Language of document : ECLI:EU:C:2016:808

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MANUEL CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate il 26 ottobre 2016 (1)

Causa C‑448/15

Belgische Staat

contro

Wereldhave Belgium Comm. VA,

Wereldhave International NV,

Wereldhave NV

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio)]

«Società madri e figlie aventi sede in Stati membri diversi – Regime fiscale comune applicabile – Imposta sulle società – Applicazione della direttiva 90/435/CEE – Esenzione dall’imposta sulle società – Libera circolazione dei capitali»





1.        La Corte è nuovamente confrontata con una situazione in cui i dividendi distribuiti da una società figlia (nel caso di specie, belga) alla società madre (olandese) sono soggetti ad una ritenuta alla fonte, a titolo di imposta sui redditi mobiliari, applicata dalle autorità fiscali del Regno del Belgio.

2.        Il primo dubbio sollevato in via pregiudiziale dal giudice a quo riguarda l’interpretazione della direttiva 90/435/CEE (2). Tenuto conto dello status peculiare della società madre nei Paesi Bassi, occorrerà accertare, anzitutto, se la si possa includere tra le «società di uno Stato membro» alle quali si applica detta direttiva (articolo 2).

3.        In caso di risposta affermativa, si pone una questione relativa alla conformità della ritenuta alla fonte con l’articolo 5 della direttiva 90/435, che esenta, in linea di principio, da detta ritenuta gli utili distribuiti da una società figlia alla società madre.

4.        Nell’ipotesi in cui, al contrario, la direttiva 90/435 non fosse applicabile al caso di specie, il giudice del rinvio chiede se la normativa belga che assoggetta ad imposta i dividendi oggetto della controversia sia conforme agli articoli 49 TFUE e 63 TFUE.

I –    Ambito normativo

A –    Diritto dell’Unione.

1.      Direttiva 90/435/CEE

5.        Il primo considerando enuncia quanto segue:

«considerando che i raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari per creare nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per assicurare così l’attuazione ed il buon funzionamento del mercato comune; che queste operazioni non debbono essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri; che occorre quindi instaurare per questi raggruppamenti norme fiscali che siano neutre nei riguardi della concorrenza al fine di permettere alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato comune, di accrescere la loro produttività e di rafforzare la loro posizione concorrenziale sul piano internazionale».

6.        A tenore del terzo considerando:

«considerando che le attuali disposizioni fiscali che disciplinano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro e sono, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro; che la cooperazione tra società di Stati membri diversi viene perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro; che occorre eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario».

7.        L’articolo 2 prevede quanto segue:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, il termine “società di uno Stato membro” designa qualsiasi società:

a)      che abbia una delle forme enumerate nell’allegato;

b)      che, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sia considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato e, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo, non sia considerata come avente tale domicilio fuori della Comunità;

c)      che, inoltre, sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle seguenti imposte:

(…)

–        “vennootschapsbelasting” nei Paesi Bassi,

(…)».

8.        Conformemente all’articolo 3, paragrafo 1:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:

a)      la qualità di società madre è riconosciuta almeno ad ogni società di uno Stato membro che soddisfi alle condizioni di cui all’articolo 2 e che detenga nel capitale di una società di un altro Stato membro che soddisfi alle medesime condizioni una partecipazione minima del 25%;

b)      si intende per “società figlia” la società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata alla lettera a)».

9.        L’articolo 5, paragrafo 1, stabilisce quanto segue:

«Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre, almeno quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia, sono esenti dalla ritenuta alla fonte».

10.      Allegato: Elenco delle società di cui all’articolo 2, lettera a):

«a)      Le società di diritto belga denominate “société anonyme/naamloze vennootschap”, “société en commandite par actions/commanditaire vennootschap op aandelen”, “société privée à responsabilité limitée/besloten vennootschap met beperkte aansprakelijkheid”, nonché gli enti di diritto pubblico che operano in regime di diritto privato;

(…)

j)      le società di diritto olandese denominate “naamloze vennootschap”, “besloten vennootschap met beperkte aansprakelijkheid”;

(…)».

B –    Diritto belga

 Wetboek van de inkomstenbelastingen 1992 (3)

11.      Ai sensi dell’articolo 266:

«Il Re può, alle condizioni e nei limiti che egli stesso stabilisce, rinunziare del tutto o in parte alla riscossione della ritenuta di imposta mobiliare sui redditi da capitale e da beni mobili nonché su altri redditi, purché si tratti di redditi percepiti da beneficiari identificabili o da organismi d’investimento collettivo di diritto estero che costituiscono un patrimonio indiviso gestito da una società di gestione per conto dei partecipanti quando le loro quote non sono oggetto di emissione pubblica in Belgio e non sono messe in commercio in Belgio, o di titoli al portatore i cui redditi rientrano in una delle seguenti categorie:

1.      redditi derivanti da titoli emessi prima del 1o dicembre 1962 esentati per legge da imposta mobiliare o reale o assoggettati ad imposte con un’aliquota inferiore al 15%;

2.      redditi derivanti da certificati di organismi d’investimento collettivo belgi;

3.      premi d’emissione relativi ad obbligazioni, buoni ed altri titoli di prestiti emessi con decorrenza dal 1o dicembre 1962.

In nessun caso il Re può rinunciare alla riscossione della ritenuta d’imposta mobiliare sui redditi (…) di prestiti rappresentati da titoli i cui interessi sono capitalizzati (…); da titoli che non producono un pagamento periodico di interessi e che sono emessi (…) con uno sconto che corrisponde agli interessi capitalizzati sino alla scadenza del titolo (…).

Il secondo paragrafo non si applica a titoli derivanti dalla scomposizione delle “obbligazioni lineari” emesse dallo Stato belga».

