Language of document : ECLI:EU:C:2020:530

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

9 luglio 2020 (*)

«Impugnazione – Risorse proprie dell’Unione europea – Responsabilità finanziaria degli Stati membri – Richiesta di dispensa dall’obbligo di mettere a disposizione risorse proprie – Ricorso di annullamento – Ricevibilità – Lettera della Commissione europea – Nozione di “atto impugnabile” – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Tutela giurisdizionale effettiva – Ricorso fondato su un arricchimento senza causa dell’Unione»

Nella causa C‑575/18 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 13 settembre 2018,

Repubblica ceca, rappresentata da O. Serdula, J. Vláčil e M. Smolek, in qualità di agenti,

ricorrente,

sostenuta da:

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da M.K. Bulterman, C.S. Schillemans, M.L. Noort, M.H.S. Gijzen e J. Langer, in qualità di agenti,

interveniente in sede d’impugnazione,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata inizialmente da M. Owsiany-Hornung e Z. Malůšková, poi da Z. Malůšková e. J.-P. Keppenne, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, M. Vilaras, P.G. Xuereb, L.S. Rossi e I. Jarukaitis, presidenti di sezione, E. Juhász, M. Ilešič, J. Malenovský, L. Bay Larsen, K. Jürimäe (relatrice), N. Piçarra e A. Kumin, giudici,

avvocato generale: E. Sharpston

cancelliere: M. Aleksejev, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 novembre 2019;

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 marzo 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la sua impugnazione la Repubblica ceca chiede l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale dell’Unione europea del 28 giugno 2018, Repubblica ceca/Commissione (T‑147/15, non pubblicata; in prosieguo: l’«ordinanza impugnata», EU:T:2018:395), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione del direttore della direzione «Risorse proprie e programmazione finanziaria» della direzione generale del bilancio della Commissione europea che sarebbe contenuta nella lettera recante il riferimento Ares (2015)217973, del 20 gennaio 2015 (in prosieguo: la «lettera controversa»).

 Contesto normativo

 Le decisioni 2000/597/CE, Euratom e 2007/436/CE, Euratom

2        Per quanto riguarda il periodo interessato dai fatti all’origine della controversia, sono state applicate in successione due decisioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, vale a dire la decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2000, L 253, pag. 42), poi, a partire dal 1º gennaio 2007, la decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007, L 163, pag. 17).

3        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2000/597, il cui contenuto è stato ripreso, in sostanza, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’Unione europea le entrate provenienti, in particolare, «dai dazi della tariffa doganale comune e da altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni [dell’Unione] sugli scambi con i paesi terzi».

4        L’articolo 8, paragrafo 1, primo e terzo comma, delle decisioni 2000/597 e 2007/436 prevede segnatamente, da un lato, che dette risorse proprie dell’Unione siano riscosse dagli Stati membri ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, eventualmente adattate alle esigenze della normativa dell’Unione e, dall’altro, che gli Stati membri mettano tali risorse a disposizione della Commissione.

 Il regolamento n. 1150/2000

5        Il regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 2007/436 (GU 2000, L 130, pag. 1), è il risultato di due modifiche introdotte, nel corso del periodo relativo ai fatti all’origine della controversia, rispettivamente, con effetto a partire dal 28 novembre 2004, dal regolamento (CE, Euratom) n. 2028/2004 del Consiglio, del 16 novembre 2004 (GU 2004, L 352, pag. 1), e, con effetto dal 1° gennaio 2007, dal regolamento (CE, Euratom) n. 105/2009 del Consiglio, del 26 gennaio 2009 (GU 2009, L 36, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 1150/2000»).

6        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, un diritto dell’Unione sulle risorse proprie è accertato non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo.

7        L’articolo 6, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettere a) e b), di tale regolamento prevede quanto segue:

«1.      Presso il Tesoro di ogni Stato membro o l’organismo designato da quest’ultimo viene tenuta una contabilità delle risorse proprie, ripartita secondo la natura delle risorse.

(...)

3.

a)      Con riserva della lettera b) del presente paragrafo, i diritti accertati conformemente all’articolo 2 sono riportati nella contabilità al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

b)      I diritti accertati e non riportati nella contabilità di cui alla lettera a), poiché non sono stati ancora riscossi e non è stata fornita alcuna garanzia, sono iscritti in una contabilità separata entro il termine previsto alla lettera a). Gli Stati membri possono procedere nello stesso modo allorché i diritti accertati e coperti da garanzie formano oggetto di contestazione e possono subire variazioni in seguito alle controversie sorte».

8        L’articolo 9, paragrafo 1, primo comma, del citato regolamento dispone quanto segue:

«Secondo le modalità definite dall’articolo 10, le risorse proprie vengono accreditate da ogni Stato membro sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione presso il Tesoro o l’organismo da esso designato».

9        A norma dell’articolo 10, paragrafo 1, del medesimo regolamento:

«Dopo la deduzione delle spese di riscossione in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3 e dell’articolo 10, paragrafo 3 della decisione [2007/436], l’iscrizione delle risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della summenzionata decisione ha luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello in cui il diritto è stato accertato a norma dell’articolo 2 del presente regolamento.

