Language of document : ECLI:EU:C:2020:367

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

14 maggio 2020 (*) (i)

Indice


Contesto normativo

Diritto internazionale

Diritto dell ’Unione

La direttiva 2008/115

La direttiva 2013/32

La direttiva 2013/33

La normativa ungherese

La Legge fondamentale

La legge sul diritto di asilo

La legge n. LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato

La legge sull ’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

Causa C 924/19 PPU

Causa C 925/19 PPU

Sul procedimento di urgenza

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla quinta questione

Sulla prima questione

Sulla seconda questione

Sulla ricevibilità

Nel merito

Sulla terza e sulla quarta questione

Osservazioni preliminari

Sull ’esistenza di un trattenimento

– Sulla nozione di trattenimento

– Sulle condizioni di trattenimento di cui ai procedimenti principali

Sulle condizioni del trattenimento previste dalle direttive 2013/32 e 2013/33

– Sull’articolo 43 della direttiva 2013/32

– Sugli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33

Sulle condizioni di trattenimento previste dalla direttiva 2008/115

Sulle conseguenze di un trattenimento irregolare

Sulle spese


«Rinvio pregiudiziale – Politica di asilo e di immigrazione – Direttiva 2013/32/UE – Domanda di protezione internazionale – Articolo 33, paragrafo 2 – Motivi di inammissibilità – Articolo 40 – Domande reiterate – Articolo 43 – Procedure di frontiera – Direttiva 2013/33/UE – Articolo 2, lettera h), e articoli 8 e 9 – Trattenimento – Legittimità – Direttiva 2008/115/UE – Articolo 13 – Mezzi di ricorso effettivi – Articolo 15 – Trattenimento – Legittimità – Diritto a un ricorso effettivo – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Principio del primato del diritto dell’Unione»

Nelle cause riunite C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria), con decisioni del 18 dicembre 2019, pervenute in cancelleria lo stesso giorno, nei procedimenti

FMS,

FNZ (C‑924/19 PPU),

SA,

SA junior (C‑925/19 PPU)

contro

Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság,

Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev, E. Regan, S. Rodin, P.G. Xuereb e I. Jarukaitis, presidenti di sezione, E. Juhász, M. Ilešič, D. Šváby, F. Biltgen, K. Jürimäe, C. Lycourgos (relatore) e N. Wahl, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: I. Illéssy, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 marzo 2020,

considerate le osservazioni presentate:

–        per FNZ e FMS, da T. Kovács, B. Pohárnok e G. Matevžič, ügyvédek;

–         per SA e SA junior, da B. Pohárnok e G. Matevžič, ügyvédek;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga, M. Condou-Durande, Z. Teleki, A. Tokár e J. Tomkin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 23 aprile 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione:

–        degli articoli 13, 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98);

–        degli articoli 6, 26, 33, 35, dell’articolo 38, paragrafo 4, nonché degli articoli 40 e 43 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60);

–        dell’articolo 2, lettera h), nonché degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96), e

–        degli articoli 1, 4, 6, 18, 47 e dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tali domande sono state presentate nell’ambito di due controversie che vedono contrapposti, rispettivamente, da un lato, FMS e FNZ all’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alfödi Regionális Igazgatóság (direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, direzione regionale di Dél-alföd, Ungheria) (in prosieguo: l’«autorità di polizia degli stranieri di primo grado»), già Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal Dél-alföldi Regionális Igazgatósága (Ufficio per l’immigrazione e l’asilo, direzione regionale di Dél-alföd, Ungheria), e all’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság (direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, Ungheria) (in prosieguo: l’«autorità competente in materia di asilo»), già Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e l’asilo, Ungheria) (C‑924/19 PPU) e, dall’altro, SA e SA junior all’autorità di polizia degli stranieri di primo grado e all’autorità competente in materia di asilo (C‑925/19 PPU), in relazione alle decisioni di tali autorità che avevano respinto le domande di asilo di FMS e di FNZ, nonché quelle di SA e di SA junior in quanto inammissibili, e avevano disposto il loro allontanamento, accompagnato da un divieto di ingresso e di soggiorno nel territorio ungherese della durata di un anno.

3        Dal 1° aprile 2020, queste due controversie rientrano nella competenza della Szegedi Törvényszék (Corte di Szeged, Ungheria), come tale giudice ha comunicato alla Corte, senza tuttavia che fossero ritirate le questioni che erano state rivolte dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria).

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

4        L’accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare fra la Comunità europea e la Repubblica di Serbia, allegato alla decisione del Consiglio, dell’8 novembre 2007 (GU 2007, L 334, pag. 45; in prosieguo: l’«accordo di riammissione concluso fra l’Unione e la Serbia»), prevede quanto segue al suo articolo 3, intitolato «Riammissione di cittadini di paesi terzi e di apolidi»:

«1.      La Serbia riammette, su istanza di uno Stato membro e senza ulteriori adempimenti rispetto a quelli previsti dal presente accordo, i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno nel territorio dello Stato membro richiedente, purché sia accertato o vi sia la fondata presunzione, basata sugli elementi prima facie forniti, che quelle persone:

a)      possiedono o possedevano, al momento dell’ingresso, un visto o un permesso di soggiorno validi rilasciati dalla Serbia, oppure

b)      sono entrate irregolarmente e direttamente nel territorio degli Stati membri dopo aver soggiornato nel territorio della Serbia o avervi transitato.

(...)».

 Diritto dellUnione

 La direttiva 2008/115

5        I considerando 6, 13, 16, 17 e 24 della direttiva 2008/115 enunciano quanto segue:

«(6)      È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente. In conformità dei principi generali del diritto dell’Unione europea, le decisioni ai sensi della presente direttiva dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare. Quando utilizzano modelli uniformi per le decisioni connesse al rimpatrio, vale a dire le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento, gli Stati membri dovrebbero rispettare tale principio e osservare pienamente tutte le disposizioni applicabili della presente direttiva

(...)

(13)      L’uso di misure coercitive dovrebbe essere espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. (...)

(...)

(16)      Il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente.

(17)      I cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero essere trattati in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto nazionale e internazionale. Fatto salvo l’arresto iniziale da parte delle autorità incaricate dell’applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea.

(...)

(24)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella [Carta]».

6        L’articolo 3 di tale direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

3)      “rimpatrio” il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:

–        nel proprio paese di origine, o

–        in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese, o

–        in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato;

4)      “decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

(...)».

7        L’articolo 5 di detta direttiva prevede quanto segue:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a)      l’interesse superiore del bambino;

b)      la vita familiare;

c)      le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement».

8        L’articolo 8 di questa stessa direttiva enuncia quanto segue:

«1.      Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7.

(...)

3.      Gli Stati membri possono adottare una decisione o un atto amministrativo o giudiziario distinto che ordini l’allontanamento.

(...)».

9        L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 così recita:

«Gli Stati membri rinviano l’allontanamento:

a)      qualora violi il principio di non-refoulement (…)

(...)».

10      L’articolo 12, paragrafo 1, di tale direttiva prevede quanto segue:

«Le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili»

11      L’articolo 13 di detta direttiva, intitolato «Mezzi di ricorso», così recita:

«1.      Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

2.      L’autorità o l’organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno.

3.      Il cittadino di un paese terzo interessato ha la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale e, ove necessario, di avvalersi di un’assistenza linguistica.

4.      Gli Stati membri provvedono a che sia garantita, su richiesta, la necessaria assistenza e/o rappresentanza legale gratuita ai sensi della pertinente legislazione o regolamentazione nazionale in materia e possono disporre che tale assistenza e/o rappresentanza legale gratuita sia soggetta alle condizioni di cui all’articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE [del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13)]».

12      L’articolo 15 della direttiva 2008/115, intitolato «Trattenimento», prevede quanto segue:

«1.      Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:

a)      sussiste un rischio di fuga o

b)      il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

2.      Il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie.

Il trattenimento è disposto per iscritto ed è motivato in fatto e in diritto.

Quando il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative, gli Stati membri:

a)      prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall’inizio del trattenimento stesso,

b)      oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall’avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilità di presentare tale ricorso.

Il cittadino di un paese terzo interessato è liberato immediatamente se il trattenimento non è legittimo.

3.      In ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d’ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un’autorità giudiziaria.

4.      Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

5.      Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.

6.      Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

a)      della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o

b)      dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi».

13      L’articolo 16 della stessa direttiva, intitolato «Condizioni di trattenimento», così recita:

«1.      Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.

2.      I cittadini di paesi terzi trattenuti hanno la possibilità – su richiesta – di entrare in contatto, a tempo debito, con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti.

3.      Particolare attenzione è prestata alla situazione delle persone vulnerabili. Sono assicurati le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie.

4.      I pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea di cui al paragrafo 1, nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini di paesi terzi in conformità del presente capo. Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione.

5.      I cittadini di paesi terzi trattenuti sono sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi. Tali informazioni riguardano anche il loro diritto, ai sensi della legislazione nazionale, di mettersi in contatto con gli organismi e le organizzazioni di cui al paragrafo 4».

 La direttiva 2013/32

14      I considerando 34 e 38 della direttiva 2013/32 così recitano:

«(34)      Le procedure di esame delle esigenze di protezione internazionale dovrebbero essere tali da consentire alle autorità competenti di procedere a un esame rigoroso delle domande di protezione internazionale.

(...)

(38)      Molte domande di protezione internazionale sono presentate alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro prima che sia presa una decisione sull’ammissione del richiedente. Gli Stati membri dovrebbero essere in grado di prevedere procedure per l’esame dell’ammissibilità e/o del merito, che consentano di decidere delle domande sul posto in circostanze ben definite».

15      L’articolo 2 di tale direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

c)      “richiedente”: il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva;

(...)

e)      “decisione definitiva”: una decisione che stabilisce se a un cittadino di un paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria a norma della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9)] e che non è più impugnabile nell’ambito del capo V della presente direttiva, indipendentemente dal fatto che l’impugnazione produca l’effetto di autorizzare i richiedenti a rimanere negli Stati membri interessati in attesa del relativo esito;

f)      “autorità accertante”: qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo;

(...)

q)      “domanda reiterata”: un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel caso in cui l’autorità accertante abbia respinto la domanda in seguito al suo ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1».

16      L’articolo 6 della direttiva 2013/32, intitolato «Accesso alla procedura», prevede quanto segue:

«1.      Quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

Gli Stati membri garantiscono che tali altre autorità preposte a ricevere le domande di protezione internazionale quali la polizia, le guardie di frontiera, le autorità competenti per l’immigrazione e il personale dei centri di trattenimento abbiano le pertinenti informazioni e che il loro personale riceva il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti dove e in che modo possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale.

2.      Gli Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima. Qualora il richiedente non presenti la propria domanda, gli Stati membri possono applicare di conseguenza l’articolo 28.

3.      Fatto salvo il paragrafo 2, gli Stati membri possono esigere che le domande di protezione internazionale siano introdotte personalmente e/o in un luogo designato.

4.      In deroga al paragrafo 3, una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato.

5.      Qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto pratico rispettare il termine di cui al paragrafo 1, gli Stati membri possono stabilire che tale termine sia prorogato di dieci giorni lavorativi».

17      L’articolo 26 di tale direttiva, intitolato «Trattenimento», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente. I motivi e le condizioni del trattenimento e le garanzie per i richiedenti trattenuti sono conformi alla direttiva [2013/33].

2.      Qualora un richiedente sia trattenuto, gli Stati membri provvedono affinché sia possibile un rapido controllo giurisdizionale a norma della direttiva [2013/33]».

18      L’articolo 33 della stessa direttiva, intitolato «Domande inammissibili», stabilisce quanto segue:

«1.      Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 [del Parlamento e del Consiglio del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31)], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95], qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo.

2.      Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a)      un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

b)      un paese che non è uno Stato membro è considerato paese di primo asilo del richiedente a norma dell’articolo 35;

c)      un paese che non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell’articolo 38;

d)      la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]; o

e)      una persona a carico del richiedente presenta una domanda, dopo aver acconsentito, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, a che il suo caso faccia parte di una domanda presentata a suo nome e non vi siano elementi relativi alla situazione della persona a carico che giustifichino una domanda separata».

19      L’articolo 35 della direttiva 2013/32, intitolato «Concetto di paese di primo asilo», così recita:

«Un paese può essere considerato paese di primo asilo di un particolare richiedente, qualora:

a)      quest’ultimo sia stato riconosciuto in detto paese quale rifugiato e possa ancora avvalersi di tale protezione; ovvero

b)      goda altrimenti di protezione sufficiente in detto paese, tra cui il fatto di beneficiare del principio di “non-refoulement”,

purché sia riammesso nel paese stesso.

Nell’applicare il concetto di paese di primo asilo alle circostanze particolari di un richiedente gli Stati membri possono tener conto dell’articolo 38, paragrafo 1. Il richiedente è autorizzato a impugnare l’applicazione del concetto di paese di primo asilo relativamente alle sue condizioni specifiche».

20      L’articolo 38 della stessa direttiva, intitolato «Concetto di paese terzo sicuro», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri possono applicare il concetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione una persona richiedente protezione internazionale riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri:

a)      non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale;

b)      non sussiste il rischio di danno grave definito nella direttiva [2011/95];

c)      è rispettato il principio di “non-refoulement” conformemente alla [convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come modificata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967];

d)      è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; e

e)      esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, ottenere protezione in conformità della [convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come modificata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967].

2.      L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro è subordinata alle norme stabilite dal diritto nazionale, comprese:

a)      norme che richiedono un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese;

b)      norme sul metodo mediante il quale le autorità competenti accertano che il concetto di paese terzo sicuro può essere applicato a un determinato paese o a un determinato richiedente. Tale metodo comprende l’esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri;

c)      norme conformi al diritto internazionale per accertare, con un esame individuale, se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente e che consentano almeno al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro a motivo del fatto che quel paese terzo non è sicuro nel suo caso specifico. Al richiedente è altresì data la possibilità di contestare l’esistenza di un legame con il paese terzo ai sensi della lettera a).

(...)

4.      Se il paese terzo non concede al richiedente l’ingresso nel suo territorio, gli Stati membri assicurano il ricorso a una procedura in conformità dei principi e delle garanzie fondamentali descritti al capo II.

(...)».

21      L’articolo 40 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande reiterate», così recita:

«1.      Se una persona che ha chiesto protezione internazionale in uno Stato membro rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello stesso Stato membro, questi esamina le ulteriori dichiarazioni o gli elementi della domanda reiterata nell’ambito dell’esame della precedente domanda o dell’esame della decisione in fase di revisione o di ricorso, nella misura in cui le autorità competenti possano tenere conto e prendere in considerazione tutti gli elementi che sono alla base delle ulteriori dichiarazioni o della domanda reiterata in tale ambito.

2.      Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95].

3.      Se l’esame preliminare di cui al paragrafo 2, permette di concludere che sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95], la domanda è sottoposta a ulteriore esame a norma del capo II. Gli Stati membri possono prevedere che una domanda reiterata sia sottoposta a ulteriore esame anche per altre ragioni.

4.      Gli Stati membri possono stabilire che la domanda sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere, nel procedimento precedente, la situazione esposta nei paragrafi 2 e 3 del presente articolo, in particolare esercitando il suo diritto a un ricorso effettivo a norma dell’articolo 46.

5.      Se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame ai sensi del presente articolo, essa è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d).

6.      La procedura di cui al presente articolo può essere applicata anche nel caso di:

a)      una persona a carico che presenti una domanda dopo aver acconsentito, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, a che il suo caso faccia parte di una domanda presentata a nome suo; e/o

b)      un minore non coniugato che presenti una domanda dopo che è stata presentata una domanda a suo nome ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 5, lettera c).

In questi casi l’esame preliminare di cui al paragrafo 2 consiste nell’esaminare se i fatti connessi alla situazione della persona a carico o del minore non coniugato giustifichino una domanda separata.

7.      Se una persona nei cui confronti deve essere eseguita una decisione di trasferimento ai sensi del regolamento [n. 604/2013] rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello Stato membro che provvede al trasferimento, le dichiarazioni o le domande reiterate sono esaminate dallo Stato membro competente ai sensi di detto regolamento, conformemente alla presente direttiva».

22      L’articolo 43 della direttiva 2013/32, intitolato «Procedure di frontiera», è del seguente tenore:

«1.      Gli Stati membri possono prevedere procedure, conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, per decidere alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro:

a)      sull’ammissibilità di una domanda, ai sensi dell’articolo 33, ivi presentata; e/o

b)      sul merito di una domanda nell’ambito di una procedura a norma dell’articolo 31, paragrafo 8.

2.      Gli Stati membri provvedono affinché la decisione nell’ambito delle procedure di cui al paragrafo 1 sia presa entro un termine ragionevole. Se la decisione non è stata presa entro un termine di quattro settimane, il richiedente è ammesso nel territorio dello Stato membro, affinché la sua domanda sia esaminata conformemente alle altre disposizioni della presente direttiva.

3.      Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito».

 La direttiva 2013/33

23      Il considerando 17 della direttiva 2013/33 enuncia quanto segue:

«I motivi di trattenimento stabiliti nella presente direttiva lasciano impregiudicati altri motivi di trattenimento, compresi quelli che rientrano nell’ambito dei procedimenti penali, applicabili conformemente alla legislazione nazionale, non correlati alla domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino di un paese terzo o dall’apolide».

24      L’articolo 2 di tale direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

b)      “richiedente”: il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva;

(...)

g)      “condizioni materiali di accoglienza”: le condizioni di accoglienza che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere;

h)      “trattenimento”: il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione;

(...)».

25      L’articolo 7 di detta direttiva, intitolato «Residenza e libera circolazione», così recita:

«1.      I richiedenti possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro. L’area assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici della presente direttiva.

2.      Gli Stati membri possono stabilire un luogo di residenza per il richiedente, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda di protezione internazionale.

3.      Gli Stati membri possono subordinare la concessione delle condizioni materiali d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo, da determinarsi dagli Stati membri. Tale decisione, che può essere di carattere generale, è adottata caso per caso e definita dal diritto nazionale.

4.      Gli Stati membri prevedono la possibilità di concedere ai richiedenti un permesso temporaneo di allontanarsi dal luogo di residenza di cui ai paragrafi 2 e 3 e/o dall’area assegnata di cui al paragrafo 1. Le decisioni sono adottate caso per caso, in modo obiettivo ed imparziale e sono motivate qualora siano negative.

Il richiedente non necessita di permesso per presentarsi dinanzi alle autorità e ai giudici se è necessaria la sua comparizione.

5.      Gli Stati membri fanno obbligo ai richiedenti di comunicare il loro indirizzo alle autorità competenti e di notificare loro con la massima tempestività qualsiasi sua successiva modificazione».

26      L’articolo 8 della stessa direttiva, intitolato «Trattenimento», così recita:

«1.      Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva [2013/32].

2.      Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive.

3.      Un richiedente può essere trattenuto soltanto

a)      per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza;

b)      per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente;

c)      per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio;

d)      quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva [2008/115] al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio;

e)      quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;

f)      conformemente all’articolo 28 del regolamento [n. 604/2013].

I motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale.

4.      Gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato».

27      L’articolo 9 della direttiva 2013/33, intitolato «Garanzie per i richiedenti trattenuti», prevede quanto segue:

«1.      Un richiedente è trattenuto solo per un periodo il più breve possibile ed è mantenuto in stato di trattenimento soltanto fintantoché sussistono i motivi di cui all’articolo 8, paragrafo 3.

