Language of document : ECLI:EU:C:2020:579

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

16 luglio 2020 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica d’asilo – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articoli 14 e 34 – Obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione di inammissibilità – Violazione dell’obbligo durante il procedimento di primo grado – Conseguenze»

Nella causa C‑517/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), con decisione del 27 giugno 2017, pervenuta in cancelleria il 28 agosto 2017, nel procedimento

Milkiyas Addis

contro

Bundesrepublik Deutschland,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, I. Jarukaitis, E. Juhász, M. Ilešič (relatore) e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: G. Hogan

cancelliere: M. Krausenböck, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 gennaio 2020,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il sig. Addis, da K. Müller, Rechtsanwältin;

–        per la Bundesrepublik Deutschland, da M. Henning e A. Horlamus, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, inizialmente da J. Möller, T. Henze e R. Kanitz, successivamente da J. Möller e R. Kanitz, in qualità di agenti;

–        per il governo belga, da M. Jacobs, C. Van Lul, C. Pochet e F. Bernard, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil e A. Brabcová, in qualità di agenti;

–        per il governo francese, da D. Colas, E. de Moustier ed E. Armoet, in qualità di agenti;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Tornyai e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Ladenburger e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 marzo 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13), e dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60; in prosieguo: la «direttiva procedure»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Milkiyas Addis e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania) in merito alla legittimità di una decisione del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania) (in prosieguo: l’«Ufficio») che ha negato all’interessato il riconoscimento del diritto d’asilo.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 La direttiva 2005/85

3        Ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2005/85 aveva l’obiettivo di stabilire norme minime per le procedure applicate ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

4        L’articolo 12 di tale direttiva, intitolato «Colloquio personale», prevedeva:

«1.      Prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente asilo di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di asilo con una persona competente, a norma della legislazione nazionale, a svolgere tale colloquio.

(...)

2.      Il colloquio personale può essere omesso se:

a)      l’autorità accertante è in grado di prendere una decisione positiva basandosi sulle prove acquisite; oppure

b)      l’autorità competente ha già avuto un incontro con il richiedente, al fine di assisterlo nella compilazione della domanda e nella trasmissione delle informazioni essenziali attinenti alla stessa, (...), oppure

c)      l’autorità accertante, in base a un esame completo delle informazioni fornite dal richiedente, reputa la domanda infondata nei casi in cui si applicano le circostanze di cui all’articolo 23, paragrafo 4, lettere a), c), g), h) e j).

3.      Si può parimenti soprassedere al colloquio personale quando non è ragionevolmente fattibile, in particolare quando l’autorità competente reputa che il richiedente asilo sia incapace o non sia in grado di sostenere un colloquio personale a causa di circostanze persistenti che sfuggono al suo controllo. In caso di dubbio, gli Stati membri possono esigere il certificato di un medico o di uno psicologo.

Quando lo Stato membro non prevede la possibilità per il richiedente di un colloquio personale a norma del presente paragrafo oppure, ove applicabile, per la persona a carico, devono essere compiuti ragionevoli sforzi al fine di consentire al richiedente o alla persona a carico di produrre ulteriori informazioni.

4.      La mancanza di un colloquio personale a norma del presente articolo non osta a che l’autorità accertante prenda una decisione sulla domanda di asilo.

5.      La mancanza di un colloquio personale a norma del paragrafo 2, lettere b) e c), e del paragrafo 3, non incide negativamente sulla decisione dell’autorità accertante.

6.       A prescindere dall’articolo 20, paragrafo 1, gli Stati membri, all’atto di decidere riguardo a una domanda di asilo, possono tener conto del fatto che il richiedente non si sia presentato al colloquio personale, a meno che non avesse validi motivi per farlo».

5        L’articolo 25 della stessa direttiva, rubricato «Domande irricevibili», al paragrafo 2, così disponeva:

«Gli Stati membri possono giudicare una domanda di asilo irricevibile a norma del presente articolo se:

a)      un altro Stato membro ha concesso lo status di rifugiato;

(...)».

 La direttiva procedure

6        La direttiva procedure ha provveduto alla rifusione della direttiva 2005/85.

7        I considerando 16, 18, 22, 29 e 32 della direttiva procedure sono così formulati:

«(16)      È indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale.

(...)

(18)      È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo.

(...)

(22)      È altresì nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti garantire un corretto riconoscimento delle esigenze di protezione internazionale già in primo grado. (...)

(...)

(29)      Taluni richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra l’altro, per motivi di età, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, grave malattia psichica o in conseguenza di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per individuare i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari prima che sia presa una decisione in primo grado. (...)

(...)

(32)      Nell’intento di garantire una sostanziale parità tra i richiedenti di entrambi i sessi, è opportuno che le procedure di esame siano sensibili alle specificità di genere. In particolare, i colloqui personali dovrebbero essere organizzati in modo da consentire ai richiedenti di entrambi i sessi che abbiano subito persecuzioni per motivi di genere di parlare delle esperienze passate. (...)».

8        Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva procedure, quest’ultima ha come obiettivo di stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

9        L’articolo 2 della direttiva procedure prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

b)       “domanda di protezione internazionale” o “domanda”: una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della direttiva [2011/95] e che possa essere richiesto con domanda separata;

(...)

f)       “autorità accertante”: qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo;

(...)».

