Language of document : ECLI:EU:C:2011:284

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 5 maggio 2011 (1)

Cause riunite C‑244/10 e C‑245/10

Mesopotamia Broadcast A/S METV e Roj TV A/S

contro

Repubblica federale di Germania

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Germania)]

«Coordinamento di alcune disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all’esercizio di attività di emittenza televisiva – Possibilità per uno Stato membro di vietare sul suo territorio l’attività di un’emittente stabilita in un altro Stato membro a causa di un pregiudizio alla comprensione fra i popoli»






1.        Nelle presenti cause la Corte è invitata a pronunciarsi sulla portata della condizione prevista all’art. 22 bis della direttiva del Consiglio 89/552/CEE (2), secondo cui le trasmissioni diffuse da uno Stato membro non devono contenere alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.

2.        Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) chiede se questa condizione debba essere interpretata nel senso che in essa è implicito il requisito stabilito nel suo diritto nazionale, secondo cui una trasmissione televisiva non deve arrecare pregiudizio alla comprensione fra i popoli.

3.        Le implicazioni del presente quesito riguardano la circostanza secondo cui, in applicazione del sistema previsto dalla direttiva, uno Stato membro non può ostacolare la ritrasmissione di una trasmissione televisiva proveniente da un altro Stato membro per un motivo che rientra nei settori coordinati dalla direttiva, salvo nelle condizioni eccezionali previste da quest’ultima, previa notifica alla Commissione europea delle misure che intende assumere.

4.        La detta questione deriva dal divieto di diffusione in Germania di trasmissioni diffuse da un canale televisivo danese, a motivo che tali trasmissioni effettuavano un’apologia del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) arrecando quindi pregiudizio alla comprensione fra i popoli ai sensi della legge tedesca, mentre le autorità danesi competenti avevano ritenuto che le suddette trasmissioni non violassero l’art. 22 bis della direttiva.

5.        Nelle presenti conclusioni esporrò i motivi per cui il divieto di qualsiasi incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità di cui all’art. 22 bis della direttiva dev’essere interpretato, sotto il profilo semantico, nel senso che proibisce anche trasmissioni che, facendo l’apologia di un gruppo qualificato come «terrorista» dall’Unione europea, possono suscitare reazioni di animosità o di rifiuto tra comunità di origine etnica o culturale diversa.

6.        Affermerò, altresì, che questa interpretazione è la più conforme all’obiettivo della direttiva di garantire la libertà di diffusione delle trasmissioni televisive rimuovendo gli ostacoli derivanti dalle disparità delle legislazioni nazionali nel settore della tutela dell’ordine pubblico per quanto riguarda le trasmissioni di natura discriminatoria.

I –    Ambito normativo

A –    La direttiva

7.        La direttiva parte dall’assunto che le disparità esistenti nelle legislazioni degli Stati membri per quanto riguarda l’esercizio delle attività di emittenza televisiva possono ostacolare la libera circolazione delle trasmissioni nella Comunità e che tali ostacoli devono essere eliminati in virtù del Trattato CE (3). Essa mira dunque ad attuare l’armonizzazione necessaria e sufficiente per garantire tale libera circolazione (4).

8.        Inoltre, secondo l’ottavo ‘considerando’ della direttiva, la libertà di circolazione dei servizi di radiodiffusione televisiva costituisce una manifestazione specifica, nel diritto dell’Unione, dell’art. 10, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») (5).

9.        La direttiva si fonda sul «principio dello Stato membro d’origine», che rappresenta un’ulteriore espressione del principio del mutuo riconoscimento, secondo cui, ai sensi del suo dodicesimo ‘considerando’, è necessario e sufficiente che tutte le trasmissioni rispettino la legislazione dello Stato membro da cui sono emesse.

10.      Il quattordicesimo e quindicesimo ‘considerando’ della direttiva così precisano:

«considerando che, nel quadro del mercato comune, è necessario che tutte le trasmissioni aventi la loro origine nella Comunità e che devono essere captate nella medesima, in particolare quelle destinate ad un altro Stato membro, rispettino sia le normative che lo Stato membro d’origine applica alle trasmissioni per il pubblico nel suo territorio sia le disposizioni della presente direttiva;

considerando che l’obbligo dello Stato membro di origine di controllare la conformità delle trasmissioni alle sue normative nazionali coordinate dalla presente direttiva è sufficiente, in base alla legislazione comunitaria, per assicurare la libera circolazione delle trasmissioni senza che si debba procedere, per gli stessi motivi, ad un secondo controllo negli Stati membri di ricezione; che tuttavia uno Stato membro di ricezione può, in via eccezionale e in particolari condizioni, sospendere provvisoriamente la ritrasmissione di programmi televisivi».

11.      Le intenzioni del legislatore comunitario espresse nei suddetti ‘considerando’ sono attuate nella maniera sotto indicata nelle disposizioni normative della direttiva.

12.      Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva, ciascuno Stato membro vigila a che tutte le trasmissioni televisive delle emittenti soggette alla sua giurisdizione rispettino le norme dell’ordinamento giuridico applicabili alle trasmissioni destinate al pubblico nel suo territorio.

13.      L’«emittente» è definita all’art. 1, lett. b), della direttiva come la persona fisica o giuridica che ha la responsabilità editoriale nella composizione dei palinsesti dei programmi televisivi ai sensi della lett. a) del detto articolo e che li trasmette o li fa trasmettere da terzi.