Gli adempimenti amministrativi inerenti ai motivi di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, sono espletati con la debita diligenza. I ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento.

2.      Il trattenimento dei richiedenti è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa. Il provvedimento di trattenimento precisa le motivazioni di fatto e di diritto sulle quasi si basa.

3.      Se il trattenimento è disposto dall’autorità amministrativa, gli Stati membri assicurano una rapida verifica in sede giudiziaria, d’ufficio e/o su domanda del richiedente, della legittimità del trattenimento. Se effettuata d’ufficio, tale verifica è disposta il più rapidamente possibile a partire dall’inizio del trattenimento stesso. Se effettuata su domanda del richiedente, è disposta il più rapidamente possibile dopo l’avvio del relativo procedimento. A tal fine, gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale il termine entro il quale effettuare la verifica in sede giudiziaria d’ufficio e/o su domanda del richiedente.

Se in seguito a una verifica in sede giudiziaria il trattenimento è ritenuto illegittimo, il richiedente interessato è rilasciato immediatamente.

4.      I richiedenti trattenuti sono informati immediatamente per iscritto, in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile, delle ragioni del trattenimento e delle procedure previste dal diritto nazionale per contestare il provvedimento di trattenimento, nonché della possibilità di accesso gratuito all’assistenza e/o alla rappresentanza legali.

5.      Il provvedimento di trattenimento è riesaminato da un’autorità giurisdizionale a intervalli ragionevoli, d’ufficio e/o su richiesta del richiedente in questione, in particolare nel caso di periodi di trattenimento prolungati, qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento.

6.      Nei casi di verifica in sede giudiziaria del provvedimento di trattenimento di cui al paragrafo 3, gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti abbiano accesso gratuito all’assistenza e alla rappresentanza legali. Ciò comprende, come minimo, la preparazione dei documenti procedurali necessari e la partecipazione all’udienza dinanzi alle autorità giurisdizionali a nome del richiedente

L’assistenza e la rappresentanza legali gratuite sono prestate da persone adeguatamente qualificate, autorizzate o riconosciute ai sensi del diritto nazionale, i cui interessi non contrastano o non possono potenzialmente contrastare con quelli del richiedente.

7.      Gli Stati membri possono anche disporre che l’assistenza e la rappresentanza legali gratuite siano concesse:

a)      soltanto a chi non disponga delle risorse necessarie; e/o

b)      soltanto mediante i servizi forniti da avvocati o altri consulenti legali che sono specificamente designati dal diritto nazionale ad assistere e rappresentare i richiedenti.

8.      Gli Stati membri possono altresì:

a)      imporre limiti monetari e/o temporali alla prestazione di assistenza e rappresentanza legali gratuite, purché essi non restringano arbitrariamente l’assistenza e la rappresentanza legali;

b)      prevedere, per quanto riguarda gli onorari e le altre spese, che il trattamento concesso ai richiedenti non sia più favorevole di quello di norma concesso ai propri cittadini per questioni che rientrano nell’assistenza legale.

9.      Gli Stati membri possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute, allorché vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata adottata in base a informazioni false fornite dal richiedente.

10.      Le modalità di accesso all’assistenza e alla rappresentanza legali sono stabilite dal diritto nazionale».

28      L’articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Condizioni di trattenimento», prevede quanto segue al suo paragrafo 1:

«Il trattenimento dei richiedenti ha luogo, di regola, in appositi centri di trattenimento. Lo Stato membro che non possa ospitare il richiedente in un apposito centro di trattenimento e sia obbligato a sistemarlo in un istituto penitenziario, provvede affinché il richiedente trattenuto sia tenuto separato dai detenuti ordinari e siano applicate le condizioni di trattenimento previste dalla presente direttiva.

Per quanto possibile, i richiedenti sono tenuti separati dai cittadini di paesi terzi che non hanno presentato domanda di protezione internazionale.

(...)».

29      L’articolo 17 di detta direttiva, intitolato «Disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale.

(...)

3.      Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.

(...)».

30      L’articolo 18 della direttiva 2013/33, il quale illustra le «[m]odalità relative alle condizioni materiali di accoglienza», prevede quanto segue al suo paragrafo 1:

«Nel caso in cui l’alloggio è fornito in natura, esso dovrebbe essere concesso in una delle seguenti forme oppure mediante una combinazione delle stesse:

a)      in locali utilizzati per alloggiare i richiedenti durante l’esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o in zone di transito;

b)      in centri di accoglienza che garantiscano una qualità di vita adeguata;

c)      in case private, appartamenti, alberghi o altre strutture atte a garantire un alloggio per i richiedenti».

31      Intitolato «Mezzi di ricorso», l’articolo 26 di tale direttiva, al suo paragrafo 1, così dispone:

«Gli Stati membri garantiscono che le decisioni relative alla concessione, alla revoca o alla riduzione di benefici ai sensi della presente direttiva o le decisioni adottate ai sensi dell’articolo 7 che riguardano individualmente i richiedenti possano essere impugnate secondo le modalità stabilite dal diritto nazionale. Almeno in ultimo grado è garantita la possibilità di ricorso o riesame, in fatto e in diritto, dinanzi a un’autorità giurisdizionale».

 La normativa ungherese

 La Legge fondamentale

32      L’articolo XIV, paragrafo 4, dell’Alaptörvény (Legge fondamentale) così recita:

«Qualora né il paese di origine, né altri paesi offrano protezione, l’Ungheria garantisce il diritto di asilo, su richiesta, a coloro che non possiedono la cittadinanza ungherese e che, nel loro paese di origine o nel loro paese di residenza abituale, siano o abbiano il fondato timore di essere perseguitati per motivi di razza, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro convinzioni religiose o politiche. La persona, non titolare della cittadinanza ungherese, arrivata nel territorio ungherese da un paese in cui non era esposta a persecuzioni o a un rischio diretto di persecuzioni, non può beneficiare del diritto di asilo».

 La legge sul diritto di asilo

33      L’articolo 5, paragrafo 1, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo) (Magyar Közlöny 2007/83; in prosieguo: la «legge sul diritto di asilo») dispone quanto segue:

«Il richiedente asilo è legittimato

a)      in conformità alle condizioni previste dalla presente legge, a soggiornare nel territorio ungherese e, in conformità alla normativa specifica, ad ottenere un permesso di soggiorno nel territorio ungherese;

b)      in conformità alle condizioni previste dalla presente legge e alla normativa specifica, a ricevere prestazioni, un aiuto e un alloggio;

c)      a svolgere un’attività lavorativa nel luogo in cui è situato il centro di accoglienza o in un luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro pubblico nei nove mesi successivi alla presentazione della domanda di asilo e successivamente, dopo tale termine, in conformità alle norme generali applicabili ai cittadini stranieri (...)».

34      L’articolo 6, paragrafo 1, di tale legge così recita:

«L’Ungheria riconosce lo status di rifugiato al cittadino straniero che soddisfa le condizioni definite all’articolo XIV, paragrafo 4, prima frase, della Legge fondamentale».

35      L’articolo 12, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:

«L’Ungheria concede lo status conferito dalla protezione sussidiaria al cittadino straniero che non soddisfa le condizioni per essere riconosciuto quale rifugiato ma che rischia di andare incontro a gravi danni in caso di rimpatrio nel suo paese di origine e che non può, o per timore di tale rischio non intende, chiedere la protezione del suo paese di origine».

36      L’articolo 45, paragrafo 1, di tale legge così dispone:

«Il principio di non respingimento trova applicazione qualora il richiedente sia esposto, nel suo paese di origine, al rischio di venire perseguitato o di subire i trattamenti cui all’articolo XIV, paragrafo 3, della Legge fondamentale per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale, e non esistano paesi terzi sicuri disposti ad accoglierlo».

37      L’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo, nella sua versione in vigore dal 1° luglio 2018, prevede un nuovo motivo di inammissibilità della domanda di asilo, definito nei seguenti termini:

«La domanda è inammissibile qualora il richiedente sia arrivato in Ungheria attraversando un paese in cui egli non è esposto a persecuzioni ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, o al rischio di danno grave, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione».

38      L’articolo 51/A di tale legge così dispone:

«Se il paese di origine sicuro o il paese terzo sicuro si rifiutano di prendere o di riprendere in carico il richiedente, l’autorità competente in materia di asilo revoca la propria decisione e instaura la procedura di asilo».

39      L’articolo 71/A della legge sul diritto di asilo, il quale disciplina la procedura di frontiera, prevede, ai suoi paragrafi da 1 a 7, quanto segue:

«(1)      Se il cittadino straniero presenta la sua domanda in una zona di transito

a)      prima di essere stato autorizzato ad entrare nel territorio dell’Ungheria, oppure

b)      dopo essere stato fermato nel territorio dell’Ungheria all’interno di una striscia di otto chilometri a partire dal tracciato della frontiera esterna, come definita all’articolo 2, punto 2, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) [GU 2016, L 77, pag. 1] o dai segni di demarcazione della frontiera, e accompagnato fino all’ingresso di una struttura per la protezione dell’ordine alla frontiera, come prevista dall’[az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge n. LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato)];

le disposizioni del presente capo si applicano fatte salve le deroghe previste dal presente articolo.

(2)      Nell’ambito di una procedura di frontiera, il richiedente non beneficia dei diritti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c).

(3)      L’autorità competente in materia di asilo statuisce in via prioritaria sull’ammissibilità della domanda, al più tardi entro otto giorni a partire dalla sua presentazione. L’autorità competente in materia di asilo adotta senza indugio le misure necessarie alla notifica della decisione emessa nel corso della procedura.

(4)      Se sono decorse quattro settimane dalla presentazione della domanda, l’autorità competente in materia di polizia degli stranieri autorizza l’ingresso, in conformità alla norma di diritto applicabile.

(5)      Se la domanda non è inammissibile, l’autorità competente in materia di polizia degli stranieri autorizza l’ingresso, in conformità alla norma di diritto applicabile.

(6)      Se il richiedente è autorizzato ad entrare nel territorio ungherese, l’autorità competente in materia di asilo svolge la procedura in conformità alle norme generali.

(7)      Le norme che governano la procedura di frontiera non si applicano alle persone che necessitano di un trattamento particolare.

(...)».

40      Il capo IX/A della legge sul diritto di asilo, riguardante la situazione di crisi generata da un’immigrazione massiccia contiene segnatamente l’articolo 80/I, lettera i), il quale esclude l’applicazione dell’articolo 71/A di tale legge.

41      In tale medesimo capo di detta legge figura l’articolo 80/J, che dispone quanto segue:

«1.      La domanda di asilo deve essere proposta personalmente dinanzi all’autorità competente ed esclusivamente nella zona di transito, a meno che il richiedente asilo:

a)      sia oggetto di una misura coercitiva, di una misura o di una condanna che limita la libertà personale;

b)      sia oggetto di un provvedimento di trattenimento disposto dall’autorità competente in materia di asilo;

c)      soggiorni legalmente nel territorio ungherese e non chieda di essere alloggiato in un centro di accoglienza.

(...)

4.      Nella pendenza della procedura, i richiedenti asilo che soggiornano nella zona di transito non beneficiano dei diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c).

(...)».

42      Detto capo IX/A della stessa legge contiene l’articolo 80/K, il quale dispone quando segue:

«1.      Una decisione di rigetto motivata dall’inammissibilità della domanda, oppure che è stata pronunciata nell’ambito di un procedimento accelerato, può essere impugnata entro un termine di tre giorni. L’autorità competente in materia di asilo trasmette al giudice, entro i tre giorni, il ricorso, accompagnato dai documenti relativi alla causa e dalla comparsa di risposta.

2.      L’autorità competente in materia di asilo adotta una decisione sulla base delle informazioni di cui dispone, o chiude la procedura, se il richiedente asilo:

(...)

d)      lascia la zona di transito.

(...)

4.      La decisione che pone fine alla procedura in applicazione del paragrafo 2 non può essere impugnata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale amministrativo».

 La legge n. LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato

43      L’articolo 15/A dell’az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge n. LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato) (Magyar Közlöny 2007. évi 88. Száma), relativo all’attuazione di una zona di transito, prevede quanto segue:

«(1)      Nella zona cui all’articolo 5, paragrafo 1, può essere istituita una zona di transito che funga da luogo di soggiorno temporaneo per i richiedenti asilo o protezione sussidiaria (...) e da luogo in cui si svolgono le procedure in materia di asilo e di polizia degli stranieri e che ospiti le strutture necessarie a tal fine.

(2)      Un richiedente asilo che si trovi nella zona di transito può entrare nel territorio ungherese:

a)      se l’autorità competente in materia di asilo adotta una decisione di riconoscimento della protezione internazionale;

b)      se sono soddisfatte le condizioni per lo svolgimento di una procedura di asilo, in conformità alle norme generali, o

c)      se occorre applicare le disposizioni di cui all’articolo 71/A, paragrafi 4 e 5, della legge sul diritto di asilo.

(2 bis)      In una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’ingresso nel territorio ungherese di un richiedente asilo che si trovi in una zona di transito può essere autorizzato nei casi di cui al paragrafo 2, lettere a) e b)

(...)

(4)      Contrariamente alle disposizioni di cui al paragrafo 1, in una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, anche una struttura situata in un luogo diverso da quello indicato all’articolo 5, paragrafo 1, può essere designata come zona di transito».

 La legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi

44      Ai sensi dell’articolo 47, paragrafo 9, lettera a), dell’A harmadik országbeli állampolgárok beutazásáról és tartózkodásáról szóló törvény (legge n. II del 2007 sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi) (Magyar Közlöny 2007. évi 1. Száma; in prosieguo: la «legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi»):

«L’autorità competente in materia di polizia degli stranieri – d’ufficio o su domanda – può revocare un divieto di ingresso o di soggiorno se tale divieto è stato pronunciato nei confronti di un cittadino di un paese terzo (...) congiuntamente ad una decisione di rimpatrio emessa dall’autorità competente in materia di asilo, oppure a seguito di una siffatta decisione, e purché detto cittadino di un paese terzo possa dimostrare di aver lasciato il territorio degli Stati membri dell’Unione europea in piena ottemperanza a tale decisione di rimpatrio (...)».

45      L’articolo 62 di tale legge, relativo all’assegnazione di un luogo di residenza determinato, prevede quanto segue:

«(1)      L’autorità competente in materia di polizia degli stranieri può ordinare ad un cittadino di un paese terzo di risiedere in un luogo determinato allorché:

(...)

f)      detto cittadino di un paese terzo è stato oggetto di una decisione di rimpatrio e non dispone né dei mezzi materiali necessari al suo sostentamento né di un alloggio

(...)

(3)      Al cittadino di un paese terzo può essere assegnato un luogo di residenza obbligatorio in una struttura di alloggio collettivo o in un centro di accoglienza qualora lo stesso non sia in grado di sovvenire alle proprie necessità, non disponga né di un alloggio adatto, né di mezzi materiali o di un reddito adeguati, né di un invito da parte di una persona tenuta ad assicurarne la presa in carico, e neppure di familiari che possono essere obbligati a provvedere al suo mantenimento.

(3 bis)      In una situazione di crisi generata da un’immigrazione massiccia, una zona di transito può essere parimenti designata come luogo di residenza obbligatorio».

46      L’articolo 65, paragrafi 3 ter e 4, della legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi, che disciplina il rimpatrio, dispone quanto segue:

«(3 ter)      Qualora l’autorità competente in materia di polizia degli stranieri modifichi il paese di destinazione indicato nella decisione di rimpatrio a causa di un comportamento imputabile alla persona interessata, segnatamente qualora il cittadino di un paese terzo abbia comunicato all’autorità fatti non veritieri per quanto attiene alla sua cittadinanza, oppure poiché ciò è giustificato da altri fatti che influiscono sul paese di rimpatrio, è possibile proporre opposizione nei confronti della decisione o dell’ordinanza di modifica. Tale opposizione può essere proposta entro ventiquattr’ore a decorrere dalla notifica della decisione, presso l’autorità competente in materia di polizia degli stranieri che ne è l’autore. La decisione emessa sull’opposizione all’esecuzione non è impugnabile.

(4)      L’autorità competente in materia di polizia degli stranieri trasmette tempestivamente l’opposizione all’esecuzione congiuntamente al fascicolo della causa all’autorità competente a statuire sull’opposizione; quest’ultima autorità decide entro un termine di 8 giorni».

47      Il governo ungherese aveva inizialmente introdotto, nella legislazione nazionale, le disposizioni relative alla situazione di crisi generata da un’immigrazione massiccia per le province del sud dell’Ungheria, confinanti con la frontiera serba, le ha poi estese alla totalità del territorio nazionale e ha continuato a prorogarne la validità, in forza dell’a tömeges bevándorlás okozta válsághelyzet Magyarország egész területére történő elrendeléséről, valamint a válsághelyzet elrendelésével, fennállásával és megszüntetésével összefüggő szabályokról szóló 41/2016. (III. 9.) Korm. Rendelet [decreto governativo 41/2016 (III.9) relativo alla dichiarazione della situazione di crisi generata da un’immigrazione massiccia sull’intero territorio dell’Ungheria, nonché alle norme relative alla dichiarazione, all’esistenza e alla cessazione di una situazione di crisi].

 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

 Causa C924/19 PPU

48      FMS e FNZ, cittadini afghani maggiorenni, sono una coppia sposata. Il 5 febbraio 2019 gli stessi hanno presentato una domanda di asilo dinanzi all’autorità competente in materia di asilo nella zona di transito di Röszke (Ungheria).

49      A sostegno della loro domanda, FMS e FNZ hanno dichiarato di aver lasciato circa tre anni prima, per motivi politici, l’Afghanistan per dirigersi verso la Turchia, muniti di un visto valido rilasciato per un periodo di un mese, e che tale visto era stato prorogato per sei mesi dalle autorità turche. Essi hanno parimenti fatto valere di essere passati per la Bulgaria e per la Serbia, prima di entrare, per la prima volta, in Ungheria; di non aver presentato alcuna domanda di asilo in un altro paese e di non avere subito ivi alcun maltrattamento o danno grave ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2011/95.

50      Lo stesso giorno, l’autorità competente in materia di asilo ha designato la zona di transito di Röszke come luogo di collocamento per FMS e FNZ, ove si trovano ancora attualmente.

51      Con decisione amministrativa del 25 aprile 2019, l’autorità competente in materia di asilo ha respinto la domanda di asilo di FMS e FNZ, senza esame nel merito, in quanto inammissibile sulla base dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo, con la motivazione che questi ultimi erano giunti in Ungheria attraversando un paese in cui non erano esposti a persecuzioni che giustificassero il riconoscimento dello status di rifugiato né al rischio di un danno grave che giustificasse la concessione della protezione sussidiaria, e che, nel paese dal quale gli stessi erano transitati per giungere in Ungheria, era garantita loro una protezione adeguata. Con questa stessa decisione, tale autorità ha affermato che il principio di non respingimento non si applicava nel caso di tali ricorrenti in relazione all’Afghanistan e ha disposto il loro allontanamento verso la Serbia.

52      FMS e FNZ hanno proposto un ricorso avverso detta decisione dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest‑Capitale, Ungheria), il quale l’ha respinto con decisione del 14 maggio 2019, senza esame nel merito della loro domanda di asilo.

53      Con decisione del 17 maggio 2019, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha imposto a FMS e a FNZ di soggiornare nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta, in applicazione dell’articolo 62, paragrafo 3 bis, della legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi. Dalla decisione di rinvio nella causa C‑924/19 PPU risulta che tale decisione non menzionava i motivi sui quali essa era fondata e che solo l’inosservanza dell’obbligo di fornire informazioni, imposto a detta autorità dalla normativa rilevante, poteva essere contestata dinanzi al giudice ordinario sotto forma di eccezione.