10      L’articolo 4 della direttiva procedure, rubricato «Autorità responsabili», così dispone:

«1.      Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché tale autorità disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti ai sensi della presente direttiva.

(...)

3.      Gli Stati membri provvedono affinché il personale dell’autorità accertante di cui al paragrafo 1 abbia ricevuto una formazione adeguata. (...) Le persone che conducono i colloqui con i richiedenti conformemente alla presente direttiva hanno altresì acquisito una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità del richiedente di sostenere il colloquio, quali indicazioni che il richiedente potrebbe essere stato torturato nel passato.

(...)».

11      Il capo II della direttiva procedure, intitolato «Principi fondamentali e garanzie», contiene gli articoli da 6 a 30.

12      L’articolo 12 di tale direttiva, rubricato «Garanzie per i richiedenti», stabilisce che:

«1.      In relazione alle procedure di cui al capo III, gli Stati membri provvedono affinché tutti i richiedenti godano delle seguenti garanzie:

(...)

b)      il richiedente riceve, laddove necessario, l’assistenza di un interprete per spiegare la propria situazione nei colloqui con le autorità competenti. Gli Stati membri reputano necessario fornire tale assistenza almeno quando il richiedente è convocato a un colloquio personale di cui agli articoli da 14 a 17 e 34 e una comunicazione adeguata risulta impossibile in sua mancanza. (...)

(...)».

13      L’articolo 14 di detta direttiva, rubricato «Colloquio personale», prevede quanto segue:

«1.      Prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale con una persona competente, a norma del diritto nazionale, a svolgere tale colloquio. I colloqui personali sul merito di una domanda di protezione internazionale sono condotti dal personale dell’autorità accertante. Il presente comma lascia impregiudicato l’articolo 42, paragrafo 2, lettera b).

Qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano impossibile all’atto pratico all’autorità accertante svolgere tempestivamente colloqui sul merito di ogni domanda, gli Stati membri possono disporre che il personale di un’altra autorità partecipi temporaneamente allo svolgimento di tali colloqui. In questi casi, il personale di detta altra autorità riceve in anticipo la formazione pertinente, (...).

(...)

2.      Il colloquio personale sul merito della domanda può essere omesso se:

a)      l’autorità accertante è in grado di prendere una decisione positiva riguardo allo status di rifugiato basandosi sulle prove acquisite; oppure

b)       l’autorità accertante reputa che il richiedente asilo sia incapace o non sia in grado di sostenere un colloquio personale a causa di circostanze persistenti che sfuggono al suo controllo. In caso di dubbio, l’autorità accertante consulta un professionista del settore medico per stabilire se lo stato che rende il richiedente incapace o non in grado di sostenere il colloquio sia temporaneo o di lungo periodo.

Quando non viene sostenuto il colloquio personale a norma della lettera b) oppure, ove applicabile, con la persona a carico, devono essere compiuti ragionevoli sforzi al fine di consentire al richiedente o alla persona a carico di produrre ulteriori informazioni.

3.      La mancanza di un colloquio personale a norma del presente articolo non osta a che l’autorità accertante prenda una decisione sulla domanda di protezione internazionale.

4.      La mancanza di un colloquio personale a norma del paragrafo 2, lettera b), non incide negativamente sulla decisione dell’autorità accertante.

5.      A prescindere dall’articolo 28, paragrafo 1, gli Stati membri, all’atto di decidere riguardo a una domanda di protezione internazionale, possono tener conto del fatto che il richiedente non si sia presentato al colloquio personale, a meno che non avesse validi motivi per farlo».

14      L’articolo 15 della stessa direttiva, rubricato «Criteri applicabili al colloquio personale», così dispone:

«1.      Il colloquio personale si svolge, di norma, senza la presenza dei familiari, a meno che l’autorità accertante non ritenga che un esame adeguato [debba] comportare la presenza di altri familiari.

2.      Il colloquio personale si svolge in condizioni atte ad assicurare la riservatezza adeguata.

3.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:

a)      provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente;

b)      se possibile prevedono, su istanza del richiedente, che a condurre il colloquio sia una persona del suo stesso sesso, a meno che l’autorità accertante abbia motivo di ritenere che tale domanda si basi su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile;

c)      selezionano un interprete idoneo a garantire una comunicazione appropriata fra il richiedente e la persona incaricata di condurre il colloquio. Il colloquio si svolge nella lingua prescelta dal richiedente, tranne se esiste un’altra lingua che capisce e nella quale è in grado di comunicare chiaramente. Se possibile gli Stati membri prevedono, su istanza del richiedente, un interprete del suo stesso sesso, a meno che l’autorità accertante abbia motivo di ritenere che tale domanda si basi su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile;

d)      provvedono affinché la persona che conduce il colloquio sul merito di una domanda di protezione internazionale non indossi un’uniforme militare o di polizia;

e)      provvedono affinché i colloqui con i minori siano condotti con modalità consone alla loro età.

4.      Gli Stati membri possono prevedere norme relative alla presenza di terzi durante un colloquio personale».

15      Il capo III della direttiva procedure, intitolato «Procedure di primo grado», contiene gli articoli da 31 a 43.

16      L’articolo 33 della stessa direttiva, rubricato «Domande inammissibili», al suo paragrafo 2, così dispone:

«Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a)      un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

(...)».