Tuttavia, per i diritti contemplati nella contabilità separata conformemente all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del presente regolamento, l’iscrizione deve aver luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello della riscossione dei diritti».

10      Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, di tale regolamento dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora.

11      L’articolo 17, paragrafi da 1 a 4, del regolamento in questione così recita:

«1.      Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.      Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultano irrecuperabili:

a)      o per cause di forza maggiore;

b)      o per altri motivi che non sono loro imputabili.

Gli importi di diritti accertati sono dichiarati irrecuperabili con decisione dell’autorità amministrativa competente che constata l’impossibilità del recupero.

Gli importi di diritti accertati sono considerati irrecuperabili al più tardi dopo un periodo di cinque anni dalla data alla quale l’importo è stato accertato a norma dell’articolo 2 oppure, in caso di ricorso amministrativo o giudiziario, (...) dalla notifica o dalla pubblicazione della decisione definitiva.

In caso di pagamento scaglionato, il periodo massimo di cinque anni inizia a decorrere dalla data dell’ultimo pagamento effettivo nella misura in cui quest’ultimo non saldi il debito.

Gli importi dichiarati o considerati irrecuperabili sono ritirati definitivamente dalla contabilità separata di cui all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b). Sono segnalati nell’allegato dell’estratto trimestrale di cui all’articolo 6, paragrafo 4, lettera b), e, se del caso, nell’estratto trimestrale di cui all’articolo 6, paragrafo 5.

3.      Nei tre mesi che seguono la decisione amministrativa di cui al paragrafo 2 o secondo la scadenza di cui allo stesso paragrafo, gli Stati membri comunicano alla Commissione gli elementi d’informazione che riguardano i casi d’applicazione del paragrafo 2, sempre che l’importo dei diritti accertati in causa superi 50 000 EUR.

(...)

4.      La Commissione dispone di sei mesi, a decorrere dalla ricezione della comunicazione di cui al paragrafo 3, per trasmettere le sue osservazioni allo Stato membro interessato.

(...)».

 I fatti all’origine della controversia e la lettera controversa

12      I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 1 a 9 dell’ordinanza impugnata. Ai fini del presente procedimento, essi possono essere riassunti come segue.

13      Il 30 maggio 2008, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha adottato una relazione finale attinente a un’indagine riguardante verifiche relative all’importazione di accendini tascabili a pietra focaia provenienti dal Laos, nel corso del periodo compreso tra il 2004 e il 2007.

14      In detta relazione si affermava che «gli elementi di prova dell’origine cinese accertati nel corso della missione ispettiva basta[va]no a far sì che gli Stati membri avvi[assero] un procedimento amministrativo di accertamento fiscale». Secondo la relazione, era necessario «che gli Stati membri attu[assero] verifiche a posteriori e, se del caso, indagini sugli importatori interessati e che essi avvi[assero], con urgenza, un procedimento di recupero, ove ciò non fosse già avvenuto».

15      Le conclusioni della stessa relazione riguardavano 28 casi di importazioni di merci nella Repubblica ceca. Gli uffici doganali cechi competenti hanno adottato misure per procedere alla rettifica e al recupero fiscale in questi casi.

16      Non è stato tuttavia possibile, per nessuno dei casi summenzionati, effettuare la rettifica entro un termine di tre mesi dalla data di notifica della versione ceca della relazione dell’OLAF.

17      Tra il novembre 2013 e il novembre 2014, la Repubblica ceca, conformemente alla normativa applicabile, ha iscritto nel sistema di informazione WOMIS (Write‑Off Management and Information System) i casi di impossibilità di recupero dell’importo delle risorse proprie dell’Unione.

18      Nel luglio e nel dicembre 2014 la Repubblica ceca ha fornito alla Commissione, su richiesta di quest’ultima, ulteriori informazioni.

19      Con la lettera controversa, il direttore della direzione «Risorse proprie e programmazione finanziaria» della direzione generale del bilancio della Commissione ha informato le autorità ceche che le condizioni per la dispensa dall’obbligo di mettere a disposizione dell’Unione le risorse proprie, previste all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000, non ricorrevano in nessuno dei casi suddetti. Egli ha invitato le autorità ceche ad adottare le misure necessarie affinché fosse accreditato sul conto della Commissione l’importo di 53 976 340 corone ceche (CZK) (circa EUR 2 112 708) (in prosieguo: l’«importo in questione»), entro il primo giorno feriale successivo al diciannovesimo giorno del secondo mese successivo al mese in cui detta lettera è stata inviata. Lo stesso ha aggiunto che ogni ritardo avrebbe dato luogo al pagamento di interessi in applicazione dell’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e ordinanza impugnata

20      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 30 marzo 2015, la Repubblica ceca ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione asseritamente contenuta nella lettera controversa.

21      Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 giugno 2015, la Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità del ricorso, per il motivo che la lettera controversa non configurava una decisione impugnabile con ricorso di annullamento. La Repubblica ceca ha presentato le sue osservazioni su tale eccezione.

22      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 luglio 2015, la Repubblica slovacca ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica ceca.

