolare quando non è tenuta ad agire in un senso determinato in forza di un contesto normativo applicabile, il criterio decisivo per considerare soddisfatta la prima condizione consiste nella violazione manifesta e grave dei limiti imposti a tale potere discrezionale. Qualora l’amministrazione non abbia commesso alcun errore manifesto, non può esserle contestata alcuna illegittimità e la sua responsabilità è quindi esclusa. Ad esempio, l’avvio di un’indagine in esito alla quale il funzionario interessato è scagionato non può far sorgere la responsabilità di un’istituzione se la decisione di avvio dell’indagine è basata su un’insieme sufficiente e pertinente di elementi e non è, di conseguenza, manifestamente erronea (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 2 maggio 2007, causa F‑23/05, Giraudy/Commissione, punti 104, 105 e 167).

120    Al contrario, nell’ipotesi in cui il margine discrezionale dell’amministrazione sia notevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice violazione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata, tale da far sorgere la responsabilità dell’istituzione (sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, punto 44). Pertanto, qualora l’amministrazione debba adottare un determinato comportamento impostole dai testi vigenti, dal rispetto dei principi generali o da diritti fondamentali o ancora da regole che essa stessa si è imposta, un semplice inadempimento di un obbligo siffatto è tale da far sorgere la responsabilità dell’istituzione di cui trattasi.

121    È così che il giudice dell’Unione ha potuto constatare il sorgere della responsabilità di un’istituzione che era venuta meno alla diligenza ad essa incombente in qualità di datore di lavoro per quanto attiene al controllo, alla manutenzione ed all’uso dell’autovettura di servizio con cui circolava un funzionario al momento di un incidente (sentenza Leussink/Commissione, cit., punti 15‑17), di un’istituzione che non aveva avvisato un funzionario dell’esistenza di una malattia rivelata dal suo fascicolo, sebbene avesse l’obbligo di mettere in guardia l’interessato su comportamenti pericolosi per la sua salute (sentenza del Tribunale di primo grado 18 dicembre 1997, Gill/Commissione, cit., punto 34), di un’istituzione il cui servizio medico non aveva informato un funzionario dei fattori di rischio che potevano comportare il manifestarsi di una malattia (sentenza del Tribunale di primo grado 25 settembre 1991, causa T‑36/89, Nijman/Commissione, punto 37) o di un’istituzione che non si era pronunciata entro un termine ragionevole su una domanda di riconoscimento dell’origine professionale di una malattia (sentenza del Tribunale di primo grado 11 aprile 2006, causa T‑394/03, Angeletti/Commissione, punti 161 e 167).

122    Se, da un lato, la Commissione sostiene, facendo riferimento alle sentenze del Tribunale di primo grado 8 luglio 2008, causa T‑48/05, Franchet e Byk/Commissione (punti 95‑97) e 10 dicembre 2008, causa T‑57/99, Nardone/Commissione (punto 162), che la prima condizione per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione presuppone comunque che venga provata una violazione sufficientemente caratterizzata di una regola di diritto avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli, dall’altro, secondo una giurisprudenza costante, una condizione del genere rileva ai fini delle azioni per risarcimento avviate da singoli sul fondamento dell’art. 288 CE, ma non è applicabile alle azioni per risarcimento che hanno origine nel rapporto di impiego tra un funzionario e la sua istituzione. In particolare, nelle sentenze menzionate al punto precedente, il giudice dell’Unione ha dedotto l’esistenza di una colpa dell’amministrazione dalla mera constatazione di un elemento illegittimo, senza attestare una violazione «sufficientemente caratterizzata», né verificare se la regola violata potesse essere analizzata come regola avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli. Il Tribunale di primo grado ha confermato in sede di impugnazione nella citata ordinanza Marcuccio/Commissione (punti 11, 12 e 13), pronunciata successivamente alle citate sentenze Franchet e Byk/Commissione e Nardone/Commissione, che un funzionario, in ragione del rapporto di impiego che lo lega all’Unione, non può essere trattato come un singolo e che le condizioni per il sorgere della responsabilità ai sensi dell’art. 236 CE sono diverse da quelle dell’art. 288 CE. Se fosse accolta la tesi della Commissione, le azioni per responsabilità avviate dai funzionari nei confronti dell’amministrazione dovrebbero essere soggette, in linea di principio, ad un regime di colpa grave o manifesta, mentre il requisito di una colpa grave ha senso soltanto negli ambiti in cui l’amministrazione dispone di un ampio margine discrezionale.

123    Va rilevato che, con la sentenza 16 dicembre 2010, causa T‑143/09 P, Commissione/Petrilli (punto 46), pronunciata dopo la seconda udienza della presente causa, il Tribunale dell’Unione europea ha chiaramente respinto la tesi della Commissione ed ha riconsiderato la citata sentenza Nardone/Commissione. Esso ha infatti dichiarato che, contrariamente a quanto affermato in detta sentenza, il contenzioso in materia di funzione pubblica ai sensi dell’art. 236 CE e degli artt. 90 e 91 dello Statuto, compreso quello diretto al risarcimento di un danno causato a un funzionario o a un agente, risponde a regole particolari e speciali rispetto a quelle derivanti dai principi generali che disciplinano la responsabilità extracontrattuale dell’Unione nell’ambito dell’art. 235 CE e dell’art. 288, secondo comma, CE (v., in tal senso, sentenze del Tribunale di primo grado 12 giugno 2002, causa T‑187/01, Mellone/Commissione, punto 74, e 14 ottobre 2004, causa T‑1/02, Polinsky/Corte di giustizia, punto 47). Risulta infatti dallo Statuto, tra l’altro, che, a differenza di qualsiasi altro singolo, il funzionario o l’agente dell’Unione è legato all’istituzione presso la quale presta servizio da un rapporto giuridico di impiego che implica un equilibrio di specifici diritti ed obblighi reciproci, di cui è riflesso il dovere di sollecitudine dell’istituzione nei confronti dell’interessato (v., in tal senso, sentenza della Corte 29 giugno 1994, causa C‑298/93 P, Klinke/Corte di giustizia, punto 38). Tale equilibrio è sostanzialmente destinato a preservare il rapporto di fiducia che deve esistere tra le istituzioni ed i loro funzionari al fine di garantire ai cittadini il corretto svolgimento dei compiti di interesse generale affidati alle istituzioni (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Commissione, punti 44‑47). Ne consegue che, allorché opera in qualità di datore di lavoro, l’Unione è soggetta ad una maggiore responsabilità, la quale si manifesta con l’obbligo di risarcire i danni causati al suo personale da qualsiasi atto illegittimo commesso nella sua qualità di datore di lavoro.

124    In ogni caso, pur supponendo corretta l’interpretazione della prima condizione per il sorgere della responsabilità proposta dalla Commissione, si dovrebbe constatare che la regola eventualmente violata nella presente controversia, cioè l’obbligo a carico della Commissione di garantire la sicurezza del proprio personale, è una regola avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli, ai sensi della giurisprudenza elaborata in applicazione dell’art. 288 CE (v., per analogia, a proposito dell’obbligo, derivante dal dovere di sollecitudine, di garantire un ambiente di lavoro salubre, la citata sentenza Nardone/Commissione). Il problema di sapere se l’eventuale violazione di tale regola sia o meno sufficientemente caratterizzata sarà esaminato successivamente.

125    Risulta da quanto precede che, per determinare se la Commissione abbia agito con colpa e se tale colpa sia idonea a far sorgere la sua responsabilità, occorre previamente esaminare quale fosse il margine discrezionale di cui disponeva la Commissione nel caso di specie per garantire la protezione del funzionario deceduto e della sua famiglia.

 Sulla portata del margine discrezionale di cui dispone la Commissione per garantire la sicurezza dei propri funzionari impiegati in delegazione in un paese terzo

126    Per quanto riguarda la sicurezza delle condizioni di lavoro del proprio personale, è incontestabile che la Commissione, come qualsiasi altro datore di lavoro pubblico o privato, ha un obbligo di fare. Tale personale, infatti, può far valere un diritto a condizioni di lavoro che rispettino la sua salute, la sua sicurezza e la sua dignità, come rammentato, tra l’altro, dall’art. 31, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Per questa sola ragione, è esclusa la tesi secondo cui la Commissione disporrebbe in tale ambito di un ampio potere discrezionale, formula impiegata negli ambiti in cui l’amministrazione può liberamente determinare le proprie modalità d’azione senza dover assicurare la garanzia di un diritto. Inoltre, emerge tanto dai testi generali applicabili in materia quanto dalla giurisprudenza che l’obbligo a carico della Commissione, in qualità di datore di lavoro, di garantire la sicurezza del suo personale si impone con particolare rigore e che il margine discrezionale dell’amministrazione in materia, pur non essendo inesistente, è ridotto.

127    Da un lato, per quanto attiene, in primo luogo, ai testi generali rilevanti in materia, l’art. 1 sexies, n. 2, dello Statuto dispone che i funzionari in attività hanno diritto a condizioni di lavoro rispondenti a norme sanitarie e di sicurezza adeguate e almeno equivalenti ai requisiti minimi applicabili conformemente alle misure adottate in quest’ambito ai sensi dei Trattati (v., a proposito di detto articolo, sentenza del Tribunale 30 aprile 2009, causa F‑65/07, Aayhan e a./Parlamento, punto 116). Orbene, emerge da diverse direttive europee, in particolare dalla direttiva 89/391, che il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza e la salute del suo personale in tutti gli aspetti legati al lavoro. Il contenuto dell’obbligo di garantire ai lavoratori un ambiente di lavoro sicuro è precisato agli artt. 6‑12 della direttiva 89/391, nonché da numerose altre direttive che prevedono le misure di prevenzione che devono essere adottate in taluni settori specifici. La Commissione, peraltro, nello svolgimento dei suoi compiti di custode dei Trattati, è vincolata ad un’interpretazione rigorosa degli obblighi così fissati ai datori di lavoro (v. sentenza della Corte 14 giugno 2007, causa C‑127/05, Commissione/Regno Unito). Inoltre, l’adozione, da parte della Commissione, della decisione 26 aprile 2006 conferma che tale istituzione ha tratto le conseguenze derivanti dall’art. 1 sexies, n. 2, dello Statuto, ispirandosi a norme applicabili negli Stati membri in forza della direttiva 89/391.