17      L’articolo 34 della medesima direttiva, rubricato «Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità» prevede quanto segue:

«1.      Prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 alla sua situazione particolare. A tal fine, gli Stati membri organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda. Gli Stati membri possono derogare soltanto ai sensi dell’articolo 42, in caso di una domanda reiterata.

(...)

2.      Gli Stati membri possono disporre che il personale di autorità diverse da quella accertante conduca il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda di protezione internazionale. In tal caso gli Stati membri provvedono a che tale personale riceva preliminarmente la necessaria formazione basilare, soprattutto in ordine a diritto internazionale dei diritti umani, acquis dell’Unione in materia di asilo e tecniche di conduzione dei colloqui».

18      Il capo V della direttiva procedure, intitolato «Procedure di impugnazione», contiene come unica disposizione l’articolo 46 a sua volta rubricato «Diritto a un ricorso effettivo», il quale così dispone:

«1.      Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a)      la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i)      di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

ii)      di considerare la domanda inammissibile a norma dell’articolo 33, paragrafo 2;

(...)

3.      Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, (...).

(...)».

19      L’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva procedure così recita:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 30, all’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, agli articoli da 32 a 46, agli articoli 49 e 50 e all’allegato I entro il 20 luglio 2015. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».

20      Ai sensi dell’articolo 52, primo comma, di tale direttiva:

«Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca della protezione internazionale avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 e alle procedure di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva [2005/85]».

21      L’articolo 53, primo comma, della direttiva procedure prevede quanto segue:

«La direttiva [2005/85] è abrogata per gli Stati membri vincolati dalla presente direttiva con effetto dal 21 luglio 2015, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi al termine di recepimento della direttiva nel diritto interno di cui all’allegato II, parte B».

22      Conformemente all’articolo 54, primo comma, la direttiva procedure è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 29 giugno 2013.

 Diritto tedesco

23      L’articolo 24 dell’Asylgesetz (legge in materia di asilo), nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: l’«AsylG»), al paragrafo 1, così dispone:

«L’[Ufficio] chiarisce i fatti e raccoglie le prove necessarie. (...) Esso procede al colloquio personale dello straniero. L’[Ufficio] può esimersi dal colloquio quando intende riconoscere lo status di rifugiato allo straniero o quando lo straniero è entrato nel territorio provenendo da un paese terzo sicuro (...)».

24      L’articolo 29 dell’AsylG, intitolato «Domande inammissibili», al paragrafo 1, prevede quanto segue:

«Una domanda di asilo è inammissibile quando

(...)

2.      un altro Stato membro dell’Unione europea ha già concesso allo straniero la protezione internazionale (…)

(...)».

25      L’articolo 77, paragrafo 1, prima frase, del AsylG così recita:

«Nelle controversie disciplinate dalla presente legge, il tribunale si basa sulla situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’ultima udienza; se la decisione non è preceduta da un’udienza, il momento rilevante è quello in cui viene adottata la decisione».

26      L’articolo 46 del Verwaltungsverfahrensgesetz (Codice di procedura amministrativa; in prosieguo: il «VwVfG») prevede quanto segue:

«L’annullamento di un atto amministrativo che non sia viziato da nullità non può essere richiesto con l’unica motivazione che esso sarebbe venuto in essere in violazione di norme procedurali, formali o sulla competenza territoriale, ove sia evidente che la violazione non ha influenzato la decisione di merito».

27      L’articolo 86 della Verwaltungsgerichtsordnung (codice del contenzioso amministrativo), al suo paragrafo 1, così recita:

«Il tribunale accerta i fatti d’ufficio; a tal fine consulta gli interessati. Esso non è vincolato alle osservazioni e alle richieste di assunzione di prova degli interessati».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

28      Il ricorrente nel procedimento principale, che si dichiara cittadino eritreo, è entrato in Germania nel settembre 2011 e ha chiesto di ivi beneficiare dello status di rifugiato. A causa di mutilazioni arrecate alle dita, le consultazioni della banca dati Eurodac non hanno potuto, in un primo momento, portare a un’identificazione.

29      Benché il ricorrente nel procedimento principale avesse indicato, nel corso di un colloquio svoltosi il 1°dicembre 2011, di non essersi precedentemente recato in un altro Stato membro, l’esame delle sue impronte digitali prelevate nel giugno 2012 ha evidenziato, tuttavia, che egli aveva già presentato una domanda di asilo in Italia nel 2009. Invitate a riprendere in carico l’interessato, le autorità italiane competenti hanno risposto, l’8 gennaio 2013, che quest’ultimo aveva ottenuto lo status di rifugiato in Italia, cosicché, essendo conclusa la procedura di asilo, la sua ripresa in carico poteva essere ipotizzata solo in base all’accordo di riammissione, e non al regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1). Il 26 febbraio 2013 dette autorità italiane hanno informato il Bundespolizeipräsidum (Direzione della polizia federale, Germania) che il rientro in Italia del ricorrente nel procedimento principale era stato autorizzato.

30      Con decisione del 18 febbraio 2013 l’Ufficio, da un lato, ha constatato che, a motivo del suo ingresso in Germania da un paese terzo sicuro, ossia l’Italia, il ricorrente nel procedimento principale non aveva diritto all’asilo in Germania e, dall’altro, ne ha ordinato l’accompagnamento alla frontiera italiana.