23      Con decisione del 22 dicembre 2015, il Tribunale, dopo aver raccolto le osservazioni della Repubblica ceca e della Commissione, ha sospeso il procedimento dinanzi ad esso fino alle decisioni conclusive dei procedimenti nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 25 ottobre 2017, Slovacchia/Commissione (C‑593/15 P e C‑594/15 P, EU:C:2017:800), nonché Romania/Commissione (C‑599/15 P, EU:C:2017:801). Il procedimento è stato ripreso a seguito della pronuncia di tali sentenze. La Repubblica ceca e la Commissione sono state invitate a pronunciarsi sulle conseguenze che occorreva trarne.

24      Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale ha accolto l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione e, pertanto, ha respinto il ricorso della Repubblica ceca in quanto irricevibile, dal momento che era diretto contro un atto non impugnabile con ricorso di annullamento, senza statuire sulla domanda di intervento della Repubblica slovacca.

 Il procedimento dinanzi alla Corte e le conclusioni delle parti in sede di impugnazione

25      La Repubblica ceca chiede che la Corte voglia:

–        annullare l’ordinanza impugnata;

–        respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione;

–        rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché statuisca sulla fondatezza del ricorso, e

–        condannare la Commissione alle spese.

26      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione e

–        condannare la Repubblica ceca alle spese.

27      Con decisione del presidente della Corte dell’8 gennaio 2019, il Regno dei Paesi Bassi è stato autorizzato ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica ceca.

28      Nella sua memoria di intervento, il Regno dei Paesi Bassi chiede che la Corte voglia:

–        accogliere l’impugnazione e

–        condannare la Commissione alle spese.

 Sull’impugnazione

 Argomenti delle parti

29      A sostegno della sua impugnazione, la Repubblica ceca deduce un motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 263 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

30      Con tale motivo, la Repubblica ceca afferma, in sostanza, che, contrariamente a quanto il Tribunale suggerisce ai punti 81 e seguenti dell’ordinanza impugnata, essa non dispone di alcun mezzo di ricorso effettivo che le consenta di ottenere un controllo giurisdizionale sulla posizione adottata dalla Commissione nella controversia che la vede contrapposta a tale istituzione per quanto riguarda l’esistenza di un obbligo a suo carico di mettere a disposizione di quest’ultima l’importo in questione. In tali circostanze, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare ricevibile il ricorso in primo grado, al fine di garantirle una tutela giurisdizionale effettiva.

31      A tal riguardo, la Repubblica ceca sottolinea che, quando la Commissione invita uno Stato membro a mettere a sua disposizione un importo di risorse proprie dell’Unione con una lettera come la lettera controversa, tale Stato membro è, de facto, tenuto a versare entro il termine prescritto l’importo reclamato, malgrado le riserve che esso formula nei confronti della tesi sostenuta dalla Commissione. Infatti, rifiutando di mettere tale importo a disposizione della suddetta istituzione, lo Stato membro interessato correrebbe il rischio di dover versare, oltre all’importo principale, interessi di mora nell’ipotesi in cui, a seguito della proposizione di un ricorso per inadempimento da parte della Commissione, la Corte constatasse un inadempimento dell’obbligo di mettere a disposizione l’importo reclamato. L’ammontare di tali interessi dipenderebbe, in pratica, dal termine entro il quale la Commissione proporrebbe un siffatto ricorso e dalla durata del procedimento per inadempimento. Detto ammontare potrebbe quindi essere oltremodo elevato e costituirebbe un costo legale eccessivo per lo Stato membro interessato.

32      Orbene, secondo la Repubblica ceca, in primo luogo, uno Stato membro non ha alcuna certezza che la controversia che lo contrappone in tal modo alla Commissione sia esaminata dalla Corte nel merito, tenuto conto del potere discrezionale di cui la Commissione è investita per proporre un ricorso per inadempimento e della mancanza di qualsiasi condizione relativa al termine richiesto a tal fine. Poiché l’accesso al giudice dipenderebbe quindi dalla «buona volontà» della Commissione, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva non sarebbe garantito.

33      La Repubblica ceca ritiene che la situazione sarebbe diversa solo se la Commissione fosse tenuta a proporre un ricorso per inadempimento contro lo Stato membro interessato nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia messo a disposizione della Commissione un importo di risorse proprie dell’Unione, accompagnando però tale pagamento con riserve quanto alla fondatezza dell’obbligo di pagamento.

34      Tuttavia, allo stato attuale, un siffatto obbligo di proporre un ricorso per inadempimento in un’ipotesi del genere non risulterebbe dalla giurisprudenza del giudice dell’Unione. Tale giurisprudenza inoltre mancherebbe di precisione in merito alle condizioni e agli effetti di una tale messa a disposizione dell’importo con riserve, circostanza che darebbe luogo ad uno stato di incertezza giuridica e comprometterebbe il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

35      Oltretutto, la prassi attuale della Commissione rivelerebbe che tale istituzione non si ritiene obbligata a proporre un ricorso per inadempimento in caso di messa a disposizione di un importo di risorse proprie dell’Unione con riserve.