128    Per di più, come giustamente fatto valere dal ricorrente, l’obbligo di protezione del personale costituisce, per la Commissione, un principio soggiacente all’art. 24 dello Statuto e riveste una portata specifica per i funzionari in servizio nei paesi terzi, in cui, conformemente all’art. 5, n. 1, dell’allegato X dello Statuto, sono tenuti a risiedere in un alloggio messo a loro disposizione dall’istituzione. L’art. 5, n. 2, dell’allegato X dello Statuto prevede a tal riguardo che l’APN determini le dotazioni di mobilio e altre attrezzature degli alloggi, in funzione delle condizioni prevalenti in ciascuna sede di servizio. Tali alloggi formano quindi oggetto di un inquadramento regolamentare specifico e non possono, segnatamente nelle sedi di servizio ove esista un particolare rischio per la sicurezza dei funzionari, essere considerati sottratti alla responsabilità dell’amministrazione. L’obbligo di protezione si estende, peraltro, ai membri della famiglia del funzionario che risiedono con lui nel paese terzo di cui trattasi, come attesta il fatto che anche i coniugi devono partecipare a talune sessioni di informazione sui problemi di sicurezza nell’ambito dei cicli di «pre-posting».

129    Dall’altro, quando è giunta a riconoscere che la responsabilità di un’istituzione era sorta per l’inadempimento del suo obbligo di garantire la sicurezza del suo personale, la Corte di giustizia dell’Unione europea non ha ritenuto che l’amministrazione disponesse in materia di un ampio potere discrezionale, né che l’inadempimento constatato dovesse presentare un particolare carattere di gravità. È così che un’istituzione è stata condannata a risarcire le conseguenze di un incidente occorso in una colonia di vacanze che ospitava figli di suoi funzionari, non avendo previsto adeguate garanzie contrattuali e non avendone informato gli interessati (sentenza della Corte 7 ottobre 1982, causa 131/81, Berti/Commissione, punti 23 e 24), ovvero a risarcire un funzionario vittima di un incidente mentre viaggiava in missione a bordo di un autoveicolo di servizio con difetti di manutenzione condotto da un altro funzionario dell’istituzione (sentenza Leussink/Commissione, cit., punti 15‑17). La Corte ha anche considerato che tale obbligo di sicurezza sussistesse altresì nei confronti di un artigiano del settore delle costruzioni che non era né funzionario né agente dell’istituzione, vittima di una caduta da un edificio dell’istituzione per la quale operava (sentenza della Corte 27 marzo 1990, causa C‑308/87, Grifoni/CEEA, punti 13 e 14).

130    Tuttavia, per quanto sia esteso, tale obbligo di garantire la sicurezza del suo personale non può giungere fino al punto di far gravare sull’istituzione un’obbligazione assoluta di risultato. In particolare, non possono essere trascurati i vincoli di natura finanziaria, amministrativa o tecnica cui l’amministrazione deve far fronte, i quali rendono talvolta difficile, se non impossibile, l’attuazione a breve termine di misure, anche urgenti e necessarie, malgrado la diligenza prestata dalle autorità competenti. Inoltre, tale obbligo di sicurezza diventa delicato qualora il funzionario di cui trattasi, a differenza di un lavoratore che occupa un luogo fisso in un locale determinato, sia condotto, come nel caso del figlio del ricorrente, a svolgere le sue funzioni in un paese terzo e ad assumere una funzione, paragonabile ad una funzione diplomatica, esposta a rischi diversificati e meno agevolmente identificabili e controllabili.

131    A tal riguardo, da un lato, il Tribunale rileva che l’alloggio di un siffatto funzionario, anche se viene messo a sua disposizione in ragione delle sue funzioni e forma oggetto di misure di protezione specifiche in talune delegazioni di paesi terzi, non può essere completamente equiparato ad un posto di lavoro o ad un luogo di lavoro ai sensi della direttiva 89/391. Gli alloggi del personale delle delegazioni dei paesi terzi non corrispondono d’altronde alla definizione dei «luoghi di lavoro» né a quella dei «siti della Commissione», come menzionate, restrittivamente, dalla decisione 26 aprile 2006. Inoltre, la direttiva 89/391 prevede, al suo art. 5, n. 4, che gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere l’esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata. Una simile limitazione di responsabilità, prevista dalla direttiva 89/391 per i datori di lavoro negli Stati membri può quindi essere ammessa per le istituzioni dell’Unione nella loro qualità di datori di lavoro, nell’ambito dell’art. 1 sexies, n. 2, dello Statuto.

132    Considerato quanto precede e tenendo debitamente conto delle specificità delle condizioni di vita e di lavoro di un funzionario assegnato ad una delegazione di un paese terzo, il Tribunale ritiene, alla luce delle principali regole contenute nella direttiva 89/391, che l’obbligo di sicurezza a carico della Commissione in un contesto siffatto comporta, anzitutto, che l’istituzione valuti i rischi cui è esposto il proprio personale e proceda ad un iter preventivo integrato a tutti i livelli del servizio, in seguito, che essa informi il personale interessato dei rischi che hanno potuto essere identificati e si accerti che il personale abbia effettivamente ricevuto le pertinenti istruzioni relative ai rischi per la sua sicurezza, infine, che essa adotti le adeguate misure di protezione e predisponga l’organizzazione ed i mezzi che essa ha giudicato necessari.

133    Nella fattispecie, il ricorrente concentra la sua critica su quest’ultima parte, relativa alle misure di protezione che la Commissione avrebbe omesso di predisporre. Egli non fa valere alcun inadempimento della Commissione ai suoi obblighi di valutazione preventiva del rischio e di informazione di suo figlio.

134    Il Tribunale ritiene tuttavia necessario sottolineare, prima di esaminare la natura delle misure che la Commissione doveva predisporre, che l’istituzione non ha affatto violato il suo obbligo di valutare preventivamente i rischi cui sono esposti i suoi funzionari assegnati alla delegazione di Rabat.

135    Infatti, da un lato, la Commissione ha proceduto, per il suo personale assegnato a Rabat all’epoca dei fatti di causa, ad una valutazione preventiva dei rischi cui esso era esposto. Emerge dalle istruzioni di sicurezza che vengono impartite ai funzionari prima dell’entrata in servizio presso la delegazione, nel programma c.d. di «pre-posting», che i rischi presi in considerazione dalla Commissione per il Marocco erano quelli ai quali sono esposte persone il cui livello di vita è relativamente elevato durante il loro soggiorno, cioè rischi di aggressione in taluni luoghi o a talune ore, di furto o di rapina. Dall’altro, nel gennaio 2006, diversi mesi prima del duplice assassinio, il livello di rischio relativo alla delegazione di Rabat e agli alloggi del personale era stato aumentato al livello del «gruppo III», il livello di rischio più elevato per le delegazioni nei paesi terzi, il che comportava segnatamente la vigilanza permanente degli alloggi del personale espatriato da parte di una società specializzata. Se è vero che il Marocco non era elencato, prima del 2006, tra i paesi in cui i rischi di attentati contro i membri del corpo diplomatico erano particolarmente elevati, in quanto contro questi ultimi non era stata precedentemente riportata alcuna aggressione (salvo quella di cui sono state vittime i diplomatici colpiti nell’attentato contro il Re a Skhirat nel 1971), la Commissione ha comunque ritenuto che potesse esistere in diversi paesi, tra cui il Marocco, una minaccia terroristica riguardante più direttamente l’Unione europea tale da giustificare il passaggio della delegazione di Rabat dal gruppo II al gruppo III di livello di rischio. Inoltre, in una nota ai capi di delegazione del 6 febbraio 2006, il direttore della direzione «Servizio esterno» della DG «Relazioni esterne» aveva rammentato, in tale contesto, diverse raccomandazioni, in particolare la sensibilizzazione del personale di vigilanza per una «maggiore attenzione e sorveglianza degli uffici, delle residenze e degli alloggi» e l’importanza di «far rispettare scrupolosamente le istruzioni e le procedure contrattuali».

136    La Commissione non aveva quindi affatto sottovalutato i rischi incorsi dai suoi funzionari assegnati alla delegazione di Rabat.

 Sull’esistenza di una colpa nella predisposizione di adeguate misure di protezione

137    Per quanto riguarda le misure di protezione adottate nella fattispecie, il Tribunale è giunto alla conclusione, sulla base di informazioni ottenute a seguito di misure istruttorie, che la Commissione è venuta meno ai suoi obblighi.

138    Ad una prima analisi, si poteva ritenere, alla luce delle sole informazioni di cui il Tribunale disponeva precedentemente alla prima udienza, che le misure di protezione dell’alloggio occupato dal funzionario deceduto e dalla sua famiglia fossero appropriate. Infatti, tale alloggio si trovava in un quartiere calmo e residenziale, abitato da alti funzionari dello Stato marocchino nonché da espatriati e da diplomatici. Non era isolato, ma si trovava in un complesso circondato da un muro di cinta alto due metri. L’ingresso del complesso era sorvegliato in linea di massima da un guardiano collocato in una garitta posta di fronte alla casa occupata dal funzionario deceduto e dalla sua famiglia, a circa dieci metri dal suo ingresso principale. Detta casa beneficiava quindi di una delle misure di protezione considerate «complementari» dall’autore della risposta scritta del 6 agosto 2007. Inoltre, la casa sembrava dotata di dispositivi tali da prevenire i rischi normalmente prevedibili di intrusione: tutte le porte di accesso erano provviste di serrature di tipo «Yale» che erano state cambiate dai servizi della delegazione prima dell’arrivo del funzionario che poi è ivi deceduto e tutte le uscite (ad eccezione della porta d’ingresso principale e della porta della terrazza situata al primo piano) erano protette da sbarre di ferro.

139    Tuttavia, durante l’udienza del 15 dicembre 2009, il Tribunale ha avuto conoscenza, per la prima volta, di talune informazioni relative alle misure di sicurezza applicabili al personale delle delegazioni dei paesi terzi, e segnatamente del fatto che il Marocco era considerato, nel 2006, un paese a rischio elevato per il personale della delegazione.

140    Per determinare quali fossero la natura e la portata di tali misure e poter così rispondere agli argomenti del ricorrente, secondo il quale la Commissione non aveva predisposto, nell’alloggio in cui sono stati commessi gli assassinî, le misure di protezione da essa stessa giudicate necessarie per gli alloggi messi a disposizione del suo personale assegnato a Rabat, il Tribunale ha adottato tre ordinanze, con le quali si è ordinato alla Commissione di produrre i documenti pertinenti ai fini di tale analisi.

