CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE
presentate l’11 luglio 2019 (1)
Cause riunite C‑370/17 e C‑37/18
Caisse de retraite du personnel navigant professionnel de l’aéronautique civile (CRPNPAC)
contro
Vueling Airlines SA
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal de grande instance de Bobigny (Francia)]
e
Vueling Airlines SA
contro
Jean-Luc Poignant
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation, sezione sociale (Francia)]
«Rinvio pregiudiziale – Lavoratori emigranti – Previdenza sociale – Regolamento (CEE) n. 1408/71 – Distacco di lavoratori – Articolo 14, paragrafo 1, lettera a) – Non applicabilità al personale navigante delle compagnie aeree che effettuano trasporto internazionale di passeggeri – Articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i) – Lavoratori dipendenti da una succursale o da una rappresentanza permanente della compagnia aerea nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale quest’ultima ha la propria sede – Certificato E 101 – Efficacia vincolante – Certificato ottenuto o invocato in modo fraudolento – Azione di risarcimento danni contro il datore di lavoro autore della frode – Competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad accertare la frode e ignorare il certificato – Autorità del giudicato penale in sede civile – Divieto per il giudice civile di ignorare una decisione penale vertente sugli stessi fatti, anche se tale decisione è in contrasto con il diritto dell’Unione – Incompatibilità con il diritto dell’Unione»
I. Introduzione
1. Il certificato E 101 (2) è un documento, rilasciato dall’istituzione competente di uno Stato membro ai sensi di una disposizione contenuta nel regolamento (CEE) n. 1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (3), e conformemente al regolamento (CEE) n. 574/72 che ne fissa le modalità di applicazione (4). Tale certificato attesta l’iscrizione di un lavoratore che si trasferisce nell’ambito dell’Unione europea al regime previdenziale di tale Stato membro.
2. Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, tale certificato, finché non sia stato ritirato o invalidato dall’istituzione emittente, è vincolante nell’ordinamento giuridico interno dello Stato membro nel quale il lavoratore interessato si reca per svolgere la sua attività e, a tale titolo, vincola le istituzioni di tale Stato. Queste ultime non possono, in particolare, iscrivere il lavoratore interessato al loro proprio regime di previdenza sociale. Parimenti, un giudice dello stesso Stato non è nemmeno autorizzato a verificare la validità di un certificato E 101 alla luce degli elementi sulla base dei quali esso è stato rilasciato. Gli eventuali dubbi quanto alla validità o all’esattezza di tale certificato debbono essere risolti attraverso una procedura di dialogo tra le istituzioni degli Stati membri interessati, le cui fasi sono state delineate dalla Corte nelle sue sentenze e successivamente codificate dal legislatore dell’Unione.
3. Tale giurisprudenza ha fatto molto discutere. Per taluni, essa offre una deplorevole protezione alle imprese che tentano di eludere le norme previdenziali applicabili, aiutate da istituzioni che rilasciano troppo facilmente il certificato E 101. Per altri, essa è l’ultima espressione di una necessaria cooperazione tra Stati membri nell’applicazione dei regolamenti di coordinamento.
4. In Francia, la controversia oggetto dei procedimenti principali ha accentuato il divario tra tali due visioni. Nel 2012, la società Vueling Airlines SA (in prosieguo: la «Vueling») è stata condannata in sede penale per aver impiegato, presso l’aeroporto de Paris-Charles de Gaulle, a Roissy (Francia), personale di volo senza averlo iscritto alla previdenza sociale francese. Tale personale era stato iscritto al regime previdenziale spagnolo e collocato sotto il regime del distacco di lavoratori. La Vueling aveva ottenuto dall’istituzione competente spagnola certificati E 101 attestanti tale situazione, certificati tuttavia ignorati dal giudice penale francese.
5. I presenti rinvii pregiudiziali si inseriscono nel contesto delle sequele di tale condanna. Essi sono stati proposti dal tribunal de grande instance de Bobigny (Tribunale di primo grado di Bobigny, Francia) e dalla Cour de cassation (Corte di cassazione), sezione sociale (Francia), in ordine a domande di risarcimento danni vertenti sugli stessi fatti e che vedevano, da un lato, la caisse de retraite du personnel navigant professionnel de l’aéronautique civile (istituto pensionistico del personale navigante professionista delle compagnie aeree civili, CRPNPAC) e, dall’altro, il sig. Jean-Luc Poignant contrapposti alla Vueling relativamente al preteso danno subito dai primi a seguito di tale mancata iscrizione in Francia. La questione dell’efficacia vincolante dei certificati E 101 ottenuti da tale compagnia è decisiva per l’esito di tali domande.
6. Tre delle questioni poste dai giudici del rinvio invitano quindi la Corte a precisare se la sua giurisprudenza relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101 si applichi anche qualora il giudice dello Stato membro ospitante constati che tale certificato è stato ottenuto, o invocato in modo fraudolento. Tali questioni permetteranno alla Corte di precisare la portata esatta della sua sentenza Altun e a. (5), nella quale essa ha riconosciuto, in linea di principio, che tale giudice non è vincolato da un certificato E 101 in caso di frode. Dette questioni comporteranno altresì che ci si soffermi sulla nozione di «frode», ai sensi del diritto dell’Unione e, in tale contesto, che vengano interpretate, per la prima volta, le norme previste dal regolamento n. 1408/71 per il personale navigante delle compagnie aeree che praticano trasporto internazionale.
7. Nelle presenti conclusioni proporrò alla Corte di dichiarare che il giudice dello Stato membro ospitante è competente a ignorare un certificato E 101 purché disponga di elementi comprovanti che tale certificato è stato ottenuto o invocato in maniera fraudolenta, indipendentemente dallo svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti. A mio parere, da tale soluzione dipendono l’efficacia della lotta contro il «dumping sociale»(6)e la fiducia riconosciuta normalmente dalla Corte ad un giudice nazionale, in quanto giudice dell’Unione, per far rispettare il diritto dell’Unione.
8. L’ultima questione posta riguarda il rapporto tra il principio di supremazia del diritto dell’Unione e il principio di diritto francese dell’autorità del giudicato penale in sede civile. In virtù di quest’ultimo principio, i giudici del rinvio sarebbero tenuti a condannare la Vueling in sede civile per il solo fatto della precedente condanna penale, anche nel caso in cui tale condanna sia intervenuta in violazione del diritto dell’Unione. Alla luce della risposta che suggerisco di apportare alle altre questioni pregiudiziali, le mie considerazioni in materia saranno essenzialmente esposte in via subordinata. Tuttavia, proporrò alla Corte di dichiarare che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di tale principio qualora sia accertato che detta condanna penale è incompatibile con tale diritto.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
9. L’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 prevede che, con riserva degli articoli da 14 a 17 di tale regolamento, «la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro».
10. L’articolo 14 del regolamento in parola, intitolato «Norme particolari applicabili alle persone, diverse dai marittimi, che esercitano un’attività subordinata», così dispone:
«La norma enunciata all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a) è applicata tenuto conto delle seguenti eccezioni e particolarità.
1) a) La persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro presso un’impresa dalla quale dipende normalmente ed è distaccata da questa impresa nel territorio di un altro Stato membro per svolgervi un lavoro per conto della medesima, rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i dodici mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona giunta al termine del suo periodo di distacco;
b) se la durata del lavoro da effettuare si prolunga, per circostanze imprevedibili, oltre la durata prevista in un primo tempo e supera i dodici mesi, la legislazione del primo Stato membro rimane applicabile fino al compimento di tale lavoro, a condizione che l’autorità competente dello Stato membro nel cui territorio l’interessato è distaccato o l’organismo designato da tale autorità abbia dato il proprio accordo; tale accordo deve essere richiesto prima della fine del periodo iniziale di dodici mesi. Tuttavia, tale accordo non può essere dato per un periodo superiore a dodici mesi.
2) La legislazione applicabile alla persona che di norma esercita un’attività subordinata nel territorio di due o più Stati membri è determinata come segue:
a) la persona che fa parte del personale viaggiante o navigante di un’impresa che effettua, per conto terzi o per conto proprio, trasporti internazionali di passeggeri o di merci per ferrovia, su strada, per via aerea o per vie navigabili interne e che ha la propria sede nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di quest’ultimo Stato. Tuttavia:
i) la persona dipendente da una succursale o da una rappresentanza permanente dell’impresa in questione nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale essa ha la propria sede è soggetta alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio tale succursale o rappresentanza permanente si trova;
ii) la persona occupata prevalentemente nel territorio dello Stato membro nel quale risiede è soggetta alla legislazione di tale Stato, anche se l’impresa da cui dipende non ha né sede, né succursale, né rappresentanza permanente in tale territorio;
(…)»
11. L’articolo 84 bis del regolamento n. 1408/71, dal titolo «Rapporti tra le istituzioni e le persone cui si applica il presente regolamento», inserito in tale regolamento dal regolamento (CE) n. 631/2004, che modifica i regolamenti nn. 1408/71 e 574/72, per quanto riguarda l’allineamento dei diritti e la semplificazione delle procedure (7), prevede, al suo paragrafo 3, quanto segue:
«In caso di difficoltà d’interpretazione o di applicazione del presente regolamento tali da incidere sui diritti di una persona cui esso si applica, l’istituzione dello Stato competente o dello Stato di residenza della persona interessata deve contattare l’istituzione o le istituzioni dello Stato o degli Stati membri interessati. In assenza di una soluzione entro un termine ragionevole, le autorità interessate possono adire la commissione amministrativa».
12. L’articolo 11 del regolamento di applicazione n. 574/72, dal titolo «Formalità in caso di distacco di un lavoratore subordinato in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1 e dell’articolo 14 ter, paragrafo 1 del regolamento [n. 1408/71] in caso di accordi conclusi in applicazione dell’articolo 17 [di tale regolamento]», così dispone, al suo paragrafo 1:
«L’istituzione designata dall’autorità competente dello Stato membro, la cui legislazione rimane applicabile, rilascia un certificato nel quale si attesta che il lavoratore subordinato rimane soggetto a tale legislazione e fino a quale data:
a) su richiesta del lavoratore subordinato o del suo datore di lavoro nei casi di cui all’articolo 14, paragrafo 1 e all’articolo 14 ter, paragrafo 1 del regolamento [n. 1408/71];
(…)»
13. L’articolo 12 bis del regolamento di applicazione n. 574/72, dal titolo «Norme applicabili alle persone di cui all’articolo 14, paragrafi 2 e 3, all’articolo 14 bis, paragrafi da 2 a 4, e all’articolo 14 quater del [regolamento n. 1408/71] che svolgono normalmente un’attività subordinata o autonoma nel territorio di due o più Stati membri», prevede che:
«Per l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 14, paragrafi 2 e 3, dell’articolo 14 bis, paragrafi da 2 a 4, e dell’articolo 14 quater del [regolamento n.1408/71], si applicano le seguenti norme:
(…)
1) bis: Se, a norma dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del [regolamento n. 1408/71], una persona che fa parte del personale viaggiante o navigante di un’impresa che effettua trasporti internazionali è soggetta alla legislazione dello Stato membro sul cui territorio si trova, a seconda dei casi, la sede dell’impresa, la succursale o altra sede che la occupa, o il luogo in cui risiede ed è prevalentemente occupata, l’istituzione designata dall’autorità competente dello Stato membro interessato rilascia alla persona in questione un certificato in cui si attesta che è soggetta alla sua legislazione.
(…)».
14. Il regolamento n. 1408/71 e il regolamento di applicazione n. 574/72 sono stati abrogati e sostituiti, a decorrere dal 1o maggio 2010, rispettivamente, dal regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (8), e dal regolamento (CE) n. 987/2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 883/2004 (9). Ciononostante, i primi regolamenti sono applicabili ratione temporis ai fatti dei procedimenti principali.
B. Diritto francese
15. L’articolo L. 8221-3 del code du travail (codice del lavoro), derivante dal regolamento n. 2007-329, del 12 marzo 2007 (10), nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti, dispone quanto segue:
«Si considera lavoro non dichiarato l’esercizio a fini di lucro di qualsiasi attività di produzione, trasformazione, riparazione o prestazione di servizi, o lo svolgimento di atti commerciali da parte di chiunque, sottraendosi intenzionalmente ai propri obblighi:
(…)
2° (…) non abbia effettuato le dichiarazioni che devono essere rese agli organismi di previdenza sociale o all’amministrazione fiscale in forza delle norme giuridiche in vigore».
16. L’articolo L. 1262-3 del code du travail, derivante dal regolamento n. 2007‑329, nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti, prevede che:
«Un datore di lavoro non può avvalersi delle disposizioni applicabili al distacco dei dipendenti quando la sua attività è interamente orientata verso il territorio nazionale o quando è svolta nei locali o con infrastrutture situate sul territorio nazionale, a partire dalle quali è esercitata abitualmente, in maniera stabile e continua. In particolare egli non può avvalersi di tali disposizioni quando la sua attività comporta la ricerca e l’acquisizione di una clientela o il reclutamento di dipendenti su tale territorio.