 Koninklijk Besluit van 27 augustus 1993 tot uitvoering van het Wetboek van de inkomstenbelastingen 1992 (4)

12.      L’articolo 106, paragrafo 5, così dispone:

«Si rinunzia integralmente alla riscossione della ritenuta di imposta mobiliare per i dividendi il cui debitore è una società figlia belga e il cui beneficiario è una società madre di un altro Stato membro della Comunità economica europea.

La rinunzia [alla riscossione della ritenuta di imposta mobiliare] tuttavia non si applica se le azioni detenute dalla società madre per le quali vengono pagati i dividendi non rappresentano una partecipazione pari almeno al 25% del capitale della società figlia e se siffatta partecipazione minima del 25% non è o non è stata mantenuta per un periodo ininterrotto di almeno un anno.

Ai fini dell’applicazione dei paragrafi 1 e 2, per società figlia e società madre si intendono le società figlie e le società madri come descritte nella direttiva del Consiglio 90/435/CEE, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi».

C –    Convenzione tra il governo belga e il governo olandese diretta ad evitare la doppia imposizione in materia di imposta sul reddito e sul patrimonio e a disciplinare altre questioni in materia fiscale (5)

13.      L’articolo 10 prevede quanto segue:

«1.      I dividendi versati da una società che ha sede in uno Stato a una che ha sede nell’altro Stato sono imponibili in quest’ultimo.

2.      Tuttavia, i dividendi possono essere tassati anche nello Stato in cui è stabilita la società distributrice, ai sensi della sua legislazione, ma l’imposta così stabilita non può eccedere (…) il 5% dell’importo lordo dei dividendi se il percettore è una società per azioni che detiene direttamente almeno il 25% del capitale della società che distribuisce i dividendi (…)».

II – Fatti e questioni pregiudiziali

14.      La Wereldhave Belgium è una società in accomandita per azioni di diritto belga, partecipata dalle società di diritto olandese Wereldhave International e Wereldhave (rispettivamente al 35% e al 45%), la prima delle quali è una società figlia.

15.      La Wereldhave International e la Wereldhave sono organismi d’investimento collettivo (6) in forma di società per azioni (7), che distribuiscono direttamene i loro utili tra gli azionisti e, conformemente al diritto olandese, sono assoggettati all’imposta sulle società (vennootschapsbelasting, nei Paesi Bassi), ma ad «aliquota zero».

16.      Nel 1999 e 2000 la Wereldhave Belgium ha distribuito utili alla Wereldhave International e alla Wereldhave, effettuando la ritenuta su tali redditi mobiliari all’aliquota del 5% (8).

17.      Le suddette società presentavano ciascuna una domanda scritta all’Amministrazione tributaria belga chiedendo l’esenzione dalla ritenuta che era stata loro applicata sui dividendi distribuiti. A tal fine, esse invocavano l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 90/435 e l’articolo 106, paragrafo 5, del RD/CIR 1992, che traspone detta direttiva nel diritto belga.

18.      In mancanza di una decisione espressa dell’Amministrazione belga nei sei mesi successivi, la Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave proponevano un ricorso dinanzi al Rechtbank van eerste aanleg te Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles, Belgio).

19.      Il 20 novembre 2012, il Rechtbank van eerste aanleg te Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles) pronunciava due sentenze nelle quali dichiarava che i dividendi distribuiti negli esercizi 1999 e 2000 dalla Wereldhave Belgium alle società olandesi Wereldhave International e Wereldhave non avrebbero dovuto essere sottoposti a ritenuta di imposta mobiliare e condannavano lo Stato belga a restituire gli importi versati, maggiorati degli interessi.

20.      L’Amministrazione belga impugnava entrambe le sentenze dinanzi allo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio), facendo valere, in sostanza, che i beneficiari dei dividendi erano OIC olandesi che non potevano godere dell’esenzione dalla ritenuta di imposta mobiliare, in quanto non soddisfacevano i requisiti di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva 90/435, in combinato disposto con l’articolo 106, paragrafo 5, del RD/CIR 1992, essendo assoggettati all’imposta ad aliquota zero nei Paesi Bassi.

21.      Dinanzi allo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles), la Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave sostengono che gli OIC in forma di società per azioni sono soggetti in linea di principio all’imposta societaria olandese (articolo 1 della legge olandese sull’imposta societaria del 1969), il che sarebbe sufficiente, a loro avviso, per non essere assoggettati alla ritenuta controversa. Esse invocano l’articolo 266 del CIR 1992, l’articolo 106, paragrafo 5, del RD/CIR 1992, nonché l’articolo 5 della direttiva 90/435 e affermano che l’imposizione cui fa riferimento quest’ultima disposizione non richiede un prelievo effettivo del tributo.

22.      In subordine, nel caso in cui la direttiva 90/435 non fosse applicabile, deducono che le norme giuridiche loro applicate sono in contrasto con gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE, come risulterebbe dall’ordinanza della Corte di giustizia del 12 luglio 2012, Tate & Lyle Investments (C‑384/11, EU:C:2012:463).

23.      In tale contesto, lo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la direttiva del Consiglio 90/435/CEE, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale che non esenta dalla ritenuta mobiliare belga i pagamenti di dividendi effettuati da una società figlia belga ad una società madre stabilita nei Paesi Bassi che soddisfa i requisiti della partecipazione minima e della durata della detenzione, in quanto la società madre olandese è un organismo di investimento collettivo a carattere fiscale che deve distribuire integralmente i suoi profitti agli azionisti e a questa condizione può beneficiare dell’imposizione ad aliquota zero ai fini dell’imposta societaria.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, se gli articoli 49 (già articolo 43) e 63 (già articolo 56) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (come applicabile a seguito della modifica e della nuova numerazione operate dal Trattato di Lisbona) debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad un normativa nazionale che non esenta dalla ritenuta mobiliare belga i pagamenti di dividendi effettuati da una società figlia belga ad una società madre stabilita nei Paesi Bassi che soddisfa i requisiti della partecipazione minima e della durata della detenzione, in quanto la società madre olandese è un organismo di investimento collettivo a carattere fiscale che deve distribuire integralmente i suoi profitti agli azionisti e a questa condizione può beneficiare dell’imposizione ad aliquota zero ai fini dell’imposta societaria».