141    Va rilevato che, prima di ordinare tali misure istruttorie, il Tribunale aveva ritenuto che il ricorrente avesse dimostrato con sufficiente precisione e verosimiglianza che negli alloggi messi a disposizione del personale delle delegazioni dovevano essere rispettate talune misure di protezione, in particolare con riferimento alla risposta scritta del 6 agosto 2007. Inoltre, i documenti di cui il Tribunale desiderava ottenere comunicazione potevano costituire non elementi di prova, ma elementi del contesto normativo della controversia. Orbene, il Tribunale non può pronunciarsi sul fatto che la Commissione abbia rispettato o meno i suoi obblighi di sicurezza senza avere conoscenza della natura e della portata di questi ultimi, i quali emergono dal contesto normativo applicabile alla controversia.

142    Tra i documenti comunicati dalla Commissione, il Tribunale ha ritenuto che dovessero essere presi in considerazione specialmente gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza e, per rispettare la riservatezza di tale documento classificato «UE riservato», ha redatto un sunto di tali estratti.

143    Tuttavia, la Commissione si è opposta al versamento degli estratti al fascicolo ed all’accesso a questi ultimi da parte del ricorrente. Il ricorrente ha sostenuto, da parte sua, che tale comportamento ostruzionistico della Commissione gli sembrava ingiustificato e pregiudizievole al suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Egli ha fatto valere che il sunto redatto dal Tribunale riguardava il solo oggetto degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, e non il loro stesso contenuto e che esso era pertanto insufficiente a garantire la parità delle armi nel processo. Egli ha quindi chiesto di accedere agli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza ovvero, in mancanza, che il Tribunale potesse prendere in considerazione tali estratti nella sua analisi della causa, in deroga all’art. 44, n. 1, del suo regolamento di procedura.

144    Occorre quindi pronunciarsi sulla domanda del ricorrente di accedere a tale documento e, in caso di rigetto di tale domanda, considerare secondo quali modalità detto documento possa essere utilizzato dal Tribunale.

–       Sulla domanda del ricorrente di accedere agli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza

145    Occorre anzitutto rilevare che il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza è classificato «UE riservato» e che, in linea di principio, un documento classificato è accessibile alle sole persone specificamente abilitate, come espressamente previsto dalla decisione 2001/844. Il ricorrente potrebbe quindi accedere a tale documento solo se abilitato a tal fine, il che non può essere agevolmente immaginabile, dato che il ricorrente non ha alcun rapporto professionale con le istituzioni. Egli potrebbe accedervi anche se tale documento fosse formalmente declassificato. Orbene, interrogata su tale punto dal Tribunale, la Commissione ha escluso che possa essere adottata una decisione di declassificazione.

146    Qualora il Tribunale decidesse, al di fuori di qualsiasi procedimento di declassificazione, di comunicare al ricorrente gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, esso violerebbe le regole di trattamento vigenti per siffatto documento. Una decisione del genere pregiudicherebbe anche la fiducia e la lealtà che devono presiedere ai rapporti tra il giudice e l’amministrazione dell’Unione, atteso che l’istituzione ha comunicato tali estratti al Tribunale ai soli fini di verifica, da parte di quest’ultimo, del loro carattere riservato. Soltanto considerazioni imperative, attinenti segnatamente alla protezione dei diritti fondamentali, potrebbero giustificare, a titolo eccezionale, che il Tribunale versi al fascicolo e comunichi a tutte le parti un documento classificato senza il consenso dell’amministrazione. Orbene, circostanze siffatte non sussistono nel caso di specie.

147    Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, poi, la circostanza che la Commissione faccia valere il carattere riservato del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non è affatto abusivo o sproporzionato. La protezione di tale riservatezza è infatti necessaria per garantire la sicurezza del personale delle delegazioni nei paesi terzi e a fortiori di quello assegnato nelle delegazioni a livello di rischio di gruppo III, in cui il rischio di terrorismo è considerato particolarmente elevato, come nel caso del Marocco a partire dal 2006.

148    Se è vero che il fatto che il solo avvocato del ricorrente prenda visione degli estratti del documento, nei locali del Tribunale, potrebbe essere una misura meno restrittiva del diniego di accesso, giustificata dalle garanzie, segnatamente disciplinari, che accompagnano l’esercizio della professione di avvocato, una misura siffatta continuerebbe a presentare un rischio di divulgazione dei dati, tale da mettere a repentaglio la sicurezza del personale delle delegazioni, pur essendo indubbia la probità dell’avvocato.

149    Infine, e soprattutto, il Tribunale ritiene che nella fattispecie il diritto del ricorrente ad una tutela giurisdizionale effettiva ed al rispetto della parità delle armi non esigono che quest’ultimo o il suo avvocato abbiano conoscenza del contenuto stesso degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza. È infatti possibile, per il Tribunale, utilizzare gli estratti di tale documento secondo modalità che rispettino al contempo i diritti del ricorrente e il carattere riservato del documento.

–       Sull’utilizzazione, da parte del Tribunale, del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza

150    Come risulta dalla parte della presente sentenza dedicata al procedimento, il Tribunale ha considerato che gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza che gli sono stati comunicati erano rilevanti per la soluzione della controversia. Tali estratti precisano infatti quali misure di sicurezza erano previste dalla Commissione per gli alloggi del personale delle delegazioni del gruppo III di livello di rischio, tra le quali, dal gennaio 2006, si trova il Marocco. Per conciliare il carattere riservato di tale documento, il principio del contraddittorio del processo ed il diritto del ricorrente ad una tutela giurisdizionale effettiva, il Tribunale ha redatto un sunto degli estratti di cui trattasi, conformemente alla proposta della Commissione (v., per analogia, citata ordinanza AM & S/Commissione).

151    Il ricorrente sostiene a giusto titolo che tale sunto riflette il solo oggetto degli estratti rilevanti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza e, poiché non fornisce alcuna indicazione del contenuto stesso delle misure di sicurezza precisamente menzionate in tali estratti, non gli consente di far valere i propri diritti a una tutela giurisdizionale effettiva. Tale sunto non può, da solo, garantire il rispetto dell’equilibrio tra gli interessi contraddittori menzionati al punto precedente, né la parità delle armi tra le parti (v., per analogia, per una causa in cui la comunicazione al Tribunale e al ricorrente, sotto forma di sunto, di un documento riservato è stata dichiarata insufficiente a garantire i diritti della difesa, sentenza del Tribunale dell’Unione europea 30 settembre 2010, causa T‑85/09, Kadi/Commissione, punto 174, oggetto di impugnazioni pendenti dinanzi alla Corte, cause C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P).

152    In un contesto siffatto, spetta al Tribunale trovare il giusto equilibrio tra gli interessi contrapposti, verificando in particolare se sia possibile derogare nella fattispecie all’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura, in forza del quale il Tribunale prende in considerazione solo documenti e atti dei quali i rappresentanti delle parti hanno potuto avere conoscenza e sui quali essi hanno potuto pronunciarsi.

153    Come è stato giudicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, il diritto ad un processo in pieno contraddittorio può essere compresso entro i limiti strettamente necessari alla salvaguardia di un interesse pubblico rilevante, come la sicurezza nazionale, la necessità di mantenere segreti taluni metodi di polizia di indagine dei reati ovvero la protezione dei diritti fondamentali di terzi. Tuttavia, per garantire un equo processo all’accusato, qualsiasi difficoltà causata dalla limitazione dei diritti dell’interessato deve essere sufficientemente compensata dal procedimento seguito dinanzi all’autorità giudiziaria (v., in tal senso, Corte eur. D.U., sentenza A. e a. c. Regno Unito, cit., segnatamente punti 205‑208, e giurisprudenza ivi citata).

154    È vero che tale giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è applicabile in materia penale, come giustamente rilevato dalla Commissione, e non è applicabile alla presente causa, che non attiene a tale materia e, inoltre, non solleva il problema dei diritti della difesa del ricorrente, bensì quello del diritto di quest’ultimo ad un ricorso effettivo. Tuttavia, essa fornisce talune indicazioni cui il giudice dell’Unione può ispirarsi nella conduzione del processo pendente dinanzi ad esso (v., in tal senso, sentenza Varec, cit., punti 46‑48).

155    Inoltre, la Corte ha dichiarato che il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva comporta che, per risolvere la controversia di cui è investito, il giudice possa disporre delle informazioni richieste, comprese le informazioni riservate, per essere in grado di pronunciarsi con piena cognizione di causa (v., in tal senso, sentenza Varec, cit., punti 53 e 55).

156    Risulta da quanto precede che la protezione della riservatezza degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza comporta, nella presente controversia, che il ricorrente non abbia accesso a tale documento, se non sotto forma di un sunto sommario e, di conseguenza, che il processo non sia in pieno contraddittorio. Tuttavia, il diritto del ricorrente ad una tutela giurisdizionale effettiva può essere garantito, in una situazione siffatta, solo se il Tribunale, derogando all’art. 44, n. 1, del suo regolamento di procedura, si fonda direttamente sugli estratti rilevanti di tale documento, per essere in grado di pronunciarsi con piena cognizione di causa, sebbene tali estratti siano stati comunicati al Tribunale dalla Commissione al solo scopo di verifica, da parte del Tribunale, della riservatezza del documento.

157    Va peraltro sottolineato che la Commissione, la quale nelle sue osservazioni del 26 novembre 2010 sulla relazione preparatoria della seconda udienza aveva respinto tale modo di procedere del Tribunale, durante la seconda udienza non si è più opposta a che il Tribunale prendesse in considerazione gli estratti rilevanti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, qualora avesse ritenuto che tale documento disciplinasse la situazione degli alloggi provvisori del personale delle delegazioni.

–       Sull’applicabilità del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza all’alloggio provvisorio messo a disposizione del figlio del ricorrente e della sua famiglia

158    Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, il documento del 2006 sulle norme e i criteri non riguarda solo la situazione degli alloggi che l’istituzione qualifica come «definitivi».