Nelle situazioni di cui al primo comma, il datore di lavoro è soggetto alle disposizioni del codice del lavoro applicabili alle imprese stabilite nel territorio francese».
17. Ai sensi dell’articolo R. 330-2-1 del code de l’aviation civile (codice dell’aviazione civile), derivante dal decreto n. 2006-1425, del 21 novembre 2006 (11):
«L’articolo L. 342-4 del code du travail (12) è applicabile alle compagnie aeree in ragione delle loro basi operative situate nel territorio francese.
Una base operativa è un insieme di locali o infrastrutture a partire dai quali un’azienda svolge regolarmente, abitualmente e continuativamente un’attività di trasporto aereo con dipendenti che vi hanno il centro effettivo della propria attività professionale. Ai sensi delle disposizioni precedenti, il centro dell’attività professionale di un dipendente è il luogo in cui egli abitualmente lavora o prende servizio e ritorna dopo aver compiuto la sua missione».
III. Controversie nei procedimenti principali
A. Procedimento penale a carico della Vueling
18. La Vueling è una compagnia aerea che effettua trasporto internazionale di passeggeri e la cui sede sociale si trova a Barcellona (Spagna). Il 21 maggio 2007, tale compagnia aerea ha iniziato ad operare voli diretti verso varie destinazioni spagnole a partire dall’aeroporto di Parigi-Charles de Gaulle, a Roissy. A tale titolo, essa aveva fatto iscrivere nel registro del commercio e delle società di Bobigny (Francia) la costituzione di un’azienda commerciale di trasporto aereo e di autoassistenza a terra, con sede in tale aeroporto.
19. Il 28 maggio 2008, a seguito di controlli, l’ispettorato del lavoro competente ha redatto un verbale di contestazione di lavoro non dichiarato nei confronti della Vueling. Vi veniva constatato che tale compagnia aerea disponeva, in tale aeroporto, di locali amministrativi di gestione e di direzione commerciale, di locali di riposo e di preparazione dei voli del personale di volo, di un uffici di supervisione della biglietteria e di registrazione dei passeggeri. Detta compagnia occupava ivi, da una parte, 50 dipendenti in qualità di personale di volo commerciale e 25 dipendenti in qualità di personale tecnico di volo, i cui contratti di lavoro erano soggetti alla legge spagnola, e, dall’altra, personale di terra (un direttore commerciale, un capo scalo e un capo meccanico), i cui contratti di lavoro erano disciplinati dal diritto francese.
20. L’ispettorato del lavoro ha rilevato che solo il personale di terra era dichiarato presso gli organi di previdenza sociale francesi. Il personale di volo, dal canto suo, era in possesso di certificati E 101 attestanti che i titolari erano distaccati temporaneamente in Francia e rimanevano soggetti, durante il periodo di distacco, al regime previdenziale spagnolo. L’ispettorato del lavoro ha accertato che 48 dipendenti non lavoravano abitualmente per conto della Vueling ed erano stati assunti meno di trenta giorni prima del loro distacco, taluni il giorno prima o il giorno stesso, e ne ha concluso che essi erano stati assunti ai fini di tale distacco. Per 21 di tali dipendenti la busta paga indicava un indirizzo in Francia, e un numero significativo di dichiarazioni di distacco conteneva false dichiarazioni di residenza celando il fatto che i lavoratori distaccati, in maggioranza, non avevano la qualità di residenti spagnoli, mentre alcuni di essi non avevano mai vissuto in Spagna. Tenuto conto dei dipendenti il cui contratto di lavoro era scaduto, risultava che 103 lavoratori in totale non erano stati dichiarati alla previdenza sociale francese.
21. L’ispettorato del lavoro ha inoltre rilevato che la Vueling disponeva, presso l’aeroporto di Parigi-Charles de Gaulle, di una «base operativa» ai sensi dell’articolo R. 330-2-1 del code de l’aviation civile, dato che il personale di volo prende e lascia il servizio in tale sede. In applicazione dell’articolo L. 1262-3 del code du travail, la Vueling non poteva pertanto avvalersi delle disposizioni relative al distacco di lavoratori. In tale contesto, l’ispettorato del lavoro ha considerato che, anche se, conformemente alla giurisprudenza della Corte, il certificato E 101 costituiva una presunzione di iscrizione, tale documento non dimostrava la validità del ricorso al distacco. Esso ha ritenuto che si configurasse un distacco fraudolento e che esistesse un danno per i lavoratori, privati, in particolare, dell’accesso ai diritti del regime di previdenza sociale francese, ma anche per la collettività, poiché il datore di lavoro non aveva versato le somme dovute in base a tale regime.
22. A seguito di tale indagine, la Vueling è stata perseguita penalmente, sulla base del reato di lavoro non dichiarato, previsto dall’articolo L. 8221-3 del code du travail, per avere intenzionalmente esercitato, a Roissy, tra il 21 maggio 2007 e il 16 maggio 2008, l’attività di vettore aereo di passeggeri senza procedere alle dichiarazioni da presentare agli organi di previdenza sociale, segnatamente dissimulando l’attività esercitata in Francia ed equiparandola in modo irregolare ad un distacco di lavoratori.
23. Con sentenza del 1o luglio 2010, il tribunal correctionnel de Bobigny (Tribunale penale di Bobigny, Francia) ha assolto la Vueling.
24. Con sentenza del 31 gennaio 2012, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) ha annullato la sentenza pronunciata in primo grado e ha condannato la Vueling al pagamento di una multa di EUR 100 000. Tale giudice ha considerato, da una parte, che tale compagnia aerea esercitava la sua attività a Roissy nell’ambito di una «base operativa» ai sensi dell’articolo R. 330-2-1 del code de l’aviation civile, e che tale attività rientrava di conseguenza nelle fattispecie previste all’articolo L. 1262-3 del code du travail. Detto giudice ha rilevato che l’unità di cui trattasi disponeva di autonomia operativa, dato che la Vueling aveva assunto a tal fine un direttore. Tale autonomia implicava altresì che la compagnia non poteva dimostrare un legame organico con i lavoratori distaccati. Dall’altra parte, lo stesso giudice ha considerato che la Vueling aveva dolosamente violato le norme applicabili, in particolare domiciliando 41 dei lavoratori per i quali essa chiedeva il distacco all’indirizzo della sua sede senza essere stata in grado di fornire una motivazione seria, idonea ad escludere il sospetto di frode. Infine, la cour d’appel de Paris ha considerato che, benché i certificati E 101 costituissero una presunzione di iscrizione al regime di previdenza sociale spagnolo, vincolando le istituzioni francesi competenti in materia di previdenza sociale, essi non potevano impedire al giudice penale di accertare la violazione dolosa delle disposizioni di legge che determinano le condizioni di validità del distacco di lavoratori.
25. La Vueling ha proposto ricorso in cassazione. Con sentenza dell’11 marzo 2014, la Cour de cassation, sezione penale, ha respinto tale ricorso. Detto giudice ha considerato che la Vueling non poteva avvalersi delle disposizioni applicabili al distacco di lavoratori di cui all’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 dato che l’attività che essa esercitava a Roissy era svolta in maniera abituale, stabile e continua in locali o con infrastrutture situate nel territorio nazionale, e quindi rientrava nell’ambito del diritto di stabilimento, ai sensi delle disposizioni dell’articolo L.1263-3 del code du travail e della giurisprudenza della Corte. Di conseguenza, la Vueling non poteva far valere i certificati E 101 e il reato di lavoro non dichiarato, previsto dall’articolo L. 8221-3 del code du travail, veniva a configurarsi a suo carico.
B. Dialogo intervenuto tra le istituzioni francesi e quelle spagnole
26. Risulta dal fascicolo di cui la Corte dispone che, con lettera in data 4 aprile 2012, l’Union de recouvrement des cotisations de sécurité sociale et d’allocations familiales (ente incaricato della riscossione dei contributi previdenziali e per gli assegni familiari, Urssaf) della Seine-et-Marne (Francia) ha comunicato i fatti controversi all’istituzione emittente dei certificati E 101 prodotti dalla Vueling, e cioè la Tesorería general de la seguridad social (Tesoreria generale della previdenza sociale) di Cornellà de Llobregat (Spagna), e ha chiesto a tale istituzione di annullare i certificati in questione.
27. Con decisione del 17 aprile 2014, l’istituzione emittente ha annullato i certificati E 101 controversi. Essa ha tuttavia trattenuto i contributi versati dalla Vueling alla previdenza sociale spagnola per i lavoratori interessati, in quanto il rimborso dei contributi stessi era caduto in prescrizione.
28. Il 29 maggio 2014, la Vueling ha presentato ricorso gerarchico contro tale decisione. Con decisione del 1o agosto 2014, l’autorità gerarchica ha respinto tale ricorso. Tuttavia, con decisione del 5 dicembre 2014, la stessa autorità ha rivisto la sua decisione iniziale, al fine di «lasciare privo di effetti l’annullamento dei formulari di spostamento», in quanto, dato il tempo trascorso a partire dai fatti, non era opportuno dichiarare indebita l’iscrizione alla previdenza sociale spagnola dei lavoratori interessati, non essendo possibile rimborsare i contributi versati. Inoltre, tali lavoratori avevano potuto beneficiare di prestazioni sulla base di tali contributi, di modo che in caso di annullamento della loro iscrizione, essi potrebbero ritrovarsi privi di tutela. Di conseguenza, secondo tale autorità, l’annullamento dei soli certificati E 101 non era giustificato, in quanto la loro emissione era la mera conseguenza dell’iscrizione dei lavoratori interessati al regime previdenziale spagnolo.
29. Parallelamente, non avendo ricevuto alcuna risposta dall’istituzione emittente, e in considerazione della conferma della condanna della Vueling da parte della Cour de cassation, sezione penale, in data 11 marzo 2014, le autorità francesi hanno nuovamente interpellato le omologhe autorità spagnole, il 22 e il 23 ottobre 2014.
30. Con lettera del 9 dicembre 2014, le autorità spagnole hanno informato le autorità francesi della decisione finale dell’istituzione emittente del 5 dicembre 2014, che manteneva in essere i certificati E 101 controversi. L’11 dicembre 2014, le autorità spagnole hanno comunicato il testo della decisione in questione alle autorità francesi.
31. Con lettera del 7 aprile 2015, le autorità francesi hanno invitato l’istituzione emittente a rivedere tale decisione. Il 24 giugno 2015 si è tenuta, tra le competenti istituzioni francese e spagnola, una videoconferenza che non ha permesso di comporre il loro disaccordo.
C. Ricorso della CRPNPAC (causa C‑370/17)
32. L’11 agosto 2008, la CRPNPAC ha adito il tribunal de grande istance de Bobigny. Tale ricorso è segnatamente diretto ad ottenere la concessione di un risarcimento a tale cassa a fronte del danno subito da quest’ultima a seguito della mancata iscrizione, al regime pensionistico complementare da essa gestito, del personale di volo dipendente dalla Vueling a Roissy.
33. Il tribunal de grande istance de Bobigny ha sospeso il giudizio in attesa di una decisione definitiva nel procedimento penale avviato a carico della Vueling. A seguito della sentenza del 31 marzo 2014 della Cour de cassation, sezione penale, il procedimento dinanzi a tale giudice è proseguito.
34. In tale contesto, il tribunal de grande istance de Bobigny si chiede se la giurisprudenza della Corte, relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101, sia applicabile nel caso in cui i giudici dello Stato membro ospitante dei lavoratori interessati abbiano condannato in sede penale il datore di lavoro per lavoro non dichiarato, il che implica l’esistenza di un intento fraudolento o di un abuso di diritto.
35. Di conseguenza, con decisione in data 30 marzo 2017, pervenuta alla Corte il 19 giugno 2017, il tribunal de grande istance de Bobigny ha sospeso il giudizio e ha adito la Corte.
D. Ricorso del sig. Poignant (causa C‑37/18)
36. Il 21 aprile 2007, il sig. Poignant è stato assunto dalla Vueling in qualità di copilota, con contratto di lavoro di diritto spagnolo. Il 14 giugno 2007 egli è stato distaccato, con clausola addizionale, all’aeroporto di Parigi-Charles de Gaulle.
37. Con lettera del 30 maggio 2008, il sig. Poignant si è licenziato, facendo valere in particolare l’illegalità della sua situazione contrattuale alla luce della legge francese, per poi ritrattarsi con messaggio di posta elettronica del 2 giugno 2008. Con lettera del 9 giugno 2008, egli ha preso atto della risoluzione del suo contratto di lavoro, facendo nuovamente valere tale illegalità.
38. L’11 giugno 2008, il sig. Poignant ha adito il conseil des prud’hommes de Bobigny (Tribunale del lavoro di Bobigny, Francia) chiedendo la riqualificazione delle sue dimissioni in presa d’atto avente effetto di licenziamento senza causa (13) e pretendendo, in particolare, la concessione di un risarcimento danni per il lavoro non dichiarato e il mancato versamento di contributi alla previdenza sociale francese.