54      Lo stesso giorno, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha contattato l’organo di polizia competente per il rinvio in Serbia affinché intraprendesse le operazioni necessarie alla riammissione in Serbia di FMS e FNZ.

55      Il 23 maggio 2019, l’organo di polizia competente ha informato l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado della decisione della Serbia di non riammettere FMS e FNZ nel proprio territorio con la motivazione che, non essendo gli stessi entrati illegalmente nel territorio ungherese in provenienza dal territorio della Serbia, i requisiti di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’accordo di riammissione concluso fra l’Unione e la Repubblica di Serbia non erano soddisfatti.

56      Dalla decisione di rinvio nella causa C‑924/19 PPU risulta che, successivamente, nonostante il fatto che la Serbia non abbia riammesso FMS e FNZ nel proprio territorio, l’autorità competente in materia di asilo si è rifiutata di esaminare il merito della loro domanda di asilo, adducendo che, ai sensi dell’articolo 51/A della legge sul diritto di asilo, l’esame della domanda di asilo viene effettuato, in caso di rifiuto di riammissione nel territorio di un paese terzo, solo se la decisione che ha respinto tale domanda in quanto inammissibile è fondata sulla nozione di «paese di origine sicuro» o su quella di «paese terzo sicuro».

57      Con decisioni del 3 e del 6 giugno 2019, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha modificato la decisione di rimpatrio, contenuta nella decisione dell’autorità competente in materia di asilo del 25 aprile 2019, nella parte che riguarda il paese di destinazione, e ha disposto l’allontanamento sotto scorta di FMS e di FNZ verso l’Afghanistan.

58      FMS et FNZ hanno proposto opposizione avverso tali decisioni di modifica dinanzi all’autorità competente in materia di asilo, operante in qualità di autorità di polizia degli stranieri. Con ordinanze del 28 giugno 2019, la loro opposizione è stata respinta, senza possibilità di impugnazione di tali ordinanze, in conformità all’articolo 65, paragrafo 3 ter, della legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi.

59      FMS e FNZ hanno investito il giudice del rinvio, da un lato, di un ricorso inteso ad ottenere l’annullamento di dette ordinanze e ad obbligare l’autorità competente in materia di asilo a instaurare una nuova procedura, facendo valere, anzitutto, che queste stesse ordinanze costituiscono decisioni di rimpatrio che devono poter essere oggetto di un ricorso giurisdizionale e, inoltre, che tali decisioni di rimpatrio sono illegittime. Infatti, secondo FMS e FNZ, l’autorità competente in materia di asilo avrebbe dovuto esaminare il merito della loro domanda di asilo, poiché essi non erano stati riammessi nel territorio della Serbia e l’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo introdurrebbe il nuovo concetto di «paese di transito sicuro», il che sarebbe contrario al diritto dell’Unione.

60      Dall’altro lato, FMS e FNZ hanno presentato dinanzi al giudice del rinvio un ricorso giurisdizionale amministrativo per carenza nei confronti dell’autorità di polizia degli stranieri di primo grado, volto a far accertare che tale autorità è venuta meno ai suoi obblighi non avendo assegnato loro un luogo di collocamento ubicato al di fuori della zona di transito di Röszke.

61      Il giudice del rinvio ha riunito questi due ricorsi.

62      Tale giudice considera, in primo luogo, che il motivo di inammissibilità che ha giustificato il rigetto della domanda di asilo di FMS e di FNZ è contrario al diritto dell’Unione.

63      Ciò premesso, esso rileva, in secondo luogo, che non esiste alcuna norma che esiga in modo espresso che sia ripreso automaticamente l’esame della domanda di asilo di FMS e di FNZ, sebbene il diniego di presa in carico dei medesimi da parte della Serbia abbia fatto decadere il motivo di inammissibilità che ha giustificato il rigetto di tale domanda.

64      Inoltre, pur se, nel corso di un eventuale nuovo esame, l’autorità competente in materia di asilo può invocare un motivo di inammissibilità previsto all’articolo 33, paragrafo 1, e paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2013/32, il giudice del rinvio ritiene tuttavia che la domanda di asilo possa essere dichiarata inammissibile per i motivi che fanno riferimento agli articoli 35 e 38 di tale direttiva solo a condizione che la persona interessata sia riammessa nel territorio del paese terzo interessato. Ne conseguirebbe che, qualora sia certo che il paese verso il quale tale persona deve essere allontanata non la riammetterà, l’autorità competente in materia di asilo non potrebbe dichiarare inammissibile la domanda di asilo.

65      Alla luce delle considerazioni che precedono, il giudice del rinvio ritiene che FMS e FNZ abbiano diritto a che la loro domanda di asilo venga nuovamente esaminata ed è dell’avviso che essi continuino a rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/32.

66      Esso si interroga pertanto, in terzo luogo, sulla questione se FMS e FNZ debbano essere considerati trattenuti, ai sensi della direttiva 2013/32, e, in caso affermativo, se tale trattenimento sia legittimo, poiché nel loro caso il termine di quattro settimane di cui all’articolo 43, paragrafo 2, di detta direttiva è scaduto.

67      Tuttavia, e ammesso che FMS e FNZ non abbiano diritto a che la loro domanda di asilo venga nuovamente esaminata, il giudice del rinvio si chiede, in quarto luogo, se questi ultimi debbano essere considerati trattenuti ai sensi della direttiva 2008/115 e se, in caso di risposta affermativa, tale trattenimento sia compatibile con l’articolo 15 di tale direttiva.

68      A tal riguardo, il giudice del rinvio rileva, da un lato, che la zona di transito di Röszke, situata al confine fra l’Ungheria e la Serbia, sarebbe circondata da un’alta recinzione e da filo spinato, e conterrebbe container metallici destinati segnatamente al collocamento dei cittadini di paesi terzi presenti in tale zona. La superficie del container nel quale alloggiano FMS e FNZ non sarebbe superiore a 13 m2 e tale container sarebbe dotato di letti a castello e di armadi. La presenza di poliziotti o guardie armate sarebbe assicurata permanentemente all’interno e all’esterno di tale zona di transito, nonché nelle immediate vicinanze di detta recinzione.

69      La zona di transito di Röszke sarebbe divisa in diversi settori destinati ad alloggiare, separatamente, i richiedenti asilo e i cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta. Tali settori sarebbero separati gli uni dagli altri da recinzioni, cosicché la possibilità di passare da un settore all’altro sarebbe estremamente limitata. Inoltre, dalla decisione di rinvio nella causa C‑924/19 PPU emergerebbe che sarebbe possibile uscire da un settore solo due volte alla settimana per circa un’ora, al fine di recarsi negli altri settori.

70      FMS e FNZ potrebbero lasciare il loro settore solo qualora la loro presenza sia richiesta ai fini del compimento di atti procedurali che li riguardano oppure qualora si rechino, scortati da poliziotti o da guardie armate, a controlli o cure mediche in un container della zona di transito riservato a tal fine. La possibilità di essere in contatto con persone esterne a tale zona – inclusi i loro avvocati – sarebbe soggetta ad una previa autorizzazione. FMS e FNZ non potrebbero lasciare la zona di transito di Röszke in direzione di un altro luogo in Ungheria.

71      Dall’altro lato, il giudice del rinvio ritiene che la situazione di FMS e di FNZ si distingua da quella che ha dato luogo alla sentenza della Corte EDU del 21 novembre 2019, Ilias e Ahmed c. Ungheria (CE:ECHR:2019:1121JUD 004728715).

72      Esso rileva in tal senso, in particolare, che, nel momento in cui è iniziato il collocamento di FMS e di FNZ nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta, essi non erano, secondo le autorità ungheresi, richiedenti asilo, e che non sono entrati in tale settore né di propria iniziativa né in provenienza dalla Serbia, bensì in provenienza dal settore di tale zona di transito riservato ai richiedenti asilo.

73      Inoltre, il collocamento nella zona di transito di Röszke sarebbe stato effettuato senza decisione motivata, senza valutazione della sua necessità e della sua proporzionalità, e non esisterebbe alcun controllo giurisdizionale che consenta di contestarne la legittimità. Inoltre, nessuna norma nazionale limiterebbe la durata del soggiorno nel settore della zona di transito riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta.

74      Sempre secondo tale giudice, FMS e FNZ non possono lasciare legalmente la zona di transito di Röszke, fermo restando che la loro partenza è possibile solo tramite allontanamento con un aereo verso il loro paese di origine, il quale è in preda ad un conflitto armato interno e non è parte della convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. .2545 (1954)], come modificata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967. La loro partenza dipenderebbe pertanto esclusivamente dalla cooperazione fra le autorità ungheresi e le autorità dei loro paesi d’origine, fermo restando che tali ricorrenti non potrebbero recarsi in Serbia, poiché gli stessi sono ormai oggetto di una decisione di rimpatrio verso il loro paese d’origine e le autorità serbe hanno deciso di non riammetterli.

75      Il giudice del rinvio ritiene che il collocamento di FMS e di FNZ nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta costituisca un trattenimento che non è conforme ai requisiti imposti dal diritto dell’Unione. Esso è pertanto dell’avviso che, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, lo stesso, con un provvedimento provvisorio, dovrebbe poter obbligare l’autorità competente ad assegnare a FMS e a FNZ un luogo di collocamento situato al di fuori di tale zona di transito, il quale non sia un luogo di trattenimento, fino alla chiusura del procedimento giurisdizionale amministrativo.

76      In quinto luogo, il giudice del rinvio si interroga sull’effettività del ricorso proposto avverso la decisione con la quale l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha modificato il paese di destinazione menzionato nelle decisioni di rimpatrio di cui sono oggetto FMS e FNZ.

77      Infatti, tale giudice rileva, da un lato, che l’opposizione a tale decisione viene esaminata dall’autorità competente in materia di asilo sebbene quest’ultima sia posta sotto l’autorità del ministro responsabile della polizia, faccia parte del potere esecutivo e non sia dunque un organo indipendente e imparziale, nonché, dall’altro, che la normativa ungherese pertinente non consente al giudice del rinvio di controllare la decisione amministrativa che statuisce su tale opposizione, poiché l’unico controllo relativo a quest’ultima decisione consiste nel potere di sorveglianza del pubblico ministero, il quale può, se del caso, contestare in giudizio la legittimità di una decisione amministrativa in materia.

78      Una simile situazione comporta, secondo il giudice del rinvio, che la decisione che modifica il paese di destinazione indicato nella decisione di rinvio possa, in definitiva, essere mantenuta sebbene, nel caso in cui dovesse essere svolta una nuova procedura di asilo nei confronti di FMS e di FNZ, essi rientrerebbero non nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, bensì in quello della direttiva 2013/32.

79      In tali circostanze, il Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      [nuova eccezione di inammissibilità]

Se le disposizioni relative alle domande inammissibili contenute all’articolo 33 della [direttiva 2013/32] possano essere interpretate nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale una domanda è inammissibile nell’ambito della procedura di asilo qualora il richiedente sia arrivato in tale Stato membro, l’Ungheria, attraversando un paese in cui non è esposto a persecuzioni o al rischio di danno grave, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione.

2)      [prosecuzione della procedura di asilo]

a)      Se l’articolo 6 e l’articolo 38, paragrafo 4, della [direttiva 2013/32], così come il suo considerando 34, che impone l’obbligo di procedere a un esame rigoroso delle domande di protezione internazionale, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che l’autorità competente in materia di asilo di uno Stato membro deve garantire al richiedente la possibilità di instaurare la procedura di asilo nel caso in cui la stessa non abbia effettuato un esame nel merito della domanda di asilo facendo valere il motivo di inammissibilità menzionato nella [prima questione] e abbia disposto in seguito il rimpatrio del richiedente in un paese terzo, che tuttavia si sia rifiutato di accoglierlo [nel suo territorio].

b)      In caso di risposta affermativa alla [seconda questione], lettera a), ci si interroga su quale sia l’esatto contenuto di tale obbligo. Se consenta la presentazione di una nuova domanda di asilo, escludendo quindi le conseguenze negative delle domande successive a cui fanno riferimento l’articolo 33, paragrafo 2), lettera d), e l’articolo 40 della [direttiva 2013/32], oppure se detto obbligo implichi l’introduzione o la prosecuzione d’ufficio della procedura di asilo.

c)      Se lo Stato membro, in caso di risposta affermativa alla [seconda questione], lettera a), tenuto conto altresì dell’articolo 38, paragrafo 4, della [direttiva 2013/32], possa, senza che risulti modificata la situazione di fatto, esaminare nuovamente l’inammissibilità della domanda nell’ambito di tale nuova procedura (cosicché sarebbe possibile applicare qualsiasi tipo di procedura prevista nel capo III, ad esempio, applicando nuovamente un motivo di inammissibilità) o se sia tenuto a esaminare nel merito la domanda di asilo in relazione al paese di origine.

d)      Se dall’articolo 33, paragrafi 1 e 2, lettere b) e c), e dagli articoli 35 e 38 della [direttiva 2013/32], in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta, discenda che la ripresa in carico da parte di un paese terzo è una condizione cumulativa ai fini dell’applicazione di un motivo di inammissibilità, vale a dire per l’adozione di una decisione basata su tale motivo, o se sia sufficiente verificare la sussistenza di detta condizione al momento dell’esecuzione di tale decisione.

3)      [zona di transito come luogo di trattenimento nell’ambito della procedura di asilo] [La terza questione è pertinente] se, conformemente alla risposta alla seconda questione pregiudiziale, si deve instaurare una procedura di asilo.

a)      Se l’articolo 43 della [direttiva 2013/32] debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro che consente il trattenimento del richiedente in una zona di transito per oltre quattro settimane.

b)      Se si debba interpretare l’articolo 2, lettera h), della [direttiva 2013/33], applicabile in forza dell’articolo 26 della [direttiva 2013/32], in combinato disposto con l’articolo 6 e con l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, nel senso che costituisce un trattenimento il collocamento in una zona di transito in circostanze come quelle di cui alla controversia principale (zona che non si può abbandonare legalmente di propria iniziativa per dirigersi in una qualsivoglia direzione) per un periodo superiore alle quattro settimane, previsto all’articolo 43 della [direttiva 2013/32].

c)      Se sia conforme all’articolo 8 della [direttiva 2013/33], applicabile in forza dell’articolo 26 della [direttiva 2013/32], il fatto che si procede al trattenimento del richiedente per un periodo superiore alle quattro settimane, previsto all’articolo 43 della [direttiva 2013/32], solo perché lo stesso non può soddisfare le proprie necessità (in termini di vitto e di alloggio) in mancanza dei mezzi di sussistenza a tal fine.

d)      Se sia compatibile con gli articoli 8 e 9 della [direttiva 2013/33], applicabili in forza dell’articolo 26 della [direttiva 2013/32], il fatto che il collocamento costituente un trattenimento de facto per un periodo superiore alle quattro settimane, previsto all’articolo 43 della [direttiva 2013/32], non è stato disposto mediante un provvedimento di trattenimento, non è garantito un ricorso al fine di impugnare la legittimità del trattenimento e del mantenimento del medesimo, il trattenimento de facto è effettuato senza un esame della relativa necessità e proporzionalità, o di possibili alternative allo stesso, e la durata esatta del trattenimento non è definita, ivi compresa la sua scadenza.

e)      Se l’articolo 47 della Carta possa essere interpretato nel senso che quando un giudice di uno Stato membro ravvisa un evidente trattenimento illegittimo può, con un provvedimento provvisorio, imporre all’autorità, fino alla conclusione del procedimento giurisdizionale amministrativo, di stabilire a favore del cittadino di uno Stato terzo un luogo di soggiorno ubicato fuori dal territorio di transito, che non sia un luogo di trattenimento.

4)      [zona di transito quale luogo di trattenimento nell’ambito di competenza della polizia degli stranieri] [La quarta questione è pertinente] se, sulla base della risposta alla seconda questione pregiudiziale, non si deve instaurare una procedura di asilo ma una procedura di competenza dell’autorità di polizia degli stranieri.

a)      Se si debbano interpretare i considerando 17 e 24, come altresì l’articolo 16 della [direttiva 2008/115], in combinato disposto con l’articolo 6 e con l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, nel senso che il collocamento in una zona di transito in circostanze come quelle di cui alla controversia principale (zona che non si può abbandonare legalmente di propria iniziativa per dirigersi in una qualsivoglia direzione) rappresenta una privazione della libertà nel senso di tali disposizioni.

b)      Se sia compatibile con il considerando 16 e con l’articolo 15, paragrafo 1, della [direttiva 2008/115], in combinato disposto con l’articolo 6 e con l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il fatto che il trattenimento di un cittadino di un paese terzo sia effettuato unicamente in quanto è oggetto di un provvedimento di rimpatrio e non dispone di mezzi di sussistenza per soddisfare le proprie necessità (in termini di vitto e di alloggio).

c)      Se sia compatibile con il considerando 16 e con l’articolo 15, paragrafo 2, della [direttiva 2008/115], in combinato disposto con l’articolo 6, l’articolo 47 e l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il fatto che il collocamento costituente un trattenimento de facto non è stato disposto mediante un provvedimento di trattenimento, non è garantito un ricorso al fine di impugnare la legittimità del trattenimento e del mantenimento del medesimo, il trattenimento de facto è effettuato senza un esame della relativa necessità e proporzionalità, né sono contemplate possibili alternative allo stesso.

d)      Se l’articolo 15, paragrafi 1, 4, 5 e 6, e il considerando 16 della [direttiva 2008/115], in combinato disposto con gli articoli 1, 4, 6 e 47 della Carta, possano essere interpretati nel senso che ostano a che il trattenimento sia effettuato senza che ne sia stata determinata la sua durata esatta, ivi compresa la sua scadenza.

e)      Se il diritto dell’Unione possa essere interpretato nel senso che quando un giudice di uno Stato membro ravvisa un evidente trattenimento illegittimo può, con un provvedimento provvisorio, imporre all’autorità, fino alla conclusione del procedimento giurisdizionale amministrativo, di stabilire a favore del cittadino di uno Stato terzo un luogo di soggiorno ubicato fuori dal territorio di transito, che non sia un luogo di trattenimento.

5)      [tutela giurisdizionale effettiva per quanto riguarda la decisione di modifica del paese di destinazione indicato nella decisione di rimpatrio]

Se l’articolo 13 della [direttiva 2008/115], ai sensi del quale al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le “decisioni connesse al rimpatrio”, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che, quando il ricorso previsto dalla normativa nazionale non può essere considerato effettivo, occorre che un organo giurisdizionale controlli almeno una volta un ricorso presentato avverso il provvedimento con cui si modifica il paese di rimpatrio».

 Causa C925/19 PPU

80      SA e suo figlio minorenne, SA junior, sono cittadini iraniani. Il 5 dicembre 2018, essi hanno presentato una domanda di asilo dinanzi all’autorità competente in materia di asilo, nella zona di transito di Röszke.

81      A sostegno della loro domanda, SA ha fatto valere di aver lasciato la Repubblica islamica dell’Iran due anni e mezzo prima in quanto aveva divorziato dalla moglie, di essersi avvicinato alla religione cristiana, senza tuttavia essere battezzato, e di essere stato vittima, durante la sua infanzia, di violenze sessuali da parte di suoi familiari. Egli ha parimenti precisato che le ragioni che lo hanno costretto a lasciare il suo paese d’origine non sono politiche né legate ad un’eventuale appartenenza ad una comunità etnica o religiosa minoritaria, e che era giunto in Ungheria attraversando la Turchia, la Bulgaria e la Serbia.

