CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE
presentate il 10 novembre 2016 (1)
Causa C‑528/15
Policie ČR, Krajské ředitelství policie Ústeckého kraje, odbor cizinecké policie
contro
Salah Al Chodor,
Ajlin Al Chodor,
Ajvar Al Chodor
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca)]
«Rinvio pregiudiziale – Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale – Regolamento (UE) n. 604/2013 (Dublino III) – Articolo 28, paragrafo 2 – Trattenimento ai fini del trasferimento – Articolo 2, lettera n) – Notevole rischio di fuga – Criteri obiettivi definiti dalla legge – Assenza di legge nazionale che definisca tali criteri»
I – Introduzione
1. Con la sua questione pregiudiziale, il Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca) interroga la Corte in merito all’interpretazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 604/2013 (2) (in prosieguo: il «regolamento Dublino III») che delimitano la facoltà degli Stati membri di trattenere un richiedente protezione internazionale (3) (in prosieguo: un «richiedente») in attesa del suo trasferimento verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda.
2. A norma dell’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento medesimo, l’esercizio di detta facoltà è subordinato, segnatamente, alla sussistenza di un «rischio notevole di fuga» dell’interessato. L’articolo 2, lettera n), del medesimo regolamento, che definisce il «rischio di fuga», prevede che un rischio di tal genere dev’essere valutato, caso per caso, sulla base di «criteri obiettivi definiti dalla legge».
3. All’epoca dei fatti all’origine della controversia principale, la legislazione ceca non aveva ancora stabilito tali criteri, sebbene fosse stato presentato un emendamento legislativo finalizzato ad introdurli. Secondo il governo ceco, nel frattempo tale emendamento è stato medio tempore adottato.
4. In tale contesto, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il requisito, previsto dall’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, secondo cui i criteri obiettivi che consentono di valutare la sussistenza di un rischio di fuga devono essere definiti «dalla legge»,, esiga l’adozione di apposita normativa ovvero se esso possa essere parimenti soddisfatto qualora criteri di tal genere risultino dalla giurisprudenza dei giudici superiori e/o dalla prassi amministrativa di uno Stato membro.
II – Contesto normativo
A – La CEDU
5. L’articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), così recita:
«Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:
(…)
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione».
6. L’articolo 53 della CEDU sancisce che «[n]essuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi».
B – Diritto dell’Unione
1. La Carta
7. Ai sensi dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), «[o]gni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza».
8. L’articolo 52 della Carta così recita:
«1. Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
(…)
3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.
(…)».
2. Regolamento Dublino III
9. A termini del considerando 20 del regolamento Dublino III:
«Il trattenimento dei richiedenti dovrebbe essere regolato in conformità del principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale. Il trattenimento dovrebbe essere quanto più breve possibile e dovrebbe essere soggetto ai principi di necessità e proporzionalità. In particolare, il trattenimento dei richiedenti deve essere conforme all’articolo 31 della convenzione di Ginevra. Le procedure previste dal presente regolamento con riguardo alla persona trattenuta dovrebbero essere applicate in modo prioritario, entro i termini più brevi possibili. Per quanto concerne le garanzie generali che disciplinano il trattenimento, così come le condizioni di trattenimento, gli Stati membri dovrebbero, se del caso, applicare le disposizioni della direttiva 2013/33/UE anche alle persone trattenute sulla base del presente regolamento».
10. L’articolo 2, lettera n), di detto regolamento definisce il «rischio di fuga» come «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un richiedente o un cittadino di un paese terzo o un apolide oggetto di una procedura di trasferimento possa fuggire».
11. L’articolo 28 del regolamento medesimo, intitolato «Trattenimento», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo motivo che sia oggetto della procedura stabilita dal presente regolamento.
2. Ove sussista un rischio notevole di fuga, gli Stati membri possono trattenere l’interessato al fine di assicurare le procedure di trasferimento a norma del presente regolamento, sulla base di una valutazione caso per caso e solo se il trattenimento è proporzionale e se non possano essere applicate efficacemente altre misure alternative meno coercitive.
(…)».
3. Direttiva 2013/33
12. Il considerando 15 della direttiva 2013/33/UE (4) (in prosieguo: la «direttiva accoglienza») così recita:
«Il trattenimento dei richiedenti dovrebbe essere regolato in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale, in particolare in conformità agli obblighi giuridici internazionali degli Stati membri, e all’articolo 31 della convenzione di Ginevra. I richiedenti possono essere trattenuti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella presente direttiva e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento. Il richiedente in stato di trattenimento dovrebbe godere effettivamente delle necessarie garanzie procedurali, quali il diritto a un ricorso giudiziario dinanzi a un’autorità giurisdizionale nazionale».
13. L’articolo 8 di tale direttiva così dispone:
«1. Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
2. Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive.
3. Un richiedente può essere trattenuto soltanto:
(…)
f) conformemente all’articolo 28 del regolamento [Dublino III].
I motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale».