39. Con sentenza del 14 aprile 2011, il conseil des prud’hommes de Bobigny ha respinto le domande del sig. Poignant. Tale giudice ha considerato che la Vueling aveva regolarmente adempiuto alle formalità amministrative dovute, in particolare chiedendo presso gli organi previdenziali spagnoli certificati E 101 per i suoi dipendenti. Detto giudice ha altresì rilevato che il distacco del sig. Poignant non aveva superato il periodo di un anno e che quest’ultimo non era stato inviato in sostituzione di un’altra persona.
40. Con sentenza del 4 marzo 2016, la cour d’appel de Paris ha annullato la sentenza del giudice del lavoro. Basandosi sull’autorità di regiudicata della sentenza da essa pronunciata, in sede penale, il 31 gennaio 2012, tale corte ha condannato la Vueling a versare al sig. Poignant un risarcimento danni, segnatamento a titolo di indennizzo forfettario per lavoro non dichiarato e per mancato versamento di contributi alla previdenza sociale francese.
41. La Vueling ha proposto ricorso in cassazione. In tale contesto, la Cour de cassation, sezione sociale, osserva che dalla sentenza pronunciata, in sede penale, dalla cour d’appel de Paris il 31 gennaio 2012 risulta che tale compagnia aerea disponeva, all’epoca dei fatti di causa, di una «base operativa» a Roissy, vale a dire di una «succursale», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1408/71. Inoltre, il fatto che i certificati E 101 fatti valere dalla Vueling siano stati rilasciati in base all’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento, mentre la situazione del suo personale di volo rientrava in realtà nell’ambito di applicazione di detto articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), e che da essi risulta come luogo di attività dei lavoratori interessati l’aeroporto di Parigi-Charles de Gaulle sarebbe, di per sé, tale da rivelare che detti certificati sono stati ottenuti in maniera fraudolenta. La Cour de cassation, sezione sociale, si chiede se la giurisprudenza della Corte relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101, riaffermata nella sentenza A-Rosa Flussschiff (14), sia applicabile in circostanze del genere.
42. In caso affermativo, si porrebbe allora la questione se il principio di supremazia del diritto dell’Unione osti a che la cour d’appel de Paris, vincolata in applicazione del diritto interno dall’autorità della regiudicata penale in sede civile, tragga, nella sua sentenza del 4 marzo 2016, le conseguenze della sentenza da essa pronunciata, in sede penale, il 31 gennaio 2012, e condanni la Vueling a versare un risarcimento danni al sig. Poignant per il solo fatto di tale condanna penale anteriore.
43. Di conseguenza, con decisione in data 10 gennaio 2018, pervenuta alla Corte il 19 gennaio 2018, la Cour de cassation, sezione sociale, ha sospeso il giudizio e ha adito la Corte.
IV. Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
44. Nella causa C‑370/17, il tribunal de grande istance de Bobigny ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’effetto connesso al certificato E 101 rilasciato dall’istituzione designata dall’autorità dello Stato membro alla cui legislazione in materia previdenziale resta soggetto il dipendente, ai sensi degli articoli 11, paragrafo 1, e 12 bis, paragrafo 1 bis, del [regolamento di applicazione n. 574/72], debba essere confermato sebbene il certificato E 101 sia stato ottenuto a seguito di una frode o di un abuso di diritto, definitivamente accertato da parte di un giudice dello Stato membro in cui il dipendente esercita o deve esercitare la propria attività.
2) Qualora la risposta a tale questione fosse in senso affermativo, se il rilascio di certificati E 101 osti a che le vittime del danno subito a causa del comportamento del datore di lavoro, autore della frode, ne ottengano il risarcimento, senza che l’iscrizione dei dipendenti ai sistemi designati dal certificato E 101 sia rimessa in discussione dall’azione di risarcimento esercitata contro il datore di lavoro».
45. Nella causa C‑37/18, la Cour de cassation, sezione sociale, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento [n. 1408/71] accolta dalla [Corte] nella sua sentenza (…) A-Rosa Flussschiff (…), si applichi ad una controversia riguardante il reato di lavoro dissimulato nella quale i certificati E 101 sono stati rilasciati ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), [di tale regolamento] in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, del [regolamento di applicazione n. 574/72], laddove la situazione rientrava invece nell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), [del regolamento n. 1408/71], per lavoratori subordinati che svolgono la propria attività nel territorio dello Stato membro di cui sono cittadini e nel quale la compagnia aerea stabilita in un altro Stato membro ha una succursale, e la semplice lettura del certificato E 101 che menziona un aeroporto come luogo di attività del lavoratore subordinato e una compagnia aerea come datore di lavoro permetteva di dedurne che il certificato era stato ottenuto in maniera fraudolenta.
2) In caso affermativo, se il principio del primato del diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale, tenuto in applicazione del suo diritto interno al rispetto dell’autorità del giudicato penale su quello civile, tragga le conseguenze da una decisione penale resa in contrasto con le norme del diritto dell’Unione, condannando civilmente un datore di lavoro al risarcimento dei danni in favore di un dipendente per il solo fatto della condanna penale di tale datore di lavoro per lavoro non dichiarato».
46. Con decisione del presidente della Corte in data 22 febbraio 2018, le cause C‑370/17 e C‑37/18 sono state riunite, in considerazione della loro connessione, ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento nonché della sentenza.
47. La CRPNPAC, il sig. Poignant, la Vueling, i governi francese e ceco, l’Irlanda nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. Le medesime parti e i medesimi interessati, ad eccezione del governo ceco, sono stati rappresentati all’udienza di discussione tenutasi il 29 gennaio 2019.
V. Analisi
A. Osservazioni preliminari
48. Non è necessario ricordare in dettaglio la giurisprudenza della Corte relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101 (15). Le linee fondamentali di quest’ultima sono ben note: né l’istituzione competente né il giudice dello Stato membro ospitante può ignorare, o a fortiori annullare, un certificato E 101 rilasciato, a nome di un lavoratore, dall’istituzione competente dello Stato membro di invio (16).
49. Come ho già detto nell’introduzione delle presenti conclusioni, il recepimento di tale giurisprudenza da parte dei giudici francesi non è avvenuta senza discussioni. Il caso Vueling è emblematico al riguardo. La sentenza emanata dalla sezione penale della Cour de cassation il 31 marzo 2014, con la quale tale giudice ha confermato la condanna dell’interessata per lavoro non dichiarato, fu, assieme ad una sentenza pronunciata in pari data contro la EasyJet in una causa analoga (17), per lo meno notata. Ciò perché, da un lato, la sezione penale, in tali sentenze, ha confermato l’orientamento dei giudici di merito inteso a ignorare i certificati E 101 prodotti da tali compagnie aeree considerandoli irrilevanti ai fini della configurazione del reato in questione. Dall’altro lato, perché essa non ha proposto alla Corte una questione pregiudiziale su questo punto.
50. La soluzione non era tuttavia pacifica alla luce della giurisprudenza della Corte, quale esistente all’epoca. Infatti, l’elemento sostanziale di tale infrazione penale consiste nella mancata iscrizione alla previdenza sociale nazionale. Tale iscrizione può essere imposta solo in conformità alle norme di conflitto del regolamento n. 1408/71. La corretta applicazione di tali norme è quindi una questione preliminare per poter configurare detta infrazione. Orbene, secondo la Corte, il certificato E 101 attesta non soltanto l’iscrizione del lavoratore interessato al regime di previdenza sociale dello Stato membro dell’istituzione emittente, ma anche gli elementi di fatto e di diritto sui quali esso si fonda (18). In altri termini, detto certificato prova che quest’ultima iscrizione rispetta queste stesse norme. Non era pertanto evidente che il giudice dello Stato membro ospitante, anche quando si pronuncia non sull’iscrizione di un lavoratore in quanto tale, ma su una siffatta infrazione penale, possa negare qualsiasi rilevanza al certificato E 101 e verificare direttamente l’applicazione del regolamento n. 1408/71.
51. Nel contesto delle discussioni provocate dalle sentenze della sua sezione penale (19), la Cour de cassation, nuovamente investita di una causa di lavoro non dichiarato, aveva deciso, in seduta plenaria, di proporre la questione pregiudiziale che ha dato luogo alla sentenza A-Rosa Flussschiff. Con tale questione, essa invitava la Corte a rivedere la sua giurisprudenza relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101 o, quanto meno, attenuarla in caso di errore manifesto. Ricordo che, in tale sentenza, la Corte ha riaffermato tale giurisprudenza dichiarando che, anche di fronte ad un siffatto errore manifesto, il giudice di uno Stato membro ospitante è vincolato da tale certificato (20).
52. Tuttavia, la Corte aveva fatto salvo, nella sentenza A-Rosa Flussschiff, il caso di frode. Tale fattispecie è stata affrontata nella sentenza Altun. In tale ultima sentenza, pronunciata in Grande Sezione, la Corte ha ammesso, in linea di principio, che il giudice dello Stato membro ospitante possa ignorare un certificato E 101 qualora esso sia stato ottenuto o fatto valere in maniera fraudolenta.
53. Le due questioni nella causa C‑370/17 e la prima questione nella causa C‑37/18 forniscono alla Corte l’occasione di precisare la portata della sentenza Altun. Alla luce delle circostanze controverse nei procedimenti principali, e tenuto conto delle osservazioni presentate dinanzi alla Corte, due chiarimenti sono, a mio parere, necessari.
54. Da un lato, occorre precisare il potere riconosciuto al giudice dello Stato membro ospitante di ignorare il certificato E 101 ottenuto o fatto valere in maniera fraudolenta. Spiegherò perché, a mio modo di vedere, tale giudice è competente ad ignorare tale certificato purché disponga di elementi comprovanti la frode, e ciò indipendentemente dallo svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71(21) (sezione B).
55. Dall’altro lato, si deve ritornare sulla nozione di «frode», ai sensi del diritto dell’Unione e, in tale ambito, precisare in che modo le norme di previdenza sociale previste dal regolamento n. 1408/71 si applichino al personale di volo delle compagnie aeree che effettuano trasporto internazionale. A mio modo di vedere, e fatte salve verifiche da parte dei giudici del rinvio, circostanze come quelle oggetto della causa principale possono configurare una frode del genere (sezione C).
56. Per quanto riguarda, infine, la seconda questione nella causa C‑37/18, spiegherò perché, a mio parere, il diritto dell’Unione osti ad una norma nazionale relativa all’autorità della regiudicata che obbliga il giudice civile a dare applicazione ad una decisione penale definitiva, qualora sia accertato che detta decisione è incompatibile con tale diritto (sezione D).
B. Sulla competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o fatto valere in maniera fraudolenta
57. Il certificato E 101 ha lo scopo di garantire il rispetto del principio, sancito all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1408/71, di unicità della legislazione applicabile ad un lavoratore in materia di previdenza sociale. Tale certificato è diretto ad evitare che le istituzioni di diversi Stati membri abbiano una valutazione divergente quanto a tale legislazione e a prevenire i conflitti di competenza che ne deriverebbero. Il certificato E 101 contribuisce quindi a garantire la certezza del diritto dei lavoratori che si spostano nell’Unione e, per estensione, quella dei loro datori di lavoro. In ciò, esso agevola la libera circolazione dei lavoratori e la libera prestazione dei servizi in seno all’Unione (22).
58. Ove le istituzioni dello Stato membro ospitante non fossero, di norma, vincolate dalle indicazioni del certificato E 101, tali obiettivi sarebbero compromessi. Riconoscendo efficacia vincolante a tale certificato e sancendo la competenza esclusiva dell’istituzione emittente per ritirarlo, la Corte intendeva prevenire le conseguenze che tale documento tende appunto ad evitare: decisioni contrarie quanto alla legislazione applicabile ad un determinato lavoratore e il duplice assoggettamento che ne conseguirebbe (23).
59. Il principio di leale cooperazione, figurante all’articolo 4, paragrafo 3, TUE giustifica del resto tale soluzione. Conformemente a tale principio, le istituzioni competenti degli Stati membri devono assistersi reciprocamente nell’applicazione delle norme di conflitto previste dal regolamento n. 1408/71. Ne consegue una serie di obbligazioni sinallagmatiche: l’istituzione emittente deve procedere ad una valutazione corretta dei fatti rilevanti per l’applicazione di tali norme e, pertanto, garantire l’esattezza delle indicazioni contenute nel certificato E 101; le istituzioni dello Stato membro ospitante devono riconoscere, in tale spirito di cooperazione, in linea di principio, la validità di tale certificato e, in caso di dubbio in ordine alle indicazioni di quest’ultimo, devono informarne l’istituzione emittente. In un caso del genere, spetta a quest’ultima riconsiderare la fondatezza del rilascio di tale certificato, nello stesso spirito di cooperazione (24).
