CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE
presentate il 27 ottobre 2016 (1)
Causa C‑406/15
Petya Milkova
contro
Izpalnitelen direktor Agentsiata za privatizatsia i sledprivatizatsionen kontrol
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria)]
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Normativa nazionale che accorda una tutela speciale ai lavoratori disabili in caso di licenziamento – Mancanza di norme analoghe a favore dei pubblici impiegati disabili – Ammissibilità – Direttiva 2000/78/CE – Articoli 4 e 7 – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – Articolo 5, paragrafo 2 – Estensione delle norme nazionali di tutela ai pubblici impiegati disabili»
I – Introduzione
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria) verte sull’interpretazione della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (2), e in particolare dei suoi articoli 4 e 7, nonché sull’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (in prosieguo: la «Convenzione dell’ONU sulla disabilità») (3).
2. Tale domanda fa seguito a un ricorso proposto dalla sig.ra Petya Milkova contro una decisione che ha comportato la risoluzione del suo rapporto di lavoro, fondata sulla soppressione del posto che l’interessata, portatrice di una disabilità, occupava in qualità di pubblica impiegata. Ella contesta all’amministrazione presso la quale era occupata di non avere applicato in suo favore la normativa bulgara che accorda una particolare tutela a talune categorie di persone malate in caso di licenziamento, ma solo quando si tratti di lavoratori subordinati.
3. Il giudice del rinvio chiede alla Corte se una normativa nazionale di questo tipo sia compatibile con le menzionate disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità e della direttiva 2000/78. In caso di risposta negativa, detto giudice chiede se l’obbligo di rispettare questi due strumenti, incombente a uno Stato membro, implichi che, in una situazione come quella oggetto della controversia principale, il beneficio delle norme nazionali che tutelano esclusivamente taluni lavoratori subordinati disabili (4) debba estendersi ai pubblici impiegati portatori dello stesso tipo di disabilità.
4. Preciso subito che, a mio avviso, tale situazione non rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/78, di cui pertanto non occorrerà interpretare le disposizioni nella presente causa, neppure alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità. Nondimeno, svolgerò alcune osservazioni a tale riguardo, in via subordinata.
II – Contesto normativo
A – Diritto internazionale
5. La Convenzione dell’ONU sulla disabilità è stata approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2010/48/CE del Consiglio (5) ed è stata ratificata nel 2012 dalla Repubblica di Bulgaria (6).
6. Ai sensi del suo articolo 1, primo comma, lo scopo di detta Convenzione «è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità». Il secondo comma del medesimo articolo definisce le persone con disabilità come «coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».
7. L’articolo 4 della Convenzione ONU sulla disabilità, intitolato «Obblighi generali», enuncia al paragrafo 1 che «[g]li Stati parti si impegnano a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità. (…)».
8. Ai sensi dell’articolo 5 di tale Convenzione, intitolato «Uguaglianza e non discriminazione»:
«1. Gli Stati parti riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge.
2. Gli Stati parti vietano ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantiscono alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento.
(…)».
9. L’articolo 27 di detta Convenzione, intitolato «Lavoro e occupazione», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile alle persone con disabilità. Gli Stati parti garantiscono e favoriscono l’esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, prendendo appropriate iniziative, anche legislative, in particolare al fine di:
a) vietare la discriminazione fondata sulla disabilità per tutto ciò che concerne il lavoro in ogni forma di occupazione, in particolare per quanto riguarda le condizioni di reclutamento, assunzione e impiego, la continuità dell’impiego, l’avanzamento di carriera e le condizioni di sicurezza e di igiene sul lavoro.
(…)».
B – Diritto dell’Unione
10. A termini del considerando 27 della direttiva 2000/78: «[n]ella sua raccomandazione 86/379/CEE del 24 luglio 1986 concernente l’occupazione dei disabili nella Comunità [(7)], il Consiglio ha definito un quadro orientativo in cui si elencano alcuni esempi di azioni positive intese a promuovere l’occupazione e la formazione di portatori di handicap, e nella sua risoluzione del 17 giugno 1999 relativa alle pari opportunità di lavoro per i disabili [(8)], ha affermato l’importanza di prestare un’attenzione particolare segnatamente all’assunzione e alla permanenza sul posto di lavoro del personale e alla formazione e all’apprendimento permanente dei disabili».
11. Conformemente al suo articolo 1, detta direttiva «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
12. L’articolo 2 della direttiva 2000/78, intitolato «Nozione di discriminazione», enuncia al paragrafo 1 che, ai fini di tale direttiva, «per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1». Il paragrafo 2 dello stesso articolo definisce le nozioni di «discriminazione diretta» e «discriminazione indiretta» ai sensi di detta direttiva.
13. L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Campo d’applicazione», prevede, al paragrafo 1, lettera c), che essa si applica, «[n]ei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, (…) a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».
14. L’articolo 4 di tale direttiva è intitolato «Requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa» e dispone al paragrafo 1 che, «[f]atto salvo l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato».
15. L’articolo 7 della direttiva 2000/78, intitolato «Azione positiva e misure specifiche», è così redatto:
«1. Allo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Quanto ai disabili, il principio della parità di trattamento non pregiudica il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro né alle misure intese a creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di salvaguardare o promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro».
C – Diritto bulgaro
1. Il Kodeks na truda (codice del lavoro)
16. Ai sensi dell’articolo 328, paragrafo 1, punto 2, del Kodeks na truda (codice del lavoro) (9), «[i]l datore di lavoro può risolvere il contratto di lavoro mediante preavviso di licenziamento in forma scritta inviato al lavoratore o all’impiegato nel rispetto dei termini previsti dall’articolo 326, paragrafo 2, (…) in caso di (…) riduzione del personale».
17. L’articolo 333, intitolato «Tutela in caso di licenziamento», di detto codice prevede al paragrafo 1, punto 3, che, «[n]elle ipotesi di cui all’articolo 328, paragrafo 1, punti 2, 3, 5 e 11 (…), il datore di lavoro può risolvere il contratto di lavoro solo con il previo consenso dell’Inspektsiata po truda [autorità per le ispezioni sul lavoro] nei seguenti casi:
(…)
3. [nel caso di] un lavoratore o impiegato, che soffre di una malattia definita da un regolamento del Ministro per la Salute».