C – Diritto ceco
14. L’articolo 129, paragrafo 1, della legge n. 326/1999 sul soggiorno di cittadini stranieri sul territorio della Repubblica ceca e recante modifica di altre leggi sul soggiorno di cittadini stranieri (in prosieguo: la «legge sul soggiorno di cittadini stranieri») prevede che «[l]a polizia può trattenere un cittadino straniero che abbia fatto ingresso o soggiorni illegalmente nella Repubblica ceca per il periodo di tempo necessario per assicurare le procedure di trasferimento conformemente ad un accordo internazionale concluso con un altro Stato membro dell’Unione europea anteriormente al 13 gennaio 2009 ovvero in base a norme legislative delle Comunità europee direttamente applicabili».
15. All’epoca dell’adozione della decisione di rinvio, era in atto un procedimento legislativo volto ad emendare l’articolo 129 della legge sul soggiorno dei cittadini stranieri, integrandolo con un quarto paragrafo del seguente tenore:
«La polizia decide in merito al trattenimento di un cittadino straniero ai fini del suo trasferimento in uno Stato soggetto alla normativa direttamente applicabile dell’Unione europea solo in presenza di un notevole rischio di fuga. Si considera sussistere un rischio notevole di fuga in particolare nel caso in cui il cittadino straniero abbia soggiornato illegalmente nella Repubblica ceca, o si sia già in precedenza sottratto al trasferimento in uno Stato soggetto alla normativa direttamente applicabile dell’Unione europea, ovvero abbia tentato la fuga o espresso l’intendimento di non ottemperare ad una decisione definitiva di trasferimento in uno Stato soggetto alla normativa dell’Unione europea direttamente applicabile, o se una tale intendimento risulti dal suo comportamento. Si ritiene sussistere un notevole rischio di fuga anche nel caso in cui un cittadino straniero che debba essere trasferito in uno Stato soggetto alla normativa direttamente applicabile dell’Unione europea, non direttamente confinante con la Repubblica ceca, non possa viaggiare legalmente in quello Stato in modo autonomo e non possa fornire l’indirizzo di un luogo di residenza nella Repubblica ceca».
16. Secondo le osservazioni scritte della Commissione, il legislatore ceco avrebbe adottato tale emendamento l’11 novembre 2015. All’udienza, il governo ceco ha confermato l’avvenuta adozione di tale emendamento.
III – Controversia principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
17. Salah Al Chodor e i suoi due figli Ajlin e Ajvar Al Chodor (in prosieguo: i «sigg. Al Chodor»), cittadini iracheni, venivano sottoposti, il 7 maggio 2015, ad un controllo di polizia nella Repubblica ceca. Non essendo stati in grado di presentare alcun documento d’identità, la Policie České republiky, Krajské ředitelství Ústeckého kraje, odbor cizinecké policie (polizia della Repubblica ceca, direzione regionale di Ústí nad Labem, dipartimento di polizia per gli stranieri, in prosieguo: la «polizia per gli stranieri») avviava nei loro confronti un procedimento amministrativo.
18. Nel corso dell’interrogatorio condotto dalla polizia per gli stranieri, i sigg. Al Chodor dichiaravano di essere di etnia curda e che il loro villaggio era stato occupato dai combattenti dell’organizzazione terroristica «Stato islamico». I sigg. Al Chodor, passando per la Turchia, avrebbero raggiunto la Grecia e da lì avrebbero proseguito il loro viaggio in camion. In Ungheria sarebbero stati arrestati dalla polizia che avrebbe proceduto al rilevamento delle loro impronte digitali. Salah Al Chodor dichiarava di aver firmato taluni documenti in tale occasione. Il giorno seguente, i sigg. Al Chodor sarebbero stati accompagnati presso una stazione ferroviaria ed indirizzati verso un campo per rifugiati. Essi avrebbero lasciato tale campo dopo due giorni per raggiungere i loro parenti in Germania.
19. In seguito all’arresto dei sigg. Al Chodor nel territorio della Repubblica ceca, la polizia per gli stranieri consultava la banca dati Eurodac rilevando che i medesimi avevano presentato domanda di asilo in Ungheria., Gli interessati non possedevano peraltro né un certificato di residenza né un documento di viaggio. Essi non avevano i mezzi finanziari per provvedere al loro alloggio nella Repubblica ceca né una persona di riferimento che li potesse aiutare a tal fine.
20. La polizia per gli stranieri riteneva che sussistesse un notevole rischio che sigg. Al Chodor fuggissero, avendo i medesimi già lasciato il campo per rifugiati in Ungheria senza attendere la decisione sulla propria richiesta d’asilo, sapendo che il loro soggiorno era illegale e avendo dichiarato di voler proseguire il loro viaggio verso la Germania. Sulla base di tale rilievi e ritenendo che non potesse essere applicata nei loro confronti una misura meno coercitiva, la polizia per gli stranieri, con decisione dell’8 maggio 2015, disponeva il trattenimento degli interessati per trenta giorni, ai sensi dell’articolo 129, paragrafo 1, della legge sul soggiorno di cittadini stranieri, nel combinato disposto con l’articolo 28 del regolamento Dublino III. Al termine di tale trattenimento, i sigg. Al Chodor avrebbero dovuto essere trasferiti in Ungheria, Stato membro competente per l’esame della loro richiesta di asilo ai sensi delle disposizioni del regolamento Dublino III.