31      Con sentenza del 15 aprile 2013 il Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden, Germania) ha respinto il ricorso proposto avverso tale decisione.

32      Con sentenza del 19 maggio 2016 l’Oberverwaltungsgericht Münster (Tribunale amministrativo superiore del Land di Münster, Germania), dinanzi al quale il ricorrente nel procedimento principale aveva interposto appello, ha annullato il provvedimento di accompagnamento alla frontiera italiana, ma ha respinto l’appello quanto al resto. Tale giudice ha osservato che il diritto di asilo in Germania era stato giustamente negato all’interessato, dal momento che quest’ultimo era arrivato da un «paese terzo sicuro», nel caso di specie l’Italia, in cui non rischiava di subire un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Detto giudice ha, invece, ritenuto illegittimo il provvedimento di accompagnamento alla frontiera italiana, in quanto non era stato dimostrato che la Repubblica italiana fosse ancora disposta a riprendere in carico il ricorrente nel procedimento principale dopo la scadenza, il 5 febbraio 2015, del permesso di soggiorno e del documento di viaggio che le autorità italiane gli avevano rilasciato.

33      Il ricorrente nel procedimento principale ha proposto impugnazione avverso tale sentenza dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania). Esso sostiene, segnatamente, che l’Ufficio non poteva esimersi da un colloquio personale con lui prima di adottare la decisione del 18 febbraio 2013. Inoltre, dal momento che egli è stato riconosciuto come rifugiato in un altro Stato membro e in mancanza di una decisione d’irricevibilità ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/85, la sua domanda di protezione internazionale non avrebbe potuto essere respinta a motivo del fatto che sarebbe entrato in Germania da un paese terzo sicuro.

34      La Repubblica federale di Germania ritiene che la domanda di asilo del ricorrente nel procedimento principale sia, in ogni caso, attualmente inammissibile in applicazione dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG, il cui contenuto corrisponde, per quanto riguarda la situazione in cui un richiedente ha già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro, all’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/85 e all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure che lo ha sostituito. L’obbligo del colloquio con il ricorrente nel procedimento principale non sarebbe stato violato in quanto, a norma dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2005/85, la mancanza di un colloquio personale nei casi previsti da tale disposizione non impediva all’autorità competente di adottare una decisione sulla domanda di asilo.

35      Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) constata che l’Ufficio non poteva rifiutarsi di esaminare la domanda di asilo che gli era stata sottoposta a motivo del fatto che il ricorrente nel procedimento principale proveniva da un paese terzo sicuro. Infatti, poiché il diritto nazionale dev’essere interpretato conformemente al diritto dell’Unione, un paese terzo sicuro potrebbe unicamente essere uno Stato che non è uno Stato membro dell’Unione. Occorrerebbe quindi stabilire se la decisione in esame nel procedimento principale possa essere considerata come una decisione di rigetto fondata sull’inammissibilità della domanda d’asilo, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG.

36      In tale contesto, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ritiene necessario determinare le conseguenze, sulla legittimità di una siffatta decisione di inammissibilità, della violazione dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale, prevista dall’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, qualora il richiedente abbia modo di esporre nel procedimento di ricorso tutti gli elementi che ostano alla decisione di rigetto e qualora tali elementi non possano portare a modificare tale decisione nel merito per motivi giuridici. Detto organo giurisdizionale osserva, in particolare, che l’Ufficio ha adottato la decisione di cui trattasi nel procedimento principale senza aver previamente sentito l’interessato sui fatti comunicati dalle autorità italiane né sul rigetto previsto della sua domanda di asilo.

37      Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) osserva che la procedura scelta dall’Ufficio ha violato l’obbligo di procedere a un colloquio personale con il ricorrente nel procedimento principale, previsto dall’articolo 12 della direttiva 2005/85, non essendo applicabile nel caso di specie alcuna delle eccezioni previste da tale disposizione. Lo stesso varrebbe in caso di applicazione dell’articolo 14 e dell’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva procedure. Occorrerebbe pertanto stabilire se le eccezioni previste dall’articolo 12, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2005/85 nonché dall’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva procedure siano tassative o se, in considerazione dell’autonomia procedurale degli Stati membri, il diritto dell’Unione consenta che questi ultimi possano prevedere altre eccezioni.

38      Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) afferma a tal riguardo che, ai sensi dell’articolo 46 della VwVfG, la mancanza di un colloquio costituisce solo un’irregolarità minore qualora sia evidente che tale mancanza non ha affatto influito sul merito della decisione di cui trattasi. Ciò avverrebbe nel caso di specie, poiché una decisione di inammissibilità ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG è una decisione vincolata, nell’ambito della quale l’Ufficio e gli organi giurisdizionali amministrativi sono tenuti a istruire d’ufficio la causa di cui trattasi e a verificare tutte le condizioni di applicazione della norma, incluse quelle non scritte. Pertanto, e tenendo conto del controllo giurisdizionale completo effettuato dagli organi giurisdizionali amministrativi e del fatto che questi ultimi concedono essi stessi ai richiedenti il diritto di essere sentiti, la mancanza di un colloquio personale durante il procedimento amministrativo sarebbe compensata dall’audizione svolta durante il successivo procedimento giurisdizionale.