14.      In virtù dell’art. 2, nn. 2 e 3 della direttiva, sono soggette alla giurisdizione di uno Stato membro le emittenti televisive stabilite nel suo territorio, ossia che hanno la sede principale in quello Stato membro e le cui decisioni editoriali in merito al palinsesto sono prese sul suo territorio.

15.      A tenore dell’art. 3, n. 2, della direttiva, gli Stati membri assicurano, «con i mezzi appropriati, nell’ambito della loro legislazione, che le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione rispettino effettivamente le disposizioni della detta direttiva».

16.      L’art. 2 bis della direttiva è così formulato:

«1.      Gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva.

2.      Gli Stati membri possono, in via provvisoria, derogare al paragrafo 1 qualora ricorrano le seguenti condizioni:

a) una trasmissione televisiva proveniente da un altro Stato membro violi in misura manifesta, seria e grave l’articolo 22, paragrafi 1 o 2 e/o l’articolo 22 bis;

b) nel corso dei dodici mesi precedenti l’emittente televisiva abbia già violato almeno due volte le disposizioni di cui alla lettera a);

c) lo Stato membro interessato abbia notificato per iscritto all’emittente televisiva e alla Commissione le violazioni rilevate e i provvedimenti che intende adottare in caso di nuove violazioni;

d) le consultazioni con lo Stato che effettua la trasmissione e la Commissione non abbiano consentito di raggiungere una soluzione amichevole entro un termine di quindici giorni dalla notifica di cui alla lettera c) e ove persista la pretesa violazione.

Entro due mesi a decorrere dalla notifica del provvedimento adottato dallo Stato membro, la Commissione adotta una decisione sulla compatibilità del provvedimento col diritto comunitario. In caso di decisione negativa, chiede allo Stato membro di revocare senza indugio il provvedimento adottato.

3.      Il paragrafo 2 fa salva l’applicazione di qualsiasi procedimento, rimedio giuridico o sanzione contro tali violazioni nello Stato membro che esercita la propria giurisdizione sull’emittente televisiva interessata».

17.      Gli artt. 22 e 22 bis della direttiva fanno parte del capitolo V della stessa, intitolato «Tutela dei minori e ordine pubblico». Essi dispongono quanto segue:

«Articolo 22

1. Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita.

(…)

Art. 22 bis

Gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità».

B –    Diritto nazionale

18.      L’art. 3 della legge 5 agosto 1964 sulle associazioni (Gesetz zur Regelung des öffentlichen Vereinsrechts) (6) prevede che un’associazione possa essere vietata qualora le autorità competenti abbiano stabilito, con decreto, che i suoi scopi o la sua attività violano le leggi penali ovvero che essa è contraria al sistema costituzionale o al principio della comprensione fra i popoli.

19.      Riguardo al divieto di associazione con sede all’estero, l’art. 18 del Vereinsgesetz così dispone:

«I divieti che colpiscono associazioni aventi sede fuori dal campo di applicazione geografico della presente legge ma con sotto‑organizzazioni che vi rientrano si applicano unicamente a queste ultime. Qualora l’associazione non abbia alcuna organizzazione nel campo di applicazione geografico di tale legge, il divieto riguarda (…) la sua attività in detto campo di applicazione».

II – Fatti e questioni pregiudiziali

20.      La Mesopotamia Broadcast A/S METV (in prosieguo: la «Mesopotamia Broadcast METV») è una società holding per azioni di diritto danese con sede in Danimarca. Essa è titolare di diverse autorizzazioni danesi di radiodiffusione e gestisce, fra l’altro, l’emittente televisiva Roj TV A/S (in prosieguo: la «Roj TV»), avente anch’essa la forma giuridica di società per azioni di diritto danese.

21.      Il programma della Roj TV, prodotto prevalentemente in lingua curda, viene trasmesso dal 1° marzo 2004 tramite satellite in tutta l’Europa e nel Medio Oriente, soprattutto in Turchia. La Roj TV fa produrre trasmissioni dalla società di produzione VIKO, stabilita a Wuppertal (Germania), nonché in centri di produzione propri, siti a Denderleeuw (Belgio).

22.      Nel 2006 e nel 2007 le autorità turche hanno presentato taluni reclami al comitato danese radiotelevisivo responsabile dell’applicazione delle normative ivi vigenti finalizzate all’attuazione della direttiva, asserendo che, con le proprie trasmissioni, la Roj TV avrebbe promosso le finalità del PKK, classificato come organizzazione «terroristica» dall’Unione.

23.      Con decisioni 3 maggio 2007 e 23 aprile 2008 detto comitato ha stabilito che la Roj TV non aveva violato le disposizioni danesi di attuazione degli artt. 22 e 22 bis della direttiva. Ad avviso dello stesso, le sequenze dei programmi della Roj TV oggetto dei reclami non avrebbero incitato all’odio basato su differenze di razza, nazionalità o religione, ma avrebbero invece comunicato informazioni, notizie e opinioni nell’ambito di programmi informativi e di dibattiti. Le immagini di episodi violenti trasmesse avrebbero rispecchiato la violenza effettivamente esistente nella società turca e nei territori curdi.

24.      Con provvedimento 13 giugno 2008 il Ministero degli Interni tedesco ha vietato alla Mesopotamia Broadcast METV l’esercizio di qualsiasi attività per mezzo della Roj TV nell’ambito di vigenza del Vereinsgesetz. Alla Roj TV è stato del pari imposto un divieto di attività.

