Language of document : ECLI:EU:T:2014:885

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

16 ottobre 2014 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo – Congelamento dei capitali – Applicabilità del regolamento (CE) n. 2580/2001 alle situazioni di conflitto armato – Possibilità per un’autorità di uno Stato terzo di essere autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931/PESC – Base fattuale delle decisioni di congelamento dei capitali – Riferimento ad atti di terrorismo – Necessità di una decisione di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931»

Nelle cause riunite T‑208/11 e T‑508/11,

Liberation Tigers of Tamil Eelam (LTTE), con sede in Herning (Danimarca), rappresentata da V. Koppe, A.M. van Eik e T. Buruma, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da G. Étienne ed E. Finnegan, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato, nella causa T‑208/11, inizialmente da M. Bulterman, N. Noort e C. Schillemans, successivamente, nonché nella causa T‑508/11, da C. Wissels, M. Bulterman e J. Langer, in qualità di agenti,

interveniente nelle cause T‑208/11 e T‑508/11;

da

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente da S. Behzadi-Spencer, H. Walker e S. Brighouse, successivamente da S. Behzadi-Spencer, H. Walker ed E. Jenkinson, in qualità di agenti, assistite da M. Gray, barrister,

interveniente nella causa T‑208/11,

e da

Commissione europea, rappresentata inizialmente da F. Castillo de la Torre e S. Boelaert, successivamente da F. Castillo de la Torre ed É. Cujo, in qualità di agenti,

interveniente nelle cause T‑208/11 e T‑508/11,

avente ad oggetto inizialmente, nella causa T‑208/11, una domanda di annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 83/2011 del Consiglio, del 31 gennaio 2011, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 610/2010 (GU L 28, pag. 14), e, nella causa T‑508/11, una domanda di annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 687/2011 del Consiglio, del 18 luglio 2011, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga i regolamenti di esecuzione (UE) n. 610/2010 e (UE) n. 83/2011 (GU L 188, pag. 2), nei limiti in cui tali atti si riferiscono alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto da F. Dehousse (relatore), facente funzione di presidente, I. Wiszniewska-Białecka, E. Buttigieg, A.M. Collins e I. Ulloa Rubio, giudici,

cancelliere: S. Spyropoulos, amministratore

in seguito all’udienza del 26 febbraio 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti e procedimento

1        Il 27 dicembre 2001, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93), il regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU L 344, pag. 70), nonché la decisione 2001/927/CE, relativa all’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 (GU L 344, pag. 83).

2        Il 29 maggio 2006, il Consiglio ha adottato la decisione 2006/379/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga la decisione 2005/930/CE (GU L 144, pag. 21). Mediante tale decisione il Consiglio ha iscritto la parte ricorrente, le Liberation Tigers of Tamil Eelam (LTTE), nell’elenco del congelamento dei capitali previsto all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 (in prosieguo: l’«elenco del congelamento dei capitali»). Successivamente, la ricorrente è rimasta iscritta in tale elenco.

3        Il 31 gennaio 2011, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 83/2011, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 610/2010 (GU L 28, pag. 14). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 83/2011.

4        Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 aprile 2011, la ricorrente ha proposto un ricorso, registrato con il numero T‑208/11, inteso all’annullamento del regolamento di esecuzione n. 83/2011 nella parte in cui tale atto la riguardava.

5        Con lettera del 30 maggio 2011, il Consiglio ha comunicato alla ricorrente i motivi per cui intendeva mantenere la sua iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali in occasione del successivo riesame del medesimo.

6        Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale rispettivamente il 28 luglio, il 2 e il 3 agosto 2011, il Regno dei Paesi Bassi, la Commissione europea e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio nella causa T‑208/11. Con ordinanza del 16 settembre 2011, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale, sentite le parti, ha accolto tali richieste.

7        Il 18 luglio 2011, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 687/2011, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga i regolamenti di esecuzione (UE) n. 610/2010 e (UE) n. 83/2011 (GU L 188, pag. 2). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 687/2011.

8        Con lettera del 19 luglio 2011, il Consiglio ha comunicato alla ricorrente i motivi del mantenimento della sua iscrizione in detto elenco.

9        Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 settembre 2011 e regolarizzato il 19 ottobre 2011, la ricorrente ha presentato un ricorso, registrato con il numero T‑508/11, inteso all’annullamento del regolamento di esecuzione n. 687/2011 nella parte in cui tale atto la riguardava.

10      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale rispettivamente il 9 e il 17 gennaio 2012, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio nella causa T‑508/11. Con ordinanze del 9 marzo 2012, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale, sentite le parti, ha accolto tali richieste.

11      Con lettera del 18 novembre 2011, il Consiglio ha comunicato alla ricorrente i motivi per cui intendeva mantenere la sua iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali in occasione del successivo riesame del medesimo.

12      Il 22 dicembre 2011, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1375/2011, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 687/2011 (GU L 343, pag. 10). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 1375/2011.

13      Con lettera del 3 gennaio 2012, il Consiglio ha comunicato alla ricorrente i motivi del mantenimento della sua iscrizione in detto elenco.

14      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 27 febbraio 2012, la ricorrente ha chiesto la riunione delle cause T‑208/11 e T‑508/11, ha sollecitato l’adeguamento delle conclusioni dei presenti ricorsi per includervi il regolamento di esecuzione n. 1375/2011 e ha depositato mezzi di prova.

15      Con atti del 24 e del 25 maggio 2012, la Commissione, il Consiglio e il Regno dei Paesi Bassi hanno depositato le loro osservazioni in relazione alla domanda di adeguamento delle conclusioni e ai mezzi di prova.

16      Con ordinanza del 15 giugno 2012, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale, sentite le parti, ha riunito le cause T‑208/11 e T‑508/11.

17      Il 25 giugno 2012, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 542/2012, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 1375/2011 (GU L 165, pag. 12). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 542/2012.

18      Con lettera del 26 giugno 2012, il Consiglio ha comunicato alla ricorrente i motivi del mantenimento della sua iscrizione in detto elenco.

19      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 19 luglio 2012, la ricorrente ha chiesto l’adeguamento delle conclusioni formulate nei presenti ricorsi per includervi il regolamento di esecuzione n. 542/2012.

20      Acquisite agli atti le lettere del 27 febbraio e del 19 luglio 2012 quali domande di adeguamento delle conclusioni, la ricorrente, su invito del Tribunale, ha depositato, il 2 agosto 2012, una memoria di adeguamento delle conclusioni formulate nei presenti ricorsi per includervi i regolamenti di esecuzione nn. 1375/2011 e 542/2012.

21      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 5 e il 6 settembre 2012, il Regno Unito, la Commissione e il Consiglio hanno depositato le loro osservazioni in relazione alla memoria di adeguamento delle conclusioni.

22      Il 10 dicembre 2012, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1169/2012, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 542/2011 (GU L 337, pag. 2). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 1169/2012.

23      Il 7 febbraio 2013, la ricorrente ha depositato una memoria di adeguamento delle conclusioni formulate nei presenti ricorsi per includervi il regolamento di esecuzione n. 1169/2012.

24      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 21 febbraio, il 12 e il 13 marzo 2013, la Commissione, il Consiglio e il Regno Unito hanno depositato le loro osservazioni in relazione a detta memoria di adeguamento delle conclusioni.

25      Il 25 luglio 2013, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 714/2013, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 1169/2012 (GU L 201, pag. 10). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 714/2013.

26      Il 22 agosto 2013, la ricorrente ha depositato una memoria di adeguamento delle conclusioni dei presenti ricorsi per includervi il regolamento di esecuzione n. 714/2013.

27      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 9, il 17 e il 25 settembre 2013, la Commissione, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno Unito e il Consiglio hanno depositato le loro osservazioni in relazione a detta memoria di adeguamento delle conclusioni.

28      A seguito della modifica delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Sesta Sezione alla quale, di conseguenza, sono state attribuite le presenti cause.

29      Con decisione del 13 novembre 2013, il Tribunale ha rinviato le presenti cause alla Sesta Sezione ampliata.

30      Con lettera del 15 gennaio 2014, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a taluni quesiti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 6 febbraio 2014.

31      Il 10 febbraio 2014, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 714/2013 (GU L 40, pag. 9). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 125/2014.

32      Il 18 febbraio 2014, la ricorrente ha depositato una memoria di adeguamento delle conclusioni dei presenti ricorsi per includervi il regolamento di esecuzione n. 125/2014.

33      Il 25 febbraio 2014, a causa dell’impedimento di un membro del collegio a partecipare al procedimento, il presidente del Tribunale ha designato un altro giudice per integrare la sezione, ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale.

34      All’udienza del 26 febbraio 2014, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno Unito, il Consiglio e la Commissione hanno affermato di non avere obiezioni riguardo all’adeguamento delle conclusioni chiesto il 18 febbraio 2014.

35      Il 22 luglio 2014, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 125/2014 (GU L 217, pag. 1). La ricorrente rimaneva iscritta nell’elenco allegato al regolamento di esecuzione n. 790/2014, sulla base di motivi modificati.

36      Il 20 agosto 2014, la ricorrente ha depositato una memoria di adeguamento delle conclusioni dei presenti ricorsi per includervi il regolamento di esecuzione n. 790/2014.

37      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 23 e il 25 settembre 2014, il Consiglio e il Regno dei Paesi Bassi hanno depositato le loro osservazioni in relazione a detta memoria di adeguamento delle conclusioni.

 Conclusioni delle parti

38      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare i regolamenti di esecuzione nn. 83/2011, 687/2011, 1375/2011, 542/2012, 1169/2012, 714/2013, 125/2014 e 790/2014 (in prosieguo: i «regolamenti impugnati») nelle parti che la riguardano;

–        condannare il Consiglio alle spese.

39      Il Consiglio, sostenuto, nella causa T‑208/11, dal Regno dei Paesi Bassi, dal Regno Unito e dalla Commissione, e, nella causa T‑508/11, dal Regno dei Paesi Bassi e dalla Commissione, chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare i ricorsi infondati;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

40      La ricorrente deduce, in sostanza, sette motivi, dei quali sei nelle cause T‑208/11 e T‑508/11 e uno nella causa T‑508/11.

41      I sei motivi comuni ai due ricorsi attengono, il primo, all’inapplicabilità del regolamento n. 2580/2001 al conflitto fra la ricorrente e il governo dello Sri Lanka; il secondo, all’erronea qualificazione della ricorrente come organizzazione terroristica ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931; il terzo, all’assenza di una decisione di autorità competente; il quarto, all’assenza del riesame richiesto dall’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931; il quinto, alla violazione dell’obbligo di motivazione e, il sesto, alla violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva della ricorrente. Il settimo motivo, dedotto unicamente nel ricorso T‑508/11, attiene alla violazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà.

 Sul primo motivo, attinente all’inapplicabilità del regolamento n. 2580/2001 al conflitto fra la ricorrente e il governo dello Sri Lanka

 Argomenti delle parti

42      La ricorrente sostiene che il regolamento n. 2580/2001 non è applicabile alle situazioni di conflitto armato, in quanto i conflitti armati – e dunque gli atti posti in essere nel loro ambito – possono, a suo avviso, rientrare unicamente nel campo di applicazione del diritto internazionale umanitario.

43      Come emergerebbe dalla dinamica dei fatti, la ricorrente sarebbe stata parte in un conflitto armato contro le forze armate del governo dello Sri Lanka, inteso all’autodeterminazione del popolo Tamil e alla sua «liberazione dall’oppressione» di tale governo. Alla luce dell’organizzazione e del funzionamento delle forze armate della ricorrente, i membri di tali forze avrebbero soddisfatto tutti i requisiti del diritto internazionale per il riconoscimento dello status di combattente. Tale status avrebbe concesso loro un’immunità per gli atti di guerra legittimi in base al diritto dei conflitti armati e l’applicabilità nei loro confronti, per gli eventuali atti illegittimi, solo di tale diritto, escludendo qualsivoglia normativa antiterrorismo. Poiché gli atti di guerra legittimi non possono essere considerati illegittimi nel diritto nazionale, il loro compimento escluderebbe un’applicazione della posizione comune 2001/931, la quale non varrebbe, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 3, per gli atti che non costituiscono illeciti nel diritto nazionale.

44      L’iscrizione della ricorrente nell’elenco del congelamento dei capitali rappresenterebbe pertanto l’ingerenza di uno Stato terzo in un conflitto armato, contraria al principio di non ingerenza del diritto internazionale umanitario.

45      Nelle repliche la ricorrente ribadisce che occorre operare una distinzione netta fra conflitto armato e terrorismo. La prima questione sarebbe stabilire non se un evento presenti le caratteristiche di un atto terroristico, bensì se sia in corso un conflitto armato, nel qual caso si applicherebbe unicamente il diritto umanitario. Il diritto umanitario non vieterebbe i conflitti armati, e gli omicidi commessi in un contesto di guerra e senza violazione del diritto dei conflitti armati sarebbero scusabili. Pertanto, considerare terrorista un attacco suicida contro uno stato maggiore nemico, come avrebbe fatto il Consiglio nella specie, significherebbe criminalizzare un atto di guerra invero accettabile alla luce del diritto internazionale umanitario.

46      La ricorrente fa valere, inoltre, a sostegno della sua argomentazione, una sentenza del Rechtbank’s-Gravenhague (tribunale di primo grado dell’Aja, Paesi Bassi), del 21 ottobre 2011, e una del Tribunale di Napoli (Italia), del 23 giugno 2011, le quali avrebbero constatato che essa era parte in un conflitto armato interno ai sensi del diritto internazionale, rifiutandosi di accogliere, nel suo caso, la qualificazione di terrorista.

