Language of document : ECLI:EU:C:2017:788

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 19 ottobre 2017 (1)

Causa C270/16

Carlos Enrique Ruiz Conejero

contro

Ferroser Servicios Auxiliares SA

e

Ministerio Fiscal

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de lo Social No 1 de Cuenca (Tribunale del lavoro n. 1 di Cuenca, Spagna)]

«Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di discriminazione in base all’handicap – Normativa nazionale che consente, a determinate condizioni, il licenziamento di un lavoratore in ragione di assenze ripetute, sebbene giustificate – Assenza debitamente giustificata per motivi legati alla disabilità del lavoratore»






1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale viene chiesto alla Corte di esaminare l’applicazione del divieto di discriminazione basata sull’handicap previsto dalla direttiva 2000/78 (2) a una normativa nazionale che consente a un datore di lavoro di risolvere un contratto di lavoro a seguito di uno o più periodi di assenza dal lavoro senza riferimento al fatto che il dipendente di cui si tratta potrebbe essere affetto da disabilità.

 Contesto normativo

 Direttiva 2000/78

2.        La direttiva 2000/78 contiene i seguenti considerando:

«(16)      La messa a punto di misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro ha un ruolo importante nel combattere la discriminazione basata sull’handicap.

(17)      La presente direttiva non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazione né prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili.

(…)

(20)      È opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento.

(21)      Per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni.

(…)».

3.        L’articolo 1 della direttiva 2000/78, rubricato «Obiettivo», così recita:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

4.        L’articolo 2 della direttiva 2000/78, rubricato «Nozione di discriminazione», dispone quanto segue:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)      sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)      tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii)      nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.

(…)».

5.        Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2000/78, rubricato «Campo d’applicazione»:

«1.      Nei limiti dei poteri conferiti alla [Unione europea], la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

a)      alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

(…)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

(…)».

6.        L’articolo 5 della direttiva 2000/78, rubricato «Soluzioni ragionevoli per i disabili», dispone quanto segue:

«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».

 Diritto nazionale

7.        L’articolo 52, lettera d), del Real Decreto Legislativo 1/1995, de 24 de marzo, por le que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores (regio decreto legislativo 1/1995, del 24 marzo, con cui si approva la versione consolidata della legge sullo statuto dei lavoratori) (3) [in prosieguo: l’articolo 52, lettera d), dello statuto dei lavoratori], così dispone:

«Cessazione del rapporto di lavoro per cause oggettive.

Il rapporto di lavoro può cessare:

(…)

d)      per assenze dal lavoro, sebbene giustificate ma intermittenti, che ammontino al 20% dei giorni feriali (jornadas hábiles) in due mesi consecutivi sempre che il totale delle assenze dal lavoro nei dodici mesi precedenti sia pari al 5% dei giorni feriali, o al 25% in quattro mesi non continuativi nel corso di un periodo di dodici mesi.

Ai fini del paragrafo precedente non rientrano nel computo delle assenze dal lavoro le assenze dovute a sciopero legittimo per la durata dello stesso, lo svolgimento di attività di rappresentanza sindacale dei lavoratori, infortunio sul lavoro, maternità, rischio nel corso di gravidanza e allattamento, malattie determinate da gravidanza, parto o allattamento, paternità, congedi e ferie, malattia o infortunio non verificatosi sul lavoro quando l’assenza sia stata concessa dai servizi sanitari ufficiali [pubblici] e abbia una durata superiore a venti giorni consecutivi, né le assenze motivate dalla situazione fisica o psicologica conseguente a violenza di genere, certificata dai servizi sociali competenti o dai servizi sanitari, a seconda dei casi.

Non si computano neanche le assenze dovute ad una terapia medica per cancro o grave patologia».

8.        L’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), della Ley del Estatuto de los Trabajadores (legge sullo statuto dei lavoratori) stabilisce quanto segue:

«2.      Nel rapporto di lavoro, i lavoratori hanno il diritto:

(…)

c)      di non essere discriminati direttamente o indirettamente al fine dell’impiego, o dopo essere stati assunti, per motivi di sesso, stato civile, età, entro i limiti fissati dalla presente legge, origine razziale o etnica, condizione sociale, religione o convinzioni personali, idee politiche, orientamento sessuale, appartenenza o meno ad un sindacato, così come per motivi di lingua, nello Stato spagnolo.

Essi non possono neanche essere discriminati per motivo di disabilità, purché siano in condizioni tali da avere la capacità di svolgere il lavoro o l’impiego di cui trattasi».

9.        L’articolo 2, lettera d), del Real Decreto Legislativo 1/2013, de 29 de noviembre, por el que se aprueba el Texto Refundido de la Ley General de derechos de las personas con discapacidad y de su inclusión social (regio decreto legislativo 1/2013, del 29 novembre, con cui si approva la versione consolidata della legge generale sui diritti delle persone con handicap e sulla loro inclusione sociale; in prosieguo: la «legge generale sulla disabilità») stabilisce quanto segue:

«Definizioni.

Ai fini della presente legge si intende con:

discriminazione indiretta: essa sussiste quando una disposizione legislativa o regolamentare, una clausola convenzionale [di un contratto collettivo] o contrattuale, un accordo individuale, una decisione unilaterale, un criterio o una prassi, oppure un ambiente circostante, prodotto o servizio apparentemente neutri possono creare un particolare svantaggio ad una persona rispetto ad altre a motivo di o in ragione di una disabilità, purché oggettivamente non rispondano a una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento non siano appropriati e necessari».

10.      L’articolo 40, paragrafo 2, della legge generale sulla disabilità così recita:

«I datori di lavoro devono adottare le misure appropriate al fine di adattare il posto di lavoro e migliorare la sua accessibilità in funzione delle esigenze di ciascuna situazione specifica, allo scopo di consentire alle persone con disabilità di accedere al lavoro, svolgere le proprie mansioni, progredire sotto il profilo professionale e accedere alla formazione, a meno che tali provvedimenti costituiscano per il datore di lavoro un onere finanziario eccessivo.

Per stabilire se un onere sia eccessivo occorre valutare se esso sia sufficientemente attenuato mediante le misure, gli aiuti o le sovvenzioni pubbliche per persone con disabilità, prendendo altresì in considerazione i costi finanziari e di altra natura che dette misure comportano le dimensioni e il volume d’affari complessivo dell’impresa o dell’organizzazione».

 Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

11.      Il sig. Carlos Enrique Ruiz Conejero lavora come addetto alle pulizie dal 2 luglio 1993 e, all’epoca dei fatti, era impiegato presso la Ferroser Servicios Auxiliares, SA, appaltatrice del servizio di pulizia dell’ospedale Virgen de la Luz di Cuenca (dipendente dal Servicio de Salud de Castilla‑La Mancha, struttura di servizi sanitari della Comunità autonoma di Castiglia‑La Mancia), dove egli prestava i propri servizi. In precedenza aveva lavorato presso le ditte antecedentemente aggiudicatarie dell’appalto per servizi di pulizia e non aveva avuto alcun problema lavorativo né era mai stato sanzionato disciplinarmente.

12.      Al sig. Ruiz Conejero è stata riconosciuta la condizione di persona disabile mediante decisione del 15 settembre 2014 emessa dalla Delegación en Cuenca de la Consejería de Salud y Asuntos Sociales de la Junta de Comunidades de Castilla‑La Mancha (organo delegato di Cuenca dell’Assessorato per la sanità e le questioni sociali della Giunta delle Comunità di Castiglia‑La Mancia). Detta decisione indica che egli era affetto da disabilità pari al 37%, di cui 32% per limitazioni fisiche [24% dovuto a malattie del sistema endocrino e del metabolismo (obesità) e 10% a limitazione funzionale della colonna vertebrale] e 5% per fattori sociali complementari (4).

13.      Nel periodo compreso fra il 2014 e il 2015 il lavoratore è stato assente per malattia comune nei seguenti periodi:

–        Dall’1 al 17 marzo 2014 per «dolori acuti», che hanno reso necessario il ricovero in ospedale (dal 26 febbraio al 1o marzo 2014);

–        dal 26 al 31 marzo 2014 per «vertigini/nausea»;

–        dal 26 giugno all’11 luglio 2014 per «lombalgia»;

–        dal 9 al 12 marzo 2015 per «lombalgia»;

–        dal 24 marzo al 7 aprile 2015 per «lombalgia»;

–        dal 20 al 23 aprile 2015 per «vertigini/nausea».

14.      Secondo la diagnosi dei Servicios Médicos de la Sanidad Pública (servizi medici della sanità pubblica), tanto le «vertigini/nausea», quanto la «lombalgia» sono provocate da un’artropatia degenerativa e da una poliartrosi, aggravate dall’obesità da cui è affetto il sig. Ruiz Conejero, per cui si conclude che dette limitazioni sono dovute alle patologie che determinano la sua disabilità.

15.      Il sig. Ruiz Conejero ha comunicato al proprio datore di lavoro, in tempo utile e nelle forme appropriate, tutte le situazioni di assenza, presentando i relativi certificati medici attestanti i motivi e la durata della stessa. Tuttavia, egli non ha comunicato a detto datore di lavoro in nessun momento prima del licenziamento la propria condizione di disabile e ha rinunciato volontariamente agli esami medici periodici offerti ed effettuati dal servizio medico aziendale. L’ordinanza di rinvio indica che, di conseguenza, il suo datore di lavoro, nel momento in cui ha proceduto al licenziamento, non era a conoscenza del fatto che egli era o poteva essere affetto da disabilità.

16.      Mediante comunicazione scritta indirizzata al sig. Ruiz Conejero e datata 7 luglio 2015, il datore di lavoro gli ha comunicato il licenziamento per cause oggettive, in forza dell’articolo 52, lettera d), dello statuto dei lavoratori, avendo egli superato i limiti stabiliti in detta disposizione per le assenze dal lavoro, sebbene giustificate. In particolare, la lettera indicava che nei mesi di marzo e aprile 2015 le assenze avevano superato il 20% dei giorni lavorativi e, nel contempo, il 5% dei giorni lavorativi nei 12 mesi precedenti.

17.      Il sig. Ruiz Conejero ha successivamente impugnato il proprio licenziamento dinanzi allo Juzgado de lo Social No 1 de Cuenca (Tribunale del lavoro n. 1 di Cuenca, Spagna). In tale impugnazione, egli non mette in dubbio la veridicità o l’esattezza di dette assenze dal lavoro né la conseguenza delle stesse in termini percentuali. Tuttavia, asserisce che esse sono state motivate esclusivamente dalla malattia che determina la sua disabilità. Sussisterebbe quindi un collegamento diretto fra le assenze dal lavoro e il suo stato di disabilità. Di conseguenza, egli chiede che sia dichiarata la nullità del licenziamento per discriminazione.

18.      In tali circostanze, il giudice del rinvio ha deciso di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva 2000/78 osti all’applicazione di una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro ha il diritto di licenziare un lavoratore per cause oggettive, a motivo di assenze dal lavoro, sebbene giustificate ma intermittenti, che ammontino al 20% dei giorni lavorativi in due mesi consecutivi sempre che il totale delle assenze dal lavoro nei dodici mesi precedenti sia pari al 5% dei giorni lavorativi, o al 25% in quattro mesi non consecutivi nel corso di un periodo di dodici mesi, nel caso di un lavoratore che debba considerarsi disabile nell’accezione della direttiva, quando l’assenza dal lavoro è stata causata dalla disabilità».

19.      Hanno presentato osservazioni scritte il sig. Ruiz Conejero, la Ferroser Servicios Auxiliares, il governo spagnolo e la Commissione europea. All’udienza tenutasi il 22 marzo 2017 tutte le suddette parti hanno presentato osservazioni orali e hanno risposto ai questi posti dalla Corte.

 Analisi

 Questioni preliminari

 L’obesità come handicap ai fini della direttiva 2000/78

20.      L’ordinanza di rinvio indica che al sig. Ruiz Conejero è stata riconosciuta a livello nazionale la condizione di disabilità essenzialmente in ragione, all’apparenza, della sua obesità.

21.      Nella causa FOA (5) era stato chiesto alla Corte di vagliare se il diritto dell’Unione preveda un principio generale di non discriminazione in ragione dell’obesità per quanto riguarda l’occupazione e le condizioni di lavoro. La Corte ha dichiarato che non esiste un siffatto principio (6). Tuttavia, essa ha proseguito esaminando se l’obesità possa rientrare nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78.