21. Il Krajský soud d’Ústí nad Labem (tribunale regionale di Ústí nad Labem, Repubblica ceca), investito del ricorso presentato dai sigg. Al Chodor avverso detta decisione, ha annullato la decisione medesima in base al rilievo che, in assenza di definizione da parte della legislazione ceca di criteri obiettivi che consentano di valutare il rischio di fuga come postulato dall’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento de quo, non consentisse il trattenimento dei richiedenti nella Repubblica ceca. Il giudice medesimo si allineava così all’orientamento accolto dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) (5) e dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) (6).
22. I sigg. Al Chodor venivano rilasciati immediatamente a seguito dell’annullamento della decisione della polizia per gli stranieri, lasciando poi la Repubblica ceca per una destinazione ignota.
23. Avverso la sentenza del Krajský soud d’Ústí nad Labem (tribunale regionale di Ústí nad Labem, Repubblica ceca) la polizia per gli stranieri proponeva ricorso per cassazione dinanzi al Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca). Secondo la polizia per gli stranieri, la mera assenza di disposizioni di legge nazionali che definiscano i criteri obiettivi per valutare il rischio di fuga non comporterebbe l’inapplicabilità dell’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.
24. In giudice del rinvio intende, pertanto, acclarare se il combinato disposto dell’articolo 28, paragrafo 2, con l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, e/o l’articolo 129, paragrafo 1, della legge sul soggiorno di cittadini stranieri costituiscano un fondamento normativo sufficiente, in assenza, nella legislazione nazionale, di criteri obiettivi che permettano di valutare la presenza di un rischio di fuga. Il giudice medesimo si chiede se l’individuazione di tali criteri da parte della costante giurisprudenza di giudici superiori, o addirittura dalla prassi amministrativa, soddisfi l’esigenza che tali requisiti siano definiti «dalla legge» ai sensi dell’articolo 2, lettera n), del regolamento medesimo.
25. A tal riguardo, il giudice a quo rinvia alla propria giurisprudenza relativa all’interpretazione della nozione di notevole rischio di fuga, quale risulta da diverse sentenze. A termini di una di esse, costituisce un criterio obiettivo che consente di valutare la sussistenza di un siffatto rischio una precedente violazione della legge di uno Stato membro unitamente alla violazione del diritto dell’Unione (7). In un’altra sentenza, il giudice medesimo ha accolto ulteriori criteri, tra cui l’ingresso dell’interessato nello spazio Schengen senza permesso di soggiorno congiuntamente a dichiarazioni contraddittorie in merito al suo ingresso nella Repubblica ceca e ad una generale mancanza di credibilità (8). Altre due sentenze hanno riconosciuto quali criteri obiettivi l’ingresso o il soggiorno irregolare sul territorio della Repubblica ceca (9). Un’ulteriore sentenza ha considerato come tale la mancanza di documenti di identificazione (10).
26. Inoltre, detto giudice rileva che la prassi della polizia per gli stranieri in materia di trattenimento dei richiedenti ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, è prevedibile, non presenta alcun elemento di arbitrarietà ed è conforme alla legislazione nazionale come interpretata dalla sua costante giurisprudenza. Inoltre, ogni caso è valutato individualmente.
27. Il giudice del rinvio aggiunge che il legislatore ceco ha inteso codificare tale giurisprudenza emendando la legge sul soggiorno di cittadini stranieri, integrandola con una lista di criteri obiettivi che consentissero di valutare il rischio di fuga.
28. Alla luce delle suesposte considerazioni, il Nejvyšší správní soud (Corte amministrativa suprema, Repubblica ceca) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se la mera circostanza che la [legge] non abbia definito criteri obiettivi ai fini della valutazione della sussistenza di un notevole rischio di fuga di un cittadino straniero [ai sensi dell’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III], determini l’inapplicabilità del trattenimento previsto dall’articolo 28, paragrafo 2, di detto regolamento,».
29. La polizia per gli stranieri, i governi ceco, greco e del Regno Unito nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte. Il governo ceco, quello del Regno Unito e la Commissione sono intervenuti all’udienza del 14 luglio 2016.
IV – Analisi
A – Considerazioni preliminari
30. Il contesto di fatto del presente procedimento è particolarmente rappresentativo del fenomeno, ampiamente osservato in questi ultimi anni, dei «movimenti secondari» tramite i quali numerosi richiedenti protezione internazionale si spostano dallo Stato membro competente per l’esame della loro domanda a norma dei criteri previsti dal regolamento Dublino III (11) (vale a dire, generalmente, lo Stato membro del loro primo ingresso (12)) verso altri Stati membri in cui intendono presentare domanda di protezione internazionale e stabilirsi (13).
31. Di fronte a movimenti migratori di tal genere, lo Stato membro sul cui territorio si trova il richiedente può sollecitarne la presa (o ripresa) in carico da parte dello Stato che ritenga competente ai sensi delle disposizioni del regolamento Dublino III (14). Se lo Stato membro richiesto accetta tale richiesta, lo Stato membro richiedente vi trasferisce l’autore della domanda in applicazione della procedura prevista dal regolamento de quo (in prosieguo: la «procedura di trasferimento») (15). Per garantirne l’attuazione, detto regolamento consente – sia pur delimitandolo con rigorose garanzie – il ricorso a misure coercitive quali il trattenimento (16) e la partenza controllata o sotto scorta (17).