47      Il Consiglio, sostenuto dagli intervenienti, contesta gli argomenti della ricorrente. Esso rammenta che, nel diritto internazionale, la qualificazione come conflitto armato non impedisce l’applicazione, allorché vengono commessi atti terroristici, delle norme giuridiche internazionali in materia di lotta al terrorismo, lotta alla quale l’Unione europea parteciperebbe attivamente a sostegno delle misure adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di sicurezza»). Il diritto internazionale umanitario non escluderebbe l’applicazione delle convenzioni specifiche relative alla lotta al terrorismo. La definizione di atto terroristico nella posizione comune 2001/931 resterebbe valida a prescindere dalle circostanze nelle quali gli atti terroristici sono stati commessi. Il Consiglio contesta che la qualificazione della situazione nello Sri Lanka effettuata dalla ricorrente possa sottrarre quest’ultima all’applicazione della normativa internazionale relativa alla lotta al terrorismo.

48      Nelle controrepliche il Consiglio insiste nella propria posizione. Per quanto riguarda la sentenza del Rechtbank’s-Gravenhague, esso rileva che tale sentenza è stata impugnata e che il Tribunale non può attribuirle le conseguenze in materia di interpretazione del diritto internazionale umanitario e del diritto europeo dedotte dalla ricorrente.

49      La Commissione ritiene che la ricorrente si sbagli in ordine ad un’asserita incompatibilità fra i conflitti armati e gli atti terroristici. Non vigerebbe un principio di immunità dei combattenti per gli atti terroristici perpetrati durante un conflitto armato. La ricorrente non suffragherebbe la propria affermazione secondo la quale gli atti che le sono stati addebitati nelle motivazioni dei regolamenti impugnati sarebbero atti di guerra legittimi. A torto essa sosterrebbe che atti terroristici commessi nell’ambito di un conflitto armato siano assoggettabili unicamente al diritto umanitario. Le istituzioni dell’Unione godrebbero di un ampio potere discrezionale in materia di gestione delle relazioni esterne dell’Unione e quanto agli elementi da prendere in considerazione ai fini dell’adozione di una misura di congelamento dei capitali. L’Unione stilerebbe un elenco delle organizzazioni terroristiche per privarle delle loro fonti di finanziamento, e ciò a prescindere dal loro eventuale status di parti di un conflitto armato. Tale approccio sarebbe conforme al punto di vista dell’Unione, peraltro ampiamente condiviso nel resto del mondo, secondo il quale tutti gli atti terroristici sono riprovevoli e devono essere sradicati, che essi vengano commessi in tempo di pace o nel corso di un conflitto armato.

50      Di conseguenza, poco importerebbe determinare la natura esatta del conflitto – armato o meno, interno o internazionale, guerra di liberazione o meno – fra la ricorrente e il governo dello Sri Lanka.

51      Per quanto attiene all’asserita violazione del principio di non ingerenza, la Commissione rileva che tale principio è fissato a vantaggio degli Stati e può pertanto essere invocato solo da questi, e non dai «gruppi ribelli». La considerazione secondo la quale solo la ricorrente e non il governo dello Sri Lanka sarebbe iscritta nell’elenco del congelamento dei capitali costituirebbe un argomento di opportunità del quale il Tribunale non può tenere conto. Quanto al riferimento all’articolo 6, paragrafo 5, del Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali (Protocollo aggiuntivo II), dell’8 giugno 1977, esso sarebbe irrilevante.

52      La Commissione, come gli altri intervenienti, contesta la rilevanza o la fondatezza dei riferimenti della ricorrente alle sentenze del Rechtbank’s-Gravenhague e del Tribunale di Napoli.

53      Sarebbe chiaro che stabilire se un determinato attacco rivesta carattere terroristico non dipenderebbe dalla causa politica in nome della quale tale attacco viene lanciato, bensì dai mezzi e dai metodi impiegati. Il diritto dei conflitti armati non prevederebbe eccezioni al divieto di atti terroristici e nessuna norma di diritto umanitario vieterebbe l’adozione di misure, quali il congelamento dei capitali, intese a porre fine al finanziamento del terrorismo, ovunque esso avvenga.

 Giudizio del Tribunale

54      Con il presente motivo la ricorrente afferma, in sostanza, che, in un caso – come quello di specie, a suo avviso – di conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario, solo detto diritto è applicabile agli eventuali atti illeciti commessi nell’ambito di tale conflitto, con esclusione del diritto che organizza la prevenzione e la repressione del terrorismo. La ricorrente sarebbe un movimento di liberazione che avrebbe condotto un conflitto armato contro un «governo oppressivo». La sua iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali costituirebbe una violazione del principio di non ingerenza del diritto internazionale umanitario e a torto il Consiglio le avrebbe applicato le disposizioni del diritto dell’Unione in materia di terrorismo.

55      La ricorrente deduce, a sostegno dei propri argomenti, diversi riferimenti a testi di diritto internazionale e di diritto dell’Unione.

56      Orbene, contrariamente a quanto fa valere la ricorrente, l’applicabilità del diritto internazionale umanitario ad una situazione di conflitto armato e ai fatti commessi in tale ambito non implica l’inapplicabilità ai medesimi fatti di una normativa sul terrorismo. Ciò vale sia per le disposizioni del diritto dell’Unione applicate nella specie, in particolare la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001, sia per il diritto internazionale invocato dalla ricorrente.

57      Per quanto riguarda, in primo luogo, il diritto dell’Unione, occorre effettivamente rilevare che l’esistenza di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario non esclude l’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di terrorismo agli eventuali atti terroristici commessi in tale contesto.

58      Infatti, da un lato, la posizione comune 2001/931 non opera alcuna distinzione, per quanto attiene al proprio ambito di applicazione, a seconda che l’atto in questione venga commesso o meno nell’ambito di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario. Dall’altro, e come rilevato giustamente dal Consiglio, gli obiettivi dell’Unione e dei suoi Stati membri consistono nella lotta al terrorismo, a prescindere dalle forme che esso possa assumere, in conformità degli obiettivi del diritto internazionale in vigore.

59      Proprio per attuare a livello dell’Unione la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, del 28 settembre 2001, la quale «riafferma la necessità di combattere con tutti i mezzi, in accordo con la Carta delle Nazioni Unite, le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici» e «chiede agli Stati membri di integrare la cooperazione internazionale prendendo misure supplementari per prevenire e reprimere, nei loro territori con tutti i mezzi legali disponibili, il finanziamento e la preparazione di qualsiasi atto di terrorismo», il Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/931 (v. suoi considerando da 5 a 7), indi, in conformità a tale posizione comune, il regolamento n. 2580/2001 (v. suoi considerando 3, 5 e 6).

60      Per quanto riguarda, in secondo luogo, il diritto internazionale invocato dalla ricorrente, occorre osservare che, a parte il fatto che un conflitto armato può innegabilmente dare luogo ad atti corrispondenti, per loro natura, ad atti terroristici, il diritto umanitario internazionale qualifica esplicitamente tali atti come «atti terroristici», contrari a detto diritto.

61      La Convenzione di Ginevra, del 12 agosto 1949, sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra dispone espressamente, al suo articolo 33, che qualsiasi misura di terrorismo è vietata. In senso analogo, i Protocolli aggiuntivi I e II alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativi alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali e non internazionali, dell’8 giugno 1977, i quali mirano ad assicurare a tali vittime una migliore protezione, dispongono che sono proibiti in ogni tempo e in ogni luogo gli atti di terrorismo (articolo 4, paragrafo 2, del II protocollo aggiuntivo) e che sono vietati gli atti o le minacce di violenza il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile (articolo 51, paragrafo 2, del Protocollo aggiuntivo I e articolo 13, paragrafo 2, del Protocollo aggiuntivo II).

62      Si evince dalle suesposte considerazioni che la perpetrazione di atti terroristici ad opera delle parti di un conflitto armato è espressamente prevista e condannata in quanto tale dal diritto internazionale umanitario.

63      Occorre inoltre aggiungere che l’esistenza di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario non vale a escludere, in caso di atti terroristici commessi nell’ambito di tale conflitto, l’applicazione, oltre che delle disposizioni di detto diritto umanitario sulle violazioni al diritto della guerra, delle disposizioni del diritto internazionale concernenti specificamente il terrorismo.

64      È in tal senso che la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, firmata a New York il 9 dicembre 1999 (in prosieguo: la «Convenzione di New York del 1999»), contempla esplicitamente la commissione di atti terroristici nell’ambito di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale. Essa configura come reato, al suo articolo 2, paragrafo 1, lettera b), «qualsiasi (...) atto diretto a causare la morte o gravi lesioni fisiche ad un civile, o a qualsiasi altra persona che non ha parte attiva in situazioni di conflitto armato, quando la finalità di tale atto, per la sua natura o contesto, è di intimidire una popolazione, o obbligare un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o a astenersi dal compiere qualcosa».

65      Tale convenzione conferma che anche in un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario possono essere commessi atti terroristici suscettibili di repressione in quanto tali e non soltanto in quanto crimini di guerra. Tali atti includono quelli destinati ad uccidere o a ferire gravemente civili.

66      L’argomento a contrario della ricorrente, secondo il quale l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della Convenzione di New York del 1999 escluderebbe dall’ambito di applicazione di tale convenzione qualsiasi atto diretto contro persone «che (…) abbiano parte attiva in situazioni di conflitto armato», non rimette affatto in discussione tale constatazione.

67      La ricorrente sostiene dunque a torto che, nel diritto internazionale, le nozioni di conflitto armato e di terrorismo siano incompatibili.

68      Quanto all’eventuale circostanza che gli atti terroristici provengano da «combattenti della libertà» o da movimenti di liberazione avviati in un conflitto armato contro un «governo oppressivo», si evince parimenti dalle considerazioni che precedono che essa è irrilevante. Un’eccezione del genere al divieto di atti terroristici nei conflitti armati non poggia su alcun fondamento di diritto dell’Unione né di diritto internazionale. Questi ultimi non fissano, nel condannare gli atti terroristici, alcuna distinzione a seconda dell’autore dell’atto e degli scopi da esso perseguiti.

69      Quanto al riferimento della ricorrente al principio di non ingerenza che, a suo avviso, il Consiglio avrebbe violato iscrivendola nell’elenco del congelamento dei capitali, occorre rilevare che tale principio del diritto internazionale consuetudinario, chiamato anche principio di non intervento, riguarda il diritto di ciascuno Stato sovrano di agire senza ingerenza esterna e costituisce un corollario del principio della parità sovrana degli Stati [sentenze della Corte internazionale di giustizia, Attività militari e paramilitari dentro e contro il Nicaragua (Nicaragua c. Stati Uniti d’America), del 26 novembre 1984, sulla competenza e la ricevibilità, ICJ Reports 1984, pag. 392, punto 73, e del 27 giugno 1986, sul merito, ICJ Reports 1986, pag. 96, punto 202]. Come rilevato dal Consiglio, tale principio di diritto internazionale è enunciato a vantaggio degli Stati sovrani e non a vantaggio di gruppi o movimenti. L’iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali di un movimento – sia pure un movimento di liberazione – in una situazione di conflitto armato con uno Stato sovrano, a causa dell’implicazione di tale movimento nel terrorismo, non costituisce pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, una violazione del principio di non ingerenza.

70      A sua volta, non può essere accolto l’argomento della ricorrente secondo il quale l’ingerenza dell’Unione deriverebbe dal carattere discriminatorio della posizione dell’Unione, consistente nell’adottare misure restrittive unicamente nei confronti della ricorrente e non nei confronti della Repubblica democratica socialista di Sri Lanka.

71      Infatti, la legittimità delle misure adottate dal Consiglio nei confronti di un gruppo, sul fondamento della posizione comune 2001/931, dipende dalla circostanza se tale istituzione si sia conformata, nella sua decisione, alle condizioni e ai requisiti definiti in tale posizione comune, e non dalla circostanza se altre parti possano eventualmente essere oggetto di misure restrittive. La posizione comune 2001/931 e la sua attuazione da parte del Consiglio non sono intese a determinare chi abbia ragione o torto in un conflitto fra uno Stato e un gruppo, bensì a combattere il terrorismo. In tale contesto, alla luce dell’ampio potere discrezionale riconosciuto alle istituzioni dell’Unione in materia di gestione delle relazioni esterne dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione, 52/81, Racc., EU:C:1982:369, punto 27; del 16 giugno 1998, Racke, C‑162/96, Racc., EU:C:1998:293, punto 52, e del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale, C‑351/04, Racc., EU:C:2007:547, punto 40; ordinanza del 6 settembre 2011, Mugraby/Consiglio e Commissione, T‑292/09, EU:T:2011:418, punto 60), non occorre esaminare, ai fini della presente controversia, se avrebbero potuto essere adottate misure restrittive di diritto dell’Unione nei confronti della Repubblica democratica socialista di Sri Lanka. In ogni caso, quand’anche la Repubblica democratica socialista di Sri Lanka abbia commesso atti censurabili dall’Unione e idonei a fondare un’azione della medesima, occorre rilevare che il principio della parità di trattamento deve conciliarsi con quello di legalità, in base al quale nessuno può far valere, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri (sentenze del 9 luglio 2009, Melli Bank/Consiglio, T‑246/08 e T‑332/08, Racc., EU:T:2009:266, punto 75, e del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, Racc., EU:T:2009:401, punti 56 e 59).

72      È parimenti a torto che la ricorrente, per contestare l’applicabilità del regolamento n. 2580/2001 agli atti terroristici commessi nell’ambito di un conflitto armato, menziona la decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo (GU L 164, pag. 3), e, più in particolare, il suo punto 11, secondo il quale tale decisione quadro «non disciplina le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato, secondo le definizioni date a questi termini dal diritto internazionale umanitario, attività disciplinate da questo stesso diritto, né le attività svolte dalle forze armate di uno Stato nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali, che sono disciplinate da altre norme del diritto internazionale». La ricorrente aggiunge che la decisione quadro 2002/475 era accompagnata da una dichiarazione del Consiglio che escludeva esplicitamente la resistenza armata – come quella condotta dai diversi movimenti di resistenza europei durante la seconda guerra mondiale – dal suo ambito di applicazione.