159    Anzitutto, nessuno degli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri cui il Tribunale ha potuto accedere impiega tale qualificazione. Detti estratti fanno riferimento soltanto agli «alloggi» del personale delle delegazioni («staff houses»). Neanche gli altri testi o documenti rilevanti per l’analisi della causa confermano l’esistenza di una distinzione, in materia di sicurezza, tra alloggi definitivi e alloggi provvisori. Infatti, l’art. 18 dell’allegato X dello Statuto si limita a prevedere che, al suo arrivo nel paese terzo, il funzionario costretto ad alloggiare in albergo o in un alloggio provvisorio ha diritto, previo assenso dell’autorità competente, al rimborso delle spese effettive di locazione di tale alloggio. Il vademecum della DG «Relazioni esterne» non contiene ulteriori disposizioni relative alle misure di sicurezza applicabili negli alloggi provvisori e si limita a precisare a quali condizioni sono subordinati la presa in carico delle spese di locazione di tali alloggi e il versamento dell’indennità giornaliera al funzionario interessato. Al punto 15.3.3 di tale vademecum, intitolato «Limitazioni», si indica soltanto che gli aspetti finanziari e di sicurezza sono presi in considerazione nella scelta degli alloggi provvisori e che i periodi di alloggio provvisorio devono essere il più possibile limitati. Si considera infatti appropriato che, alla fine dell’assegnazione, la durata dell’alloggio provvisorio non superi una settimana. Tenuto conto dell’inserimento di tale punto in un capitolo del vademecum dedicato agli aspetti finanziari e amministrativi della permanenza in un alloggio provvisorio, da una siffatta indicazione non si può trarre alcuna conclusione sulla natura delle misure di sicurezza applicabili ad un alloggio del genere.

160    Il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, poi, contiene, alla pagina 142, la quale figurava tra gli estratti del documento trasmesso al Tribunale, la seguente frase, riprodotta nel sunto del documento di cui l’avvocato del ricorrente ha preso conoscenza: «le raccomandazioni menzionate in detto documento sono requisiti minimi di sicurezza che devono essere soddisfatti in qualsiasi circostanza; nessuna eccezione o soluzione alternativa dovrà essere prevista senza il previo consenso della DG “Personale e amministrazione” ‑ Direzione “Sicurezza”». Se la precisazione secondo cui tali requisiti minimi di sicurezza devono essere soddisfatti «in qualsiasi circostanza» riguardasse i soli alloggi «definitivi», essa perderebbe la sua ragion d’essere. Gli autori del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza conoscono l’utilizzo occasionale degli alloggi provvisori nelle delegazioni e avrebbero probabilmente menzionato la particolare situazione di tali alloggi se avessero inteso escluderli dalla sfera di applicazione di detto documento.

161    Infine, se è vero, come sostenuto dalla Commissione durante la seconda udienza, che gli alloggi provvisori, per loro natura, non possono disporre in ogni caso di tutti i dispositivi di protezione degli alloggi permanenti o «definitivi», tale circostanza non dimostra che il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non sia loro applicabile. Infatti, prevedendo la possibilità di deroghe a tali misure con il previo consenso del servizio competente, detto documento consente l’adeguamento delle misure di sicurezza alle caratteristiche degli alloggi di cui trattasi e che si tenga così conto del loro carattere provvisorio.

162    Pertanto, si deve ritenere che il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza sia in effetti rilevante per valutare se l’alloggio provvisorio occupato dal figlio del ricorrente e dalla sua famiglia fosse oggetto di misure di sicurezza appropriate, atteso che le misure menzionate in tale documento per gli alloggi del personale delle delegazioni del gruppo III di livello di rischio sono applicabili «in qualsiasi circostanza».

163    In subordine, anche qualora si ammettesse che tale documento non era applicabile all’alloggio in questione, si dovrebbe tener conto dell’esistenza di siffatte previsioni nei confronti degli alloggi definitivi per valutare se la Commissione, nel caso di un alloggio provvisorio, abbia agito con la necessaria diligenza. Tale analisi subordinata sarà effettuata più avanti.

–       Sulla portata giuridica del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza

164    Come il ricorrente ha giustamente sostenuto durante la seconda udienza, tale documento costituisce una direttiva interna con la quale la Commissione ha ristretto il margine discrezionale di cui essa dispone nella messa in atto delle misure di protezione del suo personale, e che le è opponibile finché non l’avrà modificata.

165    Da un lato, le misure menzionate in tale documento, considerata la loro finalità, il loro tenore letterale, il loro grado di precisione, le loro condizioni di applicazione e le indagini di cui possono formare oggetto, appaiono misure vincolanti, e non costituiscono mere raccomandazioni prive di portata giuridica obbligatoria, salvo privare di effettività l’obbligo di sicurezza che incombe alla Commissione. Quest’ultima ha quindi inesattamente sostenuto, fino alla prima udienza, che nessun testo di nessuna natura enunciava le misure di sicurezza previste per gli alloggi del personale della delegazione del Marocco e che esisteva soltanto una raccomandazione generale, iscritta nel vademecum della DG «Relazioni esterne», di protezione delle residenze e degli alloggi di funzione all’attenzione del capo di delegazione.

166    Dall’altro, emerge chiaramente dal fascicolo che nel 2006 i servizi della delegazione in Marocco si ritenevano tenuti a porre in essere tali misure tanto più rapidamente in quanto, nel gennaio 2006, la delegazione era passata dal gruppo II di livello di rischio al gruppo III, il più elevato nella scala dei rischi. Peraltro, nel novembre 2005, i servizi della delegazione erano stati oggetto di un’ispezione, da parte dei servizi competenti della DG «Relazioni esterne», relativa alla «conformità della Delegazione alle “norme e criteri”», norme e criteri che sono precisamente quelli contenuti nel documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza. Emerge altresì da una nota del 6 giugno 2006 del capo della delegazione e dal rapporto di missione allegato a tale nota, redatto dal responsabile regionale di sicurezza a seguito della sua ispezione dal 10 al 13 maggio 2006 a Rabat, che «l’obbligo per ciascun funzionario e agente contrattuale di disporre […] di un servizio di vigilanza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7» doveva essere pienamente rispettato, che erano necessari taluni lavori per la messa in sicurezza degli alloggi e che era messo un accento particolare sull’installazione, vivamente consigliata, di sbarre alle finestre di uno degli alloggi, nonché sull’obbligo di equipaggiare «gli alloggi» di un sistema d’allarme e di un pulsante antipanico.

167    Anche supponendo che siffatte misure di sicurezza abbiano una portata analoga a quella delle direttive interne che, secondo la giurisprudenza, sono qualificate come regole di condotta «indicative» che l’amministrazione impone a sé stessa, la Commissione non ha affatto argomentato che considerazioni di interesse generale o ragioni attinenti all’interesse del servizio avrebbero giustificato la mancata applicazione di tali misure nel caso di specie. La Commissione ha soltanto asserito, erroneamente, che le misure enunciate nel documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non erano applicabili agli alloggi provvisori.

168    Risulta da quanto precede che, per valutare se la Commissione abbia commesso una colpa nel rispetto dei suoi obblighi di sicurezza, il Tribunale deve prendere in considerazione le misure che la stessa Commissione riteneva appropriate al livello di rischio esistente in Marocco nel 2006, come emerge dal documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza.

–       Sulla sussistenza di una colpa della Commissione

169    Dagli atti del fascicolo, in particolare dal sunto e dagli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, risulta che la Commissione aveva fissato requisiti minimi di sicurezza per gli alloggi del proprio personale assegnato alla delegazione di Rabat, che comportavano l’attuazione di dispositivi di protezione corrispondenti al livello di rischio valutato per il Marocco e applicabili in qualsiasi circostanza, in particolare l’installazione di un allarme anti-intrusione, di pulsanti antipanico, di inferriate di protezione aventi precise caratteristiche ed una vigilanza permanente da parte di una società specializzata.

170    Come già rilevato, tali misure erano applicabili a tutti gli alloggi messi a disposizione del personale della delegazione, a meno che fossero state previamente accordate deroghe da parte del servizio competente. Dette misure erano dirette a prevenire un rischio terroristico considerato tanto serio da giustificare la classificazione della delegazione nel gruppo III di livello di rischio. Il capo della delegazione aveva inoltre chiesto alla DG «Relazioni esterne» lo svolgimento di un’indagine. Quest’ultima, condotta dal 10 al 13 maggio 2006, aveva permesso di evidenziare talune carenze nella protezione degli alloggi messi a disposizione del personale della delegazione.

171    Orbene, sebbene l’amministrazione della Commissione fosse pienamente consapevole dei rischi particolarmente elevati cui era esposto il proprio personale, nessuna delle misure previste per la protezione degli alloggi nelle delegazioni del gruppo III di livello di rischio era stata messa in atto nell’alloggio occupato dal figlio del ricorrente e dalla sua famiglia.

172    Detto alloggio non era equipaggiato né con un sistema d’allarme anti-intrusione, né con pulsanti antipanico. Le sbarre tra le quali l’assassino si è lasciato scivolare non erano conformi ai requisiti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, requisiti di cui il Tribunale ha potuto prendere conoscenza attraverso uno degli estratti del documento comunicato dalla Commissione e che, se fossero stati rispettati, avrebbero reso le sbarre inviolabili anche per un aggressore di corporatura esile. Tali sbarre erano quindi, come fatto valere dal ricorrente, effettivamente inidonee a svolgere la loro funzione. Infine, la vigilanza della casa non era assicurata da una società specializzata, incaricata della protezione di tale edificio 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Come la Commissione ha precisato durante la seconda udienza, il guardiano, la cui garitta era posta in prossimità dell’ingresso della casa, era incaricato della sorveglianza di un insieme di case situate nello stesso comprensorio e non era tenuto a sorvegliare più specificatamente la casa occupata dal figlio del ricorrente. D’altronde, il contratto di locazione della casa non contiene alcuna precisazione sulle condizioni della sua sorveglianza. Si può altresì rilevare che, la notte dell’assassinio, il guardiano era presente al momento dell’intrusione dell’omicida, ma sembra che non ci fosse alcuna sorveglianza ad un’ora più avanzata: l’assassino ha quindi potuto caricare nella macchina delle vittime, parcheggiata dinanzi all’ingresso, oggetti rubati nella casa (un equipaggiamento di golf, dipinti e suppellettili, un televisore, ecc.) e allontanarsi indisturbato al volante di tale autoveicolo. Il Tribunale nota peraltro che nell’alloggio non erano presenti neanche talune delle misure previste per gli alloggi delle delegazioni del gruppo II di livello di rischio (sistema d’allarme anti-intrusione e pulsanti antipanico).