32. L’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III – cui fa rinvio l’articolo 8, paragrafo 3, lettera f), della direttiva accoglienza – autorizza, difatti, gli Stati membri a trattenere un richiedente ove ricorrano tre condizioni.
33. La prima riguarda l’obiettivo perseguito dalla misura di trattenimento ed esige che questa sia attuata «[o]ve sussista un rischio notevole di fuga (…) al fine di assicurare le procedure di trasferimento (…) sulla base di una valutazione caso per caso». L’articolo 2, lettera n), del regolamento de quo definisce il rischio di fuga come «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un richiedente (…) possa fuggire».
34. La seconda e terza condizione attengono, rispettivamente, alla proporzionalità del trattenimento e alla sua necessità, ovvero che non esistano misure meno coercitive che possano effettivamente sostituirlo.
35. La questione pregiudiziale riguarda unicamente la portata della prima di dette condizioni e, più precisamente, del requisito secondo cui i criteri obiettivi del rischio di fuga devono essere «definiti dalla legge», a norma dell’articolo 2, lettera n), di detto regolamento. Essa non verte sulla validità di tali criteri sotto il profilo sostanziale e, segnatamente, sul loro carattere obiettivo nonché sulla loro compatibilità con i requisiti di proporzionalità e necessità del trattenimento.
36. Per i motivi che mi accingo ad illustrare, ritengo che i criteri obiettivi che consentono di valutare la sussistenza di un rischio di fuga debbano essere definiti dalla legge, vale a dire da norme giuridiche scritte adottate dal legislatore.
B – Sul carattere minimale della tutela del diritto di libertà dei richiedenti derivante dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU
37. L’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III non stabilisce esso stesso i criteri obiettivi di valutazione del rischio di fuga ma rinvia, a tal fine, agli ordinamenti giuridici interni degli Stati membri.
38. A tal proposito, alcune versioni linguistiche del regolamento de quo, quali le versioni nelle lingue bulgara, spagnola e tedesca, all’articolo 2, lettera n), di detto regolamento, utilizzano un’espressione che corrisponde al termine francese «loi» (legge) e che designa, in linea di principio, solo le norme legislative. Altre versioni, fra cui quelle nelle lingue inglese, polacca e slovacca, ricorrono ad una formulazione più generica che corrisponde al termine francese «droit» (diritto), che ingloba, secondo il suo significato comune, non solo le norme legislative, ma anche altre norme giuridiche.
39. Oltre a tale disparità tra le diverse versioni linguistiche dello stesso regolamento, il giudice del rinvio ha sottolineato, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, che lo stesso termine «legge» non si presta ad un’interpretazione univoca. Le osservazioni scritte e la discussione orale nell’ambito del presente procedimento hanno quindi riguardato, in ampia misura, la questione se il rispetto dei diritti fondamentali, garantiti dalla CEDU e interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo – i quali, a norma dell’articolo 6, paragrafo 3, del TUE, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali (18) – imponga che i criteri obiettivi del rischio di fuga siano definiti mediante legge.
40. Il governo ceco e quello del Regno Unito hanno fatto valere che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, la nozione di «legge», ai sensi della Convenzione (19), non riguarda unicamente la legislazione ma comprende altre fonti del diritto a condizione che presentino caratteristiche «sostanziali» di chiarezza, prevedibilità es accessibilità (20). Tali caratteristiche si possono riscontrare in una giurisprudenza consolidata o in una prassi amministrativa (21). Il governo greco e la Commissione non condividono tale conclusione.
41. Il governo ceco, d’altro canto, ha sostenuto, all’udienza, che la condizione di legittimità di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU si riferirebbe, in ogni caso, al solo fondamento normativo dell’ingerenza nel diritto alla libertà dei richiedenti – il quale figurerebbe già all’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. Tale condizione, non riguarderebbe, invece, i limiti, relativi alla definizione della valutazione del rischio di fuga tramite criteri obiettivi, apportati a tale ingerenza.
42. Senza che sia necessario verificare l’esattezza di quest’ultima affermazione, per quanto mi riguarda, ritengo che la nozione di «legge» di cui all’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, interpretato alla luce del suo contesto e delle sue specifiche finalità (22), assuma un significato autonomo e distinto rispetto a quello della nozione di «legge» ai sensi della CEDU.
43. A tal proposito, sottolineo che le disposizioni della CEDU costituiscono soltanto un livello minimo di tutela dei diritti fondamentali che non preclude la possibilità per il diritto dell’Unione di concedere ai medesimi una protezione più estesa (23).
44. Innanzitutto, intendo dimostrare che il legislatore dell’Unione ha inteso concedere, con l’adozione delle disposizioni del regolamento Dublino III e della direttiva accoglienza, che limitano la facoltà degli Stati membri di trattenere i richiedenti, una protezione più estesa al diritto di libertà dei medesimi di quella derivante dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU, quale interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo.
45. Illustrerò, poi, i motivi per cui il requisito che i criteri di valutazione del rischio di fuga siano definiti «dalla legge», ai sensi dell’articolo 2, lettera n), di tale regolamento, contribuisce ad una siffatta finalità di rafforzamento della tutela ed implica, in quest’ottica, che tali criteri siano fissati per legge.