82      SA ha dichiarato inoltre che, dopo aver lasciato la Repubblica islamica dell’Iran per la Turchia e avere trascorso ivi dieci giorni, senza chiedere l’asilo in tale paese, egli aveva soggiornato per circa tre mesi in Bulgaria. Egli ha parimenti sostenuto che, dopo essere stato informato che sarebbe stato rimandato in Iran se non avesse presentato, in Bulgaria, una domanda di protezione internazionale, lo stesso aveva ivi proposto, contro la sua volontà, una domanda di asilo. Egli ha inoltre affermato di avere soggiornato anche in Serbia per più di due anni, senza presentare ivi una domanda di asilo.

83      Il 5 dicembre 2018, l’autorità competente in materia di asilo ha designato la zona di transito di Röszke come luogo di collocamento per SA e SA junior, ove essi si trovano ancora attualmente.

84      Con decisione amministrativa del 12 febbraio 2019, l’autorità competente in materia di asilo, in forza dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo, ha respinto in quanto inammissibile la domanda di asilo di SA e SA junior, senza esame nel merito, e ha affermato che il principio di non respingimento non si applicava nel loro caso. Essa ha ordinato il loro allontanamento verso la Serbia, rilevando che non erano esposti ad un rischio di danno grave o a persecuzioni in Turchia, in Bulgaria e in Serbia e che un adeguato livello di protezione era loro ivi assicurato.

85      SA e SA junior hanno proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest‑Capitale), il quale è stato respinto con decisione del 5 marzo 2019, senza che tale giudice si sia pronunciato nel merito della loro domanda di asilo.

86      Con decisione del 27 marzo 2019, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha imposto a SA e a SA junior di soggiornare nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta, ai sensi dell’articolo 62, paragrafo 3 bis, della legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi. Secondo il giudice del rinvio, i motivi che giustificano una siffatta decisione non sono ivi menzionati.

87      Lo stesso giorno, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha contattato l’organo di polizia competente per il rinvio in Serbia affinché questi intraprendesse le operazioni necessarie alla riammissione in Serbia di SA e di SA junior.

88      Il 1° aprile 2019, l’organo di polizia competente ha informato l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado della decisione della Serbia di non riammettere nel proprio territorio SA e SA junior per gli stessi motivi esposti al punto 55 della presente sentenza.

89      Dalla decisione di rinvio nella causa C‑925/19 PPU risulta che, benché la Serbia non abbia riammesso SA e SA junior sul proprio territorio, l’autorità competente in materia di asilo non ha esaminato nel merito la loro domanda di asilo.

90      Con decisione del 17 aprile 2019, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha modificato la decisione di rimpatrio contenuta nella decisione dell’autorità competente in materia di asilo del 12 febbraio 2019, nella parte che riguarda il paese di destinazione, e ha ordinato l’allontanamento sotto scorta verso la Repubblica islamica dell’Iran di SA e di SA junior.

91      Gli stessi hanno proposto opposizione nei confronti di tale decisione di modifica dinanzi all’autorità competente in materia di asilo, operante in qualità di autorità di polizia degli stranieri. Con ordinanza del 17 maggio 2019, la loro opposizione è stata respinta.

92      SA e SA junior hanno investito il giudice del rinvio di due ricorsi identici a quelli proposti dai ricorrenti nel procedimento principale nella causa C‑924/19 PPU, come menzionati ai punti 59 e 60 della presente sentenza.

93      Il giudice del rinvio ha riunito questi due ricorsi e, per ragioni in sostanza identiche a quelle espresse ai punti da 62 a 78 della presente sentenza, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le stesse questioni pregiudiziali che le aveva deferito nella causa C‑924/19 PPU, come enunciate al punto 79 della presente sentenza.

 Sul procedimento di urgenza

94      Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre i presenti rinvii pregiudiziali al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

95      A sostegno della sua domanda, tale giudice ha fatto valere che FMS, FNZ, SA e SA junior (in prosieguo: i «ricorrenti nei procedimenti principali») sono attualmente privati, de facto, della libertà.

96      Inoltre, secondo detto giudice, le condizioni di trattenimento di FMS e di FNZ sono a maggior ragione difficili in quanto questi ultimi hanno, rispettivamente, 63 anni e 58 anni, uno dei due è diabetico e il mantenimento del loro trattenimento di fatto dura dal 17 maggio 2019. Lo stesso giudice ha parimenti rilevato che SA junior è un minore la cui salute mentale e fisica è peggiorata da quando soggiorna, con il padre, nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta.

97      Inoltre, il giudice del rinvio ha indicato che le risposte della Corte alle questioni poste avranno un’incidenza diretta e determinante sull’esito dei procedimenti principali, in particolare, sul mantenimento del trattenimento di cui sono oggetto i ricorrenti nei procedimenti principali.

98      A tal riguardo, occorre constatare, in primo luogo, che i presenti rinvii pregiudiziali vertono sull’interpretazione delle direttive 2008/115, 2013/32 et 2013/33, le quali rientrano nel titolo V della terza parte del Trattato FUE, relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Di conseguenza, tali rinvii sono idonei ad essere sottoposti al procedimento pregiudiziale d’urgenza.

99      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la condizione relativa all’urgenza, occorre sottolineare, anzitutto, che tale condizione è segnatamente soddisfatta qualora la persona interessata nel procedimento principale sia attualmente privata della sua libertà e il suo mantenimento in custodia dipenda dalla soluzione della controversia principale. A tal riguardo, la situazione della persona interessata deve essere valutata quale essa si presenta alla data dell’esame della domanda diretta ad ottenere che il rinvio pregiudiziale sia trattato con procedimento d’urgenza (sentenza del 17 marzo 2016, Mirza, C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).

100    Secondo una giurisprudenza costante, il collocamento di un cittadino di un paese terzo in un centro di trattenimento, sia esso effettuato nel corso della sua domanda di protezione internazionale o ai fini del suo allontanamento, costituisce una misura privativa della libertà (sentenze del 19 luglio 2012, Adil, C‑278/12 PPU, EU:C:2012:508, punti 34 e 35; del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punti 23 e 25; del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punti 40 e 41; del 17 marzo 2016, Mirza, C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punti 31 e 35, e ordinanza del 5 luglio 2018, C e a., C‑269/18 PPU, EU:C:2018:544, punti 35 e 37).

101    Nella specie, i ricorrenti nel procedimento principale nella causa C‑924 PPU e quelli nella causa C‑925 PPU soggiornano, rispettivamente dal 17 maggio 2019 e dal 27 marzo 2019, nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta.

102    Orbene, i presenti rinvii pregiudiziali vertono, segnatamente, sulla questione se il mantenimento dei ricorrenti nei procedimenti principali in tale settore costituisca un «trattenimento», ai sensi della direttiva 2008/115 o delle direttive 2013/32 e 2013/33, e, in caso di risposta affermativa, se un siffatto trattenimento rispetti le garanzie imposte da dette direttive.

103    Ne consegue, da un lato, che la questione dell’esistenza di una privazione della libertà, alla quale è subordinato l’avvio del procedimento pregiudiziale di urgenza nelle presenti cause, è indissolubilmente connessa all’esame delle questioni sollevate in tali cause e, dall’altro, che il mantenimento dei ricorrenti nei procedimenti principali nel settore della zona di transito riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta dipende dalla risposta fornita a tali questioni.

104    In secondo luogo, dalle decisioni di rinvio emerge che i ricorrenti nei procedimenti principali sono attualmente oggetto di decisioni che ingiungono loro di ritornare nel loro paese d’origine e, per questo motivo, possono essere ivi rimpatriati in tempi brevi, sebbene, secondo il giudice del rinvio, il merito delle ragioni che giustificano la domanda di asilo di detti ricorrenti non sia mai stato esaminato da un giudice.

105    Di conseguenza, non può escludersi che, in applicazione di tali decisioni, le quali sono state confermate da ordinanze delle quali viene chiesto l’annullamento dinanzi al giudice del rinvio, i ricorrenti nei procedimenti principali vengano allontanati verso il loro paese di origine, prima della conclusione di un procedimento pregiudiziale che non è stato sottoposto al procedimento pregiudiziale d’urgenza, e che tale allontanamento possa esporli a trattamenti contrari all’articolo 18 e all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta.

106    In terzo luogo, dalla decisione di rinvio nella causa C‑925/19 PPU risulta parimenti che uno dei ricorrenti nel procedimento principale in tale causa è un minore, la cui salute mentale e fisica peggiora a causa del suo soggiorno nella zona di transito di Röszke. Ne consegue che qualsiasi ritardo nell’adozione di una decisione giudiziaria prolungherebbe la situazione attuale e rischierebbe così di nuocere in modo serio, o addirittura irreparabile, allo sviluppo del minore stesso (v., in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2018, UD, C‑393/18 PPU, EU:C:2018:835, punto 26).

107    In tali circostanze, e alla luce del tenore delle questioni sottoposte dal giudice del rinvio, le quali possono avere un’incidenza determinante tanto sul mantenimento dei ricorrenti nei procedimenti principali nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta quanto sul controllo giurisdizionale delle decisioni che ordinano loro di rientrare nel loro paese di origine, la Quinta Sezione della Corte ha deciso, il 22 gennaio 2020, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, di accogliere la domanda del giudice del rinvio diretta a sottoporre i presenti rinvii pregiudiziali al procedimento pregiudiziale d’urgenza.

108    È stato inoltre deciso di rinviare le presenti cause dinanzi alla Corte affinché fossero attribuite alla Grande Sezione.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla quinta questione

109    Con la sua quinta questione, che deve essere esaminata per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso, da un lato, che esso osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale la modifica, da parte di un’autorità amministrativa, del paese di destinazione figurante in una decisione di rimpatrio anteriore, può essere impugnata dal cittadino di un paese terzo interessato solo mediante un ricorso presentato dinanzi a un’autorità amministrativa, le cui decisioni non sono impugnabili in sede giurisdizionale, e, dall’altro, che impone a tale giudice, in siffatte circostanze, di riconoscersi competente a statuire sul ricorso proposto dinanzi al medesimo, diretto a contestare la legittimità di una siffatta modifica.

110    Nel caso di specie, occorre rilevare, in via preliminare, che, secondo le decisioni di rinvio, dopo che l’autorità competente in materia di asilo ha respinto, in quanto inammissibili, le domande di protezione internazionale dei ricorrenti nei procedimenti principali e ha adottato, contestualmente, le decisioni di rimpatrio che ingiungevano loro di lasciare il territorio ungherese in direzione della Serbia, l’autorità di polizia degli stranieri di primo grado ha modificato queste ultime decisioni ordinando a detti ricorrenti di lasciare il territorio ungherese in direzione dei loro paesi di origine, ossia l’Afghanistan nel caso di FMS e FNZ, e l’Iran nel caso di SA e SA junior. Il giudice del rinvio precisa, inoltre, che tali ricorrenti hanno potuto contestare tali decisioni di modifica soltanto proponendo opposizione alle stesse dinanzi all’autorità di cui all’articolo 65, paragrafo 3 ter, della legge sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi e che, in conformità all’ultima frase di tale disposizione, le decisioni con le quali l’autorità competente in materia di asilo, operante in qualità di autorità di polizia degli stranieri, ha respinto le opposizioni proposte da detti ricorrenti non sono impugnabili.

111    L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 garantisce al cittadino interessato di un paese terzo un mezzo di ricorso effettivo per contestare le decisioni di rimpatrio, le decisioni di divieto di ingresso nel territorio degli Stati membri e le decisioni di allontanamento dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

112    In primo luogo, occorre verificare se la decisione che modifica il paese di destinazione figurante in una decisione di rimpatrio anteriore costituisca una delle decisioni nei confronti delle quali tale disposizione garantisce un mezzo di ricorso effettivo.

113    Secondo una costante giurisprudenza, nell’interpretare una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale di quest’ultima, bensì anche del suo contesto, degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte e, se del caso, della sua genesi (sentenza del 19 dicembre 2019, Nederlands Uitgeversverbond e Groep Algemene Uitgevers, C‑263/18, EU:C:2019:1111, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).

114    A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, una «decisione di rimpatrio» è una decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio. In conformità all’articolo 3, punto 3, della stessa direttiva, tale obbligo di rimpatrio impone alla persona interessata di ritornare o nel proprio paese di origine o in un paese di transito o in un altro paese terzo in cui decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato.

115    Dal testo stesso del punto 4 dell’articolo 3 della direttiva 2008/115 risulta che il fatto di imporre o di enunciare un obbligo di rimpatrio costituisce uno dei due elementi costitutivi di una decisione di rimpatrio, fermo restando che un siffatto obbligo di rimpatrio non può essere concepito, alla luce del punto 3 di tale articolo, senza l’individuazione di una destinazione, la quale deve essere uno dei paesi di cui a tale punto 3.

116    Ne consegue che, qualora l’autorità nazionale competente modifichi il paese di destinazione indicato in una decisione di rimpatrio anteriore, essa apporta una modifica al tal punto sostanziale a tale decisione di rimpatrio che si deve ritenere che la stessa abbia adottato una nuova decisione di rimpatrio, ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115.

117    Una siffatta interpretazione è confermata da un’analisi del contesto di tale disposizione.

118    Così, in forza dell’articolo 5 della direttiva 2008/115, qualora l’autorità nazionale competente intenda adottare una decisione di rimpatrio, essa deve segnatamente vigilare sul rispetto del principio di non respingimento [v., in tal senso,  sentenze dell’11 dicembre 2014, Boudjlida, C‑249/13, EU:C:2014:2431, punto 49, nonché dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 103].

119    Orbene, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 84 delle sue conclusioni, il rispetto di un siffatto principio è valutato con riferimento al paese verso il quale si intende ordinare il rimpatrio della persona interessata. Ne consegue che, prima che possa essere effettuata una modifica del paese di destinazione, l’autorità nazionale competente deve procedere ad una nuova valutazione del rispetto del principio di non respingimento, distinta da quella che essa ha dovuto realizzare in occasione dell’adozione della decisione di rimpatrio anteriore.

120    Inoltre, contrariamente a quanto sembra suggerire il governo ungherese, la modifica di una decisione di rimpatrio anteriore non può essere considerata una decisione di allontanamento adottata a seguito di tale decisione di rimpatrio, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2008/115. Infatti, da tale articolo 8 discende che una decisione di allontanamento viene adottata in esecuzione della decisione di rimpatrio e, pertanto, deve rispettare il contenuto di quest’ultima decisione. Ne consegue che una decisione di allontanamento non potrebbe modificare il paese di destinazione indicato nella decisione di rimpatrio cui essa da esecuzione.

121    L’interpretazione adottata al punto 116 della presente sentenza è parimenti conforme all’obiettivo perseguito dalla direttiva 2008/115, il quale consiste nel porre in essere un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone interessate (sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 48 e la giurisprudenza vi citata).

122    Infatti, l’assimilazione della decisione di modifica del paese di destinazione figurante in una decisione di rimpatrio anteriore ad una nuova decisione di rimpatrio ha come conseguenza che l’autorità nazionale competente, qualora intenda procedere ad una siffatta modifica della decisione di rimpatrio, deve vigilare sul rispetto di tutte le norme procedurali previste dalla direttiva 2008/115 e che disciplinano l’adozione di una decisione di rimpatrio. Pertanto, tale assimilazione consente di garantire un’attuazione della politica di allontanamento e di rimpatrio, al contempo efficace e rispettosa dei diritti fondamentali della persona interessata.

123    Risulta da quanto precede che una modifica del paese di destinazione figurante in una decisione di rimpatrio anteriore costituisce una nuova decisione di rimpatrio, ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, contro cui devono essere concessi al cittadino interessato di un paese terzo mezzi di ricorso effettivo, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva.

124    Occorre pertanto, in secondo luogo, determinare la natura del mezzo di ricorso garantito da tale articolo 13, paragrafo 1.

125    A tal riguardo, in primo luogo, dal testo stesso di tale disposizione risulta chiaramente che un siffatto mezzo di ricorso deve poter essere esercitato dalla persona che è oggetto della decisione di rimpatrio. Di conseguenza, contrariamente a quanto sembra sostenere il governo ungherese, l’esistenza, in forza del diritto nazionale, di un potere generale di sorveglianza della legittimità delle decisioni di rimpatrio, riconosciuto al pubblico ministero e che autorizza unicamente quest’ultimo ad impugnare, se del caso, una siffatta decisione, non costituisce un mezzo di ricorso che soddisfa i requisiti di cui all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

126    In secondo luogo, se è vero che dal testo dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 discende che le decisioni di rimpatrio devono poter essere contestate tramite un mezzo di ricorso effettivo dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza, questo solo testo non consente di trarre ulteriori conclusioni per quanto attiene alle caratteristiche dell’«autorità amministrativa» che può essere chiamata a conoscere di un siffatto ricorso diretto avverso una decisione di rimpatrio.

127    Ciò premesso, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le caratteristiche del mezzo di ricorso effettivo di cui all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 devono essere determinate conformemente all’articolo 47 della Carta, a termini del quale ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice, nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo medesimo (sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida, C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 45, e del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 52).

128    In tal senso, se è vero che, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, gli Stati membri possono prevedere nella loro normativa che le decisioni di rimpatrio siano contestate dinanzi ad autorità diverse da quelle giudiziarie, una siffatta facoltà deve cionondimeno essere attuata nel rispetto dell’articolo 47 della Carta, il quale esige, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 94 delle sue conclusioni, che la decisione di un’autorità che, di per sé, non soddisfi i requisiti imposti da quest’ultimo articolo, sia sottoposta a un successivo controllo da parte di un organo giurisdizionale che deve, segnatamente, essere competente ad approfondire tutte le questioni pertinenti (v., per analogia, sentenze del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund, C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 55, e del 13 dicembre 2017, El Hassani, C‑403/16, EU:C:2017:960, punto 39).

129    Pertanto, l’articolo 47 della Carta fa obbligo agli Stati membri di garantire, in un dato stadio del procedimento, la possibilità per un cittadino di un paese terzo interessato di sottoporre ad un giudice ogni contestazione avente ad oggetto una decisione di rimpatrio adottata da un’autorità amministrativa (v., per analogia, sentenza del 13 dicembre 2017, El Hassani, C‑403/16, EU:C:2017:960, punto 41).

130    Ne consegue che una normativa nazionale in forza della quale il destinatario di una decisione amministrativa di rimpatrio non può contestare la regolarità della medesima quantomeno dinanzi all’autorità giurisdizionale non rispetta i requisiti di cui all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 e dell’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

131    Nel caso di specie, dalle decisioni di rinvio risulta che, in forza della normativa nazionale pertinente, può essere proposta un’opposizione avverso una decisione amministrativa che modifica una decisione di rimpatrio iniziale soltanto presso l’autorità competente in materia di asilo e che la decisione con la quale tale autorità respinge tale opposizione non è impugnabile.

132    Ne consegue che una siffatta normativa sarebbe compatibile con l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 solo se l’autorità che ha statuito su siffatte opposizioni potesse essere considerata un giudice ai sensi dell’articolo 47 della Carta, il che presuppone che detta autorità soddisfi il requisito di indipendenza, ai sensi di tale articolo [v., in tal senso, sentenze del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punti 37 e 41; del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punti 52 e 53; del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 120 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punti 56 e 57].

133    Dagli atti sottoposti alla Corte risulta che non è questo il caso.

134    Infatti, dalle decisioni di rinvio discende che l’autorità competente in materia di asilo è posta sotto l’autorità del ministro responsabile della polizia e fa pertanto parte del potere esecutivo.