60. L’efficacia vincolante del certificato E 101 si impone altresì alla luce del principio di fiducia reciproca (25). Tale principio impone a ciascuno Stato membro di dare per scontato, in linea di principio, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione (26). Conformemente a detto principio, le istituzioni dello Stato membro ospitante devono quindi presumere che l’istituzione emittente, rilasciando tale certificato, abbia effettuato una giusta applicazione delle norme di conflitto previste nel regolamento n. 1408/71.
61. Fermo restando ciò, come la Corte ha dichiarato nella sentenza Altun, la giurisprudenza relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101 non può consentire ai soggetti dell’ordinamento di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (27).
62. Al riguardo, in tale sentenza, la Corte ha ricordato che esiste, nel diritto dell’Unione, un principio generale di divieto della frode e dell’abuso di diritto, che i soggetti dell’ordinamento sono tenuti a rispettare. Infatti, l’applicazione della normativa dell’Unione non può essere estesa sino a comprendere le operazioni effettuate allo scopo di beneficiare fraudolentemente o abusivamente dei vantaggi previsti da tale diritto (28).
63. In applicazione di tale principio generale, la Corte ha dichiarato, in detta sentenza, che un certificato E 101 fraudolento non può avere la stessa efficacia vincolante. Essa ha riconosciuto, in linea di principio, che il giudice dello Stato membro ospitante è competente ad ignorare un certificato E 101 e a trarre le conseguenze, previste nel diritto nazionale, dal mancato rispetto delle norme di previdenza sociale applicabili, qualora accerti, sulla base di elementi oggettivi (29), e purché l’interessato abbia avuto la possibilità di confutare tali elementi, nel rispetto delle garanzie connesse al diritto a un processo equo, che tale certificato è stato ottenuto o fatto valere in maniera fraudolenta (30).
64. La Corte ha tuttavia riconosciuto tale competenza al giudice dello Stato membro ospitante in un contesto alquanto particolare. A tale riguardo, nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza Altun, l’istituzione competente dello Stato membro ospitante, avendo accertato una serie di elementi tendenti a indicare che taluni certificati E 101 erano stati ottenuti in maniera fraudolenta, aveva inviato all’istituzione emittente una domanda motivata di riesame o di ritiro di tali certificati. Quest’ultima istituzione aveva risposto, dopo un sollecito e oltre un anno e mezzo dopo tale domanda, comunicando un riepilogo di detti certificati, con indicazione del loro periodo di validità, e con la precisazione che, al momento del rilascio dei suddetti certificati, i requisiti del distacco erano soddisfatti da parte dei vari datori di lavoro in questione. Essa non aveva invece tenuto conto, in tale risposta, degli elementi portati a sua conoscenza dalla prima istituzione (31). Di conseguenza, la Corte ha dichiarato che:
«(…) Qualora, nell’ambito del dialogo previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, l’istituzione dello Stato membro nel quale alcuni lavoratori sono stati distaccati comunichi all’istituzione che ha emesso i certificati E 101 elementi concreti che suggeriscono che tali certificati siano stati ottenuti in modo fraudolento, spetta alla seconda istituzione, in forza del principio di leale cooperazione, riesaminare, sulla scorta di tali elementi, la correttezza del rilascio dei suddetti certificati e, eventualmente, revocarli (…). Se quest’ultima istituzione non procede a un simile riesame entro un termine ragionevole, i suddetti elementi devono poter essere invocati nell’ambito di un procedimento giudiziario, affinché il giudice dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati ignori i certificati di cui trattasi» (32).
65. Orbene, tale passaggio può essere interpretato in due modi. Da una parte, è possibile ritenere, così come la Vueling, il governo ceco, l’Irlanda e la Commissione, che, con questi termini, la Corte intendesse subordinare la competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o invocato in maniera fraudolenta allo svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti, quale previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71. Più precisamente, tale giudice disporrebbe di tale competenza unicamente qualora ricorrano due condizioni cumulative, e cioè (1) che l’istituzione competente dello Stato membro ospitante abbia presentato all’istituzione emittente elementi concreti che facciano ritenere che il certificato E 101 in questione sia stato ottenuto in maniera fraudolenta, e (2) che quest’ultima istituzione abbia omesso di procedere ad un riesame di tale certificato, alla luce di tali elementi, entro un lasso di tempo ragionevole.
66. D’altra parte, il detto passaggio può essere letto, come fanno il sig. Poignant e la CRPNPAC, nel senso che la Corte intendesse non porre condizioni generali, ma limitarsi a fornire una risposta ricalcata sulle circostanze del caso di specie, senza vincolare la competenza del giudice dello Stato membro ospitante in altre cause.
67. Ricordo che, per quanto riguarda il dialogo tra istituzioni competenti, le circostanze su cui vertono i procedimenti principali differiscono sensibilmente da quelle che hanno dato luogo alla sentenza Altun (33). La questione di stabilire se, in tali circostanze, i giudici penali francesi potessero, e se i giudici del rinvio possano, ignorare i certificati E 101 controversi ha pertanto diviso le parti e gli intervenienti dinanzi alla Corte.
68. A mio parere, la sentenza Altun non può essere interpretata nel senso che limiti la competenza del giudice dello Stato membro ospitante, qualora disponga di elementi oggettivi che consentano di accertare la frode, ad ignorare un certificato E 101. Le considerazioni relative al dialogo tra istituzioni competenti, previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71 contenute in tale sentenza non possono essere interpretate come condizioni di tale competenza (1). Se la Corte dovesse essere di parere diverso, spiegherò le ragioni per le quali, in ogni caso, tali considerazioni debbono essere considerate soddisfatte in circostanze come quelle dei procedimenti principali (2).
1. Sull’ininfluenza dello svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti sulla competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o invocato in maniera fraudolenta
69. L’interpretazione da me suggerita procede, a mio parere, da una corretta applicazione del principio generale del diritto dell’Unione di divieto delle pratiche fraudolente o abusive (a). Una restrizione della competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o invocato in maniera fraudolenta non può essere giustificata da alcuna delle ragioni normalmente sottese all’efficacia vincolante di tale certificato [da (b) a (d)]. Ad abundantiam, tale interpretazione è suffragata, nella causa C‑37/18, da considerazioni attinenti alla tutela effettiva di cui un lavoratore deve poter beneficiare in caso di frode commessa dal suo datore di lavoro (e). Infine, detta interpretazione non compromette, a mio modo di vedere, il sistema basato su tale certificato (f).
a) Sul principio generale di divieto delle pratiche fraudolente o abusive
70. L’interpretazione secondo la quale il giudice dello Stato membro ospitante è competente ad ignorare un certificato E 101 ove accerti, sulla base di elementi oggettivi, che tale certificato è stato ottenuto o invocato in maniera fraudolenta è, a mio parere, una conseguenza diretta e necessaria del principio secondo il quale i soggetti dell’ordinamento non possono avvalersi, in maniera fraudolenta o abusiva, delle norme del diritto dell’Unione.
71. Infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte relativa a tale principio generale, la frode o l’abuso di diritto dell’Unione, quando è accertato attraverso elementi oggettivi, comporta il diniego all’interessato del diritto o del vantaggio ricercato – il che non è altro che la mera conseguenza della constatazione secondo la quale, in caso di frode o di abuso di diritto, le condizioni oggettive richieste ai fini dell’ottenimento di detto diritto o vantaggio non sono, in realtà, soddisfatte (34).
72. La Corte ha riaffermato con vigore tale soluzione nelle sue recenti sentenze N Luxembourg 1 e a. (35) nonché T Danmark e Y Denmark (36), pronunciate in Grande Sezione. Essa ha altresì confermato, in tali sentenze, che un giudice nazionale, posto di fronte ad un uso abusivo o fraudolento delle disposizioni del diritto dell’Unione, ha, in forza di tale diritto, non una mera facoltà, ma il dovere di negare all’interessato il beneficio di tali disposizioni (37).
73. Pertanto, in applicazione del principio generale in questione, il giudice dello Stato membro ospitante, qualora disponga di elementi comprovanti che un certificato E 101 è stato ottenuto o invocato in maniera fraudolenta, è non soltanto competente ad ignorare tale certificato, ma ha anche il dovere di farlo.
74. Lo svolgimento del dialogo tra l’istituzione competente dello Stato membro ospitante e l’istituzione emittente in ordine alla validità di un certificato E 101, fondato sull’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, non può, a mio avviso, validamente influire sulla competenza del giudice del primo Stato membro, in circostanze come quelle di cui al paragrafo precedente, ad ignorare il certificato in questione (38).
75. A tal riguardo, osservo che, conformemente all’interpretazione della sentenza Altun proposta dalla Vueling, dal governo ceco, dall’Irlanda e dalla Commissione, sintetizzata al paragrafo 65 delle presenti conclusioni, se l’istituzione competente dello Stato membro ospitante non ha presentato all’istituzione emittente una domanda di riesame del certificato E 101, se non è trascorso un lasso di tempo ragionevole a partire da tale domanda o ancora se quest’ultima istituzione ha risposto, entro tale lasso di tempo, affermando che, a suo parere, alla luce degli elementi comunicati, non vi è stata frode, il giudice dello Stato membro ospitante non potrebbe ignorare il certificato in questione, perfino qualora disponga di elementi oggettivi comprovanti tale frode.
76. Orbene, a mio parere, tale risultato sarebbe incompatibile con il principio generale di cui sopra ed equivarrebbe a tollerare l’inaccettabile in una Unione di diritto: da un lato, un singolo individuo potrebbe trarre beneficio dal suo comportamento fraudolento; dall’altro, un giudice dovrebbe tollerare la frode, o addirittura farsene garante (39).
77. Devo sottolineare che la frode provoca un turbamento fondamentale dell’ordine pubblico. sia esso quello dello Stato membro ospitante o quello dell’Unione, i quali si confondono, a mio parere, in caso di frode in materia di previdenza sociale (40). Rientra nella funzione dei giudici nazionali, in quanto giudici dell’Unione, custodi di tale ordine pubblico, far cessare tale turbamento. Tale competenza non dovrebbe subire alcuna restrizione e, del resto, nessuna delle ragioni su cui normalmente si basa l’efficacia vincolante del certificato E 101 lo giustificherebbe.
b) Sul principio di leale cooperazione
78. In primo luogo, il principio di leale cooperazione, quale attuato all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, non può giustificare una tale deviazione dal principio del divieto di pratiche fraudolente o abusive.
79. Vero è che le istituzioni degli Stati membri devono cooperare nell’applicazione del regolamento n. 1408/71. Il principio di leale cooperazione impone pertanto all’istituzione competente dello Stato membro ospitante di rivolgersi all’istituzione emittente qualora essa disponga di elementi da cui risulti l’esistenza di una frode relativa al certificato E 101, al fine di consentire a quest’ultima istituzione di riconsiderare la fondatezza del rilascio di tale certificato e di ritirare o annullare quest’ultimo (41).
80. L’istituzione competente dello Stato membro ospitante non può quindi esimersi da ogni dialogo con l’istituzione emittente, anche in caso di frode (42). Una siffatta violazione del dovere di leale cooperazione, in particolare se dovesse rivelarsi sistematica, potrebbe segnatamente essere sanzionata nell’ambito di un ricorso per inadempimento.
81. Tuttavia, tale necessaria cooperazione non può, a mio parere, giustificare la limitazione della competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad accertare una frode relativa al certificato E 101. Indipendentemente dallo svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, tale giudice deve poter ignorare un certificato E 101 una volta che dispone degli elementi comprovanti che tale certificato è stato ottenuto o invocato in maniera fraudolenta, indipendentemente dal fatto che esso sia adito dall’istituzione competente di tale Stato membro ovvero si pronunci su un ricorso per risarcimento proposto da terzi interessati, come i lavoratori vittime di tale frode, o ancora che il singolo individuo che si avvale del detto certificato agisca dinanzi ad esso in quanto ricorrente.
82. Infatti, non si può, al solo scopo di esortare le istituzioni alla cooperazione, impedire al giudice di agire contro la frode in materia di previdenza sociale. A tale proposito, una lotta efficace contro tale frode costituisce un dovere imperativo. Sul piano degli Stati membri, la frode connessa al rilascio dei certificati E 101 rappresenta una minaccia per la coerenza e l’equilibrio finanziario dei rispettivi regimi di previdenza sociale e, a livello di Unione, detta frode è tale da arrecare pregiudizio alla coesione economica nonché al buon funzionamento del mercato interno, falsando le condizioni di concorrenza (43).
83. Orbene, anche se una cooperazione stretta ed efficace tra istituzioni competenti è certamente un fattore chiave nella lotta contro la frode (44), tale cooperazione non dispone però, allo stato attuale del diritto dell’Unione, di un quadro vincolante che le consenta di funzionare sempre abbastanza rapidamente ed efficacemente in materia (45). Infatti, ricordo che il diritto dell’Unione non comporta per il momento alcuna procedura per l’emissione o per il riesame dei certificati E 101 – procedura che rientra nell’ambito del diritto nazionale di ciascuno Stato membro – e nessun termine imperativo che si imponga nelle comunicazioni tra istituzioni competenti (46).