C – Sulla volontà del legislatore dell’Unione di rafforzare la tutela del diritto di libertà dei richiedenti
46. Uno dei principali progressi introdotti dal regolamento Dublino III e dalla direttiva accoglienza consiste nel rafforzamento delle garanzie che delimitano la facoltà degli Stati membri di trattenere i richiedenti. Come precisato dal considerando 15 della direttiva de qua, il legislatore dell’Unione ha auspicato che il trattenimento di tali persone – che costituisce un’ingerenza di particolare gravità nel loro diritto fondamentale alla libertà garantito dall’articolo 6 della Carta (24) – sia limitato a «circostanze eccezionali» (25).
47. Tali strumenti hanno pertanto significativamente ridotto la facoltà attribuita agli Stati membri ai fini della privazione della libertà dei richiedenti sottoposti a procedura di trasferimento.
48. Anteriormente alla loro entrata in vigore, il diritto derivato dell’Unione delimitava in modo solo marginale il trattenimento di questi ultimi. Il regolamento previgente al regolamento Dublino III, vale a dire il regolamento (CE) n. 343/2003 (regolamento Dublino II) (26), non conteneva alcuna disposizione in proposito. Si applicavano, quindi, le garanzie generali previste dall’articolo 7, paragrafo 3, dello strumento precedente alla direttiva accoglienza, vale a dire la direttiva 2003/9/CE (27). Tale disposizione prevedeva che, «[o]ve risultasse necessario, ad esempio per motivi legali o di ordine pubblico, gli Stati membri possono confinare il richiedente asilo in un determinato luogo nel rispetto della legislazione nazionale» (il corsivo è mio). I motivi per i quali un richiedente poteva essere privato della sua libertà non erano, quindi, armonizzati. L’articolo 18, paragrafo 1, della direttiva precedente alla direttiva 2013/32/UE (in prosieguo: la «direttiva procedura») (28), vale a dire la direttiva 2005/85/CE (29) precisava, inoltre, che una persona non poteva essere trattenuta in arresto per il solo fatto che si trattasse di un richiedente asilo.
49. La facoltà degli Stati membri di trattenere i richiedenti in attesa del loro trasferimento era parimenti limitata dai loro obblighi ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU (30). Tale disposizione autorizza le parti contraenti a limitare, nell’esercizio delle loro competenze in materia di gestione di flussi migratori, il diritto di libertà di una persona o per impedirle di entrare illegalmente sul loro territorio (prima parte), oppure se contro la medesima è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione (seconda parte).
50. In alcune sentenze (31), la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha assimilato il trattenimento di un richiedente nell’ambito di una procedura di trasferimento verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda alla detenzione di una persona contro la quale sia in corso un procedimento di espulsione o di estradizione, ai sensi del secondo capo dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU (32).
51. Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, la detenzione di una persona nel contesto di una procedura di tal genere non è soggetta alla condizione che tale provvedimento sia «necessario, ad esempio, per evitare un rischio di fuga» (33). La conformità di un provvedimento di detenzione all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU non è dunque subordinata né alla sussistenza di un rischio di fuga né all’assenza di misure meno restrittive che permettano di assicurare l’allontanamento dell’interessato. A tal fine, si richiede unicamente che siano state effettivamente avviate le formalità necessarie in vista di tale allontanamento con la dovuta diligenza (34).
52. Con l’adozione del regolamento Dublino III e della direttiva accoglienza, il legislatore dell’Unione si è espresso nel senso di una protezione più ampia del diritto alla libertà dei richiedenti sottoposti ad una procedura di trasferimento rispetto a quella derivante dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU, quale interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (35).
53. Ciò accade in quanto, innanzitutto, l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento in parola consente il trattenimento di tali richiedenti solo in caso di un rischio notevole di fuga. È dunque vietato, come parimenti risulta dall’articolo 28, paragrafo 1, del regolamento de quo, il trattenimento di un richiedente per il solo motivo che sia in corso una procedura di trasferimento (36).
54. D’altronde, la direttiva accoglienza contiene ormai, all’articolo 8, paragrafo 3, un elenco esaustivo dei motivi per i quali un richiedente può essere trattenuto. Tra questi figura, al punto f) di tale disposizione, il trattenimento ai fini del trasferimento conformemente all’articolo 28 del regolamento Dublino III.
55. In secondo luogo, l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento de quo nonché l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva accoglienza prevedono che il provvedimento del trattenimento costituisca l’ultima risorsa, alla quale si può fare ricorso solo in assenza di alternative meno coercitive.
56. L’insieme delle menzionate disposizioni testimonia, quindi, la volontà del legislatore dell’Unione di limitare il trattenimento dei richiedenti a circostanze eccezionali, così come risulta dal considerando 15 della direttiva accoglienza e come la Corte ha sottolineato nella sentenza N. (37).
57. Le suesposte considerazioni, giustificano, a mio avviso, un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che autorizzano gli Stati membri a trattenere un richiedente. In quest’ottica, in caso di dubbio sull’interpretazione del termine «legge» di cui all’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, dovrebbe privilegiarsi l’interpretazione che maggiormente protegge il diritto alla libertà dei richiedenti.