73      Da un lato, il regolamento n. 2580/2001 è stato adottato in applicazione non della decisione quadro 2002/475, la quale riguarda il diritto penale, bensì della posizione comune 2001/931. La decisione quadro 2002/475 non può, pertanto, determinare la portata del regolamento n. 2580/2001.

74      Dall’altro, la posizione comune 2001/931, al pari della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, che essa attua a livello dell’Unione, non contiene alcuna disposizione analoga al punto 11 della decisione quadro 2002/475.

75      Ne consegue che il riferimento della ricorrente alla decisione quadro 2002/475 e ad una dichiarazione del Consiglio che accompagna tale decisione quadro è irrilevante.

76      Inoltre, al pari della Commissione, occorre ritenere che l’assenza, nella posizione comune 2001/931, di un considerando analogo al punto 11 della decisione quadro 2002/475 deve essere tutt’al più interpretata come espressione della volontà del Consiglio di non prevedere alcuna eccezione all’applicazione delle disposizioni dell’Unione allorché si tratta di prevenire il terrorismo mediante la lotta al suo finanziamento. Tale assenza di eccezioni è conforme alla Convenzione di New York del 1999, la quale non contiene neanch’essa una disposizione analoga a quella del punto 11 della decisione quadro 2002/475.

77      Quanto al riferimento della ricorrente alla raccomandazione del Parlamento europeo sul ruolo dell’Unione nella lotta al terrorismo [2001/2016 (INI)] (GU 2002, C 72 E, pag. 135), occorre rammentare che esso ha ad oggetto un documento privo di forza vincolante. Inoltre, tale raccomandazione non legittima il compimento di atti terroristici da parte di movimenti di liberazione. In un considerando di tale raccomandazione, il Parlamento si limita a operare una distinzione fra gli atti di terrorismo compiuti in seno all’Unione – gli Stati membri della quale sono Stati di diritto – e le «azioni di resistenza compiute nei paesi terzi contro strutture statali caratterizzate esse stesse da una dimensione terroristica».

78      Quanto al riferimento della ricorrente all’articolo 6, paragrafo 5, del Protocollo aggiuntivo II alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 (v. punto 61 supra), esso è irrilevante. Infatti, tale disposizione, secondo la quale, «[a]l termine delle ostilità [interne], le autorità al potere procureranno di concedere la più larga amnistia possibile alle persone che avessero preso parte al conflitto armato», riguarda le azioni penali che possono essere intraprese dal governo interessato nei confronti, segnatamente, di membri di gruppi armati che siano ricorsi alle armi contro il medesimo, mentre il regolamento n. 2580/2001 riguarda non l’imposizione di siffatte azioni e sanzioni penali, bensì l’adozione, da parte dell’Unione, di misure preventive in materia di terrorismo.

79      Quanto all’espressione «definito reato in base al diritto nazionale» figurante all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, espressione dalla quale la ricorrente desume il riconoscimento da parte dell’Unione, nella sua posizione comune, di un’immunità dall’applicazione di misure di congelamento dei capitali in caso di atti di guerra legittimi, occorre rilevare che essa riguarda effettivamente l’immunità dei combattenti nei conflitti armati per gli atti di guerra legittimi, immunità che i Protocolli aggiuntivi I e II (v. punto 61 supra) formulano nei seguenti termini, dal tenore analogo: nessuno può essere condannato per azioni o omissioni che non costituivano reato secondo il diritto nazionale o internazionale a lui applicabile al momento della loro commissione [articolo 75, paragrafo 4, lettera c), del Protocollo aggiuntivo I e articolo 6, paragrafo 2, lettera c), del Protocollo aggiuntivo II].

80      La presenza di tale espressione nella posizione comune 2001/931 non incide, pertanto, sull’applicabilità del regolamento n. 2580/2001 agli atti terroristici, i quali costituiscono sempre, allorché vengano commessi nell’ambito di conflitti armati, atti di guerra illegittimi.

81      Dall’insieme delle suesposte considerazioni si evince che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il regolamento n. 2580/2001 è applicabile agli atti terroristici commessi nell’ambito di conflitti armati.

82      La ricorrente non può dunque addurre un suo asserito conflitto armato con il governo dello Sri Lanka per escludere l’applicabilità nei propri confronti della posizione comune 2001/931 per gli atti terroristici che abbia eventualmente commesso in tale contesto.

83      Il presente motivo dev’essere, pertanto, respinto.

 Sul terzo motivo, attinente all’assenza di una decisione di autorità competente

 Argomenti delle parti

84      La ricorrente rileva che le motivazioni dei regolamenti impugnati contengono, dopo un elenco di attacchi ad essa imputati, riferimenti a decisioni britanniche e indiane. Essa fa valere che nessuno di tali elementi di motivazione può costituire decisione di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931.

85      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’elenco degli attacchi imputati alla ricorrente, sarebbe chiaro che esso non costituisce una decisione di autorità competente. Tuttavia, ciò non impedirebbe di osservare che tale elenco e le imputazioni in esso contenute non sono suffragati da prove e non possono pertanto servire da fondamento per mantenere l’iscrizione della ricorrente nell’elenco del congelamento dei capitali.

86      Per quanto riguarda, in secondo luogo, le decisioni britanniche invocate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati, non si tratterebbe di decisioni emesse da autorità competenti. Dette decisioni, siccome non contengono una condanna per atti rilevanti nel contesto della posizione comune 2001/931, potrebbero fungere da fondamento giuridico solo qualora riguardino l’apertura di indagini o di procedimenti penali e siano basate su prove o indizi seri e credibili. Orbene, l’ipotesi non ricorrerebbe nella fattispecie: le decisioni britanniche in parola sarebbero decisioni amministrative, piuttosto che penali, che qualificano la ricorrente come terrorista e ne congelano i capitali. Soltanto le decisioni che s’inseriscono nell’ambito di procedimenti penali potrebbero costituire il fondamento di una decisione di iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali. Le uniche decisioni non penali accettate come fondamento di una classificazione nell’elenco del congelamento dei capitali sarebbero quelle del Consiglio di sicurezza menzionate all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

87      La ricorrente aggiunge che le autorità britanniche in questione non sono autorità competenti giacché nessuna di esse è un’autorità giudiziaria, e ciò malgrado siano attive, nel Regno Unito, autorità giudiziarie munite di competenza nel settore coperto dall’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

88      In subordine, per il caso il cui il Tribunale ritenesse che le decisioni britanniche equivalgano all’apertura di indagini o di procedimenti penali oppure ad una condanna per atti terroristici, la ricorrente sostiene che tali decisioni non sono fondate su prove o indizi seri e credibili. A loro volta, le motivazioni dei regolamenti impugnati non preciserebbero il fondamento di tali decisioni britanniche. La ricorrente sottolinea che la sua classificazione da parte delle autorità britanniche è avvenuta non individualmente, bensì «in blocco», insieme a 20 altri gruppi.

89      Per quanto riguarda, in terzo luogo, le decisioni indiane, la ricorrente ritiene, in sostanza, che, alla luce del principio di leale cooperazione, solo le decisioni di un’autorità nazionale di uno Stato membro, fatte salve, tuttavia, le decisioni del Consiglio di sicurezza, possano essere considerate decisioni di autorità competenti. Diversamente, si eluderebbe il sistema di sanzioni dell’Unione, «vanificando» il ruolo centrale degli Stati membri e portando il Consiglio a fare affidamento su informazioni provenienti da Stati terzi, non vincolati dal principio di leale cooperazione, dei quali non si potrebbe assumere che rispettino nelle loro decisioni le norme dell’Unione in termini di tutela dei diritti della difesa e di diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

90      In subordine, per il caso in cui il Tribunale ritenesse che il Consiglio potesse fondarsi su una decisione di un’autorità di uno Stato terzo, la ricorrente fa valere che le decisioni indiane in parola non possono essere considerate decisioni emesse da autorità competenti. Al pari delle decisioni britanniche, esse non equivarrebbero all’apertura di indagini oppure di procedimenti penali né a condanne ed esisterebbero organi giurisdizionali indiani competenti in materia di terrorismo.

91      Inoltre, mentre il diritto indiano prevederebbe il rinvio in giudizio di ogni associazione dichiarata illegittima, affinché un tribunale statuisca nel merito di tale dichiarazione, la ricorrente non avrebbe mai beneficiato di un siffatto rinvio; le motivazioni delle decisioni di mantenimento della sua iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali adottate dall’Unione sarebbero mute sul punto né menzionerebbero peraltro alcun elemento che dimostri che le constatazioni del governo indiano siano effettivamente decisioni di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931.

92      In ulteriore subordine, per il caso in cui il Tribunale ritenesse che le decisioni indiane equivalgano all’apertura di indagini o di procedimenti penali oppure ad una condanna per atti terroristici, la ricorrente sostiene che tali decisioni non sono fondate su prove o indizi seri e credibili. A loro volta, le motivazioni dei regolamenti impugnati non preciserebbero affatto il fondamento di tali decisioni. Il Consiglio non può limitarsi a evocare decisioni emesse da autorità nazionali senza garantire che esse costituiscano decisioni ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, tanto più se la decisione è stata adottata da uno Stato non membro dell’Unione.

93      Infine, le autorità indiane non possono essere considerate una fonte di informazione affidabile, in quanto avrebbero «preso posizione» nel conflitto fra la ricorrente e il governo dello Sri Lanka.

94      La ricorrente fa valere che l’argomento della difesa secondo il quale sarebbe suo onere contestare dinanzi ai giudici nazionali i fatti elencati nelle motivazioni delle decisioni di mantenimento della sua iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali disconoscerebbe il fatto che il Consiglio stesso non dimostra in quali termini le decisioni nazionali invocate abbiano esaminato e le abbiano imputato detti fatti. L’argomento secondo il quale il Consiglio non sarebbe tenuto a fornire prove supplementari, in quanto il provvedimento dell’Unione sarebbe amministrativo e non penale, sarebbe infondato. Inoltre, la ricorrente non può dover avviare azioni in ciascuno degli ordinamenti giuridici nazionali in cui sono state adottate decisioni sulle quali il Consiglio fonda la propria decisione.

95      Il Consiglio, sostenuto dagli intervenienti, contesta gli argomenti della ricorrente.

96      Per quanto attiene all’elenco degli attacchi riportato nelle motivazioni delle decisioni di mantenimento dell’iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali, il Consiglio sostiene di non essere tenuto a fornire ulteriori prove concernenti l’imputazione di tali atti alla ricorrente. Il Consiglio fa valere che la ricorrente, se intende contestare i fatti addebitatile, deve farlo dinanzi ai giudici nazionali degli Stati che hanno inizialmente adottato misure nei suoi confronti.

97      Per quanto attiene alle decisioni britanniche, il Consiglio contesta l’argomento secondo il quale esse non costituirebbero decisioni di autorità competenti in quanto non avvierebbero alcuna indagine o procedimento penale o non sarebbero fondate su prove o indizi seri e credibili. Esso contesta parimenti l’argomento relativo al fatto che le autorità britanniche non sarebbero autorità giudiziarie e fa valere che la posizione comune 2001/931 non impone che la decisione nazionale abbia natura penale. Quanto alla valutazione delle prove e degli indizi che hanno fondato la decisione nazionale, il principio di leale cooperazione comporterebbe l’obbligo per il Consiglio di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente, posto che la considerazione preminente per il Consiglio è la sua percezione e valutazione del rischio che, in assenza di una misura di congelamento dei capitali, i capitali in questione possano essere utilizzati per il finanziamento del terrorismo. La circostanza che l’autorità nazionale sia un’autorità amministrativa e non giudiziaria non sarebbe determinante.

98      Più precisamente, per quanto riguarda la decisione del Secretary of State for the Home Departement (Ministro dell’Interno, Regno Unito; in prosieguo: lo «Home Secretary») del 29 marzo 2001, il Consiglio ricorda che il Tribunale ha già avuto occasione di dichiarare che si tratta di una decisione di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931. Il Consiglio rammenta che tale decisione è stata adottata dallo Home Secretary ai sensi dell’articolo 3(3)(a) dell’UK Terrorism Act 2000, che gli attribuisce la competenza, dietro approvazione del Parlamento, a vietare ogni organizzazione che esso reputi «implicata nel terrorismo».

99      Tale decisione dello Home Secretary sarebbe sufficiente da sola a fondare le decisioni del Consiglio, senza che sia necessario esaminare la decisione dell’UK Treasury (Ministro delle Finanze, Regno Unito; in prosieguo: l’«UK Treasury»), del 6 dicembre 2001, sul congelamento dei capitali, decisione menzionata nella motivazione del 15 novembre 2010 alla base del regolamento di esecuzione n. 83/2011, ma poi omessa, non vigendo più, nel Regno Unito, una decisione distinta di congelamento dei capitali. Il Consiglio osserva che il contenuto di quest’ultima decisione è stato poi riprodotto in una decisione successiva del 7 ottobre 2009, della medesima natura e dei medesimi effetti del congelamento dei capitali, e ritiene che essa sia, così come la decisione dello Home Secretary, una decisione di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931.

100    Per quanto attiene alla decisione adottata dal governo indiano nel 1992 ai sensi dell’Unlawful Activities Act (legge sulle attività illegali) indiano del 1967, nella versione del 2004, il Consiglio fa valere la propria competenza ad adottare misure di congelamento dei capitali sul fondamento di decisioni adottate dalle autorità competenti di uno Stato terzo, vuoi su proposta in tal senso di uno Stato membro a seguito di un primo esame del caso considerato, vuoi su domanda dello stesso Stato terzo interessato. Il Consiglio afferma di assicurarsi, in tal caso, che le decisioni in questione siano adottate nel rispetto dei principi fondamentali che governano la protezione dei diritti dell’uomo, lo stato di diritto, il principio della presunzione di innocenza, il diritto ad un processo equo e il diritto a non essere giudicati o condannati due volte per lo stesso reato. Tanto sarebbe accaduto nel caso di specie.