84. Inoltre, in caso di disaccordi tra le istituzioni competenti, il ricorso alla procedura di conciliazione dinanzi alla commissione amministrativa è anch’esso tale da prolungare il termine anteriore a qualsiasi sanzione. Del resto, le decisioni di quest’ultima non hanno efficacia giuridica vincolante (47). Restringere la lotta contro la frode a questa sola cooperazione equivarrebbe a far sì che, di fatto, tale lotta non sia condotta con tutta l’energia e la rapidità necessarie.
85. In tale contesto, non propongo di contrapporre l’unilateralità di azioni dinanzi al giudice dello Stato membro ospitante alla cooperazione tra istituzioni competenti. A mio modo di vedere, tali due strumenti d’azione devono in realtà andare di pari passo, poiché essi si integrano. Questo è del resto lo spirito della direttiva 2014/67/UE, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (48).
86. Infatti, il dialogo tra istituzioni competenti, che interviene a monte dell’azione dinnanzi al giudice dello Stato membro ospitante, può permettere di dissipare eventuali dubbi riguardanti le circostanze di fatto del caso in esame, in particolare qualora l’accertamento della frode richieda verifiche nello Stato membro in cui tale certificato è stato rilasciato (49). Inoltre, nel caso in cui l’istituzione emittente procedesse all’annullamento o al ritiro del certificato E 101 a seguito di una domanda dell’istituzione competente dello Stato membro ospitante, l’azione dinnanzi al giudice di tale Stato potrebbe rivelarsi superflua. Il dialogo tra istituzioni competenti può quindi permettere economie processuali(50). Anche dopo una condanna da parte del giudice dello Stato membro ospitante, tale dialogo rimane essenziale. In particolare, l’annullamento di un certificato E 101, che vale per tutta l’Unione, può essere pronunciato solo dall’istituzione emittente (51), mentre il giudice dello Stato membro ospitante può solo ignorare il certificato nel quadro del procedimento di cui è investito. Inoltre detto dialogo permette di porre rimedio alle conseguenze finanziarie della frode e di garantire che i lavoratori non debbano subire conseguenze negative nell’esercizio del loro diritto alla previdenza sociale (52).
c) Sul principio di fiducia reciproca
87. In secondo luogo, il principio di fiducia reciproca non richiede, a mio parere, un’interpretazione diversa da quella da me proposta. Innanzitutto, si deve rilevare che, accertando che un certificato E 101 è stato ottenuto in maniera fraudolenta, il giudice dello Stato membro ospitante non rimette in discussione il rispetto del diritto dell’Unione da parte dell’istituzione che lo ha emesso. Un siffatto accertamento di frode implica non che una violazione del diritto dell’Unione sia ad essa imputabile, ma semplicemente che essa è stata ingannata dalle manovre fraudolente del datore di lavoro.
88. Inoltre, nel caso in cui, nell’ambito del loro dialogo, l’istituzione emittente abbia proceduto, su domanda dell’istituzione competente dello Stato membro ospitante, al riesame di un certificato E 101 e abbia deciso di mantenerlo in essere sostenendo che, secondo lei, tale certificato non è stato ottenuto o invocato in maniera fraudolenta, il principio di fiducia reciproca impone certamente al giudice dello Stato membro ospitante di tener debitamente conto di tale risposta e degli eventuali elementi fatti valere a sostegno da tale istituzione. Tuttavia, tale principio non può obbligare detto giudice a sentirsi vincolato da questa risposta qualora disponga invece da altra fonte di elementi comprovanti tale frode.
89. Su questo punto, non si può procedere per analogia rispetto agli strumenti del diritto dell’Unione in materia civile e penale, che impongono ai giudici nazionali di riconoscere taluni documenti provenienti da altri Stati membri e di dar loro esecuzione senza potere, in linea di principio, rimettere in discussione la loro validità. Infatti, tali strumenti si collocano nel quadro di una cooperazione tra autorità giudiziarie, e tale dato giustifica l’elevato grado di fiducia su cui si basa il sistema di riconoscimento e di esecuzione previsto da tali strumenti (53). Lo stesso grado di fiducia non può essere richiesto ad un giudice relativamente ad un parere espresso da un’autorità amministrativa di un altro Stato membro. In altri termini, il principio di fiducia reciproca non può giustificare il fatto che l’istituzione emittente disponga di una sorta di «diritto di veto» sulla competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o invocato in maniera fraudolenta.
90. In ogni caso, ricordo, infine, che il principio di fiducia reciproca crea una presunzione di rispetto del diritto dell’Unione, certamente forte, ma non assoluta. Al contrario, tale presunzione può essere confutata in «circostanze eccezionali» (54). A mio modo di vedere, la prova di una frode costituisce una circostanza del genere.
d) Sui principi di unicità dell’iscrizione e di certezza del diritto
91. In terzo luogo, neppure il principio di unicità dell’iscrizione (55) richiede un’interpretazione diversa. Vero è che, come sottolinea la Vueling, nei procedimenti principali, l’accertamento della frode e la mancata presa in considerazione dei certificati E 101 controversi avrebbero in particolare come conseguenza la condanna di quest’ultima a versare alla CRPNPAC un risarcimento danni pari ad una quota dei contributi non versati in Francia, mentre invece l’istituzione emittente rifiuta, allo stato attuale, di riconsiderare i contributi già versati in Spagna, il che equivarrebbe, di fatto, ad imporre una doppia contribuzione per la stessa attività.
92. Tuttavia, tali conseguenze arrecano pregiudizio non ai lavoratori interessati, ma al datore di lavoro autore della frode. Orbene, quest’ultimo si accolla il rischio di subire siffatte conseguenze perturbando, con la sua frode, il funzionamento delle disposizioni del regolamento n. 1408/71. Tali conseguenze possono, inoltre, avere un effetto dissuasivo contro la frode (56).
93. In quarto luogo, quanto al principio di certezza del diritto, basta ricordare che una persona, che crea artificiosamente o elude le condizioni relative all’ottenimento di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione, non può legittimamente avvalersi di tale principio al fine di opporsi alla perdita del vantaggio in questione in applicazione del principio del divieto di pratiche fraudolente od abusive (57).
e) Sul diritto ad un ricorso effettivo
94. In quinto luogo, e ad abundantiam, nella causa C‑37/18, l’interpretazione da me proposta è suffragata da considerazioni attinenti alla tutela giurisdizionale effettiva di cui un lavoratore come il sig. Poignant deve poter beneficiare in caso di frode del suo datore di lavoro.
95. Al riguardo, qualora un datore di lavoro commetta una frode mediante un certificato E 101, egli priva il lavoratore interessato dei contributi al regime di previdenza sociale al quale quest’ultimo dovrebbe essere iscritto, conformemente alle norme di conflitto stabilite dal legislatore dell’Unione nel regolamento n. 1408/71. Nella misura in cui tale legislazione sia più favorevole di quella sotto la quale tale lavoratore è stato indebitamente mantenuto a seguito delle manovre fraudolente del datore di lavoro, ne deriva per il primo un danno, di cui ha diritto di ottenere il risarcimento. Sarebbe, a mio avviso, un curioso rovesciamento di situazioni che la giurisprudenza relativa all’efficacia vincolante del certificato E 101, elaborata dalla Corte in particolare per tutelare il diritto alla libera circolazione dei lavoratori, potesse restringere la possibilità di una siffatta azione di risarcimento.
96. Al di là di tale considerazione, rilevo che un lavoratore non ha il potere di avviare un dialogo tra istituzioni competenti, ai sensi dell’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, o di far sì che esso sia avviato. Pertanto, se la competenza del giudice dello Stato membro ospitante ad ignorare un certificato E 101 comprovatamente ottenuto in maniera fraudolenta, nell’ambito di una siffatta azione risarcitoria, dovesse dipendere dallo svolgimento di tale dialogo, ciò equivarrebbe a subordinare l’accesso al giudice da parte di tale lavoratore a condizioni sulle quali quest’ultimo non ha alcun potere. Tale risultato è, a mio parere, difficilmente compatibile con il diritto a un ricorso effettivo, quale previsto all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
97. Vero è che la Commissione ha fatto valere, all’udienza, in risposta ad un quesito della Corte, che il lavoratore potrebbe intentare un’azione dinanzi ai giudici dello Stato membro di invio (ossia quello dell’istituzione emittente e quello in cui si trova, in linea di principio, la sede del datore di lavoro), i quali sarebbero pienamente competenti ad ignorare o invalidare il certificato E101.
98. A tal riguardo, riconosco che, in maniera generale, il diritto a un ricorso effettivo non garantisce ad un singolo individuo la possibilità di sottoporre la sua domanda al giudice di sua scelta. L’importante, in linea di principio, è che esista da qualche parte un foro, che offra le garanzie connesse al diritto ad un processo equo, dinanzi al quale tale persona possa intentare la propria azione (58).
99. Tuttavia, ritengo che un lavoratore, in quanto parte debole nel rapporto di lavoro, debba beneficiare di un accesso agevolato al giudice per far valere i suoi diritti contro il datore di lavoro. Tale considerazione si inserisce, a mio modo di vedere, nelle condizioni imposte dal diritto fondamentale a un ricorso effettivo.
100. Su tale punto, l’articolo 21 del regolamento Bruxelles I bis (59) è un punto di riferimento pertinente. Conformemente a tale disposizione, il lavoratore ha certamente la scelta di citare il suo datore di lavoro dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui quest’ultimo ha la sua sede. Tuttavia, il legislatore dell’Unione ha soprattutto permesso al lavoratore di intentare la sua azione dinanzi al giudice del luogo in cui egli svolge abitualmente il proprio lavoro, foro – questo – ritenuto idoneo, sia in termini di prossimità alla controversia sia alla luce dell’obiettivo di tutela del lavoratore (60).
101. Estendere la giurisprudenza della Corte sull’efficacia vincolante del certificato E 101 in un tale contesto equivarrebbe, in pratica, a privare il lavoratore del foro più idoneo a definire la controversia e a tutelare i suoi interessi e che, per giunta, mi sembra essere il solo foro «realista» in caso di frode relativa al certificato E 101. Infatti, è probabile che la scarsa conoscenza della lingua e della legge locale nonché la distanza rispetto al suo domicilio facciano rinunciare il lavoratore all’esercizio dei propri diritti dinanzi ai giudici dello Stato membro di invio (61).
f) Sui limiti dell’interpretazione da me proposta
102. Per concludere, tengo a sottolineare i limiti dell’interpretazione da me proposta. Non si tratta di riconoscere un potere generale di rimessa in discussione del certificato E 101 nello Stato membro ospitante. Da un lato, solo il giudice di tale Stato potrà ignorarlo (62). Dall’altro lato, anche dinanzi a tale giudice, la presunzione di regolarità dell’iscrizione comprovata da tale certificato non scompare. Da assoluta, essa diventa semplicemente mista: essa può essere superata dalla prova di una frode, ai sensi non del diritto nazionale, ma del diritto dell’Unione, e la cui definizione è restrittiva. Infine, come ho già detto nel corso di tutta la presente sezione, il certificato E 101 potrà essere ignorato sul fondamento non di semplici sospetti di frode, ma di elementi comprovanti quest’ultima, elementi che devono essere forniti dai soggetti che fanno valere l’esistenza della frode.
103. Quanto al rischio di protezionismo, talora ventilato in dottrina, che tale soluzione comporterebbe, mi limiterò a sottolineare che gli Stati membri debbono avere una fiducia reciproca nei loro giudici, i quali adempiono, in collaborazione con la Corte, ad una funzione loro attribuita in comune, al fine di garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. Un giudice nazionale non può quindi formare oggetto di tali sospetti di protezionismo, dato che la sua indipendenza presuppone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsiasi interesse nella soluzione della controversia al di fuori della rigorosa applicazione della norma giuridica. La Corte veglia del resto attivamente al rispetto di tale indipendenza (63). Inoltre, quest’ultima potrà controllare, nell’ambito della procedura del rinvio pregiudiziale, il buon uso dell’eccezione di frode (64).
g) Conclusione parziale
104. L’insieme delle considerazioni che precedono mi porta quindi alla conclusione che il giudice dello Stato membro ospitante è competente ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o invocato in maniera fraudolenta. Lo svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti, previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71 è ininfluente su tale competenza. Sia che tale dialogo non sia stato ancora avviato dall’istituzione di tale Stato, sia che esso sia in corso o che l’istituzione emittente non condivida il parere della prima istituzione, tale giudice deve ignorare tale certificato una volta che dispone degli elementi comprovanti la frode. La sentenza Altun, a mio parere, non può essere interpretata nel senso che ponga condizioni contrarie a questa interpretazione.