III – Sintesi delle osservazioni delle parti

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

24.      La Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave sostengono che le entità olandesi sono soggette all’imposta sulle società nei Paesi Bassi e che, sebbene siano assoggettate all’imposta ad aliquota zero, in quanto OIC che distribuiscono i loro dividendi tra gli azionisti, esse soddisfano il requisito di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva 90/435. A sostegno della loro tesi citano varie fonti dottrinali (9) dalle quali deducono che l’assoggettamento non richiede un prelievo effettivo del tributo. Si tratterebbe di una condizione soggettiva che riguarda la società, e non gli utili ottenuti né il loro trattamento fiscale, cosicché l’assoggettamento non sarebbe interessato da un’esenzione totale o parziale dall’imposta. Aggiungono che, secondo la dottrina olandese, gli OIC non sono esentati dall’imposta sulle società, bensì pienamente assoggettati ad essa, ma ad aliquota zero (10).

25.      Secondo dette società sarebbe irrilevante che, in base ai lavori preparatori della direttiva 90/435, gli OIC olandesi esulino dall’ambito di applicazione della stessa: le dichiarazioni del Consiglio sono prive di valore giuridico se non sono state trasposte nelle norme giuridiche approvate, come nel caso di specie (11).

26.      La Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave ritengono, pertanto, che la direttiva 90/435 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una norma di diritto nazionale come quella controversa.

27.      I governi belga, ceco, francese e italiano, nonché la Commissione, condividono, sostanzialmente, la tesi secondo cui la direttiva 90/435 non sarebbe applicabile alla presente controversia, in quanto:

–        il suo articolo 2, lettera c), non richiede solo che la società sia soggetta ad imposta, ma altresì che essa sia oggetto di un’imposizione effettiva, come la Corte avrebbe confermato nella sentenza Aberdeen Property Fininvest Alpha (12);

–        lo scopo della direttiva 90/435 è eliminare la doppia imposizione, il che implica necessariamente che vi sia stata una tassazione effettiva. Ammettere l’esenzione dalla ritenuta alla fonte quando non esiste un effettivo assoggettamento ad imposta nel paese di residenza non sarebbe conforme a tale scopo e potrebbe costituire un mezzo per eludere qualsiasi imposizione. La direttiva 90/435 non è intesa ad essere applicata a qualsiasi distribuzione di dividendi tra società madri e figlie, bensì solamente nei casi ivi previsti, che non includono le situazioni di doppia non imposizione.

28.      Il governo italiano e la Commissione sottolineano, inoltre, che la mancata esenzione (dall’imposta sulle società) cui fa riferimento l’articolo 2, lettera c), della direttiva 90/435 deve essere permanente e non riguardare uno specifico esercizio o una situazione particolare che osti all’insorgenza dell’obbligo di pagare l’imposta.

29.      Quanto al requisito, previsto dalla medesima disposizione, secondo cui l’assoggettamento deve avere luogo «senza possibilità di opzione», il governo italiano sottolinea che l’ordinanza di rinvio non chiarisce se l’applicazione dell’aliquota zero ai due OIC olandesi derivi da una scelta dei suoi organi sociali o dagli stessi atti costitutivi delle società. Esso afferma che il risultato sarebbe lo stesso in entrambi i casi, in quanto non esisterebbe alcuna differenza tra l’esenzione e l’imposizione ad aliquota zero. La Commissione ritiene che la costituzione di un OIC comporti la scelta specifica di sottoporsi a tale regime giuridico e di rispettarne le condizioni.

30.      La Commissione osserva, inoltre, che i lavori preparatori della direttiva 90/435 contengono una dichiarazione che escludeva gli OIC olandesi dal suo ambito di applicazione. Tale dichiarazione, pur essendo priva di valore giuridico intrinseco, chiarisce l’intento del legislatore dell’Unione: con essa si escludevano non solo gli OIC, espressamente, bensì qualsiasi altra società soggetta all’imposta societaria che, tuttavia, fosse esentata dal pagamento della stessa in via permanente. La mancata menzione esplicita degli OIC nel testo finale, sebbene la medesima figuri nei lavori preparatori, si spiegherebbe con il fatto che gli OIC, ove fruiscano dell’esenzione, si collocano già al di fuori dell’ambito di applicazione della direttiva 90/435 in virtù del suo articolo 2, lettera c).

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

31.      Il governo francese non ha presentato osservazioni su questa parte del rinvio. Lo hanno invece fatto i governi italiano e ceco, nonché la Commissione, i quali sostengono che la seconda questione è irricevibile in quanto l’ordinanza di rinvio non illustra il contesto normativo nazionale, né in cosa consisterebbe la disparità di trattamento tra gli OIC residenti in Belgio e quelli non residenti.

32.      La Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave, al contrario, concentrano l’attenzione sull’analisi della normativa belga per affermare che sussiste una disparità di trattamento tra le società residenti e quelle non residenti, poiché queste ultime non possono evitare l’imposizione a catena. Il trattamento sfavorevole delle società non residenti violerebbe il diritto alla libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento.