173    È vero che, per constatare un inadempimento della Commissione ai suoi obblighi in materia di sicurezza, il Tribunale non può limitarsi a rilevare che le misure di protezione previste dal documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza non erano rispettate. Va da sé che, in circostanze particolari, anche di emergenza, si può immaginare che venga occupato un alloggio provvisorio che non dispone degli stessi dispositivi di sicurezza di cui dispone un alloggio definitivo.

174    Tuttavia, anche in una situazione del genere, l’amministrazione non può sottrarsi all’attuazione di misure minime, che consentano di affrontare i principali rischi per la sicurezza degli occupanti dell’alloggio provvisorio o di limitarne la probabilità, in condizioni accettabili sotto il profilo finanziario e amministrativo. Ciò vale tanto più in quanto talune circostanze particolari erano state portate a conoscenza della Commissione.

175    Orbene, nella fattispecie, l’elevato livello di rischio stabilito per il Marocco, a causa delle minacce terroristiche che potevano riguardare un funzionario dell’Unione, l’indagine svolta nel maggio 2006, la quale aveva evidenziato carenze nella protezione degli alloggi messi a disposizione del personale della delegazione nonché la presenza di quattro figli minori nella famiglia del funzionario di cui trattasi rappresentavano altrettanti elementi idonei a giustificare precauzioni particolari prima del trasferimento, anche provvisorio, del funzionario nell’alloggio in questione. Va altresì rilevato che la Commissione non ha affatto sostenuto che le misure di protezione predisposte nell’alloggio messo a disposizione del funzionario deceduto erano state oggetto di una deroga da parte del servizio competente, in applicazione del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza. La Commissione non ha neanche affermato che avrebbero presentato difficoltà, sotto il profilo finanziario o amministrativo, lavori supplementari di messa in sicurezza della casa in questione, come la modifica delle sbarre della finestra attraverso la quale l’assassino si è introdotto nell’alloggio, o l’installazione di un sistema d’allarme o di pulsanti antipanico o ancora l’estensione provvisoria del contratto di vigilanza garantita da una società specializzata. D’altronde, la Commissione sapeva fin dal 6 aprile 2006, data di accettazione della sua assegnazione al Marocco da parte del figlio del ricorrente, che sarebbe stato necessario predisporre un alloggio per lui e per la sua famiglia a Rabat. Infine, il fatto che il figlio del ricorrente e la sua famiglia desiderassero lasciare l’albergo in cui erano temporaneamente alloggiati, in condizioni disagiate per una famiglia con quattro figli, non era tale da esonerare l’amministrazione dal suo obbligo di porre in essere dispositivi di protezione corrispondenti al livello di rischio accertato per la delegazione, attuando, se non tutte le misure previste dal documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, quanto meno una o talune tra quelle che potevano essere attuate senza grandi difficoltà per l’istituzione, ad esempio la posa di nuove sbarre e l’installazione di pulsanti antipanico.

176    Risulta da quanto precede che il ricorrente può legittimamente sostenere che la Commissione ha commesso una colpa tale da far sorgere la sua responsabilità.

177    Anche supponendo che ciò sia necessario, il Tribunale ritiene che tale inadempimento della Commissione al suo obbligo di garantire la protezione del proprio funzionario e della sua famiglia inviati in un paese terzo costituisce, per i motivi esposti ai punti 171‑175 della presente sentenza, una violazione sufficientemente caratterizzata di una regola avente ad oggetto il conferimento di diritti al figlio del ricorrente e alla sua famiglia tale da far sorgere la responsabilità della Commissione.

 Sul nesso di causalità e sull’esistenza di una causa di esonero della responsabilità (colpa delle vittime e fatto di un terzo)

178    Durante la seconda udienza, il ricorrente e la Commissione hanno presentato due concezioni del carattere certo e diretto del nesso di causalità richiesto tra la colpa commessa dall’istituzione e i danni fatti valere. Secondo il ricorrente, quando la colpa consiste in un inadempimento di un’istituzione al suo dovere di agire, tale omissione rappresenterebbe una causa diretta e certa dei danni se si dimostra che, qualora l’istituzione avesse adottato le misure richieste, il danno non si sarebbe «verosimilmente prodotto». Tale analisi emergerebbe, secondo il ricorrente, dalla sentenza del Tribunale di primo grado 13 dicembre 2006, causa T‑304/01, Abad Pérez e a./Consiglio e Commissione). Il Tribunale di primo grado avrebbe dichiarato, nello stesso senso, che un illecito è la causa certa e diretta del danno se si dimostra che il rispetto della legalità avrebbe consentito al ricorrente, in misura «altamente probabile», di ottenere soddisfazione (sentenza 5 ottobre 2004, Sanders e a./Commissione, cit., punto 150). La Commissione, al contrario, ha sostenuto che, per dimostrare che il nesso di causalità tra la colpa e il danno presenta un carattere diretto e certo, deve esistere una certezza che, senza le omissioni colpevoli, il danno non si sarebbe prodotto (sentenza del Tribunale di primo grado 13 dicembre 2006, causa T‑138/03, É. R. e a./Consiglio e Commissione, punto 127).

179    La giurisprudenza sul nesso di causalità è tra le più raffinate e sfaccettate, come confermano gli argomenti delle parti. È tuttavia costante, indipendentemente dalle sfaccettature delle formule impiegate dal giudice dell’Unione, che solo una colpa che ha comportato il danno secondo una rapporto diretto di causa e effetto fa sorgere la responsabilità dell’istituzione. L’Unione può essere considerata responsabile solo del danno derivante in modo sufficientemente diretto dal comportamento irregolare dell’istituzione in questione (sentenza del Tribunale di primo grado 24 ottobre 2000, causa T‑178/98, Fresh Marine/Commissione, punto 118 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del Tribunale dell’Unione europea 19 marzo 2010, causa T‑42/06, Gollnisch/Parlamento, punto 110, e giurisprudenza ivi citata).

180    Il richiedente deve dimostrare che, senza la colpa commessa, il danno non si sarebbe prodotto e che la colpa è la causa determinante del suo danno (v., in tal senso, sentenza del Tribunale di primo grado 30 settembre 1998, causa T‑149/96, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, punti 116 e 122). Il nesso di causalità è dimostrato quando il danno è una conseguenza inevitabile e immediata della colpa commessa (sentenza del Tribunale di primo grado 9 luglio 1999, causa T‑231/97, New Europe Consulting e Brown/Commissione, punti 57‑60).

181    Inoltre, il giudice dell’Unione considera che il danno può non trovare la propria origine diretta e certa in una sola causa, bensì essere stato provocato da diverse cause, che concorrono in modo determinante alla sua realizzazione (sentenze della Corte 12 giugno 1986, causa 229/84, Sommerlatte/Commissione, punti 24‑27, e Grifoni/CEEA, cit., punti 17 e 18; sentenza FreshMarine/Commissione, cit., punti 135 e 136).

182    Nella fattispecie, il ricorrente sostiene che, se fossero state attuate le necessarie misure di sicurezza, in primo luogo gli assassinî non si sarebbero prodotti, in secondo luogo avrebbe potuto essere dato l’allarme, consentendo a suo figlio, il quale non è deceduto immediatamente a seguito dei colpi che gli sono stati inferti, di avere una possibilità di sopravvivere alle proprie lesioni. Occorre esaminare su tali due punti il problema di sapere se sia dimostrato il nesso di causalità tra la colpa e i danni fatti valere.

183    In primo luogo, per quanto riguarda il nesso di causalità tra la colpa e il duplice assassinio, il Tribunale ritiene che il ricorrente abbia dimostrato a sufficienza di diritto che, se la Commissione si fosse conformata al suo obbligo di garantire la protezione del proprio funzionario, il duplice omicidio non si sarebbe verificato. Infatti, se fosse stato predisposto un servizio di vigilanza permanente, dedicato alla sola protezione della casa messa a disposizione del figlio del ricorrente, e se fossero state installate sbarre conformi ai requisiti previsti dai servizi competenti della Commissione, l’assassino sarebbe stato quanto meno ostacolato fisicamente, se non dissuaso, dall’introdursi nell’abitazione. La Commissione ha quindi direttamente contribuito alla realizzazione del danno, creando le condizioni per il suo verificarsi. Il carattere certo e diretto del nesso di causalità è quindi dimostrato.

184    Certo, il rischio preso in considerazione dalla Commissione per la sicurezza del personale, che giustificava la classificazione della delegazione di Rabat nel gruppo III di livello di rischio, era legato ad una minaccia terroristica e non ad una criminalità di diritto comune, di cui sono state vittime il figlio e la nuora del ricorrente. Tuttavia, tale circostanza non incide sulla valutazione del carattere diretto e certo del nesso di causalità esposta al punto precedente. È infatti ragionevole ritenere che misure destinate a prevenire la realizzazione di un attentato terroristico o l’assassinio di un funzionario per ragioni politiche o da parte di un gruppo terrorista possano garantire, a fortiori, una protezione efficace nei confronti dell’intrusione di un individuo nel domicilio di un funzionario. La Commissione non può validamente sostenere che dovrebbe essere esonerata da qualsiasi responsabilità per il fatto che il movente del criminale non era quello inizialmente temuto.

185    La Commissione non può neanche trarre argomenti dalle diverse colpe che il proprio funzionario avrebbe commesso e che infrangerebbero il nesso di causalità o attenuerebbero la responsabilità dell’amministrazione.

186    Da un lato, l’assenza dell’interessato alle sessioni di formazione sulla sicurezza nell’ambito del «pre-posting» costituisce indubbiamente una negligenza da parte di quest’ultimo. Tuttavia, il Tribunale non ha potuto accertare quali fossero le cause di tale assenza, che potevano essere dovute a ragioni di servizio. Inoltre, dalle convocazioni a tali sessioni, che si limitavano a «[pregare il funzionario deceduto] di volervi partecipare», non risulta che la partecipazione a dette sessioni fosse presentata come un obbligo di servizio indispensabile prima di essere inviati in delegazione. D’altronde, il figlio del ricorrente ha potuto essere assegnato al Marocco senza aver seguito tale formazione. Inoltre, l’organizzazione di tali sessioni di «pre-posting» non può di per sé esonerare la Commissione dai suoi obblighi di informare i suoi funzionari dei rischi per la loro sicurezza cui essi sono esposti in delegazione, in particolare quelli assegnati nelle delegazioni di livello di rischio del gruppo III. Qualora un funzionario assegnato in una delegazione del genere non partecipi a tali sessioni prima della sua partenza, spetta all’amministrazione accertarsi che egli abbia effettivamente ricevuto le informazioni necessarie. Orbene, la Commissione non ha affermato che al figlio del ricorrente sono stati consegnati i documenti rilevanti per la sua sicurezza prima della sua partenza per il Marocco.