2. In subordine: sull’applicazione delle condizioni relative allo svolgimento del dialogo tra le istituzioni competenti in circostanze come quelle oggetto dei procedimenti principali
105. Ricordo che, secondo l’interpretazione della sentenza Altun proposta in particolare dalla Vueling, dal governo ceco, dall’Irlanda e dalla Commissione, il giudice dello Stato membro ospitante è competente ad ignorare un certificato E 101 in caso di frode unicamente a condizione che le autorità dello Stato membro ospitante abbiano sottoposto all’istituzione emittente elementi concreti che facciano ritenere che tale certificato sia stato ottenuto in maniera fraudolenta, e che quest’ultima istituzione abbia omesso di procedere ad un riesame di detto certificato, alla luce di tali elementi, entro un lasso di tempo ragionevole.
106. A loro parere, tali condizioni non ricorrono nel caso di specie. Le autorità francesi avrebbero dovuto interpellare l’istituzione emittente nel maggio 2008, dopo il verbale stilato dall’ispettorato del lavoro. Orbene, esse lo hanno fatto solo dopo la condanna in sede penale della Vueling da parte della cour d’appel de Paris, il 31 gennaio 2012 (65). Secondo tale compagnia, il fatto che le autorità francesi abbiano successivamente avuto degli scambi con tale istituzione è irrilevante. La Commissione aggiunge che, poiché detta istituzione ha adottato una decisione che prevedeva il mantenimento in essere dei certificati E 101 controversi (66), la procedura di cooperazione avrebbe dovuto proseguire sotto forma di un tentativo di conciliazione dinanzi alla commissione amministrativa.
107. A mio modo di vedere, da una parte, il giudice dello Stato membro ospitante non può essere privato della sua competenza ad ignorare un certificato E 101 ottenuto o invocato in maniera fraudolenta per il solo motivo che esso è stato adito prima che il dialogo fosse stato avviato dall’istituzione competente dello Stato membro ospitante, conformemente all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71. Tale interpretazione si impone anche solo perché un ricorso, sia esso penale o civile, può essere proposto da un privato, come il sig. Poignant, che non ha alcun controllo sull’avviamento del dialogo tra istituzioni competenti né alcuna conoscenza del suo svolgimento. Come sostiene il governo francese, al fine di permettere all’istituzione emittente, conformemente al principio di leale cooperazione, di esprimersi e, se del caso, di procedere al ritiro del certificato E 101, è necessario e sufficiente che tale dialogo avvenga prima che il giudice dello Stato membro ospitante si pronunci definitivamente.
108. Dall’altra parte, riguardo all’esito del dialogo, comprendo dall’interpretazione della sentenza Altun suggerita dalla Vueling, dal governo ceco, dall’Irlanda e dalla Commissione che il giudice dello Stato membro ospitante è competente ad ignorare un certificato E 101, ottenuto o invocato in maniera fraudolenta, vuoi qualora l’istituzione emittente non abbia riesaminato nel merito la validità del certificato in questione e adottato una decisione che preveda il suo mantenimento in essere o il suo ritiro entro un lasso di tempo ragionevole, vuoi qualora tale istituzione abbia adottato una siffatta decisione entro tale lasso di tempo, ma non abbia espressamente discusso, nella motivazione di tale decisione, gli elementi comunicati dall’istituzione competente dello Stato membro ospitante (67).
109. Orbene, nel caso di specie, da un lato, l’istituzione emittente ha adottato una prima decisione riguardante i certificati E 101 controversi due anni dopo la domanda iniziale delle autorità francesi, mentre la sua decisione definitiva è stata emanata più di due anni e mezzo dopo tale domanda (68). Tali decisioni non sono manifestamente intervenute entro un lasso di tempo ragionevole (69). Dall’altra parte, l’istituzione emittente non ha discusso, nella motivazione di tale decisione finale, gli elementi addotti dalle autorità francesi in ordine alla frode, e cioè, in particolare, le false dichiarazioni di residenza (70).
110. Sono pertanto del parere che, in circostanze come quelle oggetto dei procedimenti principali, le (eventuali) condizioni relative al dialogo tra istituzioni competenti debbano essere considerate soddisfatte.
C. Sulla nozione di «frode», ai sensi del diritto dell’Unione
111. Le questioni pregiudiziali formulate dai giudici del rinvio si basano sulla premessa secondo cui la Vueling ha commesso una frode, definitivamente accertata dal giudice penale francese.
112. Nondimeno, da una parte, tale premessa si fonda sulla nozione di frode quale intesa nella legge francese. In tale contesto, la frode è caratterizzata dal fatto della violazione dolosa di tale legge. Orbene, nella sentenza Altun, la Corte ha inteso dare alla frode in materia di previdenza sociale un’accezione autonoma. In tale sentenza, la Corte ha dichiarato che l’accertamento di una frode si basa su un insieme di indizi concordanti comprovanti la sussistenza congiunta di un elemento oggettivo e di un elemento soggettivo. L’elemento oggettivo consiste nel fatto che le condizioni richieste per ottenere e invocare un certificato E 101, previste al titolo II del regolamento n. 1408/71, non siano soddisfatte. L’elemento soggettivo corrisponde dal canto suo all’intenzione degli interessati di aggirare o eludere le condizioni di rilascio del certificato in parola, per ottenere il relativo vantaggio (71).
113. Dall’altra parte, la premessa di una frode, ai sensi del diritto dell’Unione, è rimessa in discussione dinanzi alla Corte. La Vueling sostiene che essa non è presente in nessuno dei suoi elementi. Anche il governo ceco condivide tale parere, mentre la Commissione esprime riserve al riguardo. Solo il sig. Poignant, la CRPNPAC e il governo francese ritengono che nella fattispecie sia stata incontestabilmente (e definitivamente) accertata una frode.
114. Di conseguenza, a mio parere, occorre fornire tutti gli elementi di interpretazione utili relativi alla nozione di «frode», ai sensi del diritto dell’Unione, non foss’altro per permettere ai giudici del rinvio di verificare se gli elementi di quest’ultima nozione ricorrano nelle presenti cause. Inoltre, tali precisazioni sono indispensabili per scrupolo di certezza del diritto, al fine di evitare le divergenze di valutazione e le decisioni contraddittorie negli Stati membri relativamente a ciò che costituisce pratica fraudolenta in materia di previdenza sociale.
115. Di conseguenza, mi soffermerò sull’interpretazione degli elementi oggettivi (2) e soggettivi (3) della frode, alla luce delle circostanze in esame nei procedimenti principali. Ritengo tuttavia utile fornire, in via preliminare, alcuni chiarimenti che permettono, a mio parere, di comprendere meglio il contesto generale in cui si inseriscono le presenti cause (1).
1. Sulla struttura organizzativa adottata dalle compagnie aeree low cost e sulla reazione dei legislatori francese e dell’Unione
116. Secondo gli studi che ho potuto consultare, le compagnie aeree «storiche» sono tradizionalmente organizzate sulla base di un modello di trasporto detto «hub-and-spoke». A tale titolo, esse dispongono di una (talora di più di una) base operativa, ovvero di un aeroporto centrale (hub) attorno al quale si organizzano varie destinazioni (spokes) ed in cui vengono altresì effettuate le relative coincidenze. In tale base operativa si concentrano in particolare la sede della compagnia e il parco degli aeromobili ed essa costituisce la «base di servizio» (72). del suo personale di volo, ossia l’aeroporto a partire dal quale tale personale riceve i suoi piani di volo, inizia le sue missioni e rientra alla conclusione di queste ultime. Per contro, le destinazioni costituiscono solo semplici scali.
117. Le compagnie aeree low cost, dal canto loro, hanno progressivamente adottato un altro modello, detto «point-to-point». Anche se tali compagnie dispongono sempre, in generale, di una base operativa principale che funge da hub, esse provvedono essenzialmente a collegamenti relativamente brevi tra due destinazioni che permettono molteplici rotazioni di aeromobili a ritmo sostenuto. L’obiettivo di facilitare al meglio tali rotazioni ha spinto tali compagnie ad assegnare in maniera prolungata personale e attrezzature presso gli aeroporti serviti e, in tale contesto, a costituire nuove basi che acquistano progressivamente importanza sul piano logistico e umano.
118. In tale contesto, talune compagnie low cost hanno elaborato una prassi consistente nell’assumere lavoratori che esse assegnano stabilmente a basi operative secondarie situate nel territorio di altri Stati membri, pur applicando loro il diritto sociale e il diritto previdenziale dello Stato membro della loro base operativa principale, ad esclusione delle norme e dei contributi previsti negli Stati membri nei quali si trovano tali basi secondarie. A tal fine, le stesse compagnie hanno segnatamente fatto ricorso all’istituto del distacco di lavoratori, sostenendo che la loro presenza in Stati membri diversi da quello dello loro base operativa principale rientra nella libera prestazione di servizi (73).
119. Il legislatore francese ha inteso combattere tale prassi precisando ciò che costituisce, per una compagnia aerea, una sede permanente, secondo una definizione affine a quella data a tale nozione nella giurisprudenza della Corte, al fine di giustificare l’applicazione della legge francese ai sensi dell’articolo L. 1262-3 del code du travail (74). A tal fine fu adottato l’articolo R. 330-2-1 del code de l’aviation civile, il quale precisa che detto articolo L. 1262-3 è applicabile alle imprese di trasporto aereo in considerazione delle loro «basi operative» situate sul territorio francese; una siffatta «base» viene definita come «un insieme di locali o di infrastrutture presso i quali un’impresa esercita in modo stabile, abituale e continuo un’attività di trasporto aereo con dipendenti i quali hanno, in tale luogo, il centro effettivo della loro attività professionale» (75). Nella fattispecie, la cour d’appel de Paris ha appunto fondato la sua sentenza del 31 gennaio 2012, di condanna della Vueling in sede penale, su tali disposizioni. Tale giudice ha escluso l’applicazione delle norme sul distacco dato che tale compagnia disponeva, a Roissy, di una «base» del genere (76).
120. Il legislatore dell’Unione ha anche preso atto della prassi di cui trattasi. Al riguardo, occorre ricordare che, mentre il regolamento n. 1408/71 prevede, all’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), norme speciali per il personale navigante delle compagnie aeree - norme applicabili ratione temporis nelle presenti cause e sulle quali tornerò in prosieguo -, il legislatore dell’Unione non aveva riportato, nella versione iniziale del regolamento n. 883/2004, tali norme speciali per scrupolo di semplificazione. La situazione del personale di volo doveva pertanto essere valutata alla luce delle norme generali relative ai lavoratori occupati in due o più Stati membri le quali, applicate al personale di volo, tendevano a designare, il più delle volte, la legge della sede del datore di lavoro. Tuttavia, esso ha colto l’occasione dell’adozione del regolamento (UE) n. 465/2012 (77) per introdurre nel regolamento n. 883/2004 una nuova norma speciale, sotto forma di una fictio iuris secondo la quale l’attività del personale di volo si considera effettuata nel solo Stato membro della sua base di servizio, e che comporta quindi l’applicazione della legge di tale Stato quale lex loci laboris (78). In altri termini, la «base di servizio» è divenuta il criterio di collegamento in materia di previdenza sociale per il personale di volo delle compagnie aeree.
2. Sull’elemento oggettivo della frode
121. Ricordo che l’elemento oggettivo della frode risiede nel fatto che le condizioni richieste ai fini dell’ottenimento e dell’invocazione di un certificato E 101 non sono soddisfatte.
122. Nel caso di specie, si deve innanzitutto chiarire un punto, attinente al fondamento normativo sulla base del quale i certificati E 101 controversi sono stati rilasciati dall’istituzione emittente. Infatti, tale certificato può, in ogni caso, provare solo il rispetto delle condizioni previste dalla disposizione sulla base della quale esso è stato rilasciato (79).
123. Al riguardo, la Cour de cassation, sezione sociale, precisa nella sua decisione di rinvio e nella sua prima questione nella causa C‑37/18 che tali certificati sono stati rilasciati sul fondamento dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71, e dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento di applicazione n. 574/72, vale a dire delle norme applicabili al distacco di lavoratori.
124. Per contro, il tribunal de grande instance de Bobigny lascia intendere, nella sua decisione di rinvio nella causa C‑370/17, che i suddetti certificati sono stati in realtà rilasciati ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 e dell’articolo 12 bis, paragrafo 1 bis, del regolamento di applicazione n. 574/72, ossia le norme applicabili al personale viaggiante o navigante delle imprese di trasporto internazionale. La prima questione di tale giudice lascia sussistere il dubbio, precisando che gli stessi certificati sarebbero stati emessi «ai sensi» del combinato disposto degli articoli 11, paragrafo 1, e 12 bis, paragrafo 1 bis, del regolamento di applicazione n. 574/72, ossia ai sensi sia delle norme in materia di distacco sia delle norme applicabili al personale viaggiante o navigante.