58. Orbene, come mi accingo ad illustrare, ritengo che l’elencazione dei criteri di valutazione il rischio di fuga in un testo normativo sia idonea a rafforzare la protezione dei richiedenti contro le violazioni arbitrarie del loro diritto alla libertà. Reputo, inoltre, che essa sia necessaria per realizzare un duplice obiettivo che, a mio avviso, è correlato al requisito che tali criteri siano definiti «dalla legge».
D – Sulla necessità di una definizione legislativa dei criteri di valutazione del rischio di fuga rispetto agli obiettivi perseguiti dall’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III
1. Sul duplice obiettivo del requisito che i criteri di valutazione del rischio di fuga siano definiti «dalla legge»
59. Il rischio di fuga, come definito dall’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, presenta, da un lato, un aspetto soggettivo e circostanziato («in un caso individuale» (38)) e, dall’altro, un aspetto oggettivo e generale («basati su criteri obiettivi definiti dalla legge»).
60. Tale definizione contiene quindi due requisiti cumulativi, in quanto le autorità competenti – ovvero l’ autorità amministrativa o giudiziaria (39) – sono tenute ad esaminare caso per caso l’insieme delle circostanze individuali e materiali che caratterizzano la situazione di ciascun richiedente (40), garantendo che tale valutazione sia fondata su criteri obiettivi stabiliti in modo generale ed astratto.
61. In tale contesto, il requisito che i criteri di valutazione del rischio di fuga siano definiti «dalla legge» risponde, a mio avviso, ad un duplice obiettivo.
62. Da un lato, esso intende assicurare che tali criteri offrano sufficienti garanzie sotto il profilo della certezza del diritto. A tal proposito, dalla giurisprudenza della Corte risulta che i provvedimenti di attuazione di un regolamento adottati da uno Stato membro, anche qualora riguardino l’esercizio di un potere discrezionale conferitogli da tale regolamento, devono rispettare il principio di certezza del diritto, quale principio generale del diritto dell’Unione (41). A mio avviso, tale principio si applica, nella specie, laddove gli Stati membri, nel definire detti criteri, applichino l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera n), di tale regolamento, ai fini dell’esercizio della facoltà di trattenimento dei richiedenti riconosciuta loro dalla prima di tali disposizioni.
63. Detto requisito è, peraltro, finalizzato a garantire che il potere discrezionale individuale delle autorità competenti ad applicare i criteri di valutazione del rischio di fuga sia esercitato nel quadro di delimitazioni previamente stabilite.
64. I menzionati obiettivi emergono anche dai lavori preparatori alla direttiva 2008/115/CE (42) (in prosieguo: la «direttiva rimpatrio»), il cui articolo 3, paragrafo 7, contempla una definizione del rischio di fuga pressoché identico a quello contenuto nell’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III (con la differenza che tali disposizioni riguardano, rispettivamente, la persona oggetto di una «procedura di rimpatrio» e quella sottoposta ad una «procedura di trasferimento»).
65. Sebbene la direttiva rimpatrio non si applichi ai richiedenti protezione internazionale (43) e, pertanto, il trattenimento ai fini dell’allontanamento disciplinato dalla medesima ed il trattenimento di detti richiedenti rientrino in distinti regimi giuridici (44), i lavori preparatori relativi a tale direttiva possono, a mio avviso, offrire un chiarimento riguardo all’interpretazione dell’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III. Infatti, tale disposizione è evidentemente ispirata all’articolo 3, paragrafo 7 di detta direttiva, di cui riprende quasi letteralmente il contenuto. Dai lavori preparatori al regolamento Dublino III non risulta, del resto, che la definizione del rischio di fuga di cui all’articolo 2, lettera n), di tale regolamento (45) sia stata oggetto di discussione.
66. Aggiungo che la soglia d’intensità che un rischio di tal genere deve superare per giustificare un provvedimento di trattenimento varia in funzione dello strumento applicabile. L’articolo 15, paragrafo 1, lettera a), della direttiva rimpatrio subordina il trattenimento ai fini dell’allontanamento alla sussistenza di un «rischio di fuga». L’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III richiede, a sua volta, un «rischio notevole di fuga» per privare della libertà un richiedente in attesa di trasferimento.
67. Inoltre, a differenza della procedura di rimpatrio, la procedura di trasferimento riguarda, segnatamente, i richiedenti che si trovano legalmente sul territorio dello Stato membro richiedente. Infatti, a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva procedura, come rammenta il considerando 9 della direttiva rimpatrio, un richiedente ha diritto a rimanere sul territorio dello Stato membro in cui presenta la sua domanda fino all’adozione della decisione dell’autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all’esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione (46). Ciò avviene anche nel caso in cui detto Stato membro ritenga di non essere competente per l’esame della domanda e richieda la presa in carico del richiedente da parte di un altro Stato membro in applicazione delle disposizioni del regolamento Dublino III (47).
68. Ciò premesso, ritengo che le garanzie previste dalla direttiva rimpatrio preordinate a delimitare il trattenimento delle persone destinate ad essere allontanate si applichino, a fortiori, al trattenimento di richiedenti oggetto di una procedura di trasferimento.