187    Peraltro, durante il dibattito nella seconda udienza è emerso che i funzionari inviati in delegazione non hanno di regola accesso al documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, in quanto tale documento classificato «UE riservato» non viene loro trasmesso. Pertanto, anche qualora avesse assistito alle sessioni di «pre-posting», il figlio del ricorrente non sarebbe probabilmente stato in grado di valutare quali fossero le precise misure di sicurezza previste per l’alloggio messo a sua disposizione in Marocco. Gli argomenti della Commissione secondo cui l’interessato avrebbe accettato le condizioni di vita e di alloggio vigenti in Marocco e dato il suo accordo a stabilirsi nell’alloggio provvisorio non possono quindi essere accolti, atteso che tale accordo non è stato espresso con piena cognizione di causa. Il Tribunale rileva a tal riguardo che la Commissione, il 6 aprile 2006, ha chiesto al figlio del ricorrente di certificare che accettava la sua assegnazione a Rabat e che aveva preso pienamente conoscenza, tra l’altro, dell’alloggio messo a sua disposizione, sebbene il contratto di locazione per tale alloggio sia stato concluso tra il proprietario e la Commissione solo l’8 agosto 2006. Inoltre, quando il figlio del ricorrente ha confermato, il 24 agosto 2006, che accettava l’alloggio che gli era stato proposto, era chiaramente indicato nel formulario di accettazione che, in tale data, non esisteva alcun alloggio preso in locazione e disponibile corrispondente alla composizione della sua famiglia.

188    Dall’altro, se è pacifico che la finestra attraverso la quale l’assassino si è introdotto nella casa era stata lasciata aperta dagli occupanti dei luoghi e che la persiana di tale finestra era parzialmente alzata, non si può considerare che una circostanza del genere derivi da un comportamento negligente o colposo delle vittime. Infatti, tale finestra era posta dietro le sbarre di cui il figlio del ricorrente, il quale non conosceva il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, poteva ragionevolmente ritenere costituissero un ostacolo sufficiente per un eventuale aggressore. La stessa Commissione ha peraltro affermato, nelle sue memorie e durante la prima udienza, che dette sbarre erano tali da prevenire l’intrusione di un individuo adulto di corporatura media. Inoltre, in tale periodo dell’anno era ancora caldo e il fatto di lasciare una finestra aperta dietro sbarre teoricamente sufficienti, in un’abitazione senza aria condizionata che accoglie quattro figli minori, non può essere considerato un comportamento negligente.

189    La Commissione non ha quindi dimostrato che il figlio del ricorrente, con la sua negligenza, avrebbe commesso una colpa tale da esonerare l’amministrazione dalla sua responsabilità, né che sarebbe stato infranto il nesso di causalità fra la colpa commessa e gli assassinî.

190    In secondo luogo, per quanto riguarda il nesso di causalità tra la colpa e la perdita di una possibilità di sopravvivenza per il figlio del ricorrente, il Tribunale ritiene che il ricorrente abbia dimostrato a sufficienza di diritto che, se fossero state predisposte le misure di sicurezza appropriate, sarebbe stato possibile dare l’allarme, in un modo o in un altro, dopo l’intrusione dell’assassino nei luoghi, da parte tanto della vigilanza di un guardiano quanto dello stesso funzionario ferito o di uno dei suoi figli, mediante un pulsante antipanico. È certo che l’aggressore non sarebbe rimasto per tanto tempo all’interno della casa, dove si è trattenuto per circa quattro ore, se fosse stata adottata una delle misure che consentono di dare l’allarme. Pertanto, il figlio del ricorrente, a causa della colpa commessa dalla Commissione, ha perduto una seria possibilità di ottenere soccorsi ed una possibilità di sopravvivere alle lesioni.

191    Resta da determinare la parte di responsabilità dell’assassino nella realizzazione dei danni.

192    Per quanto riguarda il duplice assassinio, non si può seriamente sostenere che alla Commissione debba essere attribuita la responsabilità principale di tale danno. Se è vero che la Commissione ha creato le condizioni per la realizzazione del danno, non adottando le misure di sicurezza sufficienti per impedire l’intrusione dell’aggressore, tale colpa non ha avuto come conseguenza immediata ed inevitabile il duplice assassinio. Infatti, gli assassinî sono stati il fatto di un individuo il cui movente era il furto e il cui comportamento era imprevedibile. La conseguenza normalmente prevedibile della colpa della Commissione, nel caso di un individuo del genere, sarebbe stata una rapina, eventualmente accompagnata da minacce fisiche nei confronti degli occupanti dei luoghi, e non atti tanto gravi quanto quelli che sono stati perpetrati. Tale valutazione non è difforme dai principi della direttiva 89/391, la quale prevede, al suo art. 5, n. 4, che la responsabilità di un datore di lavoro può essere attenuata in particolare per fatti dovuti a circostanze che gli sono estranee e che sono eccezionali e imprevedibili.

193    Gli atti dell’aggressore non sono tuttavia tali da esonerare totalmente l’istituzione dalla sua responsabilità. Se si considerasse infranto il nesso di causalità tra la colpa della Commissione ed il duplice assassinio, l’amministrazione non sopporterebbe alcuna conseguenza della sua omissione colpevole, sebbene abbia creato le condizioni per la realizzazione di un danno siffatto. Una soluzione del genere non sarebbe pienamente conforme alla giurisprudenza secondo cui un danno può avere diverse cause e che, di conseguenza, non esige necessariamente, per il sorgere della responsabilità dell’amministrazione, che l’istituzione abbia l’esclusiva responsabilità del danno.

194    Il Tribunale ritiene quindi che la Commissione sia responsabile al 30% del danno subito.

195    Per quanto riguarda la perdita di una possibilità di sopravvivenza, la valutazione del Tribunale giunge ad un diverso risultato. Infatti, la colpa della Commissione costituisce qui la causa diretta ed esclusiva di tale danno. Gli atti dell’assassino non sono tali da attenuare la responsabilità dell’istituzione.

196    Tuttavia, se è certa la perdita di una possibilità di sopravvivenza, il Tribunale considera molto modesta la possibilità che aveva il figlio del ricorrente di sopravvivere alle sue lesioni. È molto difficile, considerata la mancanza di dati precisi nel fascicolo e le incertezze inerenti a tale tipo di valutazione, stabilire quale fosse tale possibilità di sopravvivenza. Il Tribunale ritiene che essa possa essere stimata al 20%. Emerge infatti dagli atti del fascicolo che il funzionario è stato ferito al collo e, se è vero che non è deceduto immediatamente, è comunque stato colpito in modo molto grave, il che ha compromesso seriamente le sue possibilità di sopravvivenza, anche in caso di rapido arrivo dei soccorsi.

197    In conclusione, prendendo in considerazione i due danni fatti valere, cioè il duplice assassinio e la perdita di una possibilità di sopravvivenza, e il fatto che tale secondo danno ha una portata meno ampia del primo, il Tribunale ritiene che alla Commissione debba essere attribuita la responsabilità del 40% dei danni subiti.

 Sul danno

198    Il danno certo che è in linea di principio risarcibile nella presente controversia è soltanto quello di cui il ricorrente può chiedere la riparazione dinanzi al Tribunale, cioè il danno materiale subito dagli aventi causa del funzionario deceduto, valutato con riferimento alla retribuzione che suo figlio avrebbe percepito fino all’età della pensione, stimato dal ricorrente in un importo globale di EUR 3 975 329.

199    Tale importo costituisce, considerata l’incertezza di un calcolo siffatto e le congetture che esso comporta sullo svolgimento della carriera che l’interessato avrebbe potuto avere, una valutazione in linea di principio ragionevole della retribuzione che il funzionario deceduto avrebbe percepito e rappresenta una base di riferimento pertinente, sebbene molto approssimativa, per valutare la perdita di redditi degli aventi causa del figlio del ricorrente.

200    Tuttavia, esso non può essere preso in considerazione in quanto tale dal Tribunale per determinare il danno materiale effettivamente subito da tali aventi causa. Infatti, se il figlio e la nuora del ricorrente non fossero stati assassinati, essi avrebbero speso una parte sostanziale di tale importo per i propri bisogni. Tale importo non sarebbe quindi stato a totale beneficio dei loro figli. Inoltre, è probabile che i figli della coppia deceduta beneficino o beneficeranno tra qualche anno dell’eredità che spetta loro di diritto e che non avrebbero ricevuto se i loro genitori fossero rimasti in vita. Peraltro, la Commissione ha fatto valere senza essere contraddetta che non è escluso che gli aventi causa dei genitori deceduti abbiano percepito somme in base a contratti di assicurazione sulla vita in seguito al duplice assassinio. Il Tribunale ritiene quindi che il danno materiale legato alla perdita di redditi che deve essere preso considerazione nella presente controversia ammonti a EUR 3 milioni.

201    Come già affermato, la Commissione è tenuta a risarcire il 40% di tale danno, cioè a versare agli aventi causa della coppia deceduta un importo complessivo di EUR 1,2 milioni.

202    Orbene, emerge dal controricorso, e non è stato contestato, che le somme che la Commissione ha già versato e che continuerà a versare agli aventi causa, somme che vanno al di là delle prestazioni normalmente previste dallo Statuto, sono di quasi EUR 1,4 milioni, importo che potrebbe giungere a circa EUR 2,4 milioni se le prestazioni di cui trattasi fossero versate fino al ventiseiesimo compleanno di ciascuno dei quattro figli.