33.      Secondo il governo belga, nel caso di specie non sarebbero applicabili né l’ordinanza Tate & Lyle Investments (13), citata nell’ordinanza di rinvio, né la sentenza Aberdeen Property Fininvest Alpha (14). Basandosi sulla sua analisi della propria normativa fiscale, esso sostiene che, in Belgio, le società non residenti non sono trattate in modo meno favorevole di quelle residenti. Il confronto tra le imposte applicabili alle società belghe e a quelle olandesi andrebbe effettuato in relazione al regime tributario degli OIC belgi, che godono di un trattamento straordinario, e non a quello delle società belghe soggette alla normativa fiscale comune.

34.      Il governo italiano e la Commissione ritengono, in subordine, che, qualora fosse dimostrata l’esistenza di un trattamento sfavorevole degli OIC non residenti in Belgio, sarebbe applicabile la giurisprudenza di cui all’ordinanza Tate & Lyle Investments (15). In tal caso, risulterebbe violata la libera circolazione dei capitali, pur dovendosi valutare se le restrizioni imposte possano essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale e, anche in questa ipotesi, se esse siano idonee a garantire lo scopo perseguito e non superino i limiti di quanto necessario per raggiungerlo.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

35.      L’ordinanza di rinvio è stata registrata presso la cancelleria della Corte il 19 agosto 2015.

36.      La Wereldhave Belgium, la Wereldhave International, la Wereldhave, i governi belga, ceco, francese e italiano nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Non si è tenuta udienza.

V –    Analisi

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

37.      La direttiva 90/435 è intesa ad evitare la doppia imposizione sulla distribuzione di dividendi tra società madri e figlie aventi sede in Stati membri diversi, che è considerata un ostacolo alla costituzione di imprese o di gruppi di società di dimensione comunitaria. Secondo il primo e il terzo considerando di detta direttiva (16), letti congiuntamente, per agevolare la formazione di tali gruppi di società è necessario che non si mantengano «restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri» che discriminano o «penalizzano» i rapporti tra società madri e figlie che non hanno sede nel medesimo Stato.

38.      La direttiva 90/435 adotta a tal fine due tipi di misure specifiche. Da un lato, prescrive che lo Stato della società madre si astenga dal sottoporre ad imposizione gli utili distribuiti dalla società figlia, o che li sottoponga a imposizione «autorizzando però detta società madre a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta pagata dalla società figlia a fronte dei suddetti utili» (17). Dall’altro, esenta dalla ritenuta alla fonte gli utili o i dividendi distribuiti dalla società figlia alla società madre, purché ricorrano talune circostanze (18). La discussione nel procedimento principale è incentrata su tale seconda disposizione.

39.      Orbene, siffatto «regime comune» (19) non si applica sempre, né a qualsiasi rapporto tra società madri e figlie. La direttiva 90/435 delimita il proprio ambito di applicazione stabilendo (articolo 2) quali «società di uno Stato membro» riguardi. In particolare, essa pone una serie di presupposti imprescindibili di tale qualificazione, tra cui quello che la società «sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle seguenti imposte: (…) vennootschapsbelasting nei Paesi Bassi (…)» [articolo 2, lettera c)].

40.      La controversia trae origine dal fatto che le società madri di cui al procedimento principale sono assoggettate al vennootschapsbelasting ad aliquota zero nei Paesi Bassi. Tale circostanza implica che esse siano «esentate» da detta imposta nel loro Stato di residenza? Se così fosse, l’applicazione dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 90/435 comporterebbe semplicemente che il regime di tale direttiva è estraneo al caso di specie, in quanto detta disposizione richiede non solo che la società sia soggetta all’imposta sulle società, ma altresì che non ne sia esentata (20).

41.      La tesi delle ricorrenti nel procedimento principale è che il mero fatto di essere soggetti passivi dell’imposta soddisfa il requisito controverso. L’assoggettamento non richiede necessariamente il prelievo effettivo dell’imposta e sussiste anche nel caso in cui sia accompagnato da un’esenzione o da un’imposizione ad aliquota ridotta.

42.      L’approccio delle imprese ricorrenti nella presente controversia potrebbe essere valido se l’articolo 2, lettera c), della direttiva 90/435 parlasse solo di assoggettamento. Ma le cose non stanno così: detta disposizione introduce una condizione positiva (l’essere soggetto all’imposta) e una negativa (non fruire di alcuna esenzione), che devono sussistere necessariamente e simultaneamente. È significativo il fatto che gli argomenti di dette imprese si concentrino sull’assoggettamento, dimenticando quasi completamente l’esenzione (21). Quest’ultima implica che, nonostante la sussistenza del fatto generatore (vale a dire, dell’assoggettamento), non è richiesto il pagamento dell’imposta corrispondente, in quanto il legislatore ha ritenuto opportuno esentare dall’obbligo fiscale una specifica categoria di società.

43.      A mio parere, la legge olandese, laddove assoggetta determinate entità (in questo caso gli OIC) all’imposta sulle società e subito dopo dispone, in astratto, che le medesime sono assoggettate ad imposta ad aliquota zero, in realtà concede loro un’esenzione dall’obbligo fiscale e, in tal modo, le sottrae dall’ambito di applicazione della direttiva 90/435.

44.      Ritengo che non vi siano argomenti solidi per contestare tale valutazione. Per definizione, un’«aliquota zero» dell’imposta sulle società equivale alla mancanza assoluta di imposizione, vale a dire, all’esenzione totale dalla stessa. Se si perviene a siffatto risultato per esplicita disposizione di legge, che lo prevede ex ante e in via permanente per una determinata categoria di soggetti, a prescindere dai vantaggi che essi hanno ottenuto, non vedo come si possa negare che si tratti di una vera e propria esenzione da detta imposta, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 90/435.