101    Nella controreplica il Consiglio, insistendo al contempo, in sostanza, nella sua posizione, rimanda, per quanto riguarda le decisioni britanniche, alle informazioni fornite nella memoria di intervento del Regno Unito. Esso aggiunge di essere venuto a conoscenza delle seguenti informazioni, secondo le quali la ricorrente ha continuato ininterrottamente a essere oggetto di divieti da parte delle autorità indiane: la decisione più recente sarebbe entrata in vigore, per due anni, il 14 maggio 2010 e sarebbe stata confermata in sede giudiziaria il 12 novembre 2010. La ricorrente continuerebbe dunque a figurare in un elenco in India quale organizzazione terroristica.

102    Il Regno Unito fa valere, nella sua memoria di intervento, che le decisioni dello Home Secretary e dell’UK Treasury soddisfano manifestamente i requisiti necessari per essere qualificate decisioni di autorità competenti. Quanto alla decisione indiana, il Regno Unito condivide la posizione del Consiglio secondo la quale tale decisione deve essere qualificata come decisione di autorità competente.

 Giudizio del Tribunale

103    Al di là della sua prima osservazione, che è corretta, secondo la quale l’elenco dei fatti in testa alle motivazioni dei regolamenti impugnati non costituisce una decisione di autorità competente, la ricorrente sostiene che le decisioni britanniche e indiane invocate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati non sono decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, secondo comma, della posizione comune 2001/931.

104    Riguardo all’obiezione generale secondo la quale le autorità britanniche e indiane di cui trattasi non sarebbero autorità competenti, non essendo esse autorità giudiziarie, mentre in tali paesi sarebbero istituite autorità giudiziarie competenti in materia di terrorismo, tale obiezione deve essere respinta per i seguenti motivi.

105    Il Tribunale ha già avuto occasione di dichiarare, nel caso di una decisione di un’autorità amministrativa olandese [un decreto sanzionatorio («Sanctieregeling») in materia di terrorismo adottato dai Ministri degli Affari esteri e delle Finanze olandesi], che la circostanza che tale decisione fosse una decisione amministrativa, e non giudiziaria, non risultava determinante in sé, in quanto il testo stesso dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 prevedeva espressamente che un’autorità non giudiziaria potesse anch’essa essere qualificata come autorità competente ai sensi di tale disposizione (sentenza del 9 settembre 2010, Al-Aqsa/Consiglio, T‑348/07, Racc., EU:T:2010:373, punto 88; in prosieguo: la «sentenza Al-Aqsa T‑348/07»). Nella sentenza pronunciata nel procedimento di impugnazione avverso la sentenza Al-Aqsa T‑348/07 (EU:T:2010:373), la Corte ha confermato, in sostanza, che il Sanctieregeling poteva essere considerato una decisione di autorità competente (sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio, C‑539/10 P e C‑550/10 P, Racc., EU:C:2012:711, punti da 66 a 77; in prosieguo: la «sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P»).

106    In una sentenza precedente, concernente una decisione dello Home Secretary, il Tribunale ha ritenuto che tale decisione costituisse effettivamente, alla luce della normativa nazionale pertinente, una decisione di autorità nazionale competente ai sensi della definizione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (sentenza del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, Racc., EU:T:2008:461, punti 144 e 145, ultima frase; in prosieguo: la «sentenza PMOI T‑256/07»; v. parimenti, in tal senso, sentenza Al-Aqsa T‑348/07, punto 105 supra, EU:T:2010:373, punto 89 in fine).

107    In tal senso, anche se l’articolo 1, paragrafo 4, secondo comma, della posizione comune 2001/931 considera di preferenza le decisioni emesse dalle autorità giudiziarie, esso non esclude affatto le decisioni che promanano da autorità amministrative, allorché tali autorità, da un lato, siano effettivamente investite, nel diritto nazionale, della competenza ad adottare decisioni restrittive nei confronti di gruppi implicati nel terrorismo e, dall’altro, benché meramente amministrative, possano nondimeno essere considerate «equivalenti» alle autorità giudiziarie.

108    La circostanza, dedotta dalla ricorrente, secondo la quale esisterebbero organi giurisdizionali britannici e indiani muniti di competenze in materia di repressione del terrorismo non implica, dunque, che il Consiglio non potesse tenere conto delle decisioni dell’autorità amministrativa nazionale incaricata dell’adozione di misure restrittive in materia di terrorismo.

109    Occorre osservare, al riguardo, che la ricorrente non afferma che le decisioni adottate dalle autorità britanniche ed indiane in questione siano state adottate da autorità non abilitate a tal fine secondo i diritti nazionali degli Stati interessati.

110    Si evince dalle suesposte considerazioni che l’obiezione generale della ricorrente (v. punto 104 supra) dev’essere respinta.

111    La ricorrente fa valere, inoltre, che, siccome non contengono una condanna, le decisioni nazionali menzionate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati potrebbero fungere da fondamento giuridico solo qualora riguardino l’apertura di indagini o di procedimenti penali e siano basate su prove o indizi seri e credibili. Orbene, l’ipotesi non ricorrerebbe nella fattispecie: le decisioni nazionali in parola sarebbero decisioni amministrative, piuttosto che penali, che qualificano la ricorrente come terrorista e ne congelano i capitali. Soltanto le decisioni che s’inseriscono nell’ambito di procedimenti penali potrebbero costituire il fondamento di una decisione di iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali. Le uniche decisioni non penali accettate come fondamento di una classificazione nell’elenco del congelamento dei capitali sarebbero quelle del Consiglio di sicurezza menzionate all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

112    Con tali argomenti la ricorrente fa valere, in sostanza, che solo le decisioni penali potrebbero costituire decisioni di autorità competenti ai sensi della posizione comune 2001/931. Inoltre, essa suggerisce che semplici decisioni di classificazione in un elenco non sarebbero sufficienti.

113    Occorre rammentare che la posizione comune 2001/931 non richiede che la decisione dell’autorità competente s’inserisca nell’ambito di un procedimento penale stricto sensu, pur essendo questa l’ipotesi più frequente. Nondimeno, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla posizione comune 2001/931, nell’ambito dell’attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1373 (2001), il procedimento nazionale in questione deve avere ad oggetto la lotta al terrorismo in senso ampio. Tali valutazioni, operate dal Tribunale nella sentenza Al-Aqsa T‑348/07, punto 105 supra (EU:T:2010:373, punti 98 e 100), sono state sostanzialmente confermate nella sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P, punto 105 supra (EU:C:2012:711, punto 70), avendo la Corte ritenuto che la protezione delle persone interessate non fosse messa in discussione se la decisione assunta dall’autorità nazionale si collocava non nel quadro di un procedimento diretto ad infliggere sanzioni penali, bensì in quello di un procedimento avente ad oggetto misure di tipo preventivo.

114    Il Tribunale ha parimenti dichiarato che una decisione di «apertura di indagini o di azioni penali», per essere validamente invocata dal Consiglio, deve iscriversi nell’ambito di un procedimento nazionale avente ad oggetto direttamente e principalmente l’applicazione di una misura di tipo preventivo o repressivo, all’interessato, a titolo della lotta al terrorismo e in ragione della sua implicazione nello stesso. Il Tribunale ha precisato che non soddisferebbe tale requisito la decisione di un’autorità giudiziaria nazionale che si pronunci solamente a titolo accessorio e incidentale sulla possibile implicazione dell’interessato in un’attività siffatta, nell’ambito di una contestazione avente ad oggetto, ad esempio, diritti e obblighi di carattere civile (sentenza del 30 settembre 2009, Sison/Consiglio, T‑341/07, Racc., EU:T:2009:372, punto 111; in prosieguo: la «sentenza Sison T‑341/07»).

115    Nella specie, occorre rilevare che le decisioni adottate dalle autorità britanniche (lo Home Secretary e l’UK Treasury) e indiane, anche se effettivamente non costituiscono, a rigore, decisioni di «apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico» o di «condanna per tali fatti» nel senso penale stretto del termine, comportano nondimeno il divieto di ingresso della ricorrente nel Regno Unito e il congelamento dei suoi capitali, nonché la sua proscrizione in India, e s’inseriscono dunque manifestamente nell’ambito di procedimenti nazionali intesi, in via principale, all’applicazione di misure di tipo preventivo o repressivo alla ricorrente, a titolo della lotta al terrorismo.

116    In tale misura, e contrariamente a quanto suggerito dalla ricorrente, la circostanza che le decisioni nazionali di cui trattasi non corrispondano esattamente al testo dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non consente affatto, di per sé, di concludere nel senso che esse non potevano essere prese in considerazione dal Consiglio.

117    È dunque a torto che la ricorrente sostiene che le uniche decisioni non penali accettate quale fondamento di una classificazione nell’elenco del congelamento dei capitali sarebbero quelle del Consiglio di sicurezza menzionate all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. L’obiettivo dell’ultima frase dell’articolo 1, paragrafo 4, primo comma, di detta posizione comune consiste semplicemente nell’offrire al Consiglio una possibilità di designazione supplementare, accanto alle designazioni che esso può operare sulla base di decisioni di autorità nazionali competenti.

118    È vero che l’attività delle autorità amministrative in questione sfocia, in definitiva, in una classificazione in un elenco. Tuttavia, tale circostanza non implica, di per sé, che dette autorità non abbiano effettuato valutazioni individuali su ciascuno dei gruppi di cui trattasi preliminarmente alla sua iscrizione nell’elenco né che tali valutazioni siano necessariamente arbitrarie o prive di fondamento. In tal senso, ciò che rileva non è che l’attività dell’autorità in questione sfoci in una classificazione in un elenco di persone, gruppi o enti implicati nel terrorismo, ma che tale attività venga esercitata con garanzie sufficienti a consentire al Consiglio di basarsi sulla medesima per fondare la propria decisione di iscrizione.

119    Ciò premesso, e al di là delle obiezioni generali testé esaminate, occorre determinare se, in concreto, le autorità amministrative di cui al caso di specie, ossia lo Home Secretary e l’UK Treasury, da un lato, e il governo indiano, dall’altro, potessero essere considerate autorità competenti ai sensi della posizione comune 2001/931.

120    Per quanto riguarda, anzitutto, lo Home Secretary, si deve rammentare che il Tribunale ha già avuto occasione di dichiarare, alla luce della normativa nazionale pertinente, che tale autorità amministrativa è un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (sentenza PMOI T‑256/07, punto 106 supra, EU:T:2008:461, punto 144).

121    La ricorrente non deduce, a parte gli argomenti generali già menzionati e respinti dal Tribunale (v. punti da 104 a 118 supra), alcun argomento in senso contrario, salvo quello relativo al fatto che la sua classificazione quale organizzazione terroristica nel Regno Unito sarebbe intervenuta contemporaneamente a quella di 20 altri gruppi e che la Camera dei Comuni del Regno Unito non avrebbe asseritamente avuto altra scelta se non accettare o rifiutare integralmente l’elenco sottopostole dallo Home Secretary, senza poter trattare in maniera individuale ciascuna organizzazione.

122    Non si evince tuttavia dall’estratto, prodotto dalla ricorrente, dei dibattimenti alla Camera dei Comuni del 13 marzo 2001, relativi al progetto di ordinanza proposto per l’approvazione dallo Home Secretary il 28 febbraio 2001, che la Camera dei Comuni non avesse la possibilità di esaminare individualmente la situazione di ciascuna delle organizzazioni elencate nel progetto di ordinanza. Da un lato, tutti i membri della Camera dei Comuni hanno ricevuto un riassunto dei fatti per ciascuna delle organizzazioni figuranti nell’elenco del progetto di ordinanza, il che implicava la possibilità di un esame individuale da parte della Camera dei Comuni. Dall’altro, i dibattimenti alla Camera dei Comuni hanno effettivamente potuto riguardare organizzazioni individuali, in particolare l’«Organizzazione rivoluzionaria del 17 novembre». Infine, per quanto concerne la circostanza che le misure da approvare sarebbero state presentate alla Camera dei Comuni sotto forma di un’ordinanza unica e non di tante ordinanze quante le organizzazioni interessate, essa non implicava l’impossibilità di un effettivo esame individuale, dal momento che la Camera dei Comuni restava libera, in ogni, caso, di negare l’approvazione al progetto di ordinanza.

123    Si evince dalle suesposte considerazioni che la qualità di autorità competente dello Home Secretary non viene rimessa in discussione dagli argomenti della ricorrente.

124    Lo stesso vale, poi, per l’UK Treasury, autorità alla quale il Consiglio fa del resto riferimento unicamente nella motivazione del regolamento di esecuzione n. 83/2011 e non più in quelle dei regolamenti successivi. Nei presenti ricorsi la ricorrente non solleva peraltro alcuna contestazione particolare riguardo alla qualità di autorità competente dell’UK Treasury, oltre agli argomenti generali menzionati ai punti da 104 a 118 supra, i quali sono già stati respinti dal Tribunale.

125    Per quanto riguarda, infine, il governo indiano, la ricorrente fa valere, per contro, argomenti circostanziati. Essa ritiene, in via principale, che, alla luce del principio di leale cooperazione, il quale vigerebbe unicamente fra l’Unione e gli Stati membri, un’autorità di uno Stato terzo non possa essere considerata autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931.

126    Tale argomento di principio, secondo il quale un’autorità di uno Stato terzo non potrebbe essere considerata autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931, deve essere respinto per i seguenti motivi.

127    In primo luogo, si evince dai considerando 5 e 7 della posizione comune 2001/931 che essa è stata adottata nell’ambito e per attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, risoluzione nella quale il Consiglio di sicurezza ha deciso che «tutti gli Stati [dovevano (…)] adottare le misure necessarie per impedire il compimento di atti terroristici, allertando tempestivamente anche altri Stati attraverso lo scambio informativo» [punto 2, lettera b), della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza], e «garantire la massima assistenza reciproca in relazione alle indagini o ai procedimenti giudiziari in materia di finanziamento o di supporto agli atti terroristici, ivi compresa l’assistenza nella raccolta delle prove in loro possesso necessarie allo svolgimento del procedimento giudiziario» [punto 2, lettera f), della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza]. Nella sua risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha parimenti chiesto a «tutti gli Stati (…) di scambiare informazioni in conformità con la legislazione nazionale ed internazionale e cooperare nei settori amministrativo e giudiziario al fine di impedire la commissione di atti di terrorismo» [punto 3, lettera b), della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza].