36      Al contrario, la Commissione riterrebbe che, in un caso del genere, non vi sia più inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE.

37      Ne conseguirebbe che uno Stato membro avrebbe accesso al giudice dell’Unione, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, solo rifiutando di mettere a disposizione della Commissione l’importo richiesto e correndo, in tal modo, il rischio di dover versare interessi di mora molto elevati in caso di accertamento dell’inadempimento.

38      In secondo luogo, la Repubblica ceca ritiene che le carenze nella sua tutela giurisdizionale costituiscano un elemento del «contesto di fatto e di diritto» dell’emissione della lettera controversa, che sarebbe un criterio pertinente per valutare l’impugnabilità di tale lettera. Orbene, considerato tale contesto, occorrerebbe adottare un’interpretazione delle nozioni di «effetti giuridici vincolanti» e di «atto impugnabile» diversa da quella accolta dal Tribunale nell’ordinanza impugnata, al fine di garantire il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

39      Ciò varrebbe a maggior ragione se, nonostante le iniziative intraprese dalla Repubblica ceca, la Commissione persistesse nel suo rifiuto di proporre un ricorso per inadempimento. La Repubblica ceca sottolinea al riguardo di avere messo a disposizione della Commissione l’importo in questione sin dal 17 marzo 2015, pur formulando riserve quanto alla fondatezza delle tesi di tale istituzione. Inoltre, con lettera del 30 agosto 2018, rimasta senza risposta, lo Stato membro in parola avrebbe ribadito a detta istituzione le proprie riserve in merito al suo obbligo di mettere a disposizione tale importo e avrebbe chiesto a quest’ultima di restituirgli l’importo stesso o di proporre un ricorso per inadempimento.

40      Nell’udienza di discussione, in primo luogo, la Repubblica ceca ha aggiunto che la lettera controversa era idonea a produrre effetti giuridici, giacché fissava un termine per mettere a disposizione l’importo in questione, pena il pagamento di interessi di mora. Orbene, il dies a quo di tale termine sarebbe stato diverso da quello fissato all’articolo 10 del regolamento n. 1150/2000.

41      In secondo luogo, la Repubblica ceca ha aggiunto che neppure un ricorso per risarcimento danni fondato sull’arricchimento senza causa dell’Unione le garantirebbe una tutela giurisdizionale effettiva, tenuto conto delle rigorose condizioni che disciplinano tale rimedio giuridico.

42      Il Regno dei Paesi Bassi è dell’avviso che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto che la lettera controversa configurasse un «mero parere giuridico» o un mero «invito a mettere a disposizione» l’importo in questione. Infatti, tale lettera sarebbe stata destinata a produrre effetti giuridici dato che avrebbe imposto alla Repubblica ceca obblighi nuovi fissando, in modo autonomo, una data a partire dalla quale sono dovuti interessi di mora.

43      In aggiunta, un ricorso diretto all’annullamento di un simile atto e un ricorso per inadempimento potrebbero coesistere. L’assenza di mezzi di ricorso, sul fondamento dell’articolo 263 TFUE, contro atti come la lettera controversa costituirebbe una «lacuna» nella tutela giurisdizionale degli Stati membri.

44      All’udienza dibattimentale, il Regno dei Paesi Bassi ha aggiunto che due soluzioni consentirebbero di rimediare a tale lacuna. Una prima soluzione consisterebbe nel considerare che, quando uno Stato membro mette a disposizione della Commissione un importo di risorse proprie dell’Unione, al contempo formulando riserve quanto al suo obbligo di procedere in tal modo, tale istituzione sarebbe tenuta a proporre un ricorso per inadempimento contro detto Stato membro. Un obbligo del genere potrebbe essere fondato sui principi di tutela giurisdizionale effettiva e di leale cooperazione. Una seconda soluzione consisterebbe nel consentire a uno Stato membro di proporre, dinanzi al Tribunale, un ricorso fondato sull’arricchimento senza causa dell’Unione. Il Regno dei Paesi Bassi ha espresso la propria preferenza per la prima soluzione, dubitando dell’opportunità della seconda.

45      La Commissione contesta la fondatezza del motivo unico dedotto dalla Repubblica ceca.

 Giudizio della Corte

46      In via preliminare, occorre ricordare che da una giurisprudenza costante risulta che sono considerati «atti impugnabili», ai sensi dell’articolo 263 TFUE, tutti i provvedimenti, a prescindere dalla loro forma, adottati dalle istituzioni e intesi alla produzione di effetti giuridici vincolanti (sentenza del 20 febbraio 2018, Belgio/Commissione, C‑16/16 P, EU:C:2018:79, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

47      Per accertare se l’atto impugnato produca simili effetti, occorre riferirsi alla sua sostanza e valutarne gli effetti in funzione di criteri obiettivi, come il contenuto dell’atto stesso, tenendo conto eventualmente del contesto in cui quest’ultimo è stato adottato nonché dei poteri dell’istituzione da cui esso promana (sentenza del 20 febbraio 2018, Belgio/Commissione, C‑16/16 P, EU:C:2018:79, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