22.      La rispostà è stata nel senso della sussistenza di una simile possibilità. A detto riguardo, la Corte ha stabilito un criterio applicabile a livello dell’intera Unione. Essa ha dichiarato che, qualora «lo stato di obesità del lavoratore interessato comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e se tale limitazione è di lunga durata, una siffatta condizione può ricadere nella nozione di “handicap” ai sensi della direttiva». Tale sarebbe il caso, in particolare, se l’obesità del lavoratore interessato ostacolasse la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori in ragione di una mobilità ridotta o dell’insorgenza, in detta persona, di patologie che le impediscono di svolgere il suo lavoro o che determinano una difficoltà nell’esercizio della sua attività professionale (7).

23.      Qualora a un lavoratore sia stata riconosciuta la condizione di disabile ai sensi del diritto nazionale, egli può, ma non deve necessariamente, soddisfare anche i requisiti previsti al riguardo dal diritto dell’Unione. Spetta al giudice nazionale verificare, applicando il criterio sopra indicato, se tale ipotesi ricorra nel caso del sig. Ruiz Conejero. Tuttavia, poiché detto giudice ha formulato la questione pregiudiziale sul presupposto che l’interessato si trovi effettivamente in siffatta situazione, proseguirò la mia analisi sulla base di tale premessa.

 La portata della questione sollevata dal giudice del rinvio

24.      Sebbene la questione posta dal giudice a quo rifletta solo il testo dell’articolo 52, lettera d), dello statuto dei lavoratori, nella sua ordinanza di rinvio detto giudice fa presente altresì che il sig. Ruiz Conejero non ha comunicato la propria situazione clinica al suo datore di lavoro, circostanza che esso sembra ritenere – quanto meno implicitamente – ostativa all’applicazione degli articoli 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e 5 della direttiva 2000/78. Come spiegherò (8), mi sembra che, sotto tale aspetto, la situazione sia meno chiara di quanto reputi il giudice del rinvio. Per fornire a detto giudice una risposta utile, nel ragionamento che esporrò analizzerò anche le menzionate disposizioni.

 Discriminazione diretta o indiretta?

25.      L’effetto combinato dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/78 consiste nel vietare le discriminazioni dirette a causa di handicap in quasi tutti i casi (9).

26.      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, sussiste discriminazione diretta «quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga» a causa, inter alia, della sua disabilità.

27.      La disposizione nazionale in esame, identificata nella questione del giudice del rinvio, vale a dire l’articolo 52, lettera d), dello statuto dei lavoratori, si applica allo stesso modo a tutti i lavoratori. Essa non tratta i lavoratori disabili meno favorevolmente rispetto a quelli non disabili e pertanto non costituisce una discriminazione diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.

28.      Occorre quindi esaminare se la sua applicazione possa rappresentare una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), che fa riferimento a una disposizione, un criterio o una prassi «apparentemente neutri» ma che possono mettere in una posizione di particolare svantaggio, tra l’altro, le persone portatrici di un particolare handicap rispetto ad altre persone.

29.      Come rilevato dalla Corte nella sentenza HK Danmark (10), un lavoratore disabile è maggiormente esposto al rischio di vedersi applicare un periodo di preavviso ridotto rispetto ad un lavoratore non disabile, in quanto è esposto al rischio ulteriore di una malattia collegata al suo handicap e pertanto corre un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia (11). Ne consegue che la disposizione in parola risulta, prima facie, indirettamente discriminatoria.

30.      Ciò posto, occorre proseguire l’analisi stabilendo se, e in caso affermativo, in quale misura, siano applicabili le eccezioni previste dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punti i) o ii), della direttiva 2000/78.

31.      Il primo problema che si pone in tale contesto è quello del rapporto fra queste due deroghe. La seconda si applica solo ai casi di disabilità. Essa è preceduta dalla parola «o». Se ne può dedurre che le disposizioni in parola devono essere interpretate nel senso che in qualche modo si escludono a vicenda, addirittura fino ad affermare che la situazione delle persone disabili rientra esclusivamente nell’ambito di applicazione della seconda di dette disposizioni?

32.      Ritengo di no.

33.      Come osservato, a mio avviso giustamente, dal governo spagnolo in udienza, le due disposizioni devono essere lette congiuntamente, in quanto si può ritenere che la seconda fornisca indicazioni per valutare la proporzionalità della prima. Inoltre, non si può affermare che alle persone portatrici di handicap dovrebbe essere applicato l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e non l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), dato che, per i motivi che illustrerò più avanti (12), anche se può essere vero che la prima disposizione si applica alla maggior parte delle persone affette da disabilità, essa non risulta applicabile alla totalità delle stesse.

 Articoli 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e 5 della direttiva 2000/78 – Provvedimenti appropriati e soluzioni ragionevoli

34.      Analizzerò anzitutto l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), che a sua volta deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 5. Non sussiste discriminazione indiretta quando, per quanto concerne le «persone portatrici di un particolare handicap», il datore di lavoro sia tenuto in forza della normativa nazionale (13) a prendere provvedimenti appropriati per ovviare agli svantaggi provocati da una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri che altrimenti costituirebbero una discriminazione indiretta. Per adempiere l’obbligo di adottare provvedimenti appropriati, il datore di lavoro deve prevedere «soluzioni ragionevoli». Ciò impone al datore di lavoro di prendere provvedimenti, se necessari in uno specifico caso, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione. Il considerando 20 della direttiva fornisce ulteriori indicazioni (14). La Corte ha dichiarato che l’espressione «soluzioni ragionevoli» deve essere interpretata in senso ampio tenendo conto, inter alia, dell’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (15).

35.      Tuttavia, quanto sopra illustrato è soggetto all’importante requisito previsto dall’articolo 5 della direttiva 2000/78, secondo cui i provvedimenti da adottare non devono richiedere da parte del datore di lavoro ciò che detta direttiva definisce un «onere finanziario sproporzionato». A tale proposito, un chiarimento viene fornito dal considerando 21 della direttiva, secondo il quale è necessario tener conto in particolare dei costi che le soluzioni comportano, della natura dell’attività del datore di lavoro e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. In altri termini, occorre effettuare un bilanciamento.

36.      La direttiva non impone ai lavoratori disabili né ai potenziali lavoratori disabili di rendere nota la loro disabilità. È evidente, a mio parere, che non ci si può attendere che un datore di lavoro, il quale sia giustificatamente del tutto ignaro della disabilità del proprio dipendente – non risulta nulla che gli consenta di sapere che il dipendente sia disabile e quest’ultimo non lo ha informato di tale circostanza – prenda provvedimenti per prevedere «soluzioni ragionevoli». In quali circostanze dunque trova applicazione l’obbligo sancito dall’articolo 5?