2. La naredba n. 5/1987 (regolamento n. 5/1987)
18. Ai sensi dell’articolo 1 della naredba n. 5/1987 za bolestite, pri koito rabotnitsite, boleduvashti ot tyah, imat osobena zakrila saglasno chl. 333, al. 1, ot kodeksa na trud, izdadena ot Ministerstvoto na narodnoto zdrave i Tsentralniyat savet na balgarskite profesionalni sayrééduzi (regolamento n. 5/1987 sulle malattie per le quali i lavoratori che ne soffrono godono di una particolare tutela in applicazione dell’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro, adottato dal Ministero della Salute nazionale e dal Consiglio centrale dei sindacati bulgari) (10):
«In caso di scioglimento parziale, licenziamento del personale o sospensione del lavoro per più di trenta giorni, l’impresa può licenziare solo previo consenso del competente ispettorato distrettuale per la sicurezza sui luoghi di lavoro i lavoratori che soffrono di una delle seguenti malattie»: la «cardiopatia ischemica», la «forma attiva di tubercolosi», la «patologia tumorale», la «malattia professionale», la «malattia psichiatrica» e il «diabete».
3. Lo Zakon za administratsiata (legge sull’amministrazione)
19. L’articolo 12 dello Zakon za administratsiata (legge sull’amministrazione) (11) è così formulato:
«1. L’attività dell’amministrazione è svolta da pubblici impiegati e lavoratori subordinati.
2. Il sistema delle assunzioni e lo statuto dei pubblici impiegati sono stabiliti per legge.
3. Gli impiegati nell’amministrazione in forza di un contratto di lavoro sono assunti conformemente alle norme del codice del lavoro».
4. Lo Zakon za darzhavnia sluzhitel (legge sul pubblico impiego)
20. Ai sensi dell’articolo 1 dello Zakon za darzhavnia sluzhitel (legge sul pubblico impiego) (12), detta legge disciplina «il contenuto e la cessazione del rapporto di impiego tra lo Stato e il pubblico impiegato all’atto e in occasione dello svolgimento delle funzioni, purché non sia altrimenti disposto in una legge speciale».
21. L’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, di detta legge stabilisce che «l’autorità avente il potere di nomina può porre fine al rapporto di impiego mediante licenziamento, previo preavviso di un mese, (…) in caso di riduzione del personale».
5. Lo Zakon za zashtita ot diskriminatsia (legge sulla tutela contro le discriminazioni)
22. Secondo la decisione di rinvio, lo Zakon za zashtita ot diskriminatsia (legge sulla tutela contro le discriminazioni) (13) è l’atto normativo che disciplina la tutela contro tutte le forme di discriminazione e contribuisce alla loro eliminazione trasponendo le direttive comunitarie in materia di parità di trattamento.
23. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di detta legge, «[è] vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata (…) [su]gli handicap (…), ovvero [su] ogni altra caratteristica stabilita da una legge o da un trattato internazionale, di cui sia parte la Repubblica di Bulgaria».
24. L’articolo 21 della medesima legge prevede che, «[n]ell’esercizio del suo diritto alla risoluzione unilaterale del contratto di lavoro di cui agli articoli 328, paragrafo 1, punti da 2 a 5, 10 e 11, e 329 del codice del lavoro, oppure del rapporto di impiego ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 1, punti 2, 3 e 5, della legge sul pubblico impiego, il datore di lavoro applica criteri uniformi, indipendentemente dalle caratteristiche personali di cui all’articolo 4, paragrafo 1».
III – Controversia principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
25. La sig.ra Milkova è affetta da una patologia psichiatrica che comporta un’invalidità del 50%.
26. Dal 10 ottobre 2012 ella lavorava in qualità di pubblico impiegato presso un’amministrazione bulgara, la Agentsia za privatizatsia i sledprivatizatsionen kontrol (Agenzia per la privatizzazione e il controllo postprivatizzazione; in prosieguo: l’«Agenzia»).
27. Poiché il numero dei membri del personale dell’Agenzia era stato ridotto da 105 a 65 unità, con lettera di preavviso veniva comunicato alla sig.ra Milkova che il suo rapporto di impiego sarebbe cessato alla scadenza di un termine di un mese a causa della soppressione del posto da lei occupato. La cessazione del rapporto di impiego diventava effettiva il 1o marzo 2014 a seguito di un provvedimento del direttore generale dell’Agenzia fondato sull’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, della legge sul pubblico impiego.
28. La sig.ra Milkova impugnava detta decisione dinanzi all’Administrativen sad Sofia‑grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria), sostenendo che l’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, del codice del lavoro bulgaro era applicabile alla sua situazione, cosicché si sarebbe dovuta chiedere la previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro prima di poter procedere alla cessazione del suo rapporto di impiego. Il direttore generale dell’Agenzia sosteneva a propria difesa che detta autorizzazione non era necessaria e che la decisione controversa era quindi legittima.
29. Il giudice di primo grado respingeva il ricorso in ragione del fatto che la sig.ra Milkova, pur essendo portatrice di disabilità, non poteva beneficiare della speciale tutela di cui all’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, del codice del lavoro, poiché detta disposizione non era applicabile alla cessazione del rapporto di lavoro di un pubblico impiegato.
30. La sig.ra Milkova ha adito il giudice del rinvio con un ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Ritenendo che, per risolvere la controversia principale, occorresse un’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione, con decisione del 16 luglio 2015, pervenuta alla Corte il 24 luglio 2015, il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 5, [paragrafo] 2, della Convenzione [dell’ONU sulla disabilità] consenta agli Stati membri di stabilire per legge una specifica tutela preventiva contro il licenziamento solo nel caso di disabili che sono lavoratori subordinati, ma non nel caso di pubblici impiegati con le medesime disabilità.
2) Se l’articolo 4 e le altre disposizioni della direttiva [2000/78] non ostino ad una normativa nazionale che garantisce una specifica tutela preventiva contro il licenziamento esclusivamente a disabili che siano lavoratori subordinati, ma non anche a favore di pubblici impiegati con le medesime disabilità.
3) Se l’articolo 7 della direttiva 2000/78 consenta che una specifica tutela preventiva contro il licenziamento sia prevista solo a favore di disabili che siano lavoratori subordinati ma non anche di pubblici impiegati con le medesime disabilità.