128    La Corte ha del resto già dichiarato che, se è vero che l’Unione è tenuta, in conseguenza dell’adozione di una posizione comune, ad assumere, nell’ambito del Trattato, le misure imposte dalla posizione comune stessa, tale obbligo implica che, nell’elaborare tali misure, quando si tratti dell’attuazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, siano presi in debita considerazione i termini e gli obiettivi della risoluzione di cui trattasi nonché gli obblighi pertinenti che derivano dalla Carta delle Nazioni Unite relativamente ad una siffatta attuazione (sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc., EU:C:2008:461, punto 296; v. parimenti sentenza del 13 marzo 2012, Melli Bank/Consiglio, C‑380/09 P, Racc., EU:C:2012:137, punto 55).

129    Alla luce tanto degli obiettivi della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, intesa all’intensificazione della lotta al terrorismo a livello mondiale tramite la cooperazione sistematica e stretta di tutti gli Stati, quanto del fatto che la posizione comune 2001/931 è stata adottata per attuare tale risoluzione, la tesi della ricorrente, sostenuta sebbene detta posizione comune non comporti alcuna limitazione a priori quanto all’origine nazionale delle autorità competenti, travisa sia la lettera sia l’obiettivo di questa posizione comune ed è pertanto incompatibile con l’attuazione a livello dell’Unione della risoluzione del Consiglio di sicurezza.

130    Peraltro, occorre osservare che il considerando 6 del regolamento n. 2580/2001 indica che «[tale] regolamento è una misura necessaria a livello comunitario e complementare alle procedure amministrative e giudiziarie applicate alle organizzazioni terroristiche nell’Unione europea e nei paesi terzi».

131    In secondo luogo, occorre considerare che l’argomento della ricorrente poggia su una percezione inesatta della funzione del principio di leale cooperazione nell’ambito del regime creato dalla posizione comune 2001/931 e dell’adozione, da parte del Consiglio, di misure restrittive.

132    Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, i rapporti tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione sono regolati da doveri reciproci di leale cooperazione (sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punto 94).

133    Come rilevato dalla giurisprudenza, il principio di leale cooperazione comporta, per il Consiglio, in un caso di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 e dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, l’obbligo di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente dello Stato membro di cui trattasi, quanto meno se si tratta di un’autorità giudiziaria, in particolare riguardo all’esistenza di «prove o indizi seri e credibili» sui quali si fondi la decisione di quest’ultima (sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punto 95).

134    Tale principio riguarda dunque, contrariamente a quanto suggerito dalla ricorrente, non la questione della qualificazione di un’autorità nazionale come autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931, bensì unicamente la portata degli obblighi del Consiglio nei confronti delle decisioni di una siffatta autorità, allorché quest’ultima è un’autorità di uno Stato membro.

135    La circostanza, altrimenti esatta, che il principio di leale cooperazione si applica unicamente nei rapporti fra l’Unione e gli Stati membri non ha, pertanto, come conseguenza che un’autorità di uno Stato terzo non possa essere considerata autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931 e che il Consiglio non possa, se del caso, rimettersi alle valutazioni di tale autorità.

136    Si evince dalle suesposte considerazioni che l’argomento dedotto in via principale dalla ricorrente, secondo il quale l’inapplicabilità del principio di leale cooperazione nei rapporti fra l’Unione e gli Stati terzi vieterebbe, in linea di principio, di qualificare come autorità competente un’autorità di uno Stato terzo, deve essere respinto. La finalità perseguita dalla posizione comune 2001/931 porta, infatti, alla conclusione opposta.

137    Tuttavia, come il Tribunale ha desunto dalle disposizioni della posizione comune 2001/931, poiché il meccanismo instaurato da tale posizione comune ha per effetto di consentire al Consiglio di includere una persona nell’elenco del congelamento dei capitali sul fondamento di una decisione presa da un’autorità nazionale, la verifica dell’esistenza di una decisione di un’autorità nazionale che soddisfi la definizione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 costituisce una condizione preliminare essenziale per l’adozione, da parte del Consiglio, della propria decisione di congelamento dei capitali (v., in tal senso, sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punto 93).

138    Tale condizione, elaborata dal Tribunale nel contesto di decisioni adottate da autorità di Stati membri dell’Unione, risulta ancora più importante nel caso di decisioni adottate da autorità di Stati terzi. Infatti, a differenza degli Stati membri, molti Stati terzi non sono vincolati dagli obblighi risultanti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e nessuno di essi è assoggettato alle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

139    Incombe dunque al Consiglio verificare con cura, prima di fondarsi su una decisione di un’autorità di uno Stato terzo, che la normativa pertinente di tale Stato assicuri una protezione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva equivalente a quella garantita a livello dell’Unione. Inoltre, non possono sussistere elementi nel senso che lo Stato terzo viola nella prassi tale normativa. Infatti, in tal caso, l’esistenza di una normativa che soddisfi formalmente i summenzionati requisiti non consentirebbe comunque di concludere per l’esistenza di un’autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931.

140    Occorre aggiungere che, senza un’equivalenza fra il livello di tutela assicurato dalla normativa dello Stato terzo e quello assicurato a livello dell’Unione, riconoscere ad un’autorità nazionale di uno Stato terzo la qualità di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931 implica una disparità di trattamento fra le persone oggetto di misure di congelamento dei capitali dell’Unione, a seconda che le decisioni nazionali sottese a tali misure promanino da autorità di Stati terzi o da autorità di Stati membri.

141    Orbene, è giocoforza constatare, come già la ricorrente, che le motivazioni dei regolamenti impugnati non contengono alcun elemento che consenta di ritenere che il Consiglio abbia proceduto ad una tale verifica accurata del livello di garanzia dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nella normativa indiana. Tali motivazioni si limitano, nei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014, alle seguenti considerazioni:

«Alla luce del compimento e della partecipazione delle [LTTE] ad atti terroristici, il governo indiano ha bandito le LTTE nel 1992 in forza dell’Unlawful Activities Act 1967 (legge sulle attività illegali del 1967) e le ha successivamente incluse nell’elenco delle organizzazioni terroristiche allegato all’Unlawful Activities Prevention (Amendment) Act 2004 [legge (emendamento) sulla prevenzione delle attività illegali del 2004].

Le decisioni nei confronti delle [LTTE] sono pertanto state adottate da autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931».

142    Per contro, nel caso delle autorità britanniche, che sono autorità di uno Stato membro dell’Unione, il Consiglio si è preoccupato, dopo aver menzionato la normativa applicabile, di constatare che le loro decisioni erano soggette a revisione periodica da parte di una commissione governativa (paragrafi 5 delle motivazioni dei diversi regolamenti impugnati) oppure a ricorso giurisdizionale (paragrafi 6 delle motivazioni del 25 agosto e del 15 novembre 2010). Orbene, per quanto riguarda le autorità indiane (Stato terzo), esso non fornisce alcuna valutazione dei livelli di protezione dei diritti della difesa e di tutela giurisdizionale assicurati dalla normativa indiana.

143    A tal riguardo, è in maniera non convincente che il Consiglio ha avanzato, in udienza, che la mancata valutazione dei livelli di tutela con riferimento alle autorità indiane dipendeva dal fatto che i regolamenti impugnati avessero ad oggetto riesami e non l’iscrizione iniziale, la quale, invece, avrebbe dato luogo ad una motivazione più circostanziata, che rifletteva una valutazione iniziale più approfondita della normativa indiana.

144    Anzitutto, tale argomento è contraddetto dal ripetuto inserimento di una motivazione specifica con riferimento alle autorità britanniche in tutti i diversi regolamenti impugnati successivi. Poi, il Consiglio non produce, a sostegno del suo argomento, la motivazione asseritamente più circostanziata del regolamento di iscrizione iniziale né deduce, tantomeno dimostra, di averla comunicata alla ricorrente. Ammesso pure che le allegazioni del Consiglio rispondano al vero, dalla trasmissione alla ricorrente di una motivazione pertanto incompleta conseguirebbe perlomeno una violazione dei diritti della difesa. Infine, occorre rammentare che le misure di congelamento dei capitali, nonostante la loro natura preventiva, possono produrre un significativo impatto negativo sulle persone e sui gruppi interessati (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione/Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, Racc., EU:C:2013:518, punto 132 e la giurisprudenza citata). Di conseguenza, sia l’adozione che la proroga di tali misure devono poggiare su una motivazione sufficientemente solida ed esplicita.

145    Per quanto attiene al regolamento di esecuzione n. 790/2014, i motivi del mantenimento dell’iscrizione sono completati dalle indicazioni che gli articoli 36 e 37 dell’Unlawful Activities Act 1967 contengono disposizioni per l’appello e la revisione dell’elenco e che la decisione di proscrizione delle LTTE quale associazione illegale viene rivista periodicamente dal Ministro dell’Interno indiano. Il Consiglio aggiunge che l’ultima revisione ha avuto luogo il 14 maggio 2012 e che, a seguito della revisione effettuata dal tribunale istituito ai sensi dell’Unlawful Activities Act 1967, la designazione delle LTTE è stata confermata dal Ministro dell’Interno indiano l’11 dicembre 2012. Il Consiglio indica che tali decisioni sono state pubblicate tramite notifica nella Gazzetta ufficiale indiana.

146    Nel caso di uno Stato terzo, alla luce delle considerazioni svolte ai precedenti punti da 138 a 140, incombe segnatamente al Consiglio verificare con cura che la normativa pertinente dello Stato terzo assicuri una protezione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva equivalente a quella garantita a livello dell’Unione. In tale contesto, il mero riferimento ad articoli di legge e ad una revisione periodica da parte del Ministro dell’Interno non è sufficiente per consentire di concludere nel senso che è stato condotto un esame accurato delle garanzie offerte dallo Stato terzo in questione con riferimento alla tutela dei diritti della difesa e del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva.

147    Risulta dalle suesposte considerazioni che, alla luce delle motivazioni dei regolamenti impugnati, non si può ritenere che il Consiglio, preliminarmente al mantenimento dell’iscrizione della ricorrente nell’elenco del congelamento dei capitali, abbia proceduto a verificare in maniera accurata che lo Stato terzo in questione disponesse di una normativa che garantiva il rispetto dei diritti della difesa, nonché il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, in una misura equivalente a quella garantita a livello dell’Unione.

148    Ciò è a maggior ragione vero se si considera che le motivazioni dei regolamenti impugnati non menzionano disposizioni indiane, in particolare il Prevention of Terrorism Act (POTA) (legge sulla prevenzione del terrorismo). La difesa rivela, ma a posteriori dinanzi al Tribunale, che esse erano rilevanti, in quanto stabilivano il procedimento applicabile alla proscrizione dei gruppi ritenuti violare le leggi indiane sulle attività illegali. Tale lacuna nelle motivazioni dei regolamenti impugnati conferma l’assenza di un esame accurato, pur particolarmente importante nel caso di decisioni di autorità di Stati terzi.

149    Tale assenza di esame accurato nella fase dell’adozione dei regolamenti impugnati e la violazione dell’obbligo di motivazione che ne risulta non possono essere compensati dai riferimenti e dalle spiegazioni del Consiglio forniti per la prima volta dinanzi al Tribunale.

150    Occorre infine osservare, in relazione alle considerazioni svolte al precedente punto 139, seconda frase, che né il Consiglio né alcun interveniente a suo sostegno rispondono agli argomenti dell’atto introduttivo, ripresi nella replica, secondo i quali l’abrogazione del POTA nel 2004 era dovuta al fatto che tale testo avrebbe portato a detenzioni arbitrarie, atti di tortura, sparizioni ed esecuzioni extragiudiziarie e le modifiche legislative intervenute successivamente a siffatta abrogazione non avrebbero risolto i problemi.

151    Di conseguenza, mentre le autorità britanniche menzionate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati hanno potuto correttamente essere qualificate dal Consiglio come autorità competenti, non può dirsi altrettanto per le autorità indiane, perlomeno allo stato delle motivazioni dei regolamenti impugnati.

152    Il presente motivo deve pertanto essere accolto nella parte in cui riguarda le autorità indiane e deve essere respinto nella parte in cui riguarda le autorità britanniche.

153    Occorre proseguire l’esame dei ricorsi valutando le censure mosse dalla ricorrente nei confronti dell’approccio seguito dal Consiglio e dei motivi del mantenimento della sua iscrizione nell’elenco del congelamento dei capitali, in particolare la censura relativa al fatto che l’imputazione alla ricorrente degli atti di violenza menzionati nelle motivazioni dei regolamenti impugnati non poggerebbe su una base giuridica e fattuale sufficiente.

154    A tal fine, occorre esaminare congiuntamente i motivi dal quarto al sesto, in combinato con il secondo motivo.

 Sui motivi dal quarto al sesto, in combinato con il secondo motivo

 Argomenti delle parti

155    La ricorrente fa valere che, lungi dall’avere proceduto ad un esame serio degli sviluppi dei procedimenti a livello nazionale, come tuttavia imporrebbe l’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il Consiglio ha fondato i regolamenti impugnati non tanto su decisioni di autorità competenti quanto su un elenco di atti da esso direttamente imputati alla ricorrente. Tale elenco non costituirebbe una decisione di un’autorità competente. L’imputazione che esso comporterebbe non poggerebbe su una base giuridica e fattuale sufficiente (secondo e quarto motivo). Inoltre, le motivazioni dei regolamenti impugnati sarebbero troppo lacunose per consentire alla ricorrente di organizzare una difesa efficace e per permettere un sindacato giurisdizionale (quinto e sesto motivo).