37.      È chiaro che l’obbligo scatta quando il lavoratore abbia informato il suo datore di lavoro della propria disabilità e del grado della stessa, nonché di tutte le rilevanti circostanze del caso. Purché non gli vengano imposto un onere finanziario sproporzionato, il datore di lavoro sarà allora in grado di assistere attivamente il lavoratore e di prevedere soluzioni ragionevoli. Per mezzo di tali misure, il lavoratore sarà integrato nel personale dell’azienda.

38.      Qual è la situazione quando, come nella fattispecie, il lavoratore non abbia reso nota la propria disabilità? In alcuni casi, sarà evidente al datore di lavoro che, da ogni ragionevole punto di vista, l’interessato è disabile. L’esempio più ovvio è quello di un lavoratore che abbia perduto un arto a causa di un’amputazione. Il datore di lavoro non potrebbe non essere a conoscenza della situazione e si può presumere che egli debba o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza del fatto che il lavoratore è portatore di handicap. Non può sussistere alcun motivo per escludere tale lavoratore dall’ambito di applicazione dell’articolo 5. La risposta alla questione se il datore di lavoro dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza dell’handicap varierà da caso a caso. Poiché la gamma delle possibili disabilità è sia ampia che variegata, non può esistere una risposta «valida universalmente».

39.      Tuttavia, anche quando la disabilità è manifesta, ciò non implica che il datore di lavoro sia sempre al corrente delle misure appropriate – o di tutte le misure appropriate – che possono risultare necessarie al fine di prevedere soluzioni ragionevoli per il lavoratore. Il datore di lavoro può chiedere al dipendente di fornirgli ulteriori informazioni onde poter assicurare, ove possibile, supporto e assistenza. Se il dipendente rifiuta di fornire simili informazioni o non desidera comunicarle, non può essere obbligato a farlo. Egli potrebbe preferire non avvalersi di tale possibilità per motivi legati a ciò che percepisce come la propria dignità o indipendenza personali. In circostanze del genere, l’azione del datore di lavoro sarà circoscritta alla sola adozione di provvedimenti ovvi (16). Il risultato di siffatta azione può ottenere l’effetto di integrare il lavoratore nel personale dell’azienda, ma ciò non è scontato. Tuttavia, al datore di lavoro non si può imporre di adoperarsi ulteriormente.

40.      Inoltre, la situazione è resa ancor più complicata dal fatto che molte disabilità, per loro natura, non sono statiche. Ad esempio, un lavoratore può iniziare la sua carriera presso un determinato datore di lavoro con un handicap avente un impatto minimo sulla sua abilità al lavoro ma, successivamente, la sua condizione può peggiorare, con la conseguenza che tale impatto diviene più grave. In tale contesto ritengo che si applichino principi simili a quelli esposti supra. Se, e nella misura in cui, il lavoratore comunica al datore di lavoro i dettagli relativi alla propria situazione, quest’ultimo deve valutare se occorrano nuove misure per prevedere soluzioni ragionevoli. In caso contrario, il datore di lavoro è tenuto a prendere tutti i provvedimenti che risultano ovviamente necessari, ma non ci si può attendere che ne adotti di ulteriori (17).

41.      In generale, mi sembra che l’obbligo sancito dall’articolo 5 di prevedere soluzioni ragionevoli rappresenti una misura importante e utile. Imponendo al datore di lavoro di adottare una serie di accorgimenti effettivi, detta disposizione consente ai lavoratori disabili di partecipare al mercato del lavoro in un modo che altrimenti non sarebbe accessibile per molti di loro, arricchendone la vita in misura significativa. Inoltre, la direttiva ha una portata ampia. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c), essa si applica a tutte le fasi del rapporto di lavoro e alla fase di assunzione che lo precede. Ne consegue, a mio parere, che, qualora il datore di lavoro sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza del fatto che una persona che egli intende assumere o ha già assunto è affetta o potrebbe essere affetta da una disabilità, tale obbligo rappresenta il primo passo del processo che porta ad evitare un trattamento discriminatorio. La mancata assunzione o, a seconda dei casi, un licenziamento conseguente all’inosservanza del menzionato obbligo costituirà una discriminazione illegittima ai sensi della direttiva 2000/78.

42.      Ciò posto, occorre sottolineare che l’articolo 5 non ha una portata illimitata. Ho già fatto presente che l’obbligo ivi previsto non si applica quando avrebbe l’effetto di imporre al datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato (18). È inoltre importante osservare che la disposizione in parola è intesa a collocare i lavoratori disabili su un piano di parità con i colleghi non disabili, e non a garantire loro maggiori diritti. Così, il considerando 17 della direttiva 2000/78 indica, inter alia, che detta direttiva non impone a un datore di lavoro di mantenere nel posto di lavoro un dipendente il quale non sia competente, capace o disponibile a svolgere le mansioni essenziali del posto di lavoro di cui trattasi. Sotto tale aspetto, un lavoratore disabile si trova esattamente nella stessa posizione di un lavoratore non disabile (19).

43.      Più complessa appare la situazione che potrebbe presentarsi in conseguenza di una disabilità la quale, inizialmente, abbia consentito di prevedere soluzioni ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della direttiva ma che si sia aggravata al punto tale che siffatte soluzioni non risultano più praticabili o possono essere applicate solo imponendo al datore di lavoro un onere finanziario eccessivo. In circostanze del genere, il datore di lavoro può ricorrere al licenziamento?

44.      Ritengo che un licenziamento basato unicamente sulla disabilità del dipendente non sia giustificabile. Esso costituirebbe una discriminazione diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva. Tuttavia, qualora il licenziamento fosse basato su una delle cause indicate nel considerando 20 o su di un’altra causa che non costituisca una discriminazione, a mio avviso esso non contravverrebbe ai requisiti della direttiva.