48      Nel caso di specie, il Tribunale ha ricordato la suddetta giurisprudenza ai punti 31 e 35 dell’ordinanza impugnata. In applicazione di tale giurisprudenza esso ha dichiarato, al punto 64 di tale ordinanza, che la lettera controversa non era idonea a produrre effetti giuridici. Esso è giunto a tale conclusione dopo aver analizzato, da un lato, ai punti da 36 a 56 di tale ordinanza, il contesto in cui la lettera è stata emessa e i poteri conferiti alla Commissione in materia di risorse proprie dell’Unione, tenuto conto, in particolare, del combinato disposto dell’articolo 8, paragrafo 1, della decisione 2007/436, nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’articolo 9, paragrafo 1, e dell’articolo 17, paragrafi da 1 a 4, del regolamento n. 1150/2000, e, dall’altro, a seguito di un esame del contenuto della lettera in parola effettuato ai punti da 57 a 63 di detta ordinanza.

49      Nell’ambito del motivo unico dedotto a sostegno della sua impugnazione, la Repubblica ceca non contesta né l’interpretazione, da parte del Tribunale, del combinato disposto della decisione 2007/436 e del regolamento n. 1150/2000, né l’analisi del contenuto della lettera controversa e del contesto della sua emissione.

50      La Repubblica ceca ritiene tuttavia che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto respingendo il suo ricorso di annullamento in quanto irricevibile, mentre la stessa, contrariamente a quanto il Tribunale lascerebbe intendere ai punti 81 e seguenti dell’ordinanza impugnata, non dispone di alcun altro rimedio giurisdizionale che le consenta di ottenere un controllo giurisdizionale della posizione adottata dalla Commissione nella controversia che la vede contrapposta a tale istituzione in merito all’obbligo di mettere a disposizione di quest’ultima l’importo in questione. Secondo la Repubblica ceca, le carenze nella sua tutela giurisdizionale costituiscono un elemento di contesto che avrebbe dovuto essere preso in considerazione nell’ambito della valutazione della impugnabilità della lettera controversa.

51      In tali punti dell’ordinanza impugnata, il Tribunale ha respinto l’argomentazione della Repubblica ceca presentata dinanzi ad esso e relativa al diritto di quest’ultima ad una tutela giurisdizionale effettiva. Da un lato, al punto 81 di tale ordinanza esso ha ricordato, in sostanza, che un’interpretazione, alla luce dell’articolo 47 della Carta, del requisito della produzione di effetti giuridici vincolanti da parte dell’atto impugnato non può condurre a escludere tale requisito. Dall’altro lato, ai punti da 82 a 86 di detta ordinanza, il Tribunale ha indicato che la Repubblica ceca aveva sia la facoltà di non dare seguito alla lettera controversa, in attesa dell’eventuale presentazione, da parte della Commissione, di un ricorso di inadempimento, sia quella di procedere a mettere a disposizione l’importo in questione, formulando al contempo riserve in merito alla fondatezza della tesi sostenuta dalla Commissione.

52      A tal riguardo si deve rilevare, in primo luogo, che il Tribunale ha giustamente ricordato, al punto 81 dell’ordinanza impugnata, che, secondo le spiegazioni relative alla Carta (GU 2007, C 303, pag. 2) e una giurisprudenza costante della Corte, sebbene la condizione relativa agli effetti giuridici vincolanti debba essere interpretata alla luce del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47, primo comma, della Carta, tale diritto non è inteso a modificare il sistema di tutela giurisdizionale effettiva previsto dai Trattati e, in particolare, le norme relative alla ricevibilità dei ricorsi proposti direttamente dinanzi al giudice dell’Unione. Pertanto, l’interpretazione della nozione di «atto impugnabile» alla luce del succitato articolo 47 non può condurre ad escludere tale requisito senza eccedere le competenze attribuite dal Trattato FUE ai giudici dell’Unione (v., in questo senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Slovacchia/Commissione, C‑593/15 P e C‑594/15 P, EU:C:2017:800, punto 66 nonché giurisprudenza ivi citata).

53      Orbene, ciò è proprio quanto accadrebbe se ad uno Stato membro fosse consentito di proporre un ricorso di annullamento contro una lettera che non costituisca un atto impugnabile, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 46 e 47 della presente sentenza, in quanto, tenuto conto del suo contenuto, del contesto della sua emissione e dei poteri dell’istituzione da cui essa promana, essa non è idonea a produrre effetti giuridici vincolanti, come dichiarato dal Tribunale ai punti da 36 a 64 dell’ordinanza impugnata, senza che tali elementi di analisi siano rimessi in discussione dalla Repubblica ceca nel suo atto di impugnazione.

54      Tutt’al più, all’udienza di discussione dibattimentale, la Repubblica ceca ha fatto valere, al pari del Regno dei Paesi Bassi nella sua memoria di intervento, che la lettera controversa era idonea a produrre effetti giuridici in quanto fissava un termine per mettere a disposizione l’importo in questione, pena il pagamento di interessi di mora. Tuttavia, per sua natura, l’indicazione di tale termine da parte della Commissione non è tale da produrre effetti giuridici. Infatti, la Corte ha dichiarato che è in forza dell’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000 che ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento in discorso dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro interessato, di un interesse applicabile a tutto il periodo del ritardo, a prescindere dai motivi del ritardo e da un termine fissato dalla Commissione per mettere a disposizione le risorse proprie dell’Unione (v., in questo senso, sentenze del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C‑442/08, EU:C:2010:390, punti 93 e 95, nonché del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo, C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 62).