25.               Il Ministero federale degli Interni ha motivato i divieti sostanzialmente con il fatto che le trasmissioni della Roj TV avallavano il ricorso alla violenza per il conseguimento degli obiettivi politici del PKK, nonché nei rapporti fra turchi e curdi, pregiudicando dunque l’intesa tra i popoli ai sensi del Vereinsgesetz.

26.      La Mesopotamia Broadcast METV e la Roj TV hanno impugnato tali decisioni dinanzi al Bundesverwaltungsgericht.

27.      Le ricorrenti nella causa principale hanno affermato che le loro attività transfrontaliere nel settore dell’emittenza televisiva rientravano nell’ambito della direttiva e che, in applicazione di quest’ultima, soltanto il Regno di Danimarca, sul cui territorio esse sono stabilite, può esercitare un controllo su queste attività.

28.      Nell’ordinanza di rinvio il Bundesverwaltungsgericht osserva che i programmi trasmessi dalla Mesopotamia Broadcast METV tramite la Roj TV promuovono effettivamente la lotta armata condotta dal PKK contro la Repubblica di Turchia, ricadendo, pertanto, nella sfera del divieto delle violazioni del principio della comprensione fra i popoli ai sensi del Vereinsgesetz.

29.      Il giudice a quo espone che, in virtù della legge anzidetta, siffatto motivo di divieto può trovare applicazione allorché un gruppo sostiene un movimento che, con l’esercizio della violenza, pregiudica la convivenza pacifica fra i popoli.

30.      Egli rammenta, tuttavia, che, in applicazione della direttiva, uno Stato membro non può vietare la ridiffusione di trasmissioni che provengono da un altro Stato membro per un motivo che rientri nei settori coordinati da quest’ultima.

31.      Per questa ragione il Bundesverwaltungsgericht ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte, nelle due cause, la seguente questione pregiudiziale: «se – ed eventualmente a quali condizioni – l’applicazione di una norma nazionale relativa ad un divieto di associazione per pregiudizio al principio della comprensione fra i popoli rientri nei settori coordinati dalla direttiva e, pertanto, sia esclusa a norma dell’art. 2 bis della medesima».

32.      Le due cause sono state riunite con ordinanza 3 agosto 2010.

III – Analisi

A –    Osservazioni preliminari

33.      Prima di esaminare la questione sollevata, ritengo necessario precisarne le implicazioni.

34.      Come emerge dalla decisione di rinvio e dalle spiegazioni fornite dalle parti nel corso dell’udienza, le misure controverse assunte dalle autorità tedesche hanno l’effetto di vietare qualsiasi attività della Roy TV in Germania nonché la ritrasmissione sul medesimo territorio, in ambito pubblico, delle trasmissioni televisive di tale società diffuse a partire dalla Danimarca.

35.      La Mesopotamia Broadcast METV, che gestisce la Roy TV, può avvalersi, contro le autorità tedesche competenti, delle disposizioni della direttiva sulla garanzia della libera circolazione delle proprie trasmissioni televisive.

36.      Infatti, tale società danese viene descritta dal giudice del rinvio come un’emittente ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva, che trasmette programmi televisivi destinati al pubblico ai sensi dell’art. 1, lett. a), di quest’ultima, e che rientra nella competenza del Regno di Danimarca, conformemente alle disposizioni dell’art. 2, nn. 2 e 3, della detta direttiva, in quanto la sua direzione centrale, ove vengono adottate le decisioni relative alla programmazione, si trova sul territorio di tale Stato membro.

37.      Il giudice del rinvio ha inoltre precisato che, contrariamente a quanto le autorità tedesche competenti abbiano potuto pensare, dagli elementi del fascicolo non risulterebbe che l’attività della suddetta società si sia svolta esclusivamente o principalmente in Germania. Egli ha indicato che la Roj TV diffondeva le proprie trasmissioni in tutta l’Europa occidentale e nel Medio Oriente e non soltanto tra i curdi che vivono in Germania.

38.      Le autorità tedesche competenti non disponevano dunque degli elementi sufficienti per poter equiparare la Mesopotamia Broadcast METV a un’emittente nazionale sulla base della giurisprudenza citata al quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/36 (7).

39.      Conseguentemente, tale società può applicare l’art. 2 bis della direttiva, secondo cui uno Stato membro, quale è la Repubblica federale di Germania, non può opporsi alla ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive diffuse dalla detta società tramite il proprio canale Roj TV per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla direttiva, ossia, riguardo alle presenti cause, perché le trasmissioni conterrebbero incitamenti all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.

40.      Conformemente al sistema introdotto dalla direttiva e come esposto al suo quindicesimo ‘considerando’, il controllo esercitato dallo Stato membro d’origine sulle trasmissioni televisive delle emittenti che rientrano nella competenza di quest’ultimo è ritenuto sufficiente per assicurare il rispetto dei requisiti della direttiva, quali quelli enunciati all’art. 22 bis di quest’ultima. Gli Stati membri di ricezione non sono autorizzati ad esercitare un secondo controllo del rispetto di tali requisiti.

41.      Secondo questo sistema, se uno Stato membro di ricezione valuta in maniera diversa il rispetto dei suddetti requisiti, esso può agire soltanto nell’ambito della procedura di cui all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva. Tale norma gli impone in particolare di notificare all’emittente televisiva di cui trattasi e alla Commissione i provvedimenti che intende adottare e, in mancanza di soluzione amichevole, in caso di adozione di questi ultimi, prevede che tale istituzione possa chiedere allo Stato membro di revocare i provvedimenti stessi.