45.      Alla luce dell’analisi sopra svolta, ritengo la prima parte della risposta da fornire al giudice del rinvio debba essere che, valutando l’applicazione della direttiva 2000/78 al licenziamento di un lavoratore in circostanze che potrebbero costituire una discriminazione indiretta ai sensi della medesima direttiva, occorre anzitutto valutare l’applicazione degli articoli 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e 5 di detta direttiva. Qualora un lavoratore sia affetto da una disabilità e il suo datore di lavoro sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di tale disabilità, quest’ultimo è tenuto a prendere provvedimenti appropriati per prevedere soluzioni ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della menzionata direttiva, a meno che ciò richieda da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. L’inadempimento dell’obbligo in parola avrà la conseguenza di rendere il licenziamento del lavoratore effettuato in violazione dei requisiti di cui alla direttiva.

 L’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva 2000/78

46.      Ho rilevato che la tutela offerta ai disabili dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), letto alla luce dell’articolo 5, può essere sia importante che utile. È egualmente pacifico che la portata di detta tutela può subire limitazioni (20).

47.      La circostanza che le disposizioni citate si riferiscano specificamente ai disabili significa che le medesime andrebbero interpretate nel senso che, ove risultino applicabili, esse sono esaustive? In altri termini, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro rispetti gli articoli 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e 5, e fatti salvi i limiti che ho menzionato al paragrafo 44, il licenziamento di un lavoratore disabile sarebbe valido e sarebbe superfluo che il datore di lavoro si attenessein alcun modo anche dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i)?

48.      Ritengo che siffatto approccio sarebbe troppo semplicistico.

49.      A mio parere, gli articoli 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e 5 della direttiva 2000/78 si limitano a dare espressione concreta ad un aspetto particolare della discriminazione indiretta in base all’handicap, con riguardo tanto iagli obblighi positivi da essi imposti, quanto ai limiti di tali obblighi. Un datore di lavoro può essere tenuto, ove ricorrano circostanze adeguate ed entro limiti proporzionati, a prendere attivamente iniziative dirette a promuovere gli interessi di soggetti che altrimenti subirebbero una discriminazione. Invero, ho affrontato tale aspetto – ancorché a grandi linee – al paragrafo 125 delle mie conclusioni nella causa Bougnaoui (21), esaminando l’applicazione in detta causa della dottrina della proporzionalità alla discriminazione indiretta. In quel contesto ho osservato che «[l]a proporzionalità può variare in funzione delle dimensioni dell’impresa interessata. Più grande è l’impresa, più è probabile che essa disponga delle risorse che le consentono di essere flessibile in termini di ripartizione dei compiti tra i suoi dipendenti. Così, ci si può attendere che un datore di lavoro di una grande impresa adotti iniziative per trovare un accordo ragionevole con il suo personale più di quanto non ci si aspetti da un datore di lavoro di un’impresa medio‑piccola».

50.      Tuttavia, supponiamo che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), non sia applicabile a una specifica fattispecie. Dal suo tenore emerge chiaramente che esso non si applica a tutti i disabili, ma solo «nel caso di persone portatrici di un particolare handicap». Il beneficio delle misure relative alle soluzioni ragionevoli di cui all’articolo 5 sarà quindi riservato alla categoria ristretta composta a) dalle persone portatrici di handicap per le quali possono essere effettivamente previste soluzioni ragionevoli – non tutte la categorie di disabilità ne consentono l’adozione – e b) dalle persone per le quali possono essere previste siffatte soluzioni senza imporre un onere finanziario sproporzionato al datore di lavoro. Non vedo motivi per escludere i disabili che non rientrano in tale categoria dall’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), e nemmeno ritengo che le persone rientranti in detta categoria non dovrebbero essere coperte anche da detta disposizione.

51.      Inoltre, un simile approccio restrittivo si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza costante. Nella sentenza HK Danmark (22), la Corte ha esaminato separatamente l’applicazione degli articoli 5 (23) e 2, paragrafo 2, lettera b), punto i) (24), della direttiva 2000/78 a un lavoratore soggetto a un termine di preavviso (asseritamente discriminatorio) previsto dalla normativa nazionale. Essa non ha mai affermato che l’applicazione di dette disposizioni era reciprocamente esclusiva. Al contrario, ha dichiarato che un licenziamento ai sensi della disposizione nazionale controversa – in relazione al quale ha poi constatato che poteva essere valido a norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva, purché fossero soddisfatti i requisiti rilevanti – non poteva essere valido se il datore di lavoro non aveva adottato i provvedimenti appropriati per prevedere soluzioni ragionevoli in conformità con l’articolo 5 (25).

52.      Sebbene detta causa e quella ora in esame siano simili in quanto riguardano entrambe la validità (o l’invalidità) di una disposizione di diritto nazionale che disciplina i periodi di preavviso nel contesto della direttiva 2000/78, il giudice del rinvio afferma nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale nella presente causa di essere «stato indotto a dubitare dell’interpretazione o della validità della direttiva 2000/78» dalla risposta interpretativa formulata dalla Corte nella sentenza HK Danmark (26).

53.      Vale quindi la pena di esaminare detta sentenza in maniera più approfondita.

54.      I fatti all’origine della controversia dinanzi al giudice nazionale riguardavano due lavoratori subordinati che erano stati licenziati per motivi asseritamente discriminatori legati all’handicap (27). La disposizione normativa nazionale(28) sulla quale erano basati i licenziamenti prevedeva che un lavoratore poteva essere licenziato con un preavviso di un mese se era stato assente per malattia, con mantenimento della retribuzione, per 120 giorni nel corso degli ultimi dodici mesi. Il termine previsto da detta disposizione era un termine abbreviato: di regola, ai sensi della normativa nazionale, il preavviso era compreso fra tre e sei mesi. La disposizione controversa si applicava in modo identico alle persone disabili e alle persone non disabili. Il governo danese faceva valere che detta disposizione mirava ad incentivare i datori di lavoro ad assumere e a mantenere nel posto di lavoro lavoratori che presentassero un particolare rischio di assenze ripetute per malattia, consentendo loro di procedere, in un momento successivo, al licenziamento di questi ultimi con un preavviso ridotto qualora l’assenza tendesse a protrarsi per un periodo notevolmente lungo. Quale contropartita, tali lavoratori potevano conservare il posto di lavoro per la durata della loro malattia. Detto governo sosteneva che la norma in esame preservava sia gli interessi del datore di lavoro sia quelli del lavoratore (29).