156    Il Consiglio, sostenuto dagli intervenienti, contesta gli argomenti della ricorrente e afferma di aver proceduto ad un dettagliato riesame nel merito prima di decidere, tramite i regolamenti impugnati, di mantenere l’iscrizione della ricorrente nell’elenco del congelamento dei capitali. Per quanto attiene al risultato di tale riesame, si tratterebbe di una questione di natura politica la cui soluzione spetterebbe esclusivamente al legislatore. Il Consiglio godrebbe di un ampio potere discrezionale. Quanto alla considerazione, da parte del medesimo, degli sviluppi dei procedimenti a livello nazionale, il Consiglio richiama due domande di radiazione dall’elenco presentate dalla ricorrente allo Home Secretary nel 2007 e nel 2009, le quali sarebbero state respinte. Il Consiglio contesta di non aver tenuto in debito conto l’evoluzione della situazione nello Sri Lanka a partire dalla disfatta militare della ricorrente nel 2009. Esso ritiene di avere pienamente adempiuto il proprio obbligo di motivazione e contesta che i diritti della difesa della ricorrente siano stati violati. Quanto ai fatti imputati alla ricorrente, quest’ultima avrebbe dovuto, se del caso, contestarli a livello nazionale. Del resto, tali fatti costituirebbero elementi di contesto, pubblicamente noti, dei quali la ricorrente sarebbe stata a conoscenza da molto tempo, ancorché li revochi in dubbio solo dinanzi al Tribunale.

 Giudizio del Tribunale

157    In primo luogo, occorre rammentare che il Consiglio, successivamente all’adozione, sul fondamento di decisioni di autorità nazionali competenti, di una decisione di iscrizione di una persona o di un gruppo nell’elenco del congelamento dei capitali, deve assicurarsi a intervalli regolari, almeno una volta ogni sei mesi, che il mantenimento del nome dell’interessato nell’elenco controverso sia ancora giustificato.

158    Così come la verifica dell’esistenza di una decisione di un’autorità nazionale che soddisfi la definizione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 si configura come una condizione preliminare fondamentale per l’adozione, da parte del Consiglio, della decisione iniziale di congelamento dei capitali, la verifica delle conseguenze riservate a tale decisione a livello nazionale risulta indispensabile nell’ambito dell’adozione di una decisione successiva di congelamento dei capitali (sentenze del 12 dicembre 2006, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, T‑228/02, Racc., EU:T:2006:384, punto 117; in prosieguo: la «sentenza OMPI T‑228/02», e dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, EU:T:2007:207, punto 164). Ciò che rileva, nel corso dell’esame del mantenimento del nome di una persona nell’elenco controverso, è accertare se, dal momento dell’iscrizione di tale persona in detto elenco o a partire dal riesame precedente, la situazione di fatto sia tanto mutata da non consentire più di trarre la medesima conclusione riguardo al coinvolgimento della persona in questione in attività terroristiche (sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P, punto 105 supra, EU:C:2012:711, punto 82).

159    In secondo luogo, occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE, che dev’essere adeguata alla natura dell’atto in esame e al contesto in cui esso è stato adottato, deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo di legittimità. La necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni (v. sentenza OMPI T‑228/02, punto 158 supra, EU:T:2006:384, punto 141 e giurisprudenza citata).

160    Nel contesto dell’adozione di una decisione di congelamento dei capitali ai sensi del regolamento n. 2580/2001, la motivazione di quest’ultima dev’essere valutata anzitutto alla luce delle condizioni legali di applicazione di tale regolamento alla fattispecie, quali enunciate al suo articolo 2, paragrafo 3, e, per rinvio, all’articolo 1, paragrafo 4, ovvero all’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, a seconda che si tratti di una decisione iniziale o di una decisione successiva di congelamento dei capitali (sentenza OMPI T‑228/02, punto 158 supra, EU:T:2006:384, punto 142).

161    A tale riguardo, il Tribunale non può ammettere che la motivazione possa consistere soltanto in una formulazione generica e stereotipata, ricalcata sulla lettera dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e dell’articolo 1, paragrafi 4 o 6, della posizione comune 2001/931. Conformemente ai principi testé rammentati, il Consiglio è tenuto a menzionare gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende la giustificazione legale della sua decisione e le considerazioni che l’hanno indotto ad adottarla. La motivazione di una misura siffatta deve quindi indicare le ragioni specifiche e concrete per le quali il Consiglio considera applicabile all’interessato la normativa pertinente (v. sentenza OMPI T‑228/02, punto 158 supra, EU:T:2006:384, punto 143 e giurisprudenza citata).

162    Pertanto, sia la motivazione di una decisione iniziale di congelamento dei capitali sia la motivazione delle decisioni successive devono trattare non solo le condizioni legali di applicazione del regolamento n. 2580/2001, in particolare l’esistenza di una decisione nazionale assunta da un’autorità competente, ma altresì le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio considera, nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione, che l’interessato debba formare oggetto di una misura di congelamento dei capitali (sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punto 60).

163    In terzo luogo, quanto al controllo esercitato dal Tribunale, quest’ultimo ha riconosciuto che il Consiglio dispone di un ampio potere discrezionale in merito agli elementi da prendere in considerazione per adottare sanzioni economiche e finanziarie ai sensi degli articoli 75 TFUE, 215 TFUE e 352 TFUE, conformemente a una posizione comune adottata nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune. Tale potere discrezionale riguarda, in particolare, le considerazioni di opportunità sulle quali si fondano siffatte decisioni (v. sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punto 97 e giurisprudenza citata). Tuttavia, riconoscere al Consiglio detto margine discrezionale in materia non esonera il Tribunale dal controllare l’interpretazione dei dati rilevanti fornita da tale istituzione. Il giudice dell’Unione, in particolare, non solo è tenuto a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare la situazione e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte. Nell’ambito di tale controllo, egli non può, però, sostituire la propria valutazione di opportunità a quella del Consiglio (v. sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punto 98 e giurisprudenza citata).

164    In quarto luogo, quanto ai fondamenti giuridici e fattuali di una decisione di congelamento dei capitali in materia di terrorismo, occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, l’elenco di congelamento dei capitali è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulti che un’autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità interessati, si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti.

165    La Corte, nella sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P, punto 105 supra (EU:C:2012:711), ha ricordato come dal riferimento, nell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, alla decisione di un’«autorità competente» nonché a «informazioni precise» e a «prove o indizi seri e credibili» emerga che detta disposizione è intesa a proteggere le persone interessate, facendo sì che la loro iscrizione da parte del Consiglio nell’elenco controverso avvenga solo su di una base fattuale sufficientemente solida, e che la succitata posizione comune si propone di raggiungere tale obiettivo imponendo la necessità di una decisione assunta da un’autorità nazionale (punto 68 della sentenza). Difatti, ha rilevato la Corte, l’Unione manca di mezzi per condurre essa stessa indagini sul coinvolgimento di una determinata persona in atti terroristici (punto 69 della sentenza).

166    È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre esaminare le motivazioni sulle quali il Consiglio ha fondato i regolamenti impugnati.

167    Tali motivazioni cominciano con un paragrafo nel quale il Consiglio, in primo luogo, descrive la ricorrente come un «gruppo terroristico» formato nel 1976 e che combatte per uno Stato Tamil indipendente nel nord e nell’est dello Sri Lanka; in secondo luogo, esso afferma che la ricorrente ha commesso «un certo numero di atti terroristici, inclusi attacchi ed azioni intimidatorie ripetute su civili, attacchi frequenti contro obiettivi governativi, frantumazione dei processi politici, rapimenti e omicidi politici» e, in terzo luogo, sostiene che, «benché la recente disfatta militare delle LTTE abbia indebolito in maniera significativa la loro struttura, tale organizzazione intende probabilmente continuare gli attacchi terroristici nello Sri Lanka» (paragrafi 1 delle motivazioni dei regolamenti impugnati).

168    Il Consiglio stila indi un elenco di «atti terroristici» che, a suo avviso, la ricorrente avrebbe commesso a partire da agosto 2005 e fino ad aprile 2009 ovvero – secondo i regolamenti impugnati – fino a giugno 2010 (paragrafi 2 delle motivazioni dei regolamenti impugnati).

169    Dopo aver considerato che «tali atti rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 3, [lettere] a), b), c), f) e g), della posizione comune 2001/931 e sono stati commessi ai fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, [punti] i) e iii), di detta posizione comune», e che «[alle LTTE] si applica l’articolo 2, paragrafo 3, [punto] ii), del regolamento n. 2580/2001» (paragrafi 3 e 4 delle motivazioni dei regolamenti impugnati), il Consiglio menziona decisioni che le autorità britanniche e indiane avrebbero adottato nei confronti della ricorrente nel 1992, nel 2001, nel 2004 (paragrafi 5 e 6 delle motivazioni dei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014) e nel 2102 (paragrafi 6 e 7 delle motivazioni del regolamento di esecuzione n. 790/2014).

170    Per quanto riguarda le decisioni britanniche e – solo nelle motivazioni del regolamento di esecuzione n. 790/2014 – le decisioni indiane, il Consiglio riferisce che esse vengono rivedute regolarmente ovvero che sono soggette a revisione o ad appello.

171    Il Consiglio deduce da tali considerazioni che «ad adottare le decisioni nei confronti delle [LTTE] sono state pertanto autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931» (paragrafi 7 delle motivazioni dei regolamenti impugnati).

172    Infine, il Consiglio «constata che le decisioni summenzionate (…) sono tuttora in vigore e (…) considera che i motivi che hanno fondato l’iscrizione delle [LTTE] nell’elenco [del congelamento dei capitali] sono ancora giustificati» (paragrafi 8 delle motivazioni dei regolamenti impugnati). Il Consiglio ne conclude che la ricorrente deve restare iscritta in detto elenco (paragrafi 9 delle motivazioni dei regolamenti impugnati).

173    Occorre anzitutto rilevare che, per quanto l’elenco dei fatti stilato dal Consiglio nei paragrafi 2 delle motivazioni dei regolamenti impugnati abbia un peso decisivo nella valutazione dell’opportunità di mantenere il congelamento dei capitali della ricorrente, atteso che è su detto elenco che il Consiglio fonda la constatazione di attività terroristiche in capo a quest’ultima, nessuno di tali fatti è stato esaminato nelle decisioni nazionali cui è fatto riferimento nei paragrafi 5 e 6 delle motivazioni dei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014 e nei paragrafi 6 e 7 delle motivazioni del regolamento di esecuzione n. 790/2014.

174    Invero, per quanto attiene ai regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014, tutti questi fatti sono successivi alle decisioni nazionali citate nelle motivazioni di detti regolamenti. Essi non possono pertanto esservi stati esaminati.

175    Anche se le motivazioni dei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014 enunciano che le decisioni nazionali che essi evocano sono rimaste in vigore, tali atti non fanno alcun riferimento a decisioni nazionali più recenti, tanto meno alle motivazioni delle stesse.

176    A fronte delle censure mosse al riguardo dalla ricorrente, il Consiglio non produce alcuna decisione più recente delle autorità britanniche o indiane di cui provi che abbia disposto quando ha adottato i regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014 e dalla quale risulti, in concreto, che i fatti elencati nelle motivazioni siano stati realmente esaminati e valutati da dette autorità.

177    Relativamente al procedimento nel Regno Unito, il Consiglio produce soltanto le decisioni del 2001 menzionate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati. Il Consiglio non produce alcuna decisione britannica successiva, tantomeno le motivazioni di una tale decisione. Esso menziona tutt’al più, ma senza produrle né fornire alcuna indicazione precisa sulle loro motivazioni concrete, una decisione dell’UK Treasury del 7 dicembre 2009 e le decisioni di rigetto di due domande delle LTTE, presentate nel 2007 e nel 2009, intese alla loro cancellazione dall’elenco britannico del congelamento dei capitali.

178    Quanto alla decisione giudiziaria indiana del 12 novembre 2010, prodotta dal Consiglio in fase di controreplica, e ad una decisione giudiziaria indiana del 7 novembre 2012, prodotta nella risposta del Consiglio del 6 febbraio 2014 ai quesiti del Tribunale, esse, alla luce delle considerazioni svolte ai precedenti punti da 138 a 140, sono prive di rilevanza. Per il resto, e ad abundantiam, occorre rilevare che tali decisioni non menzionano, tantomeno si pronunciano, su nessuno dei 24, poi 21, fatti specificamente elencati nelle motivazioni dei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014.

179    Per quanto attiene al regolamento di esecuzione n. 790/2014, le stesse considerazioni svolte al precedente punto 178 valgono riguardo alle decisioni indiane del 2012 (fra cui la decisione giudiziaria del 7 novembre 2012) menzionate, per la prima volta, al paragrafo 7 delle motivazioni di detto regolamento.

180    Quanto alle due decisioni francesi del 23 novembre 2009 e del 22 febbraio 2012 (l’una di primo grado e l’altra di appello) menzionate dal Consiglio nella controreplica nella causa T‑508/11, e che, a suo avviso, avrebbero preso in considerazione un certo numero di fatti elencati nelle motivazioni dei regolamenti impugnati, si deve rilevare quanto segue.

181    In primo luogo, dette decisioni non vengono menzionate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati adottati prima della controreplica. Esse costituiscono, per questo, un tentativo di motivazione tardiva, irricevibile (v., in tal senso, sentenze del 12 novembre 2013, North Drilling/Consiglio, T‑552/12, EU:T:2013:590, punto 26, e del 12 dicembre 2013, Nabipour e a./Consiglio, T‑58/12, EU:T:2013:640, punti da 36 a 39).

182    In secondo luogo, e con maggior peso, tali decisioni francesi non sono neanche menzionate nei regolamenti impugnati adottati successivamente alla controreplica (regolamenti di esecuzione nn. 542/2012, 1169/2012, 714/2013, 125/2014 e 790/2014). Il Consiglio non può rivendicare, allora, quali «elementi della motivazione» delle sue misure restrittive decisioni nazionali che esso non fa valere nelle motivazioni dei regolamenti impugnati posteriori alla sua presa di conoscenza di dette decisioni.