69. Orbene, osservo che, nell’ambito della procedura di adozione di detta direttiva, la proposta iniziale della Commissione non conteneva una definizione del rischio di fuga (48). Quest’ultima fu introdotta nella relazione della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (in prosieguo: la «commissione LIBE») del Parlamento europeo, la quale, tuttavia, si limitava a richiedere che un siffatto rischio fosse valutato sulla base di «criteri individuali ed obiettivi» (49). La posizione del Parlamento europeo in prima lettura, approvata dal Consiglio, ha sostituito tale formulazione con l’espressione «criteri obiettivi definiti dalla legge» (50).
70. La scelta di tali termini, sebbene la proposta della Commissione non disciplinasse in alcun modo la valutazione del rischio di fuga e la relazione della commissione LIBE facesse riferimento soltanto a «criteri individuali e obiettivi» senza precisarne la fonte, non può essere casuale (51). A mio avviso, essa è rappresentativa di una volontà di garantire la prevedibilità dei criteri utilizzati al momento della valutazione caso per caso del rischio di fuga e di bilanciare il potere delle autorità preposte a tale valutazione delimitandolo tramite criteri obiettivi di carattere generale ed astratto.
2. Sulla necessità di una legislazione che definisca i criteri di valutazione del rischio di fuga al fine di conseguire detti obiettivi
71. Il conseguimento dei due obiettivi summenzionati richiede, a mio avviso, la fissazione dei criteri obiettivi di valutazione del rischio di fuga per mezzo di una legge.
a) Sull’obiettivo volto a garantire la certezza del diritto
72. Il principio di certezza del diritto comporta, in sostanza, che le misure di attuazione del diritto dell’Unione adottate da uno Stato membro consentano ai soggetti di diritto interessati di conoscere la portata dei loro diritti ed obblighi e di prevedere le conseguenze dei loro comportamenti (52). Come la Corte ha già avuto modo di rilevare (53), il rispetto di questo principio dipende non solo dal contenuto delle misure adottate ma, all’occorrenza, anche dalla natura dello strumento scelto a tal fine.
73. Atteso che non ritengo opportuno o possibile valutare in astratto la rispettiva bontà della legge, della giurisprudenza e della prassi amministrativa sotto il profilo della certezza del diritto, incentrerò la mia analisi sulle specifiche circostanze che caratterizzano il procedimento principale.
74. Come illustrato supra al paragrafo 25, il giudice del rinvio fa riferimento ad una serie di sentenze della propria giurisprudenza, ognuna delle quali sancisce uno o più criteri che consentono di valutare la sussistenza di un rischio di fuga. L’elencazione di tali criteri è dunque caratterizzata dalla frammentarietà.
75. Questa constatazione suggerisce parimenti che tali criteri siano stati individuati caso per caso da detto giudice, sulla base delle circostanze individuali caratterizzanti i singoli procedimenti dinanzi esso pendenti. A tal proposito, il governo ceco ha riconosciuto, all’udienza, che la prassi amministrativa e la giurisprudenza possono evolvere quando dall’esperienza concreta emergano nuovi criteri rilevanti ai fini della valutazione del rischio di fuga. La giurisprudenza conferirebbe quindi validità giuridica a criteri previamente individuati dalla prassi amministrativa.
76. In tale contesto, dubito che una siffatta prassi amministrativa e giurisprudenza, ancorché consolidate, forniscano sufficienti garanzie sotto il profilo della prevedibilità. Ciò vale, a fortiori, alla luce della particolare gravità dell’ingerenza esercitata sui diritti fondamentali dei richiedenti da un provvedimento di trattenimento – ingerenza che, del resto, il legislatore dell’Unione intendeva limitare a casi eccezionali (54).
77. Infatti, se i criteri di valutazione del rischio di fuga potessero risultare da una prassi amministrativa o da una giurisprudenza che avvallasse all’occorrenza tale prassi, i medesimi rischierebbero di subire variazioni in base all’evolversi di detta prassi. In siffatta ipotesi, i criteri in parola potrebbero difettare della necessaria stabilità per essere considerati «definiti», come richiede l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III.
78. Inoltre, il governo ceco ha espresso, all’udienza, riserve sul carattere pubblico della prassi amministrativa da cui risultano tali criteri. Orbene, in assenza di misure di pubblicazione, non sarebbe garantita l’accessibilità dei medesimi da parte dei soggetti di diritto interessati. La Corte ha d’altronde rilevato, al riguardo,, che semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non presentano la chiarezza e la precisione necessarie per soddisfare il requisito della certezza del diritto (55).
79. Indubbiamente, come sottolineato dal governo del Regno Unito, la definizione dei criteri di valutazione del rischio di fuga in una legge scritta non offre un’assoluta garanzia di certezza del diritto rispetto al requisito della valutazione caso per caso e concreta di tale rischio. Tuttavia, ritengo che la delimitazione di tale valutazione tramite criteri fissati dalla legge offra maggiori garanzie in termini di stabilità e, quindi, di certezza del diritto. A mio avviso, peraltro, il legislatore dell’Unione ha imposto che tale potere fosse delimitato da criteri di fonte legislativa proprio per ridurre i rischi di un esercizio arbitrario del potere discrezionale individuale dell’autorità amministrativa e giudiziaria (56).