55.      La Corte ha considerato (per quel che rileva nel presente procedimento) quanto segue:

–        ha fatto riferimento alla regola stabilita nella sentenza Chacón Navas (30)secondo cui un trattamento sfavorevole basato sull’handicap va contro la tutela prevista dalla direttiva 2000/78 unicamente nei limiti in cui costituisca una discriminazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultima. Si poneva pertanto la questione se la disposizione nazionale in esame nel procedimento principale fosse atta a comportare una discriminazione nei confronti delle persone disabili (punto 71);

–        ha ricordato i) che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nella scelta non solo del perseguimento di una determinata finalità in materia di politica sociale e dell’occupazione, ma anche nella definizione delle misure idonee alla sua realizzazione (punto 81) e ii) che la promozione delle assunzioni costituisce incontestabilmente un obiettivo legittimo di politica sociale o dell’occupazione degli Stati membri e che tale valutazione deve evidentemente applicarsi a strumenti di politica del mercato del lavoro nazionale diretti a migliorare le opportunità di inserimento nella vita attiva di talune categorie di lavoratori. Allo stesso modo, un provvedimento adottato per favorire la flessibilità del mercato del lavoro può essere considerato una misura di politica occupazionale (punto 82);

–        pertanto, finalità del tipo di quelle indicate dal governo danese potevano essere considerate idonee a giustificare oggettivamente, nell’ambito del diritto nazionale, come previsto all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva 2000/78, una disparità di trattamento basata sull’handicap, come quella di cui alla disposizione nazionale in parola (punto 83).

56.      Avendo quindi accertato che la suddetta disposizione perseguiva obiettivi che, in linea di principio, potevano essere legittimi ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), la Corte ha poi esaminato se i mezzi impiegati per conseguire tali finalità fossero proporzionati. Essa ha nuovamente sottolineato l’ampio margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri in questo settore e ha osservato che non sembrava irragionevole che essi ritenessero che la misura nazionale in esame potesse essere appropriata per il conseguimento delle finalità sopra menzionate (punto 87).

57.      La Corte ha quindi dichiarato che:

–        poteva ritenersi possibile che detta norma, prevedendo la facoltà di ricorrere ad un preavviso di durata ridotta per procedere al licenziamento dei lavoratori assenti per malattia per oltre 120 giorni, avesse, per quanto riguardava i datori di lavoro, un effetto di incentivazione nell’assunzione e nel mantenimento dell’occupazione (punto 88);

–        per esaminare se tale norma eccedesse quanto necessario per realizzare le finalità perseguite, occorreva ricollocare tale disposizione nel contesto in cui si inseriva e prendere in considerazione il danno che essa poteva causare ai soggetti interessati (punto 89);

–        spettava al giudice del rinvio verificare se il legislatore nazionale, perseguendo le legittime finalità della promozione dell’assunzione delle persone malate, da un lato, e di un ragionevole equilibrio tra gli opposti interessi del lavoratore e del datore di lavoro per quanto riguardava le assenze per malattia, dall’altro, avesse trascurato di tener conto di elementi rilevanti che riguardavano, in particolare, i lavoratori disabili (punto 90). Non deve ignorarsi il rischio cui sono soggette le persone disabili, le quali, in generale, incontrano maggiori difficoltà rispetto ai lavoratori non disabili a reinserirsi nel mercato del lavoro ed hanno esigenze specifiche connesse alla tutela richiesta dalla loro condizione (punto 91).

58.      Quali indicazioni si possono trarre da detta sentenza ai fini della presente causa?

59.      In primo luogo, mi sembra che, per stabilire se la misura nazionale in discussione persegua uno scopo legittimo, non è necessario che essa indichi tale scopo in termini espliciti. Sebbene spetti al giudice nazionale verificare che lo scopo della misura sia effettivamente legittimo, il suo (eventuale) scopo esplicito o dichiarato non è un fattore di cui detto giudice debba tenere conto. Né nella causa HK Danmark (31), né nel presente procedimento sembra esservi stato alcun riferimento del genere nella normativa nazionale in parola (32).

60.      In secondo luogo, lo scopo della disposizione in discussione nella causa HK Danmark (33)era incentivare i datori di lavoro ad assumere e a mantenere nel posto di lavoro lavoratori che presentassero un particolare rischio di assenze ripetute per malattia. La Corte sembra avere avuto poche difficoltà a concludere che un simile obiettivo, dal momento che era atto ad incentivare le assunzioni, poteva essere legittimo (34). Nel presente caso, l’obiettivo dell’adozione della normativa in questione menzionato dal governo spagnolo è il contrasto all’assenteismo, un problema che a suo avviso rappresenta in quello Stato membro un grave motivo di preoccupazione (35). Nel perseguire tale obiettivo, la misura in parola mira a raggiungere un equilibrio fra gli interessi dei datori di lavoro e quelli dei lavoratori assicurando che le imprese possano mantenere la loro produttività e che i lavoratori non siano licenziati senza ragione. Come osservato dalla Commissione, si può affermare che il fatto che l’elenco delle assenze escluse comprenda malattie che hanno poche probabilità di ripetersi corrobora l’argomento secondo cui la misura in discussione mira a contrastare l’assenteismo (36). A mio parere, la lotta all’assenteismo nei luoghi di lavoro, ove sia dimostrato che esso provoca chiaramente danni materiali tanto a livello nazionale quanto ai datori di lavoro che ne subiscono le conseguenze, può essere parimenti considerata una finalità legittima.

61.      Per quanto riguarda la proporzionalità della misura nazionale in discussione, mi sembra che si possano enucleare due aspetti specifici nel ragionamento della Corte esposto sinteticamente supra ai paragrafi 56 e 57. Anzitutto, il giudice del rinvio deve effettuare una ponderazione per stabilire se la misura di cui trattasi sia adeguata, prendendo in considerazione tanto gli interessi del datore di lavoro quanto quelli dei suoi dipendenti, o potenziali dipendenti, portatori di handicap. In secondo luogo, detto giudice deve tenere conto dell’ampio potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri in detto settore.

62.      L’esistenza del secondo di tali fattori rende difficile fornire al giudice del rinvio altro se non indicazioni molto generiche – forse, lo riconosco, meno indicazioni di quante quest’ultimo auspicherebbe. Mentre risulta che gli interessi del datore di lavoro vengono effettivamente presi in considerazione dalla misura di cui trattasi, la Corte dispone di meno elementi per quanto riguarda quelli dei lavoratori disabili, a parte la dichiarazione riportata al precedente paragrafo 60 secondo cui «i lavoratori non [devono essere] licenziati senza ragione». In tale contesto generale, rilevo che la misura nazionale in discussione nella causa HK Danmark (37) prevedeva che un datore di lavoro poteva licenziare un dipendente se le assenze ammontavano in totale a 120 giorni nell’arco di dodici mesi consecutivi. La misura in discussione nel presente procedimento è più complessa. Tuttavia, appare che le assenze da essa consentite sono in ogni caso verosimilmente più limitate di quanto non fossero in base alla misura danese.