4) In caso di risposta negativa alla prima e alla terza questione: se, sulla scorta dei fatti e delle circostanze che caratterizzano la presente causa, il rispetto delle norme di diritto internazionale e [dell’Unione] esiga che la specifica tutela preventiva contro il licenziamento prevista dal legislatore nazionale per i disabili che siano lavoratori subordinati debba essere applicata anche ai pubblici impiegati con le medesime disabilità».
31. Il governo bulgaro e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. Con lettera del 27 maggio 2016, gli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia sono stati invitati a rispondere per iscritto a taluni quesiti posti dalla Corte. La sig.ra Milkova, il governo bulgaro e la Commissione hanno presentato osservazioni complementari in risposta a tali quesiti. Non si è svolta udienza.
IV – Analisi
A – Osservazioni preliminari
1. Sul tenore e la portata delle norme di diritto bulgaro pertinenti
32. Nella motivazione della sua decisione, il giudice del rinvio sottolinea il fatto che il sistema di diritto bulgaro garantisce, per principio, la tutela delle persone con disabilità ed esclude qualsiasi discriminazione fondata sulla disabilità (14), ma, in pratica, gli unici meccanismi che funzionano concretamente riguardano solo una cerchia ristretta di persone con disabilità, e non tutte queste ultime allo stesso modo.
33. Dall’articolo 12, paragrafi da 1 a 3, della legge sull’amministrazione risulta che le funzioni amministrative espletate dall’ente pubblico presso cui la sig.ra Milkova era occupata prima della cessazione del suo rapporto di lavoro possono essere affidate sia a pubblici impiegati sia ad agenti a contratto, aventi la qualità di lavoratori subordinati soggetti all’applicazione del codice del lavoro.
34. È altresì pacifico che la malattia psichiatrica di cui soffre la sig.ra Milkova rientra tra le patologie elencate all’articolo 1 del regolamento n. 5/1987 sulle malattie per le quali gli impiegati che ne soffrono godono di una particolare tutela ai sensi dell’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro. Ella avrebbe quindi beneficiato di tale tutela qualora fosse stata occupata presso l’Agenzia in qualità di lavoratrice subordinata, e non di pubblica impiegata.
35. Ai sensi di detto articolo 333, in combinato disposto con l’articolo 328, paragrafo 1, punto 2, del medesimo codice, per poter licenziare un lavoratore subordinato portatore di un certo tipo disabilità a motivo della soppressione del suo posto di lavoro, il datore di lavoro deve chiedere la previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, che è incaricato di valutare le ripercussioni del licenziamento previsto sulla stato di salute dell’interessato e, se del caso, vietarlo (15).
36. Il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) precisa che la legge sul pubblico impiego non prevede un dispositivo analogo per i pubblici impiegati disabili e che neppure la giurisprudenza nazionale consente alla sig.ra Milkova di beneficiare di detta tutela preventiva. Secondo tale giurisprudenza costante, poiché la legge citata non rinvia espressamente all’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro, un pubblico impiegato non può beneficiare delle misure di tutela previste da quest’ultimo, nemmeno per analogia.
37. Il giudice del rinvio osserva che alla tutela supplementare garantita da tale codice, a partire dal 1987, a tutte le persone con un determinato tipo di disabilità, sono stati sottratti, per effetto dell’adozione della legge sul pubblico impiego del 1999, i pubblici impiegati, senza un’espressa motivazione da parte del proponente della legge. Siffatta tutela è stata invece mantenuta per tutti i lavoratori subordinati, compresi quelli che esercitano la loro attività nell’ambito di una pubblica amministrazione, e tale situazione giuridica è perdurata dopo l’adesione della Repubblica di Bulgaria all’Unione, sopravvenuta il 1o gennaio 2007.
38. Pertanto, il criterio fondante della differenza di trattamento controversa, tra persone portatrici della medesima disabilità, consiste nel possesso dello status di pubblico impiegato o della qualità di lavoratore subordinato, dato che tutti i titolari di un contratto di lavoro possono beneficiare della misura di tutela in questione, a prescindere dalla circostanza che siano occupati presso un ente pubblico o presso un ente privato. Sottolineo che, a tale proposito, le memorie della Commissione possono indurre in confusione laddove indicano che la differenziazione si basa sulla circostanza che le suddette persone lavorino nel settore pubblico o in quello privato (16).
39. Il giudice del rinvio aggiunge che la legge sulla tutela contro le discriminazioni, adottata per trasporre le direttive comunitarie che disciplinano tale materia (17), fornisce un argomento a sostegno del trattamento differenziato, a seconda che il datore di lavoro sia un soggetto pubblico o privato, in caso di cessazione del rapporto di lavoro fondato sulla soppressione del posto occupato dalla persona con disabilità. A tal riguardo, detto giudice rileva che l’articolo 21 della legge citata mantiene distinte queste due ipotesi, nonostante il requisito comune secondo cui il datore di lavoro deve applicare criteri identici quando esercita il proprio diritto di risolvere unilateralmente il contratto o rapporto di lavoro con una di tali persone.
40. Il giudice a quo afferma di ignorare in quale misura le disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e della direttiva 2000/78, che, a suo parere, hanno posto condizioni comuni riguardo alla parità di trattamento di tutte le persone con disabilità, autorizzino il mantenimento in Bulgaria di siffatta situazione giuridica, dalla quale risulta un trattamento differenziato tra due categorie di lavoratori vulnerabili che, tuttavia, si trovano in un’analoga situazione di cessazione del loro rapporto di lavoro.
2. Sull’oggetto e l’ordine di trattazione delle questioni pregiudiziali
41. Sebbene il giudice del rinvio interroghi la Corte anzitutto in merito all’eventuale incidenza sul caso di specie dell’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, mi sembra più opportuno, come suggerito dalla Commissione, risolvere tale questione solo dopo aver esaminato la duplice problematica dell’applicabilità e dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/78, che costituisce l’oggetto comune della seconda e della terza questione pregiudiziale.
42. Infatti, la prima questione pregiudiziale deve essere intesa nel senso che verte, in sostanza, sull’eventuale interpretazione della direttiva 2000/78 alla luce di detta Convenzione, ed è pertinente solo se tale direttiva risulta effettivamente applicabile, circostanza che a mio avviso non ricorre, per i motivi che esporrò nel prosieguo.
43. Infine, rilevo che la quarta questione pregiudiziale, che è introdotta da una formula condizionale, ha carattere subordinato rispetto a quelle precedenti e non occorrerà risolverla, tenuto conto delle risposte che a mio parere occorre dare a queste ultime.