39      Ciò premesso, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 14, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva [procedure] ovvero la previgente disciplina di cui all’articolo 12, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva [2005/85] osti all’applicazione di una disposizione nazionale, per effetto della quale l’omissione di un colloquio personale con il richiedente in occasione della decisione di rigetto della domanda d’asilo in quanto inammissibile resa dall’autorità accertante, in attuazione della facoltà prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure], ovvero della previgente disciplina di cui all’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2005/85] non determini l’annullamento della decisione medesima per omesso colloquio, nel caso in cui il richiedente abbia la possibilità di presentare, nel procedimento di impugnazione, tutti gli elementi che depongano in senso contrario alla decisione di inammissibilità e, pur in considerazione di tali argomenti, non possa essere adottata una decisione differente nel merito».

 Procedimento dinanzi alla Corte

40      Il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura di quest’ultima. A sostegno della sua domanda, esso ha addotto, in sostanza, che occorrerebbe partire dal presupposto che l’Ufficio e gli organi giurisdizionali amministrativi tedeschi sono attualmente investiti da diverse migliaia di procedimenti in cui si pongono, almeno in parte, le stesse questioni già sollevate nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale e che, a motivo di tale rinvio, non potranno essere decise in modo definitivo.

41      Dall’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni di detto regolamento di procedura.

42      Nel caso di specie, il 13 settembre 2017, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, ha deciso di respingere la domanda del giudice del rinvio di cui al punto 40 della presente sentenza. Tale decisione è stata motivata dal fatto che la ragione addotta dal giudice del rinvio, addotta altresì da tale medesimo giudice nelle cause che hanno portato alla sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219), non era atta a dimostrare che le condizioni definite all’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura erano soddisfatte nell’ambito della presente causa (v., in tal senso, ordinanze del presidente della Corte del 14 luglio 2017, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17, non pubblicata, EU:C:2017:561, punti da 17 a 21, nonché del 19 settembre 2017, Magamadov, C‑438/17, non pubblicata, punti da 15 a 19).

43      Con decisione del Presidente della Corte del 26 settembre 2017, la presente causa è stata riunita alle cause C‑540/17 e C‑541/17, Hamed e Omar, ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento nonché della sentenza. Tale riunione è stata revocata con una decisione del Presidente della Corte del 14 maggio 2019 in quanto le questioni che avevano giustificato detta riunione erano state ritirate dal giudice del rinvio a seguito della pronuncia della sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219), in attesa della quale, la presente causa nonché le cause C‑540/17 e C‑541/17, Hamed e Omar, erano state sospese.

 Sulla questione pregiudiziale

44      In via preliminare, occorre rilevare che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che, in applicazione dell’articolo 77, paragrafo 1, primo periodo, dell’AsylG, il giudice del rinvio deve fondare la propria decisione nella controversia di cui al procedimento principale sulla situazione di fatto e di diritto esistente alla data dell’ultima udienza dinanzi a tale giudice o, in mancanza di udienza, alla data della sua decisione. Risulta quindi che detto giudice applicherà le disposizioni nazionali che traspongono la direttiva procedure, in particolare quelle relative, da un lato, al colloquio personale con il richiedente e, dall’altro, al motivo di inammissibilità previsto dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della medesima. Una siffatta applicazione immediata, ivi compresa di quest’ultima disposizione, a domande presentate prima del 20 luglio 2015 e non ancora decise in via definitiva è autorizzata ai sensi dell’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure qualora, come nella controversia di cui al procedimento principale, al richiedente sia già stato riconosciuto, da parte di un altro Stato membro, lo status di rifugiato e non solo una protezione sussidiaria (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 74, nonché ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar, C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punto 30).

45      Date siffatte circostanze, la questione sollevata deve essere intesa come diretta a stabilire, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva procedure debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la violazione dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione di inammissibilità basata sull’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva non comporta l’annullamento di tale decisione e il rinvio della causa dinanzi all’autorità accertante qualora tale richiedente abbia modo di esporre tutti i suoi argomenti contro detta decisione nel procedimento di ricorso e qualora tali argomenti non siano atti a modificare tale medesima decisione.

46      Al fine di rispondere a tale questione, è importante rilevare, in primo luogo, che la direttiva procedure enuncia in modo inequivocabile l’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima che venga adottata una decisione sulla sua domanda.

47      Pertanto, l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva procedure enuncia, alla stregua di quanto prevedeva l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, che, prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale con una persona competente, a norma del diritto nazionale, a svolgere tale colloquio. Tale obbligo, che fa parte dei principi fondamentali e delle garanzie enunciati rispettivamente al capo II di tali direttive, vale tanto per le decisioni di ammissibilità quanto per le decisioni di merito.

48      La circostanza che detto obbligo si applichi anche alle decisioni di ammissibilità è peraltro ormai espressamente confermata dall’articolo 34 della direttiva procedure, intitolato «Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità», che prevede, al paragrafo 1, che prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri autorizzano il richiedente di esporre il proprio punto di vista in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 di tale direttiva alla sua situazione particolare e, a tal fine, organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda.

49      Nel caso in cui l’autorità accertante intenda giudicare inammissibile una domanda di protezione internazionale in applicazione del motivo di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda ha come scopo quello di dare al richiedente non solo l’opportunità di esprimersi sulla questione se una protezione internazionale gli è stata effettivamente concessa da parte di un altro Stato membro, ma soprattutto la possibilità di esporre tutti gli elementi che caratterizzano la sua situazione specifica al fine di consentire a tale autorità di escludere che detto richiedente sarebbe esposto, in caso di trasferimento verso tale altro Stato membro, a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

50      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere una domanda di protezione internazionale come inammissibile in quanto al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro una siffatta protezione, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe detto richiedente quale beneficiario di detta protezione in tale altro Stato membro lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 101, nonché ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar, C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punto 43).