135    Orbene, l’aspetto esterno del requisito di indipendenza che caratterizza un giudice ai sensi dell’articolo 47 della Carta richiede che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, con la conseguenza di essere quindi tutelato dagli interventi o dalle pressioni esterni idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e a influenzare le loro decisioni [sentenze del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 121, e del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata].

136    Più specificamente, e conformemente al principio della separazione dei poteri che caratterizza il funzionamento di uno Stato di diritto, l’indipendenza dei giudici dai poteri legislativo ed esecutivo deve essere garantita [sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 124].

137    Ne consegue che una normativa nazionale che preveda che una decisione, come quella descritta al punto 123 della presente sentenza, debba essere contestata dalla persona interessata dinanzi ad un’autorità che non soddisfa i requisiti imposti dall’articolo 47 della Carta, senza che sia garantito un successivo controllo giurisdizionale della decisione di tale autorità, è incompatibile con l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 e non tiene conto, inoltre, del contenuto essenziale del diritto sancito dall’articolo 47 della Carta, nella misura in cui priva l’interessato di ogni mezzo di ricorso giurisdizionale nei confronti di una decisione di rimpatrio che lo riguarda [v., per analogia, sentenze del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 72, e del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 165].

138    In terzo luogo, occorre verificare se il diritto dell’Unione autorizzi, in simili circostanze, il giudice del rinvio a reputarsi competente a conoscere dei ricorsi proposti dinanzi al medesimo dai ricorrenti nei procedimenti principali e volti ad ottenere l’annullamento delle decisioni con le quali l’autorità competente in materia di asilo, operante in qualità di autorità di polizia degli stranieri, ha respinto le loro opposizioni alle decisioni amministrative che ingiungevano ai medesimi di ritornare nel proprio paese di origine.

139    A tal riguardo, occorre sottolineare, in primo luogo, che, in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, nel caso in cui gli sia impossibile procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, ogni giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi nell’ambito delle proprie competenze, ha, in quanto organo di uno Stato membro, l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizione di tale diritto che abbia effetto diretto nella controversia di cui è investito [sentenze del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti 58 e 61, e del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punti 160 e 161].

140    Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’articolo 47 della Carta è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale [sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 78; del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 56, e del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 162].

141    Lo stesso vale per l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, poiché le caratteristiche del ricorso previsto in tale disposizione devono essere determinate conformemente all’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva [v., per analogia, sentenze del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punti 55 e 56, nonché del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 163].

142    In secondo luogo, pur spettando all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti individuali derivanti dal diritto dell’Unione, gli Stati membri sono tuttavia tenuti ad assicurare, in ogni caso, il rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva di detti diritti quale garantito dall’articolo 47 della Carta [sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 115].

143    A tal riguardo, occorre ricordare che, pur se il diritto dell’Unione non obbliga, in linea di principio, gli Stati membri ad istituire, per salvaguardare i diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, mezzi di ricorso esperibili dinanzi ai giudici nazionali, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale (v., in tal senso, sentenze del 13 marzo 2007, Unibet, C‑432/05, EU:C:2007:163, punto 40, e del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 51), la situazione è tuttavia diversa qualora dall’ordinamento giuridico nazionale in questione, considerato nel suo complesso, risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione o, ancora, se l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo è quello di commettere violazioni del diritto (v., in tal senso, sentenze del 13 marzo 2007, Unibet, C‑432/05, EU:C:2007:163, punto 41, e del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 104).

144    Spetta pertanto agli organi giurisdizionali nazionali dichiararsi competenti a conoscere del ricorso proposto dal soggetto interessato al fine di difendere i diritti che gli sono garantiti dal diritto dell’Unione, qualora le norme di procedura nazionali non prevedano un siffatto ricorso in un caso simile (v., per analogia, sentenze del 3 dicembre 1992, Oleificio Borelli/Commissione, C‑97/91, EU:C:1992:491, punto 13, e del 19 dicembre 2018, Berlusconi e Fininvest, C‑219/17, EU:C:2018:1023, punto 46).

145    In tal senso, l’inesistenza, nel diritto dello Stato membro interessato, di un mezzo di ricorso giurisdizionale che consenta di far controllare la legittimità, alla luce del diritto dell’Unione, di una decisione amministrativa di rimpatrio, come quella descritta al punto 123 della presente sentenza, non può dispensare il giudice nazionale dal suo obbligo di assicurare la piena efficacia dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, il quale, essendo munito di effetto diretto, può costituire, da solo, un titolo di competenza direttamente applicabile, qualora non sia stato trasposto correttamente nell’ordinamento giuridico nazionale.

146    Ne consegue che il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, impongono al giudice del rinvio di dichiararsi competente a conoscere dei ricorsi proposti dai ricorrenti nei procedimenti principali avverso le decisioni dell’autorità competente in materia di asilo con cui la stessa ha respinto le loro opposizioni alle decisioni amministrative che ingiungevano loro di fare ritorno nel loro paese di origine disapplicando, se necessario, ogni disposizione nazionale che gli vieterebbe di procedere in tal senso (v., per analogia, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 74 e la giurisprudenza ivi citata).

147    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione che l’articolo 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale la modifica, da parte di un’autorità amministrativa, del paese di destinazione figurante in una decisione di rimpatrio anteriore può essere impugnata dal cittadino di un paese terzo interessato solo mediante un ricorso presentato dinanzi a un’autorità amministrativa, senza che sia garantito un successivo controllo giurisdizionale della decisione di tale autorità. In una tale ipotesi, il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale investito di un ricorso diretto a contestare la legittimità, rispetto al diritto dell’Unione, della decisione di rimpatrio consistente in una siffatta modifica del paese di destinazione, di dichiararsi competente a conoscere di tale ricorso.

 Sulla prima questione

148    Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 33 della direttiva 2013/32 debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che consente di respingere in quanto inammissibile una domanda di protezione internazionale con la motivazione che il richiedente è arrivato nel territorio dello Stato membro interessato attraverso uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave, ai sensi della disposizione nazionale che traspone l’articolo 15 della direttiva 2011/95, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione.

149    Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento n. 604/2013, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95, qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma di tale disposizione. A tal riguardo, l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 elenca esaustivamente le situazioni in cui gli Stati membri possono considerare una domanda di protezione internazionale inammissibile [sentenze del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 76, e del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 29].

150    Occorre, pertanto, verificare se si possa ritenere che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, dia attuazione a uno dei motivi di inammissibilità previsti all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32.

151    A tal riguardo, si deve escludere, anzitutto, che la normativa nazionale di cui al procedimento principale, ossia l’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo, possa costituire l’attuazione dei motivi di inammissibilità previsti all’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), d) ed e), di tale direttiva, potendo essere presi in considerazione a tal fine solo i motivi di inammissibilità relativi al paese di primo asilo e al paese terzo sicuro, enunciati, rispettivamente, alle lettere b) e c) dell’articolo 33, paragrafo 2, di detta direttiva [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 33].

152    In tale contesto, per quanto riguarda il motivo di inammissibilità relativo al paese terzo sicuro, previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2013/32, si deve rammentare che, ai sensi di tale disposizione, gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile se un paese che non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell’articolo 38 di detta direttiva.

153    Come già dichiarato dalla Corte, dall’articolo 38 della direttiva 2013/32 risulta che l’applicazione della nozione di «paese terzo sicuro», ai fini dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera c), di tale direttiva, è subordinata al rispetto delle condizioni cumulative previste ai paragrafi da 1 a 4 di detto articolo 38 [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punti 36, 40 e 41].

154    Nel caso di specie, per quanto riguarda, in primo luogo, la condizione enunciata all’articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, alla luce della formulazione stessa della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, risulta – circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare – che l’applicazione del motivo di inammissibilità relativo alla prima fattispecie contemplata da tale normativa è subordinata unicamente al rispetto, nel paese terzo interessato, di una parte soltanto dei principi enunciati all’articolo 38, paragrafo 1, di tale direttiva, dal momento che manca, in particolare, il requisito del rispetto in tale paese del principio di «non-refoulement». Pertanto, la condizione enunciata all’articolo 38, paragrafo 1, di detta direttiva non può essere soddisfatta [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 42].

155    Per quanto riguarda il motivo di inammissibilità vertente sulla seconda fattispecie considerata dalla normativa nazionale di cui ai procedimenti principali, il giudice del rinvio non ha fornito alcuna indicazione sul contenuto dell’«adeguato livello di protezione» richiesto da tale normativa e, in particolare, sulla questione se un siffatto grado di protezione comprenda il rispetto, nel paese terzo interessato, di tutti i principi enunciati all’articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2013/32. Spetta al giudice del rinvio appurare se ciò si verifichi.

156    Quanto, in secondo luogo, alle condizioni enunciate all’articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, e, in particolare, quella relativa all’esistenza di un legame tra il richiedente protezione internazionale e il paese terzo interessato, il legame che la normativa nazionale di cui ai procedimenti principali stabilisce tra un siffatto richiedente e il paese terzo interessato deriva dal semplice transito di tale richiedente attraverso il territorio di detto paese [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 44].

157    Orbene, la Corte ha dichiarato che la circostanza che un richiedente protezione internazionale sia transitato per il territorio di un paese terzo non può, di per sé sola, costituire un legame ai sensi di detto articolo 38, paragrafo 2 [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punti da 45 a 47].

158    Peraltro, l’obbligo imposto dall’articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 agli Stati membri, ai fini dell’applicazione della nozione di «paese terzo sicuro», di fissare norme che prevedano il metodo mediante il quale accertare, caso per caso, se il paese terzo interessato soddisfi le condizioni per essere considerato sicuro per il richiedente, nonché la possibilità per detto richiedente di contestare l’esistenza di un siffatto legame con tale paese terzo, non potrebbe essere giustificato se il mero transito del richiedente protezione internazionale attraverso il paese terzo interessato costituisse un legame sufficiente o significativo a tal fine [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punti 48 e 49].

159    Da quanto precede risulta che il transito del richiedente protezione internazionale attraverso il paese terzo interessato non può costituire un «legame» ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32.

160    Di conseguenza, la normativa nazionale di cui ai procedimenti principali non può costituire un’applicazione del motivo di inammissibilità relativo al paese terzo sicuro, previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera c), di detta direttiva [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 51].

161    Infine, una normativa nazionale siffatta non può neppure costituire un’applicazione del motivo di inammissibilità relativo al paese di primo asilo, previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2013/32 [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 52].

162    È, infatti, sufficiente rilevare che, secondo lo stesso tenore letterale dell’articolo 35, primo comma, lettere a) e b), della direttiva 2013/32, un paese può essere considerato paese di primo asilo di un determinato richiedente protezione internazionale solamente qualora, rispettivamente, quest’ultimo sia stato riconosciuto in detto paese quale rifugiato e possa ancora avvalersi di tale protezione, ovvero goda altrimenti di protezione sufficiente in detto paese, tra cui il fatto di beneficiare del principio di «non-refoulement», purché sia riammesso nel paese stesso [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 53].

163    Orbene, dai fascicoli sottoposti alla Corte risulta che l’applicazione del motivo di inammissibilità previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali non è subordinata al godimento da parte del richiedente protezione internazionale, nel paese interessato, dello status di rifugiato o di una protezione sufficiente ad altro titolo, in modo da rendere inutile esaminare l’esigenza di una protezione nell’Unione.

164    Occorre, pertanto, concludere che non è possibile ritenere che una normativa nazionale, come l’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo, attui uno dei motivi di inammissibilità previsti all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 55].

165    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 33 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di respingere in quanto inammissibile una domanda di protezione internazionale con la motivazione che il richiedente è arrivato nel territorio dello Stato membro interessato attraverso uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave, ai sensi della disposizione nazionale che traspone l’articolo 15 della direttiva 2011/95, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione.

 Sulla seconda questione

 Sulla ricevibilità

166    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio tenta di stabilire, in sostanza, le conseguenze che devono essere tratte, con riferimento al trattamento da riservare alle domande di asilo, dal rifiuto del paese terzo interessato di riammettere i richiedenti nel proprio territorio dopo che tali domande sono state dichiarate inammissibili sulla base dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo. Il giudice del rinvio si chiede, in particolare, se, in una siffatta circostanza, l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, sia tenuta a riesaminare d’ufficio le domande di asilo già presentate dai ricorrenti nei procedimenti principali oppure se, in alternativa, essi possano ripresentare nuove domande di asilo e, se del caso, se queste ultime possano nuovamente essere considerate inammissibili per altri motivi.

167    Secondo una costante giurisprudenza, pur se le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di fatto e di diritto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza, ciò non toglie che il procedimento ex articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere le controversie che essi sono chiamati a dirimere. La ratio del rinvio pregiudiziale non risiede nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia. Come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 267 TFUE, la decisione pregiudiziale richiesta deve essere «necessaria» al fine di consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua sentenza» nella causa della quale è investito [sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny zastępowany przez Prokuraturę Krajową (Regime disciplinare concernente i magistrati), C‑558/18 e‑ C‑563/18, EU:C:2020:234, punti da 43 a 45 e la giurisprudenza ivi citata].

168    Inoltre, in forza dell’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura, il giudice del rinvio deve illustrare, in modo preciso, i motivi che lo hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 20 dicembre 2017, Asociación Profesional Elite Taxi, C‑434/15, EU:C:2017:981, punto 28).

169    Nel caso di specie, il giudice del rinvio è investito, da un lato, di un ricorso di annullamento delle decisioni che ingiungono ai ricorrenti nei procedimenti principali di fare ritorno nel loro paese di origine e, dall’altro, di ricorsi per carenza connessi al loro collocamento nella zona di transito di Röszke.

170    Tuttavia, anche se le controversie pendenti dinanzi al giudice del rinvio non hanno avuto direttamente ad oggetto l’esame delle domande di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali, dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio si evince che quest’ultimo ritiene necessario verificare se tali ricorrenti possano ancora essere considerati richiedenti protezione internazionale, ai sensi delle direttive 2013/32 e 2013/33, al fine di stabilire se il collocamento di questi ultimi nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta debba essere esaminato alla luce delle norme che disciplinano il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale previste da tali direttive.

171    Ne consegue che la seconda questione, lettere a) e b), nell’ambito della quale il giudice del rinvio chiede se l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, sia tenuta a riprendere d’ufficio l’esame delle domande di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali oppure se, altrimenti, essi siano cionondimeno autorizzati a ripresentare una domanda di asilo, è rilevante ai fini della decisione delle controversie principali ed è, pertanto, ricevibile.

172    Per contro, con la seconda questione, lettere c) e d), si chiede, in sostanza, se le domande di asilo presentate dai ricorrenti nei procedimenti principali possano essere nuovamente respinte per un motivo di inammissibilità privo di un nesso con il procedimento precedente, segnatamente per uno di quelli previsti all’articolo 33, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2013/32, e, in caso di risposta affermativa, se il rigetto delle loro domande per uno di questi due motivi di inammissibilità presupponga che sia stato verificato, in via preliminare, se il paese terzo al quale questi due motivi si riferiscono accetti di riammetterli nel proprio territorio.

173    Orbene, il giudice del rinvio non ha spiegato il motivo per cui ritiene di non poter statuire sulle controversie pendenti dinanzi al medesimo in assenza di una risposta alla seconda questione, lettere c) e d).

174    Ne consegue che la seconda questione, lettere c) e d), deve essere dichiarata irricevibile.

 Nel merito

175    Con la sua seconda questione, lettere a) e b), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6 e l’articolo 38, paragrafo 4, della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che, qualora una domanda di protezione internazionale sia dichiarata inammissibile, in forza del diritto di uno Stato membro, con la motivazione che il richiedente è giunto nel territorio di tale Stato membro attraversando un paese terzo in cui non era esposto a persecuzioni né al rischio di un danno grave, o nel quale era garantito un adeguato livello di protezione, e, successivamente, quest’ultimo paese decida di non riammettere il richiedente nel proprio territorio, tale domanda debba essere riesaminata d’ufficio dall’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, oppure nel senso che, in siffatte circostanze, qualora fosse presentata una nuova domanda da parte dell’interessato, quest’ultima non potrebbe essere dichiarata inammissibile, in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), di tale direttiva, in quanto «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), di detta direttiva.

176    Nella specie, occorre rilevare che, dopo che le domande di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali sono state respinte dall’autorità competente in materia di asilo, sulla base dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo, e che tale rigetto è stato confermato da una decisione giurisdizionale divenuta definitiva, le autorità ungheresi hanno intrapreso talune operazioni al fine di far riammettere questi ultimi nel territorio della Serbia. Tuttavia, tale paese terzo si è rifiutato di accogliere siffatta domanda adducendo che, a suo avviso, i ricorrenti nei procedimenti principali erano entrati legalmente nel territorio ungherese, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), dell’accordo di riammissione concluso fra l’Unione e la Serbia.

177    Occorre inoltre ricordare che, in conformità al punto 165 della presente sentenza, un motivo di inammissibilità di una domanda di protezione internazionale come quello contenuto all’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo è contrario all’articolo 33 della direttiva 2013/32.

178    Di conseguenza, la Corte non può essere chiamata ad esaminare, come suggerito dal giudice del rinvio, le conseguenze che, in forza del diritto dell’Unione, potrebbero dover discendere dal fatto che il paese verso il quale, in connessione con tale motivo, i ricorrenti nei procedimenti principali dovevano essere diretti, non accetti di riammettere questi ultimi nel proprio territorio.

179    Ciò premesso, secondo una giurisprudenza costante, spetta alla Corte, nell’ambito della procedura di cooperazione con i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, fornire al giudice del rinvio una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito, e che, in tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

180    Di conseguenza, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre intendere la seconda questione, lettere a) e b), come diretta a chiedere se la direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta e con il principio di leale cooperazione risultante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, debba essere interpretata nel senso che, qualora una domanda di asilo sia stata oggetto di una decisione di rigetto fondata su un motivo di inammissibilità contrario al diritto dell’Unione e sia stata confermata da una decisione giurisdizionale definitiva, l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, è tenuta a riesaminare d’ufficio tale domanda, oppure nel senso che, in siffatte circostanze, qualora venisse presentata una nuova domanda da parte dell’interessato, essa non potrebbe essere dichiarata inammissibile, in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), di tale direttiva, in quanto «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), di detta direttiva.

181    Al fine di rispondere a tale questione, occorre stabilire, in primo luogo, se la direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta e con il principio di leale cooperazione risultante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, imponga che detta autorità accertante riesamini d’ufficio una domanda di protezione internazionale che sia stata oggetto di una decisione di rigetto fondata su un motivo di inammissibilità contrario all’articolo 33 della direttiva 2013/32 e confermata da una decisione giurisdizionale munita dell’autorità di cosa giudicata.

182    A tal riguardo, occorre rilevare che poiché l’articolo 33 della direttiva 2013/32 elenca in maniera esaustiva, come è stato ricordato al punto 149 della presente sentenza, i casi in cui una domanda di protezione internazionale può essere respinta in quanto inammissibile, tale articolo enuncia una norma il cui contenuto è incondizionato e sufficientemente preciso per poter essere invocato da un singolo ed applicato dal giudice. Ne consegue che tale articolo è munito di un effetto diretto (v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 98 e 99 e la giurisprudenza ivi citata).