45.      Un ulteriore ragionamento conferma che le società olandesi implicate nel presente caso sono estranee all’ambito di applicazione della direttiva 90/435. Quest’ultima, come si è già esposto, è intesa ad evitare il doppio prelievo, da parte di due Stati membri, del medesimo tipo di imposta (quella che colpisce gli utili delle società) nell’ambito dei rapporti tra società madri e figlie. Orbene, come hanno osservato le altre parti intervenienti, è proprio per conseguire tale obiettivo che la direttiva 90/435 non si applica alle entità che non sono assoggettate a detta imposta o ne sono esentate. Sia la non imposizione sia l’esenzione totale dei loro redditi (nella fattispecie, mobiliari) neutralizzano il rischio che una società che si trova in una di tali circostanze sia doppiamente tassata a titolo di imposta sulle società, cosicché viene meno l’esigenza di applicare il regime comune previsto dalla direttiva (22).

46.      Nelle sue osservazioni, la Commissione afferma che, nella riunione del Consiglio dell’11 giugno 1990, preliminare all’adozione della direttiva 90/435, su istanza di vari governi, erano state formulate varie dichiarazioni da porre a verbale, con le quali si escludeva espressamente dall’ambito di applicazione di detta direttiva alcune categorie di entità (tra cui gli OIC olandesi) (23). Sebbene tali dichiarazioni siano prive di efficacia vincolante, esse mantengono tuttavia un interesse ermeneutico. Il fatto che, in definitiva, le proposte non siano state incluse nel testo non è dovuto al rigetto del loro contenuto, bensì alla convinzione che i termini di cui all’articolo 2, lettera c), nella parte in cui si riferivano all’esenzione dall’imposta, comprendessero in sé stessi tali esclusioni.

47.      Riassumendo, la direttiva 90/435 non è applicabile a un caso come quello oggetto del procedimento principale, tenuto conto del fatto che le società madri non possono essere qualificate «società di uno Stato membro» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di detta direttiva. Pertanto, non si ravvisa alcun contrasto tra la direttiva e le norme belghe che applicano la ritenuta alla fonte dell’imposta sulle società (all’aliquota del 5%) ai dividendi distribuiti dalla società figlia alle sue società madri.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

48.      La risposta alla prima questione pregiudiziale, tuttavia, non esenta dal risolvere la seconda. Come la Corte ha già dichiarato, tra l’altro, nella sentenza Aberdeen Property Fininvest Alpha (24), in situazioni che non rientrano nell’ambito della direttiva 90/435 (di fronte alle quali «spetta agli Stati membri determinare se, ed in quale misura, la doppia imposizione economica degli utili distribuiti debba essere evitata e introdurre, a tale effetto, in modo unilaterale o mediante convenzioni concluse con altri Stati membri, meccanismi che mirino a prevenire o ad attenuare tale doppia imposizione economica»), non si possono introdurre misure contrarie alle libertà di circolazione garantite dal Trattato. La successiva questione posta dal giudice del rinvio verte precisamente su tale problema.

49.      I governi italiano e ceco, nonché la Commissione, ritengono che la seconda questione pregiudiziale potrebbe essere irricevibile, in quanto nella stessa non sarebbero descritti sufficientemente dal giudice del rinvio i presupposti di fatto e il contesto giuridico della controversia. Il governo francese non ha presentato osservazioni su detta questione.

50.      È vero che la domanda di pronuncia pregiudiziale presenta tale carenza. Da un lato, essa non spiega perché la normativa fiscale belga darebbe luogo a un trattamento sfavorevole delle società non residenti, rispetto a quello delle società residenti, determinando così una violazione delle libertà fondamentali garantite dal TFUE. Dall’altro, soprattutto, non illustra in maniera sufficientemente dettagliata le norme, nazionali e convenzionali, che sarebbero rilevanti per pronunciarsi sull’eventuale violazione delle suddette libertà.

51.      Tali omissioni risultano particolarmente rilevanti se le si esamina alla luce del metodo con cui la Corte ha proceduto, in diverse occasioni, all’analisi di questioni pregiudiziali sollevate in casi analoghi a quello di specie, concernenti il settore della fiscalità diretta. Il suo modo di procedere, per fasi o tappe, è volto a identificare, in un primo momento, la libertà applicabile e l’eventuale restrizione apportata alla stessa. In una seconda fase, la Corte confronta le situazioni in esame per accertare se siano state oggetto di trattamenti diversi, il che richiede un’analisi accurata delle norme interne che li hanno stabiliti. Infine, esamina le eventuali giustificazioni, basate su motivi imperativi di interesse generale, e la proporzionalità della misura nazionale restrittiva della libertà di cui trattasi.

52.      Orbene, per ognuna di tali tappe è indispensabile che la Corte disponga di informazioni sufficienti, fornite dal giudice del rinvio, sul diritto nazionale applicabile, il che non si verifica nel caso di specie. Così, ad esempio, per valutare se nella controversia principale si possa constatare una disparità di trattamento rispetto all’imposta sulle società, il confronto non andrebbe effettuato tra le società residenti in Belgio e quelle non residenti, in generale, bensì tra gli OIC olandesi e le loro omologhe (società di investimenti) belghe, il cui regime giuridico, in particolare, non viene menzionato nell’ordinanza di rinvio.

53.      In detta ordinanza non figurano neppure riferimenti normativi, né in un senso né nell’altro, dai quali si possa dedurre chiaramente se la legislazione fiscale belga preveda meccanismi che consentono di attenuare l’imposizione a catena, o di traslare l’imposta, unicamente alle società di tipo OIC residenti in Belgio, e non alle altre. Il giudice del rinvio, inoltre, non tiene conto della Convenzione per evitare la doppia imposizione conclusa tra il Belgio e i Paesi Bassi, il cui contenuto (25) potrebbe eventualmente neutralizzare o attenuare gli effetti sfavorevoli per le società olandesi presumibilmente derivanti dalla restrizione della libera circolazione dei capitali (articolo 56 TFUE) determinata dalle leggi fiscali belghe (26). Infine, l’ordinanza di rinvio non contiene alcun riferimento alle eventuali giustificazioni per motivi imperativi di interesse generale, né alla mancanza di proporzionalità di tale presunta restrizione.