183    Le considerazioni svolte ai precedenti punti da 180 a 182 valgono parimenti riguardo a una decisione tedesca menzionata dal Consiglio, per la prima volta, in udienza.

184    Il Consiglio fa tuttavia valere, nella controreplica, che i fatti elencati nelle motivazioni «s’inseriscono nel contesto, noto a tutti (…), del conflitto che ha conosciuto lo Sri Lanka e al quale ha partecipato la ricorrente» e che «tali elementi di contesto, fondati su eventi pubblicamente noti, sono intesi ad informare la destinataria delle misure preventive adottate dei motivi sui quali il Consiglio ha fondato la propria valutazione della minaccia terroristica che essa rappresenta». Il Consiglio menziona, per suffragare il proprio riferimento ad «elementi di contesto», la sentenza PMOI T‑256/07, punto 106 supra (EU:T:2008:461, punto 90). A sostegno del proprio argomento attinente alla notorietà dei fatti da esso imputati alla ricorrente, esso richiama taluni articoli di stampa tratti da Internet.

185    Il Consiglio aggiunge che «tale motivazione fattuale non va a sostituirsi ad un’eventuale valutazione giudiziaria, con forza di giudicato, della responsabilità civile o penale degli autori di tali atti o dell’imputazione di detti atti ai medesimi, in quanto non è questo il suo obiettivo». Esso fa valere che «tali elementi erano non solo pubblici, bensì anche perfettamente conosciuti dalla ricorrente alla data dell’adozione dei regolamenti impugnati».

186    Tali argomenti, in uno con l’assenza di qualsiasi riferimento, nelle motivazioni dei regolamenti impugnati, a decisioni di autorità competenti più recenti dei fatti imputati e che rimandino a detti fatti, provano in maniera chiara che il Consiglio ha fondato i regolamenti impugnati non su valutazioni contenute in decisioni di autorità competenti, bensì su informazioni da esso stesso estrapolate dalla stampa e da Internet.

187    Tuttavia, come si evince dagli elementi richiamati ai precedenti punti 164 e 165, la posizione comune 2001/931 esige, ai fini della tutela delle persone interessate e considerata l’assenza di strumenti di indagine propri dell’Unione, che la base fattuale di una decisione dell’Unione di congelamento dei capitali in materia di terrorismo poggi non su elementi che il Consiglio abbia estrapolato dalla stampa o da Internet, bensì su elementi concretamente esaminati e valutati in decisioni di autorità nazionali competenti ai sensi della posizione comune 2001/931.

188    Solo su una siffatta affidabile base fattuale il Consiglio può poi esercitare l’ampio potere discrezionale di cui dispone nell’ambito dell’adozione di decisioni di congelamento dei capitali a livello dell’Unione, in particolare per quanto attiene alle considerazioni di opportunità sulle quali tali decisioni sono fondate.

189    Si evince dalle suesposte considerazioni che il Consiglio non ha rispettato tali prescrizioni della posizione comune 2001/931.

190    Le motivazioni dei regolamenti impugnati rivelano, del resto, un ragionamento del Consiglio in senso contrario a quanto richiede detta posizione comune.

191    Infatti, invece di ricorrere, quale fondamento fattuale della sua valutazione, a decisioni di autorità competenti adottate in considerazione di fatti precisi e sulla base dei medesimi, verificare poi se detti fatti fossero realmente «atti terroristici» e il gruppo interessato realmente «un gruppo» ai sensi delle definizioni della posizione comune 2001/931 e decidere, infine, su tale base e nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, di adottare eventualmente una decisione a livello dell’Unione, il Consiglio ha, nelle motivazioni dei regolamenti impugnati, proceduto all’inverso.

192    Esso parte da valutazioni che sono, in realtà, sue proprie, qualificando la ricorrente come terrorista fin dalla prima frase delle motivazioni – talché la questione che le motivazioni sono chiamate a risolvere è risolta a monte – e imputandole una serie di fatti di violenza da esso ricavati dalla stampa e da Internet (paragrafi 1 e 2 delle motivazioni dei regolamenti impugnati).

193    Occorre osservare, a tal riguardo, che la circostanza che si tratti di un riesame dell’elenco di congelamento dei capitali, dunque di un esame successivo ad altri, non può giustificare tale qualificazione aprioristica. Senza per questo ignorare il passato, il riesame di una misura di congelamento dei capitali è teoricamente aperto alla possibilità che la persona o il gruppo interessato non sia più terrorista al momento in cui il Consiglio statuisce. È dunque solo al termine di tale riesame che il Consiglio può trarre le sue conclusioni.

194    Il Consiglio dichiara, poi, che i fatti che imputa alla ricorrente rientrano nella definizione di atto terroristico ai sensi della posizione comune 2001/931 e che la ricorrente è un gruppo ai sensi di detta posizione comune (paragrafi 3 e 4 delle motivazioni dei regolamenti impugnati).

195    Solo di seguito a tali affermazioni il Consiglio menziona decisioni di autorità nazionali (paragrafi da 5 a 8 delle motivazioni dei regolamenti impugnati), le quali sono tuttavia, perlomeno nel caso dei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014, anteriori ai fatti imputati.

196    Il Consiglio non tenta di provare, nelle motivazioni di tali ultimi regolamenti di esecuzione, che eventuali decisioni nazionali di riesame successive, oppure altre decisioni di autorità competenti, abbiano concretamente esaminato e valutato i fatti concreti menzionati all’inizio delle stesse motivazioni. Esso si limita piuttosto, nelle motivazioni dei regolamenti di esecuzione nn. da 83/2011 a 125/2014, a citare le decisioni nazionali iniziali e ad indicare, puramente e semplicemente, che esse sono ancora in vigore. Soltanto nelle motivazioni del regolamento di esecuzione n. 790/2014 il Consiglio menziona decisioni nazionali posteriori ai fatti concretamente imputati alla ricorrente, anche in tal caso, però, senza dimostrare che tali decisioni – per il resto irrilevanti alla luce delle considerazioni svolte ai precedenti punti da 138 a 140 – abbiano realmente esaminato e valutato i fatti specifici menzionati all’inizio delle medesime motivazioni.

197    La presente causa si distingue, pertanto, nettamente dalle altre cause che hanno inaugurato il contenzioso relativo alle misure di congelamento dei capitali per fatti di terrorismo, dinanzi al Tribunale, in seguito all’adozione della posizione comune 2001/931 (cause Al-Aqsa/Consiglio, Sison/Consiglio e People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio).

198    Infatti, mentre, in dette prime cause del contenzioso dell’Unione in materia di terrorismo, la base fattuale dei regolamenti del Consiglio trovava origine in decisioni di autorità nazionali competenti, il Consiglio non si fonda più, nella specie, su fatti già verificati da autorità nazionali, ma procede esso stesso a proprie imputazioni fattuali autonome sulla base di informazioni ricavate dalla stampa o da Internet. Così facendo, il Consiglio esercita le funzioni di «autorità competente» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931; ciò non rientra tuttavia né nella sua competenza secondo tale posizione comune, né nei suoi mezzi, come rilevato sostanzialmente dalla Corte.

199    È dunque invano che il Consiglio (v. punto 184 supra) menziona, in particolare, la sentenza PMOI T‑256/07, punto 106 supra (EU:T:2008:461, punto 90). Invero, nella causa all’origine di tale sentenza, gli atti elencati nelle motivazioni del congelamento dei capitali trasmesse dal Consiglio alla People’s Mojahedin Organization of Iran (in prosieguo: la «PMOI») non risultavano da valutazioni autonome del Consiglio, bensì da valutazioni dell’autorità nazionale competente. Come si evince dal punto 90 della sentenza PMOI T‑256/07, punto 106 supra (EU:T:2008:461), nella memoria di motivazione del 30 gennaio 2007 trasmessa al gruppo interessato (la PMOI) erano citati atti terroristici di cui la PMOI sarebbe stata responsabile e precisato che, «in ragione [degli stessi], era stata presa una decisione da parte di un’autorità nazionale competente». Gli atti elencati nella memoria di motivazione del Consiglio del 30 gennaio 2007, trasmessa alla PMOI, erano dunque stati esaminati e valutati nei confronti di tale gruppo dall’autorità nazionale competente. Diversamente che nella presente fattispecie, non era stato il Consiglio a rilevarli autonomamente.

200    Analogamente, nella causa T‑348/07, Al-Aqsa/Consiglio, il Tribunale disponeva del testo delle decisioni di autorità competenti invocate nelle motivazioni dei regolamenti impugnati e lo ha analizzato in dettaglio. Esso ha concluso che il Consiglio, ritenendo che la ricorrente sapesse che i capitali che raccoglieva sarebbero stati utilizzati a fini terroristici, non era incorso in alcun manifesto errore di valutazione (sentenza Al-Aqsa T‑348/07, punto 105 supra, EU:T:2010:373, punti da 121 a 133). La base fattuale sulla quale il Consiglio lavorava era dunque, per come accertato dal Tribunale, una base fattuale del tutto solida, risultante direttamente dagli accertamenti compiuti dalle autorità nazionali competenti. Nella sentenza dell’11 luglio 2007, Al-Aqsa/Consiglio (T‑327/03, EU:T:2007:211), si evince parimenti in maniera chiara dalle motivazioni (punti da 17 a 20 della sentenza) che le valutazioni alla base della misura di congelamento dei capitali dell’Unione si fondavano su accertamenti di fatto provenienti non dal Consiglio, bensì da decisioni di autorità nazionali competenti.

201    Anche nella causa T‑341/07, Sison/Consiglio, le valutazioni alla base della misura di congelamento dei capitali erano tratte da accertamenti di fatto non propri del Consiglio, ma provenienti da decisioni con forza di giudicato adottate da autorità nazionali competenti [Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) e Rechtbank (tribunale dell’Aja, Paesi Bassi)] (sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punti 1, 88 e da 100 a 105).

202    Si deve aggiungere che, ancorché le motivazioni fattuali dei regolamenti impugnati, dunque l’elenco dei fatti imputati dal Consiglio alla ricorrente nel caso di specie, non costituiscano, per rispondere all’argomento del Consiglio (v. punto 185 supra), una «valutazione giudiziaria con forza di giudicato», esse hanno svolto un ruolo decisivo nella valutazione, da parte del Consiglio, dell’opportunità di mantenere l’iscrizione della ricorrente nell’elenco di congelamento dei capitali e il Consiglio, lungi dal dimostrare di aver fondato tali motivazioni su decisioni di autorità competenti, attesta di essersi basato, in realtà, su estratti stampa o Internet.

203    A giudizio del Tribunale, tale approccio è contrario al sistema a due livelli instaurato dalla posizione comune 2001/931 in materia di terrorismo.

204    Se è vero, come rilevato dalla Corte, che l’importante, nel corso di un riesame, è accertare se, dal momento dell’iscrizione della persona di cui trattasi nell’elenco di congelamento dei capitali o a partire dal riesame precedente, la situazione di fatto sia tanto mutata da non consentire più di trarre la medesima conclusione riguardo al coinvolgimento della persona in questione in attività terroristiche (sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P, punto 105 supra, EU:C:2012:711, punto 82) – talché il Consiglio può, se del caso e nell’ambito del suo ampio potere discrezionale, decidere di mantenere una persona nell’elenco di congelamento dei capitali se la situazione di fatto non è mutata –, è vero pure che ogni nuovo atto terroristico che il Consiglio inserisca nelle sue motivazioni in occasione di tale riesame, al fine di giustificare il mantenimento dell’iscrizione della persona di cui trattasi nell’elenco di congelamento dei capitali, deve, nel sistema decisionale a due livelli istituito dalla posizione comune 2001/931 e a causa della mancanza di strumenti di indagine del Consiglio, essere stato oggetto di un esame e di una decisione di un’autorità competente ai sensi di tale posizione comune.

205    Invano il Consiglio e la Commissione provano a sostenere che l’assenza di riferimenti, nelle motivazioni dei regolamenti impugnati, a decisioni di autorità competenti precise che abbiano concretamente esaminato e valutato i fatti indicati all’inizio delle stesse motivazioni sia imputabile alla ricorrente, la quale avrebbe potuto e dovuto, a loro avviso, contestare le misure restrittive adottate nei suoi confronti a livello nazionale.

206    Da un lato, l’obbligo del Consiglio di fondare le proprie decisioni di congelamento dei capitali in materia di terrorismo su una base fattuale tratta da decisioni di autorità competenti discende direttamente dal sistema a due livelli instaurato dalla posizione comune 2001/931, come confermato dalla sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P, punto 105 supra (EU:C:2012:711, punti 68 e 69). Tale obbligo non dipende dunque dal comportamento della persona o del gruppo di cui trattasi. In forza dell’obbligo di motivazione, il quale costituisce una formalità sostanziale, il Consiglio è tenuto a indicare, nella motivazione delle sue decisioni di congelamento dei capitali, le decisioni di autorità nazionali competenti che abbiano concretamente esaminato e valutato i fatti di terrorismo che esso riprende come base fattuale delle sue proprie decisioni.

207    Dall’altro lato, l’argomento del Consiglio e della Commissione non fa, in definitiva, che corroborare la constatazione, di cui al precedente punto 186, secondo la quale il Consiglio si è fondato, in realtà, non su valutazioni contenute in decisioni di autorità competenti, ma su informazioni di stampa o di Internet. A tal riguardo, appare paradossale che il Consiglio addebiti alla ricorrente di non avere contestato a livello nazionale imputazioni fattuali che esso stesso non riesce a collegare a una qualsivoglia decisione di un’autorità competente precisa.