51      In questo contesto, la Corte ha già precisato che tale soglia di gravità particolarmente elevata richiesta dall’articolo 4 della Carta sarebbe raggiunta quando l’indifferenza delle autorità di uno Stato membro avrebbe come conseguenza che una persona completamente dipendente dall’assistenza pubblica si verrebbe a trovare, a prescindere dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consentirebbe di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudicherebbe la sua salute fisica o psichica o che la porrebbe in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana (sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 90, nonché ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar, C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punto 39).

52      Pertanto, quando le autorità di uno Stato membro dispongono di elementi prodotti dal richiedente per dimostrare l’esistenza di un tale rischio nello Stato membro che ha già riconosciuto la protezione internazionale, tali autorità sono tenute a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone (v., per analogia, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 88, nonché ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar, C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punto 38). Inoltre, non si può completamente escludere che un richiedente protezione internazionale possa dimostrare l’esistenza di circostanze eccezionali relative al suo caso particolare e che comporterebbero che un rinvio nello Stato membro che gli ha già concesso protezione internazionale lo esporrebbe, a causa della sua particolare vulnerabilità, ad un rischio di trattamenti contrari all’articolo 4 della Carta (v., per analogia, sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 95).

53      Ne consegue che la valutazione di un siffatto rischio deve essere effettuata dopo aver offerto al richiedente l’opportunità di presentare tutti gli elementi, in particolare di natura personale, idonei a confermarne l’esistenza.

54      Il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda, previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, e dall’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva procedure, riveste quindi un’importanza fondamentale al fine di garantire che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva sia, di fatto, applicato in piena conformità all’articolo 4 della Carta. Invero, tale colloquio consente all’autorità accertante di valutare la situazione specifica del richiedente e il grado di vulnerabilità di quest’ultimo così come consente a tale autorità di accertarsi che il richiedente sia stato invitato a fornire tutti gli elementi atti a dimostrare che un rinvio nello Stato membro che gli ha già concesso una protezione internazionale lo esporrebbe a un rischio di trattamenti contrari a tale articolo 4.

55      In secondo luogo, occorre constatare che l’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva procedure precisa che gli Stati membri possono prevedere un’eccezione alla regola, secondo cui essi organizzano un colloquio personale con il richiedente sull’ammissibilità della sua domanda di protezione internazionale, solo in conformità all’articolo 42 di tale direttiva in caso di domanda successiva. Orbene, dalla decisione di rinvio emerge che la controversia di cui al procedimento principale non rientra in una simile fattispecie.

56      Di conseguenza, occorre esaminare, in terzo luogo, la questione se la violazione, nel corso del procedimento di primo grado dinanzi all’autorità accertante, dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale, prevista dagli articoli 14 e 34 di detta direttiva, debba necessariamente comportare l’annullamento della decisione di rigetto e il rinvio della causa dinanzi a tale autorità.

57      Dal momento che la direttiva procedure non disciplina espressamente le conseguenze giuridiche della violazione di tale obbligo, queste ultime rientrano, come hanno rilevato tutte le parti che hanno presentato osservazioni, nella sfera del diritto nazionale, purché le disposizioni nazionali applicabili a tal riguardo siano dello stesso genere di quelle di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., per analogia, sentenza del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 35 nonché giurisprudenza ivi citata).

58      Per quanto riguarda il principio di equivalenza, si deve constatare che la Corte non dispone di alcun elemento che consenta di dubitare della conformità a tale principio di una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

59      Per quanto attiene al principio di effettività e quindi alla questione se l’applicazione dell’articolo 46 VwVfG al contesto in esame nel procedimento principale renderebbe, in pratica, impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dalla direttiva procedure, si deve rilevare che la circostanza che il legislatore dell’Unione abbia scelto, nell’ambito di tale direttiva, di prevedere, da un lato, un chiaro ed esplicito obbligo per gli Stati membri di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione sulla sua domanda e, dall’altro, un elenco tassativo di eccezioni a tale obbligo attesta l’importanza fondamentale che esso attribuisce a un siffatto colloquio personale per la procedura di asilo.

60      Inoltre, la circostanza che, in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, e dell’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva procedure, deve essere data al richiedente nel procedimento di primo grado la facoltà di sostenere un colloquio personale prima che l’autorità accertante decida sulla sua domanda è diretta a garantire, sin da tale primo grado, una corretta determinazione della necessità di protezione internazionale del suddetto richiedente nello Stato membro interessato, il che, come sottolineano i considerando 18 e 22 della direttiva in parola, è nell’interesse sia di tale Stato membro sia di detto richiedente, in quanto contribuisce, in particolare, all’obiettivo di celerità.

61      In tale contesto, occorre rammentare che la direttiva procedure opera una distinzione tra, da un lato, l’«autorità accertante», che definisce all’articolo 2, lettera f), come «qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo» e, dall’altro, il «giudice», di cui all’articolo 46, e responsabile delle procedure di ricorso. Inoltre, dai considerando 16 e 22, dall’articolo 4 nonché dall’impianto sistematico di tale direttiva emerge che l’esame della domanda di protezione internazionale da parte di un organo amministrativo o quasi giurisdizionale dotato di mezzi specifici e di personale specializzato in materia costituisce una fase essenziale delle procedure comuni istituite da tale direttiva (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 103 e 116).