63.      Ciò non significa di per sé che le disposizioni in questione siano sproporzionate. Spetta al giudice del rinvio stabilire se esse siano redatte in modo sufficientemente ampio da poter essere estese alle assenze meramente occasionali e sporadiche – nel qual caso, a mio avviso, è evidente che non sarebbero proporzionate – o se siano configurate adeguatamente per conseguire l’obiettivo del contrasto all’assenteismo. Detto giudice deve inoltre tenere conto del fatto che le misure danesi prevedevano che al datore di lavoro fossero rimborsate, quanto meno in parte, le indennità di malattia che esso versava ai propri dipendenti (38), mentre la normativa spagnola applicabile non lo prevede: al contrario, il datore di lavoro è obbligato a pagare di tasca propria, quanto meno in misura sostanziale, per tali assenze (39). I fattori sopra menzionati non sono necessariamente decisivi di per sé ai fini dell’esame della questione da parte del giudice del rinvio. Si tratta solamente di elementi che devono essere presi in considerazione per esaminare tutti gli aspetti rilevanti del problema. Il punto essenziale nella fattispecie è se la misura sia adeguata e necessaria, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio. Sottolineo che non mi esprimo in via definitiva su detto aspetto.

64.      Pertanto, ritengo che la seconda parte della risposta da fornire al giudice del rinvio sia nel senso che, per valutare la legittimità di una misura nazionale che i) consente a un datore di lavoro di licenziare un dipendente che deve essere considerato disabile ai sensi della direttiva 2000/78 ii) a causa dell’assenza (o delle assenze) dal lavoro di detto dipendente in conseguenza della sua disabilità e iii) fissa una soglia o una serie di soglie che tale assenza (o tali assenze) deve (o devono) superare affinché il licenziamento sia valido, occorre tenere conto dei criteri enunciati ai punti da 71 a 91 della sentenza della Corte nella causa HK Danmark (40). A siffatto proposito, una misura nazionale diretta a contrastare l’assenteismo sul luogo di lavoro, ove sia dimostrato che tale assenteismo provoca un danno concreto tanto a livello nazionale, quanto ai datori di lavoro che devono subirne le conseguenze, può essere considerato uno scopo legittimo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva. Per quanto riguarda la proporzionalità della misura nazionale in discussione, il giudice del rinvio deve collocare la normativa nel suo contesto e tenere conto degli effetti pregiudizievoli che essa può comportate per gli interessati. Spetta a detto giudice stabilire se le disposizioni della menzionata normativa siano redatte in modo sufficientemente ampio da comprendere le assenze meramente occasionali e sporadiche – nel qual caso non sarebbero proporzionate – o se siano configurate adeguatamente per conseguire l’obiettivo del contrasto all’assenteismo. Può inoltre assumere rilevanza la misura in cui le indennità di malattia devono essere versate dal datore di lavoro. Tuttavia, nessuno dei suddetti elementi è decisivo di per sé. Il punto essenziale è se la misura nazionale in discussione sia adeguata e necessaria, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio.

 Conclusione

65.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che occorra rispondere come segue alla questione sollevata dallo Juzgado de lo Social No 1 de Cuenca (Tribunale del lavoro n. 1 di Cuenca, Spagna):

–        valutando l’applicazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, al licenziamento di un lavoratore in circostanze che potrebbero costituire una discriminazione indiretta ai sensi della medesima direttiva, occorre anzitutto valutare l’applicazione degli articoli 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), e 5 di detta direttiva. Qualora un lavoratore sia affetto da una disabilità e il suo datore di lavoro sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di tale disabilità, quest’ultimo è tenuto a prendere provvedimenti appropriati per prevedere soluzioni ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della menzionata direttiva, a meno che ciò richieda da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. L’inadempimento dell’obbligo in parola avrà la conseguenza di rendere il licenziamento del lavoratore effettuato in violazione dei rquisiti di cui alla direttiva;

–        per valutare la legittimità di una misura nazionale che i) consente a un datore di lavoro di licenziare un dipendente che deve essere considerato disabile ai sensi della direttiva 2000/78 ii) a causa dell’assenza (o delle assenze) dal lavoro di detto dipendente in conseguenza della sua disabilità e iii) fissa una soglia o una serie di soglie che tale assenza (o tali assenze) deve (o devono) superare affinché il licenziamento sia valido, occorre tenere conto dei criteri enunciati ai punti da 71 a 91 della sentenza della Corte dell’11 aprile 2013 nella causa HK Danmark, C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222. A siffatto proposito, una misura nazionale diretta a contrastare l’assenteismo sul luogo di lavoro, ove sia dimostrato che tale assenteismo provoca un danno concreto tanto a livello nazionale, quanto ai datori di lavoro che devono subirne le conseguenze, può essere considerato uno scopo legittimo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva. Per quanto riguarda la proporzionalità della misura nazionale in discussione, il giudice del rinvio deve collocare la normativa nel suo contesto e tenere conto degli effetti pregiudizievoli che essa può comportate per gli interessati. Spetta a detto giudice stabilire se le disposizioni della menzionata normativa siano redatte in modo sufficientemente ampio da comprendere le assenze meramente occasionali e sporadiche – nel qual caso non sarebbero proporzionate – o se siano configurate adeguatamente per conseguire l’obiettivo del contrasto all’assenteismo. Può inoltre assumere rilevanza la misura in cui le indennità di malattia devono essere versate dal datore di lavoro. Tuttavia, nessuno dei suddetti elementi è decisivo di per sé. Il punto essenziale è se la misura nazionale in discussione sia adeguata e necessaria, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).