183    L’obbligo di disapplicare, se del caso, una disposizione nazionale contraria ad una disposizione di diritto dell’Unione munita di effetto diretto incombe non solo sui giudici nazionali, ma anche su tutti gli organismi dello Stato, ivi comprese le autorità amministrative, incaricati di applicare, nell’ambito delle rispettive competenze, il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 22 giugno 1989, Costanzo, 103/88, EU:C:1989:256, punti 30 e 31; del 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality e Commissioner of An Garda Síochána, C‑378/17, EU:C:2018:979, punto 38, nonché del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 78).

184    Ne consegue che un’autorità amministrativa o giurisdizionale di uno Stato membro vincolato alla direttiva 2013/32 non può dichiarare inammissibile una domanda di protezione internazionale sulla base di un motivo come quello previsto all’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della legge sul diritto di asilo.

185    Occorre tuttavia ricordare l’importanza che riveste, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio dell’autorità di cosa giudicata. Infatti, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (sentenze del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 38; del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 52, nonché del 2 aprile 2020, CRPNPAC e Vueling Airlines, C‑370/17 e C‑37/18, EU:C:2020:260, punto 88).

186    Occorre parimenti sottolineare che, secondo una giurisprudenza costante, se una norma di diritto dell’Unione interpretata dalla Corte deve essere applicata da un’autorità amministrativa, nell’ambito delle sue competenze, anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima del momento in cui è sopravvenuta la sentenza in cui la Corte si pronuncia sulla richiesta di interpretazione, ciò non toglie che, in conformità al principio di certezza del diritto, il diritto dell’Unione non esige che un’autorità amministrativa sia, in linea di massima, obbligata a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito carattere definitivo alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionali. Il rispetto di tale principio permette di evitare che atti amministrativi produttivi di effetti giuridici vengano rimessi in discussione all’infinito (sentenze del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz, C‑453/00, EU:C:2004:17, punti 22 e 24; del 19 settembre 2006, i-21 Germany e Arcor, C‑392/04 e C‑422/04, EU:C:2006:586, punto 51, e del 12 febbraio 2008, Kempter, C‑2/06, EU:C:2008:78, punti 36 e 37).

187    Ciò premesso, dalla giurisprudenza della Corte emerge parimenti che l’autorità amministrativa responsabile dell’adozione di una decisione amministrativa è cionondimeno tenuta, in applicazione del principio di leale cooperazione derivante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, a riesaminare tale decisione, ed eventualmente a ritornare su di essa, ove siano soddisfatte quattro condizioni. In primo luogo, che l’autorità amministrativa disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione. In secondo luogo, che la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza. In terzo luogo, che detta sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto dell’Unione adottata senza che la Corte sia stata adita in via pregiudiziale alle condizioni previste all’articolo 267, terzo comma, TFUE. In quarto luogo, che l’interessato si sia rivolto all’autorità amministrativa immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz, C‑453/00, EU:C:2004:17, punto 28, e del 19 settembre 2006, i-21 Germany e Arcor, C‑392/04 e C‑422/04, EU:C:2006:586, punto 52).

188    La Corte ha inoltre precisato, in relazione alla quarta di tali condizioni, che gli Stati membri possono richiedere, in nome del principio della certezza del diritto, che una domanda di riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva e contraria al diritto dell’Unione, così come interpretato successivamente dalla Corte, venga presentata all’amministrazione competente entro un termine ragionevole (sentenza del 12 febbraio 2008, Kempter, C‑2/06, EU:C:2008:78, punto 59).

189    Ne consegue che, anche ammesso che il diritto nazionale consenta all’autorità competente in materia di asilo di riesaminare una decisione che dichiari inammissibile, in violazione del diritto dell’Unione, una domanda di protezione internazionale, ciò non toglie che il diritto dell’Unione non imporrebbe a tale autorità di procedere a un nuovo esame d’ufficio di una siffatta domanda.

190    Risulta da quanto precede che la direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta e il principio di leale cooperazione risultante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, non impone all’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, di riesaminare d’ufficio una domanda di protezione internazionale che è stata oggetto di una decisione di rigetto confermata da una decisione giurisdizionale definitiva prima che la contrarietà al diritto dell’Unione di detta decisione di rigetto fosse constatata.

191    In secondo luogo, occorre stabilire se queste stesse disposizioni del diritto dell’Unione ostino a che, qualora una prima domanda di protezione internazionale sia stata oggetto, in violazione del diritto dell’Unione, di una decisione di rigetto la quale sia stata confermata da una decisione giurisdizionale definitiva, una nuova domanda di asilo presentata dallo stesso richiedente possa essere dichiarata inammissibile sulla base dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in quanto domanda «reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), di detta direttiva.

192    A tal riguardo, occorre sottolineare che l’esistenza di una decisione giurisdizionale definitiva con la quale sia stato confermato il rigetto di una domanda di protezione internazionale per un motivo contrario al diritto dell’Unione non impedisce all’interessato di depositare una domanda reiterata, ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32. Pertanto, quest’ultimo, nonostante una siffatta decisione, può ancora esercitare il suo diritto, come sancito all’articolo 18 della Carta e concretizzato dalle direttive 2011/95 e 2013/32, di ottenere lo status di beneficiario di una protezione internazionale, qualora le condizioni richieste dal diritto dell’Unione siano soddisfatte.

193    È vero che dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 risulta che una siffatta domanda reiterata può essere dichiarata inammissibile qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al medesimo possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale.

194    Tuttavia, l’esistenza di una sentenza della Corte che constata l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che consente di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile con la motivazione che il richiedente è giunto nel territorio dello Stato membro interessato attraverso uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni né al rischio di un danno grave, o nel quale è garantito un adeguato livello di protezione, costituisce un elemento nuovo ai fini dell’esame di una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), di detta direttiva, cosicché detta domanda reiterata non può essere respinta sulla base di quest’ultima disposizione.

195    Una siffatta conclusione si impone anche in assenza di un riferimento, fatto dal richiedente di cui al punto precedente, all’esistenza di una siffatta sentenza della Corte.

196    Inoltre, l’effetto utile del diritto riconosciuto al richiedente protezione internazionale e menzionato al punto 192 della presente sentenza sarebbe gravemente compromesso se una domanda reiterata potesse essere dichiarata inammissibile per il motivo di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, benché il rigetto della prima domanda sia avvenuto in violazione del diritto dell’Unione.

197    Infatti, una simile interpretazione di tale disposizione avrebbe come conseguenza che la non corretta applicazione del diritto dell’Unione potrebbe riprodursi in ogni nuova domanda di protezione internazionale, senza che sia possibile offrire al richiedente il beneficio di un esame della sua domanda che non sia inficiato dalla violazione di tale diritto. Un siffatto ostacolo all’applicazione effettiva delle norme del diritto dell’Unione concernenti la procedura volta alla concessione della protezione internazionale non potrebbe ragionevolmente essere giustificato dal principio della certezza del diritto (v., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020, CRPNPAC e Vueling Airlines, C‑370/17 e C‑37/18, EU:C:2020:260, punti 95 e 96).

198    A tal riguardo, l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che non è applicabile a una domanda reiterata, ai sensi dell’articolo 2, lettera q), di tale direttiva, quando l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), di detta direttiva, constata che il rigetto definitivo della domanda anteriore è contrario al diritto dell’Unione. A tale constatazione è necessariamente tenuta tale autorità accertante quando la contrarietà discende, come nella specie, da una sentenza della Corte o è stata dichiarata, in via incidentale, da un giudice nazionale.

199    Occorre precisare che, in occasione del controllo giurisdizionale della legittimità della decisione di rimpatrio adottata successivamente al rigetto di una domanda di protezione internazionale confermato da una decisione giurisdizionale munita dell’autorità di cosa giudicata, il giudice nazionale investito di un ricorso avverso la decisione di rimpatrio può, ai sensi del diritto dell’Unione e senza che a ciò osti l’autorità di cui è dunque munita la decisione giurisdizionale che conferma tale rigetto, esaminare, in via incidentale, la validità di un siffatto rigetto allorché sia fondato su un motivo contrario al diritto dell’Unione.

200    Infine, occorre aggiungere che, nella specie, detta autorità accertante ha adottato, in ciascuno dei due procedimenti principali, una decisione di rigetto della domanda di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali, nonché una decisione che ordinava loro di lasciare il territorio ungherese in direzione della Serbia, nel contesto di un solo ed unico atto, come consentitole dall’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 (v., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 49). Dai fascicoli sottoposti alla Corte emerge che tali decisioni concomitanti sono state confermate da decisioni giurisdizionali definitive.

201    In siffatte circostanze, occorre precisare, per il caso in cui le decisioni che hanno modificato le decisioni di rimpatrio iniziali e ordinato ai ricorrenti nei procedimenti principali di ritornare nel loro paese di origine siano alla fine annullate, che l’autorità di cosa giudicata della quale sono munite le decisioni giurisdizionali che confermano tanto le decisioni di rigetto delle domande di asilo quanto le decisioni di rimpatrio adottate contestualmente a tali decisioni di rigetto non può impedire che l’allontanamento di tali ricorrenti sia rinviato, come richiesto del resto dall’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/115, qualora tale allontanamento sia deciso in violazione del principio di «non‑refoulement».

202    Lo stesso deve valere, anche in assenza di qualsivoglia nuova circostanza sopravvenuta dopo l’adozione delle decisioni di rimpatrio iniziali, qualora risulti che, contrariamente a quanto imposto dall’articolo 5 della direttiva 2008/115, né l’autorità amministrativa che ha respinto le domande di protezione internazionale e ha ordinato il rimpatrio né il giudice che ha statuito sulla validità di tali decisioni hanno verificato in maniera corretta se il paese terzo figurante in tali decisioni di rimpatrio iniziali rispetti il principio di «non-refoulement».

203    Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che occorre rispondere alla seconda questione, lettere a) e b), che la direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta e il principio di leale cooperazione risultante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretata nel senso che, quando una domanda di asilo è stata oggetto di una decisione di rigetto confermata da una decisione giurisdizionale definitiva prima che fosse dichiarata la contrarietà al diritto dell’Unione di detta decisione, l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, non è tenuta a riesaminare d’ufficio tale domanda. L’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che l’esistenza di una sentenza della Corte che dichiara l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che consente di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile, con la motivazione che il richiedente è arrivato nel territorio dello Stato membro interessato attraverso uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave o in cui è garantito un adeguato livello di protezione, costituisce un elemento nuovo relativo all’esame di una domanda di protezione internazionale, ai sensi di tale disposizione. Inoltre, detta disposizione non è applicabile a una domanda reiterata, ai sensi dell’articolo 2, lettera q), di tale direttiva, quando l’autorità accertante constata che il rigetto definitivo della domanda anteriore è contrario al diritto dell’Unione. A tale constatazione è necessariamente tenuta detta autorità quando la contrarietà discende da una sentenza della Corte o è stata dichiarata, in via incidentale, da un giudice nazionale.

 Sulla terza e sulla quarta questione

 Osservazioni preliminari

204    Con la terza e con la quarta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio si interroga sull’interpretazione, rispettivamente, delle disposizioni delle direttive 2013/32 e 2013/33 relative al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale e delle disposizioni della direttiva 2008/115 relative al trattenimento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nell’ambito dell’esame della legittimità del trattenimento dei ricorrenti nei procedimenti principali nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta.

205    Il giudice del rinvio precisa, inoltre, che la sua terza questione richiede una risposta nella sola ipotesi in cui la Corte ritenga che, dalla data del loro collocamento nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta, i ricorrenti nei procedimenti principali continuino a rientrare nell’ambito di applicazione delle direttive 2013/32 e 2013/33 e, viceversa, che la sua quarta questione esige una risposta nella sola ipotesi in cui la Corte ritenga che detti ricorrenti ricadano, a partire da tale collocamento, nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

206    Occorre dunque stabilire se, a partire dalla data del loro collocamento in tale settore della zona di transito di Röszke, la situazione dei ricorrenti nei procedimenti principali debba essere valutata alla luce della direttiva 2008/115 oppure delle direttive 2013/32 e 2013/33.

207    A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che le decisioni amministrative con le quali le domande di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali sono state respinte non erano più impugnabili, ai sensi del capo V della direttiva 2013/32, alla data in cui essi sono stati collocati nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta. Pertanto, si deve ritenere che, a tale data, le loro domande di protezione internazionale fossero state oggetto di una decisione definitiva, ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2013/32.

208    Ne consegue che, a partire da detta data, i ricorrenti nei procedimenti principali non erano più richiedenti protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2013/32 e dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33, cosicché non rientravano più nell’ambito di applicazione di tali direttive.

209    In secondo luogo, occorre sottolineare che il cittadino di un paese terzo, salva l’ipotesi in cui gli sia stato concesso un diritto o un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, si trova in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della direttiva 2008/115, a seguito del rigetto in prime cure della propria domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente, e ciò indipendentemente dall’esistenza di un’autorizzazione a restare in tale territorio nelle more della decisione del ricorso contro il rigetto stesso (sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 59, e ordinanza del 5 luglio 2018, C e a., C‑269/18 PPU, EU:C:2018:544, punto 47).

210    Nella misura in cui dai fascicoli sottoposti alla Corte non risulta che i ricorrenti nei procedimenti principali beneficino di un diritto o un permesso di soggiorno, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, si deve ritenere che gli stessi, a partire dalla data della decisione che ha respinto la loro domanda di asilo in prime cure, siano in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio ungherese. Pertanto, rientrano, a partire da tale data, nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, fermo restando che il giudice del rinvio ha precisato che nessuna delle eccezioni previste all’articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva è loro applicabile.

211    Inoltre, poiché le decisioni amministrative di rigetto delle domande di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali sono state confermate da decisioni giurisdizionali, questi possono, in linea di principio, essere trattenuti a fini di allontanamento sempreché le condizioni previste in materia dalla direttiva 2008/115 siano rispettate.

212    Ciò premesso, occorre sottolineare, in terzo luogo, che, nel corso dell’udienza svoltasi dinanzi alla Corte, i ricorrenti nei procedimenti principali nella causa C‑925/19 PPU hanno menzionato la presentazione di una nuova domanda di asilo da parte di uno di essi. Tale domanda sarebbe stata respinta in quanto inammissibile, circostanza che detto ricorrente avrebbe contestato mediante la proposizione di un ricorso ancora pendente dinanzi ad un giudice diverso dal giudice del rinvio.

213    Qualora tali elementi di fatto siano comprovati, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, detto ricorrente, a partire dalla data di presentazione della sua nuova domanda di asilo, deve essere nuovamente considerato un richiedente protezione internazionale, rientrante nell’ambito di applicazione delle direttive 2013/32 e 2013/33. Inoltre, occorre aggiungere che, pur se tale ricorrente rientra, a partire dalla data in cui la sua domanda di asilo è stata respinta in primo grado, nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, egli non può essere oggetto di un provvedimento di trattenimento ai sensi dell’articolo 15 di tale direttiva fintantoché il ricorso proposto avverso un siffatto rigetto sia pendente (sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punti 61 e 62).

214    In tali circostanze, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre rispondere sia alla terza sia alla quarta questione.

 Sull’esistenza di un trattenimento

215    Con la sua terza questione, lettera b), e con la sua quarta questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33 e l’articolo 16 della direttiva 2008/115 debbano essere interpretati nel senso che l’obbligo per un cittadino di un paese terzo di soggiornare in modo permanente in una zona di transito, situata alla frontiera esterna di uno Stato membro che lo stesso non può legalmente abbandonare di sua iniziativa, qualunque sia la sua direzione, configuri un «trattenimento», ai sensi di tali direttive.

–       Sulla nozione di trattenimento

216    Per quanto riguarda, in primo luogo, la nozione di «trattenimento», ai sensi della direttiva 2013/33, occorre sottolineare, alla luce della giurisprudenza richiamata al punto 113 della presente sentenza, in primo luogo, che, in conformità all’articolo 2, lettera h), di tale direttiva, con detta nozione si intende il confinamento del richiedente protezione internazionale, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione.

217    Dal testo stesso di tale disposizione risulta, pertanto, che il trattenimento presuppone una privazione, e non una mera restrizione, della libertà di circolazione caratterizzata dal fatto di isolare la persona di cui trattasi dal resto della popolazione in un luogo determinato.

218    Una siffatta interpretazione è confermata, in secondo luogo, dalla genesi di tale disposizione. In tal senso, dal titolo 3, punto 4, della relazione che accompagna la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri [COM(2008) 815 definitivo], all’origine della direttiva 2013/33, risulta che il regime giuridico del trattenimento, istituito da tale direttiva, si basa sulla raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulle misure di detenzione dei richiedenti l’asilo, del 16 aprile 2003, e sulle linee guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) sui criteri e gli standard applicabili relativamente alla detenzione dei richiedenti asilo, del 26 febbraio 1999 (v., in tal senso, sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 63, e del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 46).

219    Orbene, da un lato, detta raccomandazione definisce le misure di detenzione dei richiedenti asilo come «il fatto di mantenere [questi ultimi] in un perimetro estremamente circoscritto o ristretto, ove sono privati della libertà», precisando al contempo che «le persone che sono assoggettate a restrizioni di domicilio o di residenza non sono generalmente considerate soggette a misure detentive».

220    Dall’altro lato, dette linee guida dell’HCR definiscono la detenzione dei richiedenti asilo come «la privazione della libertà o la reclusione in un luogo chiuso da cui il richiedente asilo non può uscire a proprio piacimento. Tali luoghi possono essere, inter alia, carceri o i centri di detenzione costruiti a tale scopo, nonché i centri o le strutture di accoglienza o di trattamento chiusi», precisando al contempo che «le distinzioni fra la privazione della libertà (la detenzione) e le restrizioni minori alla libertà di movimento si basano sul “grado o l’intensità e non sulla natura o la sostanza”».

221    In terzo luogo, dal contesto nel quale si inserisce l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33 emerge parimenti che il trattenimento deve essere inteso come una misura coercitiva ultima, la quale non si limita a restringere la libertà di circolazione del richiedente protezione internazionale.

222    In tal senso, l’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva dispone che possa essere ordinato il trattenimento solo qualora non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. Inoltre, in forza dell’articolo 8, paragrafo 4, di detta direttiva, gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato. Quest’ultima alternativa al trattenimento deve essere intesa nel senso che rimanda alle restrizioni alla libertà di circolazione del richiedente protezione internazionale che sono autorizzate dall’articolo 7 della direttiva 2013/33, fermo restando che, in conformità a tale articolo, siffatte restrizioni non possono pregiudicare la sfera inalienabile della vita privata di tale richiedente e devono permettere un campo d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici di tale direttiva.

223    Risulta dalle considerazioni che precedono che il trattenimento di un richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, costituisce una misura coercitiva che priva tale richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto.

224    Per quanto attiene, in secondo luogo, alla nozione di «trattenimento», ai sensi della direttiva 2008/115, occorre rilevare che né l’articolo 16 né nessun’altra disposizione di tale direttiva contiene una definizione di tale nozione. Ciò premesso, nessun elemento consente di ritenere che il legislatore dell’Unione abbia inteso conferire alla nozione di «trattenimento», nel contesto della direttiva 2008/115, un significato diverso da quello rivestito da tale nozione nel contesto della direttiva 2013/33. Inoltre, la direttiva 2013/33, in particolare il suo articolo 8, paragrafo 3, lettera d), prende espressamente in considerazione, fra i casi ammissibili di «trattenimento», ai sensi di tale direttiva, un caso nel quale il cittadino di un paese terzo interessato sia già trattenuto nell’ambito di un procedimento di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115, il che avvalora l’interpretazione secondo la quale la nozione di «trattenimento», ai sensi di queste due direttive, riguarda un’unica realtà.