42.      Tuttavia, come indicato all’art. 2 bis, n. 1, della direttiva, un secondo controllo da parte dello Stato membro di ricezione è inammissibile soltanto nei settori coordinati dalla direttiva. In altre parole, il divieto di un secondo controllo a cura degli Stati membri di ricezione si applica soltanto qualora detto controllo debba essere effettuato dallo Stato membro d’origine. La direttiva, come più volte rammentato dalla giurisprudenza, non ha come obiettivo un’armonizzazione completa delle norme relative ai settori da essa coperti (8).

43.      Il giudice del rinvio chiede pertanto se un divieto come quello previsto dal Vereinsgesetz, che consente di impedire la diffusione di trasmissioni televisive che pregiudicano la comprensione fra i popoli, possa essere considerato come già contenuto nell’obbligo di cui all’art. 22 bis della direttiva, secondo cui siffatte trasmissioni non devono contenere alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.

44.      Le implicazioni della soluzione della questione sollevata dal giudice del rinvio sono dunque assai chiare.

45.      Si tratta di sapere se le autorità tedesche competenti potessero vietare in maniera unilaterale la ridiffusione delle trasmissioni in parola o se esse fossero tenute a rispettare le condizioni previste all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva.

46.      Nella prima ipotesi, le misure adottate dalle autorità contro le trasmissioni della Mesopotamia Broadcast METV rientrerebbero nel campo di applicazione delle norme del Trattato sulla libera prestazione dei servizi. Spetterebbe dunque al giudice nazionale verificare che i divieti contestati nelle cause principali fossero giustificati da un motivo legittimo e fossero proporzionati a tale obiettivo.

47.      In proposito, non si può negare in maniera convincente che uno Stato membro, sul cui territorio convivono rilevanti comunità turche e curde, poteva legittimamente ritenere che trasmissioni televisive che operano un’apologia del PKK, qualificato dal Consiglio dell’Unione europea come «gruppo terrorista» (9), potessero turbare l’ordine pubblico. Spetterebbe inoltre al giudice nazionale verificare che i divieti in parola rientrassero nell’ambito di un’azione coerente e sistematica di tutela dell’ordine pubblico e che fossero proporzionati.

48.      Nella seconda ipotesi, l’azione unilaterale delle autorità tedesche dev’essere dichiarata contraria alla direttiva. Tuttavia, tale interpretazione dell’art. 22 bis della direttiva non va intesa nel senso che trasmissioni pregiudizievoli per la comprensione fra i popoli secondo il diritto tedesco possono essere diffuse liberamente negli Stati membri.

49.      Va precisato che siffatta interpretazione dev’essere intesa nel senso che lo Stato membro d’origine, tenuto ad accertarsi che le trasmissioni delle emittenti che rientrano nella sua competenza rispettino i requisiti dell’art. 22 bis della direttiva, doveva verificare che queste trasmissioni non arrecassero pregiudizio alla comprensione fra i popoli.

50.      È unicamente perché, lo ricordo, si presume che siffatto controllo sia stato effettuato dallo Stato membro d’origine che gli Stati membri di ricezione, che valutano in maniera diversa il rispetto delle norme contenute nel suddetto art. 22 bis, possono agire soltanto nell’ambito della procedura prevista all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva.

51.      Le implicazioni delle presenti controversie non consistono dunque nel precisare il contenuto del limite alla libertà di espressione di cui all’art. 22 bis della direttiva. È pacifico che il diritto fondamentale alla libertà di espressione di cui all’art. 11 della Carta costituisce il principio e che i limiti che lo riguardano, quali quelli previsti all’art. 22 bis della direttiva, devono essere interpretati restrittivamente.

52.      Le presenti cause richiedono di determinare la portata del trasferimento di competenza per quanto riguarda la tutela dell’ordine pubblico che gli Stati membri hanno voluto attribuire all’art. 22 bis della direttiva.

53.      Propongo alla Corte di esaminare la questione sollevata dal Bundesverwaltungsgericht alla luce di tali considerazioni.

B –    Esame della questione pregiudiziale

54.      Il giudice del rinvio chiede se nell’ambito di applicazione dell’art. 22 bis della direttiva rientrino le trasmissioni in grado di pregiudicare, mediante l’apologia del PKK, la comprensione fra le comunità d’origine turca e curda che vivono in Germania.

55.      Detto giudice chiede quindi, in sostanza, se l’art. 22 bis della direttiva, secondo cui gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, debba essere interpretato nel senso che proibisce anche le trasmissioni che, facendo l’apologia di un gruppo qualificato come «terrorista» dall’Unione, possono indurre reazioni di animosità o di rifiuto tra comunità d’origine etnica o culturale diversa.

56.      Il giudice del rinvio nutre dubbi sulla possibilità di rispondere in senso affermativo a tale quesito per i motivi che seguono.

57.      Ad avviso del giudice a quo, da un lato, la condizione prevista all’art. 22 bis della direttiva, a differenza della nozione di pregiudizio alla comprensione fra i popoli, che si ricollegherebbe a un principio generale di diritto obiettivo, si fonderebbe, nel suo enunciato, su un coinvolgimento soggettivo, in caratteristiche individuali che spingono all’esclusione.

58.      Dall’altro, l’art. 22 bis della direttiva, riferendosi a un incitamento all’odio, conterrebbe un messaggio di intensità maggiore rispetto ad un mero pregiudizio alla comprensione fra i popoli.