3      Mi consta che il decreto legislativo di cui trattasi è stato abrogato e sostituito dal Real Decreto Legislativo 2/2015, de 23 de octubre, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores (regio decreto legislativo 2/2015, del 23 ottobre, con cui si approva la versione consolidata della legge sullo statuto dei lavoratori), il quale ha tuttavia ripreso, senza modifiche sostanziali, le disposizioni in discussione nel procedimento principale


4      Benché le cifre indicate paiano raggiungere un grado d’incapacità totale del 39% e non del 37%, è possibile che nella struttura della decisione nazionale vi siano modulazioni ulteriori. In ogni caso, queste sono le percentuali riportate nell’ordinanza di rinvio.


5      Sentenza del 18 dicembre 2014 (C‑354/13, EU:C:2014:2463) (nota anche come «sentenza Kaltoft»).


6      V. punti 31 e 40 della sentenza.


7      V. punti 59 e 60 della sentenza.


8      V. infra, paragrafi 36 e segg.


9      Alcune eccezioni, molto limitate, sono previste dagli articoli 2, paragrafo 5, 4 e 6. Tali eccezioni non sono pertinenti nel caso di specie.


10      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222) (nota anche come la «sentenza Ring e Werge»).


11      V., in tal senso, punto 76 della sentenza.


12      V. infra, paragrafo 50.


13      Non appare essere controverso che la disposizione pertinente che ha trasposto l’articolo 5 nel diritto nazionale spagnolo sia l’articolo 40, paragrafo 2, della legge generale. V. supra, paragrafo 10.


14      V. supra, paragrafo 2. La Corte ha dichiarato che l’elenco contenuto in detto considerando (preceduto dai termini «ad esempio») non è esaustivo. V. sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark(C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 56).


15      Conclusa a nome della Comunità europea con decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 (GU 2010, L 23, pag. 35). V. sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark(C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 53).


16      Ciò varrebbe in particolare quando, come nel caso di specie, il lavoratore abbia intenzionalmente rifiutato visite mediche periodiche offerte dal datore di lavoro. V. supra, paragrafo 15.


17      Nei successivi paragrafi 43 e 44 esaminerò la situazione che può presentarsi quando la disabilità si aggravi fino al punto che non sia possibile prevedere ulteriori soluzioni ragionevoli o che tali soluzioni possano essere previste solo a condizioni sproporzionate in termini di onere finanziario imposto al datore di lavoro.


18      V. supra, paragrafo 35.


19      V., a tale proposito, sentenza dell’11 luglio 2006, Chacón Navas (C‑13/05, EU:C:2006:456, punto 51), in cui la Corte ha dichiarato che «[i]l divieto, in materia di licenziamento, della discriminazione fondata sull’handicap, sancito agli [articoli] 2, [paragrafo] 1, e 3, [paragrafo] 1, [lettera] c), della direttiva 2000/78, osta a un licenziamento fondato su un handicap che, tenuto conto dell’obbligo di prevedere soluzioni ragionevoli per i disabili, non sia giustificato dal fatto che la persona di cui trattasi non è competente, capace o disponibile a svolgere le mansioni essenziali del suo posto di lavoro».


20      V. supra, paragrafi 41 e 42.


21      Conclusioni nella causa Bougnaoui e ADDH (C‑188/15, EU:C:2016:553).


22      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222).


23      V. punti da 48 a 64 della sentenza.


24      V. punti da 69 a 92 della sentenza.


25      V. punto 68 e punto 3 del dispositivo della sentenza.


26      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222).


27      In detta sentenza è stata esaminata la questione se la malattia da cui erano affetti i lavoratori costituisse effettivamente una disabilità ai sensi della direttiva 2000/78. Tuttavia, tale esame non è rilevante per la presente parte della mia analisi.


28      Risulta che tale disposizione era opzionale. Essa si applicava se così era stato concordato «nel contratto di lavoro scritto». V. punto 13 della sentenza.


29      V. punti 26, 72, 78 e 79 della sentenza.


30      V. sentenza dell’11 luglio 2006 (C‑13/05, EU:C:2006:456, punto 48).


31      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222).


32      Infatti, rilevo che nella sentenza del 30 aprile 2014, Pfleger e a. (C‑390/12, EU:C:2014:281), in cui la normativa nazionale in discussione era notevolmente più esplicita riguardo alle malattie considerate che essa era a diretta contrastare (in quel caso, la dipendenza dal gioco), nondimeno la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale doveva effettuare la propria valutazione delle circostanze alla base dell’adozione e dell’attuazione della normativa (v., in particolare, punto 52 della sentenza).


33      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222).


34      Sebbene il giudice del rinvio avesse affermato nella sua ordinanza di rinvio che la normativa danese in parola rientrava in una politica di integrazione dei lavoratori disabili, nulla nella sentenza della Corte sembra effettivamente confermare siffatta asserzione. È vero che, al punto 14 della sentenza, viene rilevato che tale politica è prevista dalla normativa nazionale di attuazione della direttiva 2000/78, ma non viene suggerito che le due serie di disposizioni siano collegate. Al punto 78 vengono richiamati gli argomenti del governo danese relativi allo scopo della misura nazionale che consente il licenziamento con un preavviso ridotto: essi fanno riferimento in generale ai lavoratori «che presentino un particolare rischio di assenze ripetute per malattia», e non specificamente ai lavoratori disabili. Sebbene il punto 85 della sentenza riporti l’argomento di detto governo secondo cui la misura in questione consente l’assunzione e la conservazione del posto in favore, segnatamente, dei lavoratori disabili, tale menzione era intesa a riflettere il risultato della normativa, e non il suo obiettivo.


35      In udienza, il governo spagnolo ha indicato che, nel 2016, era stato assente dal lavoro quotidianamente, in media, il 5,67% della popolazione attiva, con una conseguente perdita in termini di produzione di beni e servizi pari al 5,63% del prodotto interno lordo.


36      V. supra, paragrafo 7.


37      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222).


38      V. sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punti 19 e 86). Risulta che il rimborso era limitato a 52 settimane e il suo importo era inferiore alla retribuzione effettivamente versata dal datore di lavoro.


39      Secondo la Commissione, la regola generale applicabile è che il lavoratore non viene retribuito per i primi tre giorni di assenza, a prescindere dal motivo della stessa, mentre il datore di lavoro deve versare il 60% della retribuzione per i successivi dodici giorni e lo Stato interviene dopo tale periodo. Inoltre, nella maggior parte dei casi, in caso di licenziamento i datori di lavoro spagnoli devono pagare venti giorni di retribuzione per ogni anno lavorato fino a un massimo di un anno di retribuzione.


40      Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222).