B – Sull’interpretazione richiesta delle disposizioni della direttiva 2000/78 (questioni seconda e terza)
1. Sull’inapplicabilità della direttiva 2000/78 nel caso di specie
44. La seconda e la terza questione pregiudiziale vertono entrambe sul punto se le disposizioni della direttiva 2000/78, e più precisamente i suoi articoli 4 e 7, consentano a uno Stato membro di adottare una normativa, quale la legislazione bulgara oggetto del procedimento principale, che conferisce ai lavoratori subordinati che soffrono di determinate patologie una speciale tutela preventiva in caso di licenziamento, ma non si applica ai pubblici impiegati portatori degli stessi tipi di disabilità.
45. È quindi opportuno esaminare tali questioni congiuntamente, verificando anzitutto se la direttiva 2000/78 possa trovare applicazione in circostanze come quelle della controversia principale.
46. È vero che, come rilevano il governo bulgaro e la Commissione, tale direttiva si applica, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), «[n]ei limiti dei poteri conferiti all[’Unione]», «a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento». Pertanto, il regime cui la sig.ra Milkova è stata sottoposta dall’ente pubblico presso il quale era occupata, al momento della cessazione del suo rapporto di pubblico impiego, potrebbe rientrare, entro tali limiti, nell’ambito di applicazione ratione materiae di detta direttiva. Inoltre, è pacifico che la malattia psichiatrica di cui soffre l’interessata rientra nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78, quale definita dalla Corte (18).
47. Tuttavia, sono dell’avviso, al pari della Commissione, che la direttiva 2000/78 non sia applicabile a una controversia che presenta le particolarità della situazione della sig.ra Milkova, dato che il criterio su cui si basa la differenza di trattamento lamentata da quest’ultima non ricade nell’ambito di applicazione delle disposizioni di tale direttiva.
48. Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che la controversia principale è caratterizzata dal fatto che l’interessata è stata privata del beneficio della normativa bulgara che tutela in particolare i lavoratori subordinati affetti da patologie quali la malattia psichiatrica, in caso di risoluzione del loro contratto di lavoro, non a motivo della sua disabilità, ma solo perché ella aveva la qualità di pubblica impiegata e non quella di lavoratrice subordinata richiesta da detta normativa (19).
49. Il giudice del rinvio ammette che, nella fattispecie, la differenza di trattamento controversa non è fondata sulla «caratteristica personale» rappresentata dalla «disabilità» (20), ma sulla circostanza che i due gruppi di persone con disabilità qui contrapposti – lavoratori subordinati disabili, da una parte, e pubblici impiegati disabili, dall’altra – esercitano le loro attività professionali in contesti giuridici diversi – gli uni in forza di un contratto di lavoro e gli altri in base a uno status di pubblico impiegato.
50. Tuttavia, detto giudice ritiene che una normativa e una giurisprudenza nazionali come quelle applicabili alla controversia principale potrebbero essere incompatibili con l’obiettivo del diritto dell’Unione di garantire la parità in materia di occupazione e condizioni di lavoro a tutte le persone con disabilità. Proprio per questo motivo esso chiede un’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/78.
51. A tale proposito ricordo che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, come risulta sia dal titolo e dal preambolo, sia dal contenuto e dalla finalità della direttiva 2000/78, quest’ultima si propone di fissare un quadro generale per garantire ad ogni individuo la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, offrendo una protezione efficace contro le discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui all’articolo 1 (21), fra i quali sono menzionati gli handicap. Così, l’articolo 2 di tale direttiva prevede espressamente che l’asserita discriminazione, per rientrare nell’ambito di applicazione di tale strumento, deve essere «basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1».
52. Orbene, fra tali motivi di discriminazione che costituiscono l’oggetto specifico della direttiva 2000/78 non rientra la natura particolare del rapporto di lavoro, criterio in base al quale la ricorrente nel procedimento principale ha ricevuto un trattamento differenziato che ne ha comportato l’esclusione dalla tutela prevista dall’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro bulgaro a favore dei lavoratori subordinati con disabilità, di cui la giurisprudenza nazionale nega l’applicabilità per analogia ai pubblici impiegati.
53. Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, tenuto conto della formulazione dell’articolo 13 CE (divenuto articolo 19 TFUE), da cui discende la direttiva 2000/78 (22), il campo di applicazione di quest’ultima non può essere ampliato per analogia, neppure mediante richiamo al principio generale di non discriminazione (23), al di là delle discriminazioni fondate sui motivi elencati tassativamente all’articolo 1 della stessa (24).
54. Così, un criterio di differenziazione nuovo, quale, nella fattispecie, il tipo di rapporto di lavoro di una persona con disabilità, non può aggiungersi ai motivi tassativi con riferimento ai quali detta direttiva vieta qualsiasi discriminazione. Ne consegue che l’eventuale differenza di trattamento tra il personale di ruolo di un ente pubblico e gli agenti contrattuali del settore pubblico o del settore privato, come quella di cui, secondo l’ordinanza di rinvio, è stata oggetto la sig.ra Milkova, non rientrano nell’ambito di applicazione del principio di non discriminazione come concretizzato nella direttiva 2000/78. In tal senso, ricordo che la Corte ha già escluso dall’ambito di applicazione di tale direttiva le differenze di trattamento fondate sulla categoria socio‑professionale cui appartengono le persone interessate (25).
55. Preciso che, a mio parere, il solo fatto che l’interessata sia una persona con disabilità non è sufficiente a rendere applicabile la direttiva 2000/78 nel presente procedimento. A tale proposito, rilevo che la Corte ha dichiarato che «il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva [nell]’ambito [dell’occupazione e delle condizioni di lavoro] si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone[, quali le persone con disabilità], bensì sulla scorta dei motivi indicati [all’articolo] 1 [di tale strumento]» (26).
56. Anche se è stato ammesso che la portata della direttiva 2000/78 non deve essere interpretata, per quanto riguarda i suddetti motivi, in maniera restrittiva, ciò non toglie, a mio avviso, che le sue disposizioni disciplinano solo le violazioni del principio di non discriminazione come concretizzato da detta direttiva, che sono effettivamente fondate, se non altro per associazione (27), su uno dei possibili fattori di discriminazione di cui tale atto contiene l’elenco tassativo. Ciò non si verifica tuttavia nella controversia principale, dato che, come ha constatato lo stesso giudice del rinvio, la sig.ra Milkova ha ricevuto un trattamento diverso non in ragione della sua disabilità, l’unico di tali motivi elencati ipotizzabile nel caso di specie, bensì per il suo status di pubblica impiegata.