59.      Da ultimo, le differenze tra i cittadini turchi e quelli curdi sarebbero innanzi tutto di natura etnica e culturale e non di razza o di nazionalità.

60.      Non condivido le riserve del giudice del rinvio. Analogamente alla Commissione e al contrario della Mesopotamia Broadcast METV, nonché dei governi tedesco e francese, sono del parere che il motivo del divieto di cui all’art. 22 bis della direttiva possa applicarsi a una trasmissione che violi il principio della comprensione fra i popoli, secondo il significato attribuito a questa nozione dal diritto tedesco.

61.      La mia analisi si fonda sulle seguenti considerazioni.

62.      In via preliminare occorre constatare, innanzi tutto, che la direttiva non contempla alcuna definizione dei termini di cui all’art. 22 bis della medesima.

63.      Neppure nei relativi lavori preparatori possono rinvenirsi indicazioni pertinenti. I lavori preparatori della direttiva 89/552, ove la condizione di cui all’art. 22 bis della direttiva, figurava all’art. 22, secondo comma, non forniscono alcun elemento sulla portata di tale condizione. Quanto ai lavori preparatori della direttiva 97/36, essi confermano semplicemente che all’art. 22 bis della direttiva il legislatore comunitario ha voluto prevedere un motivo di divieto basato sull’ordine pubblico diverso da quelli intesi, in particolar modo, alla tutela dei minori (10).

64.      Conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza, la portata dell’art. 22 bis della direttiva va dunque determinata partendo dal senso abituale dei suoi termini nel linguaggio corrente, in funzione del sistema da essa instaurato e degli scopi da essa perseguiti (11).

65.      Ricordo che l’art. 22 bis della direttiva prevede che le trasmissioni non devono contenere alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità. Il divieto stabilito in tale norma si applica dunque a una trasmissione televisiva soltanto se quest’ultima soddisfa entrambe le seguenti condizioni, ossia, in primo luogo, l’incitamento all’odio, e, in secondo luogo, il fatto che tale odio sia fondato su uno dei motivi elencati.

66.      Innanzi tutto, per quanto riguarda i termini «incitamento» e «odio», il primo di essi, nel linguaggio corrente, indica un’azione diretta a orientare il comportamento, mentre il secondo indica un sentimento violento, per cui si desidera il male altrui e ci si rallegra della sua rovina (12).

67.      Contrariamente al giudice del rinvio, non ritengo che in queste definizioni sussistano motivi che permettano di ritenere che il contenuto della nozione di incitamento all’odio differisca in maniera sensibile da quella di pregiudizio alla comprensione fra i popoli. Incitare all’odio significa stimolare e alimentare un sentimento di animosità o di rifiuto nei confronti del prossimo, in forza del quale il soggetto che prova questo sentimento non è più in grado di vivere in armonia con l’altra persona e dunque di comprenderla.

68.      Inoltre, attribuire alla nozione di pregiudizio alla comprensione fra i popoli un contenuto più ampio, nel senso che essa riguarderebbe messaggi non in grado di suscitare un sentimento di intolleranza, sarebbe contrario al diritto fondamentale della libertà di espressione. In altre parole, e come emerge dall’art. 54 della Carta, la libertà di espressione garantita all’art. 11 di quest’ultima non si applica allorché il messaggio pregiudica gli altri principi e diritti fondamentali riconosciuti dalla detta Carta, quali la protezione della dignità umana e il principio di non-discriminazione.

69.      A mio avviso, le nozioni di incitamento all’odio e di pregiudizio alla comprensione fra i popoli riguardano, dunque, il medesimo comportamento.

70.      Per quanto concerne, poi, il significato dei termini «razza» e «nazionalità», di cui all’art. 22 bis della direttiva, non credo che ad essi possa essere attribuita l’interpretazione restrittiva del giudice del rinvio, secondo cui essi non riguarderebbero disparità di natura etnica o culturale come quelle che possono sussistere tra i curdi e i turchi.

71.      Come giustamente sottolineato dalla Commissione, il termine «razza», con riferimento agli esseri umani, non possiede alcun contenuto scientifico oggettivo e, pertanto, non può essere definito. Infatti, esso non corrisponde ad alcun criterio genetico, del sangue o di altro tipo. Nel linguaggio corrente, esso rinvia, tutt’al più, a caratteristiche visibili e globali – quali il colore della pelle – che sono relative e parziali. Il diritto dell’Unione come espressamente indicato al sesto ‘considerando’ della direttiva del Consiglio 2000/43/CE (13), respinge le teorie che tentano di dimostrare l’esistenza di razze umane distinte.

72.      A mio parere, nel momento in cui il legislatore comunitario proibisce ogni incitamento all’odio basato su differenze di razza, egli considera dunque le forme di discriminazione fondate su un criterio che, secondo le teorie che esso condanna, consentirebbe di suddividere gli esseri umani in categorie diverse e ritenere che una o più tra esse siano per loro natura superiori o inferiori alle altre.

73.      Nella direttiva del Consiglio 2004/83/CE (14), che fissa criteri comuni per gli Stati membri al fine di stabilire quali siano gli apolidi o i cittadini di Stati terzi che hanno bisogno di una protezione, il termine «razza», ai sensi dell’art. 10, n. 1, lett. a), si riferisce quindi, «in particolare, a considerazioni inerenti al colore della pelle, alla discendenza o all’appartenenza ad un determinato gruppo etnico»; allo stesso modo, l’art. 10, n. 1, lett. c), della suddetta direttiva, indica che il termine di nazionalità non si riferisce esclusivamente alla cittadinanza, o all’assenza di cittadinanza, ma designa, in particolare, l’appartenenza ad un gruppo caratterizzato da un’identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di un altro Stato.