62      Tuttavia, la Corte ha già avuto modo di constatare che l’esigenza di un esame completo ed ex nunc tanto degli elementi di fatto quanto di quelli di diritto nell’ambito di un ricorso, prevista dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva procedure, può vertere anche sui motivi d’inammissibilità della domanda di protezione internazionale di cui all’articolo 33, paragrafo 2, di tale direttiva, laddove il diritto nazionale lo consenta. Nel caso in cui il giudice investito del ricorso intenda esaminare un motivo d’inammissibilità che non è stato esaminato dall’autorità accertante, esso deve procedere all’audizione del richiedente al fine di consentirgli di esporre di persona, in una lingua che conosce, il suo punto di vista sull’applicabilità di detto motivo alla sua situazione particolare (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 130).

63      Ne consegue necessariamente che è altresì possibile, in linea di principio, che il giudice investito del ricorso proceda all’audizione del richiedente riguardo all’applicabilità alla sua particolare situazione di uno dei motivi di inammissibilità previsti dall’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva procedure, qualora la decisione di rigetto sia stata basata su tale motivo, ma l’autorità accertante non abbia previamente dato al richiedente la possibilità di essere sentito in merito nel corso di un colloquio personale.

64      A tal riguardo, occorre tuttavia rilevare che il diritto conferito al richiedente dagli articoli 14 e 34 della direttiva procedure di poter esporre il proprio punto di vista in merito all’applicabilità di un tale motivo di inammissibilità alla sua situazione particolare è accompagnato da specifiche garanzie che dovrebbero assicurare l’effettività di tale diritto.

65      Pertanto, dall’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva procedure, emerge che il colloquio personale deve svolgersi in condizioni che assicurino la riservatezza adeguata e consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. Per quanto attiene in particolare a quest’ultimo punto, l’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva obbliga gli Stati membri a provvedere affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente. Dal canto suo, l’articolo 15, paragrafo 3, lettera b), della direttiva in parola impone agli Stati membri di provvedere, nella misura del possibile, affinché, su istanza del richiedente, a condurre il colloquio sia una persona del suo stesso sesso, a meno che la domanda sia basata su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile. Inoltre, l’articolo 15, paragrafo 3, lettera c), della medesima direttiva impone agli Stati membri di selezionare un interprete idoneo a garantire una comunicazione appropriata fra il richiedente e la persona incaricata di condurre il colloquio, e ciò al fine di attuare il diritto del richiedente, sancito dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera b), della direttiva procedure, di ricevere, per quanto necessario, l’assistenza di un tale interprete per spiegare la propria situazione. Quanto all’articolo 15, paragrafo 3, lettera e), di quest’ultima, esso richiede agli Stati membri di provvedere affinché i colloqui con i minori siano condotti con modalità consone alla loro età.

66      Come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi 106, 109 e 115 delle sue conclusioni, la circostanza che il legislatore dell’Unione non si sia limitato a enunciare, agli articoli 14 e 34 della direttiva procedure, l’obbligo di dare al richiedente la facoltà di sostenere un colloquio personale, ma abbia scelto di imporre inoltre agli Stati membri norme specifiche e dettagliate quanto alle modalità di svolgimento di tale colloquio dimostra l’importanza fondamentale che attribuisce non solo allo svolgimento stesso di un siffatto colloquio, ma anche alle condizioni in cui quest’ultimo deve svolgersi e il cui rispetto costituisce un presupposto per la validità di una decisione che dichiara inammissibile una domanda di asilo.

67      Inoltre, dai considerando 29 e 32 della direttiva in parola risulta che tali condizioni mirano, in particolare, a garantire che ciascun richiedente benefici, in base al sesso e alla sua situazione specifica, di garanzie procedurali adeguate. È quindi in relazione alla situazione specifica del richiedente e in base ad un esame caso per caso che occorre determinare quali tra dette condizioni sono ad esso applicabili.

68      Ciò premesso, sarebbe incompatibile con l’effetto utile della direttiva procedure, in particolare con gli articoli 14, 15 e 34, che il giudice investito del ricorso possa confermare una decisione adottata dall’autorità accertante in violazione dell’obbligo di dare al richiedente la facoltà di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, senza procedere esso stesso all’audizione del richiedente nel rispetto delle condizioni e delle garanzie fondamentali applicabili al caso di specie.

69      Infatti, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 103 delle sue conclusioni, in mancanza di una siffatta audizione, il diritto del richiedente a un colloquio personale in condizioni che assicurino la riservatezza adeguata e gli consentano di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda, compresi gli elementi che depongono a favore dell’ammissibilità di quest’ultima, non sarebbe garantito in nessuna fase della procedura d’asilo, il che vanificherebbe una garanzia che il legislatore dell’Unione ha ritenuto fondamentale nell’ambito di tale procedura.