54.      Va sottolineata in particolare l’insufficienza delle informazioni dell’ordinanza di rinvio, che non può essere compensata dalle mere affermazioni delle parti, per quanto riguarda il regime fiscale applicabile all’epoca dei fatti alle società di investimento belghe, rispetto a quello degli OIC olandesi, sebbene si tratti del fattore decisivo della controversia. A tal riguardo, nelle osservazioni del governo belga e in quelle delle società ricorrenti si riscontrano pareri molto diversi e tale contrasto non può essere risolto dalla Corte, dato che l’identificazione, l’interpretazione e l’applicazione delle norme di diritto interno spettano esclusivamente al giudice nazionale.

55.      In particolare, il governo belga sostiene che, secondo il regime fiscale del suo paese applicabile alle società di investimento residenti, (regime che esula dal diritto comune), la ritenuta alla fonte costituiva un’«imposta definitiva, che non era imputabile all’imposta a carico di dette società né rimborsabile» (27). Detto governo sostiene tale tesi invocando l’articolo 123 del RD/CIR 1992, in combinato disposto con l’articolo 143, paragrafi 1 e 2, della legge del 4 dicembre 1990. E aggiunge che, sebbene il problema sollevato sia analogo a quello da cui ha tratto origine la sentenza del 25 ottobre 2012, Commissione/Belgio (28), il regime fiscale sul quale la Corte si è pronunciata in quell’occasione, relativo alle società di investimento senza sede permanente in Belgio, era diverso da quello applicato ai dividendi distribuiti dalla Wereldhave Belgium alla sua società madre, giacché il primo consentiva di dedurre, o di rimborsare, l’importo trattenuto, cosa che il secondo non consente.

56.      Se tali affermazioni del governo belga corrispondessero alla realtà (circostanza il cui accertamento spetterebbe al giudice a quo), sarebbe comprovato che le società di investimento residenti in Belgio non potevano neutralizzare, in relazione ai redditi mobiliari percepiti, l’imposizione derivante dalla prassi della ritenuta su tali redditi. In altri termini, sarebbe dimostrato che gli OIC olandesi e le società di investimento belghe sono sottoposte, in Belgio, al medesimo trattamento fiscale per quanto riguarda la ritenuta alla fonte dell’imposta sulle società. Né le une né le altre sarebbero esentate dall’imposta, dato il suo carattere definitivo e non rimborsabile, il che escluderebbe la discriminazione nei confronti delle prime.

57.      Supponendo che sia così, insisto, non sussisterebbe incompatibilità con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE delle norme nazionali che applicano la ritenuta alla fonte alle società di investimento. La Corte ha già dichiarato, proprio in relazione al Regno del Belgio (29), che non si può esigere che lo Stato di residenza della società distributrice «garantisca che gli utili pagati a un azionista non residente non siano colpiti da un’imposizione a catena o da una doppia imposizione economica, che ciò avvenga esentando tali utili dall’imposta in capo alla società distributrice o concedendo al detto azionista un’agevolazione fiscale corrispondente all’imposta versata su tali utili da parte della società distributrice». La Corte ha aggiunto che siffatta esigenza comporterebbe «che detto Stato debba rinunciare al suo diritto di assoggettare ad imposta un reddito generato da un’attività economica esercitata sul suo territorio» (30).

58.      Potrebbe accadere, tuttavia, che la legislazione applicata nel caso di specie alle società di investimento non corrisponda esattamente alla versione della stessa fornita dal Regno del Belgio nelle sue osservazioni. Se il giudice del rinvio avesse tenuto conto di tale legislazione, l’analisi del suo contenuto avrebbe potuto indurlo, in teoria, a ritenere che le normative coordinate vigenti negli esercizi 2009 e 2010 non siano diverse da quelle esaminate dalla Corte nell’ordinanza del 12 luglio 2012, Tate & Lyle Investments (31), o nella sentenza del 25 ottobre 2012, Commissione/Belgio (32), entrambe anteriori alla decisione di rinvio e specificamente riguardanti le norme fiscali belghe che disciplinano l’imposta sulle società.

59.      In tali circostanze, non si può chiedere alla Corte di dirimere la controversia (tra la Wereldhave e il governo belga) su quale sia, in realtà, l’ambito normativo interno sulla cui base occorre confrontare i regimi fiscali applicabili agli OIC olandesi e alle società di investimento belghe. Si tratta di un obbligo incombente al giudice che ha sollevato la questione pregiudiziale e la Corte non può adempierlo in sua vece, né basarsi su congetture per fornire una risposta pregiudiziale soddisfacente.

60.      In tale contesto, ritengo che non vi sia altra soluzione se non dichiarare irricevibile la seconda questione pregiudiziale, in quanto non rispondente ai requisiti minimi di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte.

61.      Qualora la Corte decidesse di esaminare comunque il merito della questione e di valutare se il trattamento fiscale degli OIC olandesi fosse più sfavorevole, per quanto riguarda la ritenuta alla fonte dell’imposta sui dividendi, rispetto a quello di cui godevano le società di investimento belghe, temo che non potrebbe fare altro che ribadire in termini molto generali la sua precedente giurisprudenza in materia o rinviare, in particolare, all’ordinanza del 12 luglio 2012, Tate & Lyle Investments (C‑384/11, EU:C:2012:463) (33), adeguandone il contenuto al caso in esame.

62.      Infatti, analogamente a quanto accaduto nella causa Tate & Lyle Investments (34), il governo belga avrebbe scelto di esercitare la sua competenza fiscale sui dividendi distribuiti da società residenti in Belgio a società residenti in altri Stati membri. Di conseguenza, le società beneficiarie non residenti si trovano in una situazione equivalente a quella delle società residenti per quanto riguarda il rischio di imposizione a catena dei dividendi distribuiti, cosicché devono poter beneficiare al riguardo di un trattamento equivalente a quello concesso alle società residenti (35).