225    Risulta da quanto precede che il «trattenimento» di un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della direttiva 2008/115, costituisce una misura coercitiva della stessa natura di quella definita all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33 e descritta al punto 223 della presente sentenza.

–       Sulle condizioni di trattenimento di cui ai procedimenti principali

226    Come è stato rilevato ai punti da 68 a 70 della presente sentenza, dalle decisioni di rinvio risulta che i ricorrenti nei procedimenti principali sono tenuti, dalla data del loro ingresso nel territorio ungherese, a soggiornare in modo permanente nella zona di transito di Röszke, la quale è circondata da un’alta recinzione e da filo spinato. Stando al giudice del rinvio, tali ricorrenti sono alloggiati in container la cui superficie non è superiore a 13 m². Essi non possono, senza autorizzazione, ricevere visite da persone esterne a tale zona e i loro movimenti all’interno della stessa sono limitati e sorvegliati dai membri dei servizi d’ordine permanentemente presenti in detta zona e nelle immediate vicinanze della medesima.

227    Come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 167 delle sue conclusioni, discende pertanto dai fascicoli sottoposti alla Corte che il collocamento dei ricorrenti nei procedimenti principali nella zona di transito di Röszke non si distingue da un regime di trattenimento.

228    A tal riguardo, occorre sottolineare che l’argomento sollevato dal governo ungherese, nelle sue osservazioni scritte e nel corso dell’udienza, secondo il quale i ricorrenti nei procedimenti principali sono liberi di lasciare la zona di transito di Röszke per recarsi in Serbia non può rimettere in discussione la valutazione secondo la quale il collocamento di tali ricorrenti in tale zona di transito non si distingue da un regime di trattenimento.

229    Infatti, da un lato, e senza che spetti alla Corte, nell’ambito delle presenti cause, pronunciarsi sulla conformità del comportamento delle autorità serbe all’accordo di riammissione concluso fra l’Unione e la Serbia, risulta esplicitamente dalle decisioni di rinvio, e non è del resto stato contestato dal governo ungherese, che un eventuale ingresso dei ricorrenti nei procedimenti principali in Serbia sarebbe considerato illegale da tale paese terzo e che, di conseguenza, essi si esporrebbero ivi a sanzioni. Pertanto, segnatamente per tale ragione, non si può ritenere che tali ricorrenti abbiano una possibilità effettiva di lasciare la zona di transito di Röszke.

230    Dall’altro lato, come sottolineato, in sostanza, dai ricorrenti nel procedimento principale nella causa C‑925/19 PPU, lasciando il territorio ungherese, tali ricorrenti rischiano di perdere qualsivoglia possibilità di ottenere lo status di rifugiato in Ungheria. Infatti, secondo l’articolo 80/J della legge sul diritto di asilo, possono depositare una nuova domanda di asilo solo in una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa (Ungheria). Inoltre, dall’articolo 80/K della stessa legge discende che l’autorità competente in materia di asilo può decidere di chiudere la procedura di protezione internazionale qualora il richiedente lasci una di queste due zone, senza che tale decisione possa essere contestata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale amministrativo.

231    Da tutte le precedenti considerazioni risulta che occorre rispondere alla terza questione, lettera b), e alla quarta questione, lettera a), che le direttive 2008/115 e 2013/33 devono essere interpretate nel senso che l’obbligo imposto a un cittadino di un paese terzo di soggiornare in modo permanente in una zona di transito avente un perimetro circoscritto e ristretto, all’interno della quale i movimenti di tale cittadino sono limitati e sorvegliati e che lo stesso non può legalmente abbandonare di sua iniziativa, qualunque sia la sua direzione, configura una privazione di libertà, caratteristica di un «trattenimento» ai sensi delle direttive di cui trattasi.

 Sulle condizioni del trattenimento previste dalle direttive 2013/32 e 2013/33

–       Sull’articolo 43 della direttiva 2013/32

232    Con la sua terza questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 43 della direttiva 2013/32 debba essere interpretato nel senso che esso osta al trattenimento di un richiedente protezione internazionale in una zona di transito per un periodo di tempo superiore a quattro settimane.

233    In via preliminare, occorre sottolineare che il governo ungherese contesta che le domande di asilo dei ricorrenti nei procedimenti principali siano state oggetto di una procedura di esame sulla base delle disposizioni nazionali che recepiscono l’articolo 43 della direttiva 2013/32.

234    Occorre tuttavia ricordare che il giudice del rinvio è il solo competente a interpretare il diritto nazionale, nonché a conoscere e a valutare i fatti della controversia sottopostagli e a trarne le conseguenze ai fini della sua pronuncia (v., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2007, Eind, C‑291/05, EU:C:2007:771, punti 18, e del 30 gennaio 2020, I.G.I., C‑394/18, EU:C:2020:56, punto 50). Ne consegue che, per quanto riguarda l’applicazione della normativa nazionale pertinente, la Corte deve attenersi alla situazione che detto giudice ritiene accertata e non può essere vincolata dalle ipotesi formulate da una delle parti del procedimento (v., in tal senso, sentenze dell’8 giugno 2016, Hünnebeck, C‑479/14, EU:C:2016:412, punto 36, e del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 22).

235    Tenendo presente tali considerazioni, occorre sottolineare, in primo luogo, che l’articolo 43, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 offre agli Stati membri la possibilità di prevedere, alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro, procedure specifiche per decidere sull’ammissibilità, ai sensi dell’articolo 33 di tale direttiva, di una domanda di protezione internazionale ivi presentata o sul merito di tale domanda in uno dei casi previsti all’articolo 31, paragrafo 8, di detta direttiva, sempreché tali procedure rispettino i principi fondamentali e le garanzie di cui al capo II della stessa direttiva. In forza dell’articolo 43, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, tali procedure specifiche devono essere svolte entro un termine ragionevole, fermo restando che, se la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale non è stata presa entro un termine di quattro settimane, lo Stato membro interessato deve ammettere il richiedente nel proprio territorio; la sua domanda deve essere esaminata entro tale termine di quattro settimane conformemente alla procedura di diritto comune.

236    Dal considerando 38 della direttiva 2013/32 discende parimenti che una siffatta procedura di frontiera è destinata a consentire agli Stati membri di decidere in merito alle domande di protezione internazionale che sono presentate alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro prima che sia presa una decisione sull’ammissione dei richiedenti nel suo territorio.

237    Gli Stati membri sono pertanto autorizzati ad imporre ai richiedenti protezione internazionale di soggiornare, per una durata massima di quattro settimane, alla loro frontiera o in una delle loro zone di transito al fine di verificare, prima di pronunciarsi sul loro diritto di ingresso nel loro territorio, se la loro domanda sia inammissibile, ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2013/32, oppure se essa debba essere dichiarata infondata in conformità all’articolo 31, paragrafo 8, di tale direttiva.

238    Orbene, una situazione del genere è presa in considerazione dall’articolo 8, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2013/33, ai sensi del quale gli Stati membri possono trattenere un richiedente protezione internazionale per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel loro territorio. Del resto, l’articolo 10, paragrafo 5, e l’articolo 11, paragrafo 6, della direttiva 2013/33 fanno espressamente riferimento alle modalità di trattenimento di un richiedente protezione internazionale ad un posto di frontiera o in una zona di transito nell’ambito dell’applicazione delle procedure specifiche di cui all’articolo 43 della direttiva 2013/32.

239    Ne consegue che l’articolo 43 della direttiva 2013/32 autorizza gli Stati membri a «trattenere», ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, i richiedenti protezione internazionale che si presentano alle loro frontiere, alle condizioni enunciate da tale articolo 43 e al fine di garantire l’effettività delle procedure da esso previste.

240    Orbene, da detto articolo 43, paragrafi 1 e 2, discende che un trattenimento fondato su tali disposizioni non può eccedere le quattro settimane. Benché la data a partire dalla quale tale termine inizia a decorrere non sia ivi precisata, si deve ritenere che un siffatto termine inizi a decorrere dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, e tale data deve essere considerata come quella di inizio della procedura di esame di una siffatta domanda.

241    Ne consegue che il trattenimento di un richiedente protezione internazionale in una zona di transito al di là di un periodo di quattro settimane, il quale inizia a decorrere a partire dalla data di presentazione della sua domanda, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, non può essere giustificato in forza dell’articolo 43, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva.

242    Ciò premesso, occorre rilevare, in secondo luogo, che, ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, nel caso in cui un afflusso massiccio di richiedenti protezione internazionale renda impossibile l’applicazione delle procedure specifiche istituite dagli Stati membri, ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, di tale direttiva, alle loro frontiere o nelle loro zone di transito, tali procedure possono continuare a essere applicate nei luoghi e per il periodo in cui i richiedenti protezione internazionale interessati sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze di tali frontiere o di tali zone di transito.

243    Il paragrafo 3 dell’articolo 43 della direttiva 2013/32 consente dunque agli Stati membri, nella situazione specifica di un afflusso massiccio di richiedenti protezione internazionale, di continuare ad applicare le procedure previste al paragrafo 1 di tale articolo, anche se il termine di quattro settimane entro il quale tali procedure devono normalmente essere espletate, in conformità al paragrafo 2 dello stesso articolo, è scaduto.

244    Dal testo stesso del paragrafo 3 dell’articolo 43 di tale direttiva risulta tuttavia che siffatte procedure possono essere mantenute solo a condizione che i richiedenti protezione internazionale siano normalmente accolti, alla scadenza del termine di quattro settimane previsto al paragrafo 2 di tale articolo, nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito.

245    Orbene, esigendo che tali richiedenti siano accolti in condizioni normali, l’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 ha necessariamente escluso che essi possano rimanere in stato di trattenimento. Infatti, le condizioni concernenti l’alloggio normale dei richiedenti protezione internazionale sono disciplinate dagli articoli 17 e 18 della direttiva 2013/33, ai sensi dei quali ogni richiedente protezione internazionale ha diritto, in linea di principio, a sussidi economici che gli consentano di disporre di un alloggio o ad un alloggio in natura in un luogo diverso da un centro di trattenimento.

246    Ne consegue che l’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 non legittima uno Stato membro a trattenere i richiedenti protezione internazionale alle sue frontiere o in una delle sue zone di transito al di là del termine di quattro settimane, menzionato al punto 241 della presente sentenza, anche qualora un afflusso massiccio di richiedenti protezione internazionale renda impossibile l’applicazione delle procedure previste all’articolo 43, paragrafo 1, di tale direttiva entro un siffatto termine.

247    Ciò premesso, occorre aggiungere che sebbene, ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, tali richiedenti siano, in linea di principio, liberi di entrare nel territorio dello Stato membro interessato entro un siffatto termine di quattro settimane, il paragrafo 3 di tale articolo autorizza cionondimeno tale Stato membro a limitare la loro libertà di movimento ad una zona situata nelle vicinanze delle sue frontiere o delle sue zone di transito, in conformità all’articolo 7 della direttiva 2013/33.

248    Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che occorre rispondere alla terza questione, lettera a), che l’articolo 43 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso non autorizza il trattenimento di un richiedente protezione internazionale in una zona di transito per una durata superiore a quattro settimane.

–       Sugli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33

249    Con la sua terza questione, lettere c) e d), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 debbano essere interpretati nel senso che ostano a che, in primo luogo, un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che lo stesso non può sovvenire alle proprie necessità; in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione che dispone il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura; in terzo luogo, a che il richiedente così trattenuto non disponga di alcun ricorso per contestare la legittimità del suo trattenimento e del mantenimento del medesimo, e, in quarto luogo, a che la durata esatta del mantenimento in stato di trattenimento non sia definita.

250    In primo luogo, occorre rilevare che l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33 enumera esaustivamente i vari motivi tali da giustificare il trattenimento di un richiedente protezione internazionale e che ognuno dei suddetti motivi risponde a una necessità specifica che ha carattere autonomo (sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 59, e del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 42).

251    Orbene, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 189 delle sue conclusioni, nessuno dei motivi enunciati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, di tale direttiva prende in considerazione l’ipotesi di un richiedente protezione internazionale che non può sovvenire alle proprie necessità.

252    Inoltre, se è vero, come rilevato dal considerando 17 di detta direttiva, che i motivi di trattenimento stabiliti in tale direttiva lasciano impregiudicati altri motivi di trattenimento, compresi quelli che rientrano nell’ambito dei procedimenti penali, applicabili conformemente alla legislazione nazionale, non correlati alla domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino di un paese terzo o dall’apolide, ciò non toglie che gli Stati membri debbano assicurare il rispetto, quando istituiscono siffatti motivi di detenzione, dei principi e dell’obiettivo della direttiva 2013/33 (v., per analogia, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, C‑329/11, EU:C:2011:807, punto 46).

253    Orbene, dall’articolo 17, paragrafo 3, della direttiva 2013/33 risulta che gli Stati membri devono fornire l’accesso alle condizioni materiali d’accoglienza a ogni richiedente protezione internazionale che non dispone di mezzi sufficienti a garantirgli una qualità della vita adeguata per la sua salute, nonché ad assicurare il suo sostentamento.

254    Ne consegue che a un richiedente protezione internazionale che non dispone di mezzi di sostentamento deve essere concesso un sussidio economico che gli consenta di disporre di un alloggio o un alloggio in natura in uno dei luoghi di cui all’articolo 18 di detta direttiva, i quali non possono essere confusi con i centri di trattenimento previsti all’articolo 10 della stessa direttiva. Pertanto, la concessione al richiedente protezione internazionale che non dispone di mezzi di sostentamento di un alloggio in natura, ai sensi di tale articolo 18, non può avere come effetto di privarlo della sua libertà di circolazione, fatte salve le sanzioni che possono essergli inflitte ai sensi dell’articolo 20 della stessa direttiva (v., in tal senso, sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin, C‑233/18, EU:C:2019:956, punto 52).

255    Di conseguenza, e senza che sia necessario chiedersi se il trattenimento di un richiedente protezione internazionale, con la motivazione che egli non può sovvenire alle proprie necessità, sia un motivo di trattenimento indipendente dalla sua qualità di richiedente protezione internazionale, è sufficiente rilevare che un siffatto motivo pregiudica, in ogni caso, il contenuto essenziale delle condizioni materiali di accoglienza che devono essergli riconosciute nel corso dell’esame della sua domanda di protezione internazionale e non rispetta, di conseguenza, né i principi né l’obiettivo della direttiva 2013/33.

256    Risulta da quanto precede che l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33 osta a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo motivo che egli non può sovvenire alle proprie necessità.

257    In secondo luogo, in conformità all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/33, il trattenimento di un richiedente protezione internazionale è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa, e il provvedimento di trattenimento deve inoltre precisare i motivi di fatto e di diritto sui quali si basa.

258    Inoltre, l’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva prevede che il trattenimento possa avere luogo soltanto ove necessario, sulla base di una valutazione caso per caso, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. Ne consegue che le autorità nazionali possono trattenere un richiedente protezione internazionale solo dopo aver verificato, caso per caso, se un siffatto trattenimento sia proporzionato ai fini perseguiti (sentenza del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 48).

259    Risulta da quanto precede che l’articolo 8, paragrafi 2 e 3, e l’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/33 ostano a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto senza che la necessità e la proporzionalità di tale misura siano state previamente esaminate e senza che sia stata adottata una decisione amministrativa o giudiziaria che indichi i motivi di fatto e di diritto per i quali un siffatto trattenimento viene disposto.

260    In terzo luogo, l’articolo 9, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33 esige che, se il trattenimento del richiedente protezione internazionale è disposto dall’autorità amministrativa, gli Stati membri assicurino una rapida verifica in sede giudiziaria, d’ufficio e/o su domanda della persona trattenuta, della legittimità del trattenimento. Inoltre, l’articolo 9, paragrafo 5, di tale direttiva prevede che il mantenimento del trattenimento sia riesaminato da un’autorità giurisdizionale a intervalli ragionevoli, d’ufficio e/o su richiesta del richiedente in questione.

261    Risulta da quanto precede che l’articolo 9, paragrafi 3 e 5, della direttiva 2013/33 osta a che uno Stato membro non preveda alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento di un richiedente protezione internazionale.

262    In quarto luogo, l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 dispone che il richiedente protezione internazionale è trattenuto solo per un periodo il più breve possibile e soltanto fintantoché è applicabile il motivo del suo trattenimento, fermo restando che gli adempimenti amministrativi inerenti a tale motivo di trattenimento devono essere espletati con la debita diligenza e i ritardi in tali procedure non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento.

263    Per contro, nessuna disposizione della direttiva 2013/33 fissa un termine determinato al di là del quale gli Stati membri sarebbero tenuti a porre fine al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale. A tal riguardo, occorre rilevare che, mentre l’articolo 9 della proposta di direttiva [COM(2008) 815 definitivo] prevedeva espressamente che il provvedimento di trattenimento dovesse specificare la durata massima del trattenimento, tale requisito non risulta nel testo finale della direttiva 2013/33.

264    Occorre tuttavia aggiungere che l’assenza di fissazione di una durata massima del trattenimento di un richiedente protezione internazionale rispetta il suo diritto alla libertà, come sancito all’articolo 6 della Carta, solo a condizione che tale richiedente benefici, come richiesto dall’articolo 9 della direttiva 2013/33, di garanzie procedurali effettive che consentono di porre fine al suo trattenimento non appena quest’ultimo cessi di essere necessario o proporzionato alla luce dall’obiettivo perseguito dal medesimo. In particolare, se il trattenimento di un richiedente protezione internazionale non è delimitato da un limite temporale, l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, deve agire con tutta la diligenza richiesta (v., per analogia, Corte EDU, 22 giugno 2017, S.M.M. c. Regno Unito, CE:ECHR:2017:0622JUD 007745012, § 84 e la giurisprudenza ivi citata).

265    Ne consegue che l’articolo 9 della direttiva 2013/33 non osta ad una normativa di uno Stato membro che non prevede un termine alla scadenza del quale il trattenimento di un richiedente protezione internazionale sarebbe automaticamente considerato irregolare, purché tale Stato membro vigili affinché, da un lato, il trattenimento duri soltanto fintantoché il motivo che lo giustifica permane applicabile e, dall’altro, gli adempimenti amministrativi inerenti a tale motivo siano espletati con diligenza.

266    Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che occorre rispondere alla terza questione, lettere c) e d), che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura, e, in terzo luogo, a che non esista alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento di tale richiedente. Per contro, l’articolo 9 di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che non impone che gli Stati membri fissino una durata massima per il mantenimento del trattenimento purché il loro diritto nazionale garantisca che il trattenimento duri solo fintantoché il motivo che lo giustifica permane applicabile e purché gli adempimenti amministrativi inerenti a tale motivo siano espletati con diligenza.

 Sulle condizioni di trattenimento previste dalla direttiva 2008/115

267    Con la sua quarta questione, lettere b), c) e d), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 15 e 16 della direttiva 2008/115 debbano essere interpretati nel senso che ostano a che, in primo luogo, un cittadino di un paese terzo sia trattenuto per il solo fatto che lo stesso è oggetto di una decisione di rimpatrio e che non può sopperire alle proprie necessità; in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione che dispone il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura; in terzo luogo, a che la persona trattenuta non disponga di alcun ricorso per contestare la legittimità del suo trattenimento e del mantenimento del medesimo e, in quarto luogo, a che la durata esatta del mantenimento del trattenimento sia indeterminata.