203    La Commissione ha quindi già interamente risarcito il danno materiale di cui è responsabile.

204    La circostanza, fatta valere dal ricorrente, secondo cui le somme versate dalla Commissione avrebbero la natura di prestazioni di sicurezza sociale, anche considerandola dimostrata, non incide su tale valutazione. Le prestazioni versate hanno infatti la finalità di compensare le conseguenze finanziarie del decesso di un funzionario, quale che ne sia la causa. Se è vero che, in caso di colpa dell’amministrazione, quest’ultima è tenuta a garantire l’integrale risarcimento del danno, integrando eventualmente le prestazioni statutarie (v., in tal senso, sentenza Leussink/Commissione, cit., punti 18‑20), è pacifico che il giudice, quando valuta se il danno subito sia stato o meno risarcito dall’amministrazione, prende in considerazione le prestazioni statutarie. Queste ultime hanno quindi effettivamente lo scopo di garantire il risarcimento di un danno, anche allorché l’amministrazione ha commesso una colpa che fa sorgere la sua responsabilità. Inoltre, nella fattispecie la Commissione è andata oltre i propri obblighi statutari, accordando al funzionario deceduto una promozione post-mortem, calcolando le prestazioni dovute ai suoi aventi causa su tale base e maggiorando, fondandosi sull’art. 76 dello Statuto, gli importi di dette prestazioni.

205    Risulta da quanto precede che il primo motivo del ricorso, pur fondato, non consente al Tribunale di accogliere le domande del ricorrente dirette ad ottenere il risarcimento dei danni materiali subiti.

206    Il Tribunale deve ancora esaminare gli altri due motivi, con i quali il ricorrente sostiene che la responsabilità della Commissione sorge, da un lato, in forza di un atto lecito, anche senza colpa, dall’altro, in forza del suo obbligo di assistenza.

B –  Sul secondo motivo, attinente al sorgere della responsabilità della Commissione in forza di un atto lecito, anche senza colpa

1.     Argomenti delle parti

207    Il ricorrente sostiene che, anche supponendo che la Commissione non abbia commesso alcuna negligenza colposa, sarebbero soddisfatte le condizioni necessarie per il sorgere della responsabilità senza colpa dell’amministrazione, per il fatto di un atto lecito. Sarebbero provati tanto l’effettività del danno quanto il nesso di causalità tra quest’ultimo e l’atto lecito; il danno sarebbe anormale, grave e speciale. Certo, nella sua sentenza 9 settembre 2008, cause riunite C‑120/06 P e C‑121/06 P, FIAMM e FIAMM Technologies/Consiglio e Commissione, la Corte avrebbe escluso l’esistenza di un regime di responsabilità senza colpa dell’Unione, ma soltanto per quanto riguarda gli atti normativi di quest’ultima, i quali rientrerebbero nel potere discrezionale del legislatore. La Corte non avrebbe affatto escluso che un siffatto regime possa essere applicato alle istituzioni, come nel caso di specie. Nella sua valutazione di tale problema, il Tribunale dovrebbe prendere in considerazione il carattere eccezionalmente grave e tragico degli eventi subiti dai figli del funzionario deceduto, che hanno prematuramente perduto i loro genitori e hanno assistito impotenti all’efferato assassinio del loro padre e della loro madre. Il Tribunale dovrebbe pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento con un metro di giudizio ispirato al profondo senso di equità che dovrebbe contraddistinguere le istituzioni dell’Unione.

208    La Commissione ritiene, come menzionato, che tale motivo non sia ricevibile, in quanto non è stato dedotto nella domanda di risarcimento iniziale e non è corredato dal minimo elemento che possa quantificare la portata del danno lamentato. Nel merito, la Commissione sottolinea che il principio di una responsabilità per atto lecito non è stato ad oggi riconosciuto dalla Corte. Il ricorrente non fornirebbe alcun elemento tale da dimostrare che il Tribunale dovrebbe ammettere l’esistenza di un siffatto regime di responsabilità per quanto riguarda il comportamento delle istituzioni. In ogni caso, nella fattispecie il ricorrente non dimostrerebbe che sono soddisfatte le condizioni necessarie per il sorgere di una siffatta responsabilità.

2.     Giudizio del Tribunale

209    Emerge dalla citata sentenza della Corte, FIAMM e FIAMM Technologies/Consiglio e Commissione (punto 175), che, se l’esame comparativo degli ordinamenti giuridici degli Stati membri ha permesso alla Corte di procedere molto presto alla constatazione di una convergenza di tali ordinamenti giuridici nel sancire un principio di responsabilità in presenza di un’azione o di un’omissione illecita della pubblica autorità, anche di ordine normativo, ciò non si verifica affatto per quanto riguarda l’esistenza eventuale di un principio di responsabilità in presenza di un atto o di un’omissione leciti della pubblica autorità, in particolare quando essi sono di ordine normativo. La Corte ha quindi escluso, allo stato attuale del diritto dell’Unione, che l’art. 288 CE, il quale rinvia ai «principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri», possa essere interpretato nel senso che consente il sorgere della responsabilità dell’Unione senza colpa, in ragione di un atto o di un’omissione leciti.

210    Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, risulta dalla stessa formulazione impiegata dalla Corte al punto citato della sua sentenza («anche di ordine normativo» e «in particolare quando [tale atto o tale omissione leciti] sono di ordine normativo») che la conclusione cui essa è giunta in tale sentenza non è limitata alla sfera di competenza normativa dell’Unione.

211    Certo, come si è ricordato al punto 116 della presente sentenza, una controversia tra un funzionario e l’istituzione presso cui presta o prestava servizio e vertente sul risarcimento di un danno, allorché trovi origine nel rapporto di impiego che vincola o vincolava l’interessato all’istituzione rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 236 CE e degli artt. 90 e 91 dello Statuto e non in quello degli artt. 235 CE e 288 CE. La giurisprudenza della Corte e del Tribunale dell’Unione relativa alle condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale sul fondamento dell’art. 288 CE non è quindi direttamente applicabile alle azioni per responsabilità extracontrattuale avviate dai funzionari o dai loro aventi causa nei confronti delle istituzioni, sul fondamento dell’art. 236 CE e degli artt. 90 e 91 dello Statuto. A tal riguardo, il ricorrente rileva giustamente che siffatte azioni non riguardano le istituzioni nell’esercizio delle loro prerogative normative o regolatrici previste dai Trattati, bensì i loro comportamenti nei confronti del loro personale, in qualità di datori di lavoro.

212    Tuttavia, tenuto conto anche dell’ampia portata delle espressioni impiegate dalla Corte e della natura di soluzione di principio che caratterizza in particolare tale sentenza, il Tribunale non scorge le ragioni in base alle quali la responsabilità delle istituzioni dell’Unione potrebbe sorgere, nei loro rapporti con il personale, sul fondamento di condizioni radicalmente diverse da quelle che prevalgono nell’ambito dell’art. 288 CE, distanti dai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

213    Se è vero che le circostanze della presente controversia sono eccezionali, tale constatazione, l’unica che sia stata fatta valere dal ricorrente, non è sufficiente per dimostrare che l’esistenza di un regime di responsabilità senza colpa sia in linea di principio ammessa nelle azioni per responsabilità extracontrattuale avviate sul fondamento dell’art. 236 CE, il cui beneficio sarebbe riservato ai funzionari dell’Unione e ai loro aventi causa.

214    Peraltro, a proposito della direttiva 89/391, che rappresenta un ambito di riferimento pertinente per determinare, ai sensi dell’art. 1 sexies, dello Statuto, gli obblighi che incombono alle istituzioni dell’Unione, la Corte ha considerato che tale direttiva non poteva essere analizzata nel senso che obbliga gli Stati membri ad istituire un regime di responsabilità senza colpa dei datori di lavoro fondato sui danni causati alla salute e alla sicurezza dei lavoratori (sentenza Commissione/Regno Unito, cit., punti 37‑51), anche se la Commissione sosteneva, dinanzi alla Corte, che la direttiva 89/391 aveva previsto un regime di responsabilità dei datori di lavoro che comprende le conseguenze di qualsiasi evento dannoso per la salute e la sicurezza dei lavoratori, indipendentemente dalla possibilità di imputare il detto evento e le sue conseguenze ad una qualsivoglia negligenza del datore di lavoro nell’attuazione delle misure di prevenzione.

215    Anche supponendo che, in linea di principio, possa essere ricercata la responsabilità senza colpa della Commissione, si dovrebbe rilevare che tale forma di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, che si fonda sull’obbligo di risarcire un rischio professionale e non sulla constatazione di una colpa del datore di lavoro che quest’ultimo dovrebbe risarcire, è già alla base dell’obbligo dell’istituzione di versare le prestazioni statutarie al funzionario o ai suoi aventi causa in caso di infortunio avvenuto nell’esercizio delle funzioni, di malattia professionale o di decesso. Infatti, anche senza che sia dimostrata l’esistenza di una qualsivoglia colpa dell’istituzione in qualità di datore di lavoro, il funzionario o i suoi aventi causa godono di un risarcimento forfettario, diretto a compensare le conseguenze di tali eventi. Il costante requisito giurisprudenziale secondo cui occorre provare una colpa affinché il funzionario o i suoi aventi causa ottengano un indennizzo supplementare alle prestazioni statutarie, diretto a risarcire integralmente il danno che essi ritengono di aver subito, dimostra che il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione resta fermamente subordinato all’esistenza di una colpa o di un illecito.

216    Risulta da quanto precede che il ricorrente non può fondatamente chiedere al Tribunale di constatare che sono soddisfatti i requisiti necessari per la sussistenza di una responsabilità senza colpa della Commissione.

217    Ne consegue che il secondo motivo deve essere disatteso senza che occorra pronunciarsi sulla sua ricevibilità.

C –  Sul terzo motivo, attinente al fatto che la Commissione, in forza dell’art. 24 dello Statuto, sarebbe tenuta a risarcire in solido i danni subiti

1.     Argomenti delle parti

218    In via subordinata, il ricorrente sostiene che la Commissione sia comunque tenuta a risarcire i danni subiti dal funzionario a motivo della sua qualità e delle sue funzioni sulla base dell’art. 24, secondo comma, dello Statuto. Il duplice assassinio sarebbe oggettivamente legato, da un punto di vista causale, all’attività professionale del figlio del ricorrente sul territorio marocchino, ove si trovava esclusivamente in ragione delle sue funzioni. Inoltre, tale assassinio sarebbe stato commesso all’interno di un’abitazione scelta dalla Commissione. La Commissione avrebbe anche dovuto, nelle eccezionali circostanze della presente controversia, agire di propria iniziativa, senza essere sollecitata in tal senso, e risarcire in solido i danni subiti dal funzionario e dalla sua coniuge per fatto di un terzo.