57. Aggiungo che i lavori legislativi avviati nel 2008 per modificare l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/78 non rimettono in discussione tale analisi (28). Infatti, è stato previsto di estendere «al di fuori del mercato del lavoro» (29) l’attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, ma non di ampliare l’elenco dei motivi di discriminazione previsti tassativamente da tale direttiva, con la precisazione che si è proceduto allo stesso modo per le altre due direttive concernenti la non discriminazione, sulla cui scia si pone anche il menzionato progetto di modifica (30).
58. In conclusione, dal momento che la differenza di trattamento oggetto del procedimento principale, tra lavoratori subordinati disabili e pubblici impiegati disabili, si basa sulla natura dei rapporti di lavoro che legano queste due categorie di lavoratori vulnerabili al loro datore di lavoro, e poiché tale criterio di distinzione non figura nell’elenco tassativo dei motivi di discriminazione contenuto nell’articolo 1 della direttiva 2000/78, detto strumento non è applicabile, a mio avviso, in una situazione come quella che ha dato luogo alla controversia di cui è investito il giudice del rinvio.
59. Pertanto, ritengo che non occorra procedere all’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/78 citate nella seconda e nella terza questione pregiudiziale. Le osservazioni che seguono saranno quindi presentate solo per il caso in cui la Corte decidesse di procedere all’interpretazione richiesta.
2. Sull’eventuale incidenza della Carta nel presente procedimento
60. Il giudice del rinvio menziona brevemente la Carta nella motivazione della sua decisione, senza però precisare quale rilevanza potrebbe assumere tale strumento di diritto dell’Unione in relazione agli elementi della controversia principale. Esso non espone alcun argomento circa l’incidenza che potrebbero avere nella fattispecie l’una o l’altra delle disposizioni di tale atto, che peraltro non forma oggetto delle questioni pregiudiziali. Neppure le osservazioni scritte presentate alla Corte le menzionano (31).
61. Orbene, secondo costante giurisprudenza, i diritti fondamentali garantiti dalla Carta sono destinati ad essere applicati solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione e la Corte deve disporre di tutte le informazioni che le consentano di concludere che la situazione controversa rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione per potersi pronunciare sull’interpretazione delle disposizioni della Carta (32). Poiché il giudice del rinvio non ha affermato che le norme nazionali atte a disciplinare il merito della controversia principale (33) hanno lo scopo di attuare direttamente e specificamente determinate disposizioni di diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51 della Carta (34), la Corte, a mio avviso, dovrebbe ritenere che non occorra esaminare la conformità delle suddette norme con i diritti fondamentali sanciti da tale atto (35).
62. Inoltre, l’eventuale interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione – nella fattispecie, degli articoli della direttiva 2000/78 citati nella seconda e nella terza questione pregiudiziale – alla luce delle disposizioni della Carta – e più in particolare dei suoi articoli 20, 21, 26 o 30 (36) – è possibile solo nei limiti delle competenze attribuite alla Corte, che dipendono nella fattispecie dall’ambito di applicazione ratione materiae di tale direttiva. Infatti, le disposizioni della Carta eventualmente invocate non possono giustificare, di per sé stesse, la competenza della Corte a conoscere di una situazione giuridica che non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (37).
63. Rilevo che la decisione di rinvio evoca implicitamente un principio che vieta qualsiasi tipo di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità. A tale proposito, ricordo che, quando è stata sottoposta alla Corte una questione pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età, sancito dall’articolo 21 della Carta e concretizzato dalla direttiva 2000/78 (38), tale questione è stata esaminata esclusivamente alla luce di detta direttiva (39), in particolare nel contesto di controversie tra un singolo e un’amministrazione nazionale, come nel caso di specie. Lo stesso approccio dovrebbe logicamente essere adottato per quanto riguarda il principio di non discriminazione in ragione della disabilità, parimenti sancito dall’articolo 21 della Carta e concretizzato dalla direttiva 2000/78.
64. Poiché quest’ultima, a mio avviso, non è applicabile in circostanze come quelle della causa principale, in cui la differenziazione controversa si fonda su un criterio diverso da quelli elencati tassativamente al suo articolo 1, come precedentemente rilevato (40), sono dell’avviso che, nel presente procedimento, le disposizioni di detta direttiva non possano essere interpretate alla luce delle disposizioni della Carta.
65. Per tutto quanto sopra esposto, ritengo, in via principale, che nel presente procedimento non occorra interpretare gli articoli 4 e 7 della direttiva 2000/78, neppure alla luce delle disposizioni della Carta. Tuttavia, presenterò alcune osservazioni in via subordinata, per il caso in cui la Corte non accogliesse tale suggerimento.
3. Sull’interpretazione in subordine delle disposizioni della direttiva 2000/78 di cui trattasi
66. In limine, rilevo che il governo bulgaro, nelle sue osservazioni, ha dedicato una lunga argomentazione all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78 (41) per sostenere che una normativa come quella oggetto del procedimento principale risulta ammissibile alla luce di detta disposizione (42). Tuttavia, poiché il giudice del rinvio non ha specificamente chiesto l’interpretazione di quest’ultima (43), né nelle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte né nella motivazione della sua decisione di rinvio, e non ha fornito alcun elemento a tale riguardo, nemmeno implicitamente (44), non ritengo necessario pronunciarmi, unicamente in subordine, su questo punto. Mi limiterò a rilevare che, come ammesso dal governo bulgaro, il menzionato articolo 2, paragrafo 5, è stato interpretato restrittivamente nella giurisprudenza della Corte, in quanto tale disposizione istituisce una deroga al divieto di discriminazioni (45).
67. Per quanto attiene all’articolo 4 della direttiva 2000/78, espressamente citato nella seconda questione pregiudiziale, osservo che il giudice del rinvio non ha fornito alcuna spiegazione circa l’utilità, per risolvere la controversia di cui è investito, dell’interpretazione di tale disposizione da parte della Corte (46). Solo il governo bulgaro ha presentato osservazioni in merito al paragrafo 1 di detto articolo, nelle quali rammenta che la Corte ha dichiarato che tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente, in quanto consente di derogare al principio di non discriminazione (47), e afferma che detto paragrafo autorizza la normativa nazionale in parola (48).