268    In primo luogo, dall’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 risulta esplicitamente che il trattenimento di un cittadino di un paese terzo che si trova in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro può essere giustificato, in assenza di altre misure sufficienti, ma meno coercitive, le quali potrebbero essere applicate efficacemente, solo al fine di preparare il rimpatrio di tale cittadino e/o procedere al suo allontanamento, in particolare allorché esiste un rischio di fuga o qualora detto cittadino eviti o impedisca la preparazione del rimpatrio o della procedura di allontanamento.

269    Pertanto, è solo qualora l’esecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi, valutata la situazione caso per caso, di essere compromessa dal comportamento dell’interessato, che gli Stati membri possono privare quest’ultimo della libertà ricorrendo al trattenimento (sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi, C‑61/11 PPU, EU:C:2011:268, punto 39).

270    Di conseguenza, la circostanza che il cittadino di un paese terzo sia oggetto di una decisione di rimpatrio e non sia in grado di sovvenire alle proprie necessità non è sufficiente a trattenerlo sulla base dell’articolo 15 della direttiva 2008/115.

271    Infatti, tale circostanza non rientra tra quelle idonee a minacciare l’efficacia delle procedure di rimpatrio e di allontanamento qualora non fosse pronunciato un provvedimento di trattenimento (v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2009, Kadzoev, C‑357/09 PPU, EU:C:2009:741, punti 68 e 70).

272    Risulta da quanto precede che l’articolo 15 della direttiva 2008/115 osta a che un cittadino di un paese terzo sia trattenuto per il solo fatto che è oggetto di una decisione di rimpatrio e che non può sovvenire alle proprie necessità.

273    In secondo luogo, dall’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 risulta che il trattenimento deve essere disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie con atto scritto che indichi i motivi di fatto e di diritto posti a fondamento del medesimo. L’obbligo di comunicare detti motivi è necessario sia per consentire alla persona interessata di difendere i propri diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile adire il giudice competente, sia per consentire pienamente a quest’ultimo di esercitare il controllo della legittimità della decisione di cui trattasi (sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punti 41 e 45).

274    Inoltre, come risulta dai considerando 13, 16, 17 e 24 della direttiva 2008/115, ogni trattenimento rientrante in tale direttiva è strettamente disciplinato dalle disposizioni del suo capo IV così da garantire, da una parte, il rispetto del principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti e, dall’altra, il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi. In tal senso, dall’articolo 15, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva risulta che il trattenimento può essere disposto solo dopo che sia stato verificato se non fossero sufficienti altre misure meno coercitive. Inoltre, come confermato dal considerando 6 di questa stessa direttiva, le decisioni ai sensi della medesima, inclusi i provvedimenti di trattenimento, devono essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, in conformità dei principi generali del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punti 55 e 70).

275    Dalle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 15, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115 osta a che un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro sia trattenuto senza che siano state previamente esaminate la necessità e la proporzionalità di tale misura e che sia stato adottato un provvedimento di trattenimento, il quale indichi i motivi di fatto e di diritto posti a fondamento del medesimo.

276    In terzo luogo, l’articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2008/115 dispone che quando il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative, gli Stati membri prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento o d’ufficio o su domanda del cittadino di un paese terzo interessato. Inoltre, secondo l’articolo 15, paragrafo 3, della stessa direttiva, nel caso di periodi di trattenimento prolungati, il riesame del trattenimento, che deve avere luogo ad intervalli ragionevoli, deve essere sottoposto al controllo di un’autorità giudiziaria.

277    Risulta da quanto precede che l’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2008/115 osta a che uno Stato membro non preveda alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento di un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di tale Stato membro.

278    In quarto luogo, dall’articolo 15, paragrafo 1, ultimo comma, e paragrafo 4, della direttiva 2008/115 risulta che il trattenimento di un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare deve avere durata quanto più breve possibile ed essere mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio, fermo restando che, quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento o che non sussistono più le condizioni che avevano giustificato il trattenimento, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

279    Inoltre, l’articolo 15, paragrafi 5 e 6, della stessa direttiva prevede che ciascuno Stato membro stabilisca un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi; tale periodo può essere prolungato solo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi e unicamente nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo dalle autorità nazionali, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi. Poiché il superamento di tale periodo massimo non è in nessun caso autorizzato, la persona trattenuta deve comunque essere immediatamente rimessa in libertà non appena la durata massima del trattenimento di diciotto mesi sia raggiunta (v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2009, Kadzoev, C‑357/09 PPU, EU:C:2009:741, punti 60 e 69).

280    Ne consegue che l’articolo 15, paragrafo 1 e paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2008/115 osta ad una normativa di uno Stato membro che, da un lato, non prevede che il trattenimento di un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare sia automaticamente considerato irregolare alla scadenza di un termine massimo di 18 mesi, e, dall’altro, non garantisce che tale trattenimento sia mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

281    Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che occorre rispondere alla quarta questione, lettere b), c) e d), che l’articolo 15 della direttiva 2008/115 deve essere interpretato nel senso che osta, in primo luogo, a che un cittadino di un paese terzo sia trattenuto per il solo fatto che è oggetto di una decisione di rimpatrio e che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga una siffatta misura e senza che siano state esaminate la sua necessità e proporzionalità, in terzo luogo, a che non esista alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento e, in quarto luogo, a che tale stesso trattenimento possa oltrepassare i 18 mesi ed essere mantenuto anche se il rimpatrio non è più in corso o se non ha avuto luogo un espletamento diligente delle sue modalità.

 Sulle conseguenze di un trattenimento irregolare

282    Con la sua terza questione, lettera e), e con la sua quarta questione, lettera e), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione e, in particolare, l’articolo 47 della Carta debbano essere interpretati nel senso che, qualora il trattenimento di un richiedente protezione internazionale o di un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro sia manifestamente contrario alle norme di diritto dell’Unione, un giudice di uno Stato membro possa, con un provvedimento provvisorio, obbligare l’autorità nazionale competente ad attribuire alla persona trattenuta illegittimamente un luogo di collocamento che non sia un luogo di trattenimento.

283    In via preliminare, occorre sottolineare che, secondo il giudice del rinvio, né la decisione amministrativa che ha ordinato il collocamento dei ricorrenti nei procedimenti principali nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai richiedenti asilo né quella che ha ordinato il loro collocamento nel settore di tale zona di transito riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta può essere oggetto di un controllo giurisdizionale.

284    Nell’udienza dinanzi alla Corte, il governo ungherese ha cionondimeno menzionato talune disposizioni procedurali che, a suo avviso, consentirebbero che il collocamento in tale zona di transito sia oggetto di un controllo giurisdizionale conforme ai requisiti del diritto dell’Unione.

285    Spetta, in definitiva, al giudice del rinvio, unico competente ad interpretare il diritto nazionale, verificare se un giudice disponga, in forza di tale diritto, della possibilità di controllare la legittimità del collocamento dei ricorrenti nei procedimenti principali e del mantenimento del medesimo nella zona di transito di Röszke.

286    Ciò premesso, come è stato sottolineato, in sostanza, al punto 234 della presente sentenza, la Corte deve attenersi alla situazione che il giudice del rinvio ritiene accertata e non può essere vincolata dalle ipotesi formulate da una delle parti dei procedimenti principali.

287    Spetta pertanto alla Corte stabilire, in primo luogo, se, ammesso che il giudice del rinvio ritenga che il collocamento dei ricorrenti nei procedimenti principali nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta costituisca un trattenimento, esso possa, in forza del diritto dell’Unione, dichiararsi competente a controllare la regolarità di un siffatto trattenimento, malgrado l’assenza di qualsiasi disposizione nazionale che consenta di esercitare un siffatto controllo giurisdizionale.

288    A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che l’articolo 15 della direttiva 2008/115 è incondizionato e sufficientemente preciso e che, pertanto, è munito di un effetto diretto (v., in tal senso, sentenze del 28 aprile 2011, El Dridi, C‑61/11 PPU, EU:C:2011:268, punti 46 e 47, e del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 54). Per motivi analoghi, l’articolo 9 della direttiva 2013/33 deve a sua volta essere considerato munito di tale effetto.

289    Inoltre, l’articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2008/115 e l’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2013/33 costituiscono una concretizzazione, nel settore considerato, del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, garantito all’articolo 47 della Carta. Come è stato sottolineato al punto 140 della presente sentenza, detto articolo 47 è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale.

290    In secondo luogo, una normativa nazionale che non garantisce alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento di un richiedente protezione internazionale o di un cittadino di un paese terzo in una situazione di soggiorno irregolare costituisce, non solo, come è stato rilevato ai punti 261 e 277 della presente sentenza, una violazione dell’articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2008/115 e dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2013/33, ma non tiene neanche conto del contenuto essenziale del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, garantito all’articolo 47 della Carta, nella misura in cui impedisce, in maniera assoluta, che un giudice statuisca sul rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto dell’Unione al cittadino di un paese terzo trattenuto.

291    Di conseguenza, e per motivi analoghi a quelli illustrati ai punti da 138 a 146 della presente sentenza, il principio del primato del diritto dell’Unione, nonché il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, impongono al giudice del rinvio, qualora ritenga che i ricorrenti nei procedimenti principali siano oggetto di un trattenimento, di dichiararsi competente ad esaminare la regolarità di un siffatto trattenimento disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione nazionale che gli vieterebbe di procedere in tal senso.

292    Occorre sottolineare, in secondo luogo, che l’articolo 15, paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 2008/115 e l’articolo 9, paragrafo 3, ultimo comma, della direttiva 2013/33 dispongono espressamente che, qualora il trattenimento sia reputato illegittimo, la persona interessata deve essere rilasciata immediatamente.

293    Ne consegue che, in un simile caso, il giudice nazionale deve essere in grado di sostituire la propria decisione a quella dell’autorità amministrativa che ha disposto il trattenimento e di disporre o una misura alternativa al trattenimento o il rilascio della persona interessata (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 62). Tuttavia, la pronuncia di una misura alternativa al trattenimento è ipotizzabile soltanto se il motivo che ha giustificato il trattenimento della persona interessata era e rimane valido, ma tale trattenimento non risulta necessario o proporzionato (o non lo risulta più) alla luce di tale motivo.

294    Pertanto, l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 e l’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2013/33, se non risulta competente alcun altro giudice in forza del diritto nazionale, autorizzano il giudice del rinvio a disporre il rilascio immediato dei ricorrenti nei procedimenti principali qualora questi ritenga che il loro collocamento nel settore della zona di transito di Röszke riservato ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta costituisca un trattenimento contrario alle disposizioni del diritto dell’Unione ivi applicabili.

295    In terzo luogo, per quanto riguarda la possibilità di ordinare all’autorità amministrativa competente, a titolo di provvedimenti provvisori, di assegnare un luogo di collocamento ai ricorrenti nei procedimenti principali, occorre rilevare, per quanto attiene, in primo luogo, al richiedente protezione internazionale, che se è vero che l’articolo 9, paragrafo 3, ultimo comma, della direttiva 2013/33 si limita ad imporre che un siffatto richiedente sia immediatamente rilasciato, qualora risulti che il suo trattenimento è illegittimo, ciò non toglie che, dopo il suo rilascio, quest’ultimo continua a beneficiare della sua qualità di richiedente protezione internazionale e può pertanto avvalersi delle condizioni materiali di accoglienza, in conformità all’articolo 17 di tale direttiva. Orbene, come è stato rilevato al punto 245 della presente sentenza, fra tali condizioni materiali di accoglienza figura la concessione di sussidi economici che consentano a detto richiedente di disporre di un alloggio o la concessione di un alloggio in natura.

296    Inoltre, dall’articolo 26 della direttiva 2013/33 risulta che il richiedente protezione internazionale deve poter proporre ricorso avverso le decisioni relative segnatamente alla concessione delle condizioni materiali di accoglienza. Spetta pertanto al giudice competente, in forza del diritto nazionale, al fine di conoscere di un siffatto ricorso, controllare il rispetto del diritto all’alloggio del richiedente protezione internazionale nel corso dell’esame della sua domanda, fermo restando che, come è stato ricordato al punto 254 della presente sentenza, un siffatto collocamento non può costituire un trattenimento de facto.

297    Infine, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il giudice nazionale, investito di una controversia disciplinata dal diritto dell’Unione, dev’essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto dell’Unione (v., segnatamente, sentenze del 19 giugno 1990, Factortame e a., C‑213/89, EU:C:1990:257, punto 21, e del 15 gennaio 2013, Križan e a., C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 107).

298    Ne consegue che l’articolo 26 della direttiva 2013/33 impone che il richiedente protezione internazionale il cui trattenimento abbia avuto fine possa far valere, presso il giudice competente in forza del diritto nazionale, il suo diritto a ottenere o un sussidio economico che gli consenta di disporre di un alloggio, o un alloggio in natura, e tale giudice dispone, in forza del diritto dell’Unione, della possibilità di accordare misure provvisorie in attesa della sua decisione definitiva.

299    Occorre inoltre aggiungere che, per motivi analoghi a quelli illustrati ai punti da 138 a 146 della presente sentenza, il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, impongono al giudice del rinvio di dichiararsi competente a conoscere del ricorso di cui al punto precedente della presente sentenza, qualora nessun altro giudice sia competente a conoscere del medesimo in forza del diritto nazionale.

300    Per quanto riguarda, in secondo luogo, i cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta, occorre rilevare che l’articolo 15, paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 2008/115 si limita, al pari dell’articolo 9, paragrafo 3, ultimo comma, della direttiva 2013/33, ad imporre che la persona interessata sia immediatamente rilasciata non appena risulti che il suo trattenimento è illegittimo.

301    Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che occorre rispondere alla terza questione, lettera e), e alla quarta questione, lettera e), nei seguenti termini:

–        Il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale, in mancanza di disposizioni nazionali che prevedano un controllo giurisdizionale della legittimità di una decisione amministrativa che dispone il trattenimento di richiedenti protezione internazionale o di cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo è stata respinta, di dichiararsi competente a pronunciarsi sulla legittimità di un siffatto trattenimento e autorizzano tale giudice a rilasciare immediatamente le persone interessate se lo stesso reputa che tale misura costituisca un trattenimento contrario al diritto dell’Unione.

–        L’articolo 26 della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che impone che il richiedente protezione internazionale il cui trattenimento, giudicato illegittimo, abbia avuto fine possa far valere, presso il giudice competente in forza del diritto nazionale, il suo diritto a ottenere o un sussidio economico che gli consenta di disporre di un alloggio, o un alloggio in natura, e tale giudice dispone, in forza del diritto dell’Unione, della possibilità di accordare misure provvisorie in attesa della sua decisione definitiva.

–        Il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale, in mancanza di disposizioni nazionali che prevedano un controllo giurisdizionale del diritto all’alloggio, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2013/33, di dichiararsi competente a conoscere del ricorso diretto a garantire un siffatto diritto.

 Sulle spese

302    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale la modifica, da parte di un’autorità amministrativa, del paese di destinazione figurante in una decisione di rimpatrio anteriore può essere impugnata dal cittadino di un paese terzo interessato solo mediante un ricorso presentato dinanzi a un’autorità amministrativa, senza che sia garantito un successivo controllo giurisdizionale della decisione di tale autorità. In una tale ipotesi, il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale investito di un ricorso diretto a contestare la legittimità, rispetto al diritto dell’Unione, della decisione di rimpatrio consistente in una siffatta modifica del paese di destinazione, di dichiararsi competente a conoscere di tale ricorso.

2)      L’articolo 33 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di respingere in quanto inammissibile una domanda di protezione internazionale con la motivazione che il richiedente è arrivato nel territorio dello Stato membro interessato attraverso uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave, ai sensi della disposizione nazionale che recepisce l’articolo 15 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione.

3)      La direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con il principio di leale cooperazione derivante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretata nel senso che, quando una domanda di asilo è stata oggetto di una decisione di rigetto confermata da una decisione giurisdizionale definitiva prima che fosse dichiarata la contrarietà al diritto dell’Unione di detta decisione, l’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, non è tenuta a riesaminare d’ufficio tale domanda. L’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che l’esistenza di una sentenza della Corte che dichiara l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che consente di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile, con la motivazione che il richiedente è arrivato nel territorio dello Stato membro interessato attraverso uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave o in cui è garantito un adeguato livello di protezione, costituisce un elemento nuovo relativo all’esame di una domanda di protezione internazionale, ai sensi di tale disposizione. Inoltre, detta disposizione non è applicabile a una domanda reiterata, ai sensi dell’articolo 2, lettera q), di tale direttiva, quando l’autorità accertante constata che il rigetto definitivo della domanda anteriore è contrario al diritto dell’Unione. A tale constatazione è necessariamente tenuta detta autorità quando la contrarietà discende da una sentenza della Corte o è stata dichiarata, in via incidentale, da un giudice nazionale.

4)      La direttiva 2008/115 e la direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, devono essere interpretate nel senso che l’obbligo imposto a un cittadino di un paese terzo di soggiornare in modo permanente in una zona di transito avente un perimetro circoscritto e ristretto, all’interno della quale i movimenti di tale cittadino sono limitati e sorvegliati e che lo stesso non può legalmente abbandonare di sua iniziativa, qualunque sia la sua direzione, configura una privazione di libertà, caratteristica di un «trattenimento» ai sensi delle direttive di cui trattasi.

5)      L’articolo 43 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che non autorizza il trattenimento di un richiedente protezione internazionale in una zona di transito per una durata superiore a quattro settimane.

6)      Gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura, e, in terzo luogo, a che non esista alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento di tale richiedente. Per contro, l’articolo 9 di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che non impone che gli Stati membri fissino una durata massima per il mantenimento del trattenimento purché il loro diritto nazionale garantisca che il trattenimento duri solo fintantoché il motivo che lo giustifica permane applicabile e purché gli adempimenti amministrativi inerenti a tale motivo siano espletati con diligenza.

7)      L’articolo 15 della direttiva 2008/115 deve essere interpretato nel senso che osta, in primo luogo, a che un cittadino di un paese terzo sia trattenuto per il solo fatto che è oggetto di una decisione di rimpatrio e che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga una siffatta misura e senza che siano state esaminate la sua necessità e proporzionalità, in terzo luogo, a che non esista alcun controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento e, in quarto luogo, a che tale stesso trattenimento possa oltrepassare i 18 mesi ed essere mantenuto anche se il rimpatrio non è più in corso o se non ha avuto luogo un espletamento diligente delle sue modalità.

8)      Il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale, in mancanza di disposizioni nazionali che prevedano un controllo giurisdizionale della legittimità di una decisione amministrativa che dispone il trattenimento di richiedenti protezione internazionale o di cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo è stata respinta, di dichiararsi competente a pronunciarsi sulla legittimità di un siffatto trattenimento e autorizzano tale giudice a rilasciare immediatamente le persone interessate se lo stesso reputa che tale misura costituisca un trattenimento contrario al diritto dell’Unione.

L’articolo 26 della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che impone che il richiedente protezione internazionale il cui trattenimento, giudicato illegittimo, abbia avuto fine possa far valere, presso il giudice competente in forza del diritto nazionale, il suo diritto a ottenere o un sussidio economico che gli consenta di disporre di un alloggio, o un alloggio in natura, e tale giudice dispone, in forza del diritto dell’Unione, della possibilità di accordare misure provvisorie in attesa della sua decisione definitiva.

Il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale, in mancanza di disposizioni nazionali che prevedano un controllo giurisdizionale del diritto all’alloggio, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2013/33, di dichiararsi competente a conoscere del ricorso diretto a garantire un siffatto diritto.


Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.


i      I punti 39, 41, 42 e 43 del presente testo sono stati oggetto di modifiche di ordine linguistico e/o sintattico, successivamente alla sua pubblicazione iniziale.