55      Inoltre, l’argomento della Repubblica ceca secondo cui si deve ammettere la ricevibilità del suo ricorso di annullamento contrasta con le caratteristiche del sistema delle risorse proprie dell’Unione.

56      A tal riguardo, occorre ricordare che dall’articolo 8, paragrafo 1, delle decisioni 2000/597 e 2007/436 risulta che le risorse proprie dell’Unione di cui, rispettivamente, all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della decisione 2000/597 e all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436 sono riscosse dagli Stati membri e che questi ultimi hanno l’obbligo di metterle a disposizione della Commissione (sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia, C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 34).

57      A tal fine, gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, ad accertare il diritto dell’Unione sulle risorse proprie non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale «per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo». Pertanto, gli Stati membri devono riportare i diritti accertati conformemente all’articolo 2 del citato regolamento nella contabilità delle risorse proprie dell’Unione secondo le condizioni previste all’articolo 6 del suddetto regolamento (v., in questo senso, sentenza del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C‑442/08, EU:C:2010:390, punto 76 e giurisprudenza ivi citata). A tal riguardo, occorre precisare che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del medesimo regolamento, un diritto accertato che non è stato ancora riscosso e per il quale non è stata fornita alcuna garanzia è iscritto in una contabilità separata [v., in questo senso, sentenza dell’11 luglio 2019, Commissione/Italia (Risorse proprie – Riscossione di un debito doganale), C‑304/18, non pubblicata, EU:C:2019:601, punto 52].

58      Gli Stati membri devono poi mettere le risorse proprie dell’Unione a disposizione della Commissione secondo le condizioni stabilite agli articoli da 9 a 11 del regolamento n. 1150/2000, accreditandole, nel rispetto dei termini previsti, sul conto aperto a tale scopo a nome di detta istituzione. Conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento in discorso, ogni ritardo nell’iscrizione su tale conto dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora.

59      Di conseguenza, vi è un nesso indissolubile fra l’obbligo di accertare le risorse proprie dell’Unione, l’obbligo di accreditarle sul conto della Commissione entro i termini stabiliti e quello di versare interessi di mora (v., in questo senso, sentenza del 20 marzo 1986, Commissione/Germania, 303/84, EU:C:1986:140, punto 11), fermo restando che questi ultimi sono esigibili qualunque sia la ragione per cui l’accreditamento sul conto della Commissione è stato effettuato con ritardo (sentenza del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C‑442/08, EU:C:2010:390, punto 93).

60      Inoltre, ai sensi dell’articolo 17, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1150/2000, gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 del medesimo regolamento siano messi a disposizione della Commissione. Gli Stati membri sono dispensati da tale obbligo soltanto se la riscossione non ha potuto essere effettuata per cause di forza maggiore ovvero quando risulti definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non sono loro imputabili. Gli importi dichiarati o considerati irrecuperabili sono ritirati definitivamente dalla contabilità separata di cui all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), di detto regolamento.

61      In tale contesto, dall’articolo 17, paragrafi 3 e 4, del regolamento n. 1150/2000 risulta che gli Stati membri devono comunicare alla Commissione gli elementi d’informazione che riguardano i casi d’applicazione del paragrafo 2 di tale articolo, sempre che l’importo dei diritti accertati in causa superi EUR 50 000. La Commissione dispone allora di sei mesi, a decorrere dalla ricezione di tale comunicazione, per trasmettere le sue osservazioni allo Stato membro interessato. Come correttamente dichiarato dal Tribunale ai punti da 46 a 50 dell’ordinanza impugnata, senza che ciò sia contestato nell’impugnazione, siffatte osservazioni non hanno alcun valore vincolante e devono essere considerate come un semplice parere espresso dalla Commissione.

62      Da quanto precede si evince che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione è affidata agli Stati membri e ricade sotto la sola responsabilità di questi ultimi. Pertanto, gli obblighi di riscossione, di accertamento e di iscrizione sul conto di dette risorse proprie incombe direttamente sugli Stati membri in forza delle disposizioni delle decisioni 2000/597 e 2007/436 nonché del regolamento n. 1150/2000, senza che la Commissione sia investita di alcun potere decisionale che le consenta di ingiungere agli Stati membri di accertare e di mettere a sua disposizione gli importi delle risorse proprie dell’Unione (v., in questo senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Slovacchia/Commissione, C‑593/15 P e C‑594/15 P, EU:C:2017:800, punto 64).

63      A tal riguardo, va sottolineato che il legislatore dell’Unione ha scelto di non dare seguito ad una proposta formulata dalla Commissione al punto 13.3 della sua proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento n. 1150/2000, presentata il 1º luglio 2003 [COM (2003) 366 final], e che prevede di investire la Commissione della competenza di adottare una decisione motivata qualora essa ritenga che le condizioni previste all’articolo 17, paragrafo 2, primo comma, del regolamento n. 1150/2000 non siano soddisfatte.