125. In realtà, come risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, e come afferma la Cour de cassation, sezione sociale, i certificati E 101 controversi sono stati effettivamente chiesti dalla Vueling e rilasciati dall’istituzione emittente sul (solo) fondamento delle norme applicabili al distacco di lavoratori subordinati. Nelle presenti conclusioni procederò quindi sulla base di tale premessa. Spetterà al tribunal de grande instance de Bobigny, esclusivamente competente a valutare i fatti, verificarlo direttamente (80).
126. Ciò precisato, spiegherò perché non potessero essere validamente rilasciati certificati E 101 sul fondamento delle norme applicabili al distacco di lavoratori subordinati in circostanze come quelle controverse nei procedimenti principali (a). Spiegherò poi perché i lavoratori non avrebbero neppure potuto essere posti o mantenuti sotto la legislazione della sede del datore di lavoro ai sensi delle norme applicabili al personale viaggiante o navigante (b).
a) Sulla non applicabilità dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 al personale di volo delle compagnie aeree che effettuano trasporti internazionali
127. La Vueling sostiene che le norme relative al distacco di lavoratori subordinati, previste all’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 e all’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento di applicazione n. 574/72, possono applicarsi al personale di volo di una compagnia aerea che effettua, come lei, trasporto internazionale di passeggeri.
128. Tuttavia, a mio modo di vedere, come ha fatto valere il rappresentante del sig. Poignant e della CRPNPAC all’udienza, il personale di volo di una siffatta compagnia aerea rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 e non può essere «distaccato» in uno Stato membro in forza dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento.
129. Tale interpretazione discende, innanzitutto, dall’economia del regolamento n. 1408/71. Le norme sul distacco e quelle applicabili al personale viaggiante o navigante delle imprese di trasporto internazionale costituiscono, come indica l’intestazione dell’articolo 14 di tale regolamento, due eccezioni al principio della lex loci laboris enunciato all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento. La struttura dell’articolo 14 e il suo rapporto con l’articolo 13 sottolineano che la prima eccezione non è destinata ad essere fatta valere per derogare alla seconda.
130. Detta interpretazione si impone, poi, alla luce della formulazione letterale stessa delle disposizioni pertinenti del regolamento n. 1408/71, letto alla luce del contesto generale in cui tali disposizioni si inseriscono. Ricordo che l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento riguarda «la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro (…) ed è distaccata (…) nel territorio di un altro Stato membro». Viceversa, l’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento riguarda la situazione di lavoratori che si ritiene esercitino un’attività subordinata, come indica l’intestazione di tale paragrafo, «nel territorio di due o più Stati membri» (81).
131. Al riguardo, anche se la nozione di «distacco», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 non è definita in tale regolamento, le condizioni previste da tale disposizione rendono l’idea di un lavoratore sedentario, che esercita abitualmente la sua attività in uno Stato membro, inviato temporaneamente in un altro Stato membro e che rientra dopo un certo periodo di tempo nel primo Stato membro. Orbene, il personale di volo di una compagnia aerea, utilizzato a bordo di aerei che debbono compiere voli internazionali, non può rientrare in tale schema, in mancanza di collegamento rispetto al territorio di uno Stato membro in cui il lavoro sia abitualmente svolto. Per tale personale, mobile per definizione, l’esercizio di attività in più Stati membri costituisce un aspetto normale delle modalità di lavoro (82). Tale contesto giustifica la previsione in detto regolamento, da parte del legislatore dell’Unione, di un criterio di collegamento specifico per questo stesso personale (83).
132. Infine, l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71, secondo la Corte, dev’essere interpretato, nella sua qualità di deroga, in maniera restrittiva (84). Tale disposizione non può pertanto essere applicata per analogia al personale viaggiante o navigante che rientra nell’abito di applicazione del paragrafo 2, lettera a), di tale articolo (85).
b) Sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 in circostanze come quelle oggetto dei procedimenti principali
133. A mio modo di vedere, la constatazione secondo la quale i certificati E 101 controversi non potevano validamente essere rilasciati sul fondamento delle disposizioni applicabili al distacco di lavoratori può, di per sé, configurare l’elemento oggettivo della frode.
134. Fermo restando ciò, dato che l’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 prevede, in linea di principio, l’applicazione della legge dello Stato membro della sede del datore di lavoro e che certificati E 101 avrebbero potuto, ipoteticamente, essere emessi in base a tale disposizione, ritengo opportuno, per evitare ogni accusa di formalismo, spiegare perché siffatti certificati non potessero neppure essere validamente rilasciati dall’istituzione emittente in base a tale disposizione.
135. A tal riguardo, ricordo che l’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71, pur prevedendo, in linea di principio, l’applicazione della legge della sede del datore di lavoro, fa anche salva l’applicazione di talune eccezioni. In particolare, il suo punto i) prevede che «la persona dipendente da una succursale o da una rappresentanza permanente dell’impresa in questione nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale essa ha la propria sede è soggetta alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio tale succursale o rappresentanza permanente si trova».
136. Conformemente a tale formulazione, due condizioni cumulative devono ricorrere perché tale norma si applichi ad un lavoratore: da un lato, deve esistere una «succursale o una rappresentanza permanente» del datore di lavoro in uno Stato membro diverso da quello della sua sede; dall’altro, tale lavoratore dev’essere «dipendente da» tale unità.
137. A questo proposito, riguardo alla prima di tali condizioni, le discussioni intervenute dinanzi alla Corte quanto all’esistenza di una «succursale o rappresentanza permanente» nelle fattispecie in esame nei procedimenti principali, riflettono, a mio parere, le spiegazioni contenute ai paragrafi da 117 a 119 delle presenti conclusioni. Infatti, la Vueling sostiene che, all’epoca dei fatti, essa si limitava ad effettuare, in via sperimentale, voli regolari tra varie città spagnole e Parigi in fasce orarie comportanti la sosta di taluni aeromobili, tra due voli, di notte, sulla pista dell’aeroporto di Parigi-Charles de Gaulle. Così facendo, essa respinge l’idea secondo cui essa avrebbe disposto di una siffatta unità o di qualunque altra forma di sede secondaria in tale aeroporto e, in sostanza, si appella all’esercizio della libera prestazione di servizi.
138. Tuttavia, l’esistenza di una «succursale o [di] una rappresentanza permanente», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1408/71, in fattispecie come quelle in esame nei procedimenti principali, non presenta molti dubbi ai miei occhi.
139. A tal riguardo, occorre rilevare che detta nozione di «succursale o rappresentanza permanente» non è definita da tale regolamento, il quale non opera neppure alcun rinvio al diritto degli Stati membri in materia. Pertanto, essa deve ricevere un’interpretazione autonoma, da ricercare in maniera conforme al significato abituale di tali termini nel linguaggio corrente, tenendo conto, nel contempo, del contesto nel quale essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte (86).
140. Nel suo significato abituale, il termine «succursale» rinvia ad una forma di sede secondaria (in opposizione alla sede principale dell’impresa) priva di personalità giuridica propria (in opposizione ad una affiliata) e che dispone di una certa autonomia. Il termine «rappresentanza permanente» esprime una realtà affine, che implica un’unità stabile che agisce a nome e per conto di una sede principale.
141. Quanto al contesto e agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1408/71, dato che quest’ultimo è nel contempo uno strumento che si inserisce nell’ambito del mercato interno e uno strumento di diritto internazionale privato, le definizioni date dalla Corte a nozioni affini in tali settori forniscono indicazioni rilevanti. A questo proposito, da una parte, ricordo che, conformemente ad una giurisprudenza costante della Corte, una succursale costituita in uno Stato membro da una società soggetta al diritto di un altro Stato membro costituisce una forma di sede secondaria, rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE (87). In tale contesto, la nozione di «sede» implica un’infrastruttura che consenta di esercitare in maniera stabile e continua un’attività professionale e, a partire da detta infrastruttura, di rivolgersi, tra l’altro, ai cittadini dello Stato membro in questione (88). Dall’altra parte, una realtà analoga si ritrova nella giurisprudenza della Corte riguardante la nozione di «succursale, agenzia o qualsiasi altra sede di attività», che figura all’articolo 7, punto 5, del regolamento Bruxelles I bis, la quale implica l’esistenza di un centro operativo che si manifesti in modo duraturo verso l’esterno come l’estensione di una casa madre, provvisto di direzione e attrezzato in modo da poter trattare affari con terzi (89).
142. Risulta da tutti questi elementi che una «succursale o una rappresentanza permanente», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1408/71, è una forma di sede secondaria, che presenta carattere di stabilità, esercita un’attività economica rivolta verso l’esterno e dispone, a tal fine, di mezzi materiali e umani organizzati, nonché di una certa autonomia rispetto alla sede principale del datore di lavoro.
143. Nel settore del trasporto aereo, mi sembra, al pari della Cour de cassation, sezione sociale (90), che la realtà a cui si riferisce la detta nozione di «succursale o rappresentanza permanente» si confonda ampiamente, se non integralmente, con una «base operativa», quale definita in particolare nel diritto francese (91).
144. Orbene, la cour d’appel de Paris, nella sua sentenza del 31 gennaio 2012 che ha condannato la Vueling in sede penale, ha accertato, alla luce delle circostanze riferite ai paragrafi 19, 21 e 24 delle presenti conclusioni, che tale compagnia aerea disponeva a Roissy di una siffatta base. Fatte salve verifiche da parte dei giudici del rinvio, esclusivamente competenti a valutare i fatti, la configurabilità di una «succursale o rappresentanza permanente», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1408/71, è a mio parere acquisita (92).
145. Per quanto riguarda la seconda condizione risultante da tale disposizione, secondo la quale il lavoratore interessato dev’essere «dipendente» della succursale o della rappresentanza del datore di lavoro, la Vueling ha sostenuto che ciò non poteva essere il caso dei lavoratori «distaccati» presso la sua base di Roissy (di cui ricordo che essa contesta l’esistenza), dato che quest’ultima non disponeva dell’autorità che caratterizza un datore di lavoro o di una competenza in materia di gestione del personale navigante aereo, gestione che è sempre stata compito della sede sociale di Barcellona. Tuttavia, anche al riguardo, vi sono pochi dubbi, a mio modo di vedere, che tale condizione ricorra in circostanze come quelle in esame nei procedimenti principali.
146. A tale riguardo, rilevo che, mentre la regola di principio della lex loci laboris, prevista all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71, è diretta a garantire la parità di trattamento di tutti i lavoratori dipendenti occupati nel territorio di uno stesso Stato membro (93), le norme previste all’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento esprimono, dal canto loro, non potendosi individuare un territorio unico in cui l’attività venga esercitata, l’intento di prevedere criteri di collegamento che indichino la legge più vicina al lavoratore, in forza di un principio di prossimità usuale nel diritto internazionale privato. Pertanto, qualora il lavoratore sia dipendente di una succursale o di una rappresentanza permanente del datore di lavoro, si applica la legge dello Stato membro in cui è situata tale unità, in quanto detta legge è considerata più vicina al lavoratore interessato di quanto non lo sia quella dello Stato della sede del datore di lavoro (94).
147. Quanto alle implicazioni di tale principio di prossimità, è possibile argomentare per analogia con la giurisprudenza relativa al diritto internazionale privato del lavoro. In materia, è riconosciuto da lunga data che un rapporto di lavoro è, di norma, strettamente collegato, da una parte, con la legge e, dall’altra, col giudice del luogo in cui il lavoratore svolge effettivamente le sue attività (95). Qualora un lavoratore svolga la sua attività in più luoghi, la Corte ha dichiarato, in particolare nella sentenza Nogueira e a. (96), riguardante proprio il personale di volo, che il rapporto di lavoro presentava un collegamento significativo con il luogo a partire del quale un lavoratore adempie principalmente le sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro, corrispondente al luogo in cui il lavoratore riceve le istruzioni sulle sue missioni di trasporto e organizza il suo lavoro, a partire dal quale egli inizia tali missioni e in cui rientra al termine di queste ultime. In tale sentenza, la Corte ha rilevato che tale luogo coincide, per questo stesso personale di volo, e salvo indizi contrari, con la sua «base di servizio» (97).
148. Applicato all’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1408/71, tale ragionamento comporta che, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, basta verificare se il lavoratore svolga la sua attività nella, o a partire dalla, succursale o rappresentanza permanente del datore di lavoro. Per quanto riguarda il personale di volo, ciò si verifica, in linea di massima, se ivi si trova la sua «base di servizio», il che sembrava avvenire nelle fattispecie oggetto dei procedimenti principali, alla luce delle circostanze descritte ai paragrafi 19 e 21 delle presenti conclusioni. Spetterà tuttavia ai giudici del rinvio, anche in questo caso, verificarlo.
3. Sull’elemento soggettivo della frode
149. Al fine di concludere per l’esistenza di una frode, è necessario, come ho detto in precedenza, accertare che l’interessato abbia avuto l’intenzione di aggirare o eludere le condizioni di rilascio del certificato E 101, al fine di ottenere il relativo vantaggio. Nella fattispecie, la Vueling asserisce che non si è verificato alcun tentativo di dissimulazione da parte sua, avendo essa dichiarato il distacco dei suoi lavoratori alle autorità francesi e chiesto il prolungamento di tale distacco presso l’istituzione francese competente.