74.      Ritengo, pertanto, che il fatto che all’art. 22 bis della direttiva il legislatore comunitario abbia indicato quale criterio di discriminazione soltanto la razza e la nazionalità, mentre in numerosi altri testi (15) l’origine etnica è stata espressamente aggiunta a tali due criteri, non possa essere interpretato come l’intenzione di escludere le discriminazioni fondate sull’origine etnica dai settori coordinati dalla direttiva (16).

75.      L’aggiunta della nozione di origine etnica negli altri testi sulle discriminazioni basate sull’origine serve soltanto, a mio avviso, a illustrare e a chiarire il contenuto della nozione di discriminazione fondata sulla razza e non ad ampliarne il campo di applicazione (17).

76.      Infine, nel testo dell’art. 22 bis della direttiva non rilevo la presenza di elementi convincenti a favore dell’interpretazione considerata dal giudice a quo, secondo cui tale articolo riguarderebbe soltanto le discriminazioni fondate su criteri soggettivi e non coprirebbe le trasmissioni atte a pregiudicare la sicurezza pubblica.

77.      È certo vero che l’art. 22 bis della direttiva, vietando le trasmissioni con un contenuto discriminatorio, mira a proteggere la dignità umana. Tuttavia, nel suo contenuto non è presente alcun elemento che giustifichi una distinzione fra le trasmissioni discriminatorie in funzione dei loro effetti sull’ordine pubblico. Al contrario, dall’impiego del termine «aucune», nella versione in lingua francese, può dedursi che il legislatore comunitario abbia voluto vietare tutte le trasmissioni contenenti un incitamento all’odio basato su differenze di razza e di nazionalità, a prescindere dalle loro possibili conseguenze sull’ordine pubblico (18).

78.      L’analisi semantica dell’art. 22 bis della direttiva accredita quindi, a mio parere, la tesi della Commissione, che è supportata dalla struttura e dagli obiettivi della direttiva medesima.

79.      Come abbiamo visto, la direttiva mira a garantire la libera circolazione delle trasmissioni televisive. Tale libertà di circolazione viene attuata dalla direttiva mediante due azioni: da un lato l’armonizzazione dei requisiti minimi necessari per quanto riguarda il contenuto dei programmi e, dall’altro, il principio del riconoscimento da parte di tutti gli Stati membri del controllo del rispetto di tali requisiti effettuato dallo Stato membro d’origine.

80.      La libera circolazione delle trasmissioni può essere pienamente garantita soltanto se il contenuto e la portata dei requisiti minimi imposti dalla direttiva sono chiaramente determinati. Dalla chiarezza di tali requisiti dipende la certezza del diritto per le emittenti, che devono poter conoscere con precisione gli effetti del controllo eseguito dalle autorità competenti dello Stato membro in cui esse sono stabilite rispetto ai poteri riservati agli Stati membri di ricezione.

81.      Negli artt. 22 e 22 bis della direttiva, il legislatore comunitario ha stabilito i requisiti minimi necessari per la tutela dei minori e dell’ordine pubblico.

82.      È ben vero che l’art. 22 bis non effettua un’armonizzazione esaustiva delle restrizioni alla libera circolazione delle trasmissioni televisive che possono essere giustificate da motivi di ordine pubblico. Contrariamente, ad esempio, all’art. 10, n. 2, della CEDU (19), esso contempla unicamente le trasmissioni di natura discriminatoria.

83.      Ciò non toglie che l’obiettivo della direttiva e il regime che essa prevede ostino, per principio, a una suddivisione del controllo della natura non discriminatoria delle trasmissioni televisive tra lo Stato membro d’origine e gli Stati membri di ricezione. Siffatta suddivisione sarebbe compatibile con l’imperativo di certezza del diritto soltanto se fosse possibile procedervi sulla base di criteri precisi e facilmente applicabili.

84.      Orbene, come ho già indicato, la nozione di razza non esiste nel diritto dell’Unione, di modo che sarebbe difficile distinguere chiaramente gli incitamenti all’odio basati su differenze di razza, di cui all’art. 22 bis della direttiva, da quelli basati su motivi etnici che rimarrebbero di competenza di ciascuno Stato membro. Sarebbe altresì assai difficile tracciare una linea netta di demarcazione tra le trasmissioni discriminatorie che violano soltanto la dignità umana e quelle che possono anche pregiudicare la sicurezza interna o esterna di uno Stato membro.

85.      A mio parere, l’obiettivo perseguito dalla direttiva con l’armonizzazione effettuata dal suo art. 22 bis induce a interpretare estensivamente la nozione di incitamento all’odio basato su differenze di razza e di nazionalità, nel senso di inglobarvi anche le trasmissioni che possono pregiudicare la comprensione fra diverse comunità etniche o culturali, quali le comunità curde e turche che vivono in Germania.