63.      Nella stessa linea, la Corte dovrebbe segnalare al giudice del rinvio che un trattamento sfavorevole potrebbe dissuadere le società residenti in un altro Stato membro dall’effettuare investimenti in Belgio e costituisce, pertanto, una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata, in linea di principio, dall’articolo 63 TFUE (36).

64.      Orbene, poiché non si può escludere che uno Stato membro possa garantire il rispetto dei suoi obblighi risultanti dal Trattato concludendo una convenzione con un altro Stato membro diretta ad evitare la doppia imposizione e la cui applicazione consenta di compensare gli effetti della disparità di trattamento determinata dalla legislazione nazionale (37), il giudice a quo dovrebbe valutare l’incidenza della Convenzione sulla doppia imposizione tra il Belgio e i Paesi Bassi, cui si è fatto riferimento, e stabilire se essa garantisca che le società non residenti ricevano un trattamento equivalente a quello delle società residenti secondo il diritto belga.

65.      Coerentemente con le decisioni già adottate in questa materia, la Corte dovrebbe, infine, rammentare al giudice del rinvio che, qualora ritenesse sussistente il trattamento sfavorevole delle società non residenti, sebbene la tassazione sia attenuata dall’applicazione della Convenzione sulla doppia imposizione, dovrebbe valutare se siffatto regime sia giustificato da motivi imperativi di interesse generale (38). Anche in presenza di tali motivi, detto giudice dovrebbe infine accertare se le misure nazionali restrittive della libertà di circolazione dei capitali siano idonee a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per raggiungerlo, analogamente a quanto stabilito nella sentenza del 25 ottobre 2012, Commissione/Belgio (39).

VI – Conclusione

66.      Sulla scorta delle suesposte riflessioni, suggerisco alla Corte di dichiarare irricevibile la seconda questione pregiudiziale posta dallo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio) e di rispondere come segue alla prima questione:

«La direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, non è applicabile a una controversia vertente sulla ritenuta alla fonte applicata in Belgio agli utili distribuiti da una società figlia alla società madre, qualora quest’ultima sia un organo olandese di investimento collettivo assoggettato all’imposta ad aliquota zero sulle società».


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Direttiva del Consiglio del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 6), sostituita dalla direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011 (GU 2011, L 345, pag. 8).


3–      Codice delle imposte sui redditi del 1992 (in prosieguo: il «CIR 1992»).


4 – Regio decreto del 27 agosto 1993, che dà attuazione al Codice delle imposte sul reddito del 1992 (in prosieguo: il «RD/CIR 1992»).


5 – Firmata a Bruxelles il 19 ottobre 1970 (in prosieguo: la «Convenzione sulla doppia imposizione»).


6 – In prosieguo: gli «OIC».


7 – «Naamloze vennootschap».


8 – L’aliquota applicata è prevista dalla Convenzione sulla doppia imposizione tra il Belgio e i Paesi Bassi.


9 – De Broe, L., e De Boeck, R.: «De moeder-dochterriichtlijn: Europese fiscale piecemeal engineering op weg naar harmonie» en Europees Belastingrecht, Peeters, B. (ed.), Larcier, Gand, 2005, pag. 362; Jansen, T. e De Vos, P., Handboek internationaal en Europees belastingrecht, Intersentia, Amberes, 2008, pag. 269; Lagae, J.P., «Les revenus d’actions et de parts de sociétés belges et étrangères», in Le régime fiscal des sociétés en Belgique, Ed. du Jeune Barreau, Bruxelles, 1990, pag. 116; Van Crombrugge, S., Beginselen van de vennootschapsbelasting, Kluwer, Amberes, 2008, pag. 54, e Van Crombrugge, S., Beginselen van de vennootschapsbelasting, Kluwer, Amberes, 1997, pag. 48.


10 – Marres, O.C.R., e Wattel, P.J., Dividendbelasting, Kluwer, Deventer, 2011, pagg. 216 e 217.


11 – Esse invocano la sentenza del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 29).


12 – Sentenza del 18 giugno 2009 (C‑303/07, EU:C:2009:377).


13 – Ordinanza del 12 luglio 2012 (C‑384/11, EU:C:2012:463).


14 – Sentenza del 18 giugno 2009 (C‑303/07, EU:C:2009:377).


15 – Ordinanza del 12 luglio 2012 (C‑384/11, EU:C:2012:463).


16 – Trascritti ai paragrafi 5 e 6 delle presenti conclusioni.


17 – Articolo 4.


18 – Articolo 5. Nell’ordinanza di rinvio non viene messo in discussione l’adempimento di quanto stabilito da detta disposizione.


19 – Così lo definisce il terzo considerando, ultima frase, della direttiva 90/435.


20 – La differenza tra «assoggettamento» ed «esenzione» dall’obbligazione tributaria principale (vale a dire, dal pagamento del debito tributario) consiste, in sintesi, nel fatto che nei casi di non assoggettamento non ha luogo il fatto imponibile, mentre in quelli di esenzione sì. In questi ultimi, l’obbligazione tributaria principale in teoria è sorta, ma il soggetto passivo è esentato per legge, totalmente o parzialmente, dal suo pagamento, che, in definitiva, non è esigibile. Se in alcuni ordinamenti nazionali non si pongono problemi terminologici né di dogmatica giuridica ad accettare siffatta distinzione, in altri non esiste la medesima chiarezza concettuale. Nelle loro osservazioni, alcune delle parti definiscono l’assoggettamento come «assoggettamento soggettivo» e la non esenzione come «assoggettamento oggettivo». Altre fanno riferimento alle espressioni «assoggettamento in astratto» e «assoggettamento in concreto». Altre ancora, infine, collegano la «non esenzione» all’idea di «effettività», utilizzando espressioni quali «assoggettamento effettivo» o «effettivamente assoggettata».