150. Non spetta alla Corte determinare se la prova di una siffatta intenzione fraudolenta da parte della Vueling sia dimostrata nelle circostanze in esame nei procedimenti principali. Tuttavia, occorre fornire ai giudici del rinvio, alla luce delle suddette circostanze, tutti gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che possono essere di ausilio per la loro pronuncia.
151. A questo proposito, si deve innanzitutto ricordare che la prova di un’intenzione fraudolenta può discendere da un’azione volontaria, quale la presentazione erronea della situazione reale del lavoratore distaccato o dell’impresa che distacca detto lavoratore, oppure da un’omissione volontaria, come la dissimulazione di un’informazione rilevante (98). A mio modo di vedere, il carattere volontario dell’azione o dell’omissione di cui trattasi può dedursi da circostanze di fatto oggettive (99). In tale contesto, esporrò due ulteriori osservazioni.
152. In primo luogo, la circostanza, per una compagnia aerea che effettua trasporto internazionale di passeggeri, di aver chiesto l’emissione di certificati E 101 ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 per inviare il suo personale di volo in una succursale in un altro Stato membro è già, di per sé, tale da sollevare interrogativi quanto alle sue motivazioni reali.
153. Infatti, osservo che l’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento implica due notevoli inconvenienti per una compagnia del genere. Da un lato, sul piano procedurale, l’articolo 12 bis, paragrafo 1 bis, del regolamento di applicazione n. 574/72 non le consente di chiedere all’istituzione competente dello Stato membro delle sua sede il rilascio di certificati E 101 per il suo personale di volo (dato che tale certificato dev’essere chiesto dal lavoratore stesso) mentre, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, di tale regolamento, può farlo in caso di distacco. Dall’altro lato, quanto al merito, l’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1408/71 prevede, a titolo di eccezione, l’applicazione della legge della succursale o della rappresentanza permanente alle cui dipendenze si trovano i lavoratori interessati, mentre le norme sul distacco permetterebbero di evitare l’applicazione di tale eccezione e di garantire l’applicazione della legge dello Stato membro della sede.
154. In secondo luogo, i giudici del rinvio hanno precisato, come menzionato ai paragrafi 20 e 24 delle presenti conclusioni, che la Vueling aveva domiciliato un gran numero dei lavoratori «distaccati» all’indirizzo della propria sede in Spagna laddove in realtà essi risiedevano in Francia, essendo inoltre cittadini francesi, mentre, d’altro canto, la metà di loro non lavorava abitualmente per conto di tale compagnia aerea ed era stata assunta meno di trenta giorni prima del rispettivo distacco, in alcuni casi il giorno prima o lo stesso giorno. Anche tali circostanze sollevano interrogativi.
155. Infatti, anche supponendo che una compagnia aerea che effettua trasporto internazionale creda, erroneamente, che le norme relative al distacco dei lavoratori possano applicarsi al suo personale di volo (100), il fatto di non divulgare all’istituzione emittente il luogo di residenza reale dei lavoratori interessati può contribuire a dissimulare una elusione di tali norme.
156. A questo proposito, rilevo che effettivamente l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 non impedisce ad un’impresa di distaccare lavoratori nello Stato membro in cui risiedono. Tale disposizione non vieta neppure che tali lavoratori siano cittadini dello Stato membro in cui essi sono inviati. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, la sola circostanza che un lavoratore sia stato assunto ai fini del suo distacco impedisce, di per sé, che egli rientri nell’ambito di applicazione delle norme sul distacco (101).
157. Tuttavia, mi sembra che, in caso di cumulo di tali circostanze – l’assunzione di lavoratori cittadini di uno Stato membro, residenti in tale Stato, ai fini del loro impiego in detto Stato – l’istituto del distacco sia artificioso (102). A tale riguardo, ricordo che l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 ha essenzialmente lo scopo di promuovere la libera prestazione dei servizi a beneficio delle imprese che ne fanno uso inviando lavoratori in Stati membri diversi da quello in cui esse sono stabilite e, in tale contesto, di evitare le complicazioni amministrative (103). Le norme sul distacco non possono pertanto applicarsi a lavoratori direttamente assunti nello Stato in cui sono destinati ad essere distaccati (104).
158. Spetterà, in definitiva, ai giudici del rinvio verificare il comportamento della Vueling nei procedimenti principali. In tale contesto, tale compagnia dovrà disporre della possibilità di confutare gli elementi discussi nelle presenti conclusioni, nel rispetto delle garanzie connesse al diritto ad un processo equo. Essa dovrà in particolare potersi esprimere sulle dichiarazioni di residenza errate da essa fornite alle autorità spagnole.
D. Sull’autorità del giudicato penale in sede civile
159. Con la sua seconda questione nella causa C‑37/18, la Cour de cassation, sezione sociale, chiede, in sostanza, se il principio di supremazia del diritto dell’Unione osti a che un giudice nazionale, tenuto in applicazione del suo diritto interno al rispetto dell’autorità del giudicato penale in sede civile, tragga le conseguenze di una decisione penale incompatibile con il diritto dell’Unione condannando un datore di lavoro ad un risarcimento danni a favore di un lavoratore per il solo fatto della condanna penale di tale datore di lavoro per gli stessi fatti.
160. Il principio dell’autorità del giudicato penale in sede civile è, nell’ordinamento giuridico francese, un principio pretorio, oggetto di una costante giurisprudenza della Cour de cassation secondo la quale le decisioni dei giudici penali godono in sede civile dell’autorità di cosa giudicata erga omnes. Tale autorità non si limita al dispositivo di una pronuncia penale, vale a dire alla declaratoria di colpevolezza o di innocenza dell’imputato e alla sua condanna ad una determinata pena o alla sua assoluzione. Essa si estende altresì alla motivazione di tale decisione (105). Di conseguenza, il giudice civile, pronunciandosi sugli stessi fatti esaminati dal giudice penale, ha il divieto di rimettere in discussione non soltanto la condanna o l’assoluzione in sede penale dell’imputato in quanto tale, ma anche gli accertamenti di fatto e le qualificazioni giuridiche operati dal giudice penale. Tali elementi beneficiano di una presunzione assoluta di veridicità e non possono quindi più essere discussi dinanzi al giudice civile (106).
161. La cour d’appel de Paris, nella sua sentenza del 4 marzo 2016, si è quindi fondata sulla qualificazione di lavoro non dichiarato, accolta nella sentenza da essa pronunciata in sede penale il 31 gennaio 2012 contro la Vueling, per condannare tale compagnia a risarcire il sig. Poignant (107). Nel caso in cui la Corte dichiarasse (contrariamente a quanto le propongo) che il giudice dello Stato membro ospitante non può ignorare un certificato E 101 in circostanze come quelle oggetto dei procedimenti principali, tale qualificazione sarebbe incompatibile con il diritto dell’Unione (108). Si tratterebbe allora di stabilire se quest’ultima sentenza potesse validamente avere, in sede civile, autorità di giudicato quanto alla configurabilità del reato contestato alla Vueling.
162. Innanzitutto, preciso che, a mio modo di vedere, il principio di supremazia del diritto dell’Unione non offre, da solo, il criterio idoneo a risolvere tale questione. Infatti, non si tratta di far prevalere senz’altro l’applicazione del regolamento n. 1408/71 sul principio dell’autorità del giudicato quale inteso nel diritto francese. Non ritengo neppure che l’autonomia processuale degli Stati membri e, in tale contesto, i criteri di equivalenza e di effettività, fatti valere dal governo francese, siano rilevanti. Infatti, la questione di stabilire cosa possa essere munito dell’autorità del giudicato costituisce non una questione di ordine processuale, ma una questione di merito.
163. In tale contesto osservo, da un lato, che il principio dell’autorità del giudicato penale in sede civile può ostare all’effettività del diritto dell’Unione. Nel caso in cui una decisione penale fosse in contrasto con tale diritto, essa dovrebbe essere comunque applicata dal giudice civile. Dall’altro lato, il principio dell’autorità del giudicato penale in sede civile rispecchia, come affermano il sig. Poignant e il governo francese, un legittimo obiettivo di certezza del diritto, consistente nell’evitare le contraddizioni tra decisioni penali e decisioni civili vertenti sugli stessi fatti. Traspaiono, in filigrana, considerazioni di politica giudiziaria attinenti al ruolo particolare riconosciuto ai giudici penali (109). Si deve pertanto, a mio parere, procedere ad una ponderazione tra l’effettività del diritto dell’Unione e tale legittimo obiettivo (110).
164. Per quanto riguarda tale ponderazione, è vero che la Corte ha reiteratamente riconosciuto l’importanza che il principio della cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le pronunce giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione. Pertanto, il diritto dell’Unione non impone al giudice nazionale, in linea di principio, di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato ad una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione incompatibile con tale diritto (111).
165. Tuttavia, come fa valere la Commissione, anche se il diritto dell’Unione non osta a che la condanna o l’assoluzione pronunciata con decisione penale (in altri termini, il dispositivo di tale decisione) sia munita dell’autorità della cosa giudicata e non possa più essere rimessa in discussione, anche qualora essa fosse in contrasto col diritto dell’Unione (112), estendere tale autorità alle qualificazioni accolte dal giudice penale laddove la loro incompatibilità con il diritto dell’Unione fosse accertata dinanzi al giudice civile arrecherebbe un pregiudizio troppo grave all’effettività di tale diritto. Il singolo interessato vedrebbe i diritti da lui ricavati dall’efficacia diretta del diritto dell’Unione nuovamente violati, nell’ambito di una seconda decisione. Il diritto dell’Unione osta pertanto, a mio parere, ad una siffatta norma interna relativa all’autorità della regiudicata (113).
166. Contrariamente a quanto sostiene il governo francese, tale interpretazione non è rimessa in discussione dalla sentenza Di Puma e Zecca (114). Ricordo che, in tale sentenza, la Corte ha dichiarato che l’obbligo per gli Stati membri, derivante dalla normativa dell’Unione, di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive in materia di abuso di informazioni privilegiate non osta ad una norma nazionale, ai sensi della quale gli accertamenti di fatto operati in una pronuncia penale quanto alla prova degli elementi costitutivi di una siffatta operazione beneficino dell’autorità della regiudicata, norma avente come conseguenza che, in caso di assoluzione dell’imputato da parte del giudice penale, un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria vertente sugli stessi fatti dev’essere chiuso senza condanna.
167. Orbene, la Corte si è limitata a dichiarare che l’autorità della cosa giudicata penale in sede amministrativa non ostava a che le infrazioni in materia potessero essere accertate e sanzionate in modo effettivo, in quanto gli accertamenti di fatto muniti di tale autorità abbiano dato luogo ad un contraddittorio dinanzi al giudice penale, e l’autorità competente ad irrogare tali sanzioni amministrative abbia gli strumenti per accertarsi che una sentenza penale di condanna o di assoluzione sia pronunciata tenendo conto di tutti gli elementi di prova di cui essa dispone (115). Essa non si è quindi pronunciata sulla fattispecie in cui il giudice penale abbia ritenuto talune qualificazioni incompatibili con il diritto dell’Unione – adottando, ad esempio, un’interpretazione della nozione di «abuso di informazioni privilegiate» in contrasto con tale diritto.
168. In considerazione di tutto quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alla seconda questione della Cour de cassation, sezione sociale, nella causa C‑37/18 dichiarando che il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale, tenuto in applicazione del suo diritto interno al rispetto dell’autorità del giudicato penale in sede civile, tragga le conseguenze di una pronuncia penale incompatibile con il diritto dell’Unione, condannando un datore di lavoro ad un risarcimento danni nei confronti di un lavoratore per il solo motivo della condanna penale di tale datore di lavoro per gli stessi fatti.
VI. Conclusione
169. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali proposte dal tribunal de grande instance de Bobigny (Francia), nella causa C‑370/17, e dalla Cour de cassation, sezione sociale (Francia), nella causa C‑37/18:
1) L’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nel testo modificato e aggiornato del regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, quale modificato dal regolamento (CE) n. 1992/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, e l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 1408/71, nel testo modificato e aggiornato dal regolamento n. 118/97, devono essere interpretati nel senso che il giudice dello Stato membro ospitante è competente ad ignorare un certificato E 101 qualora disponga degli elementi comprovanti che il certificato è stato ottenuto o invocato in maniera fraudolenta. Lo svolgimento del dialogo tra istituzioni competenti, previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, quale modificato dal regolamento n. 1992/2006, è ininfluente su tale competenza.
2) Il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale, tenuto in applicazione del suo diritto interno al rispetto dell’autorità del giudicato penale in sede civile, tragga le conseguenze di una pronuncia penale incompatibile con il diritto dell’Unione, condannando un datore di lavoro ad un risarcimento danni nei confronti di un lavoratore per il solo motivo della condanna penale di tale datore di lavoro per gli stessi fatti.