86.      Sono ben consapevole della rilevanza del trasferimento di competenza da parte degli Stati membri sancito da siffatta interpretazione. La valutazione della natura discriminatoria di una trasmissione televisiva può legittimamente variare da uno Stato membro all’altro. Inoltre a ogni Stato membro spetta, in definitiva, l’onere e la responsabilità di garantire la protezione dell’ordine pubblico sul proprio territorio. Infine, le conseguenze sull’ordine pubblico delle trasmissioni televisive che incitano all’odio tra comunità etniche o culturali differenti dipendono chiaramente dalla presenza di tali comunità sul territorio nazionale e gli Stati membri hanno il pieno diritto di compiere tutto quanto in loro potere affinché i conflitti esistenti in Stati terzi non vengano importati all’interno dei loro confini nazionali.

87.      Non ritengo tuttavia che tali argomenti giustifichino un’interpretazione restrittiva dell’art. 22 bis della direttiva, e ciò per i due seguenti motivi.

88.      In primo luogo, l’obiettivo stesso di una norma armonizzata è essere comune a tutti gli Stati membri e, conseguentemente, essere applicata da ciascuno di essi. Pertanto, come già osservato, se la Corte dichiara che l’art. 22 bis della direttiva osta alla diffusione di trasmissioni che arrecano pregiudizio alla comprensione tra i popoli, il rispetto di tale requisito dovrà essere verificato dalle autorità competenti dello Stato membro nella cui competenza rientra l’emittente in parola, a prescindere dalla presenza sul territorio di tale Stato delle comunità etniche o culturali interessate.

89.      Invero, l’applicazione del divieto di cui all’art. 22 bis della direttiva dipende non dai potenziali effetti della trasmissione di cui trattasi nello Stato membro d’origine o in uno Stato membro in particolare, ma soltanto dal ricorrere delle due condizioni previste da tale disposizione, ossia l’incitamento all’odio e motivi di razza e di nazionalità.

90.      In secondo luogo, uno Stato membro che ritenesse che trasmissioni diffuse a partire da un altro Stato membro non soddisfino le condizioni di cui all’art. 22 bis della direttiva non è completamente privo di strumenti d’azione. Come già visto, esso dispone della procedura prevista all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva che gli consente, alle condizioni in esso stabilite, di adottare provvedimenti restrittivi nei confronti di tali trasmissioni.

91.      Questa garanzia di cui dispongono dunque gli Stati membri di ricezione, diretta a conciliare nel miglior modo possibile l’esercizio del diritto fondamentale alla libertà di espressione con il diritto altrettanto legittimo degli Stati membri di proteggere il proprio ordine pubblico, depone altresì, a mio parere, a favore di un’interpretazione estensiva del trasferimento di competenza previsto all’art. 22 bis della direttiva.

92.      Tale garanzia depone in tal senso, a maggior ragione, se si considera che, come evidenziato dai dibattiti in udienza, le misure consentite dall’art. 2 bis, n. 2, della direttiva possono essere maggiormente efficaci rispetto a quelle unilateralmente adottate da uno Stato membro di ricezione. Così, nelle presenti cause, l’attuazione della procedura di cui all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva potrebbe eventualmente portare ad un divieto, da parte del Regno di Danimarca, di qualsiasi diffusione delle trasmissioni televisive della Mesopotamia Broadcast METV recanti apologia del PKK, mentre le misure tedesche controverse hanno il solo effetto concreto di sanzionare penalmente la loro ritrasmissione nei luoghi pubblici in Germania, ma non la loro ricezione, su detto territorio, in ambito privato.

93.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo dunque alla Corte di risolvere la questione sollevata affermando che l’art. 22 bis della direttiva, secondo cui gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, dev’essere interpretato nel senso che proibisce anche le trasmissioni che, facendo l’apologia di un gruppo qualificato come «terrorista» dall’Unione europea, possono indurre reazioni di animosità o di rifiuto tra comunità di origine etnica o culturale diversa.

IV – Conclusione

94.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottoposta dal Bundesverwaltungsgericht nei termini seguenti:

«L’art. 22 bis della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, 97/36/CE, secondo cui gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, dev’essere interpretato nel senso che proibisce anche le trasmissioni che, facendo l’apologia di un gruppo qualificato come «terrorista» dall’Unione europea, possono indurre reazioni di animosità o di rifiuto tra comunità di origine etnica o culturale diversa».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU L 298, pag. 23), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, 97/36/CE (GU L 202, pag. 60, in prosieguo: la «direttiva»).


3 – Nono e decimo ‘considerando’ della direttiva.


4 – Tredicesimo ‘considerando’ della direttiva e quarantaquattresimo ‘considerando’ della direttiva 97/36.


5 – L’art. 10, n. 1, della CEDU prevede che «[o]gni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive». La prima frase di questo articolo corrisponde all’art. 11, n. 1, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «carta»). Quest’ultimo articolo contiene anche un secondo paragrafo che sancisce il rispetto della libertà dei media e del loro pluralismo.


6 – BGBl. 1964 I, pag. 593, come modificata dall’art. 6 della legge 21 dicembre 2007 (BGBl. 2007 I, pag. 3198, in prosieguo: il «Vereinsgesetz»).


7 – Nel suddetto quattordicesimo ‘considerando’ è indicato che secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, uno Stato membro conserva la facoltà di prendere provvedimenti contro un ente televisivo che, pur avendo stabilito la propria sede in un altro Stato membro, dirige in tutto o in parte la propria attività verso il territorio del primo Stato membro, laddove la scelta di stabilirsi nel secondo Stato membro sia stata compiuta al fine di sottrarsi alla legislazione che sarebbe stata applicata ove esso si fosse stabilito sul territorio del primo Stato membro. Alla nota a piè di pagina vengono citate le sentenze della Corte 3 dicembre 1974, causa 33/74, van Binsbergen (Racc. pag. 1299), e 5 ottobre 1994, causa C-23/93, TV10 (Racc. pag. I‑4795).