68. Per quanto mi riguarda, alla luce dei dati della controversia principale, non vedo come si possa ipotizzare nel caso di specie l’eventuale applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2000/78, né, pertanto, quale utilità avrebbe la sua interpretazione nel merito. Infatti, detta disposizione stabilisce che una differenza di trattamento può non costituire una discriminazione «laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato» (49). Orbene, la normativa bulgara di cui trattasi introduce una differenza di trattamento in quanto conferisce una particolare tutela ai lavoratori subordinati, e non ai pubblici impiegati, ma presenta la particolarità di essere applicabile anche ai lavoratori subordinati del settore pubblico, i quali possono quindi svolgere le medesime attività lavorative dei pubblici impiegati. Pertanto, il fattore di differenziazione di cui qui si dibatte non riguarda una «caratteristica» che sia «legata a uno dei motivi di cui all’[articolo] 1 della direttiva 2000/78» e costituisca «un requisito “essenziale e determinante”», conformemente alle condizioni di applicazione di detto articolo 4 definite dalla giurisprudenza della Corte (50).
69. In ogni caso, mi sembra che il tenore di tale articolo 4, quale interpretato nelle precedenti sentenze della Corte, non consenta affatto di ritenere che siffatta normativa nazionale sia incompatibile con le esigenze del diritto dell’Unione.
70. Per quanto riguarda l’articolo 7 della direttiva 2000/78, oggetto della terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio indica che «[n]on è (…) chiaro in che misura le norme adottate dalla Repubblica di Bulgaria, che costituiscono misure specifiche per la tutela di disabili, ma applicabili ai soli lavoratori subordinati, nel caso in cui si applicassero anche al settore pubblico, possano rappresentare un’azione positiva legittima ai sensi [del menzionato] articolo 7».
71. A tale proposito, rilevo che il paragrafo 1 del suddetto articolo 7 enuncia che «il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1», e ciò allo scopo di «assicurare completa parità nella vita professionale» (51). Il paragrafo 2 del medesimo articolo 7 conferma tale possibilità di adottare misure d’azione positive più in particolare a favore dei disabili (52), quando siffatte misure siano intese a tutelarne la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro o a promuoverne l’inserimento nel mondo del lavoro (53).
72. Tali disposizioni, che preservano la sovranità degli Stati membri (54), riconoscono loro la facoltà, e non l’obbligo, di correggere positivamente le disparità di fatto esistenti. Infatti, come è stato rilevato nel contesto dei lavori preparatori della direttiva 2000/78 (55), «[l]a parità di trattamento può non bastare di per sé se non porta a una reale uguaglianza» (56) e «può anche implicare il riconoscimento di diritti speciali per gruppi specifici di persone» (57).
73. Al pari del governo bulgaro e della Commissione, ritengo che, supponendo che una normativa come quella oggetto del procedimento principale sia considerata dalla Corte come rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 della direttiva 2000/78, e in particolare del suo paragrafo 2, come sostiene detto governo (58), nulla indica in tali disposizioni che uno Stato membro non possa limitare a un gruppo specifico di persone, nella fattispecie quello dei lavoratori subordinati, il beneficio delle misure da esso adottate a fini di tutela della loro salute (59).
74. Ritengo pertanto, in subordine, che, qualora la Corte decidesse di procedere all’interpretazione degli articoli 4 e 7 della direttiva 2000/78, tali disposizioni dovrebbero essere interpretate nel senso che non ostano ad una siffatta normativa.
C – Sull’incidenza limitata delle disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità (prima questione)
1. Sul testo della prima questione pregiudiziale
75. A prima vista, la prima questione pregiudiziale, con cui si chiede se «l’articolo 5, [paragrafo] 2, della Convenzione [dell’ONU sulla disabilità] consenta [una] legge [nazionale come quella oggetto del procedimento principale], sembra consistere in una domanda diretta a che la Corte interpreti una disposizione che non rientra né nell’ambito del diritto primario né in quello del diritto derivato dell’Unione. Orbene, tale operazione esula dalla competenza conferita alla Corte dall’articolo 267, primo comma, TFUE.
76. Tuttavia, dalla motivazione della decisione di rinvio risulta che detta questione è giustificata dalla necessità di interpretare la direttiva 2000/78 conformemente alla Convenzione dell’ONU sulla disabilità, alla luce della giurisprudenza della Corte (60). Secondo il giudice del rinvio, tale Convenzione, e più in particolare il suo articolo 5, paragrafo 2 (61), richiederebbe «una tutela legale equa ed efficace contro ogni discriminazione delle persone con disabilità, a prescindere dal tipo di handicap, e tuttavia non solo sulla base di determinate caratteristiche personali meritevoli di tutela stabilite nel diritto derivato dell’Unione» (62).
77. La prima questione va quindi intesa nel senso che è diretta a stabilire, in sostanza, se un’interpretazione della direttiva 2000/78 alla luce di detta Convenzione consenta di affermare che il diritto dell’Unione osta a una normativa come quella oggetto del procedimento principale, nella parte in cui determina una disparità di trattamento tra un lavoratore subordinato e un pubblico impiegato portatori del medesimo tipo di disabilità, sebbene il criterio di distinzione applicato in detta normativa non sia la disabilità, bensì la diversa natura del rapporto che vincola queste due categorie di persone con disabilità al loro datore di lavoro, e ancorché tale criterio non figuri nell’elenco tassativo dei motivi di discriminazione vietati contenuto nell’articolo 1 della direttiva in parola.
78. Preciso subito che tale esigenza di riformulazione (63) vale del pari per una parte della quarta questione pregiudiziale, laddove quest’ultima menziona «il rispetto delle norme di diritto internazionale», espressione con cui il giudice del rinvio sembra evocare – pur non avendo esplicitato la sua domanda al riguardo – più in particolare la Convenzione dell’ONU sulla disabilità e l’incidenza che l’obbligo di conformarsi a tale normativa avrebbe sui mezzi da adottare per porre rimedio all’eventuale esistenza di una discriminazione in circostanze come quelle della controversia principale (64).