64      In tali circostanze, ammettere la possibilità di un ricorso di annullamento, come suggerito dalla Repubblica ceca, contro una lettera, come la lettera controversa, allo scopo di verificare la fondatezza dell’obbligo per tale Stato membro di mettere a disposizione della Commissione l’importo in questione equivarrebbe a contravvenire al sistema delle risorse proprie dell’Unione quale previsto nelle norme del diritto dell’Unione. Orbene, non spetta alla Corte modificare la scelta effettuata dal legislatore dell’Unione a questo riguardo.

65      Per quanto concerne, in secondo luogo, le considerazioni esposte dal Tribunale ai punti da 82 a 86 dell’ordinanza impugnata, occorre rilevare che, conformemente al ruolo di custode dei Trattati assegnato alla Commissione in forza dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, spetta a tale istituzione vigilare sulla corretta esecuzione, da parte degli Stati membri, dei loro obblighi in materia di risorse proprie dell’Unione.

66      Nell’adempimento di tale compito, la Commissione dispone di un potere discrezionale per decidere sull’opportunità di avviare il procedimento di cui all’articolo 258 TFUE, ove ritenga che uno Stato membro sia venuto meno ad uno degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione (v., in questo senso, sentenze del 19 ottobre 1995, Richardson, C‑137/94, EU:C:1995:342, punto 35, e del 6 dicembre 2007, Commissione/Germania, C‑456/05, EU:C:2007:755, punto 25).

67      In proposito, la Corte ha in particolare dichiarato che uno Stato membro che si astenga dall’accertare il diritto dell’Unione sulle risorse proprie e dal mettere il relativo importo a disposizione della Commissione, senza che ricorra uno dei requisiti previsti dall’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000, viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione e, segnatamente, quelli di cui agli articoli 2 e 8 delle decisioni 2000/597 e 2007/436 (v., in questo senso, sentenze del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca, C‑392/02, EU:C:2005:683, punto 68; del 18 ottobre 2007, Commissione/Danimarca, C‑19/05, EU:C:2007:606, punto 32, nonché del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito, C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, punto 50).

68      Ne consegue che la facoltà della Commissione di sottoporre alla valutazione della Corte, nell’ambito di un ricorso di inadempimento, una controversia che la veda contrapposta a uno Stato membro in merito all’obbligo di quest’ultimo di mettere un determinato importo di risorse proprie dell’Unione a disposizione di tale istituzione è inerente al sistema di dette risorse proprie, come esso è attualmente concepito nel diritto dell’Unione.

69      È vero che, come sostenuto dalla Repubblica ceca, lo Stato membro che, non condividendo la posizione della Commissione in merito all’obbligo a carico dello stesso di mettere a disposizione di tale istituzione un importo di risorse proprie dell’Unione, si astenga dal mettere a disposizione detto importo, si espone ad interessi di mora in caso di accertamento, da parte della Corte, di un inadempimento dei suoi obblighi derivanti dalla normativa in materia di risorse proprie dell’Unione.

70      Al riguardo occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che, come risulta in sostanza dai punti 58 e 59 della presente sentenza, l’obbligo di versare interessi di mora, in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, è accessorio rispetto all’obbligo di mettere a disposizione della Commissione le risorse proprie dell’Unione nel rispetto delle condizioni fissate agli articoli da 9 a 11 di tale regolamento, in particolare dei termini fissati da quest’ultimo.

71      Di conseguenza, nell’udienza di discussione, la Repubblica ceca ha erroneamente assimilato gli interessi di mora di cui uno Stato membro può essere debitore nell’ambito del sistema di risorse proprie dell’Unione a spese legali che, a suo avviso, possono ostacolare l’accesso alla giustizia.

72      In secondo luogo, come ricordato correttamente dal Tribunale al punto 84 dell’ordinanza impugnata, dalla giurisprudenza della Corte emerge che uno Stato membro può evitare le conseguenze finanziarie pregiudizievoli costituite dagli interessi di mora, il cui importo può essere elevato, mettendo a disposizione della Commissione l’importo richiesto dalla stessa, pur formulando riserve quanto alla fondatezza delle tesi di tale istituzione (v., in questo senso, sentenze del 16 maggio 1991, Commissione/Paesi Bassi, C‑96/89, EU:C:1991:213, punto 17, e del 12 settembre 2000, Commissione/Regno Unito, C‑359/97, EU:C:2000:426, punto 31).

73      Nel caso di una messa a disposizione di risorse proprie dell’Unione accompagnata da siffatte riserve, spetta alla Commissione, conformemente al principio di leale cooperazione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, avviare con lo Stato membro interessato un dialogo costruttivo al fine di chiarire le rispettive posizioni e determinare gli obblighi incombenti su tale Stato membro.

74      In caso di fallimento di detto dialogo tra lo Stato membro interessato e la Commissione, tale istituzione, contrariamente a quanto fatto valere da quest’ultima nell’ambito della presente causa, può proporre un ricorso per inadempimento nei confronti dello stesso Stato membro in merito ai suoi obblighi di riscossione, accertamento e messa a disposizione delle risorse proprie dell’Unione.