219    La Commissione fa valere, come già menzionato, che tale motivo non è ricevibile, non essendo stato dedotto nella domanda di risarcimento iniziale. Nel merito, essa ritiene che i fatti drammatici all’origine del decesso del figlio del ricorrente non abbiano alcun rapporto con la sua qualità di funzionario e che, pertanto, non sia soddisfatta la condizione prevista dall’art. 24, secondo comma, dello Statuto, come interpretata dalla giurisprudenza, cioè che il funzionario deve aver subito un danno in ragione di tale qualità.

2.     Giudizio del Tribunale

220    Come ha dichiarato la Corte, la finalità dell’art. 24 dello Statuto è di garantire ai dipendenti in servizio attivo sicurezza per il presente e per il futuro, per consentire loro, nell’interesse generale del servizio, di svolgere meglio le loro funzioni (v. sentenza Sommerlatte/Commissione, cit., punto 19).

221    Risulta dall’art. 24 dello Statuto e dalla giurisprudenza ad esso relativa che le istituzioni dell’Unione sono tenute, ai sensi di tale disposizione, ad assistere i loro funzionari solo in occasione di atti da parte di terzi di cui i funzionari sono oggetto in ragione della loro qualità e delle loro funzioni (v., in particolare, sentenza della Corte 5 ottobre 1988, causa 180/87, Hamill/Commissione, punto 15; sentenza del Tribunale di primo grado 27 giugno 2000, causa T‑67/99, K/Commissione, punto 32).

222    Nella fattispecie, è pacifico che sono soddisfatte le condizioni necessarie per l’applicazione dell’art. 24 dello Statuto legate all’autore dell’atto incriminato. Infatti, il figlio del ricorrente è stato vittima di un atto di terzi.

223    Tuttavia, l’art. 24 dello Statuto esige altresì che la qualità di funzionario del ricorrente e le sue funzioni siano all’origine degli atti in questione. È in ragione di tale qualità e di tali funzioni che devono essere stati perpetrati gli atti nei confronti dei quali viene chiesta l’assistenza, atteso che l’istituzione ricerca tanto la protezione del proprio personale quanto la salvaguardia dei propri interessi. La Corte ha infatti dichiarato che un obbligo di assistenza non può essere fatto valere in occasione di misure coercitive adottate da autorità nazionali di polizia sulla persona del funzionario e motivate dal comportamento personale di quest’ultimo, perseguito per un reato estraneo all’esercizio delle sue funzioni (sentenza Hamill/Commissione, cit., punti 16 e 17). Analogamente, si è dichiarato che il solo fatto che un minore sia stato ammesso in un asilo in ragione dell’appartenenza di uno dei suoi genitori alla funzione pubblica dell’Unione, asilo in cui è stato vittima di atti gravi, non consente di considerare sussistente il legame, ai sensi dell’art. 24 dello Statuto, tra gli atti del terzo in questione e la qualità di funzionario di detto genitore (sentenza K/Commissione, cit., punti 36‑38).

224    Orbene, nella presente controversia, il figlio del ricorrente non è stato assassinato in ragione della sua qualità e delle sue funzioni. Come già rilevato, egli è stato vittima di un criminale di diritto comune, il quale ha attentato alla sua persona, a sua moglie e ai suoi beni senza aver alcuna conoscenza della sua qualità di funzionario dell’Unione né della natura delle sue funzioni. Il criminale ha probabilmente ritenuto che gli occupanti della villa in cui ha perpetrato i propri crimini godessero di un livello di vita più elevato rispetto alla media degli abitanti di Rabat. Ma né tale circostanza, né l’assegnazione del figlio del ricorrente in Marocco, né l’occupazione di un alloggio scelto dalla Commissione consentono di stabilire che il funzionario sia stato prescelto come vittima per questa sua qualità o in ragione delle sue funzioni.

225    Il ricorrente non può quindi validamente far valere il beneficio delle disposizioni dell’art. 24 dello Statuto.

226    Comunque, anche supponendo che si possa ammettere che il figlio del ricorrente è stato vittima di un assassinio perpetrato in ragione delle sue funzioni, il Tribunale ritiene che le prestazioni statutarie previste in caso di decesso di un funzionario, in particolare le disposizioni dell’art. 7, n. 2, terzo trattino, della regolamentazione comune («[s]ono considerati infortuni ai sensi della [regolamentazione comune]: le conseguenze di aggressioni o di attentati contro la persona dell’assicurato»), concretizzino l’obbligo di protezione che ciascuna istituzione, in qualità di datore di lavoro e in forza dell’art. 24 dello Statuto, deve garantire ai propri funzionari e ai loro aventi causa. Orbene, il ricorrente non afferma di essere stato illegittimamente privato di una delle garanzie previste dallo Statuto. Inoltre, la Commissione ha fatto uso della facoltà, prevista all’art. 76 dello Statuto, di accordare, in casi particolari, un aiuto eccezionale alle persone interessate. La Commissione ha pertanto debitamente rispettato il proprio dovere di assistenza e di protezione, conformemente all’art. 24 dello Statuto.

227    In ogni caso, il ricorrente non può quindi fondatamente sostenere che la Commissione ha violato tale disposizione statutaria. Pertanto, il terzo motivo deve essere disatteso, senza che occorra pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata nei suoi confronti.

228    Da tutte le considerazioni che precedono discende che il ricorso deve essere respinto in toto.

 Sulle spese

229    Ai sensi dell’art. 87, n. 1, del regolamento di procedura, fatte salve le altre disposizioni del capo VIII del titolo II del regolamento medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In forza del n. 2 dello stesso articolo, per ragioni di equità, il Tribunale può decidere che una parte soccombente sia condannata solo parzialmente alle spese o addirittura che non debba essere condannata a tale titolo. Secondo l’art. 88 del regolamento di procedura, una parte, anche se non soccombente, può essere condannata parzialmente o addirittura totalmente alle spese, qualora ciò appaia giustificato in ragione del suo comportamento, compreso quello precedente alla presentazione del ricorso, in particolare qualora essa abbia causato all’altra parte spese che siano riconosciute superflue o defatigatorie.

230    Nel presente procedimento, malgrado legittime ragioni di riservatezza da essa fatte valere, la Commissione ha notevolmente ritardato lo svolgimento del processo, rifiutandosi, in un primo momento, di comunicare al Tribunale taluni documenti e talune informazioni e costringendo il Tribunale a organizzare una seconda udienza. La Commissione ha altresì fornito al Tribunale, su diversi punti, risposte inesatte, affermando, in particolare, che non esisteva alcun testo relativo alle misure di sicurezza applicabili agli alloggi del personale delle delegazioni nei paesi terzi e che le misure menzionate dall’autore della risposta scritta del 6 agosto 2007 non avevano alcuna rilevanza per fatti commessi l’anno precedente. L’opposizione della Commissione, ritirata durante la seconda udienza, al fatto che il Tribunale potesse prendere in considerazione il documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, documento importante per il regolamento della controversia, ha evidenziato un comportamento poco compatibile con le regole di un equo processo. Una condotta siffatta della Commissione, in una causa talmente dolorosa per il ricorrente, è tanto meno appropriata se si considera che l’istituzione, prima della proposizione del ricorso, aveva dato prova di dignità e sollecitudine.

231    Inoltre, il ricorrente ha potuto ritenere fondato il suo ricorso. Da un lato, il Tribunale ha constatato che la Commissione aveva commesso una colpa tale da far sorgere la sua responsabilità. Dall’altro, il comportamento tenuto dalla Commissione durante il processo ha potuto convincere il ricorrente che l’istituzione gli aveva nascosto una parte delle cause dell’assassinio di suo figlio e di sua nuora.

232    Di conseguenza, si procederà ad un’equa valutazione delle circostanze di causa ponendo a carico della Commissione, oltre alle sue spese, anche quelle ragionevoli e debitamente giustificate del ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
(Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Gli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza, comunicati dalla Commissione europea al Tribunale durante il procedimento, saranno rinviati senza indugio alla Commissione europea in una busta riservata recante la menzione «classificato UE riservato».

3)      La Commissione europea sopporta interamente le spese.

Gervasoni

Kreppel

Rofes i Pujol

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 maggio 2011.

Il cancelliere

 

       Il presidente

W. Hakenberg

 

      S. Gervasoni

Indice


Contesto normativo

Fatti

Conclusioni delle parti e procedimento

In diritto

I – Sull’oggetto del ricorso

II – Sulla ricevibilità

A – Argomenti delle parti

B – Giudizio del Tribunale

III – Nel merito

A – Sul primo motivo, attinente ad inadempimenti della Commissione del suo obbligo di garantire la protezione del suo funzionario

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio del Tribunale

a) Sull’obiezione formulata dalla Commissione, attinente al fatto che i danni lamentati sarebbero già stati interamente risarciti

b) Sull’addebito attinente al fatto che la Commissione avrebbe commesso una colpa nell’obbligo di garantire la sicurezza del funzionario deceduto e della sua famiglia

Sulle condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Commissione

Sulla portata del margine discrezionale di cui dispone la Commissione per garantire la sicurezza dei propri funzionari impiegati in delegazione in un paese terzo

Sull’esistenza di una colpa nella predisposizione di adeguate misure di protezione

– Sulla domanda del ricorrente di accedere agli estratti del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza

– Sull’utilizzazione, da parte del Tribunale, del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza

– Sull’applicabilità del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza all’alloggio provvisorio messo a disposizione del figlio del ricorrente e della sua famiglia

– Sulla portata giuridica del documento del 2006 sulle norme e i criteri di sicurezza

– Sulla sussistenza di una colpa della Commissione

Sul nesso di causalità e sull’esistenza di una causa di esonero della responsabilità (colpa delle vittime e fatto di un terzo)

Sul danno

B – Sul secondo motivo, attinente al sorgere della responsabilità della Commissione in forza di un atto lecito, anche senza colpa

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio del Tribunale

C – Sul terzo motivo, attinente al fatto che la Commissione, in forza dell’art. 24 dello Statuto, sarebbe tenuta a risarcire in solido i danni subiti

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.