2. Sulla portata limitata degli effetti della Convenzione dell’ONU sulla disabilità rispetto al diritto dell’Unione
79. Nella sua risposta scritta ai quesiti posti dalla Corte, il governo bulgaro ha sostenuto che dall’articolo 5, paragrafi 2 e 4, in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, lettere g) e h) (65), e con l’articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e) (66), della Convenzione dell’ONU sulla disabilità risulta che quest’ultima distingue tra gli obblighi che incombono agli Stati in relazione ai diritti dei disabili nel settore pubblico e i loro obblighi in relazione ai diritti di questa stessa categoria di persone nel settore privato, e che pertanto sarebbe legittimo applicare un tale criterio di distinzione nelle norme giuridiche nazionali (67). Secondo detto governo, date le particolarità del rapporto di lavoro dei pubblici impiegati (68), la normativa bulgara non determinerebbe una lacuna giuridica tale da richiedere l’applicazione per analogia di tale misura di tutela a loro vantaggio nell’ipotesi prevista dall’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, della legge sul pubblico impiego.
80. Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione ha sostenuto che, dal momento che le disposizioni della normativa nazionale in causa non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, e in mancanza di altre norme applicabili adottate dall’Unione, spetta allo Stato membro interessato, vale a dire la Repubblica di Bulgaria, garantire il rispetto delle prescrizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, che sono opponibili nei suoi confronti in quanto parte contraente di detta Convenzione.
81. A tale proposito, ricordo, al pari del governo bulgaro e della Commissione, che la Corte ha già ripetutamente dichiarato che, poiché l’Unione europea ha approvato la Convenzione dell’ONU sulla disabilità, le disposizioni di quest’ultima formano parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione (69), a partire dalla data di entrata in vigore di detta Convenzione (70).
82. Contrariamente a quanto indicato dalla sig.ra Milkova nella sua risposta scritta ai quesiti posti dalla Corte (71), risulta da una giurisprudenza costante che gli obblighi imposti dalla menzionata Convenzione riguardano le parti contraenti e che, siccome le disposizioni della stessa sono subordinate, quanto ad esecuzione o a effetti, all’intervento di atti ulteriori che competono alle parti contraenti (72), tali disposizioni non sono, dal punto di vista del contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, dal che discende che esse sono prive di effetto diretto nel diritto dell’Unione (73).
83. Tuttavia, la Corte ha rilevato che l’appendice dell’allegato II della decisione 2010/48 menziona espressamente la direttiva 2000/78 tra gli «atti [dell’Unione] relativi alle materie disciplinate dalla Convenzione [dell’ONU sulla disabilità]», più in particolare per quanto riguarda la «[v]ita indipendente e [l’]inclusione nella società, [il] lavoro e [l’]occupazione». Come rileva il governo bulgaro nelle sue osservazioni scritte, la Corte ne ha dedotto che detta Convenzione può essere invocata al fine di interpretare la direttiva 2000/78, la quale deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a tale Convenzione, in ragione del primato degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato (74).
84. Così, in seguito alla ratifica da parte dell’Unione della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, la Corte ha adeguato la sua definizione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78, riprendendo la terminologia utilizzata all’articolo 1, secondo comma, di detta Convenzione (75), e ha definito la nozione di «soluzioni ragionevoli» ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva (76), tenendo conto del testo dell’articolo 2, quarto comma, della medesima Convenzione (77).
85. Tuttavia, ritengo che nel presente procedimento non occorra interpretare la direttiva 2000/78 alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, dato che, a mio avviso, la controversia principale non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, per i motivi sopra esposti (78). Le osservazioni che seguono saranno quindi formulate unicamente in via subordinata, per scrupolo di completezza.
3. Sull’interpretazione in subordine della direttiva 2000/78 alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità
86. Con la prima questione, il giudice del rinvio invita la Corte, in sostanza, a stabilire se l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/78 possa essere inteso in senso ampio alla luce della formulazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità (79).
87. Nella sua risposta scritta ai quesiti posti dalla Corte, la Commissione ha indicato che il paragrafo 2 di detto articolo 5 è diretto ad esplicitare, per quanto riguarda la disabilità, i principi di uguaglianza e di non discriminazione enunciati al paragrafo 1 del medesimo articolo. Essa ha affermato che tale disposizione non conferisce una tutela più ampia rispetto a quella già offerta dagli articoli 2 e 5 della direttiva 2000/78 (80). Inoltre, ha sostenuto che il principio della «uguale ed effettiva protezione giuridica [delle persone con disabilità] contro ogni discriminazione» formulato nel suddetto paragrafo 2 si applica solo quando la discriminazione è fondata sulla disabilità, ipotesi che a suo parere non ricorrerebbe nel caso di specie.
88. Da parte mia, rilevo che tanto dall’articolo 2 (81) quanto dall’articolo 4 (82) della Convenzione dell’ONU sulla disabilità risulta che la stessa vieta specificamente le discriminazioni di qualsiasi tipo sulla base della disabilità (83). Lo stesso vale, in particolare (84), per l’articolo 27 di tale Convenzione, il cui paragrafo 1, lettera a), vieta «la discriminazione fondata sulla disabilità per tutto ciò che concerne il lavoro», segnatamente per quanto riguarda la «continuità dell’impiego», il che include l’eventuale tutela in caso di cessazione del rapporto di lavoro. Orbene, la differenza di trattamento determinata dalle disposizioni di diritto bulgaro oggetto della controversia principale si basa sulla natura del rapporto di lavoro, e non sulla disabilità della sig.ra Milkova.
89. Inoltre, ritengo che la Convenzione dell’ONU sulla disabilità miri a garantire un trattamento paritario non fra tutte le categorie di persone disabili, bensì tra le persone disabili e quelle che non lo sono. Infatti, da numerose disposizioni di detta Convenzione risulta che essa mira a favorire l’uguaglianza delle persone con disabilità «con gli altri» (85). Tale elemento di confronto esterno (86) compare all’articolo 1, paragrafo 2, che definisce l’oggetto di detta Convenzione e in particolare indica che cosa debba intendersi per «persone con disabilità», evocando espressamente «l’uguaglianza con [le] altr[e] [persone]» (87). Una variante è declinata all’articolo 7, che menziona l’«uguaglianza con gli altri minori» (88). Del pari, l’articolo 2 fornisce una definizione della «discriminazione fondata sulla disabilità» riferendosi all’esercizio da parte delle persone con disabilità dei diritti e delle libertà ivi indicati «su base di uguaglianza con gli altri» (89). Quest’ultima espressione è ripresa in una lunga serie di articoli di detta Convenzione concernenti i diritti delle persone con disabilità che la Convenzione stessa è intesa a promuovere e tutelare garantendone il pieno ed uguale godimento (90), più specificamente, nella fattispecie, all’articolo 27 relativo al lavoro e all’occupazione (91).