21 – Dette società rilevano che, applicando in uno specifico esercizio fiscale le norme per il calcolo dell’imposta, comprese le riduzioni di base imponibile e le detrazioni, l’importo dell’imposta potrebbe essere pari a zero (o negativo), senza che ciò incida sull’imposizione. Tuttavia, ritengo che la direttiva, laddove contempla l’esenzione, non si riferisca alla determinazione del debito tributario in ciascun esercizio, bensì alle norme generali che disciplinano tale istituto nell’ambito della legge relativa all’imposta sulla società.


22 – Il governo della Repubblica ceca lo ha affermato chiaramente nelle sue osservazioni: l’esistenza di un’imposizione effettiva è una condizione imprescindibile perché possa sussistere doppia imposizione. Ammettere l’esenzione dalla ritenuta alla fonte in mancanza di un’imposizione effettiva nel paese di residenza non servirebbe allo scopo di evitare la doppia imposizione.


23 – Il testo della dichiarazione, nella parte concernente le società dei Paesi Bassi, era il seguente: «Il Consiglio e la Commissione convengono che le società di investimento olandesi, ai sensi dell’articolo 28 della legge relativa all’imposta sulle società del 1969, non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva». Dichiarazioni analoghe del Consiglio e della Commissione figurano nel verbale: a) per talune società di investimento tedesche; b) per le società spagnole rientranti nel regime di «trasparenza fiscale», e c) per le società portoghesi che «in linea di principio sono assoggettate all’imposta sulle società ma, al contempo, sono esenti dalla stessa e i cui utili sono imputati ai soci».


24 – Sentenza del 18 giugno 2009 (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 28).


25 – Il governo belga ha invocato, nelle sue osservazioni, l’articolo 10 della Convenzione sulla doppia imposizione, il cui contenuto è stato trascritto al paragrafo 13 delle presenti conclusioni. In virtù di tale norma convenzionale, la doppia imposizione derivante dalla ritenuta applicata viene attenuata, in Belgio, fissando un limite percentuale pari al 5% dell’«importo lordo dei dividendi se il percettore è una società per azioni che detiene direttamente almeno il 25% del capitale della società che distribuisce i dividendi». Le società ricorrenti nel procedimento principale negano, tuttavia, che l’applicazione di detta convenzione consenta di compensare la disparità di trattamento risultante dalla legislazione belga, in quanto l’importo della ritenuta alla fonte (il menzionato 5%) si trasforma in un’imposta definitiva, non deducibile dagli OIC nei Paesi Bassi.


26 – Sebbene il giudice a quo (che a tale proposito segue la proposta di questione pregiudiziale suggerita dalle parti, senza aggiungere una propria analisi) si riferisca sia all’articolo 49 TFUE che all’articolo 56 TFUE, ritengo che il contesto appropriato ai fini dell’analisi sia quello della libertà di circolazione dei capitali. Tuttavia, non escludo che la libertà di stabilimento possa, per ipotesi, essere interessata, dato che la restrizione riguarderebbe la capacità dell’azionista di esercitare un’effettiva influenza sulle decisioni della società e di determinare le sue attività. Qualora tale capacità non sussistesse (il che non sembra accadere nel caso di specie, posto che la Wereldhave Belgium è partecipata dalla Wereldhave International e dalla Wereldhave rispettivamente al 35% e al 45%), sarebbe applicabile esclusivamente l’articolo 56 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 38).


27 – Punto 41 delle sue osservazioni scritte.


28–      C‑387/11, EU:C:2012:670. In detta sentenza, la Corte ha dichiarato che il Regno del Belgio, «mantenendo norme diverse riguardo all’assoggettamento ad imposta dei redditi da capitali e da beni mobili a seconda che essi siano percepiti da società d’investimento residenti o da società d’investimento non residenti che non hanno un centro di attività stabile in Belgio, [era] venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 49 TFUE».


29 – Sentenza del 25 ottobre 2012, Commissione/Belgio (C‑387/11, EU:C:2012:670, punto 78), che richiama le sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (C‑374/04, EU:C:2006:773, punto 59); del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C‑182/08, EU:C:2011:670, punto 83), e del 20 ottobre 2011, Commissione/Germania (C‑284/09, EU:C:2011:670, punto 80).


30 – Il medesimo ragionamento figura nell’ordinanza della Corte del 12 luglio 2012, Tate & Lyle Investments (C‑384/11, EU:C:2012:463, punto 30), sempre in relazione alle norme fiscali concernenti la ritenuta alla fonte dei dividendi distribuiti da una società figlia residente in Belgio alla società madre, non residente in tale paese.


31 – Ordinanza del 12 luglio 2012, Tate & Lyle Investments (C‑384/11, EU:C:2012:463, punti da 3 a 9).


32 – C‑387/11, EU:C:2012:670.


33 – Aggiungo incidentalmente che, in quell’occasione, la Corte ha risposto mediante ordinanza, e non con sentenza, al giudice del rinvio, ritenendo che si trattasse di una «questione pregiudiziale (…) identica ad una questione sulla quale la Corte ha già statuito, o [che] la soluzione di tale questione po[tesse] essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza» (punto 17 di detta ordinanza).


34 – Ordinanza del 12 luglio 2012 (C‑384/11, EU:C:2012:463).


35 – Ibidem, punto 33.


36 – Ibidem, punto 36.


37 – Ibidem, punti 36 e 37.


38 – Ibidem, punto 45.


39 – C‑387/11, EU:C:2012:670, punto 74.