75      Infatti, come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 98 delle sue conclusioni, il fatto di mettere a disposizione, con riserva, le risorse proprie dell’Unione giustificherebbe la constatazione di un inadempimento nell’ipotesi in cui risultasse che lo Stato membro interessato era effettivamente tenuto a mettere tali risorse a disposizione della Commissione.

76      La Corte ha peraltro già esaminato un ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione in una causa in cui lo Stato membro convenuto aveva messo a disposizione risorse proprie dell’Unione con riserva (v., in questo senso, sentenza del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C‑442/08, EU:C:2010:390, punto 51).

77      Ciò premesso, contrariamente alla posizione difesa dalla Repubblica ceca, sostenuta dal Regno dei Paesi Bassi, quando uno Stato membro mette a disposizione con riserva l’importo reclamato, la Commissione non può per questo essere tenuta a proporre un ricorso per inadempimento nei confronti di tale Stato membro.

78      Infatti, un siffatto obbligo sarebbe contrario alla sistematica dell’articolo 258 TFUE, da cui si evince che la Commissione non è tenuta ad avviare un procedimento per inadempimento, ma dispone al riguardo di un potere discrezionale (v., in questo senso, sentenza del 14 febbraio 1989, Star Fruit/Commissione, 247/87, EU:C:1989:58, punto 11).

79      Pertanto, uno Stato membro non può pretendere di mettere a disposizione un importo di risorse proprie dell’Unione con riserva, a condizione che la Commissione si impegni a presentare dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento (v., in questo senso, ordinanza del 21 giugno 2007, Finlandia/Commissione, C‑163/06 P, EU:C:2007:371, punto 44).

80      Ne consegue che, in ragione del potere discrezionale di cui la Commissione è investita, la via del ricorso per inadempimento non offre allo Stato membro interessato alcuna garanzia che il giudice risolva la controversia che lo oppone a tale istituzione in merito al suo obbligo di mettere a disposizione risorse proprie dell’Unione.

81      In tali circostanze, occorre aggiungere che, qualora uno Stato membro abbia messo a disposizione della Commissione un importo di risorse proprie dell’Unione formulando riserve in merito alla fondatezza della posizione di tale istituzione e la procedura di dialogo indicata al punto 73 della presente sentenza non abbia consentito di porre fine alla controversia tra tale Stato membro e detta istituzione, lo Stato membro interessato può chiedere di essere risarcito a causa di un arricchimento senza causa dell’Unione e può, se del caso, adire il Tribunale con un ricorso a tale fine.

82      A tal riguardo, occorre ricordare che la Corte ha dichiarato che, secondo i principi comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, un soggetto che abbia subito una perdita la quale incrementi il patrimonio di un altro soggetto, senza che vi sia alcun fondamento giuridico per tale arricchimento, ha generalmente diritto ad una restituzione, fino a concorrenza di tale perdita, da parte del soggetto che si è arricchito. Infatti, sebbene il Trattato FUE non preveda espressamente un mezzo di ricorso destinato a questo tipo di domanda giudiziale, un’interpretazione dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE che escludesse tale possibilità condurrebbe ad un risultato contrario al principio di tutela giurisdizionale effettiva. Un ricorso basato sull’arricchimento senza causa dell’Unione, proposto ai sensi di questi articoli, richiede la prova dell’arricchimento, senza una valida base giuridica, del convenuto, e dell’impoverimento del ricorrente correlato all’arricchimento stesso [v., in questo senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar (UK)/Commissione, C‑47/07 P, EU:C:2008:726, punti 44 e da 46 a 50].

83      Nell’ambito dell’esame di un simile ricorso, spetterebbe al Tribunale valutare, in particolare, se l’impoverimento dello Stato membro ricorrente, corrispondente al fatto di aver messo a disposizione della Commissione un importo di risorse proprie dell’Unione che tale Stato membro ha contestato, e il corrispondente arricchimento di tale istituzione trovino la loro giustificazione negli obblighi che incombono su detto Stato membro in forza del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie dell’Unione o siano, al contrario, privi di una siffatta giustificazione.

84      Pertanto, erroneamente la Repubblica ceca, sostenuta dal Regno dei Paesi Bassi, afferma che uno Stato membro è privo di qualsiasi tutela giurisdizionale effettiva in caso di disaccordo con la Commissione in merito ai suoi obblighi in materia di risorse proprie dell’Unione.

85      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il motivo unico dedotto dalla Repubblica ceca e, pertanto, rigettare integralmente l’impugnazione.

 Sulle spese

86      Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

87      Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica ceca, rimasta soccombente nel suo motivo unico, dev’essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione.

88      L’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, stabilisce che le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni dell’Unione intervenuti nella causa restano a loro carico.

89      Pertanto, il Regno dei Paesi Bassi sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Repubblica ceca sopporterà, oltre alle proprie spese, le spese sostenute dalla Commissione europea.

3)      Il Regno dei Paesi Bassi sopporterà le proprie spese.

Firme


*      Lingua processuale: il ceco.