90. Una formula analoga è stata adottata dalla Corte nelle sentenze relative a nozioni contenute nella direttiva 2000/78 che sono state oggetto di un’interpretazione conforme alle disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, quali la nozione di «handicap» o quella di «soluzioni ragionevoli». A tal riguardo, la Corte ha ripetutamente fatto riferimento a ciò che può «ostacolare la piena ed effettiva partecipazione [di una persona con disabilità] alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori» (92), e non all’uguaglianza tra categorie diverse di persone con disabilità. Mi sembra che l’Unione abbia ratificato detta Convenzione in questa stessa ottica (93).
91. Ritengo pertanto che le disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità non siano intese ad includere una situazione come quella di cui alla controversia principale e che, in ogni caso, un’interpretazione della direttiva 2000/78 conforme a tali disposizioni non possa indurre a rimettere in discussione il carattere tassativo dei motivi di discriminazione enunciati all’articolo 1 di detta direttiva (94), in modo da aggiungervi il motivo concernente la diversa natura dei rapporti di lavoro di due categorie di persone con disabilità.
92. Pertanto, qualora la Corte ritenesse necessario, nel caso di specie, interpretare la direttiva 2000/78 conformemente alla Convenzione dell’ONU sulla disabilità, dalle considerazioni sopra svolte discenderebbe, a mio parere, che la nozione di «discriminazione fondata sull’handicap» ai sensi di tale direttiva deve essere definita nel senso che si riferisce all’ipotesi in cui talune persone disabili siano oggetto di un trattamento meno favorevole o subiscano un determinato svantaggio rispetto agli «altri», vale a dire alle persone che non presentano tale caratteristica ma si trovano per il resto in una situazione equiparabile a quella delle prime. Analogamente, sempre ai fini dell’applicazione della suddetta direttiva, «il principio della parità di trattamento» dovrebbe essere inteso, per quanto riguarda le persone disabili, nel senso che mira a garantire la parità di tale gruppo di persone rispetto a quelle che non presentano tale disabilità duratura.
93. Rilevo infine, per quanto attiene più in particolare al caso di specie, che non risulta da alcuna disposizione della Convenzione citata che gli Stati contraenti siano tenuti a mantenere per quanto possibile una persona con disabilità nel suo posto di lavoro quando il medesimo sia stato soppresso, così che la sig.ra Milkova potrebbe beneficiare del trattamento più favorevole da lei richiesto.
94. Anche supponendo che l’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità riguardi situazioni non coperte dalla direttiva 2000/78, come sembra ipotizzare il giudice del rinvio, ciò a mio avviso sarebbe irrilevante, dato che le disposizioni di tale Convenzione non sono direttamente applicabili nel diritto dell’Unione (95) e pertanto possono avere un’incidenza, riguardo a detta direttiva, solo a titolo di interpretazione conforme delle disposizioni di quest’ultima, che definiscono esse stesse il suo ambito di applicazione.
95. In conclusione, ritengo, in via principale, che nel caso di specie non occorra interpretare la direttiva 2000/78 alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità e, in via subordinata, che, qualora la Corte non condividesse il mio parere, essa dovrebbe procedere a tale interpretazione tenendo presente che la menzionata Convenzione ha lo scopo di garantire la parità di trattamento non tra le diverse categorie di persone disabili, ma fra tutte queste ultime e le persone che non presentano disabilità.
D – Sull’eventuale estensione dell’ambito di applicazione ratione personae delle norme nazionali a tutela dei lavoratori disabili (quarta questione)
96. La quarta questione pregiudiziale viene sollevata in subordine, poiché riguarda l’ipotesi in cui la Corte fornisca una «risposta negativa alla prima e alla terza questione».
97. In sostanza, il giudice del rinvio si interroga sulla questione se l’obbligo di rispettare sia le suddette norme di diritto internazionale sia quelle del diritto dell’Unione – che incombe alle autorità della Repubblica di Bulgaria – implichi che, in una situazione come quella della controversia principale, occorra estendere l’ambito di applicazione delle norme nazionali che tutelano i lavoratori disabili, siano essi occupati nel settore privato o nel settore pubblico, in caso di licenziamento (96), cosicché possano beneficiare di tali norme di tutela anche i pubblici impiegati portatori del medesimo tipo di disabilità, al fine di conformarsi al principio della parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. La sig.ra Milkova si è espressa in questo senso (97).
98. Dalla decisione di rinvio risulta che tale interrogativo trae origine dal fatto che la normativa bulgara in questione viene applicata restrittivamente dai giudici nazionali (98) e che siffatto approccio rigoroso potrebbe risultare non conforme alle disposizioni del diritto dell’Unione, come interpretate in particolare alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità (99), le quali richiederebbero una tutela equa ed effettiva attraverso la lotta alle discriminazioni nei confronti di qualsiasi persona con disabilità.
99. Al pari del governo bulgaro e della Commissione, ritengo che, tenuto conto delle risposte limitative che suggerisco di dare alle precedenti questioni pregiudiziali e considerato il carattere condizionato della quarta questione, non occorra rispondere a quest’ultima né, quindi, dedicarle specifiche osservazioni.
100. In ulteriore subordine, e ad ogni buon conto, per quanto riguarda il ruolo spettante ai giudici nazionali per garantire il pieno rispetto da parte di uno Stato membro degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, problematica che mi sembra implicita nella quarta questione pregiudiziale, rinvierei semplicemente alla giurisprudenza della Corte relativa a tale questione, e più in particolare alle sentenze in materia di discriminazioni introdotte da norme di diritto nazionale nel settore del diritto del lavoro (100).
V – Conclusione
101. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alle questioni pregiudiziali sollevate dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria):
La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che non è applicabile a una situazione in cui la differenza di trattamento, introdotta dalla normativa nazionale in questione, tra lavoratori subordinati e pubblici impiegati portatori degli stessi tipi di disabilità non si basa sul criterio della disabilità, ma su quello della natura del rapporto di lavoro che lega queste due categorie di persone con disabilità ai rispettivi datori di lavoro.