70      Certamente, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, affinché una violazione dei diritti della difesa comporti l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo in questione, è necessario, in linea di principio, che, in assenza di tale irregolarità, il procedimento di cui trattasi avrebbe potuto comportare un risultato diverso (v. sentenza del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 38 nonché giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, tale giurisprudenza non è applicabile alla violazione degli articoli 14, 15 e 34 della direttiva procedure. Infatti, da un lato, questi ultimi enunciano, in termini vincolanti, l’obbligo per gli Stati membri di dare al richiedente la facoltà di sostenere un colloquio personale, nonché norme specifiche e dettagliate sulle modalità in cui tale colloquio deve essere svolto. D’altro lato, siffatte norme mirano a garantire che il richiedente sia stato invitato a fornire, in collaborazione con l’autorità responsabile di tale colloquio, tutti gli elementi pertinenti per valutare l’ammissibilità e, se del caso, la fondatezza della sua domanda di protezione internazionale, il che, come rilevato al punto precedente, conferisce a tale colloquio un’importanza primaria nel procedimento di esame di tale domanda (v., per analogia, sentenza del 14 maggio 2020, NKT Verwaltung e NKT/Commissione, C‑607/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:385, punto 57 nonché giurisprudenza ivi citata).

71      Si deve aggiungere, tenuto conto degli interrogativi del giudice del rinvio a tal riguardo, che non sarebbero sufficienti ad ovviare alla mancanza di un’udienza né la possibilità di cui dispone il richiedente di esporre per iscritto, in occasione del suo ricorso, gli elementi che mettono in discussione la validità della decisione di inammissibilità adottata in merito alla sua domanda di protezione né l’obbligo imposto dal diritto nazionale all’autorità accertante e al giudice investito del ricorso di accertare d’ufficio tutti i fatti pertinenti. Inoltre, sebbene il fatto che una disposizione che traspone nel diritto nazionale i motivi di inammissibilità previsti dall’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva procedure lasci un margine di discrezionalità all’autorità accertante quanto all’opportunità di applicare questo o quel motivo al caso di specie potrebbe, certamente, richiedere un rinvio della causa dinanzi a tale autorità, la mancanza di un siffatto potere discrezionale nel diritto tedesco non può, dal canto suo, giustificare che sia negato al richiedente l’esercizio del diritto di essere sentito, quale configurato da tale direttiva. Infatti, come discende dai punti da 59 a 69 della presente sentenza, in mancanza di un colloquio personale dinanzi all’autorità accertante in primo grado, solo quando un siffatto colloquio è condotto dinanzi al giudice investito di un ricorso avverso la decisione di inammissibilità adottata da tale autorità e nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla direttiva procedure, è possibile garantire l’effettività del diritto ad essere sentiti in tale fase ulteriore del procedimento.

72      Nel caso di specie, dalla risposta fornita dal giudice del rinvio ad una richiesta di chiarimenti della Corte emerge che, in caso di violazione dell’obbligo di dare al richiedente la facoltà di sostenere un colloquio personale durante il procedimento di primo grado dinanzi all’autorità accertante, il diritto tedesco non garantisce sistematicamente il diritto del richiedente a un’audizione personale nell’ambito del procedimento di ricorso. Inoltre, sempre secondo tale risposta, sebbene sia possibile, attraverso un’interpretazione e un’applicazione conformi al diritto dell’Unione delle disposizioni nazionali, garantire una siffatta audizione a qualsiasi richiedente, il rispetto di tutte le condizioni alle quali l’articolo 15 della direttiva procedure sottopone il colloquio personale non potrebbe essere garantito, in ragione delle norme del procedimento giudiziario nazionale, in occasione di un’audizione realizzata dinanzi al giudice investito del ricorso.

73      In definitiva, spetta al giudice del rinvio verificare se, nell’ambito del procedimento principale, al sig. Addis sia stata o possa ancora essere data la facoltà di essere sentito nel pieno rispetto delle condizioni e delle garanzie fondamentali applicabili alla controversia di cui al procedimento principale, al fine di consentirgli di esporre di persona, in una lingua che conosce, il proprio punto di vista in ordine all’applicazione alla sua situazione personale del motivo previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva. Nel caso in cui detto giudice ritenesse che non sia possibile garantire all’interessato questa facoltà nell’ambito del procedimento di ricorso, esso sarà tenuto ad annullare la decisione di rigetto e a rinviare la causa dinanzi all’autorità accertante.

74      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che gli articoli 14 e 34 della direttiva procedure devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale la violazione dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione di inammissibilità basata sull’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva in parola non comporta l’annullamento di tale decisione e il rinvio della causa dinanzi all’autorità accertante, a meno che detta normativa consenta a tale richiedente, nell’ambito del procedimento di ricorso avverso la decisione di cui trattasi, di esporre di persona tutti i suoi argomenti contro detta decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie fondamentali applicabili, enunciate dall’articolo 15 di detta direttiva, e a meno che tali argomenti non siano atti a modificare la stessa decisione.

 Sulle spese

75      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

Gli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale la violazione dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione di inammissibilità basata sull’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva in parola non comporta l’annullamento di tale decisione e il rinvio della causa dinanzi all’autorità accertante, a meno che detta normativa consenta a tale richiedente, nell’ambito del procedimento di ricorso avverso la decisione di cui trattasi, di esporre di persona tutti i suoi argomenti contro detta decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie fondamentali applicabili, enunciate dall’articolo 15 di detta direttiva, e a meno che tali argomenti non siano atti a modificare la stessa decisione.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.