208    Infine, tale argomento sembra perlomeno problematico nella parte in cui lascia pensare che le decisioni nazionali di congelamento dei capitali sulla cui base il Consiglio decide di fondarsi in sede di applicazione concreta della posizione comune 2001/931 possano esse stesse non poggiare su un atto terroristico concreto, fintantoché non siano sollevate obiezioni dalla parte interessata a livello nazionale.

209    È parimenti invano che il Consiglio e la Commissione contestano l’obbligo di trarre la base fattuale dei regolamenti di congelamento dei capitali da decisioni di autorità competenti sulla base del rilievo che, in tal caso, in assenza di decisioni del genere, potrebbero aver luogo radiazioni ingiustificate di persone o gruppi dall’elenco del congelamento dei capitali. Il Consiglio e la Commissione si appellano, in particolare, alle differenze di cadenza temporale di riesame che possono sussistere negli Stati membri rispetto alla cadenza semestrale applicabile a livello dell’Unione.

210    Da un lato, ancora una volta, tale contestazione osta a quanto prescritto dalla posizione comune 2001/931 (articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931), come confermato dalla sentenza Al-Aqsa C‑539/10 P, punto 105 supra (EU:C:2012:711, punti 68 e 69), la quale esige, per la protezione delle persone interessate e alla luce della mancanza di mezzi di indagine propri dell’Unione, che la base fattuale di una decisione dell’Unione di congelamento dei capitali in materia di terrorismo poggi su elementi esaminati concretamente e valutati in decisioni di autorità nazionali competenti ai sensi della posizione comune 2001/931. Dall’altro, occorre rilevare che, nel sistema a due livelli di tale posizione comune e al fine di assicurare l’efficacia della lotta al terrorismo, spetta agli Stati membri trasmettere regolarmente al Consiglio, e a quest’ultimo raccogliere, le decisioni di autorità competenti adottate in seno a detti Stati membri, nonché le motivazioni di tali decisioni.

211    Questa necessaria trasmissione e raccolta delle decisioni di autorità competenti corrisponde peraltro in toto alla circolazione di informazioni prevista, segnatamente, ai punti 2, 3, 8 e 24 del documento intitolato «Working methods of the Working Party on implementation of Common Position 2001/931 on the application of specific measures to combat terrorism» (Metodi di lavoro del Gruppo di lavoro sull’attuazione della posizione comune 2001/931 relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo), figurante all’allegato II al documento 10826/1/07 REV 1 del Consiglio, del 28 giugno 2007.

212    Se, malgrado tale trasmissione di informazioni, il Consiglio non dispone di alcuna decisione di autorità competente riguardo a un fatto particolare suscettibile di costituire un atto terroristico, incombe al medesimo, in assenza di strumenti di indagine propri, chiedere su tale fatto la valutazione di un’autorità nazionale competente, in vista di una decisione di tale autorità.

213    A tal fine, il Consiglio può rivolgersi ai 28 Stati membri dell’Unione e più in particolare, fra questi, agli Stati membri che abbiano eventualmente già esaminato la situazione della persona o del gruppo di cui trattasi. Esso può altresì rivolgersi ad uno Stato terzo che soddisfi i requisiti richiesti in termini di protezione dei diritti della difesa e del diritto a un ricorso effettivo. La decisione in questione, la quale deve essere, ai sensi della posizione comune 2001/931, un’«apertura di indagini o di azioni penali (…) o (…) una condanna», non deve necessariamente essere la decisione nazionale di riesame periodico dell’iscrizione della persona o del gruppo interessato nell’elenco nazionale di congelamento dei capitali. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, l’esistenza a livello nazionale di una cadenza temporale di riesame periodico diversa da quella in vigore a livello dell’Unione non può giustificare che lo Stato membro interpellato differisca l’esame di un dato fatto richiestogli dal Consiglio. Alla luce sia della struttura a due livelli del sistema attuato dalla posizione comune 2001/931 sia dei doveri reciproci di leale cooperazione vigenti fra gli Stati membri e l’Unione, gli Stati membri sollecitati dal Consiglio devono dare seguito senza indugio alle richieste di quest’ultimo di ottenere una valutazione e, se del caso, una decisione di autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931 su un elemento di fatto idoneo a costituire un atto terroristico.

214    Si evince dalle suesposte considerazioni che l’argomento secondo il quale la necessità di una decisione di autorità competente potrebbe sfociare in radiazioni ingiustificate dall’elenco del congelamento dei capitali non persuade.

215    Occorre aggiungere, inoltre, che l’assenza di un nuovo atto terroristico in un periodo di sei mesi non implica affatto che il Consiglio debba rimuovere la persona o il gruppo di cui trattasi dall’elenco del congelamento dei capitali. Infatti, come rilevato già dal Tribunale, nulla, nelle disposizioni del regolamento n. 2580/2001 e della posizione comune 2001/931, vieta l’applicazione o il mantenimento di misure restrittive nei confronti di persone o entità che abbiano commesso in passato atti terroristici, nonostante l’assenza di elementi nel senso che queste ultime commettano ancora atti di tal genere o vi partecipino, se le circostanze lo giustificano (v., in tal senso, sentenza PMOI T‑256/07, punto 106 supra, EU:T:2008:461, punti da 107 a 113). Pertanto, l’obbligo di procedere a nuove imputazioni di atti terroristici solo sulla base di decisioni di autorità competenti non osta affatto al diritto del Consiglio di mantenere iscritta la persona di cui trattasi nell’elenco del congelamento dei capitali, anche successivamente alla cessazione dell’attività terroristica vera e propria, se le circostanze lo giustificano.

216    Quanto alla possibilità, parimenti menzionata dal Consiglio e dalla Commissione, che vengano adottate decisioni di autorità competenti incompatibili con le decisioni dell’Unione, essa non può costituire un valido motivo per contestare l’obbligo di trarre la base fattuale delle decisioni dell’Unione, nell’interesse della tutela delle persone e dei gruppi di cui trattasi, da decisioni di autorità competenti.

217    Infine, contrariamente a quanto suggeriscono il Consiglio e la Commissione, un siffatto obbligo di trarre la base fattuale dei regolamenti di congelamento dei capitali da decisioni di autorità competenti non è idoneo a suscitare, viceversa, un rischio di mantenimento ingiustificato dell’iscrizione di una persona o di un gruppo nell’elenco del congelamento dei capitali.

218    Infatti, se è vero che l’articolo 1, paragrafi da 1 a 4 e 6, della posizione comune 2001/931 osta a che il Consiglio includa, nella motivazione della sua decisione di iscrizione o di mantenimento di una persona o di un gruppo nell’elenco del congelamento dei capitali, atti terroristici (inclusi i tentativi, la partecipazione a o l’agevolazione di tali atti) che non abbiano formato oggetto di una decisione di un’autorità competente (apertura di indagini o di azioni penali oppure condanna), la posizione comune 2001/931 non contiene un obbligo analogo per quanto attiene al non mantenimento, da parte del Consiglio, di una persona o di un gruppo nell’elenco del congelamento dei capitali. Tale non mantenimento, favorevole alla persona o al gruppo di cui trattasi, non è soggetto agli stessi requisiti procedurali anche se, nella maggior parte dei casi, esso dipenderà da decisioni favorevoli adottate a livello nazionale, quali un abbandono o un’archiviazione di indagini o di procedimenti penali per atti terroristici, un’assoluzione penale o, ancora, la rimozione della persona o del gruppo di cui trattasi dall’elenco nazionale di classificazione.

219    Si evince dalle considerazioni di cui ai precedenti punti da 209 a 218 che erroneamente il Consiglio e la Commissione sostengono che l’obbligo del Consiglio di trarre la base fattuale delle sue decisioni di congelamento dei capitali da decisioni di autorità competenti è idoneo a pregiudicare la politica dell’Unione di lotta al terrorismo.

220    Occorre aggiungere che l’insieme delle constatazioni testé effettuate non eccede la portata del controllo ristretto di competenza del Tribunale, vertente, nel rispetto dell’ampio potere discrezionale del Consiglio, sull’osservanza delle regole di procedura e sull’esattezza materiale dei fatti. È in tal senso, del resto, che il Tribunale, nella sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra (EU:T:2009:372), è stato indotto a verificare – e ha potuto constatare – che i fatti addebitati al sig. Sison esposti nella memoria di motivazione del mantenimento della sua iscrizione nell’elenco di congelamento dei capitali fossero debitamente suffragati dagli accertamenti di fatto svolti, con potere sovrano, dalle autorità olandesi (Raad van State e Rechtbank) nelle decisioni evocate dal Consiglio nella medesima memoria di motivazione (sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punti 87 e 88).

221    Per contro, nella specie, il Tribunale non rinviene, nelle motivazioni dei regolamenti impugnati, riferimenti ad alcuna decisione di autorità competente alle cui motivazioni esso possa ricondurre gli elementi di fatto imputati dal Consiglio alla ricorrente.

222    Inoltre, sempre relativamente alla sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra (EU:T:2009:372), occorre rilevare che il Tribunale, mentre ha constatato che i fatti esposti nelle motivazioni dei regolamenti del Consiglio provenivano effettivamente dalle due decisioni olandesi evocate nelle medesime motivazioni, ha tuttavia negato a queste stesse decisioni la natura di decisioni di autorità competenti, rilevando che esse non avevano ad oggetto l’applicazione di una misura di tipo preventivo o repressivo, all’interessato, a titolo della lotta al terrorismo (sentenza Sison T‑341/07, punto 114 supra, EU:T:2009:372, punti da 107 a 115).

223    Se dunque il Tribunale ha potuto respingere accertamenti di fatto provenienti pur sempre da autorità competenti, sulla base del rilievo che le decisioni di tali autorità non erano «condanne, aperture di indagini o di procedimenti penali», a fortiori, nella specie, non può essere conferito ad articoli di stampa – peraltro non menzionati nelle motivazioni dei regolamenti impugnati – lo status processuale e probatorio riservato dalla posizione comune 2001/931 alle sole decisioni di autorità competenti.

224    Il Tribunale, infine, ritiene opportuno sottolineare l’importanza delle garanzie offerte dai diritti fondamentali in tale contesto (v. conclusioni Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran, C‑27/09 P, Racc., EU:C:2011:482, paragrafi da 235 a 238).

225    Alla luce delle suesposte considerazioni, dalle quali risulta da una parte, che il regolamento n. 2580/2001 è applicabile nel caso di un conflitto armato e, dall’altra, che il Consiglio ha violato tanto l’articolo 1 della posizione comune 2001/931 quanto, mancando riferimenti nelle motivazioni a decisioni di autorità competenti relative ai fatti imputati alla ricorrente, l’obbligo di motivazione, occorre annullare i regolamenti impugnati nei limiti in cui si riferiscono alla ricorrente.

226    Il Tribunale rimarca che tali annullamenti, dovuti a vizi procedurali sostanziali, non implicano nessuna valutazione di fondo sulla questione della qualificazione della ricorrente come gruppo terroristico ai sensi della posizione comune 2001/931.

227    Riguardo agli effetti nel tempo di tali annullamenti, si deve ricordare che, in base all’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in deroga all’articolo 280 TFUE, le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento producono effetti soltanto a decorrere dalla scadenza del termine di impugnazione previsto dall’articolo 56, primo comma, di tale Statuto, oppure, qualora sia stata proposta impugnazione entro detto termine, a decorrere dal rigetto di quest’ultima. Il Consiglio dispone pertanto, in ogni caso, di un termine minimo di due mesi, aumentato del termine di dieci giorni in ragione della distanza, a partire dalla notifica della presente sentenza, per porre rimedio alle violazioni constatate adottando, qualora necessario, una nuova misura restrittiva nei confronti della ricorrente.

228    Tuttavia, e sul fondamento dell’articolo 264 TFUE, secondo comma, il Tribunale può mantenere provvisoriamente gli effetti dell’atto annullato (v., in tal senso, sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, punto 128 supra, EU:C:2008:461, punti da 373 a 376, e sentenza del 16 settembre 2011, Kadio Morokro/Consiglio, T‑316/11, EU:T:2011:484, punto 39).

229    Nelle circostanze di specie, il Tribunale ritiene che, per scongiurare il rischio di una lesione grave e irreversibile dell’efficacia delle misure restrittive, pur tenendo conto dell’importante impatto delle medesime sui diritti e sulle libertà della ricorrente, occorra, ai sensi dell’articolo 264 TFUE, mantenere gli effetti del regolamento di esecuzione n. 790/2014 per un periodo di tre mesi a partire dalla pronuncia della presente sentenza.

 Sulle spese

230    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese.

231    In applicazione dell’articolo 87, paragrafo 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Di conseguenza, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno Unito e la Commissione sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      I regolamenti di esecuzione (UE) del Consiglio n. 83/2011, del 31 gennaio 2011, n. 687/2011, del 18 luglio 2011, n. 1375/2011, del 22 dicembre 2011, n. 542/2012, del 25 giugno 2012, n. 1169/2012, del 10 dicembre 2012, n. 714/2013, del 25 luglio 2013, n. 125/2014, del 10 febbraio 2014, e n. 790/2014, del 22 luglio 2014, che attuano l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abrogano i regolamenti di esecuzione (UE) nn. 610/2010, 83/2011, 687/2011, 1375/2011, 542/2012, 1169/2012, 714/2013 e 125/2014, sono annullati nelle parti che si riferiscono alle Liberation Tigers of Tamil Eelam (LTTE).

2)      Gli effetti del regolamento di esecuzione n. 790/2014 vengono mantenuti per tre mesi a partire dalla pronuncia della presente sentenza.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalle LTTE.

4)      Il Regno dei Paesi Bassi, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.

Dehousse

Wiszniewska-Białecka

Buttigieg

Collins

 

      Ulloa Rubio

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 ottobre 2014.

Firme

Indice


Fatti e procedimento

Conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, attinente all’inapplicabilità del regolamento n. 2580/2001 al conflitto fra la ricorrente e il governo dello Sri Lanka

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul terzo motivo, attinente all’assenza di una decisione di autorità competente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sui motivi dal quarto al sesto, in combinato con il secondo motivo

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.