80. D’altronde, si potrebbe obiettare che i diritti dei richiedenti, sarebbero, all’occorrenza, più tutelati da una giurisprudenza o da una prassi amministrativa consolidate che sanciscano criteri precisi e rigorosi che da una legge che stabilisca criteri vaghi e permissivi. Per evitare ogni fraintendimento in proposito, rammento che la questione in esame riguarda soltanto i requisiti relativi alla fonte normativa dei criteri di valutazione del rischio di fuga. Essa non concerne, dunque, la distinta problematica del contenuto di tali criteri (57).
b) Sull’obiettivo relativo alla delimitazione del potere discrezionale individuale dell’autorità amministrativa e giudiziaria
81. L’emanazione di una legge, oltre ai vantaggi sotto il profilo della certezza del diritto, offre ulteriori garanzie in merito al controllo esterno sul potere discrezionale dell’autorità amministrativa e giudiziaria competente a valutare il rischio di fuga e, all’occorrenza, a disporre il trattenimento di un richiedente.
82. Rispetto alla particolare gravità dell’ingerenza nel diritto fondamentale alla libertà costituito da un provvedimento di tal genere e alla volontà del legislatore di limitare il medesimo a circostanze eccezionali (58), il potere discrezionale di dette autorità dovrebbe essere delimitato in modo da tutelare al meglio i richiedenti da arbitrarie privazioni di libertà. In quest’ottica, è importante, a mio avviso, che autorità istituzionalmente distinte provvedano, da un lato, a determinare il contenuto in astratto dei criteri di cui trattasi e, dall’altro, ad applicarli al caso concreto.
83. Tale è, a mio avviso, la reale portata del duplice requisito dell’esame individuale e della delimitazione mediante criteri obiettivi predeterminati derivante dall’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III. Da un lato, la disposizione de qua impone all’autorità amministrativa e giudiziaria di tenere conto delle circostanze di ciascun caso concreto, dall’altro essa garantisce che tale potere discrezionale individuale sia incanalato mediante criteri generali ed astratti previamente determinati da un’autorità terza.
84. Tali considerazioni, consentono, a mio parere, di escludere che il requisito secondo cui i criteri obiettivi per valutare il rischio di fuga devono essere definiti «dalla legge» sia soddisfatto quando tali criteri non siano stabiliti dalla legge, bensì da una prassi amministrativa o dalla giurisprudenza (59).
85. A conferma di tale tesi, aggiungo, innanzitutto, che l’approccio da me suggerito corrisponde a quello adottato dalla Commissione nel suo «manuale sul rimpatrio» per quanto attiene all’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva rimpatrio (60).
86. La maggior parte degli Stati membri, poi, sembra riconoscere che l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III impone loro di definire i criteri di valutazione del rischio di fuga mediante legge laddove intendano ricorrere al trattenimento, come risulta dalle risposte a due questionari rivolti ai «punti di contatto nazionale» degli Stati membri nell’ambito delle indagini della rete europea sulle migrazioni (61). La maggioranza dei rispondenti a detti questionari ha dichiarato che, nel corso del 2014, la legislazione nazionale definiva i criteri obiettivi di valutazione del rischio di fuga ai sensi dell’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III o era in procinto di essere emendata a tal fine. Così è stato per la Repubblica ceca, la cui legislazione è stata quindi modificata successivamente alla domanda di pronuncia pregiudiziale (62). Solo il «punto di contatto nazionale» del Regno Unito ha contestato che i criteri de quibus richiedano una definizione legislativa.
87. Infine, diversi organi giurisdizionali nazionali propendono per tale interpretazione. In particolare, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ha ritenuto che la disposizione in esame richieda che i motivi che consentono di ritenere esistente un rischio di fuga siano determinati per legge (non essendo sufficiente al riguardo una definizione giurisprudenziale) in modo prevedibile e controllabile (63). Il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) si è parimenti espresso in tal senso, escludendo peraltro la necessità di una domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto nessun’altra interpretazione sarebbe stata possibile (64). Allo stesso modo, la Cour administrative (Corte amministrativa, Lussemburgo) ha sottolineato che l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III rinvia a disposizioni di natura legislativa (65). Il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), a sua volta, ha ritenuto che il rischio di fuga di cui all’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva rimpatrio (66), deve basarsi su criteri obiettivi definiti dalla legge, non essendo sufficiente al tal fine una prassi amministrativa (67).
V – Conclusione
88. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dal Nejvyšší správní soud (Corte amministrativa suprema, Repubblica ceca) nei termini seguenti:
Il combinato disposto degli articoli 2, lettera, n), e 28, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, dev’essere interpretato nel senso che uno Stato membro non è autorizzato a trattenere una persona richiedente protezione internazionale, al fine di assicurare la procedura di trasferimento verso un altro Stato membro, se tale primo Stato membro non ha definito, mediante legge, i criteri obiettivi che consentono di valutare la sussistenza di un rischio di fuga, anche laddove tali criteri risultino dalla giurisprudenza o dalla prassi amministrativa dello Stato membro medesimo.