8 – Sentenza 5 marzo 2009, causa C‑222/07, UTECA (Racc. pag. I‑1407, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).


9 – Ai fini dell’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il 27 dicembre 2001 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93). La posizione comune 2001/931 contiene un allegato in cui figura l’elenco delle «persone, dei gruppi e delle entità coinvolti in atti terroristici». Il PKK è stato aggiunto a tale elenco a seguito della posizione comune del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/340/PESC (GU L 116, pag. 75). Questa organizzazione ha poi continuato a figurare nel suddetto elenco in seguito alle successive posizioni comuni del Consiglio, da ultimo in virtù della decisione del Consiglio 12 luglio 2010, 2010/386/PESC, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931 (GU L 178, pag. 28). Parimenti, il PKK è stato aggiunto all’elenco dei gruppi terroristici dalla decisione del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/334/CE che attua l’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga la decisione 2001/927/CE (GU L 116, pag. 33).


10 – Nella relazione esplicativa delle modifiche apportate dalla direttiva 97/36, è indicato che «[l]’ex articolo 22 è stato scisso in due parti per facilitare la comprensione delle disposizioni in materia di ordine pubblico. Queste ultime infatti hanno una portata molto più generale rispetto alla tutela dei minori in quanto sono volte a proteggere anche gli adulti contro programmi che possano arrecare pregiudizio alla loro integrità fisica, morale o spirituale». V. relazione sull’attuazione della direttiva 89/552/CEE e proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modificazione della direttiva 89/552/CEE del Consiglio, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive [COM(95) 86 def., pag. 45].


11 – Sentenza 10 marzo 2005, causa C‑336/03, easyCar (Racc. pag. I‑1947, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).


12 – V. [per la lingua francese] Le Nouveau Petit Robert - Dictionnaire alphabétique et analogique de la langue française. Queste definizioni corrispondono anche alle versioni dell’art. 22 bis della direttiva nelle lingue spagnola («incitacíon al odio»); tedesca («zu Haβ aufstacheln»); greca («καμία παρότρυνση σε μίσος»); inglese («incitement to hatred»); italiana («incitamento all’odio»); olandese («geen enkele aansporing tot haat») e portoghese («incitamento ao ódio»).


13 – Direttiva 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22).


14 – Direttiva 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).


15 – V., in particolare, l’art. 13 CE, secondo cui «il Consiglio (…) può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali». V. anche il dodicesimo ‘considerando’ della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU L 190, pag. 1), secondo cui occorre rifiutare di procedere con la consegna di una persona «qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali».


16 – Questa analisi trova altresì conferma nella convenzione europea sulla televisione transfrontaliera a cui la direttiva 89/552 fa riferimento nel suo quarto ‘considerando’ e che, all’art. 7 prevede che i programmi non devono incitare all’odio razziale. Ai sensi della raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri n. R (97) 20 sui «discorsi di odio», a cui rinvia la relazione esplicativa di tale convenzione per chiarire la portata della condizione di cui al citato art. 7, la locuzione «discorsi di odio» dev’essere intesa come riguardante qualsiasi forma di espressione che diffonda, inciti a, promuova o giustifichi l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo ovvero altre forme di odio basate sull’intolleranza, tra cui quella forma di intolleranza che si esprime sotto forma di nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, di discriminazione e di ostilità nei confronti delle minoranze, degli immigrati e delle persone provenienti da un contesto migratorio.


17 – Sono previste formule più precise, per esempio il testo dell’art. 21 della Carta, secondo cui «[è] vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale». Questa formula è ripresa, segnatamente, in termini quasi identici all’ultimo ‘considerando’ della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche GU 2004, L 229, pag. 35, GU 2005, L 197, pag. 34 e GU 2007, L 204, pag. 28). Tuttavia, la formulazione più sobria dell’art. 22 bis della direttiva continua ed essere utilizzata, per esempio, nell’art. 3, n. 4, lett. a), punto i), primo trattino, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).


18 – Non intendo sostituire la mia valutazione del significato della versione in lingua tedesca dell’art. 22 bis della direttiva a quella proposta dal giudice del rinvio. Ritengo, tuttavia, che la mia analisi sia applicabile alle versioni del suddetto articolo nelle lingue spagnola («Los Estados miembros velarán por que las emisiones no contengan ninguna incitación al odio por motivos de raza, sexo, religión o nacionalidad»), greca («Άρθρο 22αΤα κράτη μέλη μεριμνούν ώστε οι εκπομπές να μην περιλαμβάνουν καμία παρότρυνση σε μίσος λόγω διαφορών φυλής, φύλου, θρησκείας ή ιθαγένειας»), inglese («Member States shall ensure that broadcasts do not contain any incitement to hatred on grounds of race, sex, religion or nationality»), italiana («Gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità»), olandese («De lidstaten dragen er zorg voor dat uitzendingen geen enkele aansporing tot haat op grond van ras, geslacht, godsdienst of nationaliteit bevatten») e portoghese («Os Estados-membros assegurarão que as emissões não contenham qualquer incitamento ao ódio por razões de raça, sexo, religião ou nacionalidade»).


19 – L’art. 10, n. 2, della CEDU dispone che la libertà di espressione può essere oggetto di restrizioni necessarie, in